Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 8:50 pm

Frata/Frate (Fratta/Fratte)
viewtopic.php?f=45&t=986

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lgaria.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lesine.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Revine.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... venete.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Fratte.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... aleghe.jpg


http://www.worldcitydb.com/italy_(general)_in_italy_state.aspx
...
Frasso Telesino Fratta Fratta Fratta Polesine Fratta Todina Frattaguida Frattamaggiore Frattaminore
Fratte Fratte Frattesina Fratte Rosa Fratticciola Fratticciola Selvatica Frattocchie Frattuccia Frattura Sant’Angelo Le Fratte Fregene ...

De ceotoponomastega o mignotoponomastega a ghe nè a çentenari, coaxi ente ogni paexe.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 8:50 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 8:52 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 9:10 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 9:14 pm

Marigo, frate, gazi, mariganse, gaggio, …

http://www.riviste.provincia.tn.it/ppw/ ... penElement

Nella Val Lagarina medievale, dove la maggioranza del clero professava il diritto romano (???), le vicinie
riuscirono ad agevolmente conservare le antiche consuetudini, anzi ad ampliarle, nonostante la forza dei poteri
signorili. Le universitates hominum, le convicinie, le regule lagarine corrispondevano alle vicinie,
vexinanze, marigantie del confinante territorio veneto e lombardo
.
Gli stessi nobili incastellati facevano parte delle vicinie; e, come tali, godevano dello jus regolandi al pari dei contadini.
Il facere regulas è definito dallo statuto veronese del 1272; quindi da quello di Cangrande della Scala del
1328. "Era libero a chiunque di regolare o porre in regola le sue terre, gli oliveti, i prati, i boschi, gli orti,
pagando i saltari, o assoldandone uno per proprio conto salvo a non mettere in diverse regole la medesima
proprietà ma ad aggregarla sempre alla regola di quella villa nelle cui pertinenze giaceva il fondo" (Postinger).
Significativo di un fatto giuridico e di un quadro paesistico è il consenso degli uomini della associazione rurale di Ala, riuniti in regola, a che il signore feudale del luogo, Branco di Castelbarco (1203) istituisse saltari o waldemanni.

Marigo = funsionaro del comun a cu ghe spetava de far respetar le regole e de dar sansion a le enfrasion.
http://www.fabris-genealogia.it/storia/ ... olongo.pdf
Nel 1548 era Marigo dei due Comuni di San Stefano e di Casada; e sotto la sua mariganza in quell’agosto fu trascritto dalla pergamena che lo conteneva, il Laudo dei due Comuni suddetti.




Boschi collettivi. All'inizio del Cinquecento la stessa Comunità di Pinè proclamò il possesso collettivo
dei boschi e dei pascoli montani della valle dove ogni villa e ogni vicino aveva il diritto di usufrutto "come i
veri signori fanno e sogliono fare".
La Comunità di villa della bassa valle di Fiemme riuscì a prevalere sui castellani di Egna che contendevano
ad essa, anche con la violenza, il pascolo brado dei maiali nei faggeti.
Ogni vicino aveva diritto all'uso regolato del territorio collettivo. Si trattava dei diritti di legnatico (legna
da fuoco, legname da opera), stramatico, di foglie, di fascine, di vincelli, di corteccia (Cernerar), di pali
per le vigne, di legname per le doghe, di pascolo eccetera.

Il gaggio era il bosco di casa.
Equivaleva alle piantate (plantades) francesi del Midi-Pyrénées.
Esse servivano per il pascolo e il nutrimento dei maiali (ghiande); da luogo di raccolta dello strame (foglie); da spazio di produzione di legna da fuoco (legna).
Ingazzare. Da noi ingazzare un bosco equivaleva a porlo in riserva.
Recita una Carta di regola: "in esso
luogo ingazzato, alcuno non debba tagliare arbori di sorta alcuna, nemmeno boschezzare, né far fascine, né legna, né foglia ecc..". Questo avveniva a rotazione pluriennale onde permettere l'irrobustimento naturale
del bosco. I gazi (gagi) erano per lo più da caducifoglie con pino silvestre e abete.
C'erano pure gazi di castagni.

………..

