Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi

Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi

Messaggioda Berto » lun mag 30, 2016 7:09 pm

Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi

Messaggioda Berto » lun mag 30, 2016 7:12 pm

Nove
http://www.comune.nove.vi.it
http://www.comune.nove.vi.it/storia.asp
La storia del Comune di Nove è legata a quella del fiume Brenta che lo delimita, a Oriente, lungo tutta la sua lunghezza. E' adagiato infatti sul cono di deiezione del fiume al confine con Bassano e parte del suo territorio, un tempo alveo del Brenta, si è venuto fondando con i depositi delle pietre, 'le brentane' e la progressiva deviazione del fiume stesso. L'odierna Piazza di Nove e la parte orientale del paese erano il fondo e l'ampio letto del fiume.

Cesare Cantù così scrive di Nove nei suoi volumi di storia sul Lombardo-Veneto (1855-1859): 'Nel mezzo scorre una roggia, alla cui forza motrice si deve l'origine e la ricchezza del paese; poichè volge mulini, seghe, magli, folli, filatoi di seta, meccanismi da pestare le pietre onde vengono lavorate le stoviglie... Può calcolarsi che le fabbriche di stoviglie, i 4 magli di battiferro, le tre gran seghe di legname, i sette mulini da grano, i due folli ed un opificio a torcere la seta, ultima memoria dei tanti di cui una volta, mettano settimanalmente in circolazione nel paese ben più di 1250 franchi animando l'intero commercio di molti piccoli esercenti... I cittadini erano divisi in artigiani ed agricoltori con una piccola prevalenza de' principi'.
La caratteristica del luogo ha favorito l'insediamento di attività artigianali che hanno saputo sfruttare la forza motrice dell'acqua.
Le nuove terre anticamente appartenevano alla comunità di Marostica cedute man mano alle famiglie che vennero ad insediarsi.
Nel XIV secolo vi risiedevano già alcune famiglie: la più antica, è la famiglia Tomasoni che possedeva terreno coltivato e sfruttava l'acqua di una roggia derivata dal Brenta per muovere una ruota da mulino e una sega per tagliare il legname. E' stato il punto di partenza di una industria che creò ricchezza e sempre più numerosi insediamenti.


Verso il 1443 Nove ottenne da Marostica l'indipendenza per l'organizzazione della vita religiosa. Nel 1453 gli abitanti cominciarono la costruzione di una chiesa dedicata a San Pietro Apostolo.
I legami amministrativi ed economici rimasero inalterati fino all'inizio del XVII secolo. Nel 1602, Nove ormai diventata un centro attivo e prospero chiese la separazione da Marostica. Questa esperienza durò solo un breve periodo, poi le due comunità, nel 1632, si riunirono. In seguito, a causa dei disordini scoppiati a Marostica, Nove chiese definitivamente l'autonomia che dal XVIII secolo è giunta ai giorni nostri.

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 7/Nove.jpg


Noale (Noal o Noałe in veneto locale)
http://it.wikipedia.org/wiki/Noale
Il centro fortificato di Novalis (che significa "terra di nuovo utilizzo") sorse dopo il 1000 come avamposto militare di Treviso, poco lontano dal confine, rappresentato dal fiume Musone, con la rivale Padova. I molti reperti archeologici recuperati, tuttavia, testimoniano che la civiltà era presente nel territorio già in epoca preromana e romana. A conferma di ciò i toponimi, di chiara origine latina (??? caxo mai veneta de li ani romani), e la disposizione di strade e fossati che ricalca la regolarità della centuriazione (???). Inoltre, esiste una tradizione che afferma che la comunità di Noale fosse stata evangelizzata da San Prosdocimo, primo vescovo di Padova, nel I secolo.

Nel XII secolo (1158) il castello divenne residenza dei signori Tempesta che avevano ricevuto la carica di "avogari", cioè difensori e amministratori dei beni temporali dei Vescovi di Treviso. I Tempesta eserciteranno tale ufficio fino alla fine del Trecento quando, dopo l'estinzione del ramo legittimo, subentrarono gli Azzoni.

