Volpare/bolpare, volparoni, Volpago, Volpegara

Re: Volpare/bolpare, volparoni, Volpago, Volpegara

Messaggioda Sixara » gio mag 26, 2016 6:57 pm

Fino a qualche decennio fa non era infrequente vedere, ormeggiati lungo le rive del Po e dell’Adige, i mulini natanti, impianti molitori mobili montati su barconi detti “Sandoni”.
Da secoli inseriti nel paesaggio rurale Polesano, tali impianti, furono sempre osteggiati dalle autorità idrauliche per gli impedimenti che essi procuravano alla navigazione e all’irrigazione con le loro “roste”, “volpare”, “peneli” .

Giovanni Beggio, ke l ga scrìto on libro so i Mulini natanti dell'Adige, el riporta anca na serie de parole da naltro autore - Raffaello Brenzoni - ke l ga scrìto anca lu so I mulini a Verona dall'Alto Medio evo al secolo XIV; se dixe ke la rosta, tel veronexe, la jera "lo sbarramento" ke i ghe faxea pardavanti de l molìn pa frenare la corente de acoa. Pardedrio de la rosta a se fermava de i "ammassi" de detriti, ke ogni cual volta i vegnea tirà via.
El penèlo sarìa naltro modo pa ciamare "la trave di sbarramento oltre a quello di ròsta". E 'lora mi capìso ke ròsta e penèlo i è la stésa roba.
El scrive Beggio ke no se ghea tanto paura de le piène de primavera/autuno ( ke tanto el molìn l è natante e l se al'za e l se xbàsa pardesora de l acoa), ma de tuta kela roba ca se porta drìo la corente : i tronki de àlbori soradetuto ke i ndàva incoste a i sandoni o la roa, ke l è porasè delicata. E lora el molinàro el dovea starghe tènto, soradetuto a i tronki gròsi e pararli via, ma anca tute altre robe ca ndaxea rostarse davanti la roa. El doparava on sponcion, na pèrtega co la ponta de fèro, o sinò el granfio, na pèrtega co la ponta a arpione, cofà na fiocina.
D inverno a ghe jera pericolo de le beà'ze, i lastrùn de jà'zo pexanti ke co la corente i vegnea inzo e , danòvo, i ghea n mente pa la roa e l antàn. E lora i ghe metea on sandon'zèlo pardavanti la sandona e "quindi si dispone sull'acqua, obliquamente tra il davanti del sandonzèlo e il davanti dell' antàn, una grossa trave, lungo la quale le beàze scivolano e vengono dirottate verso la parte interna del fiume."

No se dixe de volpàre.
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Re: Volpare/bolpare, volparoni, Volpago, Volpegara

Messaggioda Sixara » mar mag 31, 2016 7:43 pm

Beggio , tel so Vocabolario polesano, la volpara el la descrive come na gabbionata e l te manda anca a bùrega : 1. fascina, fascio di ramoscelli e sterpi. Anche buregòzo 2. salsiccione, salame insaccato in budello ampio e storto 3. gabbione con pietre e legname che viene posto all'interno degli argini di un fiume (Adige o Po), per la difesa dall'erosione dalle acque, laddove gli stessi sono a froldo, cioè senza golena. Vd. anche volpara.
Gabbioni i è. Gàbie piene de pière e altre robe pa inpinirle, ben stufinà, inburegà.

Come se dixe da ti erosione? Pènsaghe e te cati el drìto anca pa la roxolìna. :)
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Re: Volpare/bolpare, volparoni, Volpago, Volpegara

Messaggioda Berto » mer giu 01, 2016 4:13 pm

Cfr. co:

vołega o ołega


http://www.comune.maranolagunare.ud.it/ ... p?id=14339
Vołega -rete più robusta del'acchiappa farfalle. Gino, passeme ła vołega ke takemo vołegà łe sardełe.

http://www.nauticlub11.com/HN-XIX-1-ValliPesca.htm
Vołega: rete di piccole dimensioni con lungo manico, più o meno cilindrica, che serve a raccogliere il pesce.

http://www.cirspe.it/pubblicazioni/1414077873.pdf
119 Coppo
Particolare tipo di rete da raccolta di piccole dimensioni. La rete è sostenuta da una intelaiatura fissa che viene manovrata per mezzo di un manico. Altri termini: Volega, Voliga, Retino a mano, Coppa, Guadino, Vuolega, Algarello.