Cà da mont. L'intera zona contiene nel suo paesaggio un quadro vivo del secolare pendolarismo villaggio-
bosco-pascolo. La rappresentazione di tale vicenda è leggibile nelle radure delle baite (localmente
cà da mont), nelle paghère (boschi di pecci, grossi pecci per il riparo pastorale), nella rete dei sentieri che le collega alle strade vicinali selciate (salesàdi), nelle buche delle carbonaie (carbonère), nei ruderi delle fornaci per la calce (calchère), eccetera. Il rapido flash tionese contiene la convinta solidarietà che legava le comunità di villaggio. Le fornaci per la calce o per la cottura dei coppi (copère) erano d'uso consortile.
Così come lo erano la tinozza (panàra) per la macellazione invernale dei maiali, il torchio per l'uva,
le noci, le olive, il forno da pane, la fontana, il pozzo, a Torbole perfino le grandi reti per la pesca nel Garda.
Le ca' da mont, i fienili, le masàdeghe, i masi, le baite, i tabiadi, le casare eccetera, documentano invece, la
ripartizione dei bosco collettivo per trarvi spazi pastorali, agrari o misti.

Il dissodamento di porzioni di bosco comunale, ossia le frate, era fatto a uso cerealicolo, talvolta vitivinicolo.
Le frate erano soggette a norme statutarie derivate dalla consuetudine.

Il terreno rimaneva proprietà collettiva mentre l'uso era affidato a privati.

A Povo, il vicino usufruttuario di una frata poteva coltivarla non più di un quinquennio. Poteva ritornarvi a curarla soltanto dopo che essa fosse stata "goduta" da altri per analogo periodo. Però colui che "roncava di nuovo" una frata, la poteva tenere per 7 anni di seguito. Su ogni frata gravavano 4 tassazioni annuali: l'affitto,
la steora, la "tassa dei termini o colletta", la contribuzione per la ricostruzione del ponte Cornicchio sulla
Fersina.
Il paesaggio delle frate disegna uno sconfinato arpeggio di terrazzamenti agricoli in ogni valle e attorno
a ogni villaggio.
Oggi è ripreso dal bosco selvaggio. E dimenticato. Talvolta lacerato dall'urbanizzazione o dalle cosiddette
"bonifiche agricole".

Coredo, Smarano, Sfruz, Rabbi.
Esso rimane documentato dalla toponomastica e dalle carte d'archivio.
Tuttavia qualche reminiscenza della solidarietà di villaggio è rimasta nella coscienza generazionale o in certe
consuetudini. Ecco, ad esempio, il diritto di manara che i vicini di Coredo, Smarano, Sfruz avevano sulla foresta comune; le consortèle della Val di Rabbi, ossia "comunioni private di beni, già vicinali, per lo sfruttamento dei boschi e dei pascoli in base ai propri statuti; i feudi e le vicinie proprietarie di boschi di cui godono i vicini di determinate famiglie: il diritto di albero nell'Alto Garda trentino dove gli uliveti (olivaie) sono comunali dati in usufrutto a vicini; il conseguente diritto di superficie che prevede la vendita o l'affitto
di un albero ma non del terreno dove si trova; altrettanto avviene per i castagni in alcuni comuni della sponda
sinistra della bassa valle di Cembra.
Ancora: il diritto di caldaia riferito alle malghe della Rendena. Esso era tassativamente applicato ai soli
"fuochi fumanti" della comunità di villa proprietaria dell'alpe.
Seppur in tutt'altro ambiente e con diverse formulazioni regolamentari è la connessione fra sfruttamento privato
della terra e proprietà collettiva della medesima, si ritrova nelle Partecipanze agrarie emiliane della regione
fra il Panaro e il Sillaro. Nelle Partecipanze, il patrimonìo fondiario collettivo viene periodicamente ripartito
mediante sorteggio fra i maschi dei discendenti dei gruppi familiari originari. Il che avviene nel
Trentino anche nei citati Feudi e Vicinie, fondati su statuti diversi dalle tradizionali regole di proprietà indivise,
quale l'uso civico.
L'intreccio di diritti e di doveri comunitari si ritrova impresso nei libri comunali delle Frate, delle Manare,
del Legname, degli Alberi e nelle altre carte che scandivano la vita attiva di ogni comunità di villaggio.

Si tratta di una grande lezione di cultura, di autogoverno, di saggia manutenzione del territorio.
Non è forse, tutto questo, e altro, una proiezione in maxischermo di un paesaggio remoto, ma vivacissimo e
democratico, libero, del quale rimangono oggi soltanto i ruderi?