Toponimi simili a Noale sono assai diffusi nel Nordest: derivano tutti da novālis, termine latino che significa "maggese", "campo che si coltiva da poco" (cfr. il friulano novâl "terreno boscoso da poco ridotto in coltura").

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /Noale.jpg


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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... enta-1.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... oventa.jpg

Novaledo
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Novoledo
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... voledo.jpg

https://it.wikipedia.org/wiki/Villaverla

Novoledo, dal 1816 frazione di Villaverla, in precedenza era un comune autonomo, con propri amministratori e propri statuti.
La sua origine è antichissima: nel suo territorio sono state rinvenute numerose amigdale e punte di freccia in selce del Neolitico, oltre a embrici di epoca romana delle fornaci di Quinto Curio e di Tito Dellio Sereno. Qui si incrociavano allora il cardo e il decumano massimi di una centuriazione dell'alto vicentino, probabilmente di epoca augustea, e il suo nome deriva da "novelletum", cioè "piantagione di novellae" o giovani viti.
Novoledo ha sempre avuto tradizioni agricole e qui possedevano vasti poderi specialmente i Ghellini, che troviamo presenti dai primi anni del Trecento.
Talvolta Novoledo è stato confuso con Porcileto, che era invece una borgata distinta, a due km da Novoledo, con chiesa e parroci propri. Questa borgata, che fu anche data in feudo a Marcobruno da Vivaro, scomparve verso la metà del Trecento, e la sua chiesa venne affidata al Parroco di Dueville dal Vescovo di Vicenza.

http://www.012345.com/guide/pdf/Villaverla03.pdf
I nomi locali dei comuni di Novaledo, Roncegno, Ronchi Valsugana
a cura di Lidia Flöss
Trento, Provincia autonoma di Trento. Servizio Beni librari e archivistici, 1998.
ESAME DEI TOPONIMI PER LA CONOSCENZA DEL TERRITORIO
http://www.trentinocultura.net/doc/sogg ... ponimi.pdf





Novate
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... viglio.jpg

Novellara e Novello
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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ellara.jpg


Nole
https://it.wikipedia.org/wiki/Nole
Nole è citato per la prima volta in un documento del 1209 nell'accezione "Novolis". Altri testi antichi vi fanno riferimento con i toponimi "Novulae", "Nollis", "Nolle". La tradizione locale vuole che il nome “Nole” sia derivato proprio dal verbo latino “nolle” (non voler sottostare), a simboleggiare la perenne protesta attuata dagli abitanti nei confronti di Ciriè, per quanto riguarda, soprattutto, il pagamento di dazi e gabelle ???. Secondo gli storici, invece, il nome parrebbe derivare da “Novulae” (oasi in mezzo ai boschi) ???. Nole esiste già intorno all'anno 1000, infatti all'interno della Chiesa parrocchiale di San Vincenzo, nel corso di lavori di restauro e rifacimento del pavimento effettuati nel 1984, sono stati ritrovati i resti di una chiesa romanica risalente all'anno 1100. La prima testimonianza di comunità autonoma si ritrova però solo dal XIV secolo. Sino a quel periodo Nole fece infatti parte della Castellania di Ciriè. Il primo documento scritto che cita la Chiesa risale al 1312, quando essa risulta alle dipendenze della pieve di Liramo, centro abitato ora scomparso, situato tra Ciriè e Nole (la tradizione vuole che la distruzione di Liramo sia stata la salvezza di Nole). Nel 1336, Margherita di Savoia, vedova del Marchese Giovanni I di Monferrato, reggente la Castellania di Ciriè, permise agli abitanti del "locus Novolarum" di costruire intorno alla Chiesa un “recetum”, cioè un recinto di mura con fossati, ponti levatoi e saracinesche, a difesa di uomini e beni dai continui saccheggi.


