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Re: La donna nel mondo arabo e non, islamico, mussulmano

MessaggioInviato: lun ago 12, 2019 8:40 pm
da Berto
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/08/2019, a pag.25, con il titolo " La rivolta di Lolita" l'intervista di Gianni Vernetti a Azar Nafisi, fuggita negli Usa accusando il regime di impedirle la libertà di insegnare. E' l'autrice di "Leggere Lolita a Teheran".
Azar Nafisi e Gianni Vernetti
Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.com/mai ... b2uzsYfXa4

Consigliamo ai nostri lettori, dopo aver letto questa importante intervista di Gianni Vernetti a Azir Nafisi, di scrivere al direttore del Sole24Ore, il quotidiano italiano più apertamente schierato in favore della dittatura degli ayatollah, chiedendogli se ritiene decente per un quotidiano pubblicato in paese democratico, comportarsi in questa maniera così servile.

Azar Nafisi è una scrittrice, docente, giornalista e attivista per i diritti umani. Il suo lavoro rappresenta una testimonianza importante sulle condizioni di vita delle donne e sulle sistematiche violazioni dei diritti umani nella Repubblica Islamica. Il suo libro più letto in Italia, Leggere Lolita a Teheran, racconta la storia dei dialoghi fra lei e sette sue studentesse su temi letterari e della difficoltà di essere donna nelle Repubblica Islamica dell’Iran.

Com’è oggi la vita delle donne in Iran?
«Se si vuol sapere dove stia andando oggi l’Iran, bisogna guardare alle donne iraniane. Per quarant’anni sono state un target primario del regime che ha imposto loro ogni tipo di divieto e di costrizione. Ma oggi più che mai sta crescendo la disobbedienza civile fra le donne del mio paese:migliaia di ragazze ogni giorno si levano il velo in pubblico e rifiutando di obbedire alle prescrizioni della “polizia morale”. Molte di loro vengono aggredite e messe in carcere, ma questo fenomeno è inarrestabile: le donne in Iran chiedono libertàdi espressionee libertà di scelta e svelano i limiti dell’islamizzazione forzata della società».
La reazione del regime sembra essere molto dura contro ogni forma di richiesta di rispetto dei diritti umani…
«Sì, basti pensare alla condanna arbitraria che è stata inflitta recentemente a NasrinSotoudeh,donnaeavvocato impegnata nella difesa dei diritti umani: 33 anni di prigione e 148 frustrate. Ma nonostanteciòcrescel’insofferenza nei confronti del regime e sta aumentando l’opposizione ad un regime teocratico fondato su una interpretazione ideologica dell’islampiùradicale».
Lo scorso anno esplose in Iran la cosiddetta “rivolta del pane” che vide migliaia di lavoratori e esponenti delle classi più deboli ribellarsi al regime. Qual è la sua valutazione?
«È stato un fatto inaspettato e molto importante. Storicamente in Iran l’opposizione è sempre stata guidata dalle élite: soprattutto studenti e intellettuali. Oggi invece famiglie, lavoratori e donne non protestano solo contro le pessime condizioni economiche, ma contro un regime soffocante. Manca ancora una leadership di questo movimento, ma non tarderà ad arrivare. L’altro elemento cruciale sono i giovani, che hanno pagato un prezzo altissimo in questi lunghi anni di regime totalitario. Ogni forma di ribellione è stata repressa , con torture e carcere. Nessun’altra generazione ha sopportato tanto. Giovani e donne sono la chiave del cambiamento in Iran».
Qual è la situazione del rispetto dei diritti umani nel paese?
«È terribile e purtroppo se ne sa ancora poco in Europa, America e in occidente.Abuso della pena di morte con impiccagioni eseguite nelle piazze; attacchi alle minoranze etniche (curdi, beluchi, ecc..); arresti delle donne che si levano il velo; uccisioni extragiudiziarie; forme di tortura “stalinista” con accusati portati in tv e costretti ad ammettere crimini mai commessi. La situazione è orribile e non vedo segni di cambiamento nelle norme e nel diritto, come ricorda spesso il Premio Nobel Shirin Ebadi. In più, il regime si sta progressivamente militarizzando, grazie al crescente potere dei Pasdaran,i Guardiani della Rivoluzione.La loro presenza è pervasiva e si è estesa a molti ambiti: economia, giustizia e naturalmente esercito. Ciò mispaventa molto».
La proiezione internazionale del regime è cresciuta in questi anni: Libano, Siria, Yemen e adesso le minacce sulla circolazione nello stretto di Hormuz. Qual è la sua opinione?
«Si tratta innanzitutto di un uso sconsiderato di risorse dello stato per avventure belliche.L’Iran è potenzialmente un paese molto ricco ma le condizioni economiche e di welfare sono disastrose. Poi c’è il bisogno di distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni esibendo un nemico esterno.È già successo durante la Guerra con l’Iraq, quando Khomeini la definì un “dono” per l’Iran: grazie a quel conflitto fu silenziata per anni ogni forma di opposizione interna.La nuova aggressività dell’Iran sulla scena internazionale dimostra quanto sia disperato il regime, ma anche molto pericoloso».
L’Iran è un paese con una ricca tradizione storica e culturale. Cos’è rimasto dopo 30 anni di regime teocratico?
«Da un lato c’è stata una perditadi“senso etico”, ma contemporaneamente sta crescendo un interesse per la nostra storia, che è molto più ricca e articolata di come vorrebbe far credere l’Islam radicale che ci governa. Pensi solo al capodanno iraniano (il Nowruz, il nuovo giorno ndr.), celebrato secondo il calendario zoroastriano il 21 di Marzo: gli ayatollah hanno tentato in ogni modo di cancellare questa tradizione,senza successo».
Un cambio di regime è possibile in Iran?
«La disillusione dopo il fallimento della Primavera Araba è forte. In alcuni paesi il cambiamenoi c’è stato,persino in peggio. Ho molte speranze soprattutto nella società civile iraniana. L’Iran, a partire dall’inizio del secolo scorso, ha conosciuto una fortissima vivacità intellettuale e culturale che ha prodotto una società civile colta e sofisticata. Non tutto è stato cancellato dal regime e bisogna ripartire da qui».
La comunità internazionale dovrebbe fare di più?
«Sì. A cominciare dai Diritti Umani, con politiche simili a quelle messe in atto prima della caduta del Muro nell’Europa Orientale. Pensi all’accordo sul Nucleare. Il vero grande assente in quell’accordo era proprio la mancanza di condizioni da porre al regime sul rispetto dei diritti umani in Iran.

Re: La donna nel mondo arabo e non, islamico, mussulmano

MessaggioInviato: sab set 21, 2019 8:56 pm
da Berto
Opuscolo per le donne: "siate deferenti" verso gli uomini
MAGAS, Russia
21 Settembre 2019

https://www.islamnograzie.com/opuscolo- ... cYzXIq3bp0


Le autorità della regione russa del Caucaso settentrionale, popolata da musulmani, hanno pubblicato un opuscolo che ordina alle donne di “essere deferenti” verso gli uomini.

L’opuscolo pubblicato all’inizio di questa settimana dall’amministrazione nella capitale regionale, Magas, fornisce istruzioni generali ai giovani di Ingush su come vestirsi e comportarsi in luoghi pubblici.

L’opuscolo è stampato in due lingue: russo e inglese.
È già stato distribuito in Inguscezia e agli scolari del nuovo anno accademico.

L’opuscolo invita le ragazze di Ingush “a ricordare il posto delle donne nella società di Ingush” e istruisce “una donna di qualsiasi età a essere deferente verso un uomo di qualsiasi età“.

“La bellezza delle donne è timidezza, educazione, un tono calmo e si tiene a distanza dagli estranei. Le donne non possono urlare e ridere ad alta voce in pubblico“, afferma la brochure.

Dice anche che “una nobile Ingush non lascerà mai la sua casa a piedi nudi” e definisce “improprio indossare abiti attillati“.

Le istruzioni dicono anche che le donne “devono farsi da parte quando una persona che ha almeno un giorno di età in più cammina verso di loro.”

Il sindaco di Magas Beslan Tsechoyev ha dichiarato a RFE / RL che il testo dell’opuscolo è stato preparato in consultazione con gli anziani locali e gli esperti delle tradizioni Ingush. Ha negato che fosse discriminatorio nei confronti delle donne.

“Le donne si alzano in presenza di uomini, mostrando rispetto per loro non importa quanti anni abbiano. Anche se adulta una donna si alza in pubblico e mostra rispetto per un adolescente maschio“, ha detto Tsechoyev.

I Gruppi per i diritti umani affermano da anni che i diritti delle donne vengono violati nel Caucaso settentrionale.

Le autorità locali hanno ampiamente scrollato le spalle a tali critiche, sostenendo che le tradizioni locali sono spesso in contrasto con i valori occidentali.

La donna nel mondo arabo e non, islamico, mussulmano

MessaggioInviato: mer giu 09, 2021 7:52 am
da Berto
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Re: La donna nel mondo arabo e non, islamico, mussulmano

MessaggioInviato: mer giu 09, 2021 7:53 am
da Berto
Saman Abbas e i sacrifici umani sull'altare della barbarie multiculturale
Giulio Meotti
8 giugno 2021

https://meotti.substack.com/p/saman-abb ... sullaltare

Saman Abbas è diventata un altro numero. 1,2 miliardi di ragazze. E’ il numero di donne che saranno costrette in matrimoni forzati nel mondo entro il 2050. In Europa è una piaga ormai endemica e ci sono già le “vergini suicide”, le ragazze che si uccidono per sfuggire a un matrimonio forzato. Saman è stata uccisa per essere sfuggita al suo matrimonio forzato.

“Siano i sobborghi di Parigi, i distretti di Amburgo o città come Luton nel Regno Unito, le ‘comunità sospese’ sono rafforzate da decenni di ideologia multiculturale sbagliata che manca di un ingrediente fondamentale: il fine dell’acculturazione e dell’assorbimento della società” scrive Andrew Michta, storico di fama e preside del Marshall Center in Germania, sull’American Interest. “L’emergere di queste énclave, rafforzate dalle politiche dell’élite del multiculturalismo e dalla decostruzione del patrimonio occidentale, ha contribuito alla frattura delle nazioni dell’Europa occidentale”. Dobbiamo aggiungerci anche la provincia italiana, dove di Saman se ne contano ormai tante, troppe.

1.200 casi di matrimonio forzato avvengono in Inghilterra ogni anno. Delle 1.196 denunce gestite dall'Unità per i matrimoni forzati (FMU) del governo, più di un quarto riguarda ragazze di età inferiore ai 18 anni. Istituita nel 2005, la FMU è gestita congiuntamente dal Ministero degli Interni e dal Ministero degli Esteri. Dal 2012, la struttura ha fornito supporto a 1.200-1.400 casi ogni anno.

In Svezia, dove i matrimoni forzati sono 70.000, è talmente diffuso che si consiglia alle ragazze che temono di essere portate all'estero per matrimonio forzato di infilarsi un cucchiaio nelle mutande prima di passare i controlli di sicurezza dell'aeroporto. Al personale aeroportuale di Göteborg è stato detto come reagire in tali circostanze, ha affermato Katarina Idegard, incaricata di contrastare la violenza basata sull'onore nella seconda città più grande della Svezia. "Il cucchiaio attiverà i metal detector quando superi i controlli di sicurezza. Sarai presa da parte e potrai quindi parlare con il personale in privato. È un'ultima possibilità per dare l'allarme”.

250 matrimoni forzati con ragazze minorenni avvengono ogni anno in Olanda. In Belgio i numeri sono triplicati. In Italia riguarda 2.000 ragazze secondo un rapporto presentato alla Camera. In Francia il matrimonio forzato riguarda un totale di 200.000 donne. In un solo anno la Germania ha registrato 3,443 casi di matrimonio forzato.

Erano partiti tutti con le migliori intenzioni, ciascun paese europeo con la propria ricetta. Ma sono arrivati tutti allo stesso risultato. A un relativismo assoluto, in cui il multiculturalismo si è rivelato un cavallo di Troia per imporre nelle nostre società un sistema giuridico islamico parallelo.

La sharia è già qui!



Saman Abbas e le altre vittime del relativismo culturale
Anna Bono
9 giugno 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... culturale/

Lord William Henry Cavendish-Bentinck, governatore inglese dell’India dal 1828 al 1835, appena arrivato a Calcutta decise di mettere fine al sati, istituzione indù che richiedeva alle vedove di suicidarsi bruciando vive sulla pira funebre dei mariti, e decretò la pena capitale per chi fosse coinvolto nella morte di una vedova per averla costretta o persuasa a suicidarsi. Si narra che una delegazione di notabili indiani gli chiese udienza: “non ci potete proibire il sati, è una nostra tradizione”, gli dissero. “Lo capisco – rispose il governatore – e noi condanniamo a morte chi brucia viva una donna: è una nostra tradizione”.

Erano altri tempi. Quando negli anni ’90 del secolo scorso si scoprì che in Italia centinaia di bambine somale e di altre nazionalità ogni anno venivano sottoposte a interventi di mutilazione dei genitali – una istituzione diffusa in molti paesi africani e mediorientali – l’allora ministro della solidarietà sociale Livia Turco ne parlò come di una “irrinunciabile identità culturale” e come di un “atto d’amore”, spiegando che il governo era attento al significato culturale dell’istituzione e di essere disposta a prendere in considerazione l’adozione di leggi specifiche contro le mutilazioni genitali femminili se però richiesto dalle comunità di stranieri residenti in Italia. C’erano antropologi, all’epoca, che nelle aule universitarie ammonivano studenti e colleghi dicendo: “che diritto abbiamo noi di giudicare culture diverse dalla nostra?”. Alla fine una legge specifica fu varata, ma solo nel 2006, durante il III Governo Berlusconi.

Adesso che una giovane pakistana residente in Italia, Saman Abbas, è vittima (e non è neanche la prima) di due tradizioni – il matrimonio combinato/forzato e l’omicidio d’onore – nessuno prende le parti dei famigliari che prima le hanno imposto le nozze e poi, al suo rifiuto, l’hanno uccisa. Però si registrano molti significativi silenzi e c’è chi accusa l’islam, ma quello radicale. Quasi nessuno sembra rendersi conto che il matrimonio combinato ed eventualmente imposto è una istituzione presente in quasi tutte le società arcaiche dove la tradizione assegna alle famiglie non solo il diritto, ma il compito di decidere quando e con chi i figli, soprattutto le femmine, si devono sposare. Un figlio disobbediente che si ribella alla decisione dei genitori su una questione così importante come il matrimonio merita di essere punito e deve esserlo, se necessario con la morte.

Noi lo chiamiamo omicidio oppure delitto d’onore, ma per chi lo commette è una punizione necessaria, un atto doveroso nei confronti della famiglia lesa, per restituirle dignità e rispetto agli occhi dei parenti e della comunità. L’onore di una famiglia si ritiene compromesso quando i suoi componenti non obbediscono al capofamiglia, dimostrando al mondo che manca dell’autorità e della determinazione necessarie a farsi rispettare. Per il decoro e la stima famigliare si ritiene che i capifamiglia abbiano il dovere di vegliare sul comportamento dei congiunti, in particolare di donne e bambini, di punirli a discrezione se lo ritengono giusto. Dove è l’islam a definire le regole di buon comportamento, le donne inoltre, siano esse mogli, figlie, sorelle, non devono suscitare dubbi sulla loro modestia e sulla loro integrità fisica e morale intrattenendo rapporti inappropriati con uomini estranei alla famiglia: a seconda dei contesti, si ritiene inappropriato, disonorevole, un semplice contatto fisico o anche solo un incontro, uno scambio di parole senza la presenza di terze persone.

Non sempre chi si trasferisce altrove, tra gente che vive sotto altre regole e valori, si lascia alle spalle le istituzioni della sua tradizione. Ai nostri occhi Saman è la vittima, chi l’ha uccisa il colpevole. Invece agli occhi dei suoi parenti, è lei che ha commesso un delitto, che si è macchiata di una grave colpa. Vittime innocenti sono i suoi genitori e gli altri suoi famigliari sui quali ingiustamente ricade l’onta del suo comportamento.

Si è sperato per settimane che fosse viva, che fosse riuscita a fuggire. Qualche volta succede. Ayan Hirsi Ali, somala, fondatrice della AHA Foundation, oggi uno dei più autorevoli esperti di islam, aveva 26 anni e viveva in Kenya quando suo padre l’ha informata del suo matrimonio per procura con un cugino residente in Canada. Il volo dal Kenya al Canada faceva scalo a Francoforte. Lei ne ha approfittato per scendere e chiedere asilo. Waris Dirie, somala anche lei, ex top model tra le più affermate, impegnata contro le mutilazioni genitali femminili che lei stessa ha subito, aveva 12 anni quanto il padre le ha presentato un uomo anziano dicendole che qualche giorno dopo sarebbe diventata sua moglie. È scappata di notte, percorrendo chilometri nella savana, riuscendo miracolosamente a raggiungere la capitale Mogadiscio dove una zia materna impietosita ha rifiutato di riconsegnarla al padre e al suo destino. Entrambe sono state disconosciute dal padre.

Lord Cavendish-Bentinck in India proibì anche l’infanticidio delle figlie e i sacrifici umani. Ma in India si continuano a uccidere le neonate e sono in aumento gli aborti selettivi. Secondo un nuovo studio pubblicato ad aprile sulla rivista scientifica Lancet, nel trentennio tra il 1987 e il 2016 all’appello mancano circa 22 milioni di bambine, con un aumento di aborti e infanticidi del 60 per cento nel decennio 2007-2016.

Se non in India, i sacrifici umani sono tuttora praticati in molti stati africani. Le vittime sono quasi sempre i bambini e gli albini di ogni età. Si ritiene infatti che con gli organi degli albini gli stregoni confezionino i talismani più potenti che garantiscono successo e fortuna. Un singolo organo, ad esempio una gamba, un occhio, le labbra, il cuore, viene pagato fino a 2.000 dollari e un corpo intero vale circa 65-70.000 dollari. I paesi in cui gli albini corrono più pericoli sono il Tanzania, il Mozambico, l’Uganda e il Malawi. Il rischio di essere rapiti o venduti dai famigliari e uccisi aumenta in certi periodi: ad esempio, all’approssimarsi di un appuntamento elettorale allorché i candidati cercano di aumentare la probabilità di essere eletti ricorrendo alla stregoneria. L’Uganda ha varato a maggio una legge contro i sacrifici umani, la Prevention and Prohibition of Human Sacrifices Bill 2020.


Saman Abbas, Renzi sceglie il vocabolario di Salvini. Si indigna per i diritti delle donne violati, ma in Arabia se ne dimentica sempre
8 giugno 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/0 ... e/6223787/


Sembra Salvini ma non è. È l’altro Matteo, così lontano, così vicino. Renzi sulla questione – delicatissima – di Saman Abbas, la 18enne sulla cui scomparsa è aperta un’inchiesta per omicidio premeditato che coinvolge i familiari, non solo smarrisce tutto il vocabolario del garantismo e della presunzione d’innocenza che riserva ad altre circostanze e ad altre inchieste, ma segue pedissequo tutte le impronte leghiste, soprattutto la mira un po’ sbilenca quando nella sua newsletter spiega che la ragazza è stata uccisa “perché voleva vivere all’Occidentale“, cioè la semplificazione estrema di una questione molto più complessa (vecchio trucchetto dei populisti, lui che dice di combatterli). Ora Renzi rivendica la libertà per le donne così come garantita dalla Costituzione, circostanza che si è sempre dimenticato di ricordare nei suoi incontri dietro compenso con i maggiorenti dell’Arabia Saudita, dove i diritti delle donne sono tutt’altro che garantiti.

Il tema è così imponente – a sentire tutti i partiti che oggi fanno dichiarazioni – che la politica ne parla solo ora, dopo l’ennesima vittima. Eppure era il 2018 quando un reportage di FqMillennium raccontava il servizio di protezione per aiutare le ragazze che vogliono sottrarsi ai matrimoni imposti dalla famiglia d’origine. Se su Saman Abbas Renzi parla come Salvini, dall’altra parte a ilfattoquotidiano.it Tiziana Dal Pra, fondatrice dell’associazione Trama di Terre che aiuta le ragazze dopo che scelgono di rifiutare l’imposizione del matrimonio, aveva spiegato che è riduttivo sostenere che queste giovani non si ribellano per “imitare l’Occidente“, ma “perché una donna ha diritto di dire no“. Sono “vittime di violenza di genere” e quindi non si può sbrigare tutto alla “arretratezza culturale”. E proprio per questo, diceva Dal Pra, la sinistra deve “battere un colpo” perché spesso è paralizzata dalla paura di poter essere additata come “razzista”. Ilfatto.it aveva raccolto peraltro un’esortazione analoga dalla consigliera comunale del Pd a Reggio Emilia Marwa Mahmoud: “Il partito prenda posizione – aveva detto – La destra strumentalizza? Temo di più il silenzio della sinistra”. Scrive oggi Erasmo Palazzotto, di Sinistra Italiana: “Saman andava protetta, dai suoi genitori che erano chiaramente un pericolo per la sua incolumità e da una pratica, quella dei matrimoni forzati, che in Italia è un reato punito con la reclusione. Perché si è interrotto l’affidamento ai servizi sociali senza alcuna tutela alternativa? E’ di questo che siamo responsabili, del non garantire tutela a chi vive condizioni di pericolo e della timidezza con cui evitiamo di combattere barbare pratiche patriarcali ovunque e da chiunque siano perpetrate”. Antonella Veltri, presidente di DiRe (Donne in rete contro la violenza), sottolinea: “I matrimoni forzati sono una delle forme della violenza contro le donne riconosciute dalle Nazioni Unite, oggetto di campagne di prevenzione da decenni, che conferma ancora una volta quanto la violenza di genere sia un fenomeno strutturale nelle società modellate dalla cultura patriarcale“.

Toni diversi sceglie, appunto, l’ex presidente del Consiglio Renzi: “Se le cose sono andate così (cioè se davvero lo zio ha ucciso Saman Abbas, ndr), quell’uomo – anzi, quell’animale – va preso ovunque sia in Europa e assicurato senza sconti di pena alle patrie galere. Va preso, subito, ovunque sia. Lo Stato è più forte delle bestie e deve dimostrarlo”. Animale, bestie, senza sconti di pena. Tutto rimanda al codice comunicativo di Salvini quando – anche lui solo in certi casi – parla di “marcire in galera“, “buttare via la chiave” e le altre espressioni simboliche del cosiddetto “populismo penale” contro il quale Renzi è solito battersi, almeno davanti ai microfoni.

D’altra parte il ragionamento di Renzi non è smentibile quando dice che “non esiste integrazione senza il rispetto della Costituzione” e che l’Italia deve offrire “a tutte le ragazze che vogliono vivere qui la possibilità di farlo in libertà”. E visto che parla il capo, tutti dietro, di testa. Interviene oggi per esempio il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto che dice che “è un fenomeno che preoccupa molti Paesi occidentali” e che “integrarsi non significa solo avere un lavoro e pagare le tasse ma anche rispettare i valori che sono propri della nostra comunità, la parità tra uomini e donne, la laicità dello Stato”. Anche qui i principi dell’ex premier e dei suoi compagni del mini-partito valgono a corrente alternata. Di certo non in Arabia Saudita, dove Renzi è solito fare lo sparring partner a pagamento nelle interviste al principe ereditario Mohammed bin Salman, ritenuto responsabile (da un dossier della Cia) dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, che come noto fu ucciso nel consolato saudita a Istanbul: il suo corpo poi fu fatto a pezzi. In quel caso, in quell’intervista a Bin Salman, nessun epiteto, nessun riferimento alle bestie.



Luca Ricolfi sul caso di Saman Abbas: "Se ne parla poco? La sinistra ha sempre un occhio di riguardo per l'islam
Lorenzo Mottola
2 giugno 2021

https://www.liberoquotidiano.it/news/pe ... islam.html

Non sembra sollecitare troppo interesse la triste storia di Saman Abbas, la ragazza sparita a Novellara, a una ventina di chilometri da Reggio Emilia. Il silenzio della sinistra e delle associazioni che si occupano dei diritti delle donne si fa sempre più assordante, ma qual è il motivo di questo silenzio? C'è "una ragione buona e una cattiva" suppone il sociologo Luca Ricolfi, intervistato da Il Giorno. "La ragione buona è che, al momento, non si sa come siano andate effettivamente le cose, e neppure se la ragazza pachistana sia viva o morta. La ragione cattiva è che la sinistra ha un occhio di riguardo per l'Islam, e teme che i lati più imbarazzanti di quella cultura, e in particolare il suo modo di trattare la donna, compromettano il progetto politico di diventare i rappresentanti elettorali di quel mondo, grazie all'allargamento del diritto di voto agli immigrati".

"Temo che anche se vi fosse la certezza che Saman è stata uccisa dai familiari, un velo pietoso verrebbe steso sulla vicenda, meno interessante di quella di qualche aspirante attrice molestata da registi o produttori". Il sociologo spiega poi il ruolo del "politicamente corretto" all'interno della questione: "È paradossale, ma il politicamente corretto - nato per combattere le discriminazioni - sta diventando, oggi, uno dei meccanismi attraverso cui passano nuove e meno visibili forme di discriminazione". "Concedendo una protezione speciale a una serie di presunte minoranze (l'Islam è solo una di esse)" spiega l'accademico "si finisce per attenuare le garanzie e indebolire le tutele nei confronti di quanti hanno la sola colpa di non far parte di alcuna categoria protetta".

"Non solo" sottolinea Ricolfi "ma si viene a instaurare una sorta di presunzione di innocenza, o di responsabilità attenuata, per chiunque commetta reati ma abbia il vantaggio di far parte di una categoria protetta. Con tanti saluti al principio per cui dovremmo essere giudicati per quel che facciamo, non per quello che siamo". L'integrazione dovrebbe contemplare l'obbligo di rispettare i diritti umani. "Altrimenti non è integrazione, ma mera concessione (agli stranieri) di spazi di impunità cui nessuna comunità nazionale può aspirare (salvo forse alcune sette religiose semi-clandestine). Bisogna ammettere però, che da oltre mezzo secolo (più o meno dall'era delle decolonizzazioni), questo è un nodo irrisolto della cultura occidentale, e di quella europea in particolare" sostiene Ricolfi.

"Se da bravo antropologo, aperto e non eurocentrico, dici che ogni cultura va giudicata con i suoi metri e non con quelli di un'altra, se continui a proclamare che 'loro' non sono primitivi ma solo diversi da noi, e che ogni usanza, rito o costume ha la sua dignità e la sua ragion d'essere, esercizio in cui la civiltà occidentale si è prodigata per decenni e decenni, se fai tutto questo, beh, allora è un po' difficilino pretendere che loro rispettino i diritti umani, che in fondo non sono verità rivelate, ma un costrutto contingente e 'storicamente determinato' (così avrebbe detto Marx) della nostra civiltà occidentale" spiega il sociologo.

E per quanto riguarda alcune tradizioni islamiche, come l'infibulazione delle ragazze e l'obbligo di sposare giovani scelti dalle famiglie? "Il problema è che noi non abbiamo il coraggio di dirgli la verità, ovvero quel che davvero la maggior parte di noi pensa: e cioè che, per noi, certi loro costumi sono barbari. E che se vogliono vivere con noi possono mangiare quel che vogliono, pregare il Dio che gli pare, vestirsi come gli aggrada, ma non può esserci alcun comportamento che sia proibito a un italiano e permesso a loro" conclude Luca Ricolfi.



I genitori pakistani, lo zio con la pala: la famiglia sotto accusa
Rosa Scognamiglio
7 giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 52692.html


Sono cinque le persone iscritte nel registro degli indagati per omicidio premeditato e occultamento di cadavere della 18enne Saman Abbas, la giovane di origini pachistane, residente a Novellara, di cui si sono perse le tracce dallo scorso 30 aprile. Si tratta di Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, rispettivamente il padre e la mamma della ragazza; lo zio Danish Hasnain e due cugini, uno dei quali risponderebbe al nome di Ikram Ljaz. Dell'altro, invece, non sono ancora state diffuse le generalità.

Shabbar Abbas, 47 anni
Shabbar Abbas e Nazia Shaheen

Shabar Abbas, 47 anni, e Nazia Shaheen, 46 anni, sono indagati per "concorso morale e materiale" nel presunto omicidio della giovane Saman. A gettare ombra sulla coppia è un video risalente alla sera del 30 aprile, l'ultimo giorno in cui - verosimilmente - la 18enne sarebbe stata ancora in vita. Il filmato, recuperato dalle telecamere di sorveglianza dell'azienda agricola di Novellara presso cui erano impiegati gli Abbas, si vede Saman uscire di casa - con uno zaino di colore chiaro in spalla - insieme ai genitori per dirigersi nei campi dietro casa. Qui, secondo gli investigatori, sarebbe stata consegnata allo zio, Danish Hasnain, ritenuto l'esecutore materiale dell'omicidio. Dopo dieci minuti, infatti, i coniugi Abbas rientrano in casa comparendo davanti alle telecamere senza Saman. Poco dopo, Shabbar esce ancora di casa, si dirige per una seconda volta nei campi e poi, ritorna nuovamente nell'abitazione. Ma stavolta con lo zainetto che indossava la figlia poco prima. In quel lasso di tempo, ipotizzano i carabinieri, la giovane sarebbe stata ammazzata.

Danish Hasnain, 33 anni
Danish Hasnain

Danish Hasnain, 33 anni, è ritenuto "l'esecutore materiale" del delitto. Si tratta di una delle tre persone, munite di pale secchi, che compaiono nel video del 29 aprile, il giorno precedente al presunto omicidio. Stando a quanto riferisce la Gazzetta di Reggio, la sera dell'esecuzione, Hasnain si sarebbe mosso con freddezza. "Ora andate a casa, ora ci penso io", avrebbe detto ai genitori della diciottenne, Shabbar e Nazia Shaheen. A rivelarlo sarebbe stato il fratello minore di Saman, ascoltato dal gip Laura Galli. Secondo il racconto del 16enne, il papà si sarebbe "sentito male" dopo aver lasciato andare la ragazza. Tuttavia, avrebbe avuto timore di ritrarsi ritenendo Danish capace di sterminare la famiglia. Del resto, proprio a lui si erano affidati per risolvere "il problema della figlia" che aveva trasgredito i dettami pachistani. Quando Danish rientra in casa, non ha nulla in mano e da questo il sedicenne deduce che la sorella sia stata uccisa con lo strangolamento.

Ikram Ijaz, 28 anni

I due cugini

Sono quelli che, insieme allo zio di Saman, avrebbero "scavato la fossa" in cui seppellire la cugina il giorno dopo. Uno dei due si chiama Ikram Ijaz; dell'altro, invece, non sono ancora state fornite le generalità. Ikram Ijaz è stato intercettato a Nimes, dalla polizia francese, il 21 maggio scorso, dopo che su di lui era spiccato un mandato di arresto europeo. Il 28enne era stato fermato mentre tentava la fuga verso la Spagna a bordo di un autobus Flexibus partito da Parigi e diretto a Barcellona. Il 29 maggio, il fermo si era poi tramutato in arresto mentre si trovava in un centro di identificazione per cittadini stranieri. Lo scorso 3 giugno, la Procura di Reggio Emilia ha ottenuto l'okay per l'estradizione. Ijaz è ritenuto responsabile, in concorso, dell’omicidio e dell’occultamento di cadavere della giovane Saman.




Quante ragazze devono finire sottoterra affinché noi possiamo continuare a fare gli struzzi?
Giulio Meotti
7 giugno 2021

Un fotogramma del film “Submission”, sceneggiato da Ayaan Hirsi Ali e costato la vita al regista Theo van Gogh

https://meotti.substack.com/p/quante-ra ... sottoterra


Il primo video aveva mostrato il padre, la madre e Saman Abbas dirigersi verso i campi dietro casa. Adesso il racconto del fratello della ragazza (“lo zio l’ha strangolata”) che si era opposta a un matrimonio combinato. Danish Hasnain, accusato dalla Procura di avere ucciso Saman, è nei fotogrammi diffusi oggi dagli inquirenti, che mostrano tre persone - con due pale e un secchio, con un sacchetto azzurro e un piede di porco - dirette ai campi sul retro della casa di Novellara, per rientrare dopo due ore e mezza.

Il mese scorso è uscito un libro straordinario purtroppo ignorato da tutti i media italiani, Prey, scritto da Ayaan Hirsi Ali, somala, ex parlamentare olandese, saggista, condannata a morte dagli islamisti e oggi riparata negli Stati Uniti. Ne traduco alcuni brani sui “delitti d’onore”, come quello che si teme sia stato consumato contro Saman Abbas, e che sono il volto oscuro dell’“industria dell’integrazione”, come la chiama Ayaan Hirsi Ali. Il paragone che la sceneggiatrice di Submission stabilisce fra le donne oggi in Europa e quelle del mondo musulmano prima che gli islamisti salissero al potere è agghiacciante e dovrebbe essere imparato a memoria dai nostri multiculturalisti.

La pratica è difficile da misurare, ma ci sono alcune statistiche. Nel Regno Unito sono stati registrati 18 delitti d'onore. In Germania, i ricercatori del Max Planck Institute hanno identificato 20 delitti d'onore. In Canada, un rapporto del Dipartimento di Giustizia ha rilevato che ci sono stati almeno una dozzina di omicidi che sembrano essere stati commessi in nome dell'“onore”. Uno studio della mia organizzazione, la Fondazione AHA, e il John Jay College ha stimato che ogni anno negli Stati Uniti si verificano tra i 23 e i 27 delitti d'onore.

A ragione, la violenza d'onore è stata descritta come crimine organizzato. Famiglie e comunità cospirano per intrappolare le ragazze che si ritiene abbiano violato il codice morale e punirle. Pensa alla tua stazione di polizia che riceve una chiamata di emergenza. È stato commesso un omicidio. La polizia si precipita sul posto, pronta per uno scontro pericoloso. Invece, una famiglia saluta la polizia, con uno dei loro morti sul pavimento in una pozza di sangue; l'assassino è un adolescente, a causa della clemenza mostrata nei confronti della condanna dei minori negli ordinamenti giuridici europei. È una scena del crimine, eppure non c'è quasi nulla su cui indagare. Lì, di fronte a te, ci sono la vittima, l'arma del delitto, l'assassino pronto a confessare e tutti i testimoni che dovrai chiamare. Caso chiuso.

Se hai servito tali comunità abbastanza a lungo, sai che i testimoni sono in realtà complici del delitto d'onore. Nei Paesi Bassi, ad esempio, sono stati segnalati circa cinquecento casi di violenza d'onore, 17 di questi casi sono culminati in un omicidio. Le altre centinaia di casi hanno riguardato varie forme di minacce, coercizione, abusi fisici come percosse e persino stupro.

Molte donne minacciate di violenza d'onore cercano riparo nei rifugi per le donne. Quando ho lavorato come traduttrice nei rifugi olandesi, ho osservato la sovrarappresentazione delle donne musulmane in cerca di sicurezza. Ricercatori olandesi hanno scoperto che il 59 per cento delle donne nei rifugi per donne era di origine non olandese; molte di queste donne sono musulmane. L'incidenza della violenza d'onore ha raggiunto un livello tale in Olanda che le autorità hanno preso in considerazione l'idea di estendere il programma di protezione dei testimoni a quelle donne. In Danimarca, il 50 per cento delle donne nei centri di accoglienza per violenza domestica sono immigrate.

Non dimenticherò mai quando fui chiamata a tradurre una donna al Leiden University Medical Center nei Paesi Bassi. Il marito l’aveva ripetutamente presa a calci nel ventre. Era incinta di trentasette settimane del primo figlio. All’ospedale, il gonfiore sul viso era tutto ciò che si poteva vedere. Non c'era niente da tradurre. Gli unici suoni che poteva emettere erano gemiti di dolore. Nella sala d'attesa, il padre mi disse che se una donna disobbedisce al marito accadono cose brutte…

(…)

Margaret Atwood ha pubblicato ‘The Handmaid's Tale’ nel 1985 per avvertire che i cristiani evangelici americani potrebbero un giorno riuscire a stabilire un regime patriarcale negli Stati Uniti - o almeno in una parte di esso, dato che ‘Gilead’ dovrebbe essere il New England. La maggior parte dei suoi lettori sembra non aver notato che qualcosa di molto simile era già accaduto nel mondo musulmano quando gli ideologi religiosi presero il potere negli anni '70 e '80 in Afghanistan, Iran, Arabia Saudita e Somalia. Le distopie islamiche hanno cambiato completamente le condizioni delle donne in questi paesi e che avevano goduto almeno di alcune delle libertà delle donne occidentali.

Vale la pena guardare le fotografie delle donne a Kabul negli anni '60. Queste immagini sono ora reliquie di prima che le libertà delle donne fossero cancellate dall'oppressione religiosa dei talebani. Mostrano giovani donne con maglioni aderenti; donne in abiti a righe con le braccia scoperte, le gambe visibili dal ginocchio in giù; donne che camminano per le strade senza accompagnatori, con acconciature anni '60 e pettinature alla Jackie O; ragazze sedute accanto ai ragazzi nelle aule di scuole e università. Con l'imposizione dell'autocrazia islamica negli anni '90, le donne e le ragazze furono costrette a lasciare le scuole, molestate in strada, avvolte nei burka e confinate nelle loro case per allevare la prossima generazione di jihadisti. I talebani hanno riportato indietro il tempo per le donne afgane.

Qualcosa di simile era già successo in Iran, dove la rivoluzione islamica del 1979 aveva spazzato via i diritti delle donne. Sotto il regime dello scià - che era autocratico e repressivo in altri modi - le donne persiane avevano ballato sulla musica pop psichedelica in pantaloni a campana e hot pants. Si muovevano liberamente senza veli per le strade di Teheran. Oggi le loro figlie e nipoti sono perseguitate dai Basij (polizia religiosa) e imprigionate per essersi tolte l'hijab o aver ballato in pubblico.

Le donne saudite più anziane ricordano ancora di quando potevano camminare da sole in pubblico, con i capelli scoperti, e socializzare con gli uomini nei ristoranti. Allo stesso modo, i diritti delle donne in Egitto hanno fatto un passo avanti e due indietro. Nel 1953, il presidente Gamal Abdel Nasser suscitò risate esilaranti quando disse a un pubblico egiziano che i Fratelli Musulmani volevano obbligare tutte le donne a indossare l'hijab in pubblico. Più a sud, in Somalia, la stessa storia.

Negli anni '70, ricordo che gli uomini si mescolavano comodamente con le donne vestite all'italiana o con abiti trasparenti con la pancia scoperta. Negli anni 90, dopo aver preso il controllo del sistema delle madrasse e delle scuole coraniche, i Fratelli musulmani sono passati dalle frange al mainstream. Oggi le donne somale si muovono con timore, coperte dalla testa ai piedi.

Tutte queste società erano ancora molto indietro rispetto all'Occidente negli anni '70. Non sto predicendo che le donne europee incontreranno esattamente lo stesso destino. È improbabile che la storia torni così indietro in Svezia o in Germania come ha fatto in Iran e in Somalia. Eppure la recente ondata di violenza sessuale in Europa sta sottilmente ma innegabilmente cambiando in peggio la natura della vita delle donne in Europa. L'incapacità di resistere a una cultura sciovinista che sta invadendo spinge le donne fuori dalle strade di alcune parti di Stoccolma, Berlino e Parigi. Vogliamo un'Europa in cui le fotografie della vita femminile scattate prima del 2015 diventano oggetti di fascino? Se vogliamo evitarlo, dobbiamo immaginare la Vecchia Europa come ‘Gilead’.



Ritanna Armeni: "Non abbiamo detto nulla su Saman per un razzismo sottile"
Nicola Mirenzi
6 giugno 2021

https://www.huffingtonpost.it/entry/rit ... 0b577db74a

La prima donna che Ritanna Armeni ha interrogato sul silenzio che ha circondato la storia di Saman Abbas è se stessa: “Sento ancora il rimorso per non aver detto nulla sulla scomparsa di questa ragazza di origine pakistana, che gli inquirenti ormai ritengono quasi certo sia stata uccisa dalla propria famiglia, in provincia di Reggio Emilia, dopo essersi rifiutata di accettare un matrimonio combinato. È stata un’omissione, un peccato che considero grave. Mi sono chiesta perché, appresa la notizia, non è scattato dentro di me nulla. Come se non mi riguardasse. Come se fosse altro dalla mia vita. Come se avesse a che fare solo e soltanto con il modo di vivere di questa famiglia di immigrati. Roba loro. La risposta che ho trovato non è stata gradevole. Ed è questa. Credo abbia agito dentro di me, come dentro molte altre donne, una forma sottile di razzismo, certamente inconsapevole, ma – seppur sottile – razzismo”.

Sul suo profilo Facebook, Ritanna Armeni – giornalista e scrittrice che racconta nei suoi libri la dimensione femminile della storia, da ultimo con il romanzo “Per strada è la felicità” (Ponte alle Grazie) – ha scritto che niente giustifica “noi femministe” per la mancanza di attenzione alla vita di questa diciottenne, arrivata in Italia nel 2015 e andata via di casa dopo aver opposto il suo rifiuto al matrimonio con un cugino che vive in Pakistan, e poi tornata – questa è l’ipotesi al momento più accreditata – per riprendere la propria carta d’identità e andarsene via definitivamente, probabilmente all’estero, insieme a un ragazzo, anche lui pakistano, di cui si era innamorata.

Perché parli di “razzismo sottile”?

Perché già nel linguaggio è evidente la disparità di trattamento. Qui non si è nemmeno usato il termine che sempre usiamo in questi casi – femminicidio –, come se per una donna di origine pakistana il concetto non valesse, quasi fosse una categoria che si può usare solo se ci va di mezzo la vita di una donna bianca e occidentale. Basta questo – il modo in cui abbiamo usato la lingua – per rendersi conto che c’è dietro un senso di estraneità ingiustificabile e ingiusto.

Hai chiamato in causa anche le altre donne, quelle che denunciano le molestie e le prevaricazioni sul lavoro.

L’ho fatto perché l’uccisione di Saman e le proteste per le limitazioni della libertà delle donne, ovunque esse avvengano, non dovrebbero essere due faccende separate. Le donne dovrebbero avere la capacità di legarle, nelle loro battaglie. D’altronde il legame – che è la condizione della donna, al di là della sua origine, del suo credo, della sua condizione economica e sociale – è così evidente che sono incredula nel pensare che sia stato così clamorosamente ignorato.

Ma non c’è anche una gerarchia? Un conto è molestare una donna, un altro conto è ucciderla.

Credo che una graduatoria andrebbe fatta. Ci sono delle violenze che sono più gravi delle altre. È un’affermazione così evidente che è inutile ora, qui, fare una casistica. Il problema è che se tu protesti con forza per le molestie che ti fanno per strada, però non dici una parola sull’uccisione di una donna di origine pakistana, in circostanze peraltro così atroci, togli forza anche alle battaglie che fai sulle molestie. Si depotenzia tutto, se non trovi un filo che leghi questi fatti.

Saman, da quel che si capisce, ambiva alla libertà delle donne occidentali.

E questo è l’altro elemento tremendo di questa storia. Ho visto le foto che mostrano com’è cambiato il suo modo di vestire: la si vede con indosso il velo, e poi con i lunghi capelli ricci, sciolti, il viso truccato, il piercing al naso: era chiaro che desiderava godere delle libertà che le battaglie delle donne hanno conquistato nel nostro mondo. E questo fa ancora più male. Perché lei voleva far parte della società che abbiamo costruito. E noi, invece, le abbiamo sbattuto la porta in faccia.

Marwa Mahmoud, consigliera italo-egiziana del Pd, ha detto che la sinistra ha paura di parlare di queste vicende perché teme di essere accusata di razzismo. Tu sei anche una donna di sinistra. Pensi sia vero?

Ci ho pensato, a questa cosa. E sono arrivata a questa conclusione: che non me ne frega niente dell’accusa di razzismo. Anche a noi donne, negli anni Settanta, dicevano di stare attente, perché creavamo divisioni nel nostro campo e così aiutavamo la destra: sono sempre le solite balle. Io penso che sia stato uno scandalo il silenzio sulla storia di Saman. Penso che fosse necessario intervenire. E penso che se qualcuno avesse usato il nostro intervento in maniera strumentale, per colpire gli immigrati in quanto tali, non si doveva far altro che intervenire di nuovo e denunciare la strumentalizzazione.

Voi donne degli anni Settanta, però, i problemi dell’immigrazione non li avevate: non è difficile conciliare la libertà delle donne e il riconoscimento delle culture diverse da quella occidentale?

Sarebbe ingenuo rispondere che è semplice. Non lo è affatto. Ma credo che ci siano anche dei principi che ci possono orientare quando ci addentriamo dentro questi problemi. Per esempio, non mi stupirebbe se si scoprisse che il padre di Saman lavorava nei campi per la metà del salario che danno a un italiano. Questo – non c’è dubbio – farebbe di lui un lavoratore sfruttato. Ma l’essere tale non lo autorizza certo a uccidere sua figlia. La battaglia per i suoi diritti e per quelli di Saman non sono in contraddizione. Non c’è ragione perché una cosa escluda l’altra.

Hai scritto che il silenzio che c’è stato su questa storia ti ha messo in crisi.

Sì. Non mi sono piaciuta. E non mi è piaciuto questa assenza di parole.

Ma la parola, l’intervento, non potrebbe essere anche, e solo, un modo per lavarsi la coscienza?

Non credo. Qualcosa si è mosso, invece. Molte donne mi hanno chiamata dopo aver letto quello che ho scritto su Facebook. Non si tratta di sentirsi bene con se stessi e poi tornare serenamente a farsi gli affari propri. Questa è una battaglia politica. E le battaglie politiche, spesso, iniziano dicendo: “Così non va. Ora basta”.


Sinistra collusa con i nazi-maomettani
Le esternazioni della giornalista Ritanna Armeni sul caso della giovane pakistana Saman Abbas, assassinata dalla sua famiglia, offrono un bello spunto per approfondire la psiche, le incertezze, le contorsioni mentali delle femministe di oggi che stentano ad afferrare la realtà effettuale, rimaste come sono alle battaglie ideologiche veterocomuniste.

https://www.facebook.com/groups/3168285 ... 0395061752

La Armeni sostiene di provare “rimorso per non aver detto nulla” sulla scomparsa della ragazza. La sua prima reazione è stata infatti una non reazione: “non è scattato dentro di me nulla”, afferma. E aggiunge che ha subito considerato il fatto “come qualcosa che avesse a che fare solo e soltanto con il modo di vivere di questa famiglia di immigrati”. Considera questo suo atteggiamento “una forma sottile di razzismo”.
Da ciò si deduce come il giudizio su atti criminali appaia all’occhio della sinistra di gravità diversa a seconda di chi lo ha compiuto. Siamo abituati ormai a questo atteggiamento: un delitto non è considerato di per sé, nella sua efferatezza oggettiva, ma sempre inserito in un ambiente che, vuoi per il disagio sociale, vuoi per la “cultura” di base di chi lo ha commesso, ne attenua la gravità, e quindi non è considerato mai dello stesso peso. Le attenuanti poi si sprecano naturalmente per i “beniamini” della sinistra, vale a dire africani, soprattutto se islamici, migranti e altri noti.
Il ragionamento che la giornalista fa è questo: noi femministe consideriamo “femminicidi” solo i casi che riguardano donne bianche e occidentali e ciò è ingiusto. E qui non possiamo che essere d’accordo su questa sfasatura che appare ben evidente.
Invece, sostiene la Armeni, “l’uccisione di Saman e le proteste per le limitazioni della libertà delle donne, ovunque esse avvengano, non dovrebbero essere due faccende separate”.
Qui viene toccato il punto nevralgico del femminismo odierno: l’incapacità di considerare sullo stesso piano delle donne occidentali quelle del resto del mondo. E perché mai un movimento che è nato dalla sinistra internazionalista, non è più capace di riconoscere l’importanza della parità delle donne ovunque siano e a qualsiasi paese appartengano?
Se si cerca di dare una risposta a questa grande contraddizione, la si può cercare solo nel cozzo di quell’internazionalismo con una stortura ideologica che ci trasciniamo da decenni, ovvero l’errata certezza che ogni “cultura” si debba giustificare in quanto tale e sull’altra assurda convinzione che tutte le culture contengano valori di pari dignità.
E’ talmente evidente che non sia così, ma chi ha i famosi occhiali dell’ideologia, non è in grado di fare il salto per riconoscerlo. E come mai? Un fantasma si aggira in Occidente: la paura di essere accusati di razzismo. Per una mente distorta, condannare un crimine, i cui moventi sono radicati in una società diversa dall’occidentale, per un perverso assurdo senso di colpa (derivato da memorie coloniali, da bislacche rivalutazioni di “elementi culturali” di civiltà che niente hanno a che fare con la nostra) è praticamente impossibile.
L’ingresso nella nostra società di corpi estranei culturalmente, di cui i nostri governanti si ostinano a chiedere l’integrazione (ma implorandola, mai pretendendola), anche quando questa risulta assolutamente impraticabile, fa sì che assistiamo da tempo a episodi che mai decenni fa avremmo pensato potessero accadere. Ma non intendo solo il delitto di per sé (come quello del caso in questione di genitori o parenti che uccidono un figlio o un nipote), quanto la valutazione che di esso danno gli autori: atto dovuto, giustificato perché aderente ai propri costumi, secondo certi stranieri; mentre quell’atto è considerato all’opposto abominevole dalla società che li ospita.
Una donna come Saman, che voleva integrarsi nel nostro paese, gustando la libertà che offre, è stata tarpata nelle sue aspirazioni e così è avvenuto per tante altre donne sempre appartenenti a quella “cultura”. E purtroppo è prevedibile che il fenomeno si ripeta ancora.
Finché questi “ospiti” saranno fatti entrare nel nostro paese incondizionatamente, sarà sempre peggio: sempre più Saman verranno ostacolate. I nostri governi, per un falso senso di rispetto, sono stati incapaci di pretendere l’adeguamento degli immigrati alle nostre leggi. Finché esponenti di una religione che si sottrae alla nostra autorità politica, saranno lasciati liberi nel nostro territorio di muoversi e agire seguendo ancestrali tribali consuetudini, finché noi continuiamo a permetterlo, considerando deviazioni dalla vera fede le loro aberrazioni, che al contrario sono invece espressione proprio di essa, finiremo sottomessi. Questo è assodato.





Saman Abbas, intercettazioni da brividi: "Sepolta viva fino alla testa e lapidata". E spunta una donna misteriosa
Luigi Salomone
8 giugno 2021

https://www.iltempo.it/attualita/2021/0 ... -27522105/

Cani molecolari in campo e l’utilizzo dell’elettromagnetometro, per la scansione del terreno anche in profondità: nella giornata di domani prenderanno vigore le ricerche del corpo di Saman Abbas, la 18enne pachistana svanita nel nulla da oltre un mese dopo essersi opposta ad un matrimonio combinato dai genitori. Oggi sono ripresi i carotaggi del terreno per agevolare da domani il lavoro delle unità cinofile. Si cerca tra campi e canali della zona attorno all’azienda agricola di Novellara, nella Bassa Reggiana, dove lavorava il padre della giovane. Secondo gli investigatori Saman è stata uccisa: gli inquirenti procedono con l’ipotesi di omicidio premeditato. Il giorno prima dell’ultimo avvistamento della 18enne, le telecamere hanno ripreso tre uomini - indentificati come lo zio e i due cugini - uscire del casolare con delle pale. Per la Procura hanno preparato una fossa dove nascondere la salma. La Procura di Reggio Emilia ha indagato i genitori, lo zio (ritenuto l’autore materiale del delitto) e due cugini di cui uno già arrestato in Francia. Si tratta di Ikram Ijaz, 28 anni per il quale in queste ore sono state accelerate le pratiche per l’estradizione. Si sono intensificati, infatti, i contatti tra i carabinieri del nucleo investigativo di Reggio Emilia e il servizio centrale di polizia del ministero dell’Interno per poter far arrivare quanto prima l’indagato in Italia.

Inquietanti i racconti emersi dalle intercettazioni dei familiari della ragazza scomparsa. "Quando una ragazza smette di essere musulmana viene uccisa tramite lapidazione". Saman, che non voleva sposare il cugino, Saman che non voleva sottostare agli ordini e alle coercizioni, che voleva una vita come tutte le su coetanee italiane. Il fratello sedicenne della ragazza conferma che la famiglia non poteva accettare la ribellione della diciottenne: "Nella nostra cultura, va bene quando una ragazza scappa di casa, ma quando smette di essere musulmana lei viene uccisa. Lei era musulmana, ma non si comportava come tale". E questo le è costato, secondo quello che ritengono gli inquirenti, la vita. Anche se il corpo ancora non si trova. Continua il racconto del fratello minore di Saman: "Nel nostro Corano c'è scritto che se uno smette di essere musulmano, deve essere sepolta viva con la testa fuori dalla terra e poi uccisa con lancio di sassi con la testa. In Pakistan viene fatto". Testimonianza raccapricciante quella del ragazzino secondo il quale sarebbe stato lo zio ad uccide la sorella: "Secondo me l'ha uccisa strangolandola, perché quando è venuto a casa non aveva nulla in mano". Il sedicenne ha poi detto d'aver visto il padre piangere per la sorella che, però secondo gli inquirenti, avrebbe chiesto allo zio di intervenire per mettere fine alla ribellione, e alla vita, della figlia.

E intanto spunta una donna misteriosa, dalle intercettazioni, che avrebbe importo il silenzio al ragazzino: "“Mamma stava male e il papà l’ha portata in Pakistan, ok? Non devi dire nient’altro”. Ma con i passare dei giorni il sedicenne, vinta la paura dello zio, ha deciso di raccontare tutto quello che ha visto e sentito. Il padre di Saman nei giorni scorsi, maio creduto dagli investigatori, aveva annunciato che sarebbe tornato in Italia il 10 giugno e che avrebbe spiegato tutto, raccontando che la figlia era in Belgio. La rogatoria in pachistan, per far rientrare l'uomo potrebbe richiedere parecchio mesi.




Le "Saman" d'Italia sono più di duemila l'anno. Le nozze combinate business gestito da donne
Fausto Biloslavo
8 Giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1623174532

Sono musulmane ma anche indiane. E portano in dote visti per l'Europa
Le "Saman" d'Italia sono più di duemila l'anno. Le nozze combinate business gestito da donne

«Sposati con chi dico io o t'ammazzo» è la follia di un padre padrone pachistano venuta alla luce a Viareggio lo scorso settembre, prima della scomparsa di Saman. La figlia minorenne di 15 anni era stata minacciata con un coltello dal genitore che voleva darla in sposa a un cinquantenne. La madre intervenuta per difenderla è rimasta ferita, ma la ragazzina è riuscita a chiamare le forze dell'ordine evitando una tragedia. Le giovani musulmane in Italia costrette a sposarsi nei paesi d'origine sarebbero duemila l'anno, ma rappresentano solo la punta di un iceberg.

Le Saman d'Italia, che si sottomettono con le buone o le cattive, sono molte di più. Si teme che i matrimoni combinati o imposti siano il 20% delle unioni delle comunità islamiche in Italia. Il fenomeno è «normale» soprattutto fra i pachistani dove è più accentuato e potrebbe arrivare all'80% dei casi. Anche marocchini ed egiziani propendono per il matrimonio imposto dai genitori. E pure gli indiani, in gran parte non musulmani, seguono questa linea. Solo in Emilia Romagna, dove viveva Saman, si registrano un centinaio di segnalazioni all'anno di ragazze musulmane che subiscono dalla famiglia sottomissione, pressione psicologica o violenza fisica, compresi matrimoni imposti.

«Per quanto sia nata qui, se i genitori sono chiusi mentalmente, ciao!» spiegava N., una ragazza italo tunisina intervistata per una ricerca sull'integrazione e l'estremismo in Italia. Una delle storie più clamorose, per fortuna a lieto fine, è quella di Farah. Oggi fa la cameriera, vive come vuole ed è ritornata a Verona. Nel 2018 aspetta un bambino dal fidanzato italiano, per di più cristiano. La famiglia non ne vuole sapere e con un tranello la riporta in Pakistan dove il padre la riempie di botte e la madre la fa abortire per imporle un matrimonio con un parente. Lei riesce a contattare l'Italia, che interviene con l'ambasciata e la fa liberare. Un anno prima una minorenne egiziana ha tentato il suicidio per scampare alle nozze imposte dai genitori in Egitto con un uomo di dieci anni più grande.

«Il matrimonio combinato può essere uno strumento per aggirare i limiti posti dalle quote ed entrare in Italia grazie al ricongiungimento familiare» aveva evidenziato Mara Tognetti, sociologa, che ha realizzato una delle prime ricerche sul tema. Si organizzano le nozze per procura, talvolta con un parente, come un cugino, che vuole venire in Italia. Una volta sposati il consorte rimasto in Pakistan, Marocco o Egitto chiede il ricongiungimento familiare e il permesso di soggiorno.

Noorshen spiega che «il promesso sposo può venire in Italia grazie a noi. Un visto per l'Europa è una dote non da poco». E un affare per la famiglia della sposa. Il matrimonio forzato è un business solitamente gestito dalle donne della famiglia. Oltre alle tradizioni e al Corano le madri stanno molto attente alla dote, che si stabilisce prima e si quantifica spesso con regali in oro.

Spesso le giovani nate in Italia si piegano cercando un compromesso per evitare guai peggiori chiedendo in cambio di scegliere fra più pretendenti o di continuare gli studi. Una ragazza marocchina di Milano ammette: «Ho accettato la richiesta di papà, sposerò un uomo del mio Paese. Però ho chiesto di poter scegliere tra più di un possibile marito, di vederne almeno tre o quattro».




Saman Abbas, incredibile Valeria Fedeli (Pd): è un femminicidio, l'Islam non c'entra. Rivolta social
Luigi Salomone
9 giugno 2021

https://www.iltempo.it/politica/2021/06 ... c.facebook

A questo punto era meglio il silenzio con cui la sinistra, in totale imbarazzo, ha trattato la vicenda di Saman Abbas, la 18enne di origine pachistana uccisa - questo quanto emerge dalle indagini - e seppellita nei pressi di Novellara, nel Reggiano, dai suoi stessi familiari per non aver accettato un matrimonio combinato.

Valeria Fedeli, capogruppo Pd in commissione diritti umani al Senato, infatti, arriva ad affermare che nel probabile omicidio di Saman la religione islamica non c'entra affatto, siamo nella categoria criminale del femmicidio.

"Saman, per i dati che abbiamo in mano, è vittima di un femminicidio, cioè di un assassinio determinato all’interno della famiglia" dice intervistata da 9Colonne. "Quindi non c’entra niente la religione, chi vive in Italia deve rispettare le leggi italiane e la costituzione italiana. Quindi lei è vittima dell’impedimento di parte della sua famiglia alla sua autonomia e alla sua libertà di vita e di scelta, che in Italia è sacra".

La giovane è "vittima di una cultura patriarcale che considera la donna oggetto: prima della propria famiglia, poi venduta o pretesa di essere venduta per essere sposata ad altri quando lei non lo vuole, quindi si chiama femminicidio e noi dobbiamo contrastarlo" dice la senatrice ex ministro dell'Istruzione che afferma che "dobbiamo educare, sin dai primi anni di vita e del percorso scolastico, alla conoscenza e al rispetto delle diversità, di origine, di etnia, di sesso, di condizioni sociali perché questo è l’elemento fondamentale per prevenire e rispettare le differenze". Ma guai a parlare di religione. Tanto che in una intervista a Domani la Fedeli si lancia un improbabile parallelismo tra la vicenda di Saman e quella di Seid Visin, il giovane calciatore di origine eritrea morto suicida, una storia tragica cavalcata - questa sì - dalla sinistra per la lettera, scritta tre anni prima della scomparsa, in cui denunciava un clima di razzismo intollerabile. C'è voluto l'intervento dei genitori del ragazzo per scacciare gli avvoltoi politici. E su Twitter, sotto il post con cui la Fedeli rilancia l'articolo che appaia le diverse storie di Saman e Seid, è un profluvio di proteste.

"Scusi che c'entra il razzismo con questo delitto? La causa è nelle convinzioni dettate dalla religione islamica", "E più semplice, per i sinistri, invece di fare le giravolte spiegazioniste, dire.... non ha stato Salvini. Non ci interessa. Anche perché Seid soffriva di lockdown. Non di razzismo. Il lockdown, malgestito, è stato opera di Conte", "Quale è l'attinenza!!????ma di che parla???a quella povera ragazza hanno rubato la vita !!!! Aveva chiesto aiuto!!!", sono solo alcuni commenti. Era meglio il silenzio dietro al quale si è trincerara la sinistra.




Quelli che "l'Islam non c'entra" ascoltino il fratello di Saman Abbas
Giulio Meotti
9 giugno 2021

https://meotti.substack.com/p/quelli-ch ... -ascoltino

“Nel nostro Corano c'è scritto che se una smette di essere musulmana, deve essere sepolta viva con la faccia fuori dalla terra e poi uccisa”. Queste parole terribili le ha pronunciate il fratello di Saman Abbas, di cui continuano le ricerche. Eppure, fatichiamo a prenderle sul serio. A considerarle autentiche. Anche quando riguardano tante ragazze in Italia: Hina Saleem, Sanaa Dafani…

Nella maggior parte dei paesi musulmani, le fonti del diritto sono il Corano (il libro sacro) e gli Hadith (la raccolta di tradizioni e detti del profeta Maometto e di altri imam). La lapidazione non è menzionata nel Corano, ma proviene dagli Hadith.