La pesca tra mare e laguna
http://www.regione.veneto.it/VenetoGlob ... idNews=538

La storia della pesca con “seragia” ha una storia molto antica a Venezia. Basti pensare che già nel 1261 la gestione e la regolamentazione erano affidate alla Giustizia Vecchia. Alla pesca con “seragia” risalgono inoltre i diversi soprannomi affidati ai pescatori; tradizione, questa, ancora radicata a Burano, Pellestrina e Chioggia. La pesca con seragia prevedeva l’uso di reti a maglia fitta lunghe anche oltre un chilometri e alte 130 cm. Prima della posa delle reti venivano fissati nel fondale dei pali allo scopo di tenere in posizione verticale le stesse; il pesce entrava dall’apertura e per tutta la durata dell’alta marea cercava una via d’uscita tra i cogolli creati (dei cunicoli); con l’arrivo della bassa marea il pesce rimaneva intrappolato e i pescatori lo raccoglievano con la “volega da seragia”, un attrezzo di forma triangolare ricavato da un palo tagliato longitudinalmente a metà per un terzo della sua lunghezza e alla cui estremità è fissata una assicella; completa lo strumento una rete per raccogliere il pesce.

Mestieri

Il mare, le lagune, il Delta del Po sono territori affascinanti, che si dipingono di colori, odori, rumori e vegetazione diversa a seconda delle stagioni. Il litorale veneto del mar Adriatico è conosciuto ai più come spiagge, locali notturni, divertimento e vacanze ma, in realtà, non è solo questo. È la faccia mondana e patinata, commerciale.
Quando si parla di isole, lagune, di tradizioni i più perdono l’orientamento dei discorsi: solo pochi profondi conoscitori delle acque venete sanno mantenere la giusta rotta. E i maestri delle acque venete non possono che essere i pescatori che ogni giorno, da secoli, salpano dai diversi porti e porticcioli per assicurare il pescato sulle tavole di tutta Italia.
I mestieri della pesca in Veneto sono nove, naturalmente distinti tra pescatori di laguna e pescatori di mare. La pesca in laguna si suddivide in sei tipi: il seragiante, il molecante, il vallicoltore, il novellante, il mitilicoltore, il caparossolante; tre, invece, i lavori di pesca in mare: lo strascicante, il ramponante, e, infine, il vongolaro. Nonostante i diversi metodi e l’evoluzione tecnologica di ogni specializzazione della pesca il lavoro di pescatore rimane ancora oggi uno dei lavori più duri e faticosi.
La storia della pesca con “seragia” ha una storia molto antica a Venezia. Basti pensare che già nel 1261 la gestione e la regolamentazione erano affidate alla Giustizia Vecchia. Alla pesca con “seragia” risalgono inoltre i diversi soprannomi affidati ai pescatori; tradizione, questa, ancora radicata a Burano, Pellestrina e Chioggia. La pesca con seragia prevedeva l’uso di reti a maglia fitta lunghe anche oltre un chilometri e alte 130 cm. Prima della posa delle reti venivano fissati nel fondale dei pali allo scopo di tenere in posizione verticale le stesse; il pesce entrava dall’apertura e per tutta la durata dell’alta marea cercava una via d’uscita tra i cogolli creati (dei cunicoli); con l’arrivo della bassa marea il pesce rimaneva intrappolato e i pescatori lo raccoglievano con la “volega da seragia”, un attrezzo di forma triangolare ricavato da un palo tagliato longitudinalmente a metà per un terzo della sua lunghezza e alla cui estremità è fissata una assicella; completa lo strumento una rete per raccogliere il pesce. Le imbarcazioni più usate per questo tipo di pesca erano la caorlina, il topo o il sandalo; i giorni di pratica sono la primavera e la prima parte dell’estate. La pesca a seragia oggi è stata sostituita dalla pesca con le “tresse” e i cogolli (bertovelli). Il sistema di pesca è simile a quello con seragia in quanto prevede l’impianto di pali e la raccolta del pesce catturato nei bertovelli; la tressa, al contrario della seragia che viene rimossa dopo pochi giorni, rimane fissa in laguna per molti mesi e i pescatori ogni giorno raccolgono il pesce catturato. Diverse le specie catturate grazie a questa tecnica passiva: pesci come latterini, gò, passere e cefali; crostacei quali granchi, gamberetti, e schille; e seppie (molluschi).