Lista Alfabetica Comuni: NO-NU

Noale Noasca Nocara
Nocciano Nocera Inferiore Nocera Superiore
Nocera Terinese Nocera Umbra Noceto
Noci Nociglia Noepoli
Nogara Nogaredo Nogarole Rocca
Nogarole Vicentino Noicàttaro Nola
Nole Noli Nomaglio
Nomi Nonantola None
Nonio Noragugume Norbello
Norcia Norma Nosate
Notaresco
Noto
Nova Levante
Nova Milanese
Nova Ponente
Nova Siri
Novafeltria
Novaledo
Novalesa
Novara
Novara di Sicilia
Novate Mezzola
Novate Milanese
Nove
Novedrate
Novellara
Novello
Noventa di Piave
Noventa Padovana
Noventa Vicentina
Novi di Modena
Novi Ligure
Novi Velia
Noviglio
Novoli Nucetto
Nughedu San Nicolò
Nughedu Santa Vittoria Nule Nulvi
Numana Nuoro Nurachi
Nuragus Nurallao Nuraminis
Nureci Nurri Nus
Nusco Nuvolento Nuvolera
Nuxis


Novi Ligure
https://it.wikipedia.org/wiki/Novi_Ligure
Nota come Curtis Nova, probabilmente costituita da una comunità rurale non riunita in un borgo, raccogliendo parte della popolazione della vicina città romana di Libarna, dopo l'abbandono di quest'ultima poco prima del disfacimento dell'Impero romano d'Occidente. Inizialmente parte della Marca Obertenga, fu donata prima del 970 da Ottone I al monastero di San Salvatore di Pavia e divenne castello a cavallo dell'anno Mille. Libero comune nei primi decenni del XII secolo, si mantenne in precario equilibrio tra le città di Tortona e Pavia, in lotta tra loro, e Genova, alleata dei pavesi. Entrata nell'orbita tortonese, restò soggetta a questa città anche dopo la pace di Costanza (1183).

https://it.wikipedia.org/wiki/Novi
https://it.wikipedia.org/wiki/Novi_di_Modena
https://it.wikipedia.org/wiki/Novi_Velia
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Re: Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi

Messaggioda Berto » lun mag 30, 2016 7:13 pm

Cfr. co:

Viłanova, Villanova, Villanove, Vilanove, Vilaneuve, Vilanouva
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Re: Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi

Messaggioda Berto » lun mag 30, 2016 7:14 pm

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novale, is, n.,
1 novale, terra dissodata di recente, PLIN.;
2 maggese, campo lasciato incolto per un anno, VERG.;
3 in gen., campo coltivato, VERG. e a.;
4 fig. messi, IUV. 14, 148
[cf. 1. novalis].


1. novalis, e, agg.,
che si lascia riposare per un anno, VARR.
[novus + -alis].

2. novalis, is, f.,
maggese, VERG. e a.
[cf. 1. novalis].

novellatio, onis, f.,
piantagione recente, AUG.
[novello + -tio].

novelletum, i, n.,
piantagione novella, Dig.
[novellus + -etum].

novello, as, are, 1 tr.,
1 piantare viti novelle, SUET.;
2 rinnovare, cambiare in onore di qualcuno, P. NOL.
[novellus + -o3].

novo, as, avi, atum, are, 1 tr.,
1 rinnovare, rifare: tecta novare, costruir nuove case, VERG.; agrum novare, arare di nuovo un campo, CIC.; nulla prole novare viros, non propagare con figli la stirpe dei consorti, OV. Fast. 1, 622;
2 fig. rianimare, ristorare, ricreare: animus risu novatur, l'animo si ricrea con una risata, CIC. Inv. 1, 25; fessa membra novare (ristorare), OV.;
3 innovare, cambiare: aliquid novare in legibus, far qualche innovazione nelle leggi, CIC.; novare pugnam equestrem, adottare una nuova tattica di combattimento per la cavalleria, LIV. 4, 33, 7;
4 fare una rivoluzione: novandi res occasionem quaerere, cercar l'occasione d'un rivolgimento, LIV. 5, 2, 2; novandi spes, la speranza di mutare la situazione politica, SALL.;
5 inventare: verba novare et facere, inventare e coniare parole nuove, CIC. de orat. 3, 149; ignotum hoc aliis ipse novavit opus, fu egli il primo a comporre quest'opera ignota ad altri, OV. Ars 3, 346
[novus + -o3].