In Afghanistan la lapidazione è praticata nelle aree controllate dai Talebani. 1.000 donne ogni anno in Pakistan sono uccise nei “delitti d’onore”, spesso lapidate dalla famiglia. E’ il paese di Saman Abbas, dove si lapidano anche le bambine di undici anni, le donne incinte e spesso anche fuori dai tribunali.

In Siria, lo scorso marzo, islamisti hanno lapidato tre donne a Idlib. Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran e Yemen includono la lapidazione nella legge, sebbene sia raramente implementata (si preferisce l’impiccagione). La lapidazione è consentita negli stati settentrionali della Nigeria che hanno adottato la Sharia. La prescrivono il Sudan e la Somalia, dove una ragazza di tredici anni è stata sepolta viva e lapidata in uno stadio di fronte a mille persone.

Non ci piace ammetterlo, è doloroso, non prendiamo più sul serio i libri sacri e il relativismo multiculturale ci impone di pensare il contrario, ma è realtà per tante donne in tutto il mondo. E in Italia. Prima veniamo a patti con la realtà, prima riusciremo a capire che ci riguarda e ad agire di conseguenza.



Saman Abbas non è la prima ragazza pakistana uccisa dalla famiglia.
Nel 2018, veniva ammazzata Sana Cheema dal padre e dal fratello perché voleva sposare un ragazzo italiano.
Nel 2006, il padre uccise Hina Saleem perché non voleva seguire gli usi della cultura pakistana.

https://twitter.com/fratotolo2/status/1 ... 7085952003



Sana Cheema
Omicidio di Sana Cheema: padre e fratello svaniti nel nulla, il processo rischia di non partire
https://www.ilmessaggero.it/italia/omic ... 99536.html

Gli indagati sono spariti nel nulla e il processo rischia di non poter partire. Dopo essere stati assolti in Pakistan per mancanza di prove certe, il padre e il fratello di Sana Cheema, 25 anni, nata cresciuta a Brescia dove ha vissuto fino a dicembre 2017 e uccisa in Pakistan lo scorso aprile perché si era opposta a un matrimonio combinato con il cugino, non sono reperibili per la giustizia italiana. Perciò non è stato possibile consegnare loro, finora, alcuna notifica dell’indagine in corso.

«Sposati con quell'uomo o farai la fine di Sana», così il padre pachistano minacciava di morte le sue figlie
Sana uccisa in Pakistan, per i giudici «non c'è prova del delitto d'onore»

NESSUNA NOTIFICA
A febbraio il tribunale distrettuale di Gujrat, nel Nord-Est del Pakistan, ha assolti i due uomini per mancanza di prove e testimoni sufficienti, benché l’autopsia abbia confermato l’omicidio per strangolamento. A quel punto la procura generale di Brescia allora guidata da Pier Luigi Maria Dell’Osso aveva avocato l’inchiesta, ma i due indagati Mustafa Gulham, 50 anni, il padre di Sana, e il trentaduenne Adnan, fratello della giovane, non sono più reperibili: per legge il processo italiano non può partire se non c’è certezza della notifica agli indagati dell’avviso di conclusione indagini e, come spiega il loro avvocato d’ufficio Sandra Dibitonto, «non li ho mai sentiti e non so dove siano». Le indagini sono chiuse, ma il processo probabilmente non partirà mai nonostante l’impegno dei magistrati: «Si tratta di un delitto politico perché offende i diritti civili di un cittadino italiano, in questo caso Sana», aveva commentato Dell’Osso. «Chiudere le indagini in tempo così rapidi è un’affermazione di giustizia che la comunità pakistana, molto numerosa a Brescia, ha apprezzato. Un omicidio così non può essere impunito». Eppure tale rischia di rimanere.


STRANGOLATA
Il padre e il fratello di Sana avevano inizialmente confessato l’omicidio, salvo poi ritrattare, ed erano finiti in carcere. Per poi essere assolti dai giudici insieme ad altre nove persone, tornando immediatamente liberi. Per il tribunale distrettuale di Gujrat, nel nord-est del Pakistan, non c’erano le prove per condannarli e inoltre mancano i testimoni del delitto. L’autopsia aveva confermato l’omicidio, la ragazza aveva l’osso del collo rotto come conseguenza di uno strangolamento, ma per i magistrati pakistani nessuno degli undici imputati, tra cui quattro parenti stretti della giovane, può essere ritenuto responsabile per quella morte. La magistratura italiana, con la richiesta del ministero della Giustizia, può far celebrare un nuovo processo. A condizione che i presunti responsabili siano in Italia. Di Mustafa Gulham e di Adnan tuttavia non c’è traccia.


Hina Saleem
https://it.wikipedia.org/wiki/Hina_Saleem
Hina Saleem (Gujrat, 19 dicembre 1985 – Zanano di Sarezzo, 11 agosto 2006) è stata una ragazza pakistana uccisa in Italia dai parenti come punizione per non volersi adeguare agli usi tradizionali della cultura d'origine.



Mezz’ora culturale con gli amici di Magdi Cristiano Allam
mercoledì 9 giugno 2021
9 giugno 2021
Magdi Cristiano Allam

https://www.facebook.com/MagdiCristiano ... 7089795315
Nel feroce assassinio a Novellara della diciottenne pachistana Saman Abbas si è parlato molto dell’islam come radice del male che ha istigato i suoi familiari a ucciderla; dell’Ucoii (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia) che ha arbitrariamente emesso una “fatwa”, responso giuridico islamico, violando il nostro stato di diritto e sfidando la nostra civiltà laica e liberale. Ma si è parlato poco dello Stato, che è il grande assente e il principale responsabile del fatto che si consenta a dei residenti in Italia di non rispettare le nostre leggi, di non ottemperare alle regole della civile convivenza, di non condividere i valori della sacralità della vita, pari dignità tra uomo e donna, libertà di scelta individuale che sostanziano la nostra civiltà.

Re: La donna nel mondo arabo e non, islamico, mussulmano

MessaggioInviato: ven giu 11, 2021 8:24 pm
da Berto
L’antirazzismo ci impedisce di dire la verità su Saman Abbas
Giulio Meotti
11 giugno 2021

https://meotti.substack.com/p/lislam-av ... ccidentale

È l’insegnante francese di origine algerina di Tolosa che ha rimproverato cinque studenti di non aver rispettato il minuto di silenzio durante l'omaggio al professor Samuel Paty, decapitato a ottobre da un islamista. Per questo Fatiha Boudjahlat è sotto la “protezione" della polizia. Ha appena pubblicato un nuovo libro per le edizioni di Cerf, Les nostalgériades. Boudjahlat è qui in esclusiva a colloquio per la mia newsletter.

Nel suo libro lei parla di un “culto vittimistico” ormai egemonico in Occidente? Ma ci sono vittime, come Saman Abbas, su cui fatichiamo di dire la verità, che diventano tabù…

Questo è il risultato della convergenza di meccanismi e ideologie differenti: il soft power islamista in una logica di conquista e la decostruzione mal compresa e mal assimilata di Michel Foucault che torna viziata dagli Stati Uniti. Ma anche l'arrivo alla maturità sociale, politica, economica grazie ai sistemi occidentali di educazione, cura, tutela dei figli di immigrati e minoranze, che portano un patrimonio complesso, sensibile alla predicazione islamista e ai discorsi sovversivi americani, che ha ridotto una legittima, sincera e complessa ricerca di identità con un confuso rifiuto dell'Occidente. E c’è un approccio antistorico: è l'Occidente del Medioevo, del XVII, XVIII e XIX secolo che viene incriminato. E con esso i diritti e i mezzi dell'Occidente (istruzione, libertà di espressione, di associazione). E poi c'è la noia di una classe borghese che si vergogna dei suoi privilegi di classe, ma alla ricerca di una pseudo sovversione e rivoluzione che non metta a repentaglio i propri privilegi di classe. Lo spiega bene l'americano Walter Benn Michaels nel suo affascinante libro Diversity Against Equality: ‘Mentre il problema è la disuguaglianza, la soluzione proposta è l'identità ... Il razzismo e il sessismo si sono dimostrati abbastanza compatibili con il liberalismo economico, mentre il desiderio di ridurre (per non parlare di colmare) il divario tra ricchi e poveri non lo è. La diversità non è un modo per raggiungere l'uguaglianza, è un metodo per affrontare la disuguaglianza’. L'Occidente è accusato e gli occidentali sensibili a queste tesi fingono di sfuggire a queste accuse avallando l'identità della vittima. Essere vittima di carnefici mitizzati ti mette in una posizione comoda. Tant'è che l'identità della vittima è diventata l'unica identità riconosciuta, valutata mediaticamente e narcisisticamente.
Fatiha Boudjahlat

In che modo l'islamismo usa questo senso di colpa per portare avanti la sua agenda?

Questa colpa pretende di denunciare e combattere i difetti occidentali assimilati alla modernità e al capitalismo. Questo è il motivo per cui l'estrema sinistra francese ha aderito alla loro bandiera. L'Islam si presenta come l'identità culturale dei popoli vinti, che hanno sofferto e quindi meritevoli di riparazione. Facendo dimenticare le sue numerose, durature, violente conquiste nel corso dei secoli.

Qual è il significato del nuovo antirazzismo che sta devastando tutti gli angoli culturali?

È un'ideologia molto elaborata e commercializzata, abbastanza flessibile da consentire alle aziende di usarla e di comprarsi un salvacondotto morale. Questa ideologia non lotta contro il razzismo, ma per reintegrare i non bianchi nei paesi occidentali in un lignaggio etnico e quasi genetico. È un'ideologia à la carte, violenta a parole e opportunista nei suoi affari, come i milioni utilizzati dal fondatore di Black Lives Matter per acquisire un patrimonio immobiliare dopo che ha posto questo movimento sotto il sigillo del marxismo. È un'ideologia che richiede colpevoli e riparazioni e, per farlo, fabbrica vittime e fa del trauma dovuto alla ‘razzializzazione’ la prima, unica e ultima identità dell'individuo.

Tra 20 o 30 anni, ‘l'Occidente’ come categoria avrà un senso o stiamo assistendo a una disintegrazione di questo concetto?