-------------------------------------------------------------


Baselga de Pinè (Trento)
http://next.comunebaselgadipine.it/medi ... tatuto.pdf
Il pesaggio umanizzato

La toponomastica abbozza efficentemente la qualità, l'uso del territorio e la sua rielaborazione
finalizzate all'agricoltura, alla pastorizia, all'artigianato: Minére, Busi-canòpi, Fosína, Molinara, Pra de
la calcína, Seghe; Ràuta, Ràuti, Geràit
, (=reuten, far novali, Gereut), Rónk, Rónchi (= novali), Acherle (=Acker = campo, arativo), Capussara (= campo di cavoli cappucci), Písel (Wiese, prato), Prada, Frata, Frate (= campetti montani terrazzati), Bròilo, Brolét ( campo recintato), Pradèl (piccolo prato), Valt (= Wald, bosco), Grill,(Gfrill, caprile), Campolongo (loc. Camoionk), Trote (voce altotedesca equivalente a pascolo), Pùel (= dosso ecc.).
Le trasformazioni culturali, economiche, sociali, hanno sotteso o italianizzato l'ordine toponomastico
secolare, espressivo della pressione umana sull'ambiente, per una spinta culturale malinconicamente
uniforme, standardizzata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 9:16 pm

LA CAMPAGNA ISTRIANA NEL MEDIOEVO di FRANCO COLOMBO
Trieste - Dicembre 2005

http://www.circoloistria.it/public/La%2 ... dioevo.pdf

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... hyNHM/edit

Immagine
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... er=1&w=800


Mansio, lama, canal, mata, frata, muglae/mugla/muglia/muja/muggia, clea, tenuta, vałixa, curia, corte, pustota o baretum, meta

Immagine
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... r=73&w=800
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 9:17 pm

Dal Glottologo Mario Alinei, Origine delle lingue europee, volume II:

Immagine


4.2.1. Il mito dei nomi pre-IE del debbio

Come sappiamo, il debbio è la tecnica detta scientificamente ignicoltura, adottata dai primi coltivatori del Neolitico per il risanamento del terreno esausto, o per l'estensione dei terreni agricoli, e consisteva nella combustione della vegetazione spontanea, o di ciò che restava dopo il taglio degli alberi, delle stoppie dei cereali, delle erbe tagliate e accumulate. Proprio per l'antichità della tecnica, alcuni dei nomi del debbio, e primo fra tutti debbio stesso (v. oltre), sono stati considerati pre-IE, coerentemente con il mito dell'arrivo degli IE e dei Proto-Italici in epoca calcolitica.
Vediamo, alla luce dei materiali lessicali dialettali, come questa idea sia del tutto infondata.


4.2.1.1. Debelus e altri nomi del debbio

I nomi dialettali del debbio, sia in Italia che altrove, sono numerosissimi, ciò che non è senza significato, come vedremo.
Il più famoso e discusso fra di essi è lo stesso debbio, che oggi sopravvive, col verbo debbiare, solo in Toscana e in Corsica [ALEIC 1071], ma è attestato nella toponomastica, sia toscana che alto-italiana [cfr. DEI s.v.]. Risale a un tipo debelus, che nella forma dell'abl. plur. debelis e dell'acc. pl. debelus è attestato alcune volte nella Tavola di Veleia (= TV, CIL XI, 1147, III 73, IV 38-39, VII 37) del II secolo d.C.
È stato ricondotto al tema IE *dhegwhel-, dalla radice IE *dhegwh- «scaldare, bruciare» [IEW 240], da cui latino favilla e foveo [cfr. Tibiletti Bruno 1978, 170, 185], e per le sue caratteristiche fonetiche (perdita dell'aspirazione nelle due consonanti e labializzazione della labiovelare) si lascia attribuire al Leponzio o Lepontico, lingua di cui è ora accertata la celticità [ibidem, 170; Prosdocimi 1978, 550, 557 n. 6; Solinas 1992-1994; Sims-Williams 1993, 382], e non al Ligure [Petracco Siccardi 1981, 72, 93].

Il termine sarebbe quindi stato introdotto in Italia settentrionale, Toscana e nelle due isole da una delle diverse ondate celtiche.

