grazia,
s. f. ‘sensazione di piacere che destano persone o cose per la loro naturalezza, delicatezza, armonia’ (gracia: 1239-50, G. Fava, in Monaci 59), ‘gentilezza nei rapporti con gli altri’ (av. 1294, B. Latini), ‘nella mitologia greca e romana, ciascuna delle tre dee che presiedevano all'amabilità, alla giocondità e alla bellezza muliebre’ (1333, A. Simintendi), ‘titolo dato dagli inglesi ai loro regnanti’ (1869, TB), ‘amicizia, benevolenza’ (grasia: av. 1294, Guittone; grazia: 1339-40, G. Boccaccio; per buonagrazia: V. s. v. buòno), ‘nella teologia cattolica, aiuto soprannaturale e gratuito che Dio concede alla creatura per guidarla nella salvezza, che si consegue anche attraverso i meriti delle opere’ (av. 1292, B. Giamboni), ‘redenzione dal peccato originale’ (av. 1321, Dante), ‘ciò che è concesso per meriti, per preghiera, per puro dono di Dio’ (sec. XIII, R. Malispini), (dir.) ‘provvedimento mediante il quale il capo dello Stato condona o commuta una pena’ (av. 1292, B. Giamboni), ‘gratitudine, riconoscenza’ (av. 1292, B. Giamboni), spec. al pl. ‘sottili tratti terminali della lettera, nei caratteri tipografici di certi stili’ (1964, Bascetta Gloss. di giorn. e tip.).
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Lat. gratia(m), un der. di gratus ‘grato’ con accez. tanto astratte (‘riconoscenza’), quanto concrete (‘atto col quale si acquista riconoscenza’, ‘servizio reso’). E poi: ‘favore, credito, influenza’, ‘bellezza, grazia (di persone e cose)’. Ne derivò l'agg. gratiosu(m) d'uso spec. poetico. Il lat. della Chiesa diede nuovo e ampio vigore alla vc., allargandone considerevolmente il campo semantico (Zürcher 153-154). La loc. escl. troppa grazia, spesso completata con sant'Antonio, ha orig. da qualche aneddoto, che I. Nieri, Cento racconti popolari lucchesi, Firenze, 1906, racconta così: “C'era una volta un ometto piuttosto attempatuccio che voleva montare a cavallo e non gli riusciva, perché pigliava poco impeto; restava a mezza strada, e ricascava giù. Provò due o tre volte: peggio che peggio; allora dice: “Sant'Antonio, se mi fate la grazia che io possa montare sul cavallo, vi faccio dire una messa” e intanto spicca il lancio. Ma fu tanto forte che traboccò da quell'altra parte; allora disse – Troppa grazia, Sant'Antonio!” (ediz. Pancrazi, Firenze, 1950, p. 238).
grato,
agg. ‘conforme ai propri gusti’ (sec. XIV, S. Giovanni Crisostomo volgar.), ‘accetto, gradito, piacevole’ (1348-53, G. Boccaccio), ‘che è memore dei benefici ricevuti’ (av. 1292, B. Giamboni).
Derivati:
gratitudine,
s. f. ‘sentimento di affetto e di riconoscenza per un bene ricevuto’ (av. 1348, F. da Barberino).
Lat. gratu(m), forse ant. t. religioso di diff. indeur. Non è doc. in lat. *gratitudine(m), ma la presenza nel lat. tardo di ingratitudine(m) ne fa supporre o rendere almeno probabile l'uso.
gratis,
avv. ‘in modo gratuito’ (av. 1498, V. Bisticci; in lat. gratis data per gioco con grazia: av. 1306, Iacopone).
Avv. lat., che sta per gratiis, abl. pl. di gratia(m) ‘grazie’; quindi, lett., ‘per le grazie’, ‘graziosamente’. “Voce, benché interamente Latina, divenuta Italiana” (D'Alb.).
grado 1,
s. m. ‘piacere, compiacenza, benevolenza’ (av. 1294, G. d'Arezzo).
Locuzioni:
di grado ‘volentieri’ (av. 1294, G. d'Arezzo; il Bembo, 1525, elenca le loc.: “Malgrado vostro, Malgrado di lui, Mal suo grado e A grado, Di grado”; per di buon grado: V. buòno).
