Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:07 pm

Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:08 pm

L'inferno è una credenza non solo cristiana ma anche pagana e di molte altre religioni

Inferno
https://it.wikipedia.org/wiki/Inferno
Inferno è il termine con il quale si è soliti indicare il luogo di punizione e di disperazione che, secondo molte religioni, attende, dopo la morte, le anime degli uomini che hanno scelto in vita di compiere il male.
Il termine "inferno" deriva dal latino infernu(m) quindi da inferus (infer) nel significato di "sotterraneo", quindi correlato al sanscrito adhara, gotico under, avestico aẟara, quindi dall'indeuropeo *ndhero col significato di "sotto" (da cui l'inglese under, il tedesco unter, l'italiano inferiore o anche infra). La presenza della f, presente solo nel latino e nei termini da questo direttamente derivati, è per influenza dialettale osca dalla quale i Romani ereditavano la credenza che l'entrata nell'"inferus" (qui inteso come il mondo di "sotto", dove "sono" i morti) si collocasse nei pressi di Cuma.
Il termine "inferno" viene tuttavia comunemente relazionato alla nozione propria di alcune religioni, come le religioni abramitiche, ovvero al luogo di "punizione" e di "disperazione".
Diversamente, il termine "inferi" indica comunemente quel luogo, come l'Ade greco, ove si collocano le ombre dei morti.

Ade (in greco antico: ᾍδης, Háidēs) o Hades è un personaggio della mitologia greca, figlio di Crono e Rea.
https://it.wikipedia.org/wiki/Ade
Dio degli Inferi, delle ombre e dei morti, ha come corrispettivo nella Mitologia egizia il Dio Osiride. È conosciuto anche come Axiokersos poiché coniuge di Persefone, soprannominata infatti "axiokersa", e Katakthonios ossia "Signore degli Inferi".

Ade (gr. ῞Αδης)
http://www.treccani.it/enciclopedia/ade
Tra gli antichi Greci, nome del dio regnante sulle regioni dell’oltretomba. L’etimologia del nome è controversa: già in antico lo si derivava da un ἀ- privativo e dalla radice ἰδ- «vedere»: A. sarebbe dunque l’«oscuro». Per estensione si chiama A. il regno dei morti nella concezione pagana.

Averno (o Ade o Orco)
https://it.wikipedia.org/wiki/Ade_(regno)
Ade (in greco antico: Ἅιδης, Hádēs) identifica il regno delle anime greche e romane (chiamato anche Orco o Averno). In realtà, è solo una trasposizione del nome del dio: si voleva identificare il regno col suo stesso re.

Orco
https://it.wikipedia.org/wiki/Orco_(divinit%C3%A0)
Orco (lat. Orcus) era il dio degli Inferi nella prima mitologia romana. Come con Ade, il nome del dio è stato utilizzato anche per indicare gli Inferi stessi. Nella tradizione, la sua figura fu associata anche a Dite, per poi confluire in Plutone.
Il termine che lo indica, essendo quasi omofono al greco Horkos (ὅρκος, "giuramento"), figlio di Eris, demone punitore dei giuramenti mancati, lo ha portato ad essere confuso anche con quest'ultima divinità.
L'origine di tale divinità è probabilmente etrusca: Orco è ritratto in alcuni affreschi nelle tombe etrusche come un gigante peloso e barbuto. Presso gli etruschi il destino di ogni defunto era di essere condotto in un mondo di patimenti, senza luce e speranza[4], popolato da creature demoniache, come Tuchulcha (Tuχul-χa, il demone) dal volto di avvoltoio e armato di serpenti, o Charun (Caronte), dal volto deforme che regge un pesante martello, i quali occupavano un ruolo di primo piano come rapitori e carnefici delle anime. In questo quadro, probabilmente trae la sua origine la tetra figura di Orco.

Charun (o Charu)
https://it.wikipedia.org/wiki/Charun
Nella mitologia etrusca, Charun (o Charu) era uno psicopompo del mondo sotterraneo chiamato Ade. È il nome equivalente della figura della mitologia greca Caronte.
Charun (il nome si ricava da alcune iscrizioni etrusche) si trova riprodotto su pitture tombali, sarcofagi, urne, stele sepolcrali e vasi. Nell'illustrazione tipica appare fondamentalmente differente da Caronte, rappresentato, di solito, alla guida di una barca, munito di remo, con funzione di traghettatore di anime. Il demone della morte degli Etruschi è, invece, una figura che accompagna i defunti nell'ultimo viaggio (a piedi, a cavallo, su carro) verso l'oltretomba, strappandoli al saluto dei propri cari e scortandoli verso la loro meta finale.

Caronte
https://it.wikipedia.org/wiki/Caronte_(mitologia)
Nella religione greca e nella religione romana, Caronte (in greco antico: Χάρων, Chárōn, "ferocia illuminata"[senza fonte]) era il traghettatore dell'Ade. Come psicopompo trasportava le anime dei morti da una riva all'altra del fiume Acheronte, ma solo se i loro cadaveri avevano ricevuto i rituali onori funebri (o, in un'altra versione, se disponevano di un obolo per pagare il viaggio); chi non li aveva ricevuti (o non aveva l'obolo) era costretto a errare in eterno senza pace tra le nebbie del fiume (o, secondo alcuni autori, per cento anni).
Nell'antica Grecia vigeva la tradizione di mettere una moneta sotto la lingua del cadavere prima della sepoltura. La tradizione rimase viva in Grecia fino ad epoche abbastanza recenti ed è probabilmente di origine antica. Qualche autore sostiene che il prezzo era di due monete, sistemate sopra gli occhi del defunto o sotto la lingua.
Nessuna anima viva è mai stata trasportata dall'altra parte, con le sole eccezioni della dea Persefone, degli eroi Enea, Teseo, Piritoo e Ercole, Odisseo, del vate Orfeo, della sibilla cumana Deifobe, di Psyche e, nella letteratura e nelle tradizioni successive a quella greca antica, di Dante Alighieri.
Caronte è figlio di Erebo e Notte.
Nella religione etrusca il suo corrispettivo è Charun.


Orco
https://it.wikipedia.org/wiki/Orco_(mitologia_norrena)
Nella mitologia norrena, l'orco (orc sia in tedesco sia in inglese, oppure orcus in latino) è un mostro antropomorfo, con connotazioni bestiali e demoniache. Sia il termine sia la tipica rappresentazione dell'orco nordico derivano dall'orco della mitologia romana, che pone in esplicita relazione questa figura mostruosa con il mondo degli inferi. Una relazione più debole esiste invece con l'orco delle fiabe, anch'esso mostruoso e malvagio, ma più simile a un uomo e (in genere) non associato all'inferno o ai suoi abitanti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:10 pm

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inferi, orum, m. pl.,
gli inferi, i morti, l'Averno, il mondo di là, il regno dei morti: apud inferos, e ad inferos, nel mondo di là, negli inferi e sim., CIC.; aliquem ab inferis excitare o evocare, far uscire uno dagli inferi, risuscitare (e anche: rievocare un morto, nel discorso), CIC.; inferorum animae, le anime dei morti, CIC.; l'inferno, Eccl.
[cf. inferus].

inferiae, arum, f. pl.,
esequie, sacrificio funebre offerto ai Mani di uno, offerte o vittime funebri: alicui inferias afferre (e mittere), offrire sacrifici funebri a uno, CIC.; inferias tacitis Manibus dare, tributare i funebri onori ai muti Mani, alle mute ombre dei morti, OV.; inferias Neroni facere (celebrare), TAC., o dare, SUET.; alicui inferias persolvere, SEN.
[cf. 2. inferius].

inferialis, e, agg., funebre, APUL. [inferiae + -alis].

inferior, inferius, gen. inferioris, comp. di inferus,
1 di luogo, inferiore, più basso: ex inferiore loco, dal basso, CAES., CIC.; angulus inferior, l'angolo situato più in basso, CAES.; inferior pars fluminis Rheni, il corso inferiore del fiume Reno = il basso Reno, CAES.; inferior exercitus, l'esercito della Germania inferiore, TAC.; inferior versus, il secondo verso (di una composizione poetica), OV. Am. 1, 1, 3;
2 di tempo, inferiore, più giovane: aetate inferior, più giovane d'età, CIC.; (vir) inferioris aetatis, (uomo) più giovane d'età, CIC.;
3 di numero, di forza, inferiore, più debole: multo inferior numero navium, molto inferiore rispetto al numero delle navi, CAES.; inferior copiis, inferiore per numero di soldati, NEP. Dat. 8, 4; causa inferior (più debole), CIC. Br. 30 e a.; Alexandro virtute inferior, inferiore per valore ad A., IUST.; col dat.: nemini inferior, a nessuno inferiore, SALL.; con quam e il caso del primo term.: non inferior quam pater, non inferiore al padre, CIC.; con l'abl.: humanos casus virtute inferiores putare (che i casi della vita abbiano minor potere su noi della virtù), CIC. Lael. 7;
4 di grado, dignità, condizione, inferiore, minore, più basso: inferiores ordines, gradi inferiori (nell'esercito), CAES.; inferioris ordinis esse, essere di condizione (sociale) inferiore, CIC.; sost. m. inferior, oris, un inferiore, CIC.; sost. m. pl. inferiores, um, gli inferiori, CIC.; i più deboli, QUINT. e a.
· Sup. infimus e imus (vd.).

