Da Origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume I
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 290004.jpg 4. Ideologia del Paleolitico Superiore
4.1. Totemismo
...
4.1.4. L'arcobaleno come animale e come «bevitore» nei dialetti d EuropaLa carta europea dei nomi dell’arcobaleno è stata la prima che ho realizzato per l’ALE [Alinei 1981b, c; 1983b; 1984b, ci, 1992e], ed è quella che ha inaugurato la serie di carte motivazionali, la più saliente innovazione metodologica del progetto.
Essa è stata anche la prima che ha mostrato la fondamentale tripartizione stratigrafica:
(A) strato recente, antropomorfico storico, con nomi di entità cristiane e mussulmane (Dio, Noè, S. Maria, vergine, Nostra Signora, S. Martino, S. Giovanni, S. Bernardo, S. Michele, S. Bernabeo, S. Dionigi, S. Marco, aureola dei santi, grazia, ecc. in area cristiana; Allah, ponte Sirat (simbolo di perfezione morale) in area mussulmana);
(B) strato intermedio, antropomorfico preistorico, con nomi di entità antropomorfe locali, precristiane maschili (Ukko, il Vecchio, il dio del tuono, Tiermes, Tängri, Soslan, gigante, arma (di un dio)), e femminili (Iris, Laume, Mariolle, Nerandzula, la Vecchia, la signora, ragazza lunga ecc.), fra queste figure, «la vecchia» è quella che ha la distribuzione più vasta:
portoghese
arco da velha, spagnolo
arco da vella «arco della vecchia», albanese in Italia
brezi pjakavet, moldavo
bryul babei, neogreco
tis gras to lurí, serbo croato
babin lub, tutti «cintura della vecchia», turco
ebe kušagι «cintura della levatrice»,
nogai qurt-qašiq «vecchietta», calmucco
dohlηg (e)mgn «vecchia zoppa»; e
(C) lo strato più antico, totemico, con nomi di rappresentazioni zoomorfe: italiano
(arco)baleno da balena, italiano dialettale
drago, serbo croato dialettale
alždaja, albanese
ylber tutti «drago», bilorusso
smok, lituano
smãkas «serpente», lettone
delvērdze «ventre verde», tedesco in Italia
regenwurm «lombrico», slovencino
mavrica «vacca nera», komi
öškamöška «un bue e una vacca» e
ienöš jenöška «bue di Dio», calmucco
solg «donnola gialla», lituano
straublỹs «proboscide», basco
ortzederra «corna (di bue)», Zachur (nord-caucasico) /
han'ewur/ «intestino del cielo», Khvarsci (nord-caucasico) /
zar'us æšu/ «cintura della volpe» e molti altri.
Sia nel caso dei nomi cristiani/islamici che di quelli pagani l’arcobaleno è un semplice attributo di una divinità antropomorfica. Mentre nelle rappresentazioni zoomorfiche – ricostruibili grazie anche al folclore europeo (v. oltre) - l'arcobaleno si identifica con un animale gigantesco, che beve l’acqua della terra e la restituisce in forma di pioggia.
In genere, le rappresentazioni zoomorfiche dei fenomeni atmosferici si spiegano ipotizzando un’influenza dei Bestiari medievali [per es. DEI, s.v. dragone]. È però difficile immaginare come ai servi della gleba medievali, per definizione analfabeti, fosse dato avvicinarsi ai Bestiari dell’epoca, opere di origine dotta. Inoltre, il bestiario mitico contadino non ha niente a che fare coi Bestiari medievali, ma si collega con la tradizione orale espressa dalla fiabistica. E in questa grande tradizione fiabistica gli animali non rappresentano una ramificazione dei Bestiari medievali, bensì, al contrario, ne sono l'antefatto.
A confermare l'antichità del fenomeno si possono ricordare due cose: da un lato, la ricchissima mitologia dell’arco-baleno presso le popolazioni etnografiche: il più noto esempio, e uno dei più calzanti per la tipologia che abbiamo visto, è il mito del serpente-arcobaleno degli Aborigeni australiani, sul quale esiste una vasta letteratura [Buchler e Maddock 1978]. Anche in Cinese, l’ideogramma dell’arcobaleno si basa sul radicale per «verme» [com. pers. di William S.Y. Wang, della Stanford University], e l’arcobaleno torna anche nella rappresentazione dell’ideogramma per il «sifone», ciò che conferma che anche in Cinese esisteva la concezione dell'arcobaleno come «pompa», che aspirava l’acqua dalla terra per restituirla in forma di pioggia.