Derivati:
gradevole,
agg. ‘che possiede tutti i requisiti per riuscire gradito’ (sec. XIV, Seneca volgar.),
gradimento,
s. m. ‘senso di intimo compiacimento provocato da persone o cose di nostro gusto’ (1661, D. Bartoli; alto gradimento: av. 1729, A. M. Salvini),
gradire,
v. tr. ‘accogliere di buon grado, ricevere con piacere’ (av. 1294, G. d'Arezzo; in Dante, “voce di uso non molto largo e prevalentemente poetico”: Enc. dant.), est. ‘desiderare’ (sec. XIII, Anonimo),
v. intr. ‘essere, riuscire gradito’ (sec. XIII, Inghilfredi),
gradito,
part. pass. e agg. ‘che riesce bene accetto’ (sec. XIV, Libro di Sydrac).
Lat. gratu(m) ‘grato, gradito’; gradévole è fatto risalire al lat. parl. *gratibile(m), come ad un lat. parl. *gradire vien fatto risalire da qualcuno il den. Il v. apparteneva a quei “termini della lingua d'amore delle corti provenzali, [che], per effetto degli affascinanti ideali d'arte e di vita della lirica trovadorica, si sono inseriti nel lessico della nostra prima poesia” (Schiaff. 217).
carità,
s. f. ‘amore di Dio e del prossimo, una delle tre virtù teologali’ (inizio sec. XIII, Uguccione da Lodi), ‘disposizione caratteristica di chi tende a comprendere e ad aiutare ogni persona’ (1353, G. Boccaccio), ‘beneficenza, elemosina’ (caritate e caretate: fine sec. XII, Ritmo di S. Alessio; carità: av. 1348, G. Villani), ‘cortesia, favore’ (1483, L. Pulci).
Locuzioni:
carità pelosa ‘carità non disinteressata’ (av. 1565, B. Varchi).
Derivati:
caritatevole,
agg. ‘che ha o dimostra amore per gli altri’ (av. 1363, M. Villani; ma caritevole: 1280-1310, Fiore).
Lat. caritate(m) ‘benevolenza, amore’, da carus ‘caro’. Se in qualche caso la vc. continua l'uso lat. class., come nella loc. carità di patria (in Cicerone caritas patriae), in generale essa mantiene il successivo senso cristiano di ‘amore a Dio e al prossimo’, dal quale si sono sviluppati da una parte il sign. di ‘elemosina’, come atto concreto di carità, e dall'altra quello di ‘favore, cortesia’ (Costa 198-199). Non è chiara l'orig. della loc. carità pelosa: “a questo motto si vuole desse motivo il soccorso spirituale, che intese prestare il pontefice a Giuliano il Bastardo, mentre guerreggiava, e consisteva in un anello con entro la reliquia di alcuni peli della barba di S. Pietro”, scrive Panz. Diz. 1908, s. v. pelosa, ma si tratta ovviamente di un'invenzione a posteriori; la loc. va invece accostata al modo di dire avere il cuore con tanto di pelo (cfr. TB s. v. carità § 17).
caro,
agg. ‘che suscita sentimenti d'affetto’ (av. 1294, B. Latini), ‘pregiato, importante, prezioso’ (av. 1250, Giacomo da Lentini), ‘che si vende a prezzo elevato, costoso’ (secc. XIII-XIV, Nocco de' Cenni),
s. m. ‘grave rialzo nei prezzi dei beni di prima necessità’ (av. 1600, B. Davanzati).
Derivati:
carovita,
s. m. ‘forte rialzo dei prezzi’ (av. 1941, C. Linati: Voc. Acc.),
caroviveri,
s. m. ‘carovita’ (La lotta contro il caro viveri: “La nuova antologia”, 16 ott. 1916, p. 485, ove si trova anche la forma caro-viveri).
Lat. caru(m), di orig. indeur. Carovita e caroviveri sono comp. per giustapposizione di caro (s. m.) e vita, viveri. Migl. App. 1963, s. v. caro- scrive: “Sull'esempio di caroviveri, si è parlato di carofitti, carocarta, carostampa, caropane, caromorte, caro-ombra, carovita... e si è giunti scherzosamente al carotutto”.