Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Berto » dom mag 25, 2014 7:35 am

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Berto » lun mag 26, 2014 8:00 am

Da Origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume I

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4. Ideologia del Paleolitico Superiore
4.1. Totemismo
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4.1.4. L'arcobaleno come animale e come «bevitore» nei dialetti d Europa

La carta europea dei nomi dell’arcobaleno è stata la prima che ho realizzato per l’ALE [Alinei 1981b, c; 1983b; 1984b, ci, 1992e], ed è quella che ha inaugurato la serie di carte motivazionali, la più saliente innovazione metodologica del progetto.

Essa è stata anche la prima che ha mostrato la fondamentale tripartizione stratigrafica:
(A) strato recente, antropomorfico storico, con nomi di entità cristiane e mussulmane (Dio, Noè, S. Maria, vergine, Nostra Signora, S. Martino, S. Giovanni, S. Bernardo, S. Michele, S. Bernabeo, S. Dionigi, S. Marco, aureola dei santi, grazia, ecc. in area cristiana; Allah, ponte Sirat (simbolo di perfezione morale) in area mussulmana);
(B) strato intermedio, antropomorfico preistorico, con nomi di entità antropomorfe locali, precristiane maschili (Ukko, il Vecchio, il dio del tuono, Tiermes, Tängri, Soslan, gigante, arma (di un dio)), e femminili (Iris, Laume, Mariolle, Nerandzula, la Vecchia, la signora, ragazza lunga ecc.), fra queste figure, «la vecchia» è quella che ha la distribuzione più vasta:
portoghese arco da velha, spagnolo arco da vella «arco della vecchia», albanese in Italia brezi pjakavet, moldavo bryul babei, neogreco tis gras to lurí, serbo croato babin lub, tutti «cintura della vecchia», turco ebe kušagι «cintura della levatrice», nogai qurt-qašiq «vecchietta», calmucco dohlηg (e)mgn «vecchia zoppa»; e
(C) lo strato più antico, totemico, con nomi di rappresentazioni zoomorfe: italiano (arco)baleno da balena, italiano dialettale drago, serbo croato dialettale alždaja, albanese ylber tutti «drago», bilorusso smok, lituano smãkas «serpente», lettone delvērdze «ventre verde», tedesco in Italia regenwurm «lombrico», slovencino mavrica «vacca nera», komi öškamöška «un bue e una vacca» e ienöš jenöška «bue di Dio», calmucco solg «donnola gialla», lituano straublỹs «proboscide», basco ortzederra «corna (di bue)», Zachur (nord-caucasico) /han'ewur/ «intestino del cielo», Khvarsci (nord-caucasico) /zar'us æšu/ «cintura della volpe» e molti altri.

Sia nel caso dei nomi cristiani/islamici che di quelli pagani l’arcobaleno è un semplice attributo di una divinità antropomorfica. Mentre nelle rappresentazioni zoomorfiche – ricostruibili grazie anche al folclore europeo (v. oltre) - l'arcobaleno si identifica con un animale gigantesco, che beve l’acqua della terra e la restituisce in forma di pioggia.

In genere, le rappresentazioni zoomorfiche dei fenomeni atmosferici si spiegano ipotizzando un’influenza dei Bestiari medievali [per es. DEI, s.v. dragone]. È però difficile immaginare come ai servi della gleba medievali, per definizione analfabeti, fosse dato avvicinarsi ai Bestiari dell’epoca, opere di origine dotta. Inoltre, il bestiario mitico contadino non ha niente a che fare coi Bestiari medievali, ma si collega con la tradizione orale espressa dalla fiabistica. E in questa grande tradizione fiabistica gli animali non rappresentano una ramificazione dei Bestiari medievali, bensì, al contrario, ne sono l'antefatto.

A confermare l'antichità del fenomeno si possono ricordare due cose: da un lato, la ricchissima mitologia dell’arco-baleno presso le popolazioni etnografiche: il più noto esempio, e uno dei più calzanti per la tipologia che abbiamo visto, è il mito del serpente-arcobaleno degli Aborigeni australiani, sul quale esiste una vasta letteratura [Buchler e Maddock 1978]. Anche in Cinese, l’ideogramma dell’arcobaleno si basa sul radicale per «verme» [com. pers. di William S.Y. Wang, della Stanford University], e l’arcobaleno torna anche nella rappresentazione dell’ideogramma per il «sifone», ciò che conferma che anche in Cinese esisteva la concezione dell'arcobaleno come «pompa», che aspirava l’acqua dalla terra per restituirla in forma di pioggia.

Alle stesse rappresentazioni zoomorfiche si legano anche i nomi europei dell'arcobaleno basati sulla motivazione del «bere», attestati in quasi tutta l'Europa. Vediamo questo aspetto più in dettaglio, anche per i suoi aspetti cronologici.
La rappresentazione dell’arcobaleno come bevitore, che pompa l'acqua del mare e della terra per riprodurla sotto forma di pioggia, è comunissima in tutta Europa: per esempio italiano arco bevente, rumeno curcubẹu, ungherese szivárvány «pompa», lituano straublỹs «proboscide (che succhia)», udmurto vujuis «bevitore d’acqua», kuaz vu juem «il tempo ha bevuto l’acqua» ecc.
Nei paesi slavi essa è tanto radicata che in diverse lingue slave invece di dire che una persona «beve come una spugna» si dice «beve come l’arcobaleno», per esempio ceco pít jako duha (duha «arcobaleno»).
Ora, che la rappresentazione dell’arcobaleno bevitore sia antica è provato dalle sue numerose attestazioni nella letteratura latina. La più antica e importante è quella di Plauto, che fa dire a un personaggio del Curculio [Alinei 1992e] la frase «bibit arcus», cioè «l’arcobaleno sta bevendo», a proposito di una vecchia che per tracannare un boccale di vino si arcua all’indietro. «Vecchia» è anche uno dei nomi neolatini ed europei dell’arcobaleno, è non è escluso che Plauto volesse così giocare anche su questo motivo.
Ma a parte questo, la diffusione del motivo dell’arcobaleno bevitore in tutta Europa dimostra che il Latino non è l’apice dell'albero, bensì uno dei suoi molti rami.

Inoltre, la motivazione lessicale dell’arcobaleno che beve non è che la forma abbreviata di una rappresentazione dell’arcobaleno come animale gigantesco, che beve l’acqua della terra e la restituisce in forma di pioggia, attestata nelle tradizioni popolari di molte aree europee e non europee.
Ecco dunque che non solo l’arcobaleno come bevitore viene ricondotto a una visione primitiva dei fenomeni atmosferici e della natura, ma la stessa rappresentazione zoomorfica generalizzata dell’arcobaleno che appare dalla documentazione dialettale paneuropea si lascia collegare in modo imprevedibile a questo grande mito. Sicché la stessa rappresentazione di Plauto e degli altri autori latini, paradossalmente, appare molto più come un tardo riflesso di questa mitologia primitiva, filtrato dalla cultura razionaleggiante del ceto dominante romano, che non come un archetipo.


4.1.5. L'arcobaleno come «cintura della vecchia»

Una delle più diffuse motivazioni europee dell’arcobaleno è poi quella della «cintura» (o «grembiule» «fascia», «nastro»), ovviamente indossata da un essere proiettato in cielo: francese courroie, italiano cintura, lituano júosta, bulgaro dialettale pojas, zuna, tkanica, futa, serbocroato dialettale pruga, moldavo regionale bryu, neogreco zóni, zonári, lorí, albanese bres, shok, turco kušagι, ecc. In totale la troviamo nell’area albanese, celtica, finnica, greca, lappone, nako-daghestana, permica, neolatina, slava, turcica, udmurta, vepsa, e zigana.
E spesso si riferisce a un indumento esclusivamente femminile, o è esplicitamente associata ad un essere femminile: per esempio albanese brezi pjakavet, moldavo bryul babei, neo greco tis gras to lurí, serbocroato babin lub, tutti «cintura della vecchia», turco ebe kušagι «cintura della levatrice», lituano Laũmes júiosta «cintura di Laumes», neogreco /tis kh'eras i z'oni/ «la cintura della signora». Ora, nei dialetti greci, slavi e baltici questa motivazione di «cintura» si realizza con la stessa radice IE «cingere» (da *-ienu- «unire»: P. 508, 513), che appare in greco zōst(e)r, zōma (< *zōs-ma), zōnē «cintura», lituano júosta, antico slavo pojasъ, «cintura».
Questo significa che possiamo ricostruire non solo una protoforma ma anche un «protomito» che si potrebbe definire «arcobaleno come cintura di un essere femminile», che manca in qualunque documento scritto normalmente utilizzato per la comparazione IE, mentre emerge con grande chiarezza da quel museo fossile vivente che è la documentazione dei dialetti parlati. Inoltre, data la vastità e la configurazione dell’area, azzarderei l’ipotesi che la «cintura» potrebbe essere quella della «Grande Madre» incinta o prolifica, le cui statuine paleolitiche mostrano talvolta una cintura come unico indumento [Clark e Piggott 1990, 72].

4.1.6. La «Vecchia» come dominatrice della natura

Nella sua famosa ricerca sulle fiabe, Vladirnir Propp definisce la figura della «Vecchia» nelle fiabe mondiali come una derivazione dell'«antenata totemica matrilineare», e la descrive come la dominatrice degli animali e della natura [Propp 1946, trad. it. 1949, 125].

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Serci o diski de bronxo veneteghi
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... hhTFE/edit
viewtopic.php?f=43&t=194

Se Propp era arrivato a questa conclusione studiando le fiabe e il folclore mondiali, i dialetti europei confermano questa interpretazione, in quanto col nome della «Vecchia» appaiono designati innumerevoli fenomeni della natura.
Manca, purtroppo, uno studio sistematico di questa figura, come del resto di tanti altri aspetti magico-religiosi legati alle tradizioni orali e ai dialetti.
Gerhard Rohlfs ha attirato l'attenzione su alcune manifestazioni della vetula latina e della «Vecchia» romanza. [Rohlfs 1952]; Hermann Usener [1913] ha studiato die Alte «la Vecchia» tedesca; e io ho confrontato la documentazione (cusita dita) “dialettale neolatina” sulla «vecchia» con quella ancora più ricca della baba slava [Alinei 1988c]. La triplice documentazione, neolatina, germanica e slava (a cui si possono aggiungere i pochi indizi greci e albanesi finora raccolti), crea un continuum mitologico di fatto paneuropeo, che a mio avviso corrisponde da vicino all'area di diffusione delle rappresentazioni della «Grande Madre» del Gravettiano.

In quest’ottica, è anche utile ricordare che Usener interpretava i documenti germanici per la maggior parte come conseguenza di influenze latine o slave, a seconda delle aree, ciò che non è senza rilievo dal punto di vista archeologico, data la concentrazione delle statuette ad occidente e ad oriente.
Riassumo qui in maniera estremamente schematica i principali dati.
Anzitutto, è stato osservato che, dal punto di vista etnografico, «vecchio» è chiunque si trovi fra 35 e 60 anni [HWDA, s.v. Alte]. Di fatto significa piuttosto «adulto». Anche sotto questo profilo, dunque, la «Vecchia» potrebbe benissimo essere la «Grande Madre», cioè la donna incinta prolifica, simbolo di fecondità magica, rappresentata dalle tipiche statuette del Paleolitico Superiore.

http://www.google.it/images?hl=it&sourc ... =&gs_rfai=

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /vecie.jpg

Quanto al suo ruolo magico-religioso esso emerge da questi dati folelorici: i bambini non possono pronunciare il suo nome, e il suo potere viene considerato misterioso e soprannaturale.
Inutile ricordare il rapporto fra vecchia e Strega (striga, stria, strix), nel quale la seconda appare come una specializzazione negativa della prima.
L'incubo appare spesso in forma di «Vecchia» (v. la morte rappresentata da una vecchia con la falce).
E anche la personificazione più nota dell'inverno, come tale ha tuttora un ruolo centrale nei riti di carnevale, dove viene segata, bruciata o fatta ubriacare in varie parti d'Europa, nell'area latina, slava e nelle aree germaniche adiacenti.

Usener aveva avvicinato la «vecchia» dell'area latina ad Anna Perenna, l’antica divinità italica (il cui nome Anna è probabilmente affine ad anus «vecchia» [DELLA). Ma a loro volta, le numerosissime divinità femminili italiche sono probabilmente il risultato di un processo di specializzazione della Grande Madre del Paleolitico Superiore, la donna dotata del potere magico di partorire, e come tale dominatrice della vita.

Nell'ambito della TC dunque, la «Vecchia» d’area latina e slava appare più probabilmente legata direttamente alla Grande Madre come archetipo, che non alle diverse ramificazioni in cui esso si è frantumato nel corso del Neolitico e dell'età dei Metalli.

In tutta l'area slava, baba «la Vecchia» appare con i significati di «nutrice», «levatrice», «maga», «profetessa», «Orca», «strega», «spauracchio dei bambini».
Verbi derivati da baba significano «assistere la puerpera nel parto», «praticare la stregoneria», «guarire con pratiche magiche».
In questi aspetti, l'area slava appare come più conservatrice di quella latina, dove la vetula appare soprattutto in associazione con i riti di Carnevale (la vecia veneta).

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Sia la baba slava che la vetula neolatina (e la vecia veneta) prestano il proprio nome agli animali: come abbiamo già visto, le troviamo entrambe associate ad uccelli, vermi, lumache, rospi e rane, svariati insetti (farfalla, tarma, scarafaggio, coccinella, bruco, ragno, cimice, larva ecc.).
Come nome di piante la «Vecchia» è soprattutto diffusa in area slava.
Più importante, sia la baba slava che la vetula latina, e con minore frequenza anche die Alte (o alte Weib) tedesca ed altre «vecchie» greche o albanesi, appaiono associate a innumerevoli fenomeni atmosferici e della natura.
Abbiamo visto che la vetula latina ed altre «vecchie» europee appaiono associate all'arcobaleno, talvolta come la sua cintura.
Ma essa appare anche associata ai più svariati nomi di fenomeni atmosferici o naturali: «gli ultimi tre giorni di marzo o febbraio», «scintilla», «fata morgana», «riflesso della luce (gibigianna)», «estate di San Martino», «capelli della madonna (fili di ragnatela che si alzano e volano di primavera)», «nuvola (di vari tipi)», «uragano», «turbine», «calore che fa vibrare l'aria», «nebbia», «ronzio dei boschi», «sole», «luna», «neve che turbina sul Reno», «demone meridiano» ecc.
Quasi ovunque la «Vecchia» appare come l’«ultimo covone di grano» (una nozione magica, molto ben studiata in area germanica dove viene identificata con uno dei Korndämonen). Inutile dire che in questo ruolo la «Vecchia» come ultimo covone di grano appare come un tipico sviluppo neolitico di un mito preesistente.
Molto comune e significativo è anche il nome di «Vecchia» per la gravidanza o per malattie, soprattutto infantili: varicella, rosolia, vaiolo, bizze infantili, colica, incubo, verme, ecc.
E non mi soffermo, per mancanza di studi adeguati sull'argomento, su nomi di giochi di profondo significato magico, come la «mosca cieca», che si associano, soprattutto in area latina e slava, alla «Vecchia».
Sul piano etnografico, il confronto più produttivo è quello che si lascia istituire con le credenze degli Aborigeni, quelle che meglio si avvicinano all’ideologia del Paleolitico Superiore.
Nella mitologia aborigeno, la «Vecchia» occupa un ruolo centrale: è lei la «Madre di tutti», e come tale viene spesso chiamata anche «la Madre».
È lei la maga iniziatica che ingoia i bambini per risputarli come iniziati alla vita adulta, è lei la cui voce viene rappresentata simbolicamente dal crepitacolo magico, il principale strumento magico degli Aborigeni, ed è lei che appare come serpente-arcobaleno, altro cardine della mitologia australiana. È ancora lei che troviamo associata con fenomeni della natura, come per esempio la nebbia del mare [Maddock 1978].

4.1.7. Parenti-mostri, vivi nelle fiabe, fossili nel lessico: l'evidenza italiana

Vladimir Propp ha dimostrato non solo che la figura del parente-animale, di origine totemica, è fondamentale nelle fiabe di tutto il mondo, ma anche che questa figura tende a diventare un mostro, per la sua funzione nei riti iniziatici, in cui l'iniziando viene ingoiato, divorato, ucciso e restituito alla vita come adulto, attraverso riti spesso molto crudeli, attestati in tutte le popolazioni etnografiche.
Questo aspetto «orroroso» dell'animale-parente appare in tutta la sua evidenza nelle manifestazioni etnografiche della mitologia e dei riti iniziatici (ne abbiamo appena visto un esempio per la Vecchia degli Aborigeni), ma sopravvive come fossile anche in Europa: per esempio nella mammadraga e nella zia draga della fiabistica siciliana, nella magne «mia zia (serpente)» della fialoistica friulana, nel nanni orco o nannorca «nonno orco, nonna orca» di quella pugliese, di mai Orca «comare orca», mammorca, babborku, paborku, di quella sarda, e fuori d'Italia in figure equivalenti.
Da questa premessa si deve partire per interpretare correttamente i tantissimi nomi di «spauracchi infantili», che
sono anche, contemporanemente, nomi di insetti e di antenati: dal sardo babbói e bau, al retoromanzo babáu e bau, all'italiano babau, al veneto babao al ticinese babau, babó, babocia, bóu ecc. e tanti altri, tutti a mio parere affini del latino abavus «antenato» (venetico havos).
Per spiegare l'importanza della componente «insetto» in questa fenomenologia si deve riflettere a due cose: da un lato al ruolo centrale degli insetti nell'alimentazione delle popolazioni etnografiche e nella loro classificazione totemica (aspetto ora dimostrato dalla ricerca di Kutangidiku [1995] per lo Zaire), dall'altro al fenomeno della metamorfosi, che porta la larva a divenire crisalide e poi farfalla, fenomeno col quale gli uomini primitivi si sono certo confrontati, e che potrebbe aver fornito la base per la simbologia universale della «maschera».


FRANCESCO BENOZZO
NOMI TOTEMICI DELLA BALENA
IN AREA CELTICA
http://www.continuitas.org/texts/benozzo_balena.pdf

Tra i vari nomi usati nelle lingue celtiche per riferirsi alla balena, si registrano anche i seguenti tre:

irl. foraismor
irl. seanmháthair (co. Galway)
gael. cailleach mhara (Isola di Skye)1.

L’iconimo ravvisabile dietro di essi è quello della {VECCHIA}: foraismor è un composto di forais ‘(grande) vecchia’ e moir ‘mare’ (significa cioè ‘[grande] vecchia del mare’), cailleach mhara viene da cailleach ‘vecchia’ e mhara ‘mare’ (cioè ‘vecchia del mare’), mentre il primo significato di seanmháthair è quello di ‘nonna.
Tali nomi possono essere comparati con i seguenti, sempre usati come nomi della balena, e sempre di area atlantica: gallego (Ourense) vella (il cui primo significato è ‘vecchia’), nome che fa pensare a un’ulteriore correlazione – già individuata sul piano delle denominazioni totemiche – tra il gallego arco da vella ‘arcobaleno’ e it. arcobaleno ‘arcobaleno’, cioè ‘arco della balena’; e port. (São Pedro da Torre) grasseia, possibilmente da gran(de) ‘grande’ e celtico *sena ‘vecchia’: cioè ‘la grande vecchia’.
Va anzitutto ricordato che il tipo iconimico della della {VECCHIA} è uno dei più produttivi nell’ambito degli zoonimi e dei meteoronimi: numerose ricerche, specialmente svolte dagli studiosi che hanno operato e operano intorno ai progetti della rivista internazionale «Quaderni di Semantica», dell’Atlas Linguarum Europae e dell’Atlas Linguistique Roman, hanno individuato la figura della Vecchia dietro i nomi di fenomeni atmosferici
ed elementi naturali come l’arcobaleno, la nebbia, l’afa, le scintille, le nuvole, l’uragano, il tuono, il ronzio dei boschi, le slavine, le frane, le montagne, il sole, la luna, e di animali come il bruco, lo scarafaggio, la coccinella, la donnola, lo scricciolo, la farfalla, la lucciola, il grillotalpa, il lombrico, il ragno, il rospo, il pipistrello, il serpente, l’orso, vari tipi di uccelli.
...
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Berto » sab mag 31, 2014 9:46 pm

Vecia, vecchia, vetula, vieille, veglia, vella, velha, vecla, ...

gallego (Ourense) vella = vecia

Vecio
http://xref.w3dictionary.org/index.php?fl=it&id=34341

Nono
http://xref.w3dictionary.org/index.php?fl=it&id=20296


Dea xloena Celeia-Museo de Graz
https://picasaweb.google.com/pilpotis/D ... useoDeGraz

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... leia-c.jpg


Gebeleizis
http://en.wikipedia.org/wiki/Gebeleizis
Gebeleizis (or Gebeleixis, Nebeleizis) was a god worshiped by the Getae, probably related to the Thracian god of storm and lightning, Zibelthiurdos. He was represented as a handsome man, sometimes wearing a beard. The lightning and thunder were his manifestations. According to Herodotus, some Getae equated Gebeleizis with Zalmoxis as the same god.

http://cs.wikipedia.org/wiki/Gebeleizis
Gebeleizis (Zebeleizis) je dáckým bohem, panující blesku, hromu a bouři analogický řeckému Diovi či severskému Thórovi. Je také považován za podobu thráckého boha Zbelsurda. Jeho jméno je odvozován od indoevropského kořene *g°heib „světlo, blesk“ a şuer „řvát, hučet“.
Je mu připisován rituál popisovaný Hérodotem: „Tito Thrákové také střílejí z luku vzhůru do nebe proti tomu hromu a blesku a bohovi vyhrožují. Nepovažují za boha nikoho jiného než toho svého.“[1] Tento rituál však nejspíš není vyhrožováním bohu, ale nápodobou božského chování vůči démonům mraků.
Hérodotem byl také Gebeleizis ztotožněn se Zalmoxidem, a tato identifikace nejspíše proběhla i přímo vlivem kněží,[2] protože svatyně Sarmizegetuze a Costeşti mající nebeskou symboliku římští autoři připisují Zalmoxidovi, který nebeské rysy nevykazuje.


http://ro.wikipedia.org/wiki/Gebeleizis
Este posibil ca forma originală getă să fi fost Zebeleizis, după cum este de părere I. I. Russu. Deja Tomaschek recunoscuse în acest nume o paralelă cu zeul trac meridional Zibeltiurdos, identificând în Zbelsurdos tema *z(i)bel şi radicalul indo-european *g'heib, lumină, fulger. A doua parte a numelui, surdos, ar deriva de la rădăcina *suer, a mugi, a vâjâi. Astfel, cei doi zei, Zibelsurdos şi Zibeleizis (Gebeleizis), ar fi zei ai furtunii, comparabili cu Donar, Taranis, Perkùnas, Perunù.
În scrierile antice, Gebeleizis (ortografiat şi Beleizis şi Beleixis) apare numai în manuscrisele lui Herodot (484 î.Hr-cca.425 î.Hr) care afirmă că Zalmoxis este numit şi Gebeleizis de către unii dintre geto-daci.
Plecând de la afirmaţia lui Herodot, Kretschmer se străduieşte să lege etimologic pe Zalmoxis de Gebeleizis pe baza echvalenţei temelor zemele/gebele, ceea ce implică echivalenţa bazelor zamol- şi gebele. În sfârşit, Kretchmer vede în Gebeleizis numele trac şi în Zamolxis numele hibrid scito-trac al aceluiaşi zeu. Etimologia lui Kretschmer a fost respinsă de Russu şi de alţi savanţi, însă este considerată de Eliade ca având "meritul de a explica mărturia lui Herodot conform căreia geţii credeau într-un singur zeu numit de unii Zalmoxis, de alţii Gebeleizis." Arheologul Vasile Pârvan nu se îndoia de validitatea mărturiei lui Herodot, iar Jean Coman vorbea chiar de un monoteism daco-get.

