MOLTO RUMORE PER NULLA? NON IL CASO DELL’INDIPENDENTISMO VENETO
wsm-venezia-2016
di ENZO TRENTIN
Molto rumore, molte parole per non dire, per non approdare a nulla. Tutte le complicazioni, il baccano, le confusioni e gli equivoci sono dovuti ad un eccesso di attenzione, al gusto della notazione sia verbale che visiva. Come per altre vicende politiche qui analizzeremo questioni parallele. La vicenda principale, quella dell’indipendenza del Veneto, che passa in parte in secondo piano davanti all’effervescenza e all’esuberanza delle iniziative dei cosiddetti marcheschi o marciani, e la disamina di alcuni atteggiamenti partitocratici per avere il pretesto di evidenziare una necessità inderogabile, poiché è veramente penoso constatare il vile comportamento di coloro che, vivendo di onorificenze ed erogazioni pubbliche, calpestano gli ordinamenti democratici e sprofondano in un mutismo connivente solo perché ne sono autori gli amici di cordata.
Come nella maggior parte delle commedie shakesperiane il grande pubblico è ingannato da quel che sente e vede. Il cosiddetto popolo sovrano mentre aspira a vivere in un territorio ben amministrato, è a turno ingannato da politicanti d’ogni risma, da nazionalismi fuori tempo, da poteri esterni e sovranazionali, da una dizinformacja scientificamente orchestrata, tanto che quel che ode dei discorsi del cosiddetto potere costituito altro non è che subornazione, disorientamento. L’uomo qualunque è ingannato da quel che vede e sente mentre segue i principali mass-media, tutti fiancheggiatori del potere costituito, mancando così alla loro primaria funzione di “cane da guardia del potere” contro le devianze dei cosiddetti rappresentanti.
Anche quando il cittadino comune scopre il “gioco del potere” esso non può farsi equilibratore delle aberrazioni del dominante, così com’è naturale in una democrazia matura, perché non ha strumenti per l’esercizio della democrazia diretta, e quando questi esistono sono edulcorati, per cui diverse persone si scoprono ben disposte verso questa neo-dittatura come in una sorta di Sindrome di Stoccolma.
Prendiamo ora in considerazione la positiva effervescenza di innumerevoli attività dell’indipendentismo veneto. Le più evidenti riguardano la visibilità e la propaganda. Ecco allora, senza un preciso ordine d’importanza, e senza avere la pretesa d’essere esaustivi: le conferenze che spaziano dalla storia agli ordinamenti giuridico-amministrativi della Serenissima Repubblica di San Marco, l’editoria che si occupa della diffusione di ciò che era realmente la storia e l’ordine sociale nella millenaria Res Publica Marciana, la festa di San Marco a Venezia, la sbandierada veneta, la karovanada veneta, la marcia da San Marco a San Marco, la Festa dei Veneti a Cittadella (PD), i corsi di lingua veneta, l’associazionismo della più di varia natura, le rievocazioni storiche come le Pasque Veronesi ed altre affini, i gruppi storico-rievocativi come il settecentesco 1° Reggimento Veneto Real, o il 16° Reggimento Treviso 1797 Serenissima Repubblica di San Marco, o la Milizia Veneta ed altri ancora, la produzione di bandiere marciane, di gadget e numismatica, l’intenzione di creare un marchio per valorizzare il “Made in Venethia”.
Sopra tutto ciò è necessario essere pronti a qualsiasi inconveniente della vita, ma questo non ci deve cogliere di sorpresa, bisogna affrontarlo a viso aperto, con coraggio, senza farci travolgere dagli eventi e dalle emozioni. Anche nel positivo contesto sopra descritto abbiamo delle perfette canaglie che pur autodefinendosi indipendentisti fanno i delatori della Digos, altre persone che vivono per far del male al prossimo e godono di ciò. Non mancano poi gli psicopatici, e per riconoscerli e difendersi da essi suggeriamo di verificarne i sintomi qui. Tutto l’attivismo sopra accennato, ed altro ancora che per brevità non descriviamo, non si tradurrà in “molto rumore per nulla”, se gli indipendentisti veneti convergeranno su un progetto istituzionale innovativo che noi suggeriamo neo-federale. Dove i Comuni si dotano di Statuti rivendicanti la loro sovranità, e dove alcune competenze residue sono affidate alla federazione, mentre in capo a tutto rimane l’esercizio della sovranità popolare.
