Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Sixara » dom mar 22, 2015 12:15 pm

A mi pì ke n ankh la me pare n ànk-ora :D
o anca - dato ca semo drio parlare de ornamenti - i charms da tacarse a on bracialeto...
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dognimodo el ghè el sinbolo de l oxèlo majco, ca sarìa l ANQA, on oxelo mitico ke l ghe someja a l grifone/fenice, o al cigno kyknos, ke l canta co l è drio morire, ma lè solo ke na morte par finta ke l risorje a nòva vita eviandare...
ghe entra anca el sole : el poeta mistico persiano Farid Al - Din Attar el conta de on viajo spirituale de 30 oxeli ( si-murgh), ca sarìa le creature ca ghe riva davanti a la Divinità :
" Allora il sole li colpì da vicino con i suoi raggi e le loro anime ne risplendettero. Allora i trenta uccelli simurgh del mondo contemplarono nel riflesso del loro viso, il volto del Simurgh spirituale. Essi si affrettarono a guardare questo Simurgh e si accorsero che esso non era altro che si-murgh, ovvero che loro stessi erano la Divinità. Così il mistico giunge all'unione con Dio, quando il suo stesso essere si è annullato."

Sì o nò? :D
( a me lo meritaria anca on bracialeto co tuti i charms-oxelini tacà tornovia...)
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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Berto » dom mar 22, 2015 1:37 pm

Sixara ha scritto:...dognimodo el ghè el sinbolo de l oxèlo majco, ca sarìa l ANQA, on oxelo mitico ke l ghe someja a l grifone/fenice, o al cigno kyknos, ke l canta co l è drio morire, ma lè solo ke na morte par finta ke l risorje a nòva vita eviandare...
ghe entra anca el sole : el poeta mistico persiano Farid Al - Din Attar el conta de on viajo spirituale de 30 oxeli ( si-murgh), ca sarìa le creature ca ghe riva davanti a la Divinità :
" Allora il sole li colpì da vicino con i suoi raggi e le loro anime ne risplendettero. Allora i trenta uccelli simurgh del mondo contemplarono nel riflesso del loro viso, il volto del Simurgh spirituale. Essi si affrettarono a guardare questo Simurgh e si accorsero che esso non era altro che si-murgh, ovvero che loro stessi erano la Divinità. Così il mistico giunge all'unione con Dio, quando il suo stesso essere si è annullato."

Sì o nò? :D
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Anqa

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... 0/anqa.jpg

http://www.britannica.com/EBchecked/topic/26695/anqa
In Islamic mythology the phoenix was identified with the ʿanqāʾ (Persian: sīmorgh), a huge mysterious bird (probably a heron) that was originally created by God with all perfections but thereafter became a plague and was killed.
http://www.britannica.com/EBchecked/top ... #ref263489
phoenix, in ancient Egypt and in Classical antiquity, a fabulous bird associated with the worship of the sun. The Egyptian phoenix was said to be as large as an eagle, with brilliant scarlet and gold plumage and a melodious cry. Only one phoenix existed at any time, and it was very long-lived—no ancient authority gave it a life span of less than 500 years. As its end approached, the phoenix fashioned a nest of aromatic boughs and spices, set it on fire, and was consumed in the flames. From the pyre miraculously sprang a new phoenix, which, after embalming its father’s ashes in an egg of myrrh, flew with the ashes to Heliopolis (“City of the Sun”) in Egypt, where it deposited them on the altar in the temple of the Egyptian god of the sun, Re. A variant of the story made the dying phoenix fly to Heliopolis and immolate itself in the altar fire, from which the young phoenix then rose.
The Egyptians associated the phoenix with immortality, and that symbolism had a widespread appeal in late antiquity. The phoenix was compared to undying Rome, and it appears on the coinage of the late Roman Empire as a symbol of the Eternal City. It was also widely interpreted as an allegory of resurrection and life after death—ideas that also appealed to emergent Christianity.
In Islamic mythology the phoenix was identified with the ʿanqāʾ (Persian: sīmorgh), a huge mysterious bird (probably a heron) that was originally created by God with all perfections but thereafter became a plague and was killed.

Simorg en persian el podaria esar paregno del xmergo (http://it.wikipedia.org/wiki/Mergus_australis).
El metego Anqa arabo lè l'oxeło parejo de l'avoltoio e del grifon mexopotameghi e del falco ejisian e l dovaria corispondar o ver on ligo co łi anunaki e co an-ki:

http://it.wikipedia.org/wiki/Anunnaki
http://it.wikipedia.org/wiki/An-Ki
http://it.wikipedia.org/wiki/Fenice
http://it.wikipedia.org/wiki/Benu

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Berto » dom mar 29, 2015 7:56 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Berto » mar apr 07, 2015 2:11 pm

No lè on papiro e gnanca el loto ma ła ninfa agoara o acoatega axura

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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... -axura.jpg

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La ninfea azzurra degli antichi Egizi
The blue waterlily of the ancient Egyptians

http://samorini.it/site/archeologia/afr ... ichi-egizi

Da oltre due secoli di studi egittologici, attorno alla ninfea e al “loto egiziano” si sono radicate confusioni terminologiche e concettuali che continuano a ravvivare una “svista” e soprattutto un’inappropriata interpretazione del ruolo religioso e simbolico svolto dalla ninfea, specialmente dalla ninfea azzurra, nell’antica cultura egiziana. Ben pochi Egittologi mostrano di essere a conoscenza del fatto che la ninfea è una droga psicoattiva, e fra questi pochi v’è chi mette in dubbio tale affermazione (ad es. Pommerening et al., 2010; Tyldesley, 2000, pp. 171-2), apportando evidenze fragili o non apportandone affatto. A dimostrazione del contrario, si veda Etnobotanica delle ninfee psicoattive.

Ma la “svista” che riguarda specificatamente la ninfea azzurra ha origini esterne all’Egittologia ed è di ben più vecchia data, poiché, per motivi che verranno chiariti in seguito, questa appariscente ninfea che cresceva sul Nilo durante i periodi faraonici e così ampiamente raffigurata nell’arte egizia (a partire dalla XVIII Dinastia è il vegetale maggiormente rappresentato) è sparita all’osservazione sia degli autori greci e latini, sia dei successivi autori ed erbari medievali. Si conoscono solamente due vaghi accenni all’esistenza della ninfea azzurra in due opere scritte a 1300 anni di distanza l’uno dall’altra, e si dovrà attendere un naturalista al seguito della campagna napoleonica in Egitto per “scoprirla” da un punto di vista botanico. E per la riscoperta delle sue proprietà psicoattive da parte della cultura occidentale si dovrà attendere la metà del XX secolo. Oliver-Bever (1961) è stato uno dei primi studiosi moderni ad accorgersi degli effetti narcotici delle ninfee dell’Egitto faraonico, mentre Díaz (1975) fu uno dei primi ad accorgersi degli effetti psicoattivi della specie americana Nymphaea ampla, che ricoprì un ruolo importante presso l’antica cultura maya. Nell’ambiente degli studi egittologici, solamente Harer (1985) sembra esserne accorto affrontando estesamente la questione. Anche Pommerening et al. (2010) hanno sviluppato un’interessante disquisizione in merito, criticando tuttavia il lavoro di Harer e mettendo in dubbio la psicoattività delle ninfee nilotiche.

