"Salvaguardia" proprio domicilio, mediante utilizzo di arma, configura ipotesi predeterminata di "legittima difesa"!http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=2557Nella legittima difesa, attuata mediante l'utilizzo di un'arma a tutela del proprio domicilio, il rapporto di proporzione tra difesa e offesa è già predeterminato dal legislatore il quale, nell' art. 52 del codice penale, comma 2 (introdotto dalla L. n. 59 del 2006), ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione di domicilio da parte dell'aggressore, ossia l'effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà del soggetto legittimato ad escluderne la presenza.
In tal caso, l'uso dell'arma, qualora la stessa sia legittimamente detenuta, è ritenuto proporzionato per legge, se finalizzato a difendere la propria o l'altrui incolumità, ovvero i beni propri o altrui, quando non vi sia stata desistenza da parte dell'aggressore, e vi sia stato un reale pericolo di minaccia fisica.
E' quanto deciso dalla Suprema Corte di Cassazione, in una sua recentissima sentenza, con la quale nell'accogliere il ricorso presentato da un cittadino, condannato in I e II grado per il reato di tentato omicidio commesso per motivi futili, ha evidenziato il principio di diritto in forza del quale "..in presenza delle suddette condizioni, non è più rimesso al giudice il giudizio sulla proporzionalità della difesa all'offesa, essendo il rapporto di proporzionalità sussistente per legge, e questo vale sia in ipotesi di legittima difesa obiettivamente sussistente, sia in ipotesi di legittima difesa putativa incolpevole." (Cass. pen., sez. I, sentenza 23 marzo 2011, n. 11610)
Il caso sottoposto al vaglio degli "ermellini" traeva le mosse da un episodio di "accoltellamento" avvenuto nei confronti di un soggetto che si era introdotto con la forza nel domicilio di un suo conoscente, contestandogli di essersi appropriato del proprio decoder . L'imputato del reato di tentato omicidio, spaventatosi, si era difeso dalla "violazione di domicilio" perpetrata a suo danno , brandendo un coltello con il quale aveva successivamente vibrato , nei confronti dell'aggressore, una coltellata all'emicostato di sinistra, così compiendo atti potenzialmente idonei a provocarne la morte. Per tali circostanze era stato riconosciuto colpevole del summenzionato delitto e condannato alla pena di anni cinque di reclusione in I grado, pena ,poi ridotta in appello a mesi quattro di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena..
Anche per la Corte di Appello non sussistevano, infatti, oggettivamente i presupposti della legittima difesa, in quanto non vi era la prova che la parte lesa volesse aggredire l'imputato, provocandogli lesioni; questi, però, legittimamente e incolpevolmente aveva ritenuto di agire in presenza dell'esimente della legittima difesa, temendo per la propria incolumità in seguito alla violazione di domicilio . Tuttavia, non poteva però dirsi che l'imputato, seppure incolpevolmente convinto di agire in stato di legittima difesa, avesse reagito in modo proporzionato al pericolo che aveva ritenuto sussistere, poiché l'aggressore era disarmato, e dalle testimonianze assunte non risultava che la lite tra i due fosse particolarmente violenta.
Il ricorrente, pertanto, si era rivolto in Cassazione deducendo che la sentenza impugnata non aveva adeguatamente motivato la ritenuta sproporzione tra la difesa attuata dall'imputato e l'offesa perpetrata dalla parte lesa e che, in via generale, il fatto che la parte lesa fosse disarmata e l'assenza di testimoni oculari non potevano, di per sè soli, determinare una valutazione di assenza dei requisiti della legittima difesa, considerato che l'utilizzo dell'arma è normativamente previsto come proporzionato in via presuntiva, nel caso previsto dall'art. 52 c.p., comma 2.
La sentenza di appello non aveva neppure considerato che l'imputato si era trovato nella necessità di reagire alla violenta introduzione in casa della parte lesa.
E la Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso dell'imputato fondato, non ritenendo corretto il percorso logico seguito nella motivazione della sentenza da parte della Corte di appello ed affermando in pronuncia che "...L'art. 52 c.p., comma 2, introdotto dalla L. n. 59 del 2006, ha stabilito la presunzione della sussistenza del requisito della proporzione tra offesa e difesa, quando sia configurabile la violazione di domicilio dell'aggressore, ossia l'effettiva introduzione del soggetto nel domicilio altrui, contro la volontà del soggetto legittimato ad escluderne la presenza (cosi altresì Cass. Pen. , Sez. I, sentenza del 16.2.2007, Rv. 236366).In tal caso, l'uso dell'arma legittimamente detenuta è ritenuto proporzionato per legge, se finalizzato a difendere la propria o l'altrui incolumità ovvero i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d'aggressione".