Venendo ora al 25 aprile, si sono tre ricorrenze che si commemorano in questo giorno.
Una è la data in cui si ricorda il genocidio degli Armeni ad opera dell’Impero Ottomano nel 1915. Venezia, al contrario, da secoli ospita una comunità armena, avendovi addirittura destinata un’isola della laguna: San Lazzaro degli Armeni. I Turchi, responsabili del genocidio non vogliono sentirne parlare. E ciò malgrado gli Armeni siano stati quasi sterminati, e costretti raminghi per il mondo. In questo giorno i mass-media mainstream hanno posto poco o nessun risalto alla questione.
La seconda ricorrenza è la vittoria della Resistenza all’oppressione nazi-fascista. Romano Bracalini, giornalista e storico, in proposito ha recentemente scritto: «L’Italia divisa tra Nord e Sud, tra produttori e parassiti, tra modernità e feudalesimo, tra vincitori e vinti cercò alla fine della guerra un simbolo unitario che la rappresentasse tutta. Ma quella data, che avrebbe dovuto simboleggiare il ritorno alla libertà e la sconfitta dell’oppressione, resta una festa di parte, una festa che stenta a diventare patrimonio comune. […] Di conseguenza il 25 aprile, per non dimenticare, ed evitare schiamazzi e polemiche, che comunque non mancheranno, l’Italia dovrebbe rendere omaggio ai soldati americani morti per la nostra libertà. Sarebbe un 25 aprile più credibile, più coerente con la realtà, privato del significato politico e di parte che da 71 anni gli è stato appiccicato.»
E qui veniamo a Oliviero Cassarà, che se non siamo male informati è un portiere d’albergo a Venezia; ma oggi si deve definire: Receptionist. Costui, in qualità di portavoce del Comitato Bandiera Italiana 17 Marzo (nato quando Bossi, in Riva degli Schiavoni, invitò Lucia Massarotto a «buttare nel cesso» la bandiera italiana che esponeva dalla finestra di casa sua) ha inviato una lettera alla Digos e a vari mezzi d’informazione [vedi qui] con le foto dei profili facebook dei promotori dell’iniziativa degli indipendentisti veneti di festeggiare la millenaria festa del patrono San Marco, sventolando l’omonimo gonfalone. «La festa di San Marco è di tutti», ha aggiunto poi Monica Sambo, Consigliere comunale Pd, «e non può diventare la festa degli indipendentisti. L’amministrazione dovrebbe esprimersi e prendere le distanze da coloro che, nel giorno della Liberazione che ricorda il sacrificio dei partigiani per l’Italia, si esprimono contro l’Italia e per l’indipendenza».
Ebbene qui ci troviamo di fronte a due singolari rappresentanti di un certo pensiero politico che rivendica l’eroismo dei partigiani nell’aver liberato – con le armi in pugno – l’Italia dall’oppressione nazi-fascista, e di aver instaurato la democrazia. Tuttavia queste singolari figure democratiche, che rappresentano un più vasto schieramento politico, negano agli indipendentisti veneti di lottare pacificamente per liberarsi da un regime partitocratico pseudo democratico, che ha indotto centinaia di imprenditori veneti al suicidio, perché rincorsi da un fisco persecutorio. Oliviero Cassarà (nome che non sembra originario delle valli dolomitiche) si distingue poi nell’esercizio della “sua” democrazia, invitando il Prefetto a coinvolgerlo in occasione della festa di San Marco del 2017, con il chiaro intendo di condizionarne lo svolgimento. Tsz!