Secondo Harer (1985) la “svista” degli Egittologi moderni nacque da quanto riferirono i primi viaggiatori occidentali circa l’utilizzo del loto in Egitto, e cioè che i suoi gambi e rizomi venivano consumati come cibo durante i periodi di carestia. E’ assai probabile che questa informazione etnobotanica si riferisse al vero e proprio loto, quello asiatico, ma di fatto gli Egittologi estesero questo dato a tutte le tre piante di “loto” presenti in Egitto, incluse quindi le ninfee bianca e azzurra. Tuttavia, a mio avviso vi sono plurimi fattori che hanno concorso alla scomparsa culturale della ninfea azzurra nei periodi post-faraonici, poiché in effetti è di questo che si tratta: una pianta che per alcuni millenni è stata un’importante fonte di droga psicoattiva, coltivata in scala industriale mediante lagune artificiali lungo il Nilo, a un certo punto, durante il periodo greco-romano di dominazione dell’Egitto, scompare per un paio di millenni dalla conoscenza umana. E’ dunque opportuno sviluppare studi approfondi sulla ninfea azzurra in un’ottica etnobotanica, che possano risultare utili agli studiosi delle altre discipline, in primis agli Egittologi, e le presenti pagine intendono apportarne un mio personale contributo.2


Una confusione terminologica

Trattando l’argomento delle ninfee nilotiche, è innanzitutto doveroso chiarire una secolare confusione terminologica fra “ninfea” e “loto”. Da un punto di vista strettamente botanico, per “loto” si intende la pianta Nelumbo nucifera Gaertn., della famiglia delle Nelumbonaceae. Con il termine “ninfea” si intendono invece le specie del genere Nymphaea appartenenti alla famiglia delle Nymphaeaceae. Il loto e le ninfee hanno in comune le caratteristiche di essere piante acquatiche e di produrre fiori appariscenti, ma hanno in comune anche termini vernacolari che hanno incrementato la confusione attorno al “complesso del loto”: la ninfea azzurra è chiamata in inglese “blue lotus” (“loto blu”), mentre la ninfea bianca viene chiamata “white lotus” (“loto bianco”). Quest’ultima è chiamata dai botanici Nymphaea lotus L. E con white lotus i floricultori indicano anche il vero e proprio loto, N. nucifera.3 Come se non fosse sufficiente, il termine loto è un nome con cui vengono popolarmente chiamate diverse altre piante nel Mediterraneo e in Europa, piante o arbusti non acquatici e che nulla hanno a che vedere con il loto asiatico e con le ninfee.4 E’ il caso di considerare anche che – come ulteriore motivo di confusione – sebbene il vero loto sia di origine asiatica e sia giunto in Egitto solo in epoca tarda, i Greci lo osservarono per la prima volta sul Nilo, e lo chiamarono “loto egiziano” (o anche “fava egizia”), un nome che si diffuse presso le successive culture europee latine e medievali.

Nel 1834, l’italiano Cattaneo cercava di apporre chiarimenti sulla confusione che ruota attorno al termine “loto”, e della confusone che ruota attorno alle ninfee egiziane si lamentava Spanton nel 1917, scrivendo: “Sembra come se i botanici da un lato abbiano ignorato gli archeologi, e questi a loro volta non apprezzino le distinzioni botaniche”. E in effetti gli archeologi, inclusi gli Egittologi, hanno continuato a denominare nei loro scritti le ninfee col nome di loto, una convenzione che continua tutt’ora. Finché gli studiosi delle diverse discipline continueranno a chiamare “loto” le ninfee, la confusione persisterà. Per questo motivo in questa sede propongo una nuova sistematizzazione terminologica, che può risultare utile nel campi dell’archeologia, della filologia e più in generale degli studi classici, e dell’etnobotanica: utilizzerò il termine loto in un senso strettamente botanico, cioè per “loto”, o meglio “loto asiatico” intendo unicamente Nelumbo nucifera, e chiamerò Nymphaea caerulea unicamente con il nome di “ninfea azzurra” e Nymphaea lotus col il nome di “ninfea bianca” (Samorini, 2012-13).

ninfee-convenzione

Durante i periodi dinastici, lungo il Nilo erano presenti due specie di ninfee, la ninfea azzurra e la ninfea bianca. Riguardo il loto asiatico, come detto fu introdotta dall’Asia probabilmente in seguito alla conquista persiana dell’Egitto del VI secolo a.C. (Keimer, 1948). Oggigiorno la ninfea azzurra è quasi scomparsa sul Nilo, ma durante i periodi dinastici era diffusa dal Delta alla Nubia (Koemoth, 1997). La ninfea bianca e la ninfea azzurra erano i due fiori più frequentemente coltivati sul Nilo, con l’impiego anche di appositi stagni costruiti artificialmente (Germer, 1985, pp. 39-40). Il motivo della scomparsa della conoscenza della ninfea azzurra potrebbe essere addotto al fatto che la sua massiva presenza lungo il Nilo durante i periodi faraonici era forzata dalle coltivazioni artificiali, e che una volta interrotta la sua coltivazione “industriale” per scopi principalmente religiosi (sappiamo che Ramesse III offrì 3410 mazzi di ninfea azzurra al tempio di Amon), interruzione verificatasi durante i tempi tolemaici o ancor prima, la sua presenza si ridusse notevolmente. Ciò spiegherebbe il motivo della sua pressoché totale assenza già nelle opere degli autori greci e latini, inclusi coloro che avevano visitato di persona l’Egitto.

Nonostante le due ninfee azzurra e bianca sembrano possedere le medesime proprietà farmacologiche e psicoattive, nella mitologia, nella religione e nell’iconografia egizia è stata data una preferenza quasi univoca alla ninfea azzurra. A tutt’oggi non è chiaro il motivo di questa preferenza. Si può solo osservare che è la ninfea azzurra e non quella bianca a emanare un intenso profumo.


Reperti materiali

Per quanto riguarda i reperti materiali, la presenza di ninfee negli ambienti antropici è attestata a partire dal Tardo Paleolitico nel sito dello Wadi Kubbaniya nell’Egitto Superiore (Hillman, 1989) e nel sito del primo Olocene (6000 a.C.) di Nabta Playa E-75-6 nel deserto occidentale. In quest’ultimo caso, la presenza di resti di ninfea sarebbe da associare al suo consumo come cibo (Hather, 1995). L’esame polinimetrico ha attestato la presenza delle ninfee durante il periodo Pre-Dinastico nel sito di Naqada KH3 (Emery-Barbier, 1990; cfr. Pommerening et al., 2010, p. 16).

Nelle tombe egizie dei periodi faraonici, in particolare durante le XVIII-XXI Dinastia, era costume riporre corone e semicircoli di fiori di ninfea sul petto del corpo fasciato del defunto, in quantità tali che tutto il sarcofago ne risultava stipato. Schweinfurth (1883) studiò i resti vegetali delle mummie di Ramesse II e dell’alto sacerdote Nisboni, trovando fiori di ninfea azzurra inseriti fra le fasce delle rispettive mummie. Nel caso di Ramesse II, circa mille anni dopo la sua sepoltura il sarcofago fu traslato in un luogo segreto nella Valle dei Re, ma fu accidentalmente rotto e ne venne costruito un altro, dove furono deposte nuove offerte floreali di ninfea azzurra. Ghirlande costituite da petali e sepali di ninfea azzurra, e a volte anche di ninfea bianca, sono stati ritrovati nei sarcofaghi di Amenhotep I, Ahmes I, e altri ancora. Probabilmente sono queste le “ghirlande di loto” egiziane di cui parla Ateneo (Deipnosofisti, XV, 677), che sembrerebbe essere l’unico autore classico che fa un riferimento alla ninfea azzurra (si veda Etnobotanica delle ninfee psicoattive). La mummia di Kent, ritrovata a Sheikh-abd-el-Gournah, sulle rovine dell’antica Tebe, portava al collo una ghirlanda costituita di petali di ninfea azzurra e di rametti di sedano. Fiori di ninfea bianca sono stati ritrovati in una necropoli della XII Dinastia a Kahoun (Loret, 1892, pp. 70, 113). Fiori di ninfea azzurra sono presenti anche nelle ghirlande del sarcofago dell’architetto Khà, che lavorò per diversi faraoni della XVIII Dinastia (Mattirolo, 1925-6, p. 548).


Nomi ed epiteti delle ninfee

Nella scrittura geroglifica il simbolo della ninfea appare sin dai suoi arbori, durante la Prima Dinastia, come un fiore in posizione orizzontale e un picciolo piegato verticalmente (ideogramma M9 nella codificazione moderna della grammatica geroglifica). Un altro geroglifico raffigurante la ninfea e presente sin dalle origini è l’ideogramma M12, interpretato come una foglia di ninfea con il suo gambo e il rizoma, disposti verticalmente. M12 veniva usato per indicare il numero 1000 e, nei testi sacrificali, indicava il concetto di “una grande quantità”; ciò è dovuto probabilmente al fatto che il frutto delle ninfee contiene migliaia di semi (Pommerening et al., 2010, p. 26).



