baleno,
s. m. ‘folgorio prodotto dalla luce su una superficie lucida’ (prima metà sec. XIII, Ugieri Apugliese).
Locuzioni:
in un baleno, fig. ‘in un attimo’ (av. 1484, L. Pulci).
Derivati:
balenare,
v. intr. ‘lampeggiare’ (1282, Ristoro), ‘splendere all'improvviso’ (av. 1321, Dante), fig. ‘apparire subitamente’ (1822, I. Pindemonte),
balenio,
s. m. ‘atto del balenare continuo’ (1857-58, I. Nievo).
Forse tutti da balena, che nel piem. della Val Soana vale anche ‘baleno’, come baleno può valere ‘balena’, già, secondo il Berg. Voci, in S. Gregorio volgar., sec. XIV; cfr. 1835, G. Belli: osso-de-bbaleno, son. 1628, e pesce baleno; parallelamente il provz. e il lomb. dalfì designano tanto il ‘delfino’, quanto il ‘lampo’, e così il sardo icru marinu ‘vitello marino’ e ‘lampo’. Su questo punto molti studiosi si trovano d'accordo: V. G. Rohlfs in ZrPh LXVIII (1952) 294-299, che rigetta particolarmente la proposta di K. Heisig (RF LXVII [1950] 75-76) di una der. di balenare da *belenare, cioè il ‘lampeggiare’, come opera del dio gallico del sole Beleno, solo successivamente modificato in balenare per interdizione linguistica del diretto accenno alla divinità. La questione è stata complessivamente ripresa e, diremmo, risolta con l'equivalenza ‘(guizzare del) lampo’ < ‘(guizzare dell') animale marino’ dal Bambeck 116-123, ma il LEI IV 508-70 non abbandona l'aggancio alla base preromana *bal-/*bel- ‘lucente’. V. dello stesso autore, altri elementi d'appoggio in ZrPh LXXVII (1961) 331-333.
Bibliografia:
Gli elementi essenziali in IL I (1974) 141-147 (G. Frau), fra cui, oltre ai citati, l'art. di G. Alessio, The Problem of Balenare, in “Word” VII (1951) 21-42.
bagliore,
s. m. ‘luce subitanea che abbaglia’ (av. 1400, F. Sacchetti).
Vc. di orig. discussa, anche se si fa, in ogni modo, risalire al lat.: ma variu(m) ‘vario’ è foneticamente difficile e *baliu(m) (da un incrocio fra badius ‘baio’ e il gr. phaliós ‘splendente’) è piuttosto complicato, pur spiegando il den. abbagliare. Il LEI IV 1039-1040, scartate altre ipotesi, sceglie “un preromano *balyo- ‘lucente’, forse di origine celtica”. L'allargamento in -ore è dovuto al suff. proprio degli astri.
baluginare,
v. intr. ‘veloce apparire e sparire di cosa o persona’ (balugginare: av. 1756 (LN VIII [1947] 68) e av. 1767, I. Nelli, ambedue fonti – si noti – senesi, anche se poi il Fanf. Tosc. dichiara balugginare comunissimo a Pistoia; baluginare: 1865, TB), fig. ‘presentarsi alla mente in modo rapido e confuso’ (1920, A. Soffici).
La vc. – assieme a balùggine (che i vocabolari riportano senza attest. e il TB ignora) – sembra appartenere alla famiglia di luce, ma la documentazione, prevalentemente moderna, pone non pochi dubbi sulla sua diretta der. lat., anche se posta su altre basi: *bal- per il Voc. Acc., *baluga per il DEI (ma G. Alessio ha, poi [RLiR XVIII (1955) 19] cambiato idea, preferendo il lat. albugine(m) ‘macchia bianca dell'occhio’, che starebbe anche alla base della loc. fior. aver le lubégine ‘aver le paturne, aver le lune’), *baluce × caliginare per Devoto Avv., che supererebbe così il forte scarto semantico (“Romania” LXXIII [1952] 523), *lucinare per Migl. della St. lin. 23, ma incerto nel Migliorini-Duro, bis- *lucinare nel VEI. V., comunque, il VDSI, *balluc- (con var.) per il LEI IV 909-910.
luce,
...
