Marco

Re: Marco

Messaggioda Berto » dom gen 24, 2016 9:21 pm

... ad Aquileia san Marco compì il suo primo miracolo guarendo dalla lebbra Ataulfo, figlio di Ulfio, il capo della città

Nei 16 capitoli del suo vangelo, sono forti gli accenni a Cristo come figlio di Dio e per questo come simbolo dell’evangelista fu scelto il leone, dominatore degli animali. Secondo la tradizione, poi, ad Aquileia san Marco compì il suo primo miracolo guarendo dalla lebbra Ataulfo, figlio di Ulfio, il capo della città.
Marco tornò a Roma assieme ad Ermagora, perché Pietro desse al friulano da lui scelto, l’incarico ufficiale di responsabile dei cristiani di Aquileia.


http://venetostoria.com/2016/01/23/qui- ... -a-venezia

???
QUI I FATTI STORICI LEGATI ALLE SPOGLIE DI SAN MARCO PORTATE A VENEZIA
23 gennaio 2016 di Millo Bozzolan

Edoardo Rubini

Rispetto a quanto detto dai mass media, vanno sottolineati i fatti storici piuttosto che le pur belle leggende.

Di solito in materia di san Marco tutti ripetono due corbellerie:
1. i Veneziani, soliti ladri, hanno rubato le spoglie di san Marco;
2. il trafugamento è una leggenda.

Si tratta invece di fatti storici documentati, i Veneziani non hanno rubato nulla, hanno invece salvato le spoglie di san Marco dal pericolo di distruzione o dispersione seguito all’occupazione mussulmana di Alessandria.

Segnalo quanto scritto in un sito copto (sono meno ignoranti di noi cattolici):

http://robertobrumat.wordpress.com/tag/ ... -torcello/

L’Evangelista Marco come traduttore personale di Pietro che non parlava greco (allora lingua internazionale, paragonabile all’odierno inglese) si era occupato prima della comunità ebraica (che a Roma contava 45.000 persone), poi di quella romana.

Ascoltando il vecchio discepolo e traducendone i racconti iniziò a trascriverli sintetizzandoli. Così nacque il vangelo di San Marco. Per diffondere la parola di Gesù, nell’anno 48 Pietro inviò Marco ad Aquileia che, per importanza dopo Roma, era la seconda città della penisola. Lì il santo rimase due anni, ricevendo nuovi e vecchi fedeli a cui raccontava quanto appreso da san Pietro, standosene seduto su una cattedra che gli era stata regalata. Consentì poi che le sue scritture redatte in greco (il suo è il più breve dei quattro vangeli) venissero copiate per essere meglio pubblicizzate. Nei 16 capitoli del suo vangelo, sono forti gli accenni a Cristo come figlio di Dio e per questo come simbolo dell’evangelista fu scelto il leone, dominatore degli animali. Secondo la tradizione, poi, ad Aquileia san Marco compì il suo primo miracolo guarendo dalla lebbra Ataulfo, figlio di Ulfio, il capo della città.
Marco tornò a Roma assieme ad Ermagora, perché Pietro desse al friulano da lui scelto, l’incarico ufficiale di responsabile dei cristiani di Aquileia. Rientrando con una barca a vela (da Aquileia a Ravenna, per proseguire poi via terra), una bufera li costrinse ad attraccare su un isolotto della laguna veneziana, Rivo Alto (oggi Rialto) dove (secondo la leggenda) Marco ebbe la visione mistica che profetizzava la sua sepoltura in una magnifica nuova città, Venezia [l’angelo gli profetizzò: Pax tibi Marce, Evangelista mei, qui riposeranno le tue spoglie].
Da Roma Pietro lo inviò per far proseliti ad Alessandria, metropoli cosmopolita di un milione di abitanti, dominata dal faro alto 120 metri e dal tempio del dio Serapide. Dopo essersi fermato nella sua Cirenaica [Libia orientale] per un periodo di apostolato, Marco raggiunse Alessandria aiutando la prima comunità cristiana d’Egitto e compiendo miracoli.
Lì però i suoi avversari lo fecero arrestare mentre celebrava la messa di Pasqua e non sopravvisse al secondo giorno di detenzione, morendo il 25 aprile del 68. Il corpo gettato nelle fiamme, secondo la leggenda venne graziato da una violenta bufera, così che le sue spoglie poterono essere messe in salvo nella stessa località di Boucoli, dove Marco amava rifugiarsi nella prima chiesa costruita. Il santuario lì eretto nel 310, risparmiato dall’attacco dei persiani del 620, fu invece bruciato durante l’invasione araba del 644, ma le reliquie vennero salvate e tornarono nel ricostruito santuario di Alessandria.