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http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... xura-1.jpg

(sx) Geroglifico M9 raffigurante una ninfea; (dx) Geroglifico M12 raffigurante la foglia di ninfea con il suo gambo e rizoma

E’ evidente che gli antichi Egizi si erano accorti delle nette differenze fra le due specie di ninfee, sia per i diversi colori blu e bianco dei loro fiori, sia perché quella blu fiorisce di giorno, mentre quella bianca fiorisce di notte. Anche per quanto riguarda la scrittura ci si dovrà quindi attendere una differenziazione terminologica per le due ninfee. Sin dai tempi di Champollion (1826), il termine ieratico sšn è stato correttamente tradotto con “ninfea”. Loret (1892, pp. 114-7) tradusse questo termine con “ninfea bianca”, mentre identificò la ninfea azzurra con il nome sarpat. Altri, in maniera forse più completa, identificano la forma sšn con la ninfea azzurra, e la forma nhb con la ninfea bianca (Morenz & Schubert, 1954, p. 91). Pommerening et al. (2010, p. 28) propongono la forma nḥt.t per la ninfea bianca, e la forma sšn per quella azzurra. Questi due termini sono presenti a partire dal Regno Antico e si trovano con una minor frequenza nei Medio e Nuovo Regni. Kitchen (1987) riporta che il nome geroglifico per ninfea ha avuto una prima forma sššn presente nell’Antico Regno (ca. 2500-1900 a.C.) e una forma più tarda sšn a partire dal Medio Regno.

Un fatto curioso, nella più tarda lingua demotica il termine è rimasto immutato (sšn), e nella lingua copta diventò šōšen. Nell’ebraico biblico tale termine si trasformò nei termini šūšan, šōšan e šōšannā. Questi termini, passando per il greco, diedero origine al moderno nome Susanna. La traduzione šōšen sta a indicare in lingua copta il giglio e non più la ninfea, e questa modifica di significato si è in seguito trascinata nel corso della migrazione interlinguistica di questa parola, incrementando la già articolata confusione terminologica e d’identificazione (Loret, 1892, pp. 114-6; Defossez, 1992).
http://it.wikipedia.org/wiki/Susanna

Ma la terminologia associata alle ninfee non si limita alle forme sšn e nhb, come attestato dallo studio di Ryhiner (1986, pp. 3-7) e da cui qui prendiamo in buona parte. In alcune iscrizioni appare il termine sšn n šmw, “ninfea d’estate”. In una scena della tomba dell’ufficiale Rekhmirē della XVIII Dinastia, è raffigurato il defunto di fronte a una tavola piena di doni ch’egli sta ricevendo, in un contesto di musica e danza. Accanto v’è la seguente iscrizione: “La ninfea d’estate è per il suo naso e la mirra per la necessità della sua testa” (Ryhiner, 1986, p. 4). In altre raffigurazioni si intende che questa ninfea emette profumo, un dato che confermerebbe l’identificazione di sšn e della “ninfea d’estate “ con la ninfea azzurra (la ninfea bianca è molto meno odorosa ed era la ninfea azzurra la specie apprezzata dagli antichi Egizi per il suo profumo).

Un altro epiteto è quello di nḫb wr, “grande loto”, una forma rara prima della Bassa Epoca, in cui l’aggettivo wr include un’accezione di “antico”. In un ostracon dell’epoca ramesside si legge: la pianta “nḫb wr che è apparsa nei flutti come bimbo di Mehet-Ouret”. Ciò farebbe identificare “il Grande Loto” con una divinità, figlio di una divinità. Anche per il “grande loto” si trovano riferimenti al suo profumo e al fatto che “è sotto il naso di tutti gli dei”. In un altro passo leggiamo “Horus d’Oro, dai misteriosi parti, uscita in qualità di nḫb wr” (id., p. 5), un passo che associa la ninfea con Horus e con il mondo femminile e dove è presente un ben noto tema mitologico di natura teogonica, la nascita di Horus bambino dalla ninfea.

Interessante appare il termine nenuphar, la cui origine è probabilmente egizia, attraverso il nome ieratico nfr, che sembrerebbe un ulteriore epiteto per la ninfea. Più specificatamente, nenuphar proverrebbe da n3 nfrw, “la bellezza”, al cui interno v’è l’epiteto nfr, un dato che ha fatto ipotizzare l’esistenza del soprannome egiziano “la bella” come attribuito alla ninfea. Inoltre, in un passo si leggerebbe dell’uso della pianta nfr come droga (id., pp.6-7). Durante il Nuovo Regno, la parola nfr era usata per indicare la ninfea, o più precisamente, “il fiore di Nefertum” (Yoo, 2012, p. 169).

Un ulteriore nome con cui veniva chiamata la ninfea è kf(3) o kf(3) ntr, presente in particolare nella scrittura dei periodi tolemaici, e l’etimologia più probabile deriverebbe dal verbo “nascondere” o “essere nascosti”. Ecco quindi che kf(3) ntr significherebbe “colui che svela il dio”, o “colui che nasconde il dio”, o ancora “il tronco divino” (id., pp. 8-9).

Koemoth (1993) ritiene di aver individuato un altro termine associato alla ninfea, che confermerebbe l’esistenza di una lingua sacra e segreta utilizzata dai “droghieri” di Edfou. Si tratterrebbe del termine ieratico w3b, che viene generalmente tradotto con “radici”, ma che nel linguaggio “esoterico” originale indicava specificatamente le radici della ninfea primordiale, quella da cui sorse il dio-solare infante (si veda il paragrafo sugli aspetti mitologici e religiosi). La più antica presenza di questa parola sinora nota è sulla stele di Ouni, appartenente alla V Dinastia. A questo termine ne era associato un altro, wnb, che indicava il fiore della ninfea primordiale. Nel mito dell’Occhio di Ra, l’occhio divino era sorto dalla radice w3b; ma da questa radice primordiale nacque il fiore della ninfea insieme a tutto il resto, inclusi tutti gli esseri viventi. L’associazione fra l’Occhio di Ra e la ninfea è già stata osservata da Ryhiner (1986, p. 10), affermando che l’Occhio di Ra è un nome che designa la ninfea dalla quale può uscire un lungo serpente.

Le ninfee sono presenti negli antichi testi templari e nei manoscritti egiziani, sia in quelli di natura religiosa che medica e magica. In un capitoletto del Libro dei Morti intitolato “Formula per fare la trasformazione nel fiore di ninfea”, si legge:

“Io sono la ninfea pura, Colui-che-è-uscito-alla-luce, Colui-che-è-attaccato-alla-narice-di-Ra, Colui-che-è-attaccato-al-naso-di-Hathor! Passo il mio tempo a cercarlo per Horus, poiché io sono qualcuno della classe di Colui-che-è-puro, Colui-che-è-uscito-dalla-palude” (Libro dei Morti, cap. 81, nella versione riportata da Servajean, 2001, p. 262).5

Naville (1927, p. 35) ha evidenziato il fatto che “le scene che accompagnano questo capitolo sono in generale un fiore di ninfea sormontata da una testa umana, indicante che si tratta proprio del defunto”. Quindi nel corso della complessa trasformazione del defunto, questi a un certo punto deve passare attraverso una trasformazione in ninfea, più precisamente la Ur-ninfea, la ninfea primordiale di cui narra il mito cosmogonico. In questo passo, per noi non molto chiaro, vi sarebbe un riferimento alla ricerca da parte della ninfea di qualcosa e, visto l’ambiente acquatico del fiore, lo cercherebbe sott’acqua. E’ una ricerca che fa per conto di Horus. Servajean (2001, p. 262-3) ha evidenziato che nel racconto mitologico della disputa fra Horus e Seth per ottenere la successione al trono di Osiride, in alcune versioni Horus perde un occhio e, in un secondo momento, le sue due mani nell’acqua. Considerando l’equivalenza dell’Occhio di Horus con la luna, la metafora mitologica potrebbe essere spiegata come segue: “giunge la notte, la ninfea si chiude e si ritira sotto le acque per cercarvi la luna – l’occhio di Horus – che, per effetto della trasparenza, offre l’impressione di trovarsi in fondo alla laguna riflettendosi sulla superficie”.