Avv. Eugenio Gargiulo
07/2013 - LEGITTIMA DIFESA E LEGITTIMA DIFESA DOMICILIARE di ALESSANDRO DE SANTIS, DOTTORE IN GIURISPRUDENZAhttp://www.spiaaldiritto.it/articolo.php?id=69Ai sensi dell’ art. 52 c. p., non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’ offesa. Tale disposizione, espressione del principio romanistico vim vi repellere licet, risulta pacificamente configurabile quale “scriminante comune”, potenzialmente operante in relazione a tutte le fattispecie di reato ed invocabile da qualsiasi cittadino a tutela della sua sfera giuridica.
I commi secondo e terzo della norma, tuttavia, disciplinano la peculiare fattispecie della “legittima difesa domiciliare”, il cui ambito di operatività risulta di ampiezza notevolmente minore, ed alla cui trattazione si procederà in seguito.
La scriminante della difesa legittima appare orientata a salvaguardare la sfera giuridica dei consociati da indebite aggressioni non tempestivamente neutralizzabili tramite il ricorso alla forza pubblica, consentendo agli stessi, in presenza di specifici presupposti, l’ esercizio dell’ autotutela privata. Pertanto, la stessa può ritenersi fondata sul bilanciamento degli interessi in gioco, atteso che l’ agente andrà esente da responsabilità penale esclusivamente laddove la sua reazione difensiva risulti proporzionata all’ offesa subita, tanto sotto il profilo dei beni giuridici coinvolti, quanto relativamente ai mezzi adoperati.
Alla luce di tale inquadramento dogmatico, è opportuno delineare gli elementi strutturali della legittima difesa, per poi poter comprendere adeguatamente le caratteristiche peculiari che connotano la legittima difesa domiciliare.
Giova preliminarmente precisare che la difesa legittima opera in presenza di una situazione aggressiva, determinante il pericolo di un’ offesa ingiusta, cui fa seguito una reazione difensiva.
La situazione aggressiva deve risultare riconducibile, in via diretta od indiretta, ad una condotta umana attiva od omissiva, anche laddove il pericolo concretamente provenga da un animale o da una cosa inanimata; qualora, invece, derivi da un’ animale selvatico, che agisce in maniera totalmente autonoma, o da una res nullius, può prospettarsi, al più, l’ operatività dello “stato di necessità”, di cui al successivo art. 54 c. p..
Inoltre, il pericolo non deve necessariamente concernere un’ offesa contra ius, reputandosi sufficiente che la stessa sia sine iure (non autorizzata dall’ ordinamento giuridico), e non è necessario che tale condotta aggressiva sia sorretta dall’ elemento psicologico del dolo o della colpa. Ne consegue che assume rilievo, in tal senso, anche la condotta posta in essere dal soggetto non imputabile o immune, da chi agisce in stato di necessità o esorbitando il limiti della difesa legittima.
Ben può configurarsi, peraltro, l’ ipotesi della “legittima difesa reciproca”, disciplinata dalla giurisprudenza tramite l’ applicazione del criterio cronologico; in particolare, si riterrà non antigiuridica la condotta del soggetto che per primo ha subito l’ ingiusta aggressione.
Quanto alla perimetrazione dei diritti tutelabili con la reazione difensiva, si reputano rientranti in tale categoria tutte le “situazioni giuridiche attive” riconosciute e salvaguardate dall’ ordinamento. Con maggiore impegno esplicativo, se da un lato la legittima difesa appare pacificamente invocabile a tutela di beni giuridici individuali, personali e patrimoniali, dubbi sussistono relativamente ai beni superindividuali (ordine pubblico, incolumità pubblica, sicurezza sociale, ecc…). Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità si è espressa positivamente con esclusivo riferimento all’ ipotesi in cui l’ aggressione al bene collettivo assuma anche una dimensione lesiva individuale; in tale ottica interpretativa, può reputarsi scriminata, ad esempio, la condotta del consociato che agisca fisicamente contro l’ aggressore al fine di evitare lo scoppio di un ordigno esplosivo che, pur risultando idoneo a ledere l’ incolumità pubblica, determina una situazione di pericolo anche per la sua sfera personale.