Nell’828 un gruppo di mercanti veneziani vi giunse appositamente per sottrarle e portarle nella nascente Venezia che aveva bisogno di un santo protettore da venerare. Del gruppo facevano parte Buono (dell’isola di Malamocco o Metamauco) e Andrea detto Rustico (di Torcello). Buono era stato nominato tribuno per essersi distinto nella battaglia navale contro il re d’Italia franco Pipino il Breve, che aveva tentato nell’810 di entrare in laguna; Rustico era un ex carpentiere divenuto poi commerciante. 8facade6Per il loro coraggio, testimoniato dal tribuno Angelo


La xe purpio na łexenda endo ca xe xmisià de tuto:
Marco lè del I secoło d.C., Ataulfo lè on nome xerman goto del V secoło d.C.; forse el miracoło lè sta fato da morto pì ke da vivo, parké entel I secoło no ghe jera xermani a cao de Akileja:
https://it.wikipedia.org/wiki/Ataulfo
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Re: Marco

Messaggioda Berto » mer apr 13, 2016 11:51 am

El 25 del avril a vago en montagna, vago sora el me Monte Soman, el monte sagro dei veneti, altro ke en piàsa San Marco a festajar sto santo venesian e łe so spoje fetiçiste e eidołatre. Valtri venesiani e venesianisti tegnive el vostro San Marco ke mi a me tegno el me Monte Soman; semo pì en coste a D-o sol Monte Soman ke en Piàsa o drento ła baxełega de San Marco.


Suman (Monte Suman) - el monte sagro dei veneti – monte coxmego
viewtopic.php?f=24&t=125


https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 6326136541

Mi a so veneto vixentin e no so venesian, dapò a so aidoło. San Marco lè el santo parón dei venesiani e de ła Repiovega Veneta a domegno venesian ke no ła ghè pì e łè anca el segno dei venesianisti ke łi vuria el torno de ła Serenisima, ke par mi no ga gnaon senso. San Marco lè el seinboło del mito de Venesia col so enpero e par mi el mito de Venesia co łi so domegni łè n'entrigo par ła łebertà dei veneti e del Veneto. Lè n'evaxamento dei çarvełi ca enpedise de raxonar e dadrio a ghè on mucio de połedeganti, coulturanti, fanfaroni, antidemograteghi e fiłoromani.
Cara Silvia ti va pur a Venesia, mi a ghe so ndà par tanti ani, ma deso a vago sol me Monte Soman. Mi a vago endoe ca me sento mejo e pì a caxa mia.


Mi, da sora el Monte Suman a vardarò tuta ła nostra tera veneta fina al mar, ła vardarò co l'amor ke ga sti ebrei ixraełiani par el so Ixrael e gavarò i oci e l cor encrià e sfrantà da ła tristesa:

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... o-tera.jpg


I leghisti e łi amighi venetisti venesianisti col tricołor, co łi alpini, co łi partexani, co San Marco e contro łi endependentisti e ła lebartà dei veneti.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ntisti.jpg


???

ROBERTO CIAMBETTI

Secondo alcuni studiosi la radice etimologica del termine festa ci riconduce dal sanscrito al greco antico attraverso i concetti di dimora, focolare della casa, accoglienza, ospitalità: in questa lettura, la festa è un momento intimo, profondamente privato, legato appunto al focolare domestico e, non a caso, ci rimanda anche alla tavola, al cibo, come ben vediamo nella definizione che figura per prima in inglese del termine feast. La nostra idea di Natale, ad esempio, è fortemente connessa con questa lettura di straordinaria intensità e condivisione con amici e affetti, compresi, e non ultimi gli ospiti.

Diverso è il concetto di celebrazione, dove prevale la dimensione pubblica, il rito, la solennità.
La distinzione tra festa e celebrazione non è cosa da poco: noi non festeggiamo l’Unità d’Italia, casomai celebriamo un evento, un evento per taluni fausto, per altri no, liberi alcuni di gioire, liberi altri di pensarla diversamente: tutti dovremmo riflettere sull’opportunità di spendere oggi soldi pubblici per una celebrazione sulla quale esiste un fondato sospetto di un uso propagandistico e in chiara visione polemica, che nega e tace la crisi, su scala internazionale, del concetto di stato-nazione inadeguato a reggere le sfide della modernità.
È anche giusto notare che per il Veneto non è esattamente corretto parlare di unificazione al regno Sabaudo: il Veneto fu annesso il che è cosa ben diversa.

Nel 1861 la nostra terra era al centro di quella che le diplomazie europee chiamavano Questione Veneta, risoltasi, con la mediazione di Napoleone III, solo al termine della guerra Austro-Prussiana del 1866 quando, un paio di giorni prima del referendum burla del 21 e 22 ottobre, il generale Le Boeuf, plenipotenziario francese consegnò in una stanza dell’Hotel Regina qui a Venezia le terre dell’ex Repubblica ai Savoia. Il Trentino, il Friuli, la Venezia Giulia e il Tirolo meridionale passarono sotto l’amministrazione sabauda solo dopo il 1918: l’Istria, geograficamente italiana, culturalmente in parte veneta in parte austriaca, il Quarnero, sicuramente veneto, e la Dalmazia, in buona parte veneta sino al Montenegro, non festeggiano il 1861 e casomai molti esuli ricordano come il governo italiano li abbandonò al loro destino. Nessuno si scandalizza, e a ragione, se i Tirolesi non sentono molto come propria la celebrazione del 1861: tutti riconosciamo al Tirolo meridionale uno status particolare, la sua identità di terra e popolo che, per cultura, storia e lingua non possono di certo essere definiti italiani.

Anche il Veneto ha qualcosa in più e di diverso rispetto allo stato italiano di cui si vorrebbe anche qui commemorare il 150° anniversario: il Veneto ha una storia; il Veneto ha una storia che né l’Italia, né i Savoia avevano, anche se proprio nella nostra terra è stata scritta la storia d’Italia, non quella di una famiglia sovrana d’indole codarda e vigliacca e della loro cerchia dai Persano ai Badoglio, ma quella di tanta gente umile e semplice, magari costretta, all’indomani dell’occupazione sabauda, a emigrare all’estero perché sotto il nuovo stato unitario in queste contrade e non altrove si moriva di fame e povertà.

