Stàła, stìa, stabio, tabià, staxo, stanberga, maxo, malga

Stàła, stìa, stabio, tabià, staxo, stanberga, maxo, malga

Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 12:16 pm

Stàła (stalla), stìa, stabio, tabià, staxo (staggio), stanberga, tigore, maxo, malga, ...
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Stała fiłò a Ròtso
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Stałeta de na fameja poareta
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Stała cavaj casteło de Thiene
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Stała moderna de vàke
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Stìa połastri
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stalla,
s. f. ‘fabbricato rurale destinato al ricovero di bovini’ (stalla nel lat. mediev. di Treviso nel 1265: Sella Ven.; it. stalla: 1350 ca., Crescenzi volgar.), ‘complesso di animali contenuti nella stalla’ (1515, G. Gheri), ‘ambiente molto sudicio’ (1875, Rigutini-Fanf.).
Locuzioni:
dalle stelle alle stalle ‘per indicare un brusco e improvviso passaggio da una situazione elevata a una infima’ (1863, Fanf. Tosc.).

Derivati:
stallaggio,
s. m. ‘anticamente, alloggio per le bestie, spec. i cavalli, in stalle di locande, osterie, e sim.’ (sec. XIV, Bandi lucchesi), ‘spesa dello stallaggio’ (av. 1405, L. Frescobaldi),
stallatico,
agg. ‘di stalla’ (1960, Diz. enc.),
s. m. ‘stallaggio’ (stallaticum nel lat. cancelleresco di Iesi nel 1516: Sella Ven.; it. stallatico: av. 1533, L. Ariosto, nel sign. di ‘luogo dove si danno cavalli a vettura’), ‘letame di animali allevati in stalla’ (av. 1571, B. Cellini),
stalliere,
s. m. ‘servitore addetto alla cura dei cavalli’ (1611, Florio; Berg. Voci lo dice attest. in C. Rao, 1592, dove non è stato possibile rintracciarlo).

Vc. d'orig. germ., prob. entrata già nel lat. volgare: “In base alle testimonianze delle fonti scritte, ad alcuni indizi fonetici e morfologici, e a caratteri areali, lo studioso tedesco [= il Gamillscheg] dà una lista di diciotto parole che è sicuro o probabile fossero adoperate in latino volgare, anche se limitatamente a singole zone, prima del V secolo. Sette di queste parole compaiono solo nei parlari ladini (si tratterebbe di germanismi del latino volgare della Rezia e del Norico). Delle rimanenti undici, quelle che si conservano in italiano (oltre a vanga, di cui s'è parlato nel paragrafo precedente) sono: brace (o brage -ia) *brasa ‘id.’, martora *marthr ‘id.’, stalia *stalla ‘id.’ [...]”, scrive A. Castellani in SLI XI (1985) 12, e in nota aggiunge: “Dalla seconda edizione del vol. I di Rom[ania] Germ[anica] non appar chiaro perché il Gamillscheg abbia incluso *stalla in quest'elenco. La spiegazione è nella prima edizione, a p. 30: il tipo *stalla sarebbe penetrato in latino volgare prima della caduta dell'a breve finale (< os); il fatto che non si trovi nel galloromanzo potrebb'esser dovuto a una sua sostituzione da parte del più tardo *stal, latinizzato in stallum. Il Gamillscheg, tuttavia, prende in considerazione anche l'ipotesi d'un gotismo *stalla, diffusosi nel periodo del regno tolosano”.

stallo 1,
s. m. ‘sosta, dimora’ (av. 1294, B. Latini; per altre attest. si veda il glossario di Giordano Quar.; non più usato dopo il sec. XIV: 1400 ca., Sercambi Nov.), ‘sedile di legno con braccioli e dorsale, destinato a persone eminenti’ (“Era stata gran contesa fra i Visdomini e il clero di dette chiese, di chi fusse ufizio collocare il Vescovo in sedia, che e' dicevano ancora stallo”: av. 1580, V. Borghini), ‘nel giuoco degli scacchi, situazione del re che non può muoversi perché cadrebbe comunque sotto scacco’ (1805, D'Alb.).
Locuzioni:
situazione di stallo ‘situazione bloccata, giunta ad un punto morto’ (1960, Diz. enc.).
Francone *stall ‘sosta, dimora’ (cfr. stalla).