Anche il molecante è uno dei mestieri più antichi praticati a Venezia. Questi pescatori si occupano di raccogliere le “moleche”, ossia i granchi che stanno compiendo la muta e hanno già perso quella vecchia ma non ancora ricostruito quella nuova, e le “mazanete”, le femmine dei granchi. Si tratta di un’attività stagionale (marzo – maggio e ottobre – dicembre) che il più delle volte va ad integrare altri tipi di pesca e consente al pescatore di arrotondare i guadagni. All’inizio della stagione si raccolgono i granchi con le reti da posta o le reti a strascico e si procede alla selezione degli esemplari: gli “spiantani”, esemplari che matureranno in pochi giorni, vengono separati dai granchi “boni”, che matureranno in qualche settimana, e da quelli “matti”, ossia che non matureranno in quella stagione. L’abilità del molecante sta nel riconoscere le tre diverse categorie che, alla fine della divisione, sono posizionate in diversi “vieri” o rigettati in laguna (quelli matti). I vieri vengono issati su strutture apposite (vivai) formate da pali piantati sul fondale e da pali fissati trasversalmente. I granchi boni vengono controllati a intervalli di alcuni giorni: 5-10 giorni in primavera mentre in autunno ogni venti giorni in quanto con il diminuire della temperatura dell’acqua rallenta la crescita; il controllo degli spiantani avviene due o tre volte al giorno per raccogliere le moleche ed evitare che ricominci il processo di calcificazione del guscio (durante questa operazione i vieri vengono ripuliti dai granchi morti e dalle exuvie, gli esoscheletri). A praticare l’allevamento dei granchi sono principalmente pescatori di Burano, della Giudecca, di Pellestrina, Codevigo e Chioggia.
La terza attività di pesca è la vallicoltura, una sorta di “pascolo” per la crescita dei pesci contenuti. La vallicoltura è il punto di arrivo dell’affinamento di diverse forme di allevamento dei pesci nei bassi fondali lagunari. Inizialmente le valli da pesca erano spazi di laguna recintati da canne e pali di facile rimozione; in seguito i pescatori sono passati alle valli a seragia, cioè valli completamente recintate da palizzate di “grisiole” (canne) in cui l’acqua cresceva e decresceva a seconda del movimento delle acque della laguna. Lo svantaggio delle valli a seragia consiste nel fatto che il pesce si può raccogliere solo a fine anno. Ultima evoluzione sono le valli arginate: sono gli argini che separano nettamente l’acqua salmastra della valle dall’acqua della laguna che rimane così all’esterno. L’acqua circola all’interno grazie ad un sistema di canali regolati tramite chiaviche che mantiene il livello dell’acqua attorno ai 40 – 60 cm. Durante l’inverno gli avannotti catturati vengono immessi nel “seragio del pesce novello” dove rimangono due mesi per acclimatarsi; i pesci passano poi attraverso le chiaviche e fino all’autunno circolano nei diversi bacini. I canali permettono di condurre il pesce nel canale principale e da qui nel canale di “vegnua”, vicino al “colauro” dove avviene la raccolta in autunno. I “lavorieri” sono le strutture che permettono di catturare il pesce. Le specie allevate spaziano dall’orata, ai branzini, ai cefali, ai gobidi per finire con il granchio comune, i gamberetti e le schille.
Perché il pesce possa essere inserito nelle valli da pesca deve essere catturato allo stadio di avannotto (pesse novello). E a compiere questa attività sono i novellanti che ogni marzo avviano, per tre mesi, la raccolta dei piccoli pesci. La raccolta del novellame è stata tramandata da generazioni di padri ai propri figli e oggi solo sessanta pescatori, nelle lagune di Caorle e Venezia, sono abilitati a questa professione. Due pescatori “armati” di reti fitte scendono dalla barca e si dispongono alla distanza di dieci metri; trascinano le reti sul fondale per formare un sacco e dopo aver concentrato gli avannotti li raccolgono con la “pelela” (retino a racchetta). Ogni specie viene separata e messa in differenti mastelli di plastica; l’acqua dei mastelli viene frequentemente cambiata in modo da garantire sempre l’ossigeno ai pesci; infine, il pesce novello viene immesso nelle “buse” (buche) e lì rimane fino al momento del trasferimento in valle.
Tra i cibi preferiti dagli amanti del pesce troviamo anche i mitili, noti in Veneto come “peoci” (cozze). La tecnica dell’allevamento in sospensione dei mitili venne insegnata ai veneziani dai pescatori di Taranto, che a loro volta l’avevano mutuato dai francesi. Ma mentre in passato venivano allevati anche in laguna e all’interno di Venezia (all’Arsenale), oggi gli allevamenti sono concentrati tra Malamocco e Chioggia in mare aperto. Le tecniche di allevamento in vivaio si distinguono in sistema fisso, sistema flottante e triestino. Nel sistema fisso viene composta una “camera” di forma quadrata (i lati vanno da 4 a 7m di lunghezza) che viene poi ripetuta. Gli apici di ogni camera sono dei pali di ferro zincato. La disposizione moderna del vivaio prevede l’allestimento di sedici camere, chiamate “cinque filari”; ai lati di ogni camera sono poste delle doppie tire di corde mentre in diagonale viene sistemata una corda singola. Alle funi portanti sono legate le reste dei mitili, fatte di reti di plastica a calza tubolare. I sistemi off shore, sistema flottante, sono filari di lunghezza variabile da 800 a 2000 metri posti a qualche miglia dalla costa, parallelamente alla stessa. Le reti con i mitili sono reti tubolari di polipropilene lunghe fino a 5 metri che rimangono semi-sommerse. Nel sistema triestino i filari sono a doppia o a tripla ventia.