Potremmo parlare anche di un’altra Italia, quella che morì nelle trincee della Prima Guerra Mondiale , che sconvolse il Veneto, unica regione a conoscere e soffrire l’evento bellico nella sua intera durata dal maggio del 1915 al 3 novembre de1918 o del Veneto uscito dalla Seconda Guerra Mondiale con il più alto numero di morti tra civili e danni al territorio: un conto è riflettere su queste vicende, un altro, invece, è celebrare Case regnanti, generali o ammiragli cialtroni, élite economiche che non hanno mai fatto l’interesse dell’Italia e dei popoli che abitano questa terra, ma che hanno usato e vogliono usare questa scusa dietro la quale celare i loro personalissimi affari.

Nel 1996 Sergio Romano, già ambasciatore Italiano a Mosca, spiegava dalle colonne del Corriere della Sera che “Esiste una nomenklatura politica, amministrativa, economica, sindacale, per cui l’Italia deve restare ‘una e indivisibile’. Per coloro che ne fanno parte non è soltanto una patria: è anche un grande collegio elettorale, un serbatoio di voti, un datore di lavoro, la ragione sociale del loro mestiere”. Ebbene, a celebrare i 150 anni di questa Italia, lasciamo sinceramente che siano costoro e non noi. Come al solito questi altri vorrebbero festeggiare con i soldi nostri, perché non dimentichiamo che l’Italia si regge con i soldi essenzialmente di quattro regioni Regioni, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte. Dobbiamo pagare anche questo conto per celebrazioni, perché altri festeggino non si sa bene cosa, quando i soldi son sempre più meno?
Una nazione non esiste perché se ne celebra una ipotetica data di nascita; esiste perché la si sente propria, perché si sente di condividerne cultura, tradizioni, lingua e storia. Un conto, dunque, è celebrare lo stato, cioè una struttura; un conto è festeggiare una nazione, cioè un sentimento. Ammetto che altri provino questo sentimento e vogliano sinceramente e intimamente festeggiare: chiedo che mi venga riconosciuto il diritto di non celebrare la nascita di uno stato che ci imposto la sua lingua, in stretta cadenza sintassi e grammatica romanesca, trattandoci da colonia. Io non ho nulla da celebrare e non intendo spendere soldi per feste che tali non sono.

???
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... sinico.jpg
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Re: Marco

Messaggioda Berto » dom apr 24, 2016 4:59 pm

Il 25 aprile, giorno del martirio di San Marco, patrono della città.

https://www.facebook.com/veniceandhishi ... 0419178526

Sotto il doge Angelo Partecipazio avviene la famosa traslazione del corpo per mezzo di due mercanti, Rustico da Torcello e Buono da Malamocco.
Questi riuscirono nell'impresa di acquistare la salma, e nasconderla alle guardie del porto di Alessandria: all'interno di una cesta di vimini, al di sotto di carne di maiale, che i mussulmani non possono nè toccare nè mangiare.
Portato il corpo a Venezia, dopo pochi anni iniziarono i lavori per la costruzione della Basilica, che ancor oggi lo custodisce.

L'acquisizione della salma da parte della città deve essere ben contestualizzata. È una storia complicata ma affascinante.
Nel VII-VIII secolo, nel nord-est italiano, i vescovi di Aquileia e di Grado hanno continuato a rivendicare per sé un titolo di grande rilievo per la Chiesa Cattolica: la carica di Patriarca del Veneto e dell'Istria (propriamente della "Venetia et Histria").
Sono sottintesi i benefici che si potevano ottenere con tale riconoscimento: maggior influenza politica nelle città, aumento dei beni di ciascuna diocesi, ecc.

Il punto fondamentale della questione fu che nel frattempo, e in maniera del tutto non ufficiale, le varie diocesi delle città vicine riconobbero la supremazia di un vescovo rispetto all'atro. In questo modo si costituirono due schieramenti: alcune città sostenevano il vescovo di Aquileia, altre quello di Grado.
Città che peraltro facevano parte di stati diversi (il Sacro Romano Impero e l'Iimpero Bizantino): il conflitto assunse così toni politici.

La diocesi di Venezia si riconobbe solo ed esclusivamente nel vescovo di Grado. La città di Grado, come la Serenissima, faceva parte ancora dell'Impero Bizantino. Al contrario Aquileia e i suoi vescovi hanno fatto parte prima del Regno Franco e poi del Sacro Romano Impero.

Per avere un maggior controllo della situazione la Serenissima non solo riuscì a trasferire la sede del vescovo da Grado a Venezia, ma ne influenò anche la nomina. Sicchè i vescovi furono tutti filo-veneziani

Ma cosa centra tutto questo con San Marco?
Centra perchè ribaltò drasticamente una situazione paradossale che si era venuta a creare: il Papa riconobbe al vescovo di Grado (filo-veneziano) ufficialmente la carica di patriarca, mentre l'imperatore Lotario la riconobbe al vescovo di Aquileia.
Ciò che accadde il 31 gennaio 828, però, cambiò totalmente le carte in tavola. Giunse a Venezia il corpo di San Marco: non un santo qualsiasi, un Evangelista (!) tradizionalmente considerato primo diffusore del Cristianesimo nell'Italia nord-orientale.
Tale evento risollevò il prestigio della chiesa Gradense, ed ovviamente l'importanza della diocesi e della città di Venezia.