stallo 2,
s. m. ‘in aeronautica, perdita di portanza di un'ala che si verifica al distacco della corrente fluida dal dorso dell'ala stessa’ (1960, Diz. enc.).
Ingl. stall (1918 in questa accez.), propr. ‘stalla’, quindi ‘luogo di sosta, arresto ecc.’: cfr. stallo 1.


stallone,
s. m. ‘maschio del cavallo destinato alla riproduzione’ (stallones nel lat. mediev. di Sicilia nel 1258: BCSFLS XII [1973] 98; “equum stalonem” nel lat. mediev. di Padova nel sec. XIII: Sella Ven.; it. stallone: 1350 ca., Crescenzi volgar.).
Dal francone *stallo ‘puledro’, non attrav. il fr. ant. estalon, come si riteneva un tempo (A. Varvaro, in BCSFLS XII [1973] 98-99). Ancora nel Cinquecento pare fosse vc. tipica it.: “Appresso menano con esso loro alcuni, come si dice in Italia stalloni, il fanno a prezzo ingravidar le cavalle di chi vuole” (Leone Africano, nei Viaggi del Ramusio, a cura di Milanesi, I, Torino, 1978, p. 202).

http://www.etimo.it/?term=stalla
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http://www.etimo.it/?term=stallia
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http://www.etimo.it/?term=stallo
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http://www.etimo.it/?term=stallone
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http://www.treccani.it/vocabolario/stalla

stalla s. f. [dal germ. *stall «sosta, dimora»]. –

1.
a. Ambiente o fabbricato rurale nel quale sono tenuti chiusi per una parte del giorno, e soprattutto durante la notte, animali domestici da allevamento, spec. bovini (per gli altri animali sono specifici i nomi di scuderia per i cavalli, di ovile per le pecore, di porcile per i suini, ecc., anche se, quando si tratta di un ambiente singolo, e per uno o pochi animali, si dice spesso stalla anche per cavalli, asini e muli, pecore e capre, maiali). La s. per bovini è distinta in s. fissa, chiusa, coperta, ben aerata, generalm. di forma rettangolare, con poste affiancate in semplice fila (fino a 50 e più capi) con corridoio centrale (corsia di alimentazione), nelle quali l’animale è tenuto vincolato al proprio posto da attacchi speciali che gli permettono di mangiare e sdraiarsi; e in s. libera, composta da una zona di sosta (o di riposo), coperta, rettangolare allungata, col pavimento coperto da un abbondante strato di paglia che viene rinnovato periodicamente; un recinto scoperto (paddock) antistante al lato aperto della zona di sosta, pavimentato parte in terra e parte in battuto di cemento, nel quale i bovini possono muoversi liberamente; una zona di alimentazione, spesso coperta con pensilina, nella quale viene periodicamente depositato il foraggio per l’alimentazione; e un reparto di mungitura, adiacente alla zona di riposo, nel quale si svolgono le operazioni di mungitura, oggi comunque effettuate con apparecchi pneumatici. In senso generico, pulire, rigovernare la s.; portare i buoi nella s.; ragazzo, garzone, mozzo di s., addetto al governo degli animali e alla pulizia della stalla. In senso fig. ed estens. sono in uso le espressioni prov. sentire odore di stalla, affrettare il passo quando si è vicini a casa o sulla via del ritorno, o anche intensificare il ritmo di un lavoro quando se ne intravede la fine, con allusione al comportamento dell’asino quando sente vicina la stalla; dalle stelle alle s., con riferimento a chi decade improvvisamente da una condizione elevata, o perde la stima di cui godeva, o anche per indicare il brusco passaggio da argomenti alti e nobili ad altri volgari e pedestri; chiudere la s. quando sono scappati i buoi, prendere delle precauzioni o cercare un rimedio quando ormai è troppo tardi.
b. In similitudini, come simbolo di sporcizia: questa casa è ridotta a una s., sembra una s., è una s.; essere allevato in una s., di persona molto sporca. Le s. di Augìa, le stalle del mitologico re degli Epei, Augìa, le quali, non pulite per tanti anni, erano così sporche che Ercole, in una delle sue fatiche, dovette farvi passare attraverso due fiumi, in modo da pulirle tutte in un giorno solo; l’espressione è usata talvolta per indicare grande sporcizia, oppure corruzione morale.