Una esauriente ricerca di Emilio Sereni ha inoltre dimostrato l'esistenza, accanto a debbio stesso, di molti altri termini per il debbio, nella maggior parte di origine latina (area latina): «nell'Italia centrale e settentrionale [...] sono più largamente diffusi termini [...] la cui formazione va riportata a una fase linguistica latina o romanza» [Sereni 1981, 6-7].
Purtroppo, la documentazione disponibile non permette di disegnare una mappa dei nomi del debbio in area neolatina, ma un elenco anche incompleto, che ordino approssimativamente da nord a sud, è egualmente dimostrativo: la famiglia di latino runcare «svellere le erbe cattive, sarchiare», comunissima nell'Italia centro-settentrionale, con derivati (anche in Rumeno) che significano «terreno dissodato (nel bosco)» e poi «addebbiato» [ibidem, 12 ss.];
i derivati di latino sarire «zappettare, sarchiare», di area galloromanza e alto-italiana occidentale, ma attestati anche in Italia centrale [ibidem, 13-14];
la grande famiglia di (silva/terra) fracta, diffusa ovunque in Italia, nel Nord e nel Centro come «terra dissodata, disboscata, addebbiata», nel Sud come «macchia, luogo incolto», per cui solo qui sfrattare diventa «addebbiare» [ibidem, 14-15];
ticinese e trentino regada, da eradicata [ibidem, 10];
derivati di bruciare, come antico italiano brucata brusada «debbio, campo addebbiato» e francese brûlis [ibidem 27, 28] (italiano brullo);
latino medievale ligure zerbata «debbio», da accostare a nizzardo degerbà, piemontese sgerbì, da exherbare;
derivati di ardeo, come arsione e arsiccia, comuni anche in Francia e Provenza (antico frisone arsis, arsin, arsure, provenzale arsino, franco alpino e francese arselle), comuni nella toponomastica sia in Francia che in Italia (tipi Camparso, Montarso, Boscarso, Terrarsa ecc.) [ibidem, 27];
la famiglia di fornello (fornellare, fornellato), diffusa in area tirrenica, dalla Toscana alla Liguria e alla Provenza, fino a bearnese fornat, e a basco labaki («campo addebbiato col metodo dei fornelli») (Forni nel vicentino);
il tipo semanticamente affine di formica e formicaio «fornello da debbio» [ibidem, 29];
provenzale glebado «debbio col metodo dei fornelli», da glebo «zolla di terra, tappeto erboso» (< lat. gleba);
marchigiano medievale goluppata «terreno addebbiato» (Statuti comunali di Fano), avvicinabile a voluppus «involto» e quindi a italiano viluppo, avviluppare, sviluppare, francese enveloper, italiano meridionale malloppo, ecc.;
toscano (Monte Amiata) fare la roggia (le roggie) «bruciare le stoppie, addebbiare», da rubeus «rosso»;
toscano rasiccia «debbio praticato col raschiamento della cotica erbosa», da radere;
italiano centrale e meridionale cavare, scavare la macchia e simili, dal latino cavare [ibidem, 11];
abruzzese 'ngotta, da (terra) incocta [ibidem, 6];
sterpare, stirpare, strepare [ibidem, 10-11] (e strappare), da extirpare (v. oltre);
vari derivati di focus, come infocare affocare, spesso in sintagmi del tipo mettere/appiccare fuoco ecc. [ibidem, 25];
derivati del latino circinare «tirare in circolo», e poi «aprire una radura circolare, addebbiare» [ibidem, 37];
ancora scuotere da excutere, sticchiare da ex-titulum, sclapare da scaapa, stipare da stipa (?), svegrare (da veterum), scampare da campo, adsolare da solum, scarpare da scarpa, cioccare e dicioccare da ciocco [ibidem, 19];
in Sardegna, infine, abbiamo diversi tipi lessicali: barbattu, brabattu, -are, dal latino vervactum «maggese»;
rupere, irruttiare, dal latino rumpere; immoddiththare da mollis [ibidem, 20]; buddìu «bollito», da bullio; seminare a intìpidu e simili da tepidus.