Di questa storia parleremo ancora nei futuri post, ma la spiegheremo meglio, aiutandoci con delle comode immagini.
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Re: Marco

Messaggioda Berto » dom apr 24, 2016 5:08 pm

???

http://it.wikipedia.org/wiki/Marco_(nome)

Continua il praenomen romano Marcus, generalmente considerato di struttura teoforica (anche come forma sincopata di Marticus) e riferito al dio romano della guerra Marte (quindi "di Marte", "dedicato a Marte")tale origine è condivisa anche dai nomi Martino e Marziale. Marcus è attestato anche dal medievale Isidoro di Siviglia con il significato di "martello di legno" in latino, tuttavia l'origine corretta è quasi certamente la prima citata.

Va notato che un nome Mark esiste anche nell'onomastica germanica, basato sull'elemento marah ("confine", presente anche in Marcolfo), che è completamente non correlato al nome latino.

Ai tempi dell'Impero romano era così diffuso da acquisire una forma greca, Μάρκος (Markos), che è quella portata dall'evangelista Marco. Proprio grazie a tale figura il nome ebbe ampissima diffusione nel Medioevo, specialmente a Venezia (di cui san Marco è patrono e dove, secondo la tradizione, sarebbero le sue spoglie). In inglese è maggiormente diffuso nella forma Mark, che è derivata direttamente da quella greca; negli Stati Uniti, è stata tra i dieci nomi più usati fra il 1955 e il 1970. In misura minore è affiancata anche dal classico latino Marcus.

Da Marco sono derivati i nomi Marcello (un diminutivo tipicamente latino) e Marzio (un patronimico); non va confuso col nome Malco, di origine del tutto differente.

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... ZQVUU/edit



Vien natural dimandarse se ƚa fameja ebraega de l’evanxeƚista ebraego “Marco” ƚa ghe gapie dà on nome pagan (grego-roman) kel se rifava al mexe de marso e a al dio Marte o se ‘l nome ebraego “Marco” el gapie tuto n’altro senso e n’altra orexene (vardarse l’etimoƚoja de Semeran) e ke dapò, ente ƚi ani roman-cristiani ƚa se ga xmisia co ‘l nome latin-roman Marco.


Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... s-nome.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... aritus.jpg


Da le 27 etimol/oje global/i de Merritt Ruhlen
http://en.wikipedia.org/wiki/Merritt_Ruhlen

MAKO
da:
http://www.merrittruhlen.com/files/Global.pdf
pajna 307

12 MAKO ‘child’

?Niger-Congo:
Bantu: Ngoala maÑku ‘child,’
Yaunde moÑgo,
Pande maÑga,
Mbudikum-Bamum muÑke.
[HJ II: 271]

Indo-European:
Proto-Indo-European *maghos ‘young,’ *maghu ‘child, boy’; Iranian: Avestan maγava ‘unmarried’;
Celtic: Old Irish macc ‘son’;
Germanic: Gothic magus ‘boy,’
Old English magu ‘child, son, man,’
Swedish m˚ag ‘son-in-law’;
Baltic: Latvian maˇc (gen. ma´ga) ‘small.’
[IE 696, AB 371]

Dravidian:
Tamil maka ‘child, young of an animal, son or daughter,’
Malayalam makan ‘son,’ makkal. ‘children (esp. sons),’
Kota mog ‘child,’
Toda mox ‘child, son, male, daughter,’
Kannada maga ‘son, male person,’makan ‘son,’ magu ‘infant, child of either sex,’
Kodagu makka ‘children,’
Tulu mage ‘son,’ magal.u ‘daughter,’
Telugu maga ‘male,’
Konda moga kor. o ‘boy child,’ g¯alu ‘daughter’ (< *mg¯alu), Pengo g¯ar. ‘daughter,’
Kuwi maka (vocative used to daughters and sisters in affection), Malto maqe ‘boy,’ maqi ‘girl,’ maqo ‘small, little, young,’ maqu ‘young of an animal.’
[D 4616, AB 371]

Caucasian:
Proto-Caucasian *mik’wV ‘small, young one,’
Proto-Avar-Andi *mok’i ∼ *mik’i ‘small, child,’
Proto-Dido *mik’V ‘small, little,’
Proto-Lezghian *mik’wV ‘young.’
[C 151]

Sino-Tibetan:
Tibeto-Burman: Proto-Tibeto-Burman *m¯ak ‘son-in-law,’
Miri mak(-bo),’ Burmese (sa-)mak, Lushei m¯ak(-pa).
[ST 324]

Indo-Pacific:
Southwest New Guinea: Jaqai mak ‘child,’ Aghu amoko,
Madinava imega(-kaivagu).
[SWNG 12]

Amerind:
Almosan-Keresiouan:
Natick mukketchouks ‘boy,’
Beothuk magaraguis ‘son,’
Santa Ana -ma’kë ‘my daughter,’
Acoma magë ‘girl,’
Hidatsamakadiˇstamia;

Penutian:
Cayuse m’oks ‘baby,’
Modoc mukak,
Gashowu mokheta ‘girl,’
Santa Cruz mux-aˇs,
Zuni maki ‘young woman,’
Yuki muh ‘young,’
Mixe mahntk ‘son,’ ?miˇs ‘girl, boy’;