2.
a. L’insieme del bestiame ricoverato in una stalla: una s. che rende poco; un’azienda agricola che ha una s. ben selezionata.
b. ant. Dare stalla, ricoverare in stalla animali domestici: io credo che sia ben fatto che noi diamo stalla a queste bestie (Boccaccio). ◆ Dim. stallétta e stallettina, stallétto m. (questo anche per lo stabbiolo del maiale), stallina o stallino m., stallùccia o stallùccio m. (anche quest’ultimo per indicare lo stabbiolo); pegg. stallàccia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Stàła/stalla, stàbio, tabià, stanberga, tigore, maxo, malga

Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 12:19 pm

Stàbio e stała

So wikipedia łi trà fora l’etimołoja dal latin stabulum:

http://it.wikipedia.org/wiki/Stalla
La stalla (dal latino stabulum, i) è un edificio adibito a luogo di ricovero per animali. In particolar modo per "stalla" spesso si intende il luogo adibito alla manutenzione, foraggiatura e riposo dei cavalli.

Per altri animali da fattoria la stalla assume nomi precisi:

Per i suini (maiali e simili) viene chiamata porcile (en veneto anca staloto par i mas.ci o buxgat-bugigattolo)
Per gli ovini viene chiamata ovile
Per i caprini viene chiamata caprile
Per il pollame in generale viene chiamata pollaio (en veneto punaro o stia)
Per i conigli è una conigliera
Per gli equini è una scuderia
Per i bovini, viene comunemente chiamata stalla



Ma el wktionary el ło dà dal xerman:

http://it.wiktionary.org/wiki/stalla
dal germanico stall, dal gotico stalla ossia "sosta, dimora"

http://www.etimo.it/?term=stabulario
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http://www.etimo.it/?term=stabbio
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http://www.etimo.it/?term=stabile
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http://www.etimo.it/?term=stabilimento
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http://www.etimo.it/?term=stazzo
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stabbio,
s. m. ‘recinto ove sono raccolte di notte pecore o mandrie al pascolo’ (1838, Tram., che lo documenta con un testo non identificatoo [Diod. Sof.]), ‘stallatico’ (stabium nel lat. mediev. di Roma nel 1363: Sella Ven.; it. stabbio: av. 1597, G. Soderini).

Derivati:
stabbiare,
v. tr. ‘concimare con lo stabbio’ (1557-1592, M. Roseo), ‘tenere il bestiame nello stabbio’ (1786-1803, Spettacolo della natura),
intr. ‘stare nello stabbio per concimare il terreno, detto di pecore o sim.’ (1891, Petr.),
stabbiatura,
s. f. ‘atto, effetto dello stabbiare’ (1822, G. Lambruschini, cit. in Canev.).
Lat. stabulu(m) ‘stalla’ (da stare ‘stare’), col der. stabulare ‘stare nella stalla’. Stabbio nel sign. di ‘concime’ è però prob. dev. di stabbiar

stabile,
agg. ‘che è ben saldo, fisso, inamovibile’ (1280-1297, Statuti senesi), ‘durevole, costante, permanente’ (av. 1375, G. Boccaccio), ‘non variabile, detto del tempo’ (1873, TB), ‘di organizzazione teatrale o compagnia stabilmente attiva presso una determinata città’ (compagnia stabile: 1956, Diz. enc.; teatro stabile: 1960, Diz. enc.), ‘detto di atomo o particella elementare non soggetti a disintegrazione spontanea’ (1965, Zing. App.),
s. m. ‘edificio casa fabbricato’ (av. 1555, S. Serlio),
s. m. o f. ‘compagnia, teatro stabile’ (s. f.: 1918, Panz. Diz.; s. m.: 1970, Zing.).

