Adexe/Athesis, Dese, Desio, Desenzano, Adda, Texena e Texin

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Messaggioda Berto » mar mag 24, 2016 8:53 am

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TRA STORIA, RICORDI E LEGGENDE - L'Adige della mia memoria - Di Dino Coltro:

http://www.losservatore.org/index.php?o ... iew&gid=57

Il paesaggio della mia infanzia è quello dell'Adige, nel tratto dell'ampia ansa di Beccacivetta al Cazzè di Bonavigo, conosciuto come el bazin, la spiaggia «libera» del fiume, confiscata dai fascisti, che vi impiantarono la «colonia elioterapica».
Quando ci fu restituita, non avevamo più l'età per tornare a giocare con le acque in nuotate memorabili, bianchi della nostra nudità: la guerra ci aveva fatto crescere troppo in fretta.
Sono nato alla Strà, quattro case poco lontano dall'argine, che per noi era la strada piu comoda per andare a messa, a fare la spesa, a frequentare la scuola, quando non dovevamo stare in stalla o nei campi a lavorare.
Camminando su sentiero tagliato nel cotico dell'erba, il campanile di Roverchiaretta ci faceva cenno al di là del fiume, sopra le cime di un boschetto dove viveva la Bestia, una misteriosa creatura delle acque.
Se ne sentiva l'urlo nelle sere di piena, quando la corrente gonfia di rabbia e stretta nella curva sopra la Moggia, rombava contro la difesa dello zoccolo, fatto di pietre montane, della pealdare, la strada dei cavalli dei burci.

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Durante gli ultimi mesi della guerra era diventato pericoloso camminare sull'argine, perché la notte il fantomatico «PIPO americano», vi seminava farfalle e giocattoli esplosivi. Qualcuno ci ha rimesso una gamba o le dita della mano destra. E nei giorni precedenti il 25 aprile del 1945, i bombardamenti lo avevano arato come un campo, e il ponte abbattuto serpeggiava nella corrente come una enorme, mitica auguana.
Aveva resistito per più di un secolo alle piene del grande fiume e noi lo avevamo difeso per anni, con fitte sassaiole, contro i ragazzi di Roverchiaretta che si indispettivano chiamandolo ponte de Rociara, anziché ponte de Bonavigo come era scritto nelle carte topografiche.

Le piene dell Adige sono terribili, cattive. Su questo concordano la «memoria generazionale» della gente e i documenti uffficiali: «Nella chiesa parrocchiale di Zevio, un grande affresco illustra la «comunion de l'Adese» e la narrazione murale si carica ancora di un antico patos.
Era il 1882, un anno dopotutto non molto lontano, eppure il ricordo sembra venire dal buio dei tempi, commosso da una remota epicità di gesti e di figure, nella lotta dell'uomo contro le forze avverse della natura, nell'intervento divino, nel grande miracolo.

Gli zeviani e la gente dei paesi minacciati, avevano pregato la loro santa conterranea, S. Toscana, alta sulla colonna monumentale, eretta accanto alla piera del pesse; invano la santa protendeva la sua mano nel gesto di fermare le acque straripanti. L'argine cedeva, i fasci di legna e i sacchi di terra non riuuscivano più a contenere le infiltrazioni. Allora il parroco, spinto da una arcana ispirazione, mosse in processione solenne verso il fiume, lasciò cadere l'ostia consacrata, quella della esposizione dei vespri domenicali, nel turbinio schiumoso delle acque e, subito, la loro furia si placò e il livello cominciò a scendere, Zevio e tutta la pianura mediana furono salve.

«Terribile» era il fiume per le piene rovinose che con troppa frequenza lo caratterizzavano e che tanti danni e lutti recavano alle contrade attraversate.
«Formidabile» appariva l'Adige per la massa d'acqua che trasportava, e che consentiva la navigazione in discesa e in risalita, la messa in moto delle pale dei molini che ne punteggiavano il corso, l'uso delle ruote idrovore per irrigare i campi e gli orti, la derivazione di acque mediante canali e seriole a scopo di irrigazione.
Nel 1667 furono incaricati di sorvegliare il corso del fiume «da Verona sino alla sbocca tura in mare», i magistrati dell'Adige, «fiume reale che porge tanto comodo al traffico et essential beneficio allo stato».
Un secolo dopo saranno impegnati, con apposito aggiunto dei beni inculti, al retratto, la bonifica delle Valli veronesi.