Tutti questi nomi dimostrano, senza alcuna possibilità di dubbio, che il debbio fu lessicalizzato con nomi diversi nelle varie aree italiche e nord-mediterranee; e poiché la tecnica dell'ignicoltura fu certamente introdotta all'inizio del Neolitico, il fatto che la stragrande maggioranza di questi nomi siano di origine latina «popolare» dimostra l'esistenza di geovarianti affini al Latino, o romanizzate più tardi su una base affine, già all'inizio del Neolitico.
Questo ci porta a un'altra questione: come si esprimeva la nozione di «debbio» in Latino?
Nel quadro tradizionale, infatti, questa sarebbe la sola ipotesi possibile: il termine latino è stato innovato da una miriade di forme locali. Sereni non pone il problema in termini precisi, e dà quindi una risposta indiretta ambigua, definendo «poetiche» le descrizioni del debbio degli scrittori latini: «silvas [...] cremare» (Lucrezio), «silvestrem flammis et ferro mitiget agrum» (Orazio), «incendere [...] agros» (Virgilio), «incendia iactare» (Silio Italico) [ibidem, 22], e «perifrastiche» quelle in cui tornano termini come effodere, extirpare, incendere, accendere, comburere, urere, ustulare, ustrina e bustum [ibidem, 20 ss., 78 ss.].
Inoltre, menziona nomi di tecniche agricole meno arcaiche del debbio, che tuttavia ottengono lo stesso risultato, come il maggese: vervactum «terreno dissodato, maggese lavorato» (sopravvissuto in Sardegna come nome del debbio);
novalis, in origine «terreno coltivato per la prima volta» e poi «maggese, terreno lasciato a riposo», la cui motivazione è paragonabile a basco lubarri, luberri, letteralmente lur «terra» barri «nuovo», di fatto «debbio, campo addebbiato» [ibidem, 16-17].

La verità è che da un lato la terminologia del debbio si era sviluppata fin dall'inizio del Neolitico in modo assai differenziato, anche all'interno di una stessa regione, e quindi poteva non esserci un nome «latino» vero e proprio; e dall'altro che all'epoca degli scrittori classici il debbio era ormai lontano dalle pratiche agricole correnti, e quindi un suo eventuale nome sarebbe caduto nell'oblio.

Gli scrittori latini non conoscevano la terminologia del debbio, neanche quella locale, così come nessuno scrittore o uomo colto italiano conoscerebbe oggi la terminologia della fusione del bronzo e del ferro.
Restano da vedere gli esempi addotti da Sereni per dimostrare la sopravvivenza di un fondo pre-IE nella terminologia dialettale del debbio, nonostante la citata ammissione della sua prevalente latinità.
Uno sarebbe il piemontese motèra «fornello da debbio», cioè la «piccola capannuccia di forma tronco-conica costruita sovrapponendo le piote erbose l'una sopra l'altra» [ibidem, 29].
Questo deriverebbe da piemontese mota «zolla, gleba», come il provenzale glebado «debbio da fornelli» deriva da gleba «zolla o tappeto erboso», dal latino gleba.
Secondo Sereni «motèra e mota non sono in alcun modo riferibili a un fondo linguistico latino» [ibidem, 30].
Ora, questo è vero solo nel senso che piemontese (e lombardo, trentino, veneto, friulano, emiliano) mota «zolla», così come l'italiano mota «fango», e i numerosissimi derivati provenzali del tipo mauta (da cui mota), matta ecc., tutti «fango» o «calcina» e «poltiglia», pur derivando immediatamente da corrispondenti del latino maltha «malta, cemento, misto di calce e sugna», sono in ultima analisi di origine greca, dal greco málthē/-a «misto di pece e cera utilizzato per calafatare le imbarcazioni».
(Nota mia: non arrivano né dal latino né dal greco, anche Alinei qualche volta si sbaglia).
Anche se questo termine non derivasse da PIE *meldh- [cfr. DELG], e quindi avesse origini an-IE, potrebbe essere stato introdotto in Grecia dai primi gruppi coltivatori del Neolitico, e di qui nel bacino nord-mediterraneo occidentale, con la CI/C.


Un altro termine «pre-IE» sarebbe quello usato per fornelli molto più lunghi (diversi metri) e di forma rettangolare, che è morena in Piemonte (ma cordone, da corda, in Toscana) [ibidem, 30].
Ora, anche se è vero che morena è uno dei numerosi membri della famiglia di morra, mora «mucchio», e che questa viene di solito considerata pre-IE, un'analisi più attenta del termine (v. oltre) rivela la sua origine italica.
Un terzo esempio sarebbe piemontese (e veneziano, veronese e milanese) lota, che come piota significa la «fetta di cotica erbosa» che rappresenta l'elemento costitutivo del fornello da debbio [ibidem, 31].
E questo termine, con basco Iuta «frana di terra», viene ricondotto di solito all'ibererico alutia «terreno aurifero a fior di terra» [ibidem, 89].
Ma a parte l'incongruenza cronologica e semantica fra tecniche ignicole neolitiche e risorse aurifere che presuppongono l'oreficeria, mi pare molto più probabile un suo collegamento a latino lutum «fango», «argilla», luteus «fangoso», lutare, lutina ecc., naturalmente in una variante a consonante geminata (cfr. latino totus > italiano tutto).
Da ultimo, ci sarebbe la voce sarda narbone «debbio, campo addebbiato», con il verbo narbonai «addebbiare», accostabile al frequente toponimo Narbona, fra l'altro nome della capitale degli Elysici liguri [ibidem, 31].
Ma narbone è stato già interpretato dal Wagner [DES s.v.] come derivato dal latino arvum «campo arativo, pascolo», con l'agglutinazione dell'articolo indeterminato (o, a mio avviso meglio, della preposizione in).
...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 9:17 pm