Valga ancora notare che la legittima difesa risulta invocabile anche dal soggetto che agisce a tutela della sfera giuridica di un terzo aggredito; addirittura, tale intervento salvifico si prospetta come doveroso in alcune ipotesi individuate dal legislatore (ad es: art. 593 c. p.), laddove lo stesso non determini la messa in pericolo del difensore.
La condotta aggressiva dotata di tali caratteristiche deve determinare l’ insorgere di una situazione di pericolo “attuale”, tale cioè da non consentire la possibilità di sollecitare utilmente l’ intervento della forza pubblica. E’ sufficiente, pertanto, che l’ aggressione abbia raggiunto lo stadio del tentativo di reato, configurandosi come “immanente” il pericolo di lesione, al momento della reazione difensiva. Qualora, invece, si tratti di un’ aggressione duratura nel tempo, si rende necessaria necessaria la “persistenza” della stessa, perché possa dirsi legittimata la reazione difensiva, orientata ad evitare la verificazione di conseguenze lesive di maggiore gravità.
Pur in assenza di un’ esplicita previsione legislativa in tal senso, i giudici della Suprema Corte reputano operante analogicamente anche l’ ulteriore requisito della “non volontaria causazione” del pericolo, specificamente previsto in riferimento allo stato di necessità.
Come innanzi accennato, alla configurazione di un pericolo di tale tipologia deve seguire una reazione difensiva caratterizzata da “necessità”; essa, difatti, deve prospettarsi per l’ aggredito, sulla base di un giudizio ex ante, come inevitabile, per la salvaguardia della sfera giuridica sua o di terzi, dovendosi tuttavia utilizzare, tra i mezzi di reazione a disposizione idonei a perseguire tale obiettivo, quello che arrechi all’ aggressore il danno minore.
Vale nondimeno ribadire che la reazione difensiva deve risultare proporzionata all’ offesa. Secondo l’ orientamento attualmente maggioritario presso la giurisprudenza della Cassazione, è necessario verificare, alla luce di tutte le circostanze che contraddistinguono il caso concreto (beni giuridici coinvolti, mezzi adoperati, intensità e modalità dell’ aggressione, rapporti tra aggressore e aggredito, ecc…), se la reazione difensiva possa reputarsi giusta ed equa, in conformità all’ id quod plerumque accidit ed ai valori recepiti nel contesto economico – sociale.
E’ opportuno, da ultimo, sottolineare che la reazione difensiva non può mai ritenersi non antigiuridica laddove erroneamente indirizzata verso un terzo estraneo alla causazione del pericolo.
Sulla scorta delle osservazioni generali fin qui brevemente svolte, è possibile, a tal punto, approfondire la complessa tematica della legittima difesa domiciliare.
Il comma 2 dell’ art. 52 c. p. afferma che il rapporto di proporzione richiesto dal comma 1 deve ritenersi sussistente, nei casi di cui all’ art. 614 c. p, commi 1 e 2., laddove uno dei soggetti legittimamente presente nei luoghi ivi indicati utilizzi un arma legittimamente detenuta al fine di difendere la propria o altrui incolumità o i beni propri od altrui; in tale ultima ipotesi, tuttavia, è necessaria la non desistenza del soggetto passivo e la persistenza del pericolo di aggressione.
Ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, inoltre, tale disciplina si applica anche al caso in cui il fatto sia avvenuto all’ interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’ attività commerciale, professionale o imprenditoriale.
Tale previsione normativa è stata introdotta nel nostro ordinamento penale soltanto con Legge n. 59/2006, al fine di approntare una tutela particolarmente penetrante ai soggetti aggrediti all’ interno del proprio domicilio o del proprio esercizio commerciale; e ciò in base alla considerazione che, in siffatte ipotesi, la condotta doppiamente aggressiva pare ragionevolmente destinata a sfociare in una concreta lesione della sfera personale del difensore. Trattasi, peraltro, di una fattispecie le cui origini possono considerarsi particolarmente risalenti, in quanto riconducibili al fur nocturnus, istituto di tradizione romanistica.