Ultimo tipo di pesca in laguna è la pesca dei molluschi compiuta dal caparossolante. “Ostreghe” (ostriche), “peoci” (cozze), “capetonde”, “capesante”, “cape da deo” erano molluschi comuni presenti nei bassifondi lagunari o nelle terre non toccate dall’acqua durante la bassa marea. La pesca delle cape avviene con un barchino dotato di rusca e in zone con una profondità non superiore al metro e mezzo. La rusca è una gabbia che viene fissata alla barca e calata in acqua, grazie ad un motore ausiliario, per raschiare il fondo: sul fondo e sui lati della gabbia si trovano dei tondini di ferro, in fondo viene montata la rete per trattenere il pescato. Un'altra modalità prevede l’uso della draga (rastrello vibrante) che permette di spingersi fino a bacini con profondità superiore ai due metri; anche in questo caso si tratta di una gabbia di ferro con tondini laterali; rispetto alla rusca però pesa molto di più e arriva fino a 600 chili.
La pesca in mare si svolge con imbarcazioni ben più grandi rispetto a quelle utilizzate per la pesca in laguna.
Lo strascicante usa la “coccia”, rete introdotta in Italia nel 1790 a Pescara e poi trasmessa ai pescatori di Chioggia. Inizialmente due barche a vela trainavano la rete lunga venti metri e larga da 50 centimetri a 3 metri nella parte centrale. I pescatori rimanevano in mare per lunghi periodi e un “portolante” faceva la spola dal porto alla barca per prelevare il pescato e riportarlo a riva per il commercio. L’introduzione del motore a scoppio ha portato all’estensione delle aree di pesca, alla meccanizzazione delle attrezzature di bordo e alla riduzione dei tempi di permanenza in mare dei pescatori. Pesce azzurro (sardine, sgombri, acciughe), cefali, aguglie e nelle vicinanze del fondale seppie, rombi, sogliole, canocchie, moscardini, triglie e rane pescatrici. Attualmente la rete raggiunge i cinquanta metri di lunghezza e le barche procedono lentamente avvicinandosi al banco di pesci individuato grazie al sonar. La rete rimane in acqua per almeno 45 minuti e arriva al massimo a due ore; successivamente si procede alla cernita del pesce che viene fatta manualmente e alla posa del pescato nelle cassette di polistirolo o legno ricoperte di ghiaccio.
Completamente diversa è la pesca con il rampone o “rapido”. Il rapido è formato da due slitte con la funzione di sostenere l’attrezzo sul fondale, il depressore (una tavola in legno che funge da spoiler) che conferisce aderenza e i “denti”che raccolgono le specie ittiche dal fondo marino. Vengono raccolti quotidianamente cappesante e canestrelli, sogliole, passere e rombi, seppie, gamberi, granceole, scampi e ogni specie che abita il fondale adriatico. L’utilizzo del rampone (oggi ogni barca ne usa fino a tre contemporaneamente) ha prodotto l’impoverimento e la distruzione del fondale marino in quanto l’operazione compiuta da questa macchina è una vera e propria aratura.
Ultima “professione marina” è il “vongolaro”. Originariamente la pesca delle vongole non creava grandi guadagni in quanto la vongola era considerata il cibo per i poveri; dagli anni ’80 però la vongola adriatica, grazie all’introduzione delle draghe idrauliche, e ai favori del mercato ha vissuto un vero e proprio boom economico balzando al primo posto nelle attività di pesca. La pesca delle vongole avveniva tramite la cala dell’ancora a cinquanta o sessanta metri dalla prua; il verricello manuale consentiva di riavvicinarsi al punto in cui si trovava l’ancora ed il rastrello nel frattempo raccoglieva le vongole; la cernita era un’occupazione femminile e le donne rimanevano alzate fino a tarda notte per dividere le vongole. Una volta introdotto il verricello a motore la pesca divenne più rapida, redditizia e permise la cernita direttamente in barca; infine, nel 1974 venne introdotta la draga idraulica. Questo collaudato strumento si infossa e setaccia il fondale per 5 cm di profondità; i getti d’acqua delle pompe lavano il prodotto e gli scarti vengono rigettati in mare; in un’ora si effettuano più di sei cale.
La tecnologia, così come ha cambiato la maggior parte dei lavori umani, ha cambiato anche il lavoro del pescatore trasformando le tradizioni e l’ambiente. Se le condizioni di lavoro, pur rimanendo impegnative, sono mutate in meglio non vale la stessa considerazione per l’ambiente lagunare e marino che è messo a dura prova dai continui prelievi di pesce e dall’abusivismo. Nonostante la maggior regolamentazione del mercato si rendono necessari, in un futuro vicino, interventi atti a salvaguardare la flora e la fauna del Mar Adriatico. Per garantire la sopravvivenza delle specie marine e, perché no, per permettere a tutti i buongustai di “leccarsi i baffi” davanti a un piatto di spaghetti allo scoglio.