Hokan:
Achomawi mik-tsan ‘child’ (-tsan = dim.), Y
ana ÷imx ‘young,’
Washo m`ehu ‘boy,’
Chumash (Santa Barbara) miˇcamo ‘boy,’ amiˇcanek ‘girl,’ Chumash (Santa Ynez) makˇcai ‘daughter,’ mak-isi-huanok ‘girl,’ Cocopa xmik ‘boy,’
Walapai mik,
Maricopa maxay,
Yuman maˇsa-xay ‘girl,’
Tequistlatec (¬a-)mihkano
‘boy’;

Central Amerind:
Tewa mog`e ‘young,’ ?Otomi metsi ‘boy’;

Chibchan-Paezan:
Cuna maˇci(-gua), Ulua muix-bine ‘child,’
Chimila muka ‘son-in-law,’ muka-yunkvir ‘daughter,’
Shiriana moko ‘girl,’
Nonama mukua ‘daughter,’ muˇcaira ‘son’;

Andean:
Yahgan maku ‘son,’ makou-esa ‘daughter-in-law,’ Yamana m¯aku-n ‘son’;

Macro-Tucanoan:
Yeba m˜ak˜e˜e ‘child,’ yimaki ‘son,’
Waikina maxk˜e ‘child,’ mehino ‘boy,’
Dyurumawa (ma-)maki ‘(small) child,’
Coto ma-make ‘boy,’
Tucano muktuia ‘boy, girl,’ vimago ‘girl,’ dyemaxk˜ı ‘child,’
Curetu si-mag¨o ‘daughter,’ si-mugi ‘son,’
Waiana yemakë ‘daughter,’
¨Om¨oa yemaxke ‘son,’
Ticuna m¯akan ‘child,’
Desana mague ‘son,’ Auake makuam˜e, Waikina make;

Equatorial:
Mehinacu yamakui ‘boy,’
Paumari makinaua ‘boy,
young,’ -makhini‘grandson,’
Marawan makibmani ‘boy,’
Uru maˇci ‘daughter,’
Caranga maˇc ‘son,’
Oyampi kuny˜a-muku- ‘girl,’
Maue makubdia,
Tambe kusamuku ‘young woman’;

Macro-Carib:
Yabarana m¯uku ‘boy,’
Galibi magon ‘young of animals,’
Cumanagote miku ‘child,’
Pavishana mu’gi ‘daughter,’
Taulipang muku ‘son,’
Accawai mogo;

Macro-Panoan:
Tiatinagua mahi;
Macro-Ge: Apinage m¨aaukride ‘girl,’
Ramkokamekran m¨aggepru,
Coroado meke-ˇsambe ‘son.’
[AM 62, AMN]
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Re: Marco

Messaggioda Berto » mar apr 26, 2016 8:13 am

No tuti łi domegni venesiani łi jera tera veneta
viewtopic.php?f=137&t=2184

Sta kì no lè ła Pàrea Veneta
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 1910766097

No se confonda l'enpero venesian o i domegni venesiani de mar con ła tera o pàrea veneta;
sto enpero venesian nol ghè pì e gnaona rivendicasion łi pol far i venesiani e i veneti so ste tere ke non łe xe pì domegni venesiani o de ła Repiovega Venesiana termenà 219 endrio.

Dapò non se fàsa pasar sto enpero par l'enpero de San Marco, ke saria na bastiema, parké San Marco nol gheva enperi o domegni; tanto manco se fàsa pasar sti teritori par domegni de Cristo Re parké Cristo nol ga regni so sta tera e saria na bastiema lomè el pensarlo.

Le tere, tute łe tere del mondo, łe xe de łi omani, dei popołi, de łe comounedà ca ghe stà o vive o abita.
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Re: Marco

Messaggioda Berto » mer apr 27, 2016 9:00 am

MOLTO RUMORE PER NULLA? NON IL CASO DELL’INDIPENDENTISMO VENETO
wsm-venezia-2016
di ENZO TRENTIN

Molto rumore, molte parole per non dire, per non approdare a nulla. Tutte le complicazioni, il baccano, le confusioni e gli equivoci sono dovuti ad un eccesso di attenzione, al gusto della notazione sia verbale che visiva. Come per altre vicende politiche qui analizzeremo questioni parallele. La vicenda principale, quella dell’indipendenza del Veneto, che passa in parte in secondo piano davanti all’effervescenza e all’esuberanza delle iniziative dei cosiddetti marcheschi o marciani, e la disamina di alcuni atteggiamenti partitocratici per avere il pretesto di evidenziare una necessità inderogabile, poiché è veramente penoso constatare il vile comportamento di coloro che, vivendo di onorificenze ed erogazioni pubbliche, calpestano gli ordinamenti democratici e sprofondano in un mutismo connivente solo perché ne sono autori gli amici di cordata.

Come nella maggior parte delle commedie shakesperiane il grande pubblico è ingannato da quel che sente e vede. Il cosiddetto popolo sovrano mentre aspira a vivere in un territorio ben amministrato, è a turno ingannato da politicanti d’ogni risma, da nazionalismi fuori tempo, da poteri esterni e sovranazionali, da una dizinformacja scientificamente orchestrata, tanto che quel che ode dei discorsi del cosiddetto potere costituito altro non è che subornazione, disorientamento. L’uomo qualunque è ingannato da quel che vede e sente mentre segue i principali mass-media, tutti fiancheggiatori del potere costituito, mancando così alla loro primaria funzione di “cane da guardia del potere” contro le devianze dei cosiddetti rappresentanti.