Lat. luce(m) ‘luce’, e, più intensamente, la ‘luce del giorno’ e il ‘giorno’ stesso di amplissima estensione indeur. col sign. primitivo di ‘brillare’. Molti allargamenti semantici sono di epoca ant., altri mod. e contemporanei. “Invece la metonimia luci: occhi ..., sebbene usata spesso dal Petrarca, risale fino al latino ed era nel volgare piuttosto comune tanto da trovarsi anche nelle poesie popolareggianti dello stesso Poliziano” (Poliziano Stanze 118).
lume,
...
Lat. lumen, dalla rad. indeur. *luc- ‘splendere, brillare’ che nel lat. dei Vangeli si pone come sin. di ‘luce’ (AGI XXI, 1927, 79). Alcuni esiti dial. it. presuppongono anche un f. illa lumen (G. Rohlfs, in Studi Schiaffini II 945). Nel secolo dei lumi si vede chiaramente il calco dal fr. siècle des lumières, ma anche in altri impieghi lume, pur ant. parola it., rispecchia l'uso settecentesco fr. (cfr. un paio d'es. nel Magalotti Rel. 47 e 250; V. anche Serianni Norma 182). Lumiera (anche lumera ‘luce’ nella Scuola poetica sic.: BCSFLS II, 1954, 100-101) risale pure al lat. luminare, passando, però, attrav. il fr. lumière (provz. ant. lumera) ‘lampada a mano, candeliere’, ‘luce’ (dal sec. XII). Luminare è dell'antichità class. col senso di ‘apertura per far luce’ e come ‘abbaino’ s'incontra spesso nei dial. it. sett. (ID XIII, 1937, 80 n. 1 e 124), mentre nel lat. della Chiesa ha sviluppato il sign. di ‘astro’, usato anche dai poeti it. del sec. XIII, come B. Latini e C. Davanzati (Zürcher 183). Il collettivo luminaria è già doc. col lat. mediev. (700 ca.) nel sign. di ‘luci portate nella processione di un santo’. Per essere al lumicino V. la spiegaz. tradiz. ss. vv. allampanato e candela (ripetuta anche da Fanf. Tosc. e già proposta nelle Note al Malmantile (1688): “Essere al lumicino. Vuol dire esser in estremo di vita; e viene dall'uso, che è nello Spedale di S. Maria Nuova di mettere un piccolo lume a un Crocifisso al letto di coloro, che sono agonizzanti. Si dice ancora: esser alla candela”. Si può ricordare anche l'altra spiegaz.: “chi assisteva il moribondo, per sincerarsi se era morto o viveva ancora, gli accostava un lume o una candela alla bocca per vedere se respirava, nel qual caso il respiro faceva tremare la fiamma”, C. Lapucci, ‘Per modo di dire’, Firenze, 1969, p. 169). Però, a favore della precedente spiegaz. si può ricordare il lucchese essere al lumen Christi ‘in fin di vita’, dove lumen Christi è la ‘candelina benedetta che si accende nell'agonia’ (I. Nieri, Scritti linguistici, Torino, 1944, p. 402).
bianco...
Germ. blank ‘bianco’, orig. ‘lucente’, ma, forse, più esattamente longob. (un cogn. Blanco è doc. in Garfagnana nel 716: Migl. St. lin. 78 in nota) e, forse, applicato per prima al pelame dei cavalli; e, forse, già prima delle invasioni barbariche (SLI XI [1985] 15-16). In molti casi bianco denota l'assenza di qualche elemento, designa, di due situazioni, quella non marcata: voce bianca ‘senza timbro’, notte bianca ‘senza sonno’, matrimonio bianco ‘senza consumazione’, e così via.
barlume,
s. m. ‘luce incerta che non permette di vedere con chiarezza’ (1353, G. Boccaccio; birlume: 1554, M. Bandello), ‘inizio debole e confuso’ (1659, D. Bartoli).
Prob. da lume con il pref. bar- di altre vc. consimili (V. barbàglio; e barbüsí ‘luccicare, scintillare’ nel VDSI).
barbaglio,
s. m. ‘abbagliamento prodotto da luce intensa’ e ‘lampo improvviso di luce’ (1360 ca., Chiose sopra Dante).
Derivati:
barbaglio,
s. m. ‘bagliore intenso e ripetuto’ (av. 1850, G. Giusti).