novus, a, um, agg. con comp. (raro) e sup.,
1 nuovo, giovane: vinum novum, vino nuovo, CIC.; novi milites, le reclute, SALL. Iug. 87, 2; ver novum, principio della primavera, VERG. Buc. 10, 74; HOR.; nova aetas, giovinezza, OV.; novae res, rivoluzione, rivolgimento politico, CIC. e a. (ma: avvenimenti straordinari, CIC. Fam. 7, 18, 4); novum ducem quaerere, cercare mutamento di governo, VELL. 2, 125, 1; tabulae novae, nuovi registri dei conti (e quindi: annullamento dei debiti), CIC. e a.; beneficiorum novae tabulae, la cancellazione di benefici, SEN. Ben. 1, 4, 6; homo novus, uomo nuovo, proveniente da famiglia in cui nessuno prima di lui ha ricoperto cariche curuli (edilità, pretura, consolato), CIC. e a.; sost. n. novum, i, novità: aliquid novi, qualche cosa di nuovo, qualche novità, PL., CIC.; sost. m. pl. novi, orum, i moderni, QUINT. 8, 5, 12;
2 nuovo, novizio, inesperto: delictis hostium novus, non ancora offeso dalle colpe dei nemici, TAC. Agr. 16, 3; poet. con l'inf., nova iugum ferre cervix, collo non avvezzo a portare il giogo, SIL. 16, 331;
3 strano, singolare, straordinario: novum crimen, accusa senza precedenti, CIC. Verr. 3, 24;
4 nuovo, vario: ad causas easdem novi veniebamus, venivamo con argomenti sempre diversi a trattare cause identiche, CIC.;
5 nuovo, altro, secondo: nove Hannibal, o nuovo Annibale, CIC.; sup. novissimus, a, um, ultimo, CIC. e a.: qui novissimus convenit necatur, chi arriva per ultimo è ucciso, CAES. B. G. 5, 56, 2; novissimum agmen, retroguardia, CAES. e a.; novissima exempla, l'estremo supplizio, TAC.; novissima exspectare, attender la morte, TAC. Ann. 6, 50, 5; sost. m. pl. novissimi, orum, i soldati della retroguardia, CAES.
• Vd. anche Novae
[cf. gr. néos].

Noviodunum, i, n.,
Novioduno, città,
1 degli Edui, sulla Loira, forse l'odierna Nevers, CAES.;
2 dei Suessioni, presso l'odierna Soissons, CAES.;
3 dei Biturigi, CAES.
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Re: Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi

Messaggioda Berto » lun mag 30, 2016 7:16 pm

Da Origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume II

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5.1.2. Nomi del maggese

In senso molto lato, il «maggese» è la messa a riposo di un campo esausto.

In senso più tecnico, è il riposo di un terreno che può essere accompagnato o meno da lavorazioni atte a rivitalizzarlo, che però possono variare molto, sia nella sostanza che nelle modalità.

I raccoglitori dell'AIS per la carta 1417 «maggese» avevano posto la domanda in termini imprecisi, e quindi avevano ricevuto termini per quattro nozioni diverse:
1) un campo che si lascia incolto per uno o più anni (fr. friche).
2) Un campo che si lavora (ara o zappa o erpica), ma che poi si lascia riposare (fr. jachère); questo è, per esempio, il significato tecnico di maggese ancora vivo in Italia centrale e meridionale.
3) Un campo che si lascia «appratare», perché diventi pascolo, o produca fieno.
4) Un terreno che è sempre stato incolto, anche nel passato.

A parte quest'ultimo senso, che non ha nulla a che fare col «maggese», si deve aggiungere che già all'epoca del-le inchieste dell'AIS vi erano coltivatori in alta Italia che non erano più in grado di rispondere alla domanda, in quanto il campo «lasciato a riposo» non esisteva più nella loro cultura agricola, essendo sostituito da quello di «rotazione» di diversi prodotti.