Alle stesse rappresentazioni zoomorfiche si legano anche i nomi europei dell'arcobaleno basati sulla motivazione del «bere», attestati in quasi tutta l'Europa. Vediamo questo aspetto più in dettaglio, anche per i suoi aspetti cronologici.
La rappresentazione dell’arcobaleno come bevitore, che pompa l'acqua del mare e della terra per riprodurla sotto forma di pioggia, è comunissima in tutta Europa: per esempio italiano
arco bevente, rumeno
curcubẹu, ungherese
szivárvány «pompa», lituano
straublỹs «proboscide (che succhia)», udmurto
vujuis «bevitore d’acqua»,
kuaz vu juem «il tempo ha bevuto l’acqua» ecc.
Nei paesi slavi essa è tanto radicata che in diverse lingue slave invece di dire che una persona «beve come una spugna» si dice «beve come l’arcobaleno», per esempio ceco
pít jako duha (duha «arcobaleno»).
Ora, che la rappresentazione dell’arcobaleno bevitore sia antica è provato dalle sue numerose attestazioni nella letteratura latina. La più antica e importante è quella di Plauto, che fa dire a un personaggio del Curculio [Alinei 1992e] la frase «
bibit arcus», cioè «l’arcobaleno sta bevendo», a proposito di una vecchia che per tracannare un boccale di vino si arcua all’indietro. «Vecchia» è anche uno dei nomi neolatini ed europei dell’arcobaleno, è non è escluso che Plauto volesse così giocare anche su questo motivo.
Ma a parte questo, la diffusione del motivo dell’arcobaleno bevitore in tutta Europa dimostra che il Latino non è l’apice dell'albero, bensì uno dei suoi molti rami.
Inoltre, la motivazione lessicale dell’arcobaleno che beve non è che la forma abbreviata di una rappresentazione dell’arcobaleno come animale gigantesco, che beve l’acqua della terra e la restituisce in forma di pioggia, attestata nelle tradizioni popolari di molte aree europee e non europee.
Ecco dunque che non solo l’arcobaleno come bevitore viene ricondotto a una visione primitiva dei fenomeni atmosferici e della natura, ma la stessa rappresentazione zoomorfica generalizzata dell’arcobaleno che appare dalla documentazione dialettale paneuropea si lascia collegare in modo imprevedibile a questo grande mito. Sicché la stessa rappresentazione di Plauto e degli altri autori latini, paradossalmente, appare molto più come un tardo riflesso di questa mitologia primitiva, filtrato dalla cultura razionaleggiante del ceto dominante romano, che non come un archetipo.
4.1.5. L'arcobaleno come «cintura della vecchia»Una delle più diffuse motivazioni europee dell’arcobaleno è poi quella della «cintura» (o «grembiule» «fascia», «nastro»), ovviamente indossata da un essere proiettato in cielo: francese
courroie, italiano
cintura, lituano
júosta, bulgaro dialettale
pojas, zuna, tkanica, futa, serbocroato dialettale
pruga, moldavo regionale
bryu, neogreco
zóni, zonári, lorí, albanese
bres, shok, turco
kušagι, ecc. In totale la troviamo nell’area albanese, celtica, finnica, greca, lappone, nako-daghestana, permica, neolatina, slava, turcica, udmurta, vepsa, e zigana.
E spesso si riferisce a un indumento esclusivamente femminile, o è esplicitamente associata ad un essere femminile: per esempio albanese
brezi pjakavet, moldavo
bryul babei, neo greco
tis gras to lurí, serbocroato
babin lub, tutti «cintura della vecchia», turco
ebe kušagι «cintura della levatrice», lituano
Laũmes júiosta «cintura di Laumes», neogreco /
tis kh'eras i z'oni/ «la cintura della signora». Ora, nei dialetti greci, slavi e baltici questa motivazione di «cintura» si realizza con la stessa radice IE «cingere» (da
*-ienu- «unire»: P. 508, 513), che appare in greco
zōst(e)r, zōma (< *zōs-ma), zōnē «cintura», lituano
júosta, antico slavo
pojasъ, «cintura».