In alcune ricette del Papiro di Ebers appare come ingrediente il “khau della ninfea”, dove gli studiosi sono in dubbio se tradurre khau con “fiori” o con “foglie”; una differenza importante, come ha già fatto notare Nunn (1996, p. 158), poiché i fiori contengono alcaloidi psicoattivi, mentre le foglie non ne contengono.6 Nella ricetta Ebers-479 v’è un rimedio per una malattia del fegato, probabilmente l’itterizia, dove rientra come ingrediente il “khau di ninfea” che ha passato tutta la notte nel vino o nella birra; sappiamo che gli alcaloidi della ninfea – dei suoi fiori e dei suoi rizomi – non sono solubili in acqua, bensì in alcol, per cui la loro macerazione in birra o vino ritrova una giustificazione chimio-farmacologica (oltre a rinforzare l’ipotesi che khau stia per “fiori” e non per “foglie” di ninfea).7 Nel Papiro Cester Beatty VI (13b) v’è un riferimento alla somministrazione di “khau di ninfea” come clistere, senza che l’ingrediente sia previamente passato a macerazione in bevanda alcolica. Anche questo dato trova giustificazione chimio-farmacologica nel fatto che per via rettale gli alcaloidi della ninfea sono maggiormente assorbibili.

Nel Papiro Chester Beatty III è presente un elenco di interpretazioni dei sogni, fra cui si legge: se una persona sogna che “mastica petali di ninfea, buono. Significa che sarà contento”; in un altro passo, se sogna che “vede un bocciolo di ninfea, buono. Significa prosperità”. La traduttrice spiega la positività di questi sogni poiché fra gli antichi Egizi il fiore di ninfea era simbolo di gioia e di piacere (Bresciani, 2005, p. 57).


Aspetti mitologici e religiosi

Secondo un noto mito cosmogonico hermopolitano, dalle acque dell’oceano primordiale, rappresentate dalla divinità Nun, nacque una ninfea, dalla quale emerse il dio bambino solare che diede luce all’universo, e questo atto originario si ripropone ogni giorno al sorgere del sole. Nella geografia cosmogonica la ninfea primordiale fuoriesce dalle acque del “Grande Lago” o della “Terra Irrigata Primordiale” che si trova nell’Isola della Fiamma degli antenati, un luogo mitico di Hermopolis. L’Isola della Fiamma è chiamata anche Isola dell’Illuminazione. E’ il luogo dove il dio solare entra per rinascere dalla fiamma che vi si trova. Il seme mediante il quale il dio solare è generato prende il nome di “fiamma” o “fuoco”. “Nel contesto della ninfea primordiale, questo seme che è fuoco dà nascita alla luce sotto forma di un bambino in mezzo alla ninfea” (Ryhiner, 1986, p. 197). Ancora, nella cosmogonia egizia è presente un gruppo di otto divinità, l’Ogdoade, che era presente sin dalle origini, sin dai tempi di Nun, e che sono raffigurazioni del caos primitivo; sono spesso raffigurati con la testa piena di rane e di serpenti. Esistono differenti versioni sul coinvolgimento dell’Ogdoade nell’atto cosmogonico. E’ l’Ogdoade a dare origine alla collina primordiale che emerse da Nun, o a dare origine alla ninfea primordiale (Wilkinson, 2003, p. 78). Secondo altre versioni, queste otto divinità primordiali, in seguito a un atto amoroso fra di loro (sono quattro coppie), depositarono il loro seme nell’acqua primordiale, da cui sorse la ninfea con all’interno il bambino solare; ciò va probabilmente inteso come il fiore che viene fecondato dallo sperma e da questo accoppiamento (e non da quello fra le quattro coppie divine, poiché evidentemente siamo in presenza di un coitus interruptus) nasce il bambino solare. A Esna la ninfea è considerata costituita dal seme di Otto Divinità (Ryhiner, 1986, p. 202). Secondo un’altra versione, citata da Servajean (2001, p. 270), le quattro divinità primordiali maschili avrebbero versato il loro seme sul fiore di ninfea dalla quale, così fecondata, nacque il bambino solare. La ninfea di questo mito è chiaramente quella azzurra: è questo fiore che si apre di giorno e adatto a mimare il corso del sole; ed è la ninfea azzurra a emanare un buon profumo, a differenza di quella bianca. Di notte il fiore della ninfea azzurra si chiude e resta sommerso nell’acqua, e riappare aprendosi alla superficie al sorgere del sole. Yoo (2012, p. 30) ha fatto notare che il fiore della ninfea azzurra viene impollinato da coleotteri che sono in stretta associazione con Khepri, la manifestazione mattutina del dio solare. Come fiore che muore (di notte va sott’acqua) e poi rinasce al mattino, la ninfea azzurra è diventata simbolo di rinascita, in particolare come rinascita del defunto.

L’infante solare che nasce da un fiore di ninfea è un mito hermopolitano attestato solo dopo il periodo di Amarna,8 e il primo riferimento nei testi è datato alla XIX Dinastia. In certi casi il bambino è sostituito da una figura con la testa di ariete seduta sul fiore di ninfea. Durante la XXI Dinastia il bambino solare viene assorbito nella figura di Horus bambino o Harpokrates, anch’esso raffigurato come una divinità bambino seduto o in piedi sopra un fiore di ninfea e coronato con un disco solare.


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Scultura in legno raffigurante la testa del faraone Tutankhamen sorgente da un fiore di ninfea azzurra (da Wilkinson, 2033, p. 135)

I primi riferimenti testuali a questo tema sono presenti fra gli inni solari della XIX-XX Dinastia. A partire dalla XXVI Dinastia, fanno la loro presenza numerosi bronzi mostranti un bambino seduto in mezzo alla corolla di una ninfea, e in diversi casi è possibile identificarla come ninfea azzurra. Questo tema iconografico si svilupperà in seguito con la fabbricazione dei più disparati tipi di oggetti apotropaici. Nelle iscrizioni profilattiche tolemaiche v’è un chiaro impiego magico della ninfea come agente protettore (Ryhiner, 1986, pp. 17-22). Un testo del periodo di Tolomeo VIII inciso su una colonna a Karnak dice: “Egli formò il corpo come quello di un bambino unto che fuoriesce da una ninfea nel mezzo di Nun”; sebbene dei periodi tardi tolemaici, si ritiene che questo testo contenga una formula databile alla XVIII Dinastia (Tait, 1963, p. 134), ed è interessante l’elemento dell’unzione, che potrebbe essere indizio di una specifica pratica rituale.

Ecco quindi che dall’iconografia e dai testi, pur quelli tardivi, è possibile tracciare un tema cosmogonico che vede una ninfea, probabilmente nella forma di “Grande Ninfea”, o di Ur-Ninfea (Morenz & Schubert, 1954, pp. 14-22; si veda anche Schlögl, 1977), apparire dalle acque primordiali, dal Nun, in illud tempore, e questa ninfea è in realtà la divinità Horus-Behedety, la quale diventa una divinità esistente dai primi momenti dell’universo e creatrice di tutte le cose. Ryhiner (1986, p. 212) riassume come segue gli elementi del tema cosmogonico associato alla ninfea: “Esisteva, all’inizio del mondo, un’immensa distesa liquida inerte, contenente delle forze multiple che si materializzarono poco a poco e presero forma di serpenti e di rane. Da questo caos primordiale sorse la ninfea che diede nascita a tutte le cose. In questa medesima massa liquida, il Nilo attinse le sue acque che inondarono periodicamente il paese per dare ai campi la fertilità. Questa distesa liquida si concretizzò a Hermopoli in un Grande Lago, e nel suo Tumulo Rialzato, che è anche l’Isola dell’Illuminazione, la ninfea è apparsa da per se. Essa bucò la superficie dell’acqua nel mezzo del Grande Lago, assistita e acclamata dalle Otto divinità primordiali. Questa materializzazione in una ninfea è una vittoria sul caos primordiale. Con la ninfea, fu la luce; il fiore dispiegando i suoi petali lascia apparire il sole al suo interno sotto forma di un bambino che apre gli occhi e separa la notte dal giorno”.
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Paio di braccialetti appartenenti a Nimlot, figlio del re Shoshenq I, ciascuno decorato con un dio bambino su un fiore di ninfea. Oro con lapislazzoli e vetri colorati. Alt. 4,2 cm, XXII Dinastia, British Museum, Londra (Robins, 2000, fig. 240, p. 200)

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La ninfea ha una qualche relazione mitologica anche con i cosiddetti “Occhi di Horus” – qui intesi come il sole e la luna. In un papiro della XX Dinastia è presente una versione novellistica del noto racconto mitologico “Il Giudizio di Horo e Seth”, con una interessante variante del mito dell’Occhio di Horo. Nella lotta fra Seth e Horo, il primo cava gli occhi al secondo e li seppellisce nella montagna per illuminare la terra: “e le due pupille dei suoi occhi divennero due boccioli, e germogliarono come due fiori di ninfea” (Donadoni, 1970, p. 256). Se ne dedurrebbe il tema di un antico mito d’origine della ninfea da occhi divini, o, più specificatamente dai due astri sole e luna.9 In un passo dei Testi dei Sarcofagi (440), v’è un riferimento all’occhio o agli occhi del defunto che si trovano dentro a una ninfea (Servajean, 2001, p. 262). Questa relazione fra ninfea e occhi divini o di defunti resta da approfondire.