Scheuermeier, nel suo magistrale lavoro sulla cultura agropastorale italiana [1943-1956], strettamente legato alle sue inchieste per 1'AIS, ci informa che il maggese all'antica, cioè basato sulla nozione di riposo accompagnato da alcune lavorazioni, era ancora praticato «nur noch wenig in Mittelitalien, etwas haüfiger in Süditalien» [ibidem, vol. I, 71-73], mentre la rotazione – nella quale egli comprendeva anche l'appratamento – era invece «fast überall in Italien üblich» [ibidem].

E chiaro quindi che i materiali dell'AIS devono essere trattati con cautela. Prima di affrontarli, dobbiamo poi domandarci: a quando risale la tecnica del maggese?

Se si prende in considerazione il maggese come riposo di un campo accompagnato da lavorazioni come l'aratura del terreno e l'eventuale fienagione, è chiaro che dobbiamo presupporre l'esistenza dell'aratro e della falce fienaia, che sono strumenti, rispettivamente, del Rame e del Ferro.

Secondo Forni [1990, 167, 190-191, 224, 282], il maggese rappresenta un notevole progresso nella cultura estensiva, in quanto non richiede più l'uso del debbio (con la bruciatura, il successivo rimboschimento, e un avvicendamento circa ventennale), e quindi diminuisce di molto il tempo di riposo improduttivo, che è prima di alcuni anni, e diventa poi biennale [ibidem, 224].

Forni inoltre mette in luce un altro aspetto importante del maggese: proprio perché esso implica la «rotazione» di campi lasciati a riposo e campi coltivati, sarebbe molto difficile attuarlo senza proprietà e gestione individuale degli appezzamenti.

Anche questo implica una datazione tarda, in quanto la proprietà privata della terra si generalizza solo nel Bronzo e nel Ferro.
Non è dunque impensabile, conclude Forni, che il maggese come «pacchetto» tecnico sia stato introdotto dai Micenei, sulla scorta di un'interessante ipotesi di Peruzzi che riguarda il termine latino vervactum «maggese» [ibidem, 190-191] (v. oltre).

Inutile dire che, anche se il maggese è molto più recente del debbio, esso ha tuttavia in comune con esso la finalità di rinnovare una terra esausta.
Per questo, vi sono termini del debbio che si sono tramandati come termini per il maggese.

Comincio dunque dal nome italiano del maggese, maggese stesso, che è anche uno dei nomi dialettali più diffusi, essendo attestato dalla Toscana settentrionale fino alla Sicilia.

Tecnicamente, designa il campo arato (o lavorato) ma non ancora destinato alla semina.

E una derivazione in -ensis di maius «maggio», dovuta, probabilmente, al fatto che in maggio aveva luogo la fienagione (del fieno detto appunto maggese).

Accettando questa spiegazione, avremmo una datazione del termine al Ferro, in quanto la fienagione si lega all'esistenza della falce fienaia, con lama in ferro [Forni 1990]. Che comunque la nozione del maggese così intesa si leghi alla primavera è confermato dal loguderese (Mores, Padria) beranile, vranili (Sorso), gallurese branili [DES s.v. veranu; ALEIC 845].
Veranu è infatti il nome della «primavera» sia in Sardo che in Corsica (e nella penisola iberica).
(Pensiamo alla dea alemannaVerena: vedasi “Il linguaggio della Dea di Maria Jimbutas p 110; la dea Verena).

Abbiamo poi molti nomi del maggese di origine italide, che dimostrano la grande diversificazione linguistica dell'Italia del II e I millennio a.C., e che raggruppo in base alla analogia della motivazione:

1) il tipo calabrese domitina, da voce corrispondente al latino domitus «acculturato, non selvaggio», che riflette la coscienza della scoperta del controllo sulla produttività della terra acquisito mediante la nuova tecnica;

2) il tipo meridionale annicchiaro e derivati, da connettere a annicularius, chiaramente recente perché legato alla nozione di un riposo annuale, e quindi a un avvicendamento biennale. È attestato anche in Sardegna settentrionale (annighina);

3) il tipo sardo vetustu «terra lavorata l'anno precedente» (l'Errata corrige dell'AIS corregge vetristu), e lombardo-veneto-nord-emiliano eder, veger, vegro, vegra ecc., tutte voci derivanti da voci corrispondenti al latino veterem, che si lega alla stessa equazione arcaica «un anno = vecchio», che appare in molti nomi di animali, come vitulus. Non è chiaro se il campo «vecchio» così inteso sia lavorato;

4) l'hapax nord-pugliese lavorìa (P. 705), la cui base labor- in origine significava «pena», e quello lucano fatica (P. 733). Sono i più espliciti riferimenti al riposo «lavorato» e, allo stesso tempo, al lavoro servile (che implica una datazione all'età del Ferro).