E veniamo ai festeggiamenti della ricorrenza di San Marco da parte degli indipendentisti:
Cinque anni fa a ritrovarsi nell’omonima piazza veneziana erano 60/70 persone, prontamente affrontate dalle forze di polizia che hanno preteso l’esibizione dei documenti per identificarli uno ad uno.
L’anno successivo si presentarono in piazza alcune centinaia di indipendentisti che, sempre sotto l’occhio vigile delle forze dell’ordine, sventolavano festanti il gonfalone di San Marco.
L’anno dopo gli sbandieranti il gonfalone erano alcune migliaia, costretti dalle norme di pubblica sicurezza ad assumere un particolare atteggiamento deambulante per non incorrere in infrazioni.
Alla successiva ricorrenza gli indipendentisti festanti e sbandieranti il gonfalone erano diventati all’incirca cinquemila, questa volta senza nessuna intromissione di poliziotti di sorta.
Quest’anno: 2016, l’asticella (per usare un linguaggio sportivo) è stata collocata un po’ più in alto. In piazza San Marco si potevano notare alcune migliaia di indipendentisti sbandieranti il gonfalone (nessuna bandiera di partito, e rari coloro che ostentavano la coccarda del movimento politico di appartenenza), ma molti altri (il cui numero è difficile da quantificare) li si ritrovava tra le calli, nei campielli, nei bar, sui vaporetti, riconoscibili per indossare il gonfalone di San Marco a mo’ di fascia, di sciarpa, di scialle, di poncho, o di fazzoletto da taschino.
Ma dove s’è vista «l’asticella posta un po’ più in su’», è in una sorta di semi ufficialità della manifestazione. Infatti, sul palco approntato per la ricorrenza della Resistenza, nel pomeriggio si è esibito il Coro della Fenice con un repertorio della tradizione veneta. Qualche fischio è partito solo quando è stato intonato il “Va’ Pensiero” di G. Verdi simbolo di una vulgata risorgimentale tutta da rivisitare. Si sono anche alternati al microfono due personaggi dichiaratamente indipendentisti che hanno intrattenuto il pubblico con alcuni brevi aneddoti storici. Un Consigliere comunale: Giovanni Giusto, delegato alla tutela delle tradizioni, ha inneggiato al popolo veneto, ed a quest’ultimo ha fatto seguito con un breve discorso il Sindaco Luigi Brugnaro che, pur usando toni istituzionali e per niente di parte, ha impostato un ragionamento a tutela e salvaguardia dell’imprenditorialità veneta e delle sue peculiarità storiche.
Qualche indipendentista più radicale non ha afferrato correttamente il senso istituzionale del discorso del Sindaco Brugnano, e si è allontanato bofonchiando; ma questo nulla toglie che la manifestazione per la ricorrenza di San Marco abbia da un lato confermato l’elevata partecipazione degli indipendentisti, e dall’altro l’allentamento dell’attività “occhiuta” delle forze dell’ordine.
Tutto l’attivismo sopra accennato, ed altro ancora che per brevità non rendiconteremo, non si tradurrà in “molto rumore per nulla”, se gli indipendentisti veneti convergeranno su un progetto istituzionale innovativo che noi suggeriamo neo-federale; poiché un popolo sovrano ha in sé tutta l’arguzia necessaria, in quanto egli in questo caso, come in altre commedie della vita, si può presentare al Parlamento luogo di menzogne e falsità, come colui che cerca, e può guarire da questo male oscuro della partitocrazia introducendovi un elemento estraneo e controbilanciante: gli strumenti per il corretto esercizio della democrazia diretta. Infatti, come scriveva Harper Lee (“Il buio oltre la siepe”, 1960): «Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.», poiché qualsiasi cosa succeda, e comunque vada a finire, gli indipendentisti continueranno a lavorare per l’autodeterminazione del popolo Veneto.
Alberto Pento Cosa vol dir "neo federal" ? La vecia Repiovega Veneta a domegno venesian no la xe mai stà federal; prasiò no se capise el parké de sto "neo-federal". Far pasar par federal la vecia Repiovega Veneta a domegno venesian lè on contar bàle e no va ben; la storia la va contà giusta. Na çerta aotonomia aministradiva no lè federalixmo.