Derivati:
stabilimento,
s. m. ‘atto, effetto dello stabilire’ (av. 1540, F. Guicciardini; prec. nel sign. di ‘costanza, fermezza, cosa stabile’), ‘insieme di fabbricati in cui si svolge un'attività industriale’ (1764, Ragguaglj di vari paesi, cit. in Morgana Aspetti 431), ‘insieme di fabbricati in cui si svolge un servizio di pubblica utilità’ (1750, A. Cocchi, cit. in Gher. Suppl., in riferimento allo stabilimento dei bagni di Pisa; “Con erogarne la rendita... in benefizio d'istituti di pietà pubblica... per le scuole e per l'educazione della povera gente, essendo ben informati gli stessi prelati delle continue cure di S.A.R. per questi ed altri simili stabilimenti”: 1780, Bandi leopoldini, cit. in Molossi; “Stabilimento: È, dice la Crusca, lo stabilire; e questo stabilire è un meccanismo, ella insegna, che statuire, diliberare, ordinare, deputare, assegnare. L'Alberti dà alla voce stabilimento nel suo vocabolario italiano e francese presso a poco questa medesima definizione, e non parla d'altri usi di essa; ma nel francese e italiano ce la regala per bonissima in luogo di istituto, istituzione, statuto; come sarebbe lo stabilimento de' sordi muti, de' pazzi, in luogo di dire l'istituto, l'istituzione, casa, ricovero, ospizio, de' sordi-muti, ecc. Ma con buona pace di lui nessun de' buoni scrittori gli andò a verso, e questi a me sembra, sieno di preferenza da imitare”: 1831, Liss. 83),
stabilire,
v. tr. ‘rendere stabile, fissare, collocare’ (av. 1294, B. Latini), ‘statuire, deliberare, decretare’ (fine sec. XIII, Novellino, p. 857),
rifl. ‘prendere stanza, sede, dimora’ (1563, V. Martelli, ma diffusosi nel sec. XIX: “Stabilire: Importa statuire, deliberare, ordinare, deputare, assegnare, e stabilire dicesi pure l'intonacar de' muri, o d'altro. Non così l'operarlo in luogo di stanziarsi, pigliare stanza, fermar sua sede, ecc. in alcun luogo, come: A loro non garbava punto lo stabilirsi in Francia; cioè, il fermare, pigliare loro stanza, ecc.”: 1831, Liss. 156),
stabilità,
s. f. ‘l'essere stabile’ (av. 1348, G. Villani),
stabilito,
part. pass. e agg. ‘disposto, fissato’ (av. 1306, Iacopone da Todi, Laudi, trattato e detti, a cura di F. Ageno, Firenze, 1953, p. 395),
s. m. ‘documento contenente tutti gli elementi del contratto, che, se munito di clausola all'ordine, ne consente la cessione senza accettazione del contraente ceduto’ (1937, Enc. it. XXXV 41),
stabilizzare,
v. tr. ‘rendere stabile’ (1940, Palazzi),
rifl. ‘diventare stabile’ (1960, Diz. enc.),
stabilizzatore,
s. m. e agg. ‘che stabilizza’ (1960, Diz. enc.),
s. m. ‘dispositivo che elimina variazioni nella tensione o nella corrente destinate all'alimentazione di apparecchiature a tensione costante, come radio, televisione ecc.’ (1948, Enc. it., appendice II, I, 832), ‘parte fissa dell'impennaggio orizzontale destinata ad assicurare la stabilità dell'aeromobile’ (1919, Mele Dander 42), ‘apparecchio che estingue il rollio’ (stabilizzatore giroscopico: 1932, Bardesono),
stabilizzazione,
s. f. ‘atto, effetto dello stabilizzare’ (1927, Panz. Diz., che la dice attestata dal 1925).