Le secolari paludi delle Valli Grandi hanno origini non precise; forse dalla rotta del 589, passata alla storia come la «rotta della Cucca» o il «diluvio di fra Diacono», che «diversificò» il corso inferiore del fiume.
Successivamente, con giustificazioni ora civili ora militari, esse funzionarono da «bacino di scarico», alimentate da «diversivi» appositamente creati per scolmare le piene del fiume, «padre della Bassa».

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Quella dei «diversivi» fu una questione lungamente dibattuta e, ultimamente, criticata dal Maffei, dal Lorgna e dai molti studiosi di idrografia, poiché facilitavano la «pensilità» del percorso atesino di pianura, divenuto ormai «segno tipologico connotante» (L. Puppi), e accentuando in questo modo, la permanente perigliosità dovuta alle numerosissime «rotte».



PAOLO DIACONO
http://digilander.libero.it/dilucas2000 ... iacono.htm
http://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Diacono
http://it.wikipedia.org/wiki/Historia_Langobardorum
http://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chron ... _intr.html


Una di queste, la rovinosa rotta di Castagnaro del 1438, «in cui è ancor dubbio l"intervento umano, forse per ragioni militari, con una fuga d'acqua imponente apriva sulla destra dell'Adige una ramificazione che, inalveandosi, andava a intercettare il corso del Tartaro, portando a questo le acque bianche del fiume alpino, donde il nome di Canal Bianco ( ... ). La copiosità del nuovo diversivo, oltre a concorrere all'impoverimento del regio fiume ( .. .), venne a turbare anche più profondamente il regime del Tartaro, le cui acque, in caso di piena, rigurgitavano nel Castagnaro e rifluivano verso monte» (A. Sandrini).

Questa particolare morfologia delle acque ha, per la gente, un'origine divina, epica, e la leggenda ne custodisce gli avvenimenti. Si racconta che la vale no la iera vale, ma una stupenda città, di nome Carpanea, circondata da sette ordini di mura merlate e difesa da torri possenti. Attorno vi scorrevano sette fiumi, e le loro acque erano governate con sapienza dai sacerdoti del dio Appo, per mezzo di dighe e chiaviche di alta ingegneria.


Ma era la protezione del «dio delle acque» che teneva lontano le inondazioni e consentiva la vita sul territorio.
Per questo, il suo tempio era affollato di fedeli carichi di doni e di offerte. Il re ne fu geloso, tolse il «governo» ai' sacerdoti e fece trafugare il simulacro dal tempio, i sacerdoti aizzarono il popolo contro il re: la Città si divise in guelfi e ghibellini ante- litteram, che si scagliarono gli uni contro gli altri. La fazione «religiosa», per sopraffare i «reali», aprì le chiaviche e le acque tumultuose distrussero la città e la sommersero. Tutti gli abitanti perirono nel cataclisma e sono la, sotto il fango, che si lamentano e piangono. Nella notte di Pentecoste, se qualcuno si ferma sull'argine della Fossa Grande, sentirà salire dal centro della Valle, ormai asciutta, un grande pianto. È il lugubre lamento della gente di Carpaneo, sepolta nelle viscere della terra. Poco lontano, il paese di Carpi ricorda nel nome tronco, l'antica città.
Non si può disconoscere che l'idrografia è in stretto rapporto con gli insediamenti dell uomo: fiumi, argini strade e centri abitati. Negli ultimi 150 anni, il corso dell'Adige è stato continuamente sistemato e arginato ma le «impronte» del «lungo fiume tra i monti», sono visibili ovunque, dai prati di Resia, dove scorre ancora rigagnolo, fino alla foce di Porto Fossone a sud di Chioggia.

http://www.cerea.it/curiosita-cerea.cfm


La Leggenda del Bosco della Carpenea
http://www.tarmassia.it/Carpenea_360540.html