http://en.wikipedia.org/wiki/Derzelas


Gebeleizis e Celeia xele varianse de Cibele e de la venetega Vebelei ???

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Vebelei
viewtopic.php?f=88&t=169




Da verefegar se ghè on ligo co la voxe:

Veleda

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... leda-c.jpg


http://www.continuitas.org/index.html
http://www.continuitas.org/texts/galloni_escursioni.pdf

da pajna 112
La mescitrice e la profetessa

Come è noto, le popolazioni celtiche conobbero nel corso del I millennio a.C. una fase di grande espansione in direzione dell’Europa centrale. Dal punto di vista archeologico, tale movimento coincide (???) con la diffusione della cosiddetta cultura del Vaso Campaniforme ??? (VC, III millennio), che prende il nome da una coppa utilizzata verosimilmente per le bevute collettive dei membri dei comitati portatori di una cultura elitaria e guerriera. Infatti, «i due tratti salienti che caratterizzano il modo di vita dei portatori del VC sono la bevanda alcolica e il cavallo».

L’espansione dei gruppi portatori della cultura del Vaso Campaniforme sembra riflettere prima l’emergere di gruppi di Celti elitari, altamente specializzati e selezionati all’interno delle varie comunità celtiche stesse, e poi la loro successiva infiltrazione negli strati più alti delle altre società dell’Europa centrale e mediterranea occidentale. Si tratta della prima fase di formazione dei quei ceti elitari di guerrieri, cavalieri, commercianti (e sacerdoti) che troveremo affermati nelle varie culture del Bronzo.
Sarebbero i Celti, di conseguenza, ad avere introdotto in Europa occidentale e centrale i nuovi tipi di metallurgia, il cavallo, l’aratro a carrello, nuovi tipi di carro, la ruota raggiata.

Tra le conseguenze culturali più rilevanti di questa espansione ci fu certamente l’approfondirsi dei contatti e degli scambi tra Celti e Germani, da sempre in contatto nella regione del Reno. Non a caso di lì a poco anche tra i secondi apparvero i segni della presenza di comitati guerrieri caratterizzati dal culto della coraggio e del valore bellico. È verosimilmente in questa fase che sia ambito celtico che germanico si strutturarono i cicli epici orali, variamente incentrati sulla figura di eroi valorosi, che verranno poi trascritti nel corso del Medioevo.
Vengo ora al punto. Le fonti letterarie e archeologiche relative a Celti e Germani dell’epoca compresa tra il V secolo a.C. e l’alto medioevo, segnalano talvolta la presenza all’interno del comitatus di una donna che cumula le funzioni di profetessa e mescitrice di bevande intossicanti, in primo luogo l’idromele.

Un esempio notevole è rappresentato da Veleda, la veggente che Tacito ricorda accompagnare i Bructeri, germani che occupavano la sponda orientale del Reno; il nome Veleda è stato interpretato da diversi studiosi in chiave celtica: esso corrisponderebbe all’irlandese fili e al gallese gwelet, da una radice avente il significato di ‘poeta’, ‘sapiente’. Alla luce dei prestiti celtici nella cultura germanica, Micheal Enright ha suggerito che anche la Wealhtheow del Beowulf (poema di ambientazione scandinava, ma di redazione geograficamente britannica) – la moglie di re Hrothgar che al banchetto prima serve il liquore ai commensali e poi sprona l’eroe affinché affronti con valore l’impresa che sta per compiere – possa essere una storpiatura
anglosassone di un prestito celtico corrispondente a Veleda.
L’apparizione della regina si colloca in un frangente dall’apparenza rituale:
Venne avanti Wealhtheow / la regina di Hrothgar, memore delle usanze / salutò ingioiellata gli uomini che erano a corte. / Poi la nobile signora porse il primo boccale al custode della patria […] / Fece poi tutto il giro la signora degli Helmingas / e ai veterani e ai giovani, di gruppo in gruppo / offrì la coppa preziosa.
Finché giunse il momento / che a Beowulf la regina ingemmata di anelli / e di mente cortese portò la coppa d’idromele.
Medb, la donna dell’idromele, non compare nelle vesti di veggente o mescitrice, ma pur sempre di regina associata a un esercito di guerrieri – né si tratta di un caso unico, basti pensare alla Budicca degli Iceni che si ribellarono ai Romani, o alla Gambara dei Longobardi.
Inoltre, nel celebre Táin Bó Cúailnge, Medb, pur non profetizzando personalmente, si rivolge proprio a una profetessa prima di lanciare all’attacco il suo comitatus.
La mia ipotesi conclusiva, finalmente, è che una figura femminile tradizionale pensata come moglie o figlia del leader della comunità, e il cui nome rimandava al miele per ragioni “paleolitiche”, sia stata “riciclata” in una veste rinnovata nel contesto dinamico delle trasformazioni culturali avvenute all’epoca dell’espansione del Vaso Campaniforme.