5) il tipo italiano letterario soda, campo sodo (e sodaglia, che però non è attestato nella carta dell'AIS), da voce corrispondente al latino solidus. Il suo areale va dal-l'Emilia all'Abruzzo e alla Campania.
E certo uno sviluppo autoctono in gran parte della regione, perché mostra ovunque gli stadi di sviluppo dal suo etimo corrispondente a solidus (voce da cui probabilmente deriva lo stesso latino solidus).
Al Sud infatti appare spesso nel tipo savid-, saud-, addirittura saur- e segur-; in Emilia appare anche nelle varianti saldo (cfr. it. saldo e saldare), e saudo, da cui poi si sviluppa poi il sodo toscano e centrale.
La variante campana sallone (P. 725) preserva invece il tipo sall-, che appare per esempio nel nome latino Sallustius.

Varietà di esiti che rinvia ad una grande differenziazione di fondo. Il campo «sodo» è, per definizione, non lavorato, in quanto «non dissodato»;

6) il tipo calabrese margiu, che il Rohlfs – non si capisce perché – considera arabo, mentre sarà un semplice derivato da voce corrispondente al latino margo-inis «terra di confine» (come spesso era il terreno lasciato a riposo);

7) il tipo siciliano nord-occidentale kuntsarru (assente nel DS), interessante sia per la sua nozione di base, da voce corrispondente al latino *comptiare «adornare, ordinare» (cfr. it. conciare, acconciare, concime ecc.), che ben riflette la natura dell'intervento sul terreno lasciato a riposo, sia per la presenza del suffisso -arru, tradizionalmente considerato pre-IE (Rohlfs), mentre si tratta di un'antica tendenza ad assimilare la -j- di
-ariu [Alinei 1965 e v. oltre]; vedasi toponimi come Arre nel padovano (?);

8) il tipo meridionale (pugliese e calabrese) (fare) abbendare «riposare», da voce corrispondente ad adventare;

9) il tipo prato (lasciare a prato e simili), da voce corrispondente a lat. pratum, frequente nell'area alpina;

10) il tipo ladino novale, da voci corrispondente al latino novalis (vedasi toponimi come Noale nel veneziano, Novoledo nel vicenino, Novaledo nel trentino);

11) il tipo ladino occidentale gir (giraun giranc ecc.), di etimologia controversa, collegato a *gerwo- o a vervactum [DRG s.v. gir(1), art. di Felix Giger]. A mio avviso, i due suffissi -anus e -an(i)cus farebbero pensare a ver-anus, ver-anicus; (vedere toponimi Verona, Verena e altri)

12) per vervactus v. oltre. Fra i prestiti troviamo: A) tipi greci come yertsu o chersu, da chérsos «secco, sterile, solido» (cfr. Chersoneso, e cherseía (Esichio) «terra incolta», chersóō «rendere incolto»; greco moderno chérsos «maggese»), che appare solo nell'estremo Sud, e a poca distanza dalla costa. È probabilmente legato alle antiche colonie greche, quindi, per la TC, contemporaneo dei tipi latino-italici.

Inoltre sterno, da sternios «sterile», anch'esso attestato nell'estremo sud.

B) Il tipo sloveno pustota, letteralmente «abbandonato, incolto», che è largamente attestato in Venezia Giulia, e penetra fino alla Val Pusteria (slovn. pust «prato alpino che non viene più mietuto» (cfr. cap. XVIII, e v. oltre).