Immagine

fratta,
s. f. ‘luogo scosceso e impervio ricoperto da una macchia intricata di pruni e sterpi’ (frata nel lat. mediev. di Bovolone del 1179: Sella Ven. s. v. serravallus; it. fratta: sec. XIV, Livio volgar.).

Etimlogia incerta. Si pensa al lat. fracta ‘(rami) rotti’, part. pass. nt. pl. di frangere (cfr. J. Hubschmid, VR XXVII, 1968, 354). Per una possibile derivazione dal gr. tardo phrákte ‘siepe’ cfr. invece Migliorini-Duro e P. Aebischer, che ipotizza un passaggio della vc. gr. dalla Grecia a Roma e di qui al centro della penisola per poi giungere nel Veneto e nella Lombardia (ALMA XXVIII, 1958, 104-108).


Immagine

Fratta

fraces, um, f. pl.,sansa (residuo delle olive dopo la torchiatura), CAT.

fracesco, is, fracui, ere, 3 intr.,
divenir rancido, infradiciarsi, puzzare: olea lecta, si nimium diu fuit in acervis, caldore fracescit (diventa rancida), VARR. R. R. 1, 55, 6; divenir molle (della terra), CAT.
[fraceo + -sco].

fracidus, a, um, agg., fradicio, guasto: olea f., CAT. [fraces + -idus].

fractamentum, i, n., pezzo, frammento, Vulg. [frango + -mentum].

fractaria, ae, f., martello da minatore, PLIN. [frango + -aria].

fracte, avv., in modo effeminato, PHAEDR. [fractus + -e].

fractio, onis, f., atto dello spezzare, frattura: f. panis, HIER.; fig. debolezza, scoraggiamento: cordis f., HIER.; debolezza dei febbricitanti, accesso di febbre, GREG. T. [frango + -tio].

fractor, oris, m., colui che spezza, AUG.; fig. fractores ferularum, parassiti su cui si spezzano le ferule, SID.
[frango + -tor].

fractorium, ii, n., frantumatore, strumento per spezzare le pietre, Vulg. [frango + -torium].

fractura, ae, f.,
frattura: sanare fracturas, PLIN.; quo propior fractura capiti est, eo peior est, quanto più una frattura è vicina alla nuca, tanto più pericolosa è, CELS.; concr., pl., frammenti, pezzi, schegge, CAT.; fig. debolezza morale, AUG.; fracasso: f. procellarum, il fracasso delle tempeste, ENNOD.
[frango + -ura].

fractus, a, um, part. agg. di frango con comp.,
rotto, spezzato, infranto: naves fractae, navi infrante, CAES.; fractum crus, gamba spezzata, CIC.; fig. mortificato, fiaccato: Aedui proeliis calamitatibusque fracti, gli Edui fiaccati dalle battaglie e dalle calamità, CAES. B. G. 1, 31, 7; fractus membra labore, con le membra fiaccate per la fatica, HOR. Sat. 1, 1, 5; molle, debole, languido, effeminato: fracto animo, con animo molle, CIC.; Ciceronem a Calvo male audisse tamquam solutum et enervem, a Bruto tamquam fractum et elumbem (come mancante di forza e slombato), TAC. Dial. 18; fracta voce loqui, parlare con voce da donna, IUV. 2, 111; dell'oratoria, spezzato, interrotto, CIC.; sost. n. pl. fracta, orum, membra spezzate, PLIN.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Frata/Frate (Fratta/Fratte)

Messaggioda Berto » ven lug 11, 2014 9:25 pm

.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm


Torna a Toponomastica

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite