Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » mer mag 16, 2018 12:14 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » mer mag 16, 2018 12:14 pm

???

Voltaire, l’illuminista impostore al servizio dei potenti
1 aprile 2018
di Giuseppe Reguzzoni

https://www.facebook.com/notes/shar-kis ... 1941801919

Il “papa” del laicismo «distorse la realtà per legittimare le sue ossessioni. La sua preoccupazione non era la verità, ma distruggere il cristianesimo». Intervista alla storica Marion Sigaut.

Storica di fama, residente in Borgogna, Marion Sigaut ha lavorato soprattutto sul secolo XVIII, con un lungo e paziente lavoro di ricerca, che ha ribaltato i pregiudizi ancora di tono apologetico sul secolo dei Lumi. Negli ultimi anni, all’attività di ricerca storica ha affiancato la scrittura di importanti opere narrative. Nel 2008 ha pubblicato presso Jacqueline Chambon La Marche rouge, les enfants perdus de l’hôpital général, che racconta la sua scoperta dei lati oscuri dell’Hôpital général de Paris, istituzione laica giansenista che coprì un gigantesco traffico di bambini. Del 2011 è la sua raccolta De la centralisation monarchique à la révolution bourgeoise, saggi di alta divulgazione storica dedicati alla Francia prerivoluzionaria. Con la sua ultima opera Voltaire. Une imposture au service des puissants (Voltaire. Un’impostura al servizio dei potenti), pubblicata presso KontreKulture (Parigi 2014), Marion Sigaut ha osato sfidare il mostro sacro del laicismo francese, con una ricerca documentatissima e del tutto “politicamente scorretta”, ma che dimostra non solo la sua grande competenza storica, ma soprattutto il suo coraggio di ricercatrice, ubbidiente solo alle esigenze della ricerca sincera della verità dei fatti.

La sua è un’opera di ricerca e investigazione storica che riesce anche a essere “critica”, giacché non si ferma all’analisi dei documenti di archivio, ma riesce a formulare dei giudizi pertinenti con il nostro presente: che idea ha lei del suo lavoro?

Il mio lavoro consiste nel cercare la verità e raccontarla. Da sempre nutro il gusto per la storia, è una tradizione di famiglia. Mio padre leggeva decine di libri di storia al mese, ce n’erano tanti sparsi per casa; egli faceva delle vere e proprie razzie nella biblioteca municipale. Ho fatto come lui e per lungo tempo ho letto quasi esclusivamente dei libri di storia, saggi o romanzi. Occuparmi di storia, a mia volta, è qualcosa che ho maturato tardi, quando ho percepito la necessità di far emergere delle verità nascoste. Come nel caso della mia ricerca che riguardava il traffico di bambini. Ho sentito come un imperativo morale di andare a cercare ciò che accadeva, e la storia mi sembrava il mezzo migliore. Il seguito mi diede ragione.

Perché Voltaire? Perché intorno a questo personaggio si registra ancora un’infatuazione smisurata, sia in Francia sia in Italia, ancor più di quanto sia avvenuto per i suoi contemporanei?

Non volevo lavorare su Voltaire, ma l’ho incrociato nel corso delle mie ricerche poiché è imprescindibile quando ci si interessa al Settecento. Sono rimasta sbalordita nello scoprire il divario che separa ciò che si dice da ciò che fu. Incredibile. La menzogna è talmente enorme che la voglia di ripristinare il vero mi si è imposta. Bisognava dire la verità. L’infatuazione per Voltaire è la misura dell’enormità menzognera che il sistema proferisce sul nostro passato. Il pubblico ama un Voltaire che non è mai esistito. Ciò che realmente ammira è l’intelligenza, la generosità, il coraggio, l’impegno per delle buone cause, tutto ciò che gli si fa credere che Voltaire abbia difeso. La bugia è troppo grossa.

Ma Voltaire fu chiuso nella Bastiglia due volte! Continua, anche per questo, a essere presentato come il simbolo della libertà di pensiero, mentre in realtà, come lei spiega nel suo libro, Voltaire, allora ventiduenne che alla Bastiglia ci rimase pochissimo, con il suo pamphlet Puero regnante si era davvero reso colpevole di vilipendio del capo di Stato, crimine per cui, anche nell’Italia di oggi, è previsto il carcere. Si può rileggere l’agiografia voltairiana un po’ più criticamente? Si può rileggere Voltaire in maniera storicamente oggettiva, senza infrangere i dogmi della libertà di pensiero?

Criticare Voltaire significa rimettere in discussione tutto ciò che ci viene narrato circa il nostro passato. Il sistema presente ci fa credere che i Lumi furono un movimento redentore del popolo, che la Rivoluzione Francese fu un’insurrezione popolare, che Voltaire difendeva la libertà di espressione, che i re erano tiranni e che la religione cattolica fu barbarica. La realtà è tutto il contrario. I Lumi furono un movimento elitario e pieno di disprezzo nei confronti del popolo, la Rivoluzione una serie di colpi di Stato sanguinari e barbari, Voltaire un mostro, i nostri re dei protettori e la religione cattolica il pilastro dei più bei valori della nostra civiltà. Criticare Voltaire significa riscoprire la libertà di pensiero.

Già, le élites… Voltaire non amava né il popolo né gli emarginati, che disprezzava profondamente, così come disprezzava i neri, che arrivò a definire «animali dotati di parola» e gli ebrei. Voltaire, l’autore del Trattato sulla tolleranza, era un uomo tollerante?

Voltaire fu il più intollerante tra i suoi contemporanei. Lottò tutta la vita per far chiudere alla Bastiglia coloro che non gradiva e per proibire gli scritti che gli facevano ombra. Ciò che definì la sua lotta per la tolleranza consistette, esclusivamente, nell’accusare falsamente i cattolici di intolleranza al fine di predicare la tolleranza a loro discapito. Il Trattato sulla tolleranza è un tessuto di menzogne. Una vergogna.

Sembra, in effetti, che i filosofi illuministi francesi non fossero poi così tanto tolleranti e non solo verso «l’infame», cioè la Chiesa cattolica, ma persino tra di loro, come potrebbe testimoniare Rousseau.

Quando Voltaire e Rousseau si conobbero, quest’ultimo era ancora giovane e poco conosciuto, mentre Voltaire aveva già al suo attivo diverse grandi opere. Lo scontro ebbe inizio dopo il 1750, proprio in seguito alla pubblicazione del Discorso. Voltaire guardava dall’alto in basso la maniera in cui il giovane filosofo ginevrino denunciava quella raffinatezza aristocratica che a lui, invece, piaceva tanto. Voltaire frequentava soprattutto nobili e privilegiati e sdegnava la denuncia radicale delle ineguaglianze sociali da parte di Rousseau. Non si trattò solo di uno scontro intellettuale. Voltaire arrivò a denunciare Rousseau. Lo voleva in galera. E non esitò a toccare con brutalità anche la sfera della vita privata del suo rivale, rimproverando a Rousseau di aver abbandonato i cinque figli avuti con Thérèse Levasseur. Fu un confronto diseguale, che vide Rousseau emarginato e calunniato.

Eppure Voltaire non diceva di essere pronto a morire perché anche chi non la pensava come lui potesse esprimere la propria opinione?

Voltaire era pronto a mettere a morte quelli che lo offuscavano. La frase che gli è attribuita: «Non sono d’accordo con ciò che dite ma mi batterò fino alla morte perché abbiate il diritto di dirlo», è una frase inventata, tra l’altro mai da lui pronunciata, una contro-verità gigantesca che non può in nessun caso applicarsi a Voltaire.

Nel suo libro perché definisce Voltaire un «historien menteur», uno storico impostore. Che cosa rappresentava la storia per Voltaire?

La storia fu per Voltaire uno strumento di propaganda per far passare le sue idee: la sottomissione degli umili, l’elitarismo più forsennato. Se si osserva ciò che racconta sull’affare Calas, quello del Cavaliere de la Barre o sull’affare Damiens, tutto ciò che scrive consiste nel distorcere la realtà per legittimare le sue ossessioni. La verità non era il suo problema, se ne infischiava… Ma dato che sapeva che era ciò che il pubblico reclamava, se ne avvaleva: «Per tutta la mia vita ho cercato la verità» è la sua bugia più grande. Nell’affare Calas, ad esempio, ha iniziato la sua campagna di riabilitazione prima ancora di conoscere le dinamiche e l’esito della vicenda. La verità era l’ultima delle sue preoccupazioni. Voleva «schiacciare l’infame», ovvero distruggere il cattolicesimo.

Al prezzo di tutte le sue bugie.

Già, un maestro di propaganda. L’affaire Calas. Sui libri di storia si legge che Voltaire fece riabilitare un uomo condannato per aver ucciso il proprio figlio, ma si tace circa il fatto che il movente era che quel figlio si era convertito alla Chiesa cattolica. Calas apparteneva alla minoranza protestante e furono i circoli protestanti, il cui esponente più importante era lo svizzero Necker, poi divenuto ministro delle finanze, a sostenere la revisione del processo. In realtà, il crimine non fu smentito. Il processo fu semplicemente invalidato per vizi di forma. Nel suo libro lei dà una versione nuova anche dell’affaire del Cavaliere de la Barre, giustiziato per aver vilipeso il Crocifisso e deriso una processione religiosa. Altrove lei ha scritto, sinteticamente: «Non ho mai detto che La Barre non sia stato giustiziato per dei pretesti religiosi, ma che non lo fu per opera della Chiesa né su sua pressione. Nel secolo XVIII i magistrati laici interferivano negli affari ecclesiastici, molto più di quanto la Chiesa facesse nella sfera laica. È un dato di fatto. Quegli stessi magistrati, totalmente laici, non solo non appartenevano alla Chiesa cattolica, ma spesso continuavano a battersi contro di essa, usando come pretesti i sacrilegi». Nel suo libro spiega che simili sentenze di blasfemia e vilipendio, di solito, venivano commutate in pene carcerarie o pecuniarie. In questo caso i magistrati, illuminati e anticlericali, vollero creare il caso, quello che, poi, Voltaire cavalcò facendone il pretesto per un attacco a tutto campo contro il cristianesimo, considerato la radice di ogni intolleranza. Perché è importante ricostruire quell’episodio in maniera corretta?

La vicenda del Cavaliere de la Barre è essenziale nell’argomentario anticattolico. Quasi alla stregua della caccia alle streghe. Quando si vuole accusare la Chiesa di barbarie, quando si vuol spiegare che il messaggio evangelico è un inganno e che il cristianesimo è sanguinario, in Francia si sfoderano i roghi e la vicenda La Barre. Tuttavia, tutto ciò che sappiamo a proposito della vicenda La Barre è stato inventato da Voltaire.

Voltaire è il bugiardo della Repubblica.

Sì, nel senso che ha ampiamente falsificato la storia, diffondendone una sua versione ancor oggi ampiamente diffusa, anche attraverso la scuola, quella per cui la religione è la madre di tutte le intolleranze. Torniamo, quindi, al presente. Subito dopo gli atti terroristici di Parigi, quasi due mesi fa, molti dirigenti scolastici dei licei italiani hanno invitato a commemorare le vittime leggendo un brano dal Trattato sulla tolleranza di Voltaire. Contro il jihadismo (sempre che la versione ufficiale sia vera) si è fatto appello alla laicità e alla neutralità dello Stato e della scuola. In Italia ci sono state scuole che hanno vietato le canzoni di Natale. Del resto è la medesima linea seguita, in maniera ancor più radicale, proprio dal governo Hollande: la laicità contro l’identità o le identità. Al Teatro alla Scala di Milano, la sera dello scorso 7 dicembre, nello spettacolo di apertura Giovanna d’Arco è stata messa in scena come una jihadista, fanatica e immorale. Ecco, appunto: Voltaire, e non Giovanna d’Arco. Ma è Voltaire la risposta al fanatismo islamico?

Voltaire è anzitutto nemico del popolo. Era anticattolico perché il popolo era cattolico, ed era convinto che occorresse ridurlo in schiavitù. Non possiamo neanche immaginare quanto i nostri avi fossero più liberi di noi. La laicità di Stato è una menzogna. Lo Stato non è affatto laico. La vera laicità è quella definita da Gesù: «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Nondimeno le élites non vogliono distruggere la religione, vogliono controllarla. Voltaire soprattutto voleva che si conservasse una religione al popolo, per poterlo controllare e asservire. È l’indipendenza della Chiesa che volevano e vogliono distruggere. Giovanna d’Arco fu una donna di cuore e di fede che volle mettere fine alla sciagura che gravava sul popolo francese. Coraggio, dignità, abnegazione nella lotta, amore verso il popolo e verso Dio: se questo è jihadismo mi sono persa una puntata. Pretendere che fosse una fanatica è veramente fuorviante.

Nella Francia di oggi c’è ancora posto per Giovanna d’Arco, una delle figure storiche più calunniate da Voltaire? Il sistema-Voltaire è invincibile?

Sì. Esiste ancora un posto per l’eroismo in Francia. Certamente. Tornerà, tornerà. Non so in che modo, ma tornerà. Non soltanto il sistema voltairiano non è invincibile, ma è vinto. È finito. La gente non ci crede più. Internet ha denunciato l’infame. Ha perso. Oggi entriamo in una nuova fase, molto pericolosa nel presente, ove il sistema sa di aver perso e che non è più capace di convincerci. Gli rimane la forza. Oggi si vincono delle elezioni con il 15 per cento dell’elettorato, gli 85 per cento dei rimanenti guardano ancora la tv, ma hanno anche internet. Quando il sistema ci racconta una bugia, entro sera è già smascherata. La verità sta marciando. Ineluttabilmente.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » sab mag 18, 2019 8:58 am

Liceo classico e il mito della classicità

http://www.miur.gov.it/liceo-classico

Il percorso del Liceo classico è indirizzato allo studio della civiltà classica e della cultura umanistica. Favorisce una formazione letteraria, storica e filosofica idonea a comprenderne il ruolo nello sviluppo della civiltà e della tradizione occidentale e nel mondo contemporaneo sotto un profilo simbolico, antropologico e di confronto di valori. Favorisce l’acquisizione dei metodi propri degli studi classici e umanistici, all’interno di un quadro culturale che, riservando attenzione anche alle scienze matematiche, fisiche e naturali, consente di cogliere le intersezioni tra i saperi e di elaborare una visione critica della realtà. Guida lo studente ad approfondire e a sviluppare le conoscenze e le abilità e a maturare le competenze necessarie. (Articolo 5 del Decreto del Presidente della Repubblica 89 del 15 marzo 2010).


“Ragazzi, tornate a iscrivervi al liceo classico”
15 Maggio 2018
Federico Condello, filologo e docente universitario, difende in un saggio il più tradizionale tra gli indirizzi delle scuole superiori. E in questa intervista sostiene che la posta in gioco è la democrazia
di RAFFAELLA DE SANTIS

https://rep.repubblica.it/pwa/generale/ ... -196492890

Da un po' di anni il liceo classico è costretto a smarcarsi dalle accuse di chi lo considera poco adatto ai tempi. Insegnanti e classicisti si ritrovano a dover difendere una scuola che ha avuto un ruolo di primo piano ma rischia di apparire ingiustamente poco appropriata alla vita di tutti i giorni. Non è così, dice oggi Federico Condello, professore di filologia greca e latina all'università di Bologna, perorando in un saggio ricco di dati la causa...


Silvia Ronchey: “Greco e latino sono il nostro diritto al riscatto”
18 Maggio 2018
La grande bizantinista e il futuro del liceo classico
di RAFFAELLA DE SANTIS
https://rep.repubblica.it/pwa/intervist ... -196771156

Sul piatto c'è la sopravvivenza del liceo classico, in costante calo di iscrizioni ormai da anni. Nel dibattito ospitato sulle pagine di Repubblica, c'è forse un aspetto che non è ancora venuto fuori. Un punto molto caro a Silvia Ronchey, ordinario di Civiltà bizantina all'università di Roma Tre, che risponde all'intervista mentre è in classe trasformando l'intervista in una lezione in viva voce: "Siamo di fronte a un nuovo o...


Nicola Gardini: “Il liceo classico? È il curriculum di chi sta alla City”
17 Maggio 2018
Prima la provocazione di Condello sulla “scuola per questi tempi”. Poi la risposta di Bettini, sostenitore della sua funzione “antropologica”. Ora Nicola Gardini: “È una nostra eccellenza, ma si può rendere più ludica”
di RAFFAELLA DE SANTIS

https://rep.repubblica.it/pwa/generale/ ... -196674872
Nicola Gardini guarda al dibattito italiano sul liceo classico dalla cattedra di Oxford dove insegna all'università letteratura del Rinascimento. "Credo che il liceo classico sia un patrimonio unico, importante quanto la Via Lattea o la deriva dei continenti", dice. Ma nell'ottica del professore approdato al mondo accademico anglosassone qualcosa è migliorabile: "Il liceo dovrebbe diventare più giocoso, più partecipato. Mettere gli studenti ...