http://it.wikipedia.org/wiki/Grande_Madre
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Berto » mar giu 10, 2014 8:03 am

Bar- de barłume de barbajo variansa alotropa de par- de parir aparir, sparir ?

http://www.etimo.it/?term=apparire
Immagine

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... eo-504.jpg



Le 27 etimołoje globałi de Merritt Ruhlen

http://www.merrittruhlen.com/files/Global.pdf
http://en.wikipedia.org/wiki/Merritt_Ruhlen
de:
John D. Bengtson and Merritt Ruhlen

19
PAR ‘to fly’; ‘zołar/volare’
...
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Berto » mer giu 11, 2014 1:21 pm

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... is-439.jpg


Immagine

iubar, aris, n.,
1 splendore, fulgore, raggio, luce (spec. dei corpi celesti): cum Tithonia sustulit ter iubar suum, quando l'Aurora abbia diffuso tre volte il suo fulgore (= allo spuntare del terzo giorno), OV. Fast. 4, 944; fig. splendore, maestà: vultus flammeum intendens iubar, volto raggiante di vivida luce, SEN. Troad. 448;
2 per meton., corpo celeste; sole: iubare exorto, al primo spuntar del sole, VERG.; Lucifero, la stella del mattino, VARR.
• M. in ENN. e a.
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Sixara » mer giu 11, 2014 8:36 pm

Le bàtisuoxole! :idea:
Sta tento, segui el me rajonamento : na roba ca xola, de nòte e ke la xbarbàja.. on lanpezar a intermitentsa.. na luxe ca va e ca vièn.. podopo la sparìse, la xola via e no te la vedi pì : le bàtisuoxole! :D
Ga da èsare solo ke cusì, sinò no se spiega la n.19 de le 27 etimoloje.
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Berto » lun giu 23, 2014 12:32 pm

Suman (Monte Suman) - el monte sagro dei veneti – monte coxmego

https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... pOUG8/edit

viewtopic.php?f=45&t=125

Summanus, il dio dei fulmini notturni

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Berlin.jpg

Summano (Summanus), il dio dei fulmini notturni era una divinità minore assimilata a una manifestazione di Giove (o Zeus) che era la divinità del fulmine diurno.

http://www.tanogabo.it/mitologia/greca/Summanus.htm

Questo dio sarebbe stato importato a Roma insieme ad altri culti sabini dal re Tito Tazio.
Ogni 20 giugno, giorno del solstizio d'estate, ricorreva la festa di Giove Summano, il dio nell'atto di scagliare fulmini notturni, considerati molto più temibili di quelli diurni.
A Giove Summano venivano fatte offerte come un segno propiziatorio, prevalentemente si trattava di focacce di farina, latte e miele a forma di ruota, dette Summanalia. La ruota potrebbe essere un simbolo solare.

Un tempio in onore di Summano costruito nel 278 a.C. sorgeva a Roma. Nel 197 a.C. però questo tempio venne colpito da un fulmine. Si racconta che il fulmine colpì proprio la statua del dio, staccandogli la testa la quale cadde poi nelle acque del Tevere.

Questo fatto fu interpretato come se il dio pretendesse un tempio tutto suo; così lo ebbe e gli fu dedicato nel Circo Massimo.

Dopo aver avuto il proprio tempio, pare che Summano si staccò da Giove, per diventare uno degli dei Infernali, addetto ai fulmini notturni.

Secondo Marziano Capella (De nuptiis 2.164) Summanus è un altro nome per indicare Plutone come il "più alto" (summus) del Manes .