Nel contesto della TC, è difficile spiegare la presenza di questo tecnicismo agricolo in Venezia Giulia e oltre, senza postulare stretti contatti fra Italia nord-orientale e Slavia meridionale nell'epoca in cui nasce la nozione. C) Il tipo celtico (gallico) *gerwo- [FEW], attestato in Francoprovenzale e in Occitano, in tutto il Piemonte, in Liguria e in Toscana settentrionale, oltre che in Sicilia, dove è assai diffuso.
Hubschmied l'ha connesso, tramite una variante *garwo-, ad antico irlandese garb «crudo», cornico garw «crudo», bretone garô, e all'altoitalico garbo «acerbo» e simili.

D) Il tipo germanico rappresentato dal franese friche, attestato nel Nord-Est della Francia. Nell'ambito della TC si lascia interpretare come il riflesso della prima neolítizzazione del bacino di Parigi da parte dei gruppi portatori della LBK, mentre la presenza di vervactum nel resto della Francia conferma il carattere «italide» della maggior parte della Francia, primario in Francia meridionale, o secondario nel Nord, per effetto della cultura di Chassey.



Da Origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume II
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Area Slava
OR 2 cap, V

6. Documenti linguistici della continuità

La presenza degli Slavi in un’area molto vicina a quella storica, fin dal Neolitico (e di conseguenza anche prima), si riflette da vicino nella storia di due famiglie lessicali.

6.1. Il significato preistorico della famiglia lessicale di germanico land, ceco lada, svedese linda, ungherese lengyel

L'etnonimo ungherese lengyel «polacco» (che dà il nome alla cultura neolitica antica omonima). è un prestito dal nome slavo della Polonia e del Polacco Ljach [Vasmer s.v.; EWU s.v. lengyel], forma abbreviata di *lęděninъ «Neuland-bewohner» (<colono di terra dissodata»).

È uno dei prestiti antichi, datato dagli specialisti ungheresi a prima del cosiddetto Honfoglalás (vedere capitolo IV) quindi alla preistoria ungherese.
Il termine è attestato anche in serbo-croato (antiquato) Leđanin «polacco», e (< ungherese) Lenđel «idem»,in greco bizantino Lenzanēnoi (plurale) in tataro di Crimea läh «polacco» [Vasmer s. v. ljach; cfr, EWU], nonché in arabo laudzaaneh «polacco».

Tutti questi lessemi risalgono al nome protoslavo del «maggese» lędo «Rodung, Neuland» (russo ljadá «mit jungem Holz bewachsenes Feld, Neubruch Rodeland», ucraino l’ado, bielorusso lado « Neuland», antico russo ljadina ecc. bulgaro léda ledìna «Aue, Bergwiese», serbo croato lèdina, ledìna «Neuland», sloveno ledìna, ecc. lada, lado «Brache», slovacco lode, polacco ląd «Land», antico sorbo lado «Brache» , basso sorbo lědo); a quello svedese per la stessa nozione (linda «Brachfeld» ) e al nome germanico per «terra, paese» (gotico tedesco inglese nederlandese islandese feringio norvegese svedese ecc. land [Vasmer s.v.; cfr. Stang 1971, 33; ANEW s.v. land].
Il Baltico, rappresentato da antico prussiano lindan (acc. s.) «valle», non partecipa quindi a questa isoglossa semantica.

Nella visione tradizionale, è semplicemente impossibile spiegare una costellazione di significati così diversi, e una simile convergenza di lingue, partendo dalla nozione di «maggese».

Nello scenario della TC, questa famiglia lessicale diventa invece illuminante, e per queste ragioni:

1) il passaggio da «maggese» e «nuovo paese dissodato» a «paese, terra» in assoluto, con lo sviluppo di «abitante di terre dissodate», e di un etnonimo come «polacco», si lasciano collocare nel quadro delle origini e della preistoria dell'agricoltura;

2) essi mostrano anche la diffusione di una tecnica fondamentale per le origini e lo sviluppo dell’agricoltura, quale la rotazione delle culture basate sul maggese, in due diverse aree etnolinguistiche: quella degli Slavi (i primi, con i Greci e gli altri popoli balcanici, che hanno sviluppato l’agricoltura) e quella dei Germani (che avrebbero appreso l’agricoltura dagli Slavi);
3) questa tecnica protoagricola è archeologicamente documentata proprio nelle culture della LBK e di Lengyel nell’Europa centrale, cioè esattamente nell’area che va dalla Germania all’Ungheria attraverso l’ex Cecoslovacchia e la Polonia meridionale;
4) la Polonia non potrebbe partecipare a questa isoglossa con il proprio etnonimo se non fosse stata di lingua slava nel momento di questa convergenza.