1. inferius, avv. comp. di infra,
più in basso, più sotto: altius... inferius, troppo in alto... troppo in basso, OV. Met. 2, 137; persequar inferius, dimostrerò più sotto (= fra poco), OV.; virtutem... non inferius adducet (ridurrà più in basso), SEN. Ep. 79, 10.
2. inferius, a, um, agg., offerto (agli dèi), CAT. e a. [infero + -ius; cf. inferiae].

infernalis, e, agg., infernale, PRUD. e a. [infernus + -alis].

infernas, atis, agg.,
della zona bagnata dal mare inferiore = della zona tirrenica, VITR., PLIN.
[infernus + -as1].

inferne, avv., di sotto, giù, in basso, LUCR. [infernus + -e].

infernus, a, um, agg.,
1 posto sotto, posto in basso, inferiore: sese infernis e partibus erigere, sollevarsi dal basso (detto di costellazione), CIC. Arat. 214; infernum mare, il mare inferiore = il Tirreno, LUC.; sost. n. pl. inferna, orum, le parti inferiori, il bassoventre, PLIN. e a.;
2 sotterraneo; degli inferi, dell'Averno, infernale: infernus rex, il re dell'Averno = Plutone, VERG.; inferna palus, la palude infernale = lo Stige, OV.; Iuno inferna, Giunone infernale = Proserpina, VERG.; dei morti: infernas umbras carminibus elicere, evocare con incantesimi le anime dei morti, TAC. Ann. 2, 28, 2; sost. m. pl. inferni, orum, gli inferi, le ombre d'Averno, l'Averno, PROP.; sost. n. pl. inferna, orum, gli inferi, l'Averno, TAC.; l'inferno, Eccl.; sost. m. infernus, i, l'inferno, Eccl.
[cf. inferus].

infero, infers, intuli, illatum, inferre, anom. tr.
1 portare verso, a, introdurre (con in, ad e l'acc., col dat.); inferre pedem, gressus = entrare; se inferre o inferri = portarsi, precipitarsi dentro;
2 portare contro (vim, bellum alicui; signa inferre, dare l'assalto; i. pedem, gradum, lanciarsi all'attacco); inferri = gettarsi contro;
3 mettere sotterra, seppellire;
4 portare in tavola;
5 offrire, sacrificare;
6 presentare i conti, pagare;
7 fig. portare, gettare contro (un'accusa); introdurre (un discorso); addurre (un pretesto); ecc.;
8 t. ret., concludere.

1 portare dentro, verso, su, a, gettare, introdurre; con in o ad e l'acc.: omnia in ignem inferre, gettar tutto nel fuoco, CAES.; inferre aliquem in equum, mettere uno su un cavallo, CAES.; inferre scalas ad moenia, appoggiare le scale alle mura, LIV. 32, 24, 5; col dat.: inferre ignes aggeri et turribus, lanciare fiaccole contro il terrapieno e le torri, CAES.; inferre ignes templis, appiccare il fuoco ai templi, CIC. Cat. 3, 22; fontes aquarum urbi inferre, far giungere in città acque di sorgente, TAC.; inferre semina arvis, spargere la semente nei campi, TAC.; ne naves terrae inferrentur, affinché le navi non fossero gettate contro la costa, LIV. 29, 27, 11; inferre pedem, CIC. e a., o gressus, VERG. e a., mettere piede in, entrare (le stesse espress. in senso mil., vd. 2); rifl. se inferre e pass. med. inferri, portarsi, gettarsi, precipitarsi dentro, su, a: in regionibus, quo se
Catilina inferebat, nelle regioni in cui Catilina cercava di ritirarsi, CIC. Sull. 53; se inferre in mediam contionem, portarsi in mezzo all'assemblea, LIV.; se inferre concilio, presentarsi nell'assemblea, LIV.; assol.: ut magnifice infert sese, con che aria tronfia incede, PL. Ps. 911; in medios ignes inferri, lanciarsi in mezzo alle fiamme, LIV.; i. se flammae, VELL.; Tiberis illatus urbi, il Tevere straripato in città, LIV. 35, 21, 5;
2 portare contro (con idea di ostilità e spec. nel ling. militare): inferre manus alicui o in aliquem, mettere le mani addosso a uno, CIC.; inferre vim alicui, far violenza a uno, CIC.; inferre bellum alicui, CAES. e a.; inferre terrorem (spargere il terrore) in oppida, CURT.; inferre signa in hostes, attaccare il nemico, CAES. B. G. 2, 26, 1; inferre signa patriae, attaccare la propria patria, CIC.; inferre arma Italiae, far guerra all'Italia, NEP.; assol.: signa inferre, dare l'assalto, muovere all'attacco, CAES., NEP.; arma inferre, dare inizio alle ostilità, LIV.; locuzioni: inferre pedem, LIV., o gradum, LIV., TAC., attaccare, assalire, lanciarsi all'attacco e sim.; pass. med. inferri, spingersi contro, gettarsi contro, precipitarsi su: inferri in aliquem, lanciarsi contro uno, CIC.;
3 mettere sotterra, seppellire: corpus alicuius mortui inferre eodem quo..., portare a seppellire il cadavere di uno nello stesso luogo in cui..., NEP. Paus. 5, 5; alienum inferre, seppellire un estraneo (cioè: un estraneo al sepolcro in cui viene posto), CIC. Leg. 2, 64;
4 portare in tavola, servire in tavola, PLIN.;
5 offrire, sacrificare: piacula Manibus inferre, offrire ai Mani sacrifizi espiatori, OV.;
6 presentare (rationes, i conti), CIC.; mettere in conto: inferre sumptum civibus, accollare una spesa ai cittadini, CIC. Flacc. 45; versare un contributo, pagare: vicesimam inferre, pagare la vigesima (sull'eredità), PLIN. Pan. 39, 5;
7 fig. portare, gettare in o contro: inferre vastitatem tectis, portare la devastazione nelle case, CIC. Har. 3; inferre mala in domum alicuius, causare mali alla casa (regnante) di uno, NEP.; inferre alicui crimen proditionis, gettare su uno l'accusa di tradimento, CIC.; inferre se in periculum, CIC.; introdurre: in re severa delicatum inferre sermonem, introdurre discorsi frivoli in un argomento serio, CIC. Off. 1, 144; portare avanti, addurre, recare: alius alia causa illata, adducendo chi un pretesto e chi l'altro, CAES.; inferre causam iurgii, addurre un pretesto per litigare, PHAEDR.; cagionare, arrecare, causare, incutere, ispirare: calamitatem populo Romano inferre, infliggere una disfatta al popolo Romano, CAES. B. G. 1, 12, 6; iniuriam inferre alicui, recare offesa o danno a uno, CAES.; inferre alicui periculum, attentare alla sicurezza di uno, CIC.; moram inferre alicui rei, causare indugio a qualcosa, CIC.; inferre spem militibus, infondere speranza nei soldati, CAES.; inferre (incutere) terrorem alicui, CAES.;
8 nel ling. retor., inferire, fare una illazione, concludere, CIC., QUINT.
[in-1 + fero].

inferus, a, um, agg.,
1 che è al disotto, basso, inferiore: omnia supera infera, tutte le cose che stanno in alto e in basso (= le celesti e le terrene), CIC. Tusc. 1, 64; mare Inferum, il mare Inferiore = il Tirreno, CIC.;
2 sotterraneo, del mondo di là, dell'Averno, infero: dii inferi, gli dèi inferi, gli dèi dell'Averno, CIC., LIV.; sost. m. inferus, i, l'inferno, FORT., Vulg.; sost. m. pl. inferi, orum (vd.).
· Comp. inferior (vd.), sup. infimus e imus (vd.).