Vc. dotte, lat. stabile(m) (da stare ‘stare’), coi der. stabilimentu(m) ‘appoggio, sostegno’, stabilire, ‘assodare, render sodo, fermo; determinare’ e stabilitate(m) ‘stabilità, fermezza, saldezza’. Stabilimento nel sign. di ‘fabbricato in cui si svolge un servizio di pubblica utilità’, stabilizzare, stabilizzatore e stabilizzazione sono il fr. établissement (1685 in questa accez.), stabiliser (1780 ca. ‘rendere permanente’; rifl. 1877), stabilisateur (1877, ‘che stabilizza’; 1907 ‘dispositivo che elimina variazioni’), stabilisation (1780 ca.).
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Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 12:20 pm

Tabià

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http://www.comune.forno-di-zoldo.bl.it/ ... Zoldo.html

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Gli edifici adibiti a stalla e fienile, o tabià, come vengono chiamati in dialetto, sono l’elemento che più caratterizza l’architettura della valle, e oggi che agricoltura e pastorizia sono scomparse, hanno trovato una nuova destinazione d’uso: ristrutturati, rispettando l’aspetto esteriore, sono diventati prestigiose dimore. Gli esempi più antichi di tabià risalgono alla seconda metà del 1600; si tratta di costruzioni realizzate in legno su un basamento in pietra, con il sistema a blockbau (tronchi sovrapposti incastrati), e standerbau (tronchi portanti verticali e di sostegno orizzontali). Il tetto, a due spioventi, era coperto di scandole.

Nel XIII-XIV secolo abitazione e rustico erano una struttura unica, come dimostrano i rari esempi rimasti.

L'edificio, in muratura al piano terreno e in legno al piano superiore, sul fronte rivolto a sud ospitava l’abitazione (la cucina e la stua), e i locali per la lavorazione del latte; sopra si trovavano le camere da letto, che si raggiungevano attraverso una scala esterna. Sul retro dell'edificio si trovavano le stalle e sopra di esse il fienile. Il tutto era collegato da corridoi e scale interne, in modo da consentire la cura degli animali senza dover uscire all’aperto in caso di maltempo, o dover spalare la neve dopo abbondanti nevicate. Solo a partire dal XVI secolo, per evitare il pericolo che gli incendi si propagassero all'abitazione, questa venne separata dal rustico.

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Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 12:36 pm

Maxo, Maxon, Maxio, Maxi, Maxer, Maxera, Maxerà, mansio, maison, demain/domain (demanio/dominio), maniero, Manero, Masaria, transumansa, transumare/transumanare

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Riflessi linguistici dello sviluppo culturale in Italia; cap. XX
Ociàr p. 859 OR 2 Mario Alinei

4.3.1. Inizio dell’allevamento stanziale e del sedentarismo residenziale: maneo > mansio

Può sembrare triviale, ma il passaggio da maneo «rimango» a mansio e *mansum nel senso di «residenza stanziale (di animali)», già attestato in latino (cfr. «pecorum mansio», «mansio equorum» [DELL]), e presente quasi ovunque nei dialetti attuali, sarebbe impossibile senza il passaggio graduale dalla mobilità logistica al sedentarismo.
Questa motivazione non può quindi in alcun caso essere proiettata in un ambito romano o medievale, ma ha bisogno del Neolitico per acquistare un senso.
Per la documentazione, oltre al francese maison «casa», si notino per lo meno dalmatico mošun(a) «ovile», pugliese masunu, bergamasco trentino veronese mazon «pollaio», comasco mazon «malga», valtellinese mazon «fienile», logudorese masone «grossa mandria», campidanese mazoni «stalla per pecore, capre, maiali», ecc. [BEW 5311]; rumeno mas «ovile», trevigiano bellunese mas, gardenese mes «fattoria», linguadocico guascone catalano aragonese mas «fattoria» etc. [REW 5322].
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Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 12:43 pm

Tigòr (Trieste e Istria)

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http://www.atrieste.org/viewtopic.php?t ... sc&start=0


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Tugurio,
s. m. ‘abituro, stamberga, tana, topaia’ (tigurio: av. 1342, D. Cavalca; tugurio: 1485 ca., Arcadia 157-8).
Voce dotta (con qualche scarso continuatore popolare nella Venezia Giulia), cfr. latino tuguriu(m), di etimologia sconosciuta.
Per tigurio (tigór a Trieste e Pirano, tagùr a Rovigno) occorrerà risalire alla variante tiguriu(m) ???.
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Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 1:05 pm

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Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 5:44 pm