Le ninfee sono associate a diverse divinità egizie: Ra, Nefertum, Khepri, Harpokrates, Khonsu, Ihy, Amon-Ra, Qadesh, Mahes, Iside. Esisteva una specifica divinità “della ninfea”, Nefertum, raffigurata nell’iconografia come un uomo che porta sul capo un fiore di ninfea; in alcuni casi sopra al fiore sono disegnate due grandi piume e ai lati del fiore due collane; spesso fra la testa e la ninfea v’è il falco di Horus. E’ un dio molto antico, già attestato nei Testi delle Piramidi, ma la cui natura rimane oscura. E’ classicamente inteso come il dio dei profumi (Wilkinson, 2003, pp. 133-4), e nell’Antico Regno era considerato la ninfea “che stava nel naso di Ra”. Figlio di Sekhmet, la dea leonina per eccellenza del pantheon egizio, quando Nefertum appare accanto ai suoi genitori divini, Ptah e Sekhmet, prende l’epiteto di “Grande Ninfea” (Ryhiner, 1986, pp. 178-9). In diversi testi funebri si legge la formula: “N. [il nome del defunto] è al seguito di Nefertum, è la ninfea per le narici di Ra”, o anche “N. si alza come Nefertum, la ninfea delle narici di Ra, quando [questo dio] sale all’orizzonte tutti i giorni”. Nefertum potrebbe quindi personificare la forza vitale (Spiegel, 1953, rip. in Yoo, 2012, p. 166). Il dio può avere anche l’apparenza di un leone che dilania la testa del suo nemico, e porta l’epiteto di “il leone terribile”; è un dio che ispira terrore (Naville, 1916, p. 188).

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Nell’arte appare il motivo di Nefertum, in qualità di dio bambino, che sorge da un fiore di ninfea; in alcuni casi appare solo la sua testa emergente dal fiore. In un reperto ligneo trovato nella tomba di Tutankhamen e raffigurante la testa del faraone che esce da un fiore di ninfea azzurra, evidentemente si intendeva dare risalto all’identificazione del re con il dio Nefertum. In alcuni casi si evidenzierebbe una vera e propria identificazione di Nefertum con la ninfea azzurra. In un blocco di pietra di una struttura della XXX Dinastia ritrovato ad Horbeit – vicino alla stazione di Abu Kebir – si legge il seguente testo ieratico: “E’ grande colui che sorge dalla terra umida, la ninfea nata dal cielo, la grande potenza che ha fatto nascere Keb”. Accanto a questa iscrizione appare una pianta completa di ninfea, disegnata dalle radici al fiore, e quest’ultimo è sormontato da due piume, le due piume di Nefertum. Quindi il soggetto dell’iscrizione gli è raffigurato accanto ed è il dio-ninfea Nefertum (Naville, 1927, p. 33).10

Yoo (2012, p. 179) ha esposto dubbi sul diffuso concetto che vede Nefertum manifestarsi come un dio sul fiore di ninfea, e secondo Morenz & Schubert (1954) Nefertum non andrebbe identificato con la Ur-ninfea, bensì con il profumo. Aggiungerei, in questa eventualità si tratterrebbe specificatamente del profumo della ninfea azzurra. Nell’antico Egitto il profumo era considerato originare dagli dei e si riteneva che ciascuna divinità avesse un suo specifico profumo, attraverso il quale annunciava la sua presenza. E’ il caso di puntualizzare che il profumo delle ninfee non è inebriante, a differenza di quanto a volte disattentamente riportato in letteratura. I principi attivi di queste piante sono presenti nei fiori e nei rizomi e sono solubili solo in bevande alcoliche, quali vino o birra. In un Inno al Nilo, del periodo del Nuovo Regno, si legge: “Quando [il Nilo] monta nella città, gli affamati si saziano coi prodotti della campagna tenendo la brocca alle labbra e un fiore di ninfea alle narici” (Bresciani, 1999, p. 211). Il tenere “la brocca alle labbra” significa bere una bevanda inebriante, probabilmente il vino o altra bevanda alcolica. Per cui si deduce che il cibarsi, finalmente saziandosi con i prodotti della terra fertilizzata dalla piena del Nilo, era accompagnato da due atti di piacere: inebriarsi e odorare il fiore della ninfea azzurra. Harer (1985) vede l’immagine di annusare il fiore di ninfea azzurra, tipicamente rappresentata nell’arte egizia, come una metafora della sua assunzione orale.

Nel Papiro Harris 500 (primo ciclo, r. I I-IV I) è presente un canto amoroso, dove l’uomo rivolge una preghiera al dio Ptah, il dio “dal volto benigno”, affinché gli conceda di giacere con una donna. Fra le frasi di questa preghiera, alcune divinità vengono paragonate a specifiche parti del fiore della ninfea. Iadet (Iadyt) è una dea della vegetazione:11

“Concedimi mia sorella questa notte, / il fiume si trasforma in vino, /Ptah è il suo canneto, / Sekhmet è la sua foglia di ninfea, / Iadet è il suo bocciolo di ninfea, / mentre Nefertum è la sua ninfea fiorita di gioia, / rischiarando la terra con la sua splendida presenza … / è la gioia che illumina la terra della sua bellezza / e Menfi è una coppa di mandragore / poste davanti a Ptah dal bel viso.” (Ciampini, 2005, p. 51 e Derchain, 1975, p. 80).12

E’ possibile che questa associazione fra divinità e parti della ninfea facesse parte di una precisa cartografia simbolico-religiosa associata a questa pianta sacra, di cui ci sono pervenuti solo alcuni elementi.

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Per quanto riguarda le altre divinità associate alla ninfea, il medesimo dio Ra è a volte raffigurato sorgere da un fiore di ninfea (Wilkinson, 2003, p. 207). Vi sono riferimenti alla divinità Ihy come ninfea azzurra e come infante che sorge dal fiore della ninfea (Ryhiner, 1986, pp. 186-7). Ihy è un dio bambino, considerato “suonatore di sistro” o musicista, e ha anche l’appellativo di “incaricato della birra”, con probabile allusione al suo ruolo nelle feste inebrianti dedicate alla dea Hathor (Wilkinson, 2003, p. 132-3). Anche Isis appare su un fiore di ninfea (Woenig, 1897, p. 82) e porta l’epiteto di “Sovrana della ninfea” (Ryhiner, 1986, p. 192). Un’altra divinità con attributi di ninfea è Mahes, un dio leonino del pantheon egiziano, figlio di Bastet o di Sekhmet. E’ associato e identificato con Horus, Nefertum e il dio solare. Viene raffigurato come un antropomorfo con la testa leonina, e a volte porta il medesimo copricapo di Nefertum, con il fiore di ninfea. Di frequente tiene fra le zampe un coltello e un mazzo di fiori di ninfea (Wilkinson, 2003, p. 178).

Sappiamo anche di una divinità femminile che aveva come attributo il fiore della ninfea. Si tratta della dea siriana Qadesh, una divinità dell’estasi sacra e del piacere sessuale. Durante il Nuovo Regno, nella XIX Dinastia, gli Egiziani adottarono questa divinità straniera, che fu adorata all’interno di una trinità divina di cui facevano parte anche il dio itifallico Min e un’altra divinità d’origine asiatica, Reshep. Nell’iconografia egiziana Qadesh è raffigurata come una donna nuda che tiene nella mano destra fiori di ninfea e nella sinistra serpenti o gambi di papiro, trattandosi tutti di simboli di fertilità e di erotismo (Wilkinson, 2003, p. 164). Sappiamo che la ninfea veniva usata nell’antico Egitto come afrodisiaco femminile (si veda La ninfea e la mandragora nell’erotismo egiziano antico) Quest’associazione fra Qadesh e Min potrebbe contenere analogie di natura sessuale e farmacologica, essendo il dio Min associato alla sfera sessuale maschile e avendo come attributo una pianta afrodisiaca, la lattuga (si veda Il dio itifallico Min e la lattuga).