Orcus, i, m.,
1 l'Orco, l'Averno, il mondo dei morti, ENN., LUCR. e a.: fauces Orci, l'entrata degli Inferi, VERG.; Minos sedet arbiter Orci, PROP. 3, 19, 27;
2 Orco, divinità infernale, identificata con Plutone, PL., CIC. Verr. 5, 111;
3 trasl. per morte: horriferis accibant vocibus Orcum (invocavano la morte), LUCR.; aliquem demittere Orco, uccidere uno, VERG.; Orcum morari, fare attendere l'Orco, tardare a morire, HOR. Carm. 3, 27, 50.

Orcinus, a, um, agg.,
dell'Orco, del regno dei morti: Orcini senatores, i senatori fatti dal morto, quelli cioè nominati dopo la morte di Cesare, come per sua designazione postuma, SUET. Aug. 35; sost. m. Orcinus, i, schiavo liberato per testamento, Dig.
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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:11 pm

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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:12 pm

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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:14 pm

Sulla credenza religiosa e idolatra dell'inferno - La polemica sull'inferno sì e no


Vaticano, Papa Francesco: "L'Inferno non esiste". Antonio Socci: "Tesi eretica, non può restare a San Pietro"
29 Marzo 2018

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... ietro.html

"Ora è ufficiale: Papa Bergoglio sostiene tesi eretiche. Si pone una domanda drammatica: come può restare in quel posto?". È esterrefatto, Antonio Socci dopo il colloquio di Papa Francesco con il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari.

"Più volte - scrive Socci su Facebook - Eugenio Scalfari aveva riferito che secondo Bergoglio l'Inferno non esiste. Più volte avevamo chiesto che Bergoglio smentisse quelle gravissime parole. Non lo ha mai fatto e oggi, in una nuova intervista con Scalfari, è lui stesso che esplicitamente lo afferma: Non vengono punite... Non esiste un Inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici. Così dicendo nega addirittura due dogmi: quello dell'esistenza dell'Inferno e quello dell'immortalità dell'anima".

"Ci sono molti passi del Vangelo - sottolinea Socci - in cui Gesù in persona, chiaramente, descrive l'Inferno e ci rivela quale sarà la sorte dei dannati, descrivendone anche le pene, in quell'Inferno dove sarà pianto e stridor di denti. È scandaloso che oggi Bergoglio, da papa, contraddica così clamorosamente e pubblicamente il Figlio di Dio e il Vangelo e che sfidi la Chiesa sostituendosi a Gesù Cristo. Adesso cosa diranno tutti i suoi zelanti laudatori che sempre ci hanno accusato di criticarlo senza motivo? Vescovi e cardinali potranno ancora tacere? Come può restare nel ministero petrino uno che insegna pubblicamente tali eresie? Non dovrebbero esigere ALMENO un'immediata marcia indietro? Bergoglio dà pubblicamente scandalo al popolo di Dio, in particolare alle anime dei semplici, oltretutto nella settimana santa: è gravissimo".


Vaticano, Papa Francesco e l'inferno. Il drammatico sospetto di Antonio Socci: "Non è una smentita"
30 Marzo 2018
di Antonio Socci

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... fari-.html

Ieri un altro pastrocchio in Vaticano. Come il caso Viganò, ma ancora più grave. Repubblica è uscita lanciando l' ennesimo colloquio di Eugenio Scalfari con papa Bergoglio e il contenuto è esplosivo. Scalfari infatti ha interrogato Bergoglio sulla sorte delle anime morte nel peccato: «(quelle anime) vengono punite?».
La risposta virgolettata di Bergoglio riportata da Scalfari è la seguente: «Non vengono punite... (le anime) che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici».
Sono parole dirompenti che confliggono frontalmente con quanto Gesù stesso ha direttamente rivelato, nel Vangelo, mettendo in guardia i peccatori e invitandoli a convertirsi per non finire nella «geenna» del «fuoco inestinguibile». Le sue sono parole terribili: «Il Figlio dell' uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno \ tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente» (Mt 13,41-42).

Parole dirompenti - E ancora: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!» (Mt 25,41).

Aggiunge: «Là sarà pianto e stridore di denti» (Mt 22,13). Gesù accoratamente implora gli uomini di non finire fra i dannati «nella Geena dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Mc 9, 47-48).
Da questa rivelazione la Chiesa ha tratto la sua dottrina sull' esistenza dell' inferno e l' eternità delle sue pene per chi muore in peccato mortale.
La dichiarazione di Bergoglio spazzerebbe via d' un colpo i dogmi sull' immortalità dell' anima e sull' Inferno. Come se la Chiesa ci avesse ingannato per duemila anni e Cristo stesso ci avesse mentito inculcandoci la paura dell' Inferno.
È un fatto mai visto nella storia cristiana perché il successore di Pietro ha il compito esattamente opposto, quello di confermare nella fede i fratelli. Affermare tesi eretiche di questo tipo - per la dottrina cattolica - porta alla cessazione dell' ufficio di Romano Pontefice.
Perciò la cosa ieri ha fatto subito clamore. Ma il terremoto in Vaticano è scoppiato quando l' autorevole Times di Londra, a fine mattinata, l' ha rilanciata con questo titolo dirompente: «Papa Francesco abolisce l' inferno, dicendo che le anime di peccatori impenitenti semplicemente spariranno».
La cosa stava facendosi devastante così dopo le ore 15 è arrivato un comunicato della Sala Stampa vaticana che recita testualmente: «Il Santo Padre Francesco ha ricevuto recentemente il fondatore del quotidiano La Repubblica in un incontro privato in occasione della Pasqua, senza però rilasciargli alcuna intervista. Quanto riferito dall' autore nell' articolo odierno è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. Nessun virgolettato del succitato articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre».
Smentisce la forma, ma non la sostanza. Infatti non dice che le parole sull' abolizione dell' inferno sono «frutto della fantasia» di Scalfari, ma «della sua ricostruzione», come accade normalmente nelle interviste. Poi si dice che non si tratta delle «testuali parole» e di una «fedele trascrizione».
Ma il concetto perché non viene categoricamente smentito? Perché la sala stampa non afferma che quelle sono tesi eretiche totalmente respinte da papa Bergoglio? Perché non dichiara che egli ha detto l' esatto opposto e crede nell' inferno e nella pena eterna? C' è un gioco delle parti che va avanti da tempo. Periodicamente Scalfari esce riportando colloqui con Bergoglio dove a quest' ultimo vengono attribuite delle enormità (tipo: «Non esiste un Dio cattolico»).
Già padre Lombardi all' uscita dei primi due precisava che non erano interviste e che «le singole espressioni riferite, nella formulazione riportata, non possono essere attribuite con sicurezza al papa». Ma dopo un po' il papa ha addirittura ripubblicato quei due testi in un libro a sua nome. Quindi riconoscendone l' autenticità.

Solito copione - Anche questa tesi dell' abolizione dell' inferno non è affatto nuova. Scalfari gliel' aveva già attribuita tre volte e mai la Santa Sede lo ha smentito.

Prima in un editoriale del 21 settembre 2014. Poi il 15 marzo 2015: «La risposta di Francesco è netta e chiara: non c' è punizione, ma l' annullamento di quell' anima».
Infine il 9 ottobre 2017, sempre rifacendosi alle loro conversazioni: «Papa Francesco - lo ripeto - ha abolito i luoghi di eterna residenza nell' Aldilà delle anime. La tesi da lui sostenuta è che le anime dominate dal male e non pentite cessino di esistere mentre quelle che si sono riscattate dal male saranno assunte nella beatitudine contemplando Dio. Questa è la tesi di Francesco».
Ieri è stato fatto un altro passo riportando un diretto virgolettato di Bergoglio e per la reazione suscitata è seguita la (mezza) marcia indietro.
Ma poco convincente. Il copione si ripete da tempo. Bergoglio usa Scalfari per lanciare il sasso nello stagno e poi, in base alle reazioni, si ripara dietro precisazioni opache. Intanto però il messaggio arriva al grande pubblico e la confusione e lo smarrimento nella Chiesa crescono.


Scalfari e il Papa, una farsa che deve finire
Riccardo Cascioli

http://lanuovabq.it/it/scalfari-e-il-pa ... eve-finire

Il Papa che nega l'esistenza dell'Inferno. Una enormità che per ore e ore è rimbalzata sui giornali di tutto il mondo, prima che la Santa Sede smentisse il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari. Eppure nel comunicato della Sala Stampa troppe cose non tornano....