Le informazioni riguardanti i mestieri della pesca sono tratte dal libro “Mestieri della pesca nella Regione Veneto”, progetto finanziato dalla Regione del Veneto ai sensi della L. 41/82 VI piano territoriale della pesca e dell’acquacoltura misura 1; accordi di programma Dgr 3472 del 05/12/2003 e Dgr 2742 del 10/09/2004.
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Re: Volpare/bolpare, volparoni, Volpago, Volpegara

Messaggioda Berto » mer giu 01, 2016 4:23 pm

Cfr. co:

Immagine

volva (vulva), ae, f.,
1 vulva, matrice, VARR. e a.; vulva o ventre di scrofa, vivanda assai pregiata nei banchetti romani, HOR., PLIN., MART. e a.;
2 involucro (di vegetali), PLIN. e a.

volumen, inis, n.,
1 rotolo di un manoscritto, volume, libro, scritto, opera: totum volumen implere, riempire tutto un volume, un libro intero, CIC. Div. 2, 115; explicare volumen, srotolare un manoscritto, dispiegare un volume, CIC.; libri tres in sex volumina divisi, tre libri divisi in sei volumi, PLIN. Ep.; in partic., libro (come parte di un'opera in più libri): tertius dies disputationis hoc tertium volumen efficiet, la conversazione del terzo giorno fornirà la materia di questo terzo libro, CIC. Tusc. 3, 6;
2 avvolgimento, giro, vortice, spira: volumina fumi, vortici di fumo, OV. Met. 13, 601; incurvatura (di onde marine), LUC.; curva, curvatura: volumina crurum, le curvature delle gambe = le gambe, VERG. Georg. 3, 192; massa inviluppata (dei cesti da pugilato), VERG. Aen. 5, 408; giro = movimento di rivoluzione: caelum sidera celeri volumine torquet, il cielo muove le stelle in rapido giro, OV. Met. 2, 71;
3 fig. al pl., vicissitudini, PLIN. 7, 147
[volvo + -men].
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