Di preliminare rilievo, al riguardo, appare l’ individuazione della natura giuridica di tale scriminante. Una prima impostazione teorica, seguita in maniera maggioritaria dalla giurisprudenza della Cassazione, qualifica la stessa come ipotesi di “legittima difesa speciale”, frutto di una scelta di politica criminale del legislatore che, in presenza di determinati presupposti, ritiene di poter pretermettere la verifica concreta della proporzionalità.
Non si manca di riportare, tuttavia, altro orientamento minoritario che ritiene che tale disposizione attribuisca al difensore un vero e proprio diritto; di talchè le condotte difensive descritte dall’ art. 52, comma 2, c. p., risulterebbero scriminate in quanto riconducibili all’ “esercizio di un diritto” di cui all’ art. 51 c. p.. Ne deriverebbe, logicamente, la non operatività dei presupposti dell’ “attualità” del pericolo e della “necessità” della reazione di cui al primo comma dell’ art. 52 c. p..
Delineate in tal guisa le coordinate nozionistiche dell’ istituto, occorre analizzarne il profilo strutturale, affrontando le principali questioni problematiche che esso pone.
Sotto il profilo oggettivo, la scriminante in esame risulta operante soltanto in presenza di una violazione di domicilio (art. 614 c.p.), laddove, con il termine “domicilio”, il legislatore ha inteso fare riferimento ad ogni luogo adibito a privata dimora, anche diverso dalla normale abitazione (ad es: camper, roulotte, baracca, ecc…). Il terzo comma della norma in esame equipara al domicilio il luogo in cui venga esercitata un’ attività professionale, commerciale o imprenditoriale; in proposito, i giudici della Suprema Corte hanno, a più riprese, precisato che non è necessario lo svolgimento ininterrotto dell’ attività suddetta, ma si reputa sufficiente anche uno svolgimento episodico, benché continuativo; non è necessario, inoltre, che l’ attività sia in corso di svolgimento al momento dell’ aggressione.
Merita ancora segnalare che, secondo la ricostruzione giurisprudenziale maggioritaria, non è possibile estendere analogicamente l’ operatività della norma all’ ipotesi in cui la violazione di domicilio non sia ancora consumata, bensì allo stadio del tentativo, nonché all’ ipotesi in cui l’ aggredito debba ancora fare ingresso nella sua abitazione e percepisca, dall’ esterno, la presenza dei malviventi; e ciò valorizzando il tenore letterale della disposizione che, specificamente, utilizza l’ espressione “all’ interno di ogni altro luogo”.
Rilevano, poi, quali ulteriori presupposti di carattere oggettivo, la legittima presenza del difensore nel luogo indicato e la legittima detenzione dell’ arma. Quanto al primo di essi, occorre soggiungere che la presenza può considerarsi legittima qualora il difensore si trovi nel luogo di privatadimora con il consenso del proprietario dello stesso. Per la legittimità della detenzione dell’ arma, invece, occorre fare riferimento alle specifiche normative di settore, con la precisazione che la condotta reattiva andrà esente da addebiti penali anche laddove posta in essere da un soggetto differente rispetto al legittimo detentore, presente all’ interno del domicilio dello stesso. D’ altra parte, ben possono essere utilizzati, quali strumenti di difesa, anche altri mezzi idonei (ad es: le mani nude).
Ciò posto relativamente alla struttura oggettiva della scriminante, è doveroso evidenziare che il legislatore ha designato due regimi di operatività differenti, a seconda del bene giuridico a tutela del quale il difensore agisce.
La prima delle summenzionate ipotesi non pone particolari profili di opinabilità. Difatti, a fronte della messa in pericolo, all’ interno di un privato domicilio, dell’ incolumità del difensore o di altri, bene cui la Carta costituzionale attribuisce rango supremo, pare opportuno obliterare il giudizio di proporzionalità, fermi restando gli ulteriori requisiti di cui al comma 1 della norma.
Quanto alla portata del concetto di “incolumità” utilizzato dal legislatore, la giurisprudenza pare propensa ad operare un interpretazione estensiva, ricomprendendo nello stesso tutte le declinazioni della sfera personale dell’ aggredito (libertà morale, libertà sessuale, ecc…) al fine di evitare l’ attribuzione di una tutela maggiormente penetrante a beni di natura patrimoniale.