Stanberga

http://www.etimo.it/?term=stamberga
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Convergenze cadorino-friulane in ambito toponomastico
Maria Teresa Vigolo – Paola Barbierato, Convergenze cadorino-friulane in ambito toponomastico in “Atti del secondo convegno di Toponomastica Friulana, Udine, 22-23 novembre 2002, in Quaderni di toponomastica friulana, nn. 6-7 (parte I e II), a cura di F. Finco, Società Filologica Friulana, Udine 2007, pp. 343-379.

http://www.pd.istc.cnr.it/index2.php?op ... iew&gid=71

Sempre nell’ambito dei toponimi legati alla terminologia pastorale, possiamo citare i derivati dall’appellativo tamber che con le varianti tamerum / temerum è ricordato più volte nei Laudi, cfr. ad es. (a.1327) “quilibet qui destruet clausuras tambris dicti Comunis…” [CAN1327, art.53], (a.1365) “grearius debeat passere XLV fede et habeat XX libras caxei, et facere trasseam in tamere” [LOR1365, art.23], (a.1380 ?) “quilibet qui non aptaverit suum temerem antequam pecudes intervenirent in temeres; condemnetur in quinque sold. parv. [AUR1380, art.140].

Il termine, che dal preromano *tamara (REW8546a) “rampollo”, “virgulto”, sarebbe poi passato al senso di “stanga”, si continua nel cad. tàmer (o tamar, tambro, tambar) “ricovero povero, a volte anche solo recinto, di carattere pastorale”, ampezz. taméi (arc.) “vecchio tugurio dei pecorai” e tamarìn “piccola capanna di ricovero per i pastori” (Croatto 203), friul. tàmar, tàmer “recinto a stanghe, a stecconata o a palizzata, che chiude i varii fabbricati che costituiscono la casèra.

Un tempo significava anche lo spazio, chiuso da stanghe, ove le mandre serenavano all’aperto, ciò che è in uso ancora in Valcellina” (NPirona 1168).

L’appellativo è alla base di molte forme toponimiche e ogni paese del Cadore ha una località con tale nome, cfr. ad es. Tambre d’Alpago, Tamèr, Tamarìl (S. Pell., NLVB 241),Tamaròz (Pellegrini, NLMC 88), cfr. inoltre più microtoponimi Tamer, Tamber nei Laudi: (a.1331) “apud fedaria de Ambrizola vel in campo de Post Forca de Tamaio” [AMB1331, art.51]; (a.1364) “infra per quemdam viale...et ferit in quodam Collo qui dicitur ad Tamer qui est in capite campi Nicolai de la Rigessa” [CAL1364, art.54]; (a.1365) “saltarii debeant habere tertiam partem omnium pignorum de montibus Loschi, et de Tamaris habeant dimidietatem” [LOR1365, art.9]; (a.1459-1664) “… est unus mansus nominatus Tamber” [FES1459-1664, art.1]; (a.1599) “usque ad rivum in loco ubi est Rade de Val, qui rivus labitur a Tamarì” [SOT1599, art.36], etc.

Altrettanto numerosi sono i toponimi friulani, cfr. più luoghi Tàmar, Tamaràt, Tamaróz (Frau, DTF 114-5), a Forni di Sopra Tàmar (Tàmaras) luogo che rappresenta un’antica attività di pascolo e Tamarat (Al Tamaràt) Tamariéi Tamarut (Al Tamarùt), Anziutti 163-4, cfr. inoltre Tamarut, casera ad ovest di Pesariis (Lamberti 148).

Borgo Berga
viewtopic.php?f=45&t=1028

Stanberga, albergo e albergaria...

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stamberga,
s. f. ‘casa squallida e sporca’ (av. 1573, A. Allori).