Questo significa che possiamo ricostruire non solo una protoforma ma anche un «protomito» che si potrebbe definire «arcobaleno come cintura di un essere femminile», che manca in qualunque documento scritto normalmente utilizzato per la comparazione IE, mentre emerge con grande chiarezza da quel museo fossile vivente che è la documentazione dei dialetti parlati. Inoltre, data la vastità e la configurazione dell’area, azzarderei l’ipotesi che la «cintura» potrebbe essere quella della «Grande Madre» incinta o prolifica, le cui statuine paleolitiche mostrano talvolta una cintura come unico indumento [Clark e Piggott 1990, 72].
4.1.6. La «Vecchia» come dominatrice della naturaNella sua famosa ricerca sulle fiabe, Vladirnir Propp definisce la figura della «Vecchia» nelle fiabe mondiali come una derivazione dell'«antenata totemica matrilineare», e la descrive come la dominatrice degli animali e della natura [Propp 1946, trad. it. 1949, 125].
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -vecia.jpg Serci o diski de bronxo veneteghihttps://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... hhTFE/edit viewtopic.php?f=43&t=194Se Propp era arrivato a questa conclusione studiando le fiabe e il folclore mondiali, i dialetti europei confermano questa interpretazione, in quanto col nome della «Vecchia» appaiono designati innumerevoli fenomeni della natura.
Manca, purtroppo, uno studio sistematico di questa figura, come del resto di tanti altri aspetti magico-religiosi legati alle tradizioni orali e ai dialetti.
Gerhard Rohlfs ha attirato l'attenzione su alcune manifestazioni della
vetula latina e della «
Vecchia» romanza. [Rohlfs 1952]; Hermann Usener [1913] ha studiato
die Alte «la Vecchia» tedesca; e io ho confrontato la documentazione (cusita dita) “dialettale neolatina” sulla «vecchia» con quella ancora più ricca della
baba slava [Alinei 1988c]. La triplice documentazione, neolatina, germanica e slava (a cui si possono aggiungere i pochi indizi greci e albanesi finora raccolti), crea un continuum mitologico di fatto paneuropeo, che a mio avviso corrisponde da vicino all'area di diffusione delle rappresentazioni della «Grande Madre» del Gravettiano.
In quest’ottica, è anche utile ricordare che Usener interpretava i documenti germanici per la maggior parte come conseguenza di influenze latine o slave, a seconda delle aree, ciò che non è senza rilievo dal punto di vista archeologico, data la concentrazione delle statuette ad occidente e ad oriente.
Riassumo qui in maniera estremamente schematica i principali dati.
Anzitutto, è stato osservato che, dal punto di vista etnografico, «vecchio» è chiunque si trovi fra 35 e 60 anni [HWDA, s.v. Alte]. Di fatto significa piuttosto «adulto». Anche sotto questo profilo, dunque, la «Vecchia» potrebbe benissimo essere la «Grande Madre», cioè la donna incinta prolifica, simbolo di fecondità magica, rappresentata dalle tipiche statuette del Paleolitico Superiore.
http://www.google.it/images?hl=it&sourc ... =&gs_rfai=
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /vecie.jpgQuanto al suo ruolo magico-religioso esso emerge da questi dati folelorici: i bambini non possono pronunciare il suo nome, e il suo potere viene considerato misterioso e soprannaturale.
Inutile ricordare il rapporto fra
vecchia e
Strega (
striga, stria, strix), nel quale la seconda appare come una specializzazione negativa della prima.
L'incubo appare spesso in forma di «Vecchia» (v. la morte rappresentata da una vecchia con la falce).
E anche la personificazione più nota dell'inverno, come tale ha tuttora un ruolo centrale nei riti di carnevale, dove viene segata, bruciata o fatta ubriacare in varie parti d'Europa, nell'area latina, slava e nelle aree germaniche adiacenti.