Dovrà esistere, altrimenti chi accusare? Contro chi ribellarsi? L'ex ministro della Giustizia Christiane Taubira ha spiegato in un'intervista a L'Express che non si dovrebbe parlare ai figli degli immigrati della tratta degli schiavi dell’Oriente (14 milioni di schiavi contro 11 milioni della tratta degli schiavi occidentale), per non collocare questo peso sulle loro spalle ...E poi cosa sono io? Sono una orientale nata, istruita e che lavora in Francia, quindi in Occidente, di cui apprezzo le conquiste sociali. Cosa ho effettivamente come orientale se non il mio cognome e alcuni tratti culturali che ho scelto di mantenere? Desidero essere vista come un individuo libero, chiedo lo stesso livello di dignità e uguaglianza di cui godono gli uomini, mi fido della scienza e difendo il primato del diritto positivo sulle norme religiose. L'Occidente come metodo non è solo universalizzabile ma benefico. C'è un nichilismo da escatologia che mira a uccidere il padre e che troviamo tra questi borghesi di sinistra.


Alberto Pento
Ma cos'ha di orientale un'algerina? Nulla!



Zolle anomale sul terreno "Il cadavere di Saman sotto la serra di angurie"
Nino Materi
11 Giugno 2021

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1623394984

I dati dell'elettromagnetometro analizzati dai carabinieri. Il cugino Ijaz interrogato oggi
Zolle anomale sul terreno "Il cadavere di Saman sotto la serra di angurie"

Giornata di «analisti dei dati» ieri per i carabinieri di Reggio Emilia che indagano sulla scomparsa di Saman, la 18enne pakistana uccisa da una congiura di famiglia.

I «dati» in questione sono quelli forniti dall'elettromagnetometro, cioè lo strumento con il quale i tecnici dell'Arma stanno scandagliando da giorni il campo coltivato a serre dove temono che gli assassini della giovane abbiano sotterrato i suoi resti. Una verifica tecnica che ha accertato una serie di zolle «anomale» e rimozioni del terreno compatibili con il tentativo di occultare un corpo intero o sezionato. Dalla notte del 30 aprile della ragazza si sono perse le tracce e finora ogni tentativo di ricostruire le fasi del probabile omicidio sono state vane.

I resti di Saman forse giacciono sotto uno dei tanti tendoni dell'azienda agricola di Novellara dove lavorava il padre della vittima e uno dei due cugini coinvolti nel delitto. Agli atti dell'inchiesta, oltre a una serie di terribili intercettazioni telefoniche, c'è un video-chiave: quello in cui si intravedono lo zio di Saman e due suoi nipoti dirigersi verso la campagna con in mano una pala, un piede di porco e un secchio con dentro varie sacchetti di plastica. Il terzetto stava andando a occultare il cadavere di Saman? O si tratta di un incomprensibile tentativo di depistaggio, considerato che i tre indagati erano perfettamente a conoscenza della telecamera di sicurezza che li stava riprendendo. Uno di loro è Ikram Ijaz, 28 anni, cugino di Saman da ieri in carcere dopo l'estradizione in Italia dalla Francia dov'era stato arrestato il 29 maggio.

Ancora latitanti invece gli altri parenti di Saman (i genitori, rifugiatisi in Pakistan, oltre allo zio e un altro cugino, entrambi irreperibili) coinvolti in quello che gli inquirenti ritengono un assassinio motivato da «ragioni religiosi». La 18enne si era rifiutata infatti di accettare il «matrimonio combinato» deciso per lei. E tanto è bastato per sancirne la condanna a morte.

Il padre e la madre della ragazza «ribelle» ai dettami violenti dell'Islam più integralista si sarebbero quindi rivolti a uno zio «senza scrupoli» per «dare corso all'esecuzione». Lo zio, secondo l'ipotesi della Procura (che procede nei confronti dei cinque imputati per omicidio e occultamento di cadavere), avrebbe strangolato la nipote con la complicità dei due nipoti, facendone poi sparire il corpo. Qualche giorno prima del dramma, Saman confessò al fidanzato di aver captato una conversazione telefonica della madre che diceva: «Ormai questa è l'unica soluzione»; cioè ammazzare la figlia. Versione confermata anche dal fratello minore di Saman che ha riferito agli inquirenti una serie di circostanze che avvalorano il piano per eliminare la giovane, «colpevole» di non comportarsi da «brava musulmana».

Oggi in carcere sarà interrogato dal pm Ikram Ijazil. Lui sicuramente sa che fine hanno fatto i resti di Saman. Ieri ha detto di «essere disposto a collaborare». Speriamo sia vero.

La donna nel mondo arabo e non, islamico, mussulmano

MessaggioInviato: ven giu 18, 2021 6:05 am
da Berto
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Re: La donna nel mondo arabo e non, islamico, mussulmano

MessaggioInviato: ven giu 18, 2021 6:06 am
da Berto
Percossa e segregata da marito e suoceri, liberata giovane sposa
16 giugno 2021


https://www.imolaoggi.it/2021/06/16/per ... da-marito/

Mantova – Nel pomeriggio di ieri gli Agenti della Squadra “Volante”, su disposizione della Centrale Operativa della Questura, intervenivano d’urgenza in un Quartiere del Capoluogo in quanto era stata segnalata una violenta lite con percosse tra coniugi all’interno di un appartamento. Giunti immediatamente sul posto, i poliziotti, su indicazione di alcuni vicini di casa, attraverso la porta d’ingresso dell’abitazione segnalata riuscivano a percepire chiaramente che vi era in corso un violento litigio verbale, con urla e frasi concitate tra varie persone.

Dopo aver richiesto in maniera perentoria che venisse aperta la porta d’ingresso, sull’uscio dell’appartamento si presentava agli Agenti, unitamente alla moglie, un signore di origini nordafricane, il quale riferiva di una lite, ormai sedata, tra il proprio figlio e la nuora.

La scena che si è presentata ai poliziotti era a dir poco sconcertante: mentre l’uomo – con già a proprio carico una denuncia per il reato di lesioni personali – cercava di rassicurare gli Agenti sostenendo che la lite, a suo dire solo verbale, si era placata, e che non vedeva il motivo della presenza delle Forze dell’Ordine nella propria abitazione condivisa con i genitori, la giovane donna, appoggiata alla parete del soggiorno a testa china, visibilmente scossa e piangente, con un evidente ematoma sulla guancia sinistra ed ancora in grave stato di shock, veniva ripetutamente interrotta e zittita dal marito mentre cercava di rispondere alle domande che gli Agenti le rivolgevano.

In questo contesto, in un momento di distrazione dei parenti presenti, la vittima riusciva a comunicare agli Agenti un segnale d’aiuto con un gesto delle dita, attirando la loro attenzione; questi, pertanto, avendo intuito, grazie alla loro notevole esperienza e professionalità, quanto realmente stava accadendo, con la scusa di una verifica sul Permesso di Soggiorno, e malgrado la netta opposizione del marito – il quale, dapprima, cercava di opporsi alle intenzioni dei poliziotti e, in seguito, pretendeva di accompagnare la moglie in Questura – decidevano di accompagnare la giovane sposa negli Uffici di Piazza Sordello.

Giunti in Questura, non dovendo subire ulteriormente l’influenza minacciosa ed intimidatoria di marito e suoceri, la vittima decideva di denunciare alla Polizia, senza reticenze, quanto oramai da tempo era costretta a subire; riferiva, altresì, che alcune ore prima il marito l’aveva violentemente percossa con pugni e schiaffi al volto, stringendole con forza le mani al collo, e ciò solo perché lei aveva manifestato l’intenzione di usare il telefono cellulare per comunicare con un’amica.

Nel raccontare nel dettaglio la propria vicenda personale, la donna riferiva di essersi sposata nel 2020 e di essere arrivata a Mantova da circa tre mesi con la promessa di vivere da sola con il proprio marito, libera di lavorare e frequentare eventuali nuove amicizie.

La realtà, invece, si era mostrata ben diversa: dopo essersi, invece, ritrovata ad abitare con i suoceri e con altri fratelli del marito, sin da subito era stata fatta oggetto di continui maltrattamenti e percosse da parte del marito il quale, in più occasioni, era solito rientrare a casa ubriaco e con atteggiamenti violenti. Costui, inoltre, le impediva di avere contatti con l’esterno, tanto che le era stato vietato di avere una copia delle chiavi di casa; il suocero, temendo un suo allontanamento, aveva preso in “consegna” il passaporto e le copie di documenti relative al rilascio del Permesso di Soggiorno.

Al termine della ricostruzione dei fatti, e formalizzata la denuncia da parte della vittima nei confronti del marito e dei suoceri, gli Agenti di Polizia hanno provveduto a denunciare alla Procura della Repubblica il primo per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali (tipici reati da “CODICE ROSSO”), il suocero per maltrattamenti e violenza privata, e la suocera per maltrattamenti.

La giovane donna, invece, dopo essere stata visitata dai Sanitari al Pronto Soccorso di Mantova, veniva successivamente collocata in una Struttura protetta.

Il Questore della Provincia di Mantova Paolo SARTORI, in considerazione della gravità della vicenda, ha dato disposizioni all’Ufficio Immigrazione della Questura di avviare in via d’urgenza il Procedimento amministrativo finalizzato a procedere alla Revoca dei Permessi di Soggiorno ed alla conseguente Espulsione dal Territorio Nazionale del coniuge violento della giovane vittima e dei suoceri suoi complici, con trasferimento coatto nel Paese di provenienza una volta terminato l’iter giudiziario.

“Anche questo ennesimo episodio di violenze ed aggressioni nei confronti di una donna e, più in generale, di persone indifese, rappresenta un’ulteriore occasione per ribadire l’importanza che le vittime di simili odiosi reati non subiscano passivamente questi deprecabili comportamenti – ha sottolineato il Questore Sartori –. La Polizia di Stato è costantemente impegnata con l’obiettivo di diffondere una cultura di genere che possa essere in grado di aiutare le vittime a vincere la paura, superando quel sentimento di isolamento e, talvolta, di vergogna, che spesso impedisce loro di porre termine a situazioni che non raramente, purtroppo, sfociano in tragedie. Denunciare tempestivamente alla Polizia maltrattamenti e soprusi è l’unico modo per porvi termine e, spesso, può essere determinante per evitare ben più tragici epiloghi”. https://questure.poliziadistato.it