Poco attendibile l'ipotesi di A. Pézard (“Romania” LXXIII [1952] 523), che lo collega in qualche modo al lat. papilio ‘farfalla’ attraverso il den. barbagliare ‘splendore di luce viva’, che troverebbe il suo esatto corrispondente nel fr. papilloter ‘emettere dei riflessi vivi e tremolanti’ (appunto da papillon ‘farfalla’ = lat. papilione(m)). Piuttosto dal *baglio, che troviamo in abbaglio, bagliore, sbaglio, col pref. bar-.
pallido,
agg. ‘privo del suo colorito naturale’ (palido: av. 1292, B. Giamboni), ‘tenue, scialbo’ (palido ‘color della biacca’: 1305-06, Giordano Quar.), ‘debole, evanescente’ (1871, TB).
Locuzioni:
non aver la più pallida idea di q.c. ‘non saperne assolutamente nulla’ (“Se i più, per esempio, avessero almeno una pallidissima idea di quel che significhi studio delle ragioni supreme delle cose”: 1877, E. De Marchi, Varietà e inediti, Milano, 1965, II 147; una pallida idea: 1905, Panz. Diz.; non avere la più pallida idea: 1969, Passerini Tosi).
Derivati:
pallidezza,
s. f. ‘pallore’ (1344 ca., G. Boccaccio).
Vc. dotta, lat. pallidu(m), da pallere ‘essere pallido’ (d'orig. indeur.). “Pallido: per confuso, tenue, debole, non determinato in senso figurato, è estensione, verosimilmente dedotta dal francese (pale = sans force). Es. una pallida idea” (1905, Panz. Diz.).
albus, a, um, agg.,
1 bianco (opposto ad ater): alba discernere et atra, distinguere il bianco dal nero, CIC.; espress. proverb.: albus an ater (homo) sis nescio, non so se tu sia bianco o nero = non ti conosco, CIC. e a.; opposto a niger: quae alba sint, quae nigra, dicere, dire quali siano le cose bianche e quali le nere, CIC. Div. 2, 9; vestes albae (bianche), OV.; alba avis, uccello bianco = cosa rara, CIC.; Sisennas, Barros, ut equis praecurreret albis, da superare di larga misura i vari Sisenna e Barri (la velocità dei cavalli bianchi era proverbiale), HOR. Sat. 1, 7, 8; errori album calculum adicere, approvare un errore, PLIN. Ep. 1, 2, 5; album plumbum, stagno, CAES.;
2 pallido: corpore albo, di carnagione pallida, PL. e a.; tacent et albus ora pallor inficit (e un bianco pallore tinge i visi), HOR. Epod. 7, 15;
3 chiaro, sereno: sol albus (chiaro), ENN.; in senso attivo: albus Notus, il Noto rasserenante, HOR. Carm. 1, 7, 15; alba (propizia) nautis stella refulsit, HOR. Carm. 1, 12, 27; fig. albae sententiae, pensieri nitidi, SEN. RH. Contr. 7 praef. 2
[cf. gr. alphós].
baluca, ae, f. e balux, ucis, f.,
sabbia d'oro, IUST.
claro, as, avi, atum, are, 1 tr.,
illuminare: clarabat sceptra, faceva risplender lo scettro, CIC. Div. 1, 21; fig. rendere evidente, spiegare, LUCR. e a.; rendere illustre, famoso, HOR. Carm. 4, 3, 4
[clarus + -o3].
clarus, a, um, agg.,
1 di suoni, chiaro, distinto, squillante; rispetto alla vista, chiaro, lucente, luminoso: claro plangore, con risonanti colpi, OV. Met. 4, 138; claris (risonanti) latratibus, OV. Met. 13, 806; voce clara, con voce chiara (o squillante), CIC.; stellae clarissimae (luminosissime), CIC.; claro vitro, in trasparente vetro, OV. Met. 4, 355; pater omnipotens... clarus... intonuit, Giove tuonò a ciel sereno, VERG. Aen. 7, 142; clarus Aquilo, l'aquilone serenatore, VERG. Georg. 1, 460;
2 fig. chiaro, manifesto, evidente; illustre, famoso, insigne, celebre: res erat clara (manifesta o nota), CIC.; clarus vir, uomo illustre, CIC. e a.; clarus genere, illustre per nascita, LIV.; clarus in aliqua re, segnalato in qualche cosa, CIC.; clarus ex aliqua re o ab aliquid, illustre per qualche cosa, CIC., HOR.; raro col gen.: clarissimus artis eius, il più rinomato in quell'arte, PLIN. 37, 8; populus luxuria clarus (ben noto per...), LIV. 7, 31, 6
[cf. 1. calo].
® App. Ling. 3, famoso