Per apprezzare meglio il valore di questa analisi, occorre poi ricordare la straordinaria stabilità della cultura della LBK (Ceramica Lineare; Linienbandkeramik) in Germania (la prima cultura neolitica dell’area germanica: v. capp. IX-X), e la grande importanza della tecnica del maggese per culture neolitiche dell’area.

La Tringham, per esempio, ha notato che se la cultura LBK non avesse utilizzato la tecnica del maggese con la rotazione dei campi per i suoi nuovi insediamenti, questi avrebbero certamente determinato la formazione di tell, esattamente come in area balcanica.

...

L’esempio emblematico è il sito di Bylany nella Boemia, una delle più importanti stazioni neolitiche d’Europa, con le sue 21 fasi di abitazione [Tringham 1971, 115].

Di fatto, l’esistenza di questa famiglia lessicale prova, a mio avviso, non solo la presenza slava nell’area, ma anche la coesistenza di Slavi occidentali (Polacchi, Cechi e Slovacchi) e Germani nell'area nevralgica carpatica, punto di incontro dell’Europa orientale con quella occidentale, nel periodo dello sviluppo delle culture di Lengyel, LBK e TRB (quest’ultima responsabile dell'introduzione dell’agricoltura in area scandinava), che come vedremo sono proprio quelle che la TC attribuisce, rispettivamente, agli Slavi occidentali e ai Germani.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Nove, Noałe, Novołedo, Novałedo, Noventa, Novalis, Novi

Messaggioda Berto » mar mag 31, 2016 7:30 am

http://www.castellomasegra.org/saggi/Bracchi2.pdf

L’esplorazione dell’ambiente

Uno dei paesaggi che, su entrambi gli spioventi del crinale, appaiono tratteggiati con maggiore ricchezza di dettagli è costituito dagli accumuli di materiali di sfaldamento delle rocce, da colate di ghiaioni, da conoidi formati da smottamenti inturgiditi dall’irruenza delle acque, da depositi di
sabbie ai margini dei torrenti. La definizione dei fenomeni geologici attraverso un lessico prelatino rende certa la loro individuazione a partire già da un tempo molto antico. Tra le concordanze più significative si possono ricordare qui: surselv. gràva “smottamento, petrisco accumulato dalla
frana” (NVS 453) / borm. topon. Dòs de la gràva in Valdisotto verso il monte Zandilla (Longa 304), gros. gràva “pendio erboso e in parte coperto da sfasciumi minuti sotto le rocce delle cime”, Cataeggio gravìna “materiale che si stacca dalla montagna e scende a valle durante i temporali”, dal
prelat. *grava “luogo ingombro da ghiaia, accumulo di petrisco”, probabilmente da una base indoeur. *ghrow- “sabbia, ghiaia, tritumi” (DEG 430; Pontiggia 87; REW 3851; DEI 3,1865); surselv. rieven “pendio, scarpata, ciglio di prato”, eng. röven (NVS 863) / gros. topon. Roasco rispettivamente dal prelat. *rovinu e *rova “scorrimento di terra, frana” (Bracchi, BSAV 6,26);

surselv. glietta “fanghiglia, melma” (NVS 444) / borm. léda “sabbia finissima che si depositano ai margini dei corsi d’acqua”, gros. léda “limo, sabbia finissima”, talam. lìdo “sabbia fine” (Bulanti 22), samol. lìta “melma, fango” e “minuscola alga che ricopre le pietre sommerse, rendendole molto scivolose”, dal (pre)celt. *lig(i)ta derivato da *liga “fango” da cui anche il fr. lie “feccia” e il nome della Loira, in lat. Liger (DEG 485; REW 5021 e 5029; DEI 3,2189, 2192 e 2253).
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