Usener aveva avvicinato la «vecchia» dell'area latina ad
Anna Perenna, l’antica divinità italica (il cui nome
Anna è probabilmente affine ad
anus «vecchia» [DELLA). Ma a loro volta, le numerosissime divinità femminili italiche sono probabilmente il risultato di un processo di specializzazione della Grande Madre del Paleolitico Superiore, la donna dotata del potere magico di partorire, e come tale dominatrice della vita.
Nell'ambito della TC dunque, la «Vecchia» d’area latina e slava appare più probabilmente legata direttamente alla Grande Madre come archetipo, che non alle diverse ramificazioni in cui esso si è frantumato nel corso del Neolitico e dell'età dei Metalli.
In tutta l'area slava,
baba «la Vecchia» appare con i significati di «nutrice», «levatrice», «maga», «profetessa», «Orca», «strega», «spauracchio dei bambini».
Verbi derivati da baba significano «assistere la puerpera nel parto», «praticare la stregoneria», «guarire con pratiche magiche».
In questi aspetti, l'area slava appare come più conservatrice di quella latina, dove la
vetula appare soprattutto in associazione con i riti di Carnevale (la
vecia veneta).
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Sia la
baba slava che la
vetula neolatina (e la
vecia veneta) prestano il proprio nome agli animali: come abbiamo già visto, le troviamo entrambe associate ad uccelli, vermi, lumache, rospi e rane, svariati insetti (farfalla, tarma, scarafaggio, coccinella, bruco, ragno, cimice, larva ecc.).
Come nome di piante la «Vecchia» è soprattutto diffusa in area slava.
Più importante, sia la
baba slava che la vetula latina, e con minore frequenza anche
die Alte (o
alte Weib) tedesca ed altre «vecchie» greche o albanesi, appaiono associate a innumerevoli fenomeni atmosferici e della natura.
Abbiamo visto che la vetula latina ed altre «vecchie» europee appaiono associate all'arcobaleno, talvolta come la sua cintura.
Ma essa appare anche associata ai più svariati nomi di fenomeni atmosferici o naturali: «gli ultimi tre giorni di marzo o febbraio», «scintilla», «fata morgana», «riflesso della luce (gibigianna)», «estate di San Martino», «capelli della madonna (fili di ragnatela che si alzano e volano di primavera)», «nuvola (di vari tipi)», «uragano», «turbine», «calore che fa vibrare l'aria», «nebbia», «ronzio dei boschi», «sole», «luna», «neve che turbina sul Reno», «demone meridiano» ecc.
Quasi ovunque la «Vecchia» appare come l’«ultimo covone di grano» (una nozione magica, molto ben studiata in area germanica dove viene identificata con uno dei
Korndämonen). Inutile dire che in questo ruolo la «Vecchia» come ultimo covone di grano appare come un tipico sviluppo neolitico di un mito preesistente.
Molto comune e significativo è anche il nome di «Vecchia» per la gravidanza o per malattie, soprattutto infantili: varicella, rosolia, vaiolo, bizze infantili, colica, incubo, verme, ecc.
E non mi soffermo, per mancanza di studi adeguati sull'argomento, su nomi di giochi di profondo significato magico, come la «mosca cieca», che si associano, soprattutto in area latina e slava, alla «Vecchia».
Sul piano etnografico, il confronto più produttivo è quello che si lascia istituire con le credenze degli Aborigeni, quelle che meglio si avvicinano all’ideologia del Paleolitico Superiore.
Nella mitologia aborigeno, la «Vecchia» occupa un ruolo centrale: è lei la «Madre di tutti», e come tale viene spesso chiamata anche «la Madre».
È lei la maga iniziatica che ingoia i bambini per risputarli come iniziati alla vita adulta, è lei la cui voce viene rappresentata simbolicamente dal crepitacolo magico, il principale strumento magico degli Aborigeni, ed è lei che appare come serpente-arcobaleno, altro cardine della mitologia australiana. È ancora lei che troviamo associata con fenomeni della natura, come per esempio la nebbia del mare [Maddock 1978].
4.1.7. Parenti-mostri, vivi nelle fiabe, fossili nel lessico: l'evidenza italianaVladimir Propp ha dimostrato non solo che la figura del parente-animale, di origine totemica, è fondamentale nelle fiabe di tutto il mondo, ma anche che questa figura tende a diventare un mostro, per la sua funzione nei riti iniziatici, in cui l'iniziando viene ingoiato, divorato, ucciso e restituito alla vita come adulto, attraverso riti spesso molto crudeli, attestati in tutte le popolazioni etnografiche.