Questa identificazione è ripresa dai successivi scrittori come Camões ("Se nel regno tenebroso Summanus '/ punizione più severa ora sopportare ...") e Milton , in una similitudine per descrivere Satana in visita a Roma:
"Proprio così Summanus, avvolto in un vortice di fumo fiamma blu, cade su persone e città "

Sant'Agostino ricorda che in tempi precedenti Summanus era stato più elevato di Giove, ma con la costruzione di un tempio che era più magnifico di quello di Summanus, Giove è diventato più onorato...
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Berto » lun lug 07, 2014 8:17 am

I Sumeri łi ciamava ła cexa o santoario pì enportante de Lagash: Eninnu (tenpio dei çincoanta dèi) anzu (Acoiła çeleste) e babbar (spenxorante, splendente):

é-ninnu anzu babbar-ra-ni


Sumeri da łe cràpe nere
(migranti da i monti del Caocaxo come l’Ararat o da i monti de l’India come el Meru ?)

Da ła Montagna Coxmega de ła tera dei migranti a ła Ziqurrat ke ła reprodouxe/raprexenta ente ła nova tera mexopotamega piana, dexertega e sensa monti ke toke el çeło o caxa de Dio el Pare Nostro.


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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 10/kw7.jpg

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... /10/59.jpg
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Sixara » mar lug 08, 2014 8:18 am

Te la Toléta Xmeraldina a ghè scrito :
E' vero, senza menzogna, molto veritiero,
Ciò che è in basso , è come ciò che è in alto
E ciò che è in alto è come ciò che è in basso
Per fare dei miracoli di una cosa sola...


Lè vera, lè vera : cueo ca xe n alto el ghè anca n bàso e viceversa, e tuto se corisponde basta savere come conbinare el so alto col so bàso (e viceversa). Lè el pensiero analojco. El pensiero ca tièn el mondo ( in barba al pensiero sientifico).

So l Arcansièlo :
te la tradision cristiana el vien dà cofà el segno ke Dio, dopo la tenpestà, el vòe danòvo far paçe coi òmeni. El se ghea inrabià, Dio, pa cualke motivo ( el ghè senpre on motivo pa inrabiarse co i òmeni) e El ghea fato sentire la so Voxe, e El ghea mostrà el so Volto ( porasè inrabià). Podopo El ghe la mòla, El se stufa :
E Dio disse: Ecco il segno dell'Alleanza che Io metto fra voi e Me e fra voi e gli esseri viventi tutti che sono con voi per le generazioni a venire : io metto il Mio Arco nella nube ed esso diventerà un segno di alleanza fra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e l'Arco apparirà nella nube mi ricorderò dell'alleanza che c'è fra Me e voi e tutti gli esseri animati e le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni creatura. Dio disse a Noè : questo è il segno dell'Alleanza che io metto fra Me e ogni creatura che è sulla terra.
(Genesi,9,12-17).

El Segno de l Aleansa fra Dio e i òmeni: l Arco el difende i òmeni dal pericolo de le Acoe superiori, l Arca ( de Noè) la proteje le creature da le Acoe inferiori. L Arco par-desora el se zonta a cueo par-soto e i ghe dà forma a on bèl Cerchio Iridato.
Alto e Bàso e Tuto ca circola...: pensiero analojco. :D
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Re: Arcobalen, baleno, barlume, barbajo, lume, luxe, bianco

Messaggioda Sixara » mer lug 09, 2014 10:45 am

E i colori? Tel Zohar - el Libro dello Splendore - se dixe ke
Sette luci vi sono nell'Altissimo, ed è là che abita l'Antico degli Antichi, il Misterioso dei Misteriosi, il Nascosto dei Nascosti, l'En Soph.
Elora se l Arcansièlo l è el sinbolo de l Aleansa sacra fra El Santìsimo e l Mondo a vòe dire ke i 7 colori de l Arcobaleno i è fati de la so Eséntsa.
I 7 colori de l Arcobaleno i è la cifra del mondo : tuti i difarenti modi del conosare i pàsa pai colori . L òmo stéso l è on prixma ke l riflete le 7 Lùxe de L En-Sòf.
E te l Albore de le Sephiròt ogni una la ga el so colore, ligà a la so espresion specifica MA Malkut - el regno, ke l è l oltima n bàso la ga drento, cofà Kether- la corona , ke la xe la prima n alto, tuti i colori de l arcobaleno.
E cualo xelo sto colore oltimo ke l ga drento tuti kei altri? El bianco. Ma anca el nero.
(Kether de le volte la vièn dà cofà nera, parké la vien da l En-Soph, de le volte bianca. El nero lè el colore ca vien prima de la luxe, el colore de la jerminatsion prima de l esploxion de bianco de la creasion vera e propia.)
Mi, par mi, ga da èsarghe naltro colore, ke nol xe el nero e nol xe el bianco. On colore ke nol xe on colore parké lè in-penetrabile.

L. Galzigna, " Luce e colori" in : NATURA DELLA REALTA’ ,REALTA’ DELLA NATURA e-book :
http://www.psychiatryonline.it/sites/default/files/LAUROGALZIGNA2.pdf

L Albore de la Vita co le Sephirot
http://it.wikipedia.org/wiki/Sephirot
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