Appare invece connotato da maggiore complessità l’ inquadramento della seconda ipotesi, laddove, a fronte di una potenziale lesione della sfera patrimoniale, acquisiscono rilievo gli ulteriori requisiti del pericolo di aggressione e della non desistenza.
Il requisito della desistenza acquisisce rilievo, secondo quanto pacificamente sostenuto dalla giurisprudenza, in esclusivo riferimento a questa ipotesi, e non anche a quella di cui alla lett. a. Dunque, in considerazione del carattere meramente patrimoniale dei beni aggrediti, il difensore sarà tenuto a sollecitare preventivamente la desistenza altrui, facendo percepire all’ aggressore la potenzialità di una reazione difensiva.
Quanto invece al pericolo d’ aggressione, esso deve reputarsi, quale circostanza qualificante la non desistenza, non coincidente, pertanto, con il “pericolo attuale” di cui al primo comma; in caso contrario, si perverrebbe ad una interpretatio abrogans dell’ art. 52, comma 2, lett. b., c. p.. Parte della dottrina ha reputato lo stesso riferibile anche alla sola sfera patrimoniale dell’ aggredito.
Purtuttavia, la dottrina maggioritaria ha ritenuto scarsamente appagante tale ricostruzione, optando, invece, per un’ interpretazione costituzionalmente orientata. In particolare, i fautori della tesi prevalente hanno affermato che la scriminante opera laddove la non desistenza dell’ aggressore determini la messa in pericolo (anche non attuale) della sfera personale dell’ aggredito, evitandosi, così, la codificazione di una generalizzata licenza di uccidere, a fronte dell’ aggressione di beni di natura patrimoniale. Dunque, seguendo tale linea interpretativa, la reazione difensiva della vittima appare pienamente giustificata, anche alla luce dei parametri costituzionali.
Ma vi è un ulteriore profilo problematico che non può essere pretermesso. Occorre, difatti, conclusivamente interrogarsi circa la natura assoluta o relativa della presunzione di proporzione introdotta dal legislatore del 2006, al fine di individuare compiutamente il regime giuridico applicabile.
Al riguardo, vale rilevare la sussistenza di un orientamento interpretativo minoritario, a guisa del quale tale presunzione detiene carattere assoluto; infatti, valorizzando il dato letterale della norma ed i lavori preparatori, si è affermato che con essa il legislatore ha voluto ampliare la possibilità dei consociati di agire in autotutela, a fronte di condotte caratterizzate da invasività e disvalore particolarmente intensi; peraltro, con tale previsione normativa si è voluto sottrarre alle oscillazioni giurisprudenziali la regolazione di tali ipotesi, al fine di evitare l’ irrogazione di condanne ingiuste nei confronti di chi si difende all’ interno della propria abitazione. Dall’ adesione a tale impostazione, deriva, logicamente, la totale sottrazione all’ organo giudicante del potere di delibare relativamente alla sussistenza della proporzione tra aggressione e reazione, dovendo lo stesso limitarsi ad accertare acriticamente i presupposti descritti dalla norma.
La dottrina maggioritaria ha manifestato molteplici elementi di perplessità in riferimento a tale ricostruzione, provocando il superamento della stessa da parte della giurisprudenza della Cassazione. Difatti, i giudici di Piazza Cavour, in molteplici arresti, hanno affermato che, laddove si considerasse assoluta tale presunzione, si determinerebbe una palese violazione dei principio costituzionali di ragionevolezza ed uguaglianza, nonché un sovvertimento della gerarchia di valori recepita dalla Grundnorm; e ciò in quanto si applicherebbe un medesimo trattamento giuridico a fronte di condotte aggressive di beni tra loro profondamente differenti.
Ad una più compiuta riflessione, appare, pertanto, maggiormente corretta la configurazione della stessa quale presunzione relativa; se ne inferisce, ferma restando l’ impossibilità per l’ organo giudicante di procedere, caso per caso, all’ accertamento della proporzione, la possibilità per il pubblico ministero di provarne l’ inesistenza sia obiettiva che putativa. Da ciò deriva l’ alleggerimento della posizione processuale dell’ aggredito, non tenuto a provare la sussistenza del rapporto di proporzione, cui fa da pendant la possibilità per il giudice di irrogare la sanzione sulla scorta delle risultanze probatorie portate alla luce dalla pubblica accusa.
Il tutto, ferma restando la sussistenza degli altri presupposti richiesti dall’ art. 52, comma 1, del codice penale.