Questo aspetto «orroroso» dell'animale-parente appare in tutta la sua evidenza nelle manifestazioni etnografiche della mitologia e dei riti iniziatici (ne abbiamo appena visto un esempio per la Vecchia degli Aborigeni), ma sopravvive come fossile anche in Europa: per esempio nella
mammadraga e nella
zia draga della fiabistica siciliana, nella magne «mia zia (serpente)» della fialoistica friulana, nel nanni orco o nannorca «nonno orco, nonna orca» di quella pugliese, di mai Orca «comare orca»,
mammorca,
babborku, paborku, di quella sarda, e fuori d'Italia in figure equivalenti.
Da questa premessa si deve partire per interpretare correttamente i tantissimi nomi di «spauracchi infantili», che
sono anche, contemporanemente, nomi di insetti e di antenati: dal sardo
babbói e
bau, al retoromanzo
babáu e
bau, all'italiano
babau, al veneto
babao al ticinese
babau, babó, babocia, bóu ecc. e tanti altri, tutti a mio parere affini del latino
abavus «antenato» (venetico
havos).
Per spiegare l'importanza della componente «insetto» in questa fenomenologia si deve riflettere a due cose: da un lato al ruolo centrale degli insetti nell'alimentazione delle popolazioni etnografiche e nella loro classificazione totemica (aspetto ora dimostrato dalla ricerca di Kutangidiku [1995] per lo Zaire), dall'altro al fenomeno della metamorfosi, che porta la larva a divenire crisalide e poi farfalla, fenomeno col quale gli uomini primitivi si sono certo confrontati, e che potrebbe aver fornito la base per la simbologia universale della «maschera».
FRANCESCO BENOZZO
NOMI TOTEMICI DELLA BALENA
IN AREA CELTICA
http://www.continuitas.org/texts/benozzo_balena.pdfTra i vari nomi usati nelle lingue celtiche per riferirsi alla balena, si registrano anche i seguenti tre:
irl.
foraismorirl.
seanmháthair (co. Galway)
gael.
cailleach mhara (Isola di Skye)1.
L’iconimo ravvisabile dietro di essi è quello della {VECCHIA}:
foraismor è un composto di
forais ‘(grande) vecchia’ e
moir ‘mare’ (significa cioè ‘[grande] vecchia del mare’),
cailleach mhara viene da cailleach ‘vecchia’ e mhara ‘mare’ (cioè ‘vecchia del mare’), mentre il primo significato di
seanmháthair è quello di ‘nonna.
Tali nomi possono essere comparati con i seguenti, sempre usati come nomi della balena, e sempre di area atlantica: gallego (Ourense) vella (il cui primo significato è ‘vecchia’), nome che fa pensare a un’ulteriore correlazione – già individuata sul piano delle denominazioni totemiche – tra il gallego arco da vella ‘arcobaleno’ e it. arcobaleno ‘arcobaleno’, cioè ‘arco della balena’; e port. (São Pedro da Torre) grasseia, possibilmente da gran(de) ‘grande’ e celtico *sena ‘vecchia’: cioè ‘la grande vecchia’.
Va anzitutto ricordato che il tipo iconimico della della {VECCHIA} è uno dei più produttivi nell’ambito degli zoonimi e dei meteoronimi: numerose ricerche, specialmente svolte dagli studiosi che hanno operato e operano intorno ai progetti della rivista internazionale «Quaderni di Semantica», dell’Atlas Linguarum Europae e dell’Atlas Linguistique Roman, hanno individuato la figura della Vecchia dietro i nomi di fenomeni atmosferici
ed elementi naturali come l’arcobaleno, la nebbia, l’afa, le scintille, le nuvole, l’uragano, il tuono, il ronzio dei boschi, le slavine, le frane, le montagne, il sole, la luna, e di animali come il bruco, lo scarafaggio, la coccinella, la donnola, lo scricciolo, la farfalla, la lucciola, il grillotalpa, il lombrico, il ragno, il rospo, il pipistrello, il serpente, l’orso, vari tipi di uccelli.
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