L'apertura dello scolmo dei Mori (che conduce le acque dell'Adige, in caso di piena, nel lago di Garda) sembra avere imbrigliata la secolare forza distruttrice del fiume. L'opera è costata il prosciugamento del lago di Loppio, con il degrado ecologico di una zona un tempo incantevole che aveva visto, nel 1439, l'impossibile passaggio delle galere veneziane, fatte risalire dalla Laguna, lungo l'Adige, attraverso il Loppio e il Passo di S. Giovanni, sopra Torbole, fino nel Garda, per combattere i milanesi.
http://it.wikipedia.org/wiki/Lago_di_Loppio
Dopo un disastro ambientale di 50 anni fa (fu prosciugato nel 1956 e mai più riempito in seguito allo sprofondamento delle falde freatiche, durante i lavori per la costruzione della galleria Adige-Garda) l'ambiente si è consolidato divenendo palude ed è frequentemente invaso da abbondanti quantità di acqua.

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La funzione della Val d'Adige quale via di collegamento tra i popoli è indiscutibile: i numerosi insediamenti, i castelli, le roccaforti; le città e i piccoli centri sono eloquenti testimonianze di una storia culturale ricca di tradizioni e di arte.
L'uso che dei corsi d'acqua fa la società industriale, a differenza di quella contadina e preindustriale, ha distrutto non poche di queste testimonianze e compromesso, qua e là, il paesaggio «naturale» del fiume e della valle, modificando, tra l'altro, il rapporto antico tra fiume e uomo. Un simbolo di questo «uso industriale» può essere il campanile della chiesa di Curori, emergente dal lago idroelettrico di Resia.

Città di antico impianto (Verona, Rovigo, Legnago, Lendiinara, Badia), spesso circondate da mura, sono sorte sulle rive dell'Adige o su canali di «derivazione» (Adigetto, Castagnaro, Canal Bianco), e hanno creato la loro unitarietà urbana con ponti che ne definiscono la fisionomia.

Altri centri si riconoscono esclusivamente per il rapporto che hanno con il fiume. Cavarzere, diviso in due parti, Loreo, Cavanella e molti altri paesi, sovrastati dalle enormi arginature. Molte volte, le piazze di questi centri sono più basse dell'alveo, e le loro fontane sgorgano da risorgive.
Gli argini imponenti, le strutture idriche di difesa, sono il risultato del duro lavoro del bracciantato, dopo l'unità statuale italiana, dell'epopea sociale degli «scariolanti».

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Non dobbiamo dimenticare che tra Po e Adige, maturarono i moti de «la boje», dapprima confusi e, via via, più precisi ed esaltanti. Per decenni, i governi cercarono di camuffare con la sistemazione degli argini, la risoluzione di una disoccupazione endemica. Ancora c'è chi ricorda el laoro dei argini: «Si doveva cavare la terra in basso e urtarla su, bisognava spingerla sulla pealdare, de lì altri carriolanti ancora in su, fino all'argine vero e proprio, era tutta una pontara, gli omeni dovevano arrampicare con le carriole, la testa buttata sulle slote che il naso le teneva ferme, in quel modo uno si faceva forza perché non era lavoro da bàtare la fiaca quello, non duravano pi de cinnque ore i carriolanti, non riuscivano a resistere de più a contratto come erano e la polenta che avevano nel sangue che il fiato, a una certa ora, non veniva su dalla pancia vuota, si prendeva un tanto al metro, tanti metri di terra scarriolata, tanti soldi, non ricordo che tipo de paroni erano in testa, in fondo la settimana mio padre, quando arrivavano in fondo la settimana, capitava anca di non farcela, gli davano cinque franchi, meno, in rispetto al suo lavoro fatto e misurato ... » (I leori del Socialismo).
La narrazione orale non ha soltanto la «memoria» della terra e del passaggio. La vita dell'uomo e quella della terra diventano, spesso, una sola cosa.