Enzo Trentin Nel 1543 il Comune di Caltrano (VI) aveva uno Statuto che prevedeva il tipo di tasse da esigere dalla comunità (800 abitanti), e la percentuale (minima) che di tali tasse versava alla "Dominante" Repubblica di Venezia. Una forma, insomma, di federalismo. Il neo-federalismo rovescia il concetto di unione nella diversità, per esaltare le singole indipendenze comunali, libere a loro volta di stipulare foedus (contratti) con chi ritengono opportuno. Caro Alberto, prima di "insorgere" con commenti inappropriati, non sarebbe male se ti informassi un po'. Ciao!
Alberto Pento Me despiaxe Enso ma me par ca te fasi confouxion: l'aotonomia aministrativa (enposte, tribui e tase) no lè la soranedà poledega ke lè n'altro par de maneghe. La Repiovega Veneta a domegno venesian no la jera na repiovega rederal: entel senado arestogradego venesian i veneti de tera no li jera raprexentà. No stemo contar storiele el senso de le parole nol se pol tirar fora de mexura se no te le xbrèghi e le perde ogni valor.
La Repiovega Veneta a domegno venesian no ła jera federal, no ła gheva gnente de federal
viewtopic.php?f=167&t=1602 Cogna cavarse el mito de Venesia da li oci e vardar la storia par coel ke la xe stà. Cogna ver el corajo te torse tute le responsabeletà sensa scargarghele doso a altri e i venesiani li ga da enparar a torse le sue.
Sipion Mafei e ła fine de ła Repiovega Venesiana
viewtopic.php?f=160&t=2279 Enzo Trentin Alberto ti risponderò ancora una volta, ma poi basta, perché il tono con cui scrivi lo trovo indisponente. In primo luogo io ho cercato di coprire la tua ignoranza in merito al neo-federalismo, che ovviamente non ho trattato esaustivamente. Poi ho scritto che la Serenissima accettava che i liberi Comuni della terraferma si autoregolassero con propri Statuti. Infine, qui nessuno sogna il ripristino della defunta Repubblica di Venezia, Semmai sogna di ripristinare quelle regole che hanno garantito il buon governo, come per esempio il ballottaggio. Se si è d'accordo con l'esercizio della democrazia diretta, non si può essere in disaccordo con il ballottaggio che consente ad ogni cittadino, anche il più disarmato in materia di res pubblica, di maturare le sue esperienze.
foto di Enzo Trentin.
Alberto Pento Ribadiso drento al parlamento arestogratego venesian no ghe jera i veneti de tera, prasiò la soranedà poledega no la jera coela de na repiovega federal a prasindar da li statudi dei comuni sol doparo dei beni comunali e altre coestion ke le rewarda la comounedà local. Dapò spiegame cosa ca ghe çentra el balotajo drento on senado arestogratego e no federal co la democrasia direta endoe ca ghè el referendo sensa lighi de nomari e preval la majoransa (el balotajo ente i referendo me par ke nol ghe sipia). E fate, fane e fame el piaser de no doparar sti toni roganti da casta e darme de l'endesponente e de l'egnorante parké a te peki de creansa. Mi a go creansa par kì ke ga creansa.
Alberto Pento https://it.wikipedia.org/wiki/BallottaggioPer ballottaggio s'intende l'ultima eventuale fase di un'elezione. Ha luogo quando nella prima o nelle prime votazioni convocate nessuno dei candidati ha ottenuto la maggioranza stabilita come necessaria per l'elezione e consiste in una nuova convocazione del corpo elettorale la cui scelta è stavolt…
https://it.wikipedia.org/wiki/Democrazia_direttaEl balotajo el pol ndar ben co se ga da elexar coalke carga poledego aministradiva ke però ente na democrasia federal e direta la ga na enportansa relativa.
Le "regole del bon varno arestogratego venesian" le ne ga portà prima soto a Napoleon e dapò soto ai Saboia e a li taliani.
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... sian-1.jpg