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Parte superiore della stele dell’artigiano reale Qeh da Deir-El-Medina, raffigurante la dea Qadesh con a destra il suo consorte, il dio asiatico Reshep e a sinistra il dio Min. XIX Dinastia, British Museum (da Wilkinson, 2003, p. 164)


Esistono frammentari documenti che attesterebbero un’associazione simbolica, forse molto arcaica o molto “specifica”, della ninfea con il serpente; ciò è particolarmente evidenziato in una scena di una barca in cui un personaggio ha una ninfea da cui fuoriesce un lungo serpente. Quest’associazione potrebbe essere in relazione con la figura di Harsomtous (Harsomptus), una divinità ctonia che è raffigurata nei testi della “Offerta alla Ninfea” come un serpente. In una scena templare a Dendera, il faraone offre una barca ad Harsomtous, che si presenta in forma di serpente mentre si dirige nel mezzo di una ninfea con una barca (Ryhiner, 1986, pp. 10, 183, 209).


Aspetti rituali

Abbiamo notizie frammentarie sugli aspetti rituali in cui erano coinvolte le ninfee, che non ci permettono di comprendere appieno il loro ruolo. E’ noto un rito di “offerta della ninfea” alle divinità da parte del re, associato alla festa del Nuovo Anno; una cerimonia frequentemente raffigurata nelle pareti e nelle colonne templari. Nelle scene raffiguranti questo rito, la ninfea è il più delle volte chiamata nhb, altre volte ssn, o ancora kf(3) ntr, o in altro modo. Ancora una volta non è chiaro a quale delle due ninfee si stiano riferendo questi nomi, ma si deve notare che in alcuni documenti vi sono riferimenti al delizioso profumo che emana dalla ninfea e che raggiunge la divinità, un chiaro indizio a favore della ninfea azzurra. Svariate sono le divinità beneficiarie di questa offerta reale, in base anche alle diverse aree geografiche. A Edfou l’offerta della ninfea è rivolta il più delle volte a Horus-Behedety (che nella forma di bambino seduto su una ninfea diventa Ra-Behedety), il signore del cielo, ma anche a Nefertum e a Neferhotep. In un paio di documenti iconografici, il re reca offerte a Ra-Behedety seduto davanti a lui in qualità di bambino solare sulla ninfea, in presenza dell’Ogdoade di Hermopolis, che sta dietro il bambino. Fra i diversi epiteti assunti dal faraone, nello specifico fra quelli di natura solare, ritroviamo “Immagine del sole che è stato generato nell’Isola dell’Illuminazione”, “Signore della ninfea che è apparsa all’inizio”, “Immagine del bambino che è uscito dal Grande Lago”. Le divinità a cui il re rivolge il rito dell’offerta della ninfea sono tutte divinità astrali solari e hanno un carattere giovanile. Sembrerebbe inoltre che si tratti unicamente di divinità maschili (Ryhiner, 1986, pp. 167, 189-190 e 193).

In un calendario inciso nel tempio di Hathor a Dendera, v’è un riferimento a una festa associata alla Grande Ninfea e al dio Ihy: “Thot, giorno 2, quando arriva la quarta ora del giorno, apparire in processione per la Grande Ninfea nella sua forma misteriosa di Ihy, il venerabile, il figlio di Hathor”. Anche in un altro calendario ritrovato ad Edfou ma che si riferisce alle feste di Dendera, ritroviamo l’associazione della ninfea con il dio Ihy: “per la Grande Ninfea che è venuta all’esistenza all’inizio nella sua forma misteriosa di Ihy. Un sistro è nella sua mano destra, un ménit nella sua mano sinistra, gambe divaricate, portante lo pschent [il copricapo portato dal faraone] in questo primo giorno dov’egli appare come Osiris. E’ l’immagine di questo dio al primo giorno della sua nascita per reclamare il bene di suo padre” (Ryhiner, 1986, p. 210).

Dai testi geroglifici e dall’iconografia sappiamo anche di una cerimonia d’offerta, la “Consegna del Fiore di Ninfea”, dove appare un parente del defunto nell’atto di passargli un fiore di ninfea. Si osserva una figura umana, l’offerente, che passa al defunto un fiore di ninfea attraverso il suo lungo stelo, che di frequente è annodato su se stesso (Altenmüller, 2008; Pieke, 2006).
Particolare di un bassorilievo della tomba G5170 di Giza, dove si osserva Seshemnofer III che consegna un fiore di ninfea al fratello defunto Seshemnofer II (2350 a.C. circa)

Particolare di un bassorilievo della tomba G5170 di Giza, dove si osserva Seshemnofer III che consegna un fiore di ninfea al fratello defunto Seshemnofer II (2350 a.C. circa)

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Vi sono infine riferimenti a una cerimonia di installazione degli ufficiali in presenza del faraone, durante la quale il re ungeva, o forse meglio cospargeva, gli ufficiali con olio o unguento di ninfea. Con tale gesto rituale il faraone intendeva probabilmente passare un poco del suo potere divino ottenuto dalla divinità solare. Durante i periodi tardi, Nefertum fu assorbito nella figura di Horus, sincretizzandosi in particolare con la forma Horhekenu di Horus, che letteralmente significa “Horus di Unguento” (Yoo, 2012, p. 185, 189). E’ stato suggerito che questa pratica di unzione degli ufficiali abbia avuto origini esterne alla cultura egizia (Thompson, 1994), ma non si deve dimenticare l’accenno alla nascita dalla ninfea del dio solare bambino unto presente a Karnak – più sopra riportato -, un tema apparentemente interno alle origini della cultura egizia.



Note

1 – Nymphaea caerulea Sav., recentemente ridenominata Nymphaea nouchali Burm. f. var. caerulea (Sav.) Verdc.

2 – In precedenza, William Emboden produsse un insieme di studi di natura etnobotanica sull’uso della ninfea azzurra come droga fra gli antichi Egizi; ma si tratta di studi alquanto superficiali e in più punti erronei, non utili per gli Egittologi, e verranno scarsamente presi in considerazione nel presente lavoro.

3 – E’ sufficiente digitare “white lotus” in Google per osservare la notevole confusione terminologica che tutt’ora esiste.

4 – Per il solo territorio italiano, il Penzig (1972, II: 317) ha registrato il nome vernacolare loto per Celtis australis L. e Diospyros lotus L., loto dei prati per Tetragonolobus siliquosus Roth (sinonimo di Lotus marinus L.), loto domestico per due specie di Melilotus, loto sottile per Lotus corniculatus L.. Gli antichi diedero il nome di loto anche all’Arum colocasia L. (sinonimo di Colocasia esculenta (L.) Schott) e al Trifolium melilotus L. (sinonimo di Melilotus indicus (L.) All.) (Cattaneo, 1834).

5 – Donadoni (1970, p. 187) traduce il passo come segue: “Si dicono le parole: io sono questo fiore di ninfea uscito dallo splendore, connesso con il raso di Ra. Io calo e lo cerco per Horo. Io sono il puro che esce dal campo”.

6 – In realtà nelle foglie della ninfea azzurra è stata recentemente accertata la presenza di alcaloidi non meglio identificati; si veda Etnobotanica delle ninfee psicoattive.

7 – Manniche (1989, p. 126) riporta la ricetta Ebers 479 traducendo direttamente khau con foglie.

8 – Gli Egittologi indicano con “Periodo di Amarna” il periodo che include i regni di Akhenaton, Tutankhamen e Ay, faraoni che regnarono durante la metà della XVII Dinastia.

9 – Suggerisco qui la possibilità che, trattandosi di due astri, e quindi di due ninfee nascenti da questi due astri, potesse trattarsi del mito d’origine delle due specie di ninfee egiziane, quella azzurra e quella bianca.

10 – V’è chi, tuttavia, ha identificato la pianta di Horbeit non come ninfea, bensì come un’erba aromatica medicinale; cfr. Yoo, 2012, p. 171.

11 – Ho intenzionalmente sostituito il termine “loto” del testo con “ninfea”, seguendo la nuova convenzione terminologica proposta nel presente studio.

12 – Bresciani, 1999, p. 461, offre una traduzione un poco differente: “Dammi la mia amata questa notte / Il fiume è vino / Ptah è la sua canna / La Potente il suo fiore / Iadyt è il suo bocciolo di ninfea / Nefertum il suo calice aperto / La Dorata è felice: / Davanti alla sua bellezza si rischiara la terra”.