Eugenio Scalfari

Ma cosa deve pensare un povero cattolico che la mattina del Giovedì santo si collega a Internet e viene a sapere che il Papa ha raccontato a un vecchio giornalista suo amico che l’inferno non esiste e le anime che non si pentono semplicemente scompaiono? Un Papa che nega due verità di fede: l’Inferno e l’immortalità dell’anima. Non può essere, non è mai accaduto nella storia della Chiesa. E poi proprio all’inizio del Triduo pasquale, dove riviviamo il sacrificio di Cristo, che è venuto a salvarci dal peccato. Un tempismo diabolico. Se non c’è l’inferno non c’è neanche la salvezza. Poco importa se non si tratta di un testo magisteriale ma dell’ormai solito articolo del fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che trascrive a senso un colloquio avuto a Santa Marta con papa Francesco. L’affermazione è di una enormità inaudita e dalle conseguenze devastanti.

Non è possibile, non è possibile che il Papa pensi questo; e ancor meno che lo dica così a cuor leggero in una conversazione con un giornalista che si sa avere l’abitudine di trascrivere i colloqui con il Papa, e che la Santa Sede già due volte ha smentito (pur sempre lasciando molti dubbi). Eppure dal Vaticano silenzio. Silenzio malgrado dal primo mattino diversi giornalisti abbiano chiesto immediatamente lumi ai responsabili della Sala Stampa.

Passano le ore, la notizia fa il giro del mondo: «Il Papa nega l’esistenza dell’Inferno». Equivale a dire che la Chiesa per Duemila anni ha scherzato, ha preso in giro un bel po’ di gente. Non solo sull’esistenza dell’Inferno. Dice il catechismo della Chiesa cattolica al no. 1035:«La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, “il fuoco eterno”. La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira».

Se si può negare questa verità o metterla in discussione, perché non si potrebbe fare lo stesso con tutte le altre verità di fede? Perché credere alla santissima Trinità, o a Dio creatore, o all’Incarnazione? Le ricadute di una tale affermazione sono esplosive, significa negare la stessa funzione della Chiesa. Non è possibile che il Papa possa dire una enormità del genere. Eppure, continuano a passare le ore e dal Vaticano nulla, malgrado il pressing asfissiante dei giornalisti.

Finalmente, poco dopo le 15 la Sala Stampa si degna di diffondere un comunicato che smentisce le parole di Scalfari:

«Il Santo Padre Francesco ha ricevuto recentemente il fondatore del quotidiano La Repubblica in un incontro privato in occasione della Pasqua, senza però rilasciargli alcuna intervista. Quanto riferito dall’autore nell’articolo odierno è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. Nessun virgolettato del succitato articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre».

Si tira un sospiro di sollievo. In effetti non poteva essere possibile che il Papa affermasse con tanta leggerezza una enormità del genere. Eppure… Eppure qualcosa non torna. Nove ore per smentire una clamorosa eresia attribuita al Papa: da non credere, una cosa che meriterebbe le dimissioni in blocco di tutti i responsabili della comunicazione vaticana.

E poi il contenuto della smentita, assolutamente inadeguata alla gravità della materia. Non si afferma che Scalfari si è inventato tutto, come qualcuno si è precipitato a scrivere. Le affermazioni sono molto più prudenti per non dire ambigue:

1. Si dice che l’incontro tra il Papa e Scalfari c’è stato ma non era concepito come intervista. Già, ma a parte la prima volta, tutti gli incontri di Scalfari con Francesco erano colloqui privati che poi puntualmente sono finiti sulle pagine di Repubblica. Si poteva dare dunque per scontato che anche stavolta sarebbe andata così;

2. Quanto scritto su Repubblica, secondo la Sala Stampa, non è inventato ma è una «ricostruzione», semplicemente «non sono le parole testuali del Papa». Se l’italiano non è un’opinione vuol dire comunque che dell’argomento si è parlato e qualcosa del genere è stato detto, tanto che si precisa che le parole non sono state trascritte fedelmente.

Bisogna ricordare che nelle occasioni precedenti in cui la Sala Stampa era dovuta intervenire per smentire gli articoli di Scalfari, l’allora portavoce padre Lombardi aveva precisato che la trascrizione non era fedele, però riportava «il senso e lo spirito del colloquio».

Non solo, non è neanche la prima volta che Scalfari attribuisce al Papa questo pensiero sull’inferno. Scriveva infatti lo scorso 9 ottobre: «Papa Francesco - lo ripeto - ha abolito i luoghi di eterna residenza nell'Aldilà delle anime. La tesi da lui sostenuta è che le anime dominate dal male e non pentite cessino di esistere mentre quelle che si sono riscattate dal male saranno assunte nella beatitudine contemplando Dio».

Allora non fu smentito, forse perché l’articolo non si presentava come una intervista diretta al Pontefice o perché era inserito all’interno della recensione di un libro di mons. Paglia. Resta il fatto che Scalfari, nelle sue «ricostruzioni» già da tempo insiste nel dire che con lui il Papa nega l’esistenza dell’Inferno.

Tali enormità vanno smentite con ben altra convinzione e determinazione, con la coscienza della gravità del fatto, e magari cogliendo l’occasione per ribadire la dottrina della Chiesa in materia (noi lo facciamo oggi, clicca qui). Ma soprattutto, visto che dell’argomento si è trattato, spiegare che cosa ha veramente detto il Papa a Scalfari, spazzando via così ogni ambiguità e confusione sull’argomento.

Infine, a questo punto, visto che è recidivo, si potrebbero anche valutare azioni legali nei confronti di Scalfari se è vero che approfitta di un’amicizia e, forse, di una debolezza del Papa, per gettare scompiglio nella Chiesa. E certamente anche l’Ordine dei Giornalisti avrebbe l’obbligo di intervenire come farebbe, per molto meno, nei confronti di altri colleghi.

Chiunque, potendolo evitare, permetta che questa farsa vada avanti ne è complice.


Vittorio Feltri: "Papa Francesco e l'inferno che non esiste, perché ha ragione Scalfari"
30 Marzo 2018

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... mani-.html

Anche io come quasi tutti gli italiani sono cresciuto in parrocchia e all' oratorio. La mia formazione è stata di tipo cristiano e non ho di che lamentarmi. Anzi. I preti mi hanno aiutato e sono loro grato. Capisco Eugenio Scalfari che, avendo superato i 90 anni, abbia voglia di conversare con il Papa, capo della Chiesa e quindi autorizzato a discettare dell' aldilà e dell' aldiquà. Alla fine dell' esistenza qualche dubbio e qualche speranza vengono a tutti.
In fondo l' ideatore e il realizzatore del quotidiano La Repubblica mi fa tenerezza, ispira simpatia quando, stanco di discutere di Renzi, Berlusconi e Di Maio, si rivolge direttamente al Pontefice per sfogare i suoi cattivi umori. Il quale Pontefice, poi, attraverso l' ufficio stampa del Vaticano, smentisce di aver detto al Fondatore che l' inferno non esiste.

Non so se Scalfari abbia interpretato male il pensiero di Francesco o se questi si sia pentito di aver dichiarato che la massima pena prevista per i peccatori incalliti non sia quella di bruciarsi i glutei tra le fiamme appiccate dal Diavolo. Tuttavia, istintivamente, do ragione a Eugenio, il quale gli attribuisce di aver sostenuto che i tormenti eterni sono fantasiosi. L' ex direttore sarà pure un tipo stravagante, ma non si può negare sia intelligente e creda poco al rogo per le anime dannate, supponendo che neanche Bergoglio si beva certe bischerate. D' altronde ci viene da ridere se i musulmani sono convinti, morendo, di andare in Paradiso dove sono attesi da una settantina di vergini pronte a soddisfare i loro desideri. Pertanto non possiamo rimanere seri dinanzi alla prospettiva, una volta tirate le cuoia, che alcuni di noi - i più cattivi - siano destinati ad essere abbrustoliti sulla brace del demonio. Non desidero sfottere chi ha fede in Dio, ciascuno ha il diritto di confidare in una improbabile vita eterna, ma che i prelati insistano nel raccontarci una frottola assurda quale l' inferno come mèta dei reprobi, è inaccettabile.

Ci scambiano per fessi islamici? Andiamo, ragazzi, non esageriamo con le ipotesi catastrofistiche.
Signori cristiani, per favore, noi vi rispettiamo, però evitate di prenderci per il culo minacciandoci di essere arrostiti sulla graticola. Che razza di Padreterno sarebbe uno che per vendetta ti infligge un castigo crudele di questa fatta: brucia, coglione. La si pianti di propalare simili castronerie. Piuttosto si legga il Nuovo testamento nel quale non si accenna neppure all' inferno, bensì si cita la Geenna che era una discarica, in pratica. Mi risulta che la Bibbia si limiti a dire che i buoni resusciteranno e che i malvagi rimarranno stecchiti. Tutto il resto è invenzione dei bigotti che non hanno mai letto un testo sacro. Bravo Scalfari.