Anche quando il cittadino comune scopre il “gioco del potere” esso non può farsi equilibratore delle aberrazioni del dominante, così com’è naturale in una democrazia matura, perché non ha strumenti per l’esercizio della democrazia diretta, e quando questi esistono sono edulcorati, per cui diverse persone si scoprono ben disposte verso questa neo-dittatura come in una sorta di Sindrome di Stoccolma.

Prendiamo ora in considerazione la positiva effervescenza di innumerevoli attività dell’indipendentismo veneto. Le più evidenti riguardano la visibilità e la propaganda. Ecco allora, senza un preciso ordine d’importanza, e senza avere la pretesa d’essere esaustivi: le conferenze che spaziano dalla storia agli ordinamenti giuridico-amministrativi della Serenissima Repubblica di San Marco, l’editoria che si occupa della diffusione di ciò che era realmente la storia e l’ordine sociale nella millenaria Res Publica Marciana, la festa di San Marco a Venezia, la sbandierada veneta, la karovanada veneta, la marcia da San Marco a San Marco, la Festa dei Veneti a Cittadella (PD), i corsi di lingua veneta, l’associazionismo della più di varia natura, le rievocazioni storiche come le Pasque Veronesi ed altre affini, i gruppi storico-rievocativi come il settecentesco 1° Reggimento Veneto Real, o il 16° Reggimento Treviso 1797 Serenissima Repubblica di San Marco, o la Milizia Veneta ed altri ancora, la produzione di bandiere marciane, di gadget e numismatica, l’intenzione di creare un marchio per valorizzare il “Made in Venethia”.

Sopra tutto ciò è necessario essere pronti a qualsiasi inconveniente della vita, ma questo non ci deve cogliere di sorpresa, bisogna affrontarlo a viso aperto, con coraggio, senza farci travolgere dagli eventi e dalle emozioni. Anche nel positivo contesto sopra descritto abbiamo delle perfette canaglie che pur autodefinendosi indipendentisti fanno i delatori della Digos, altre persone che vivono per far del male al prossimo e godono di ciò. Non mancano poi gli psicopatici, e per riconoscerli e difendersi da essi suggeriamo di verificarne i sintomi qui. Tutto l’attivismo sopra accennato, ed altro ancora che per brevità non descriviamo, non si tradurrà in “molto rumore per nulla”, se gli indipendentisti veneti convergeranno su un progetto istituzionale innovativo che noi suggeriamo neo-federale. Dove i Comuni si dotano di Statuti rivendicanti la loro sovranità, e dove alcune competenze residue sono affidate alla federazione, mentre in capo a tutto rimane l’esercizio della sovranità popolare.

Venendo ora al 25 aprile, si sono tre ricorrenze che si commemorano in questo giorno.

Una è la data in cui si ricorda il genocidio degli Armeni ad opera dell’Impero Ottomano nel 1915. Venezia, al contrario, da secoli ospita una comunità armena, avendovi addirittura destinata un’isola della laguna: San Lazzaro degli Armeni. I Turchi, responsabili del genocidio non vogliono sentirne parlare. E ciò malgrado gli Armeni siano stati quasi sterminati, e costretti raminghi per il mondo. In questo giorno i mass-media mainstream hanno posto poco o nessun risalto alla questione.

La seconda ricorrenza è la vittoria della Resistenza all’oppressione nazi-fascista. Romano Bracalini, giornalista e storico, in proposito ha recentemente scritto: «L’Italia divisa tra Nord e Sud, tra produttori e parassiti, tra modernità e feudalesimo, tra vincitori e vinti cercò alla fine della guerra un simbolo unitario che la rappresentasse tutta. Ma quella data, che avrebbe dovuto simboleggiare il ritorno alla libertà e la sconfitta dell’oppressione, resta una festa di parte, una festa che stenta a diventare patrimonio comune. […] Di conseguenza il 25 aprile, per non dimenticare, ed evitare schiamazzi e polemiche, che comunque non mancheranno, l’Italia dovrebbe rendere omaggio ai soldati americani morti per la nostra libertà. Sarebbe un 25 aprile più credibile, più coerente con la realtà, privato del significato politico e di parte che da 71 anni gli è stato appiccicato.»

E qui veniamo a Oliviero Cassarà, che se non siamo male informati è un portiere d’albergo a Venezia; ma oggi si deve definire: Receptionist. Costui, in qualità di portavoce del Comitato Bandiera Italiana 17 Marzo (nato quando Bossi, in Riva degli Schiavoni, invitò Lucia Massarotto a «buttare nel cesso» la bandiera italiana che esponeva dalla finestra di casa sua) ha inviato una lettera alla Digos e a vari mezzi d’informazione [vedi qui] con le foto dei profili facebook dei promotori dell’iniziativa degli indipendentisti veneti di festeggiare la millenaria festa del patrono San Marco, sventolando l’omonimo gonfalone. «La festa di San Marco è di tutti», ha aggiunto poi Monica Sambo, Consigliere comunale Pd, «e non può diventare la festa degli indipendentisti. L’amministrazione dovrebbe esprimersi e prendere le distanze da coloro che, nel giorno della Liberazione che ricorda il sacrificio dei partigiani per l’Italia, si esprimono contro l’Italia e per l’indipendenza».