La vc. è tradizionalmente ritenuta d'orig. longobarda: “La casa germanica era di tronchi d'albero commessi ad arte, oppure di legno e loto. Ma si può ritenere che in alcuni casi gl'invasori abbiano occupato le abitazioni di proprietari romani (e non romani ke li jera li pì) uccisi (poki), espulsi o fuggiti (mah?), e che, per quanto tradizionalisti, abbiano ben presto cominciato a edificare essi stessi case in muratura (???). Per indicare queste case (o anche, forse, quelle dei Romani e de li non romani ke li jera li pì e ke li gheva caxe e caxono de fraske e de pali) è stato coniato un termine composto da *stain ‘pietra’ e *berga ‘alloggio’: *stainberga (da compararsi coll'alto tedesco medio steinhus ‘casa murata’ e coll'alto tedesco antico steingadum [gadum, poi gadem, gaden ‘casa d'una sola stanza’, anche in composizioni onomastiche come Berchtesgaden, anticam. Berchtoldes gadem (...)]), da cui, con uno scadimento semantico (ke càso vol dir???) caratteristico di vari germanismi, il nostro stamberga ‘casa o stanza in cattivo stato’ (prime attestazioni note: XVI secolo, Agnolo Allori)” (A. Castellani, in SLI XI [1985] 166). Ma giustamente il VEI fa capire la difficoltà di ipotizzare un'orig. longobarda per una vc. attestata solo nel sec. XVI, e, visto che l'Oudin registra stamberga nel sign. di ‘taverna’, scrive: “Visto il significato di «taverna», ora estinto, stambèrga è forse stanza unita a albèrgo o a bèrgo (pist., lucch.) «albergo» (ID XIII 84), e infatti stambergare nella montagna pistojese vale o valeva «albergare», non «albergare in stamberghe (nel senso d'oggi)», come precisa il Petrocchi”. Pur rimanendo qualche dubbio sulla proposta del VEI, è certo che la tarda documentazione della vc. fa propendere per un'orig. it. della stessa o rende molto improbabile una der. diretta del longobardo (cfr. anche Alessio Postille); nò, n ła xe de orexene tałiana cfr. tanber/tamber, tamer e berg/berga/bergeria e el senso de onto e de “trato su a ła bona kel par mal fato” lè parké łe jera caxete o tuguri i ricovari par łe bestie.

garage,
s. m. ‘rimessa per autoveicoli’ (1908, Panz. Diz.; generico per ‘rimessa, deposito’ nell'ediz. del 1905; entrato presto nei dial., come nel genov. garaxe, registrato nel 1910 da G. Frisoni, Diz. mod. genovese-italiano).
Derivati:
garagista,
s. m. ‘chi gestisce un'autorimessa o vi lavora’ (1927, Panz. Diz. [Appendice]; 1933, P. Monelli – non Morelli, come erroneamente cita il Batt. –; “il popolo ne fece garagge, ne derivò garagista”).
Vc. fr., di orig. germ., da garer ‘mettere al riparo’ (1265), e gare, che, oltre a ‘stazione’, significa anche ‘magazzino di deposito’ (1802) e poi, specificatamente, ‘autorimessa’ (1899). L'adattamento garaggio (1931, Panz. Diz. s. v. garage) non ha avuto tanta fortuna, quanto la sostituzione con (auto)rimessa (proposta nel 1941 dall'Accademia d'Italia: LN III, 1941, 96), anche se autorimessa ricordava troppo da vicino l'autogarage fr. (Jacono). Comunque, sia pure con una certa lentezza (Migl. L. c. 178), garage, che in fr. si colloca in una precisa famiglia etim., mentre in it. resta “isolato, non connesso e non connettibile con altri” termini (Migl. L. c. 164), sta perdendo sempre più terreno.

Stanberga, tamber, tamer, berg, berger, albergo, ber, ger, gar, gare, garages
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Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 7:18 pm

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stia,
s. f. ‘grande gabbia in cui si tengono i polli e sim. per ingrassarli o per trasportarli’ (stia nel lat. mediev. di Bologna nel 1293: Sella Em.; it. stia: av. 1306, Iacopone da Todi, Laudi, trattato e detti, a cura di F. Ageno, Firenze, 1953, p. 218).