Scariolanti

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http://it.wikipedia.org/wiki/La_Boje

I materiali con cui sono, in molte zone, costruite le case, le stalle, le chiese, i capitelli; i muri divisori, le murete dei broli e dei campi, sono i sassi, i cugoli (anca cogoli, coguli, cuguli), il sareso trasportati dall'Adige e dai suoi rami d'acqua, girovaganti nella pianura .
Contrade e paesi sono chiamati Sule (cfr. latino insulae di cui Sule è voce corrispondente e parallela non derivante; isole), Isola, Riva, Rivalunga, e testimoniano il passaggio di «diversivi» o di corsi scaturiti dalle risorgive.
Toponimi come Sabbion, Sabbioni, Sabbionara ricordano dove l'acqua espandendosi trasportava e depositava la sabbia.
Le rotte dell'Adige, come quelle degli altri fiumi, hanno sconvolto, mutato, plasmato nel corso dei secoli il paesaggio naturale; hanno disseminato dossi, mote, cuche, rive lungo valli che, anticamente ne costituivano i rami secondari.
La mitologia popolare narra che le mote, le cuche sono sterili perché ié sta fate de note dal diavolo, costruite di notte dal diavolo come l'Arena di Verona. Nella notte del 24 giugno, vigilia di San Giovanni Battista, sui dossi si ripete la crescita magica de l'albaro del zileso, un albero misterioso che nessuno, finora, è riuscito a identificare.
Di certo, chi riesce a possederne un frutto godrà di poteri illimitati, el deventa mago, può fare di tutto, nel bene e nel male.



Forse l’albaro del zileso el gà a ke far co:
http://it.wikipedia.org/wiki/Angelus_Silesius
http://www.riflessioni.it/enciclopedia/silesio.htm
Angelus Silesius - vita e opere
Angelo Silesio, pseudonimo di Johann Scheffler (Breslavia 1624-1677), mistico e poeta tedesco. Addottoratosi a Padova in medicina e filosofia, nel 1653 si convertì dal luteranesimo al cattolicesimo. Ordinato sacerdote nel 1661, visse i suoi ultimi anni in convento.
L'opera di Silesio costituisce una vera e propria summa della tradizione mistica tedesca da Meister Eckhart a G. Taulero, J. Bohme, J. Ruysbroeck e D. Czepko, alla quale Silesio si ispirò anche per la forma della sua opera principale, Il pellegrino cherubico (1657). Oltre a vari scritti apologetici, raccolti nella Ecclesiologia (1677), egli scrisse La santa delizia dell'anima (1657) e Descrizione materiale delle quattro ultime cose (1675). I temi centrali della meditazione mistica - in particolare la dottrina del distacco da tutto ciò che è finito, l'annichilimento di sé, la preghiera come silenzio e l'unio mystica con l'essere divino - trovano nei versi di Silesio una sintesi straordinaria per vigore speculativo e intensità lirica.
Particolarmente audace è la tesi della compenetrazione tra umano e divino. L'uomo è in Dio, ma anche Dio è nell'uomo; se l'uomo si annulla, "Dio non può vivere neppure un attimo" (Il pellegrino cherubico, I, I, 8). Largamente diffusi, gli scritti di Silesio costituirono un punto di riferimento costante della cultura religiosa tedesca dal pietismo al romanticismo.
http://www.carpeoro.com/Angelo_Silesio.php
http://www.geagea.com/21indi/21_04.htm
...

Forse la gente, con questa narrazione, vuole esprimere quella segreta magia che l'Adige porta con se, e che si sente nascere nel cuore nelle sere tranquille d'estate.
E la magia della poesia, della natura, delle stelle immacolate.
Stasera l'è belo stare soli / in zima l'argine che se fonda / tra l'aqua ciara e scura / soto le pealdare e caminare / con l'onda che core. / Ne'l cielo sempre pi darente / gh'è na stela de carta velina / strapazà dal vento che se porta la / la frescura de sabia umida / de l'Adese in morbìa.
L'Adige per me è tutto questo, e mi si intristisce l'animo quando, ritornando poche volte dove da fanciullo ho giocato con il fiume, non ne sento più la voce.
E con la perdita della sua voce smarrisco la mia memoria di fanciullo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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