Ebbene qui ci troviamo di fronte a due singolari rappresentanti di un certo pensiero politico che rivendica l’eroismo dei partigiani nell’aver liberato – con le armi in pugno – l’Italia dall’oppressione nazi-fascista, e di aver instaurato la democrazia. Tuttavia queste singolari figure democratiche, che rappresentano un più vasto schieramento politico, negano agli indipendentisti veneti di lottare pacificamente per liberarsi da un regime partitocratico pseudo democratico, che ha indotto centinaia di imprenditori veneti al suicidio, perché rincorsi da un fisco persecutorio. Oliviero Cassarà (nome che non sembra originario delle valli dolomitiche) si distingue poi nell’esercizio della “sua” democrazia, invitando il Prefetto a coinvolgerlo in occasione della festa di San Marco del 2017, con il chiaro intendo di condizionarne lo svolgimento. Tsz!

E veniamo ai festeggiamenti della ricorrenza di San Marco da parte degli indipendentisti:

Cinque anni fa a ritrovarsi nell’omonima piazza veneziana erano 60/70 persone, prontamente affrontate dalle forze di polizia che hanno preteso l’esibizione dei documenti per identificarli uno ad uno.
L’anno successivo si presentarono in piazza alcune centinaia di indipendentisti che, sempre sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine, sventolavano festanti il gonfalone di San Marco.
L’anno dopo gli sbandieranti il gonfalone erano alcune migliaia, costretti dalle norme di pubblica sicurezza ad assumere un particolare atteggiamento deambulante per non incorrere in infrazioni.
Alla successiva ricorrenza gli indipendentisti festanti e sbandieranti il gonfalone erano diventati all’incirca cinquemila, questa volta senza nessuna intromissione di poliziotti di sorta.
Quest’anno: 2016, l’asticella (per usare un linguaggio sportivo) è stata collocata un po’ più in alto. In piazza San Marco si potevano notare alcune migliaia di indipendentisti sbandieranti il gonfalone (nessuna bandiera di partito, e rari coloro che ostentavano la coccarda del movimento politico di appartenenza), ma molti altri (il cui numero è difficile da quantificare) li si ritrovava tra le calli, nei campielli, nei bar, sui vaporetti, riconoscibili per indossare il gonfalone di San Marco a mo’ di fascia, di sciarpa, di scialle, di poncho, o di fazzoletto da taschino.

Ma dove s’è vista «l’asticella posta un po’ più in su’», è in una sorta di semi ufficialità della manifestazione. Infatti, sul palco approntato per la ricorrenza della Resistenza, nel pomeriggio si è esibito il Coro della Fenice con un repertorio della tradizione veneta. Qualche fischio è partito solo quando è stato intonato il “Va’ Pensiero” di G. Verdi simbolo di una vulgata risorgimentale tutta da rivisitare. Si sono anche alternati al microfono due personaggi dichiaratamente indipendentisti che hanno intrattenuto il pubblico con alcuni brevi aneddoti storici. Un Consigliere comunale: Giovanni Giusto, delegato alla tutela delle tradizioni, ha inneggiato al popolo veneto, ed a quest’ultimo ha fatto seguito con un breve discorso il Sindaco Luigi Brugnaro che, pur usando toni istituzionali e per niente di parte, ha impostato un ragionamento a tutela e salvaguardia dell’imprenditorialità veneta e delle sue peculiarità storiche.

Qualche indipendentista più radicale non ha afferrato correttamente il senso istituzionale del discorso del Sindaco Brugnano, e si è allontanato bofonchiando; ma questo nulla toglie che la manifestazione per la ricorrenza di San Marco abbia da un lato confermato l’elevata partecipazione degli indipendentisti, e dall’altro l’allentamento dell’attività “occhiuta” delle forze dell’ordine.

Tutto l’attivismo sopra accennato, ed altro ancora che per brevità non rendiconteremo, non si tradurrà in “molto rumore per nulla”, se gli indipendentisti veneti convergeranno su un progetto istituzionale innovativo che noi suggeriamo neo-federale; poiché un popolo sovrano ha in sé tutta l’arguzia necessaria, in quanto egli in questo caso, come in altre commedie della vita, si può presentare al Parlamento luogo di menzogne e falsità, come colui che cerca, e può guarire da questo male oscuro della partitocrazia introducendovi un elemento estraneo e controbilanciante: gli strumenti per il corretto esercizio della democrazia diretta. Infatti, come scriveva Harper Lee (“Il buio oltre la siepe”, 1960): «Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.», poiché qualsiasi cosa succeda, e comunque vada a finire, gli indipendentisti continueranno a lavorare per l’autodeterminazione del popolo Veneto.

Alberto Pento
Cosa vol dir "neo federal" ? La vecia Repiovega Veneta a domegno venesian no la xe mai stà federal; prasiò no se capise el parké de sto "neo-federal". Far pasar par federal la vecia Repiovega Veneta a domegno venesian lè on contar bàle e no va ben; la storia la va contà giusta. Na çerta aotonomia aministradiva no lè federalixmo.