Si vedano anche:
Le ninfee nell’arte egizia
La ninfea e la mandragora nell’erotismo egiziano antico
Etnobotanica delle ninfee psicoattive

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POMMERENING TANJA, ELENA MARINOVA & STAN HENDRICKX, 2010, The Eartly Dynastic origin of the water-lily motif, Chronique d’Égypt, fasc. 169-170, pp. 14-40.

ROBINS GAY, 2000, The Art of Ancient Egypt, The British Museum Press, London.

RYHINER MARIE-LOUISE, 1986, L’offrande du lotus dans les temples égyptiens de l’époque tardive, Fondation Égyptologique Reine Élisabeth, Bruxelles.

SAMORINI GIORGIO, 2012-13, Le ninfee psicoattive degli antichi Egizi. Un contributo etnobotanico, Archeologia Africana, Museo Civico di Milano, vol. 18-19, pp. 761-78.

SCHWEINFURTH G., 1883, The Flora of Ancient Egypt, Nature, vol. 29, pp. 312-315.

SCHLÖGL HERMANN, 1977, Der Sonnegott auf der Blüte. Eine ägyptische Kosmogonie des Neuen Reiches, Aegyptiaca Helvetica, Basel & Genève.

SERVAJEAN FRÉDÉRIC, 2001, Le lotus émergeant et les quatre fils d’Horus. Analyse d’une métaphore physiologique, in: S.H. Aufrère (Éd.), Encyclopédie religieuse de l’Univers végétal. Croyances phytoreligieuses de l’Égypte ancienne, vol. II, pp. 261-297.
SPANTON W.D., 1917, The water lilies of ancient Egypt, Ancient Egypt, part I, pp. 1-20.
SPIEGEL JOACHIM, 1953, Das Werden der altägyptische Geistesgeschichte im 3. Jahrtausend vor Chr., F.H. Kerle Verlag, Heidelberg.
TAIT G.A.D., 1963, The Egyptian Relief Chalice, Journal of Egyptian Archaeology, vol. 49, pp. 93-139.
THOMPSON E. STEPHEN, 1994, The anointing of officials in ancient Egypt, Journal of Near Eastern Studies, vol. 53, pp. 15-25.
TYLDESLEY J.A., 2000, The Private Lives of the Pharaohs, Channel 4, London.
WILKINSON ALIX, 1998, The Garden in Ancient Egypt, The Rubicon Press, London.
WILKINSON H. RICHARD, 2003, The Complete Gods and Goddesses of Ancient Egypt, Thames & Hudson, London.
WOENIG FRANZ, 1897, Die Pflanzen im Alten Aegypten, Verlag von Albert Heitz, Leipzig.
YOO H. SUNG, 2012, Patterns of Ancient Egyptian Child Deities, Dissertation Dept. Egyptology and Ancient Western Asia, Brown University, Providence, Rhode Island.
ZIEGLER C. (cur.), 2002, I Faraoni, Bompiani, Milano.


Etnobotanica delle ninfee psicoattive
Ethnobotany of the psychoactive waterlilies
http://samorini.it/site/etnobotanica/va ... sicoattive

Il ruolo delle ninfee ricoperto presso l’antica cultura egiziana, così come presso l’antica cultura maya, non può essere pienamente compreso se non si prendono in considerazione le proprietà psicoattive di queste piante; proprietà poco note agli archeologi e ai classicisti, e che sono state in alcuni casi messe in dubbio da questi studiosi senza una specifica cognizione di causa. Di seguito riporto un profilo sulle specie più importanti di ninfee, appartenenti alla famiglia delle Nymphaeaceae, con i relativi dati etnobotanici, biochimici, farmacologici ed epidemiologici, i quali confermano – a mio avviso in maniera decisiva – il potenziale psicoattivo di queste piante (si veda anche Samorini, 2012-13).


http://it.wikipedia.org/wiki/Nymphaea#Etimologia
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Berto » lun mag 18, 2015 9:22 pm

L'ankh el podaria esar on siso o sistro

La figoura femała, na saçerdora (saerdotesa) ła dovaria ver en man on sixo/siso (sistro):

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... Louvre.jpg

http://it.wikipedia.org/wiki/Sistro
Il sistro è uno strumento idiofono proveniente dall'Antico Egitto ed era sacro alla dea Iside, la quale si credeva l'inventrice dello strumento. In Mesopotamia poteva essere di forma trapezoidale o quadrata e presentava l'immagine del Dio raffigurata sul manico. È uno strumento in metallo, con una parte a forma di ferro di cavallo, con un manico e delle aste; il suono viene prodotto scuotendo il sistro. Il numero e lo spessore delle lamelle flottanti ne definisce e caratterizza l’altezza e l’intensità del suono; un suono che resta comunque - come in molti altri analoghi strumenti a sonagli - indeterminato, e cioè senza una precisa connotazione tonale. Si hanno notizie di sistri utilizzati in cerimonie già nella Bibbia (Vecchio Testamento) e prima ancora nella civiltà egizia (era l’antico “seshesh”, di chiara origine onomatopeica) da dove sembra sia stato importato in Palestina e successivamente in Grecia.

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... stro-c.jpg

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... ro-c-1.jpg

El sistro lè on angagno doparà da łi shamani cofà el tanburo/tanburèło e tuti łi strumenti ke łi sona, ke łi fa rumore e mouxega ...:

Mascare shamane, vesti o paramenti e armamentari sagri
viewtopic.php?f=24&t=1439

Dal sistro e dai tanburełi co i sonaj se dovaria ver łe variasion de łi angagni o artagni a corde come l'arpa e ła łira de Orfeo
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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Berto » mer ago 05, 2015 2:03 pm

Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Berto » dom dic 20, 2015 9:52 am

El stanpo del markio de re Exekia, catà soto a Jeruxałeme
Lo stampo del sigillo di re Ezechia, rinvenuto a Gerusalemme

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... zechia.jpg


Nativi a Gerusalemme
A poco a poco la Terra d’Israele sta rivelando al popolo d'Israele i segreti rimasti sepolti nelle sue profondità per migliaia di anni
Lo stampo del sigillo di Ezechia, rinvenuto a Gerusalemme
Di David M. Weinberg
(Da: Jerusalem Post, 3.12.15)

http://www.israele.net/nativi-a-gerusalemme

La scoperta di un’impronta del sigillo reale di Ezechia negli scavi all’Ophel “riporta in vita davanti ai nostri occhi i racconti biblici su re Ezechia e sulle attività svolte durante la sua vita nel quartiere reale di Gerusalemme”, afferma l’Università di Gerusalemme. In effetti, è molto più di questo.

Il rinvenimento e la decifrazione della bulla di 2.700 anni fa trovata negli scavi accanto al Monte del Tempio è la prova concreta delle profonde radici del popolo ebraico a Gerusalemme: una conferma degli atavici diritti degli ebrei a Gerusalemme. Il che è doppiamente importante in un periodo come questo in cui vi sono studiosi e archeologi che negano la veridicità di ogni racconto biblico dell’antico Israele, e molti palestinesi che sostengono che il popolo ebraico non ha nessuna storia e nessun diritto nazionale a Gerusalemme. Si consideri quanti – dall’Unesco, ai palestinesi, ai ”pacifisti” intransigenti fino a scettici archeologi dell’Università di Tel Aviv – hanno contestato i due decenni di scavi all’Ophel e nella Città di Davide a Gerusalemme, alle falde del Monte del Tempio.

Superando con perseveranza grandi avversità, la professoressa Eilat Mazar e i suoi colleghi della Israel Antiquities Authority e dell’Università di Gerusalemme hanno portato alla luce alcuni dei più antichi manufatti conosciuti della città, risalenti ai secoli XI e XII a.e.v. Tra questi, prove a sostegno della storicità dei re biblici Davide e Salomone, fondatori della dinastia di Giuda.