Vc. d'orig. incerta: “L'italiano stia «porcile» [...] è stato riportato dal REW 8524 al long[obardo] stiga [sic] «Stiege», spiegazione respinta con buoni argomenti dal Prati, VEI, p. 942, il quale, dopo aver fatto rilevare che stia non significa anche «scaletta dei polli» (Hühnerstiege, REW, cit.), sembra propenso a trarlo «da stipa da stipare», ricordando inoltre il bellunese, trevisano, stia «porcile».
Al Prati si associa il Battisti, in DEI V, p. 3633, ma ad entrambi è sfuggito che stipa in latino non esiste (???), bensì stip(p)a «Stab zur Stütze der Amphoren» [...], che non fa al caso nostro. Comunque, anche a noi sembra che il punto di partenza vada ricercato nel latino stipare, che ha dato il nostro stivare (Boccaccio), donde stiva (XIV sec.), nel senso marinaro di «spazio interno della nave tra il fondo e il primo ponte a cominciare dal basso», che perciò, come stia (stipa, nel Caro), è da considerare un deverbale, e per la lenizione di -p- intervocalico di origine settentrionale; cfr. navis taliter stivari debeat ... (a. 1229, a Venezia), Sella Gloss. lat. it., p. 493 sg., s. v. rustica, anteriore a stivatore (a. 1264; Prati, VEI p. 943). Le documentazioni di stia nel Sella risultano più tarde: stia (a. 1293, a Bologna), cum stiis pullorum (a. 1414, a Faenza), Gloss. lat. emil., pp. 136, 341; porcorum ... in stia (XVI sec., ad Arbe), Gloss. lat. it., p. 553, quest'ultimo concordante per il significato di «porcile» con quello che appare in Iacopone: jace, jace en esta stia como porco de grassia... (citato dal Prati, p. 712, s. v. paccone; cfr. Laudi, ed. Ageno, LV. 48). Ne dedurremo che stia può bene essere una variante dialettale di stiva, e che la sua fortuna sembra legata al fatto che le due voci potevano in tal modo restare semanticamente distinte. Per l'evoluzione semantica da «stiva» a «porcile», basti ricordare il sic. ant. cimba, «hara, stabulum porcorum» (a. 1348, Senisio), sic., calabr., cilent. zimba, zimma «porcile», che risalgono al lat. tardo cymba «locus imus navis» (Isid.); vedi Alessio, in Atti Accad. Pontaniana, n.s., IX (1959-60), p. 306 sg.” (G. Alessio, in LN XXVIII [1967] 105-106).
???

Cfr. co:

Da: Le origini delle lingue europee, del glottologo Mario Alinei Volume II
Preistoria linguistica germanica
Capitolo XI

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Consideriamo ora steward: in questo termine l’elemento word «custode» è ancora del tutto riconoscibile, e nel primo componente l'analisi etimologica e la letteratura anglosassone permettono di riconoscere il termine sty, oggi «porcilе», anticamente «stalla».
È un termine che si ritrova iп tutte le lingue germaniche, ma soprattutto in quelle scandinave: anglosassone stigu «stalla per bestiame», antico islandese stīa, stī «porcile, kennel» swīnstī «stalla per porci», stīa «rinchiudere animali in un recinto»; danese sti «porcile, stalla», svedese stia «porcile, cabina per maiali o oche», da cui gåsstia «stalla per oche», svinstia «porcile», svedese dialettale stısteg, «ricovero per porci, caрre o pecore», nederlandese swijn-stijge «porcile», tedesco Steige «scala, scalini», ma anche «pollaio», antico alto tedesco stiga «recinto per piccolo bestiame».
Di qui Fick [I 348] ricostruisce *stīgo *stīga «caрanna per bestiame» (Skeat 611).

Di nuovo, appare chiaro che mentre sty appartiene al vocabolario neolitico comune alle lingue germaniche continentali, steward si è formato solo in Inglese, e rappresenterebbe dunque uno sviluppo insulare, avvenuto quando le influenze dal continente erano finite poiché il Lord High Steward medievale era il primo funzionario della Corona, e lo steward moderno può essere amministratore di famiglia o di istituzione, sovrintendente, fattore, assistente di viaggio, tesoriere e così via, la nozione originaria dello steward doveva implicare la responsabilità della custodia di un patrimonio (forse armentario) comune.
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Messaggioda Berto » sab lug 26, 2014 10:10 pm

Malga

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Messaggioda Berto » lun lug 28, 2014 7:51 am

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