Enzo Trentin
Nel 1543 il Comune di Caltrano (VI) aveva uno Statuto che prevedeva il tipo di tasse da esigere dalla comunità (800 abitanti), e la percentuale (minima) che di tali tasse versava alla "Dominante" Repubblica di Venezia. Una forma, insomma, di federalismo. Il neo-federalismo rovescia il concetto di unione nella diversità, per esaltare le singole indipendenze comunali, libere a loro volta di stipulare foedus (contratti) con chi ritengono opportuno. Caro Alberto, prima di "insorgere" con commenti inappropriati, non sarebbe male se ti informassi un po'. Ciao!

Alberto Pento
Me despiaxe Enso ma me par ca te fasi confouxion: l'aotonomia aministrativa (enposte, tribui e tase) no lè la soranedà poledega ke lè n'altro par de maneghe. La Repiovega Veneta a domegno venesian no la jera na repiovega rederal: entel senado arestogradego venesian i veneti de tera no li jera raprexentà. No stemo contar storiele el senso de le parole nol se pol tirar fora de mexura se no te le xbrèghi e le perde ogni valor.

La Repiovega Veneta a domegno venesian no ła jera federal, no ła gheva gnente de federal
viewtopic.php?f=167&t=1602

Cogna cavarse el mito de Venesia da li oci e vardar la storia par coel ke la xe stà. Cogna ver el corajo te torse tute le responsabeletà sensa scargarghele doso a altri e i venesiani li ga da enparar a torse le sue.

Sipion Mafei e ła fine de ła Repiovega Venesiana
viewtopic.php?f=160&t=2279

Enzo Trentin
Alberto ti risponderò ancora una volta, ma poi basta, perché il tono con cui scrivi lo trovo indisponente. In primo luogo io ho cercato di coprire la tua ignoranza in merito al neo-federalismo, che ovviamente non ho trattato esaustivamente. Poi ho scritto che la Serenissima accettava che i liberi Comuni della terraferma si autoregolassero con propri Statuti. Infine, qui nessuno sogna il ripristino della defunta Repubblica di Venezia, Semmai sogna di ripristinare quelle regole che hanno garantito il buon governo, come per esempio il ballottaggio. Se si è d'accordo con l'esercizio della democrazia diretta, non si può essere in disaccordo con il ballottaggio che consente ad ogni cittadino, anche il più disarmato in materia di res pubblica, di maturare le sue esperienze.
foto di Enzo Trentin.


Alberto Pento
Ribadiso drento al parlamento arestogratego venesian no ghe jera i veneti de tera, prasiò la soranedà poledega no la jera coela de na repiovega federal a prasindar da li statudi dei comuni sol doparo dei beni comunali e altre coestion ke le rewarda la comounedà local. Dapò spiegame cosa ca ghe çentra el balotajo drento on senado arestogratego e no federal co la democrasia direta endoe ca ghè el referendo sensa lighi de nomari e preval la majoransa (el balotajo ente i referendo me par ke nol ghe sipia). E fate, fane e fame el piaser de no doparar sti toni roganti da casta e darme de l'endesponente e de l'egnorante parké a te peki de creansa. Mi a go creansa par kì ke ga creansa.


Alberto Pento
https://it.wikipedia.org/wiki/Ballottaggio

Per ballottaggio s'intende l'ultima eventuale fase di un'elezione. Ha luogo quando nella prima o nelle prime votazioni convocate nessuno dei candidati ha ottenuto la maggioranza stabilita come necessaria per l'elezione e consiste in una nuova convocazione del corpo elettorale la cui scelta è stavolt…

https://it.wikipedia.org/wiki/Democrazia_diretta

El balotajo el pol ndar ben co se ga da elexar coalke carga poledego aministradiva ke però ente na democrasia federal e direta la ga na enportansa relativa.

Le "regole del bon varno arestogratego venesian" le ne ga portà prima soto a Napoleon e dapò soto ai Saboia e a li taliani.

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Re: Marco

Messaggioda Berto » gio apr 28, 2016 7:15 pm

25 marso e 25 apriłe feste venesiane
viewtopic.php?f=122&t=1553


https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 1182877338

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... sinico.jpg

https://www.facebook.com/ComunediVenezi ... 0781838565

Pensa ti, altro ke endependensa veneta! Ke fanfaroni. "Venezia citta inclusiva, metropolitana e internazionale" ... altro che Veneto endependente. Ste çeremogne no le porta ai veneti gnaona lebartà e endependensa e le ghe confonde la so storia fando pasar la storia de Venesia cofà la storia de tuti i veneti; purpio come ke gà fato li taliani co la storia de Roma fata pasar par storia de tute le xenti taleghe. So ste falbetà no te pol costruir gnaon diman de lebertà e de endependensa. Sti do fanfaroni filibustieri li xe come el gato e la volpe de penocio. Venesia no lè el Veneto! Li exaltadori fanadeghi de Venesia, mi no li considaro pàreoti veneti. I veri e boni pàreoti veneti li ga enamente e entel cor tuto el Veneto e tuti i veneti e no lomè Venesia e i venesiani. Me despiaxe asè ma semo fora strada.
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Re: Marco

Messaggioda Berto » gio mag 26, 2016 7:42 pm

I veneti del Veneto xełi on popoło?
viewtopic.php?f=183&t=1731
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Sa' Marco en Veneto, na łexenda enventà on falbo storego

Messaggioda Berto » mar giu 21, 2016 9:00 pm

Sa' Marco en Veneto, na łexenda enventà on falbo storego
viewtopic.php?f=137&t=2356
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