Bari, appello degli intellettuali per rilanciare il Flacco: "La città ha bisogno degli studi classici"
a Canfora a Laterza, sono illustri i firmatari della lettera-appelloche sollecita la città e i cittadini affinchè vengano sostenuti l'istituzione scolastica e gli studi classici
18 maggio 2018

http://bari.repubblica.it/cronaca/2018/ ... -196773277

Bari, appello degli intellettuali per rilanciare il Flacco: "La città ha bisogno degli studi classici"
La necessità che lo storico liceo classico Flacco di Bari "sia sostenuto e rilanciato" viene sottolineata da un gruppo di docenti universitari e esponenti delle istituzioni culturali che hanno sottoscritto una lettera-appello sollecitando la città e i cittadini affinchè vengano sostenuti l'istituzione scolastica e gli studi classici.

Del gruppo fanno parte Luciano Canfora, Antonio Felice Uricchio, Corrado Petrocelli, Stefania Santelia, Giuseppe Bonifacino, Pasquale Guaragnella, Costantino Esposito, Claudio Schiano, Domenico Lassandro, Alessandro Laterza, Maria Laterza, Franco Perrelli, Gaetano Piepoli, Paolo Ponzio, Vitangelo Ardito,
Pietro Cappelli, Pietro Nazza, Ferruccio De Natale, Annalisa Caputo, Dino Borri, Eugenio Di Sciascio e Luigi Piacente.

Il liceo Flacco è tra le più antiche istituzioni scolastiche di Bari "e nelle sue aule - si ricorda - si è formata la classe dirigente degli ultimi cento anni". L'iniziativa - si sottolinea - nasce dall'esigenza di rilanciare il Flacco e gli studi classici, "necessari per questa città e per la sua cultura".



Licei classisti, non si placa la polemica. Amato: "Senza fiato". I presidi si difendono
E i docenti del Visconti di Roma in assemblea: "Dovremmo chiedere scusa". Dopo l'articolo di Repubblica su scuole che pubblicizzavano l'assenza di alunni poveri, nomadi, disabili come un pregio, si moltiplicano prese di posizoni, proteste in rete, attacchi sui social
09 febbraio 2018

http://www.repubblica.it/scuola/2018/02 ... -188450212


"Si resta sconcertati, senza fiato". Giuliano Amato, ex premier, giudice costituzionale, regisce in modo netto davanti al caso, sollevato da Repubblica, dei licei che si pubblicizzano alle famiglie affermando che "il basso numero di stranieri, di disabili o di studenti svantaggiati garantisce un corso di studi libero da ritardi, impacci".

"Il basso numero dei figli dei portieri dei condomini", dice Amato citando altri annunci, "avrebbe garantito omogeneità culturale tra gli studenti: si resta senza fiato, sconcertati. La Costituzione vale la domenica, nei giorni feriali ognuno fa come gli pare, la dignità è solo la mia... Bisogna fermare tutto questo la Costituzione vieta le discriminazioni" di ogni tipo. Dopo l'intervento della ministra Fedeli, che ha considerato inaccettabili quelle pubblicità scolastiche, ora interviene Amato mentre si scatena la protesta in rete, sui social.

Assemblea al Visconti, studenti divisi. Intanto questa mattina, dopo le polemiche sul Rav, il rapporto di autovalutazione che le scuole devono inviare ogni anno al Miur, alcuni studenti hanno appeso uno striscione fuori da liceo Visconti, nel cuore della città. "Tutto ciò favorisce l'apprendimento?", recitava, riferendosi alle frasi con cui il liceo più storico di Roma si è raccontato: studenti provenienti per lo più dal Centro e da famiglie di estrazione medio-alto borghese, con alunni di nazionalità straniera che si contano sulle dita di una mano, mentre quelli diversamente abili sono pari a zero.

Il cartello però non rappresenta il pensiero della totalità degli studenti, secondo cui è vero, sì, che le parole della preside nel documento siano state poco accorte, ma altrettanto vero è che siano state eccessivamente travisate. D'altronde, raccontano i ragazzi, il Rav è un documento che viene compilato dal collegio docenti, insieme a una commissione, e che infine viene letto anche dal consiglio d'istituto, composto da genitori e alunni.

La dirigente scolastica Clara Rech, con una nota pubblicata sul sito della scuola, ha spiegato di aver compilato il modulo con "dati di contesto" senza "alcun giudizio di merito o di valore". La preside ha aggiunto che l'istituto è per tradizione "democratico, antifascista e interclassista". "L'idea che l'opinione pubblica si sta facendo del Visconti non è reale - aggiungono i ragazzi - siamo figli di lavoratori comuni, non