Due anni fa, l’infaticabile Mazar ha annunciato la scoperta di un tesoro di monete d’oro trovate ai piedi del Monte del Tempio, risalenti al VI secolo e agli inizi del VII secolo a.e.v, cioè al periodo del Primo Tempio. Il tesoro comprendeva un grande medaglione d’oro sbalzato con motivi ebraici tra i quali una menorà e uno shofar. E ora la bulla che porta il nome di re Ezechia (727-698 a.e.v.), un reperto scoperto sei anni fa ma che solo di recente è stato decifrato. E’ la prima volta che l’impronta di sigillo di un re d’Israele o di Giuda viene alla luce in uno scavo scavi archeologico scientifico in Israele. Si tratta “della cosa più vicina a cui possiamo arrivare che molto probabilmente sia stata tenuta in mano da re Ezechia in persona”, dice Mazar. La bulla è stata scoperta in una discarica adiacente a un edificio reale o governativo verosimilmente costruito nel X secolo a.e.v., l’epoca di re Salomone.

Il medaglione con incisi Shofar, Menorah e rotolo della Torah

Quest’ultima scoperta di Mazar ci ricorda altri importanti ritrovamenti archeologici che mettono in risalto il radicamento ebraico in Terra d’Israele. Tra questi, le quattro antiche iscrizioni finora conosciute che menzionano “Israele”: la Stele di Merneptah (un’iscrizione dell’epoca del re egizio Merneptah del 1200 a.e.v., figlio del faraone Ramses II, quello della storia dell’Esodo); la Stele di Tel Dan (nella quale il re Hazael di Aram-Damasco, del IX secolo a.e.v., si vanta delle vittorie sul re d’Israele e sul suo alleato, il re della “Casa di Davide”); la Stele di Mesha (trovata sulle rive del Mar Morto, nella quale il re di Moav celebra le sue vittorie sui re ebrei della casa di Omri, strettamente parallelo al testo biblico di 2Re 3); e i Monoliti assiri di Kurkh (che sembrano fare riferimento a re Acab d’Israele).

Negli anni ‘50, Yigal Yadin scoprì le porte delle mura di Hatzor, Megiddo e Ghezer, che corrispondono perfettamente ai progetti di costruzione su larga scala di re Salomone del X secondo a.e.v. come sono descritti in 1 Re.

Un menzione speciale, in questo contesto, va all’archeologo israeliano tanto vituperato Adam Zartal, dell’Università di Haifa, scomparso lo scorso di ottobre. Zartal trascorse trent’anni a studiare uno straordinario pezzo di territorio in Giudea e Samaria, e nove anni a scavare un importante altare cerimoniale identificabile con quello costruito dal profeta e condottiero biblico Giosuè sul monte Ebal, vicino a Nablus (Giosuè 8, 30-31). Da molti colleghi è stato attaccato, deriso e infine ignorato. Ma Zartal era convinto che il lavoro degli archeologi contemporanei possa e debba ispirarsi alla Bibbia ebraica. Per Zertal, l’altare sul monte Ebal dimostra che gli israeliti attraversarono effettivamente il Giordano entrando in Canaan, come narra la Bibbia.

Una controversia simile è scoppiata nel corso degli scavi di Yosef Garfinkel, dell’Università di Gerusalemme, a Khirbet Qeiyafa, nella valle di Elah. Garfinkel vede nella cittadella fortificata una prova del potente regno di Davide nel X secolo a.e.v., e la identifica con la città biblica di Sha’arayim, menzionata in 1 Samuele. Altri, come Aharon Kempinski e Israel Finkelstein dell’Università di Tel Aviv, che considerano l’intero racconto biblico puramente mitologico, sostengono che il “cosiddetto regno di Davide” non era altro che una piccola entità tribale, povera e scarsa di popolazione, che non si estendeva al di là dei confini di Gerusalemme e dei suoi immediati dintorni.

“Hai visto? Gli ebrei hanno trovato un sigillo di un re d’Israele di 2.700 anni fa!” – “Orribile! Non avevo capito che l’occupazione era così antica!”

Ovviamente questi dibattiti riflettono non solo differenti opinioni scientifiche, ma anche prospettive profondamente diverse sul piano nazionale, politico e teologico (rafforzate da tensioni interpersonali, gelosie accademiche, competizioni per il budget). Possono anche riflettere il fatto che l’archeologia con un vera angolatura biblica è ancora agli inizi, soprattutto a Gerusalemme. L’equilibrio delle opinioni potrebbe spostarsi con l’aumento degli scavi e delle nuove scoperte.

La mia sensazione è che a poco a poco la Terra d’Israele sta rivelando al popolo d’Israele i segreti che sono rimasti sepolti nelle sue profondità per migliaia di anni. Anno dopo anno, scavo dopo scavo, gli strati dell’esilio vengono staccati dalla terra. La terra si rivela, e la storia del popolo ebraico in Israele si manifesta agli occhi di tutti.

Tutto questo è un altro modo per dire, ai palestinesi e ai tanti soggetti nel mondo ostili a Sion, che possono scordarsi di cacciare via Israele. Il retaggio del popolo ebraico a Gerusalemme e in Terra di Israele è solido come la roccia, e in essa incorporato. La storia e l’identità nazionale d’Israele sono autenticamente e profondamente ancorate a Gerusalemme. Nessuna quantità di palestinesi armati di coltelli, o di qualsiasi altra arma, potrà strappare gli ebrei da Gerusalemme e da questo paese.


https://it.wikipedia.org/wiki/Ezechia
Ezechia o Hezekiah (In ebraico: חזקיה or חזקיהו, che significa Dio mi ha reso forte) fu re del regno di Giuda.
Fu figlio del re Acaz (II Cronache 29,1) e della regina Abijah, figlia di uno Zaccaria di cui non abbiamo riferimenti storici. La regina Abijah era conosciuta anche come Abi ( 2 Re 18,1-2).
Ezechia regnò per ventinove anni ( 2 Re 18,2). Egli fa parte dell'elenco dei sovrani presenti nella genealogia di Gesù nel Vangelo secondo Matteo.
La datazione del suo regno è controversa: alcuni studiosi (come William F. Albright) propongono il periodo 715 a.C.-687 a.C., mentre altri (come E. R. Thiele) propongono il periodo 716 a.C.-687 a.C.

Dopo la morte del re assiro Sargon II a cui succedette il figlio Sennacherib, Ezechia cercò di riguadagnare la sua indipendenza dal regno di Assiria. Egli si rifiutò di pagare il tributo imposto a suo padre, e «si ribellò contro il re di Assiria», alleandosi con l'Egitto, (Libro di Isaia, 30-31). La sua ribellione ebbe come conseguenza l'invasione del regno di Giuda da parte di Sennacherib (II Libro dei Re, 18:13-16) durante il quarto anno di regno del re assiro (701 a.C.). Ezechia si preparò all'invasione assira, dando vita ad una imponente e geniale opera di ingegneria, un tunnel (noto con il nome di tunnel di Ezechia), lungo 533 metri che venne scavato per rifornire d'acqua la città di Gerusalemme dalla Sorgente di Gihon, che si trovava fuori della città. L'opera viene descritta nella iscrizione di Siloam, trovata all'interno del tunnel e databile intorno al periodo del suo regno. Nello stesso tempo, venne eretto un muro intorno al pozzo di Siloam nel quale confluivano le acque provenienti dalla sorgente (Isaia, 22:11). (Una impressionante vestigia di questa struttura è l'ampio muro nel Quartiere Ebraico della Città vecchia di Gerusalemme).



Me par kel sipia anca el segno de Tanit:

https://it.wikipedia.org/wiki/Tanit

Per i Cartaginesi, Tanit -da alcuni associata a Didone- era dea della fertilità, dell'amore e del piacere, associata alla buona fortuna, alla Luna e alle messi. Nella mitologia fenicia era simile ad Astarte, la dea madre. Nella religione greca, Tanit era paragonata ad Afrodite, ad Artemide ed a Demetra, dea delle messi e dei raccolti. Nella lingua egizia il nome di Tanit potrebbe essere letto come "Terra di Neith", e Neith era una divinità legata anche alla guerra. Non esiste certezza riguardo alla pronuncia del nome della divinità, chiamata TNT in lingua fenicia e punica (non veniva resa la vocalizzazione). Alcuni studiosi ritengono potesse chiamarsi Tinnit; il nome Tanit (pronunciato Tànit o Tanìt) si diffuse grazie al successo dell'opera Salammbô dello scrittore Gustave Flaubert.

https://en.wikipedia.org/wiki/Tanit
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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Sixara » mar giu 28, 2016 1:54 pm

VenètAnkh :D

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(e anca coalke ciàve-de-reithia)

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Re: Sinboło venetego misterioxo - ła barca del sol

Messaggioda Berto » gio apr 13, 2017 10:05 am

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