I difensori dell'inferno. Le inutili polemiche sulla frase del Papa riportata da Scalfari
Salvatore Izzo30 marzo 2018

https://www.agi.it/blog-italia/il-papa- ... 2018-03-30

Le anime dei corrotti, ovvero dei peccatori che scelgono consapevolmente di non pentirsi nemmeno al momento della morte, “non vengono punite, quelle che si pentono ottengono il perdono di Dio e vanno tra le fila delle anime che lo contemplano, ma quelle che non si pentono e non possono quindi essere perdonate scompaiono. Non esiste un inferno, esiste la scomparsa delle anime peccatrici”.

Queste parole attribuite da Eugenio Scalfari a Papa Francesco hanno scatenato un putiferio, nonostante non siano affatto eterodosse e tanto meno eretiche (il che in effetti sarebbe impossibile in quanto proprio il Papa rappresenta la misura dell'ortodossia).

Quello sull’Inferno è un dibattito teologico aperto nel quale probabilmente Papa Francesco ritiene sia saggio non schierarsi, e questa volontà di evitare polemiche dannose all'unità della Chiesa spiega la decisione di precisare, come ha fatto la Sala Stampa della Santa Sede, che anche se la conversazione tra Papa Francesco e Eugenio Scalfari c’è stata, in realtà si trattava di “un incontro privato in occasione della Pasqua”. Il Pontefice cioè non intendeva “rilasciargli alcuna intervista”. “Quanto riferito dall’autore nell’articolo – dunque – è frutto della sua ricostruzione, in cui non vengono citate le parole testuali pronunciate dal Papa. E nessun virgolettato dell’articolo deve essere considerato quindi come una fedele trascrizione delle parole del Santo Padre”.

Ma nonostante non siano virgolettati, le parole riportate da Scalfari non dovrebbero destare scalpore: sono infatti del tutto compatibili con la tradizionale dottrina cattolica, come enunciata nel Catechismo promulgato da Giovanni Paolo II e redatto sotto la direzione dell'allora cardinale Joseph Ratzinger.

Il Catechismo della Chiesa non parla di un luogo fisico ma di una condizione

"La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira", spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1035. E il capitolo successivo chiarisce: "Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l'uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: 'Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!'. Secondo il Catechismo, che parla solo in senso figurato di "discesa agli inferi", resta chiaro che "Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole 'che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi'.

E proprio a queste parole della Seconda Lettera di San Pietro si riferiva il grande teologo tedesco Hans Urs von Balthasar, designato cardinale da Papa Wojtyla e purtroppo deceduto prima di ricevere porpora e berretta, che immaginava l'inferno fosse vuoto.

La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si avvale dell'autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da non pochi teologi contemporanei, tra i quali Guardini e Daniélou, de Lubac, Ratzinger e Kasper, e da scrittori cattolici come Claudel, Marcel e Bloy. Ai suoi critici von Balthasar replicava: "La soluzione da me proposta, secondo la quale Dio non condanna alcuno, ma è l'uomo, che si rifiuta in maniera definitiva all'amore, a condannare se stesso, non fu affatto presa in considerazione. Avevo anche rilevato che la Sacra Scrittura, accanto a tante minacce, contiene pure molte parole di speranza per tutti e che, se noi trasformiamo le prime in fatti oggettivi, le seconde perdono ogni senso e ogni forza: ma neppure di questo si è tenuto conto nella polemica. Invece sono state ripetutamente travisate le mie parole nel senso che, chi spera la salvezza per tutti i suoi fratelli e tutte le sue sorelle, 'spera l'inferno vuoto' (che razza di espressione!). Oppure nel senso che chi manifesta una simile speranza, insegna la 'redenzione di tutti' condannata dalla Chiesa, cosa che io ho espressamente respinto: noi stiamo pienamente sotto il giudizio e non abbiamo alcun diritto e alcuna possibilità di conoscere in anticipo la sentenza del giudice. Com'è possibile identificare speranza e conoscenza? Spero che il mio amico guarirà dalla sua grave malattia - ma per questo forse lo so?".

L'inferno vuoto del dopo Concilio e quello di Dante Alighieri

In realtà tanto le parole di Balthasar che quelle attribuite da Scalfari al Papa felicemente regnante sono perfettamente compatibili con la Dottrina della Chiesa. Benedetto XVI andò ben oltre, quando nel suo Pontificato abolì - si fa per dire - il Limbo affermando giustamente che i neonati morti prima del Battesimo hanno accesso al Paradiso grazie alla Redenzione di Gesù che mai avrebbe voluto escluderli. La diatriba su come tradurre la parola "multos" con la quale il Vangelo indica i destinatari della Salvezza gudagnataci dal Sacrificio di Cristo non inficia infatti la possibilità che tutti possano essere perdonati, evocata tra l'altro da Papa Francesco proprio nella messa in. Coena Domini celebrata al carcere di Regina Coeli: "questo è Gesù: non ci abbandona mai; non si stanca mai di perdonarci. Ci ama tanto".

Oltre che una grande opera letteraria, la Commedia di Dante Alighieri ha rappresentato per secoli anche una (impropria) fonte della Rivelazione, come fosse una semi-Bibbia, per questo venne chiamata "Divina Commedia". Da qui l'equivoco dell'Inferno come luogo fisico, legato a una visione molto materialistica della vita oltre la morte. "Ma - come ha scritto padre Giandomenico Mucci sulla Civiltà Cattolica - la Commedia è Dante". E tra l'altro "un'altra cosa ancora sono i commenti dei dantisti". Su questi si appoggiano i difensori dell'Inferno insorti oggi contro Francesco e la lettura che del Papa ha offerto Scalfari. Essi mostrano un interesse morboso per l'Inferno, forse anche a causa di paure inconsce e sensi di colpa non del tutto sopiti. E difendono l'Inferno (peraltro banalizzato dal linguaggio corrente) come se "il retro della medaglia", sia necessario a tenere in piedi la fede nella Rivelazione, ovvero, ragionano, "che gusto ci sarebbe a salvarsi se poi si salvano tutti?". Meglio - dicono loro - che ci sia qualcuno che in terra manca il fine ultimo. Una speranza nel potere del Male che davvero si oppone alla visione cristiana.

"Il Magistero della Chiesa sull'inferno - riassume invece lo stesso padre Mucci - insegna tre cose. La prima: esiste dopo la morte terrena uno stato, non un luogo, che spetta a chi è morto nel peccato grave e ha perduto la grazia santificante con un atto personale. E la cosiddetta retribuzione dell'empio. La seconda: questo stato comporta la privazione dolorosa della visione di Dio (pena dal danno). La terza: in questo stato c'è un elemento che, con espressione neo testamentaria, è descritto come 'fuoco' (pena del senso). Le due pene, e quindi anche l'inferno, sono eterne". Nulla di tutto questo ha negato o messo in discussione il Papa nemmeno nella lettura che di lui ha offerto Eugenio Scalfari. Semplicemente: perchè sia possibile dannarsi non serve che ci sia un "luogo" per i dannati.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:26 pm

Lo sciamano e la discesa negli inferi


Capitolo 6: Lo sciamanismo nell'Asia centrale e settentrionale

Le ascensioni celesti - discese agli inferni
Funzioni dello sciamano

http://learningsources.altervista.org/L ... agli_infer

La parte dello sciamano nella vita religiosa dell'Asia centrale e settentrionale, per importante che sia, è limitata. Nondimeno, la posizione sociale degli sciamani siberiani è di primissimo ordine; eccetto che fra i Ciukci, dai quali gli sciamani non sembrano esser troppo considerati. Presso i Buriati gli sciamani sarebbero stati originariamente capi politici. Lo sciamano non è il sacrificatore: «non rientra nelle sue attribuzioni badare ai sacrifici che, in certe date, si debbono offrire agli dèi dell'acqua, delle foreste e della famiglia» (Donner). Come l'ha già notato Radlov, nell'Altai lo sciamano non ha nulla a che vedere con le cerimonie relative a nascita, sponsali e sepoltura - a meno che non si verifichi qualcosa d'insolito: ad esempio, allo sciamano ci si rivolgerà in casi di sterilità o di parto difficile (Radlov). Più a settentrione lo sciamano vien talvolta invitato ai seppellimenti, a che impedisca all'anima del morto di ritornare, e presenzia anche agli sposalizi, per proteggere gli sposi nuovi dai cattivi spiriti. Secondo Sieroszewski lo sciamano yakuta assisterebbe a ogni più importante avvenimento; ma ciò non equivale a dire che egli domini la vita religiosa «normale», essenzialmente in caso di malattia che egli diviene indispensabile. Presso i Buriati i bambini fino all'età di quindici anni sono protetti contro gli spiriti malvagi dagli sciamani. Come si vede, in tali casi la sua funzione si limita a quella di una difesa magica.

Invece lo sciamano appare insostituibile in ogni cerimonia che interessi le esperienze dell'anima umana come tale, come unità psichica precaria, come entità incline ad abbandonare il corpo e facile preda dei demoni e degli stregoni. È per questo che in tutta l'Asia e l'America del Nord, ed anche altrove (Indonesia, ecc.), lo sciamano ha funzioni di medico e di guaritore; egli formula le diagnosi, va alla ricerca dell'anima fuggitiva del malato, la cattura e la reintegra nel corpo da essa abbandonato. È sempre lui che conduce l'anima del morto agli inferni, perché egli è per eccellenza psicopompo.

E tale qualifìcazione di terapeuta e di psicopompo, lo sciamano la possiede perché conosce le tecniche dell'estasi, ossia perché la sua anima può abbandonare impunemente il corpo e portarsi lontano, perché può penetrare negli Inferni e salire in Cielo. Egli conosce per propria esperienza estatica gli itinerari delle regioni extraterrestri. Può discendere agli Inferni e elevarsi nei Cieli perché vi è già stato. Certo, il rischio di smarrirsi in queste regioni interdette è sempre grande, ma lo sciamano, consacrato dall'iniziazione e munito dei suoi spiriti custodi, resta pur sempre il solo essere umano che possa affrontare questo rischio e avventurarsi in una geografia mistica.

Del pari, è questa facoltà estatica che - come presto vedremo - rende atto lo sciamano ad accompagnare l'anima del cavallo offerto al Dio nei sacrifici periodici praticati dagli Altaici. In tal caso è lo sciamano stesso a sacrificare il cavallo: ma ciò, appunto perché egli dovrà condurre l'animale nel suo viaggio celeste fino al trono di Bai Ulgan, non perché la sua funzione sia quella del sacerdote sacrificatore. Sembra anzi che presso i Tartari dell'Altai lo sciamano si sia sostituito solo a partire da un dato periodo al sacerdote sacrificatore, perché nei sacrifici di cavalli al dio celeste supremo dei Prototurchi (Hiungno, Tukiìe), dei Katshina e dei Beltiri gli sciamani non hanno parte alcuna, mentre intervengono attivamente in altri sacrifici.

Lo stesso si verifica fra i popoli ugri. Presso i Voguli e gli Ostiachi dell'Irtish gli sciamani sacrificano in occasione di una malattia, prima di iniziare le cure; ma questo sacrificio sembra una innovazione tardiva, non è originario e importante quanto la ricerca dell'anima smarrita del malato (Karjalainen). In questi stessi popoli gli sciamani assistono ai sacrifici di espiazione - nelle regioni dell'Irtish, ad esempio, possono perfino celebrare i sacrifici: ma non si può dedurre nulla da tale fatto, perché qui si ritiene che qualsiasi persona possa sacrificare agli dèi. Anche quando prende parte ai sacrifici, lo sciamano ugro non uccide l'animale, ma si riserva, per cosi dire, la parte «spirituale» del rito: compie i suffumigi, pronuncia le preghiere, ecc. Nel sacrificio dei Tremyugan lo sciamano vien detto «l'uomo che prega», ma non è indispensabile. Presso i Vasiugani, dopo che lo sciamano vien consultato circa una data malattia, si fanno dei sacrifici secondo le sue ingiunzioni, ma la vittima viene uccisa dal capo di casa. Nei sacrifici collettivi dei popoli ugri lo sciamano si limita a dire le preghiere e a condurre le anime delle vittime alle corrispondenti divinità. Concludendo, anche quando prende parte ai sacrifici lo sciamano assolve un compito «spirituale» (Si noti l'analogia con la funzione che ha il brahman nei riti vedici): si occupa soltanto dell'itinerario mistico dell'anima dell'animale sacrificato. E se ne capisce facilmente il perché lo sciamano conosce questo itinerario e, per giunta, è capace di dominare e di scortare un'«anima», sia l'anima di un uomo oppure quella di una vittima.

Più a Settentrione l'importanza e la complessità della funzione religiosa dello sciamano sembrano essere maggiori. Nell'estremo Nord dell'Asia, quando la selvaggina scarseggia, accade che si ricorra all'intervento dello sciamano (Harva). Lo stesso avviene presso gli Eschimesi e presso certe tribù nord-americane, ma tali riti di caccia non possono esser considerati come propriamente sciamanici. Se lo sciamano sembra avere una certa parte in simili circostanze, ciò deriva sempre dalle sue facoltà estatiche: egli prevede i mutamenti atmosferici, dispone di chiaroveggenza e di vista a distanza (per cui può scoprire la selvaggina); inoltre ha rapporti più intimi, d'ordine magico-religioso, con gli animali.

La divinazione e la chiaroveggenza fan parte delle tecniche mistiche dello sciamano. Cosi si va a consultare uno sciamano per poter ritrovare uomini o animali smarriti si nella tundra o fra le nevi, per rintracciare un oggetto perduto, e cosi via. Però queste piccole imprese sono piuttosto di pertinenza delle donne-sciamani e di altre categorie di maghi e di maghe. Del pari, non è una «specialità» degli sciamani il nuocere agli avversari dei loro clienti, anche se a tanto essi talvolta si prestino. Lo sciamanismo nord-asiatico è un fenomeno estremamente complesso, avente dietro di sé una lunga storia; soprattutto' grazie al prestigio via via acquistato dagli sciamani nel corso dei tempi, esso ha finito per assorbire in sé una molteplicità di tecniche magiche.


"Sciamani bianchi" e "sciamani neri". Mitologie "dualiste"

Almeno in certe popolazioni, la specializzazione più netta è quella onde gli sciamani «bianchi» si distinguono dagli sciamani «neri», benché non sia sempre facile definire questa contrapposizione. Per gli Yakuti, Czaplicka menziona gli ajy ojuna, che sacrificano agli dèi, e gli abasy ojuna, che hanno invece rapporti con gli «spiriti malvagi». Ma, come lo nota Harva, lo ajy ojuna non è necessariamente uno sciamano: può anche essere un sacerdote sacrificatore. Secondo Pripuzov, fra gli Yakuti uno stesso sciamano può evocare indifferentemente gli spiriti superiori (celesti) e quelli delle regioni infere. Sieroszewski classifica gli sciamani yakuti secondo la loro potenza e distingue: a) gli «ultimi» (kennikt ouna) che sono piuttosto degli indovini, degli interpreti di sogni e tali che curano solo malattie leggere; h) gli sciamani «comuni» (orto ouna), che sono i guaritori abituali; c) i «grandi» sciamani, i maghi possenti, ai quali lo stesso Ulu-Toion ha inviato uno spirito protettore. Come subito vedremo, il pantheon degli Yakuti è caratterizzato da una bipartizione, ma non sembra che essa abbia riscontro in una corrispondente differenziazione della classe degli sciamani. Una opposizione esiste, piuttosto, fra sacerdoti sacrificatori e sciamani. Si parla, nondimeno, degli «sciamani bianchi» o «sciamani d'estate», specializzati nelle cerimonie della dea Aisyt.

Presso i Tungusi di Turushansk la classe degli sciamani non presenta differenziazioni; al dio celeste può sacrificare qualsiasi sacerdote sacrificatore, non però lo sciamano, e tali riti han sempre luogo di giorno, mentre i riti sciamanici vengono praticati di notte (Harva).

La distinzione appare invece chiaramente presso i Buriati, che parlano di «sciamani bianchi» (sagani bo) e di «sciamani neri» (karain bo), gli uni aventi rapporti con gli dèi, gli altri con gli spiriti. I costumi sono diversi, bianchi per i primi, azzurri per i secondi. La stessa mitologia buriate presenta un dualismo marcatissimo: la classe innumerevole dei semidèi si suddivide in Khan neri e Khan bianchi, e fra gli uni e gli altri regna un'aspra inimicizia. I Khan neri son serviti dagli «sciamani neri»; questi non sono amati, per quanto siano spesso di utilità agli esseri umani, perché essi soli possono fare da intermediari presso i Khan neri (Sandschejew). L'accennata situazione non è però quella delle origini: secondo il mito, il primo sciamano era «bianco»; il nero è apparso solo in seguito. Ci si ricorderà anche che fu il dio celeste ad inviare l'Aquila per investire dei poteri sciamanici il primo essere umano che essa avesse incontrato sulla terra. La suddivisione degli sciamani potrebbe anche essere un fenomeno secondario abbastanza tardivo, dovuto sia ad influenze iraniche, sia ad una valorizzazione negativa delle ierofanie ctoniche e «infernali», le quali con l'andar del tempo han finito col dar persona a delle potenze «demoniache» (Sui rapporti tra l'organizzazione dualista del mondo spirituale ed una possibile organizzazione sociale dualista, cfr. Krader).

Non ci si deve infatti dimenticare che una gran parte delle divinità e delle potenze della Terra e degli Inferni per i popoli primordiali non sono necessariamente «cattive» o «demoniache». In genere, esse rappresentano delle ierofanie autoctone, cioè topiche, decadute dal loro rango a causa di modificazioni intervenute all'interno del pantheon complessivo. Talvolta la bipartizione degli dèi in celesti e cronico-infernali non è che una classificazione che obbedisce a criteri di comodità e che non implica nulla di negativo nel riguardo dei secondi. I Buriati concepiscono dunque una opposizione assai netta fra i Khan bianchi e quelli neri. Anche gli Yakuti conoscono due grandi categorie (bis) di dèi: quelli «d'in alto» e quelli «d'in basso», i tangara («celesti») e i «sotterranei» («alto» e «basso» sono termini abbastanza vaghi; possono anche designare regioni situate a monte o a valle di un corso d'acqua), senza che tuttavia fra di essi si possa stabilire una netta opposizione (Sieroszewski): si tratta piuttosto di una classificazione e di una specializzazione di diverse forme e' potenze religiose.

Gli dèi e gli spiriti «d'in alto» sono benevoli, ma impassibili, onde son di ben poco aiuto pel dramma dell'esistenza umana. Essi abitano «le sfere superiori del cielo, non si mescolano nelle faccende umane e, relativamente, hanno meno influenza sul corso della vita che non gli spiriti del "bis d'in basso ", spiriti vendicativi, più vicini alla terra, alleati degli uomini per via di vincoli di sangue e di una organizzazione in clans assai più rigorosa» (Sieroszewski). Il capo degli dèi e degli spiriti celesti è Art-Toion-Aga, il «Signore Padre Capo del Mondo», che risiede «nelle nove sfere del cielo. È possente ma non agisce; risplende come il sole, che è il suo emblema, parla attraverso la voce del tuono, ma poco si mescola nelle faccende umane. Invano si indirizzerebbero a lui le preghiere pei nostri bisogni quotidiani: solo in casi straordinari si può turbare il suo riposo, ed anche allora è malvolentieri che egli si interessa alle cose umane».

Oltre Arr-Toion-Aga, esistono altri sette grandi dèi «d'in alto» ed una moltitudine di dèi minori. Ma la loro dimora celeste non implica necessariamente una struttura uranica. Accanto al «Signore Creatore Bianco» (Urung Ai-Toion), che abita il quarto cielo, troviamo, ad esempio, la «Dolce Madre Creatrice», la «Dolce Signora della Natività» e la «Signora della Terra» (An-Alai-Ciotun). Il dio della caccia, Bai Bainai, abita tanto nella parte orientale del cielo quanto nei campi e nelle foreste. Ma gli si sacrificano bufali neri, indizio della sua origine tellurica: «Quando i cacciatori non sono fortunati a caccia o quando uno di loro si ammala, si sacrifica un bufalo nero del quale lo sciamano brucia le carni, le interiora ed il grasso. Durante la cerimonia si lava nel sangue della bestia sacrificata un'imagine in legno di Bainai, coperta d'una pelle di lepre. Quando il disgelo libera le acque, si piantano sul bordo dell'acqua dei pali congiunti tra loro con una corda di capelli (set'y) cui sono appesi panni variopinti e capigliature; inoltre, si getta in acqua burro, dolci, zucchero, denaro li. È il prototipo d'un sacrificio attenuato

Il «bis d'in basso» comprende otto grandi dèi con alla testa «L'onnipotente Signore dell'Infinito» (Ulutuier Ulu Toion) oltre ad una quantità illimitata di «spiriti malvagi». Ma Ulu-Toion non è cattivo: «è solo assai vicino alla terra, e alle cose della terra, si interessa... Ulu-Toion personifica l'esistenza attiva, piena di sofferenze, di desideri, di lotte... Bisogna cercarlo dalle parti dell'Occidente, nel terzo cielo. Ma non si deve invocare il suo nome per motivi futili: la terra trema e si agita quando egli vi posa il piede: il cuore del mortale scoppia dallo spavento se osa contemplare il suo viso. Nessuno l'ha dunque visto. Tuttavia fra gli dèi potenti abitanti del cielo egli è il solo a discendere in questa valle umana piena di lacrime ... È lui che ha dato agli uomini il fuoco, è lui che ha creato lo sciamano e che gli ha insegnato come si combatte la sventura... È il creatore degli uccelli, degli animali della foresta, delle stesse foreste» (Sieroszewski). UluToion non obbedisce a Art-Toion-Aga e lo tratta da pari a pari. Considerando questa descrizione, ci si rende conto di quanto poco sia acconcio l'includere Ulu-Toion fra le divinità «infere» e «d'in basso». In realtà, egli assomma in sé gli attributi di un Signore degli Animali, di un demiurgo e perfino di un dio della fertilità.

È significativo che a diverse di queste divinità «d'in basso» si offrano in sacrificio degli animali dal manto bianco o bianco-rossiccio; a Kahtyr-Kaghtan Burai-Toion, dio possente che non la cede a Ulu-Toion, si sacrifica un cavallo grigio dalla fronte bianca; alla «Signora dal puledro bianco» si offre questo stesso animale; ai rimanenti dèi e spiriti «d'in basso» si sacrificano giumente dal manto bianco-rossiccio, dai garretti bianchi o dalla testa bianca, o giumente grigie pomellate, ecc. (Sieroszewski). Naturalmente, fra gli spiriti «d'in basso» si trova anche qualche illustre sciamano.

Il più celebre è il «principe degli sciamani» degli Yakuti; risiede nella parte occidentale del cielo ed appartiene alla famiglia di Ulu-Toion. «Era prima uno sciamano dell'ulus di Nam, del nosleg di Botiiìgné, della stirpe Ciaky... Gli si offre in sacrificio un cane da caccia color acciaio pezzato di bianco, dalla testa bianca tra gli occhi e il muso».

Da questi pochi esempi si vede quanto sia difficile tracciare una frontiera precisa fra gli dèi «uranici» e gli dèi «tellurici», fra le potenze religiose considerate «buone» e le altre, «malvagie». Quel che risulta in modo certo è che il dio supremo celeste è un deus otiosus e che nel pantheon yakuta le situazioni e le gerarchie si sono spesso modificate, quand'anche non siano intervenute addirittura delle usurpazioni. Dato questo «dualismo» complesso e, ad un tempo, vago, si capisce come lo sciamano yakuta possa «servire» sia gli dèi «d'in alto» che quelli «d'in basso», giacché il «bis d'in basso» non è sempre sinonimo di «spiriti malvagi». La differenza fra gli sciamani e gli altri sacerdoti (i «sacrificatori») è d'ordine non rituale, bensì statico: a definire e specificare la particolare situazione dello sciamano in seno alla comunità religiosa (che riprende sia i preti che i laici) non è il fatto del suo poter celebrare, o meno, l'uno o l'altro sacrificio, ma è la natura particolare dei suoi rapporti con le divinità, siano esse «d'in alto» o «d'in basso». Tali rapporti, come meglio vedremo in seguito, sono più «familiari», più «concreti» di quelli degli altri membri del clan, sacerdoti sacrificatori o laici; ciò, perché nello sciamano le esperienze religiose hanno sempre una struttura estatica, quale pur sia la divinità cui si lega questa esperienza.

Anche se non così differenziata come fra i Buriati, la stessa bipartizione la s'incontra fra gli sciamani altaici. Anochin parla degli «sciamani bianchi» (ak kam) e degli «sciamani neri» (kara kam). Radlov e Potapov non riferiscono una differenza del genere: secondo le loro informazioni, uno stesso sciamano può intraprendere sia il viaggio al Cielo che la discesa agli Inferni. Ma in ciò non vi è contraddizione: Anochin riferisce che esistono anche sciamani «nero-bianchi» che possono compiere entrambi i viaggi; l'etnologo russo ebbe ad incontrare sei sciamani «bianchi», tre «neri» e cinque «bianco-neri», Con grande probabilità Radlov e Potapov hanno avuto a che fare unicamente con sciamani di quest'ultima categoria.

Il costume degli «sciamani bianchi» è più sommario: il caftano (menyak) non sembra essere indispensabile. Ma essi hanno un berretto di pelliccia di agnello bianco ed altre insegne. Le donne-sciamano sono sempre «nere», perché esse non intraprendono viaggi in Cielo. Riassumendo, gli Altaici sembrano conoscere tre gruppi di sciamani: quelli che si occupano esclusivamente degli dèi e delle potenze celesti, quelli specializzati nel culto (estatico) degli dèi dell'Inferno e, infine, quelli che hanno rapporti mistici con dèi delle due classi. Gli ultimi, come numero, sembrano esser abbastanza importanti.
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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 5:42 pm

I tre mondi degli spiriti.

Uno studio interessante sulla cosmologia sciamanica secondo varie tradizioni, un contributo utile ai praticanti di sciamanesimo che utilizzano il viaggio sciamanico come metodo di esplorazione della realtà non ordinaria.
L’articolo nell’edizione originale inglese è stato pubblicato sull’autorevole rivista americana di sciamanesimo “Sacred Hoop” (Issue n.74-2011). Ringraziamo Nick Wood, editore della rivista Sacred Hoop (http://www.sacredhoop.org) per la gentile autorizzazione concessaci.
Traduzione italiano: Luciano Silva

http://www.ilcerchiosciamanico.it/artic ... saway.html

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ndirid.jpg



Insegno sciamanesimo assieme al mio partner Bekki Shining Bearheart dal 1982, e siamo sempre stati affascinati dal “potere del luogo”, sia all’interno del lavoro tradizionale tribale sciamanico sia nel nostro lavoro contemporaneo. Questo ha portato, inevitabilmente, ad una certa consapevolezza delle molte cosmologie con le quali gli sciamani orientano e relazionano sia se stessi sia i loro luoghi di potere nell’universo; recentemente questo ha condotto ad una ricerca ulteriore e alle successive osservazioni sull’argomento.

Noi abbiamo insegnato sciamanesimo all’interno della tradizionale struttura di riferimento a “strati di torta”, i mondi di Sotto, di Mezzo e di Sopra, con le loro varie manifestazioni di spiriti e realtà in ciascuno di questi tre mondi. Questo modello è stato efficace, utile e ben si relazionava con le nostre stesse esperienze e quelle dei nostri studenti durante i viaggi sciamanici. Noi stessi incoraggiamo gli studenti a sperimentare il luogo di connessione al centro di ciascuno di questi tre mondi, l’Albero del Mondo o la Montagna del Mondo (l’Axis Mundi).
...

Il Mondo a “strati di torta”

La visione a tre strati della realtà sciamanica è certamente quella più descritta dai resoconti etnografici che trattano lo sciamanesimo tribale nel mondo, sia in Mongolia, Siberia, Centro, Sud e Nord America e altrove.

Mihaly Hoppal nel suo libro del 2007 “Sciamani e Tradizioni” evidenzia la costante presenza degli elementi del cosmo siberiano in ogni aspetto dei costumi sciamanici. Noi tendiamo a pensare ai ritratti di sciamani dove l’Albero cosmico sul tamburo dello sciamano o sugli abiti rappresenti simbolicamente il credo degli sciamani. Questo è vero solo in parte perché “…il corpo stesso dello sciamano era visto come una replica ridotta dell’Universo, il suo abito e la sua creazione rappresentavano l’atto simbolico di creazione e ricreazione dell’Universo”.

Tre cose sono importanti per noi qui: i tre livelli del cosmo; il corpo umano dello sciamano come rappresentazione del cosmo stesso; l’abilità dello sciamano (che è il cosmo stesso) di essere in grado (e spesso gli viene richiesto) di creare lo stesso cosmo in una forma terrena e materiale.

Gli sciamani mongoli e turchi, hanno un complesso sistema di spiriti (inclusi numerosi dei e figli di dei e molti altri esseri spirituali) che sono intimamente legati con le loro percezioni ai tre livelli del cosmo e alle quattro direzioni cardinali. L’importanza di ciascuno spirito in particolare è spesso determinata da quanto alto nel livello dei tre mondi si trova, dal momento che molte culture hanno molti sottostrati all’interno di ciascuno dei tre mondi, per esempio “il settimo cielo” è il settimo livello del mondo di sopra e sarà la casa di spiriti più importanti di quelli dei livelli inferiori.

Una alternativa all’Albero Cosmico che giace al centro di ciascuno di questo tre mondi disposti a strati è il Fiume dell’Universo o il “Ruscello del Mondo” che viene percepito dalla popolazione siberiana degli Evenki come mezzo di connessione dei tre mondi.

Gli sciamani Evenki compiono la maggior parte dei loro viaggi lungo le rive di questo fiume degli spiriti, andando verso le sorgenti per visitare le anime non ancora nate, al centro dove vivono le persone del clan oggigiorno, e a valle del fiume dove gli sciamani compiono il loro lavoro di psicopompo per aiutare le anime delle persone defunte a raggiungere la loro casa nel mondo dei morti. Il tamburo dello sciamano è la barca, il batacchio è il remo e così via per gli Evenki (nella foto a destra, un bastone usato dagli Evenki per la caccia all'anima).

Mentre queste genti lavorano ancora all’interno della visione tripartita del cosmo, non è chiaro se le parti sono disposte a strati o, come l’idea del fiume sembra suggerire, sono tutte sullo stesso piano. Naturalmente, questo potrebbe essere un esempio perfetto di simultaneità, all’interno di una struttura verticale a strati, i vari strati sono connessi facilmente tra loro da un fiume che scorre orizzontalmente.


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Corso di religione: L'Albero Cosmico
http://www.corsodireligione.it/digiland ... cri_20.htm
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Re: Inferno, Averno, Ade, Charun, Caronte

Messaggioda Berto » sab mar 31, 2018 7:07 pm

Ereshkigal
https://it.wikipedia.org/wiki/Ereshkigal
Nella mitologia sumera, Ereshkigal (DEREŠ.KI.GAL, letteralmente "Signora della grande terra"), sorella di Inanna e moglie di Nergal, è la dea degli inferi (il Kurnugea). Governava sui demoni e sulle creature infernali, ed è co-protagonista di diverse storie riconducibili a miti ripresi successivamente.
Il suo corpo rammenta quello di un pesce, però in aggiunta possiede le scaglie tipiche del serpente, le mani sono umane, mentre dai lombi ai piedi è un cane. Per la sua conformazione mista, di adolescente-pesce-cane ricorda la greca Scilla.
È conosciuta principalmente attraverso due miti, che si ritiene simboleggino l'alternarsi delle stagioni, ma che avevano forse anche lo scopo di illustrare alcune dottrine risalenti al periodo mesopotamico. Ereshkigal è la sorella di Ishtar e, da un certo punto di vista, anche la sua controparte, il simbolo della natura durante la stagione non produttiva dell'anno.

Uno di questi miti è la storia della discesa di Ishtar a Irkalla, o Aralu, come venivano chiamati gli inferi, e l'incontro con sua sorella che li presiede. Ereshkigal intrappola poi la sorella nel suo regno buio ma Ishtar riesce a fuggire sacrificando suo marito Dumuzi in cambio di sé stessa.
L'altro mito è la storia di Nergal, il dio della peste, e la sua offesa a Ereshkigal. Nergal si era rifiutato di alzarsi nel corso di un banchetto dopo l'arrivo di Namtar (il destino), ministro e rappresentante della stessa Ereshkigal, invitata alla riunione dagli dei. Dopo l'affronto, Ereshkigal chiese che Nergal le fosse consegnato per l'eventuale espiazione della sua colpa. Seguirono il conseguente esilio nel regno controllato dalla dea e la riconciliazione finale attraverso l'offerta di Ereshkigal di rendere partecipe Nergal nel governo di Irkalla. Nella tradizione si racconta che Nergal sia stato il vincitore: dopo aver sconfitto Namtar e dopo aver tentato di tagliare la testa a Ereshkigal, prese Ereshkigal come moglie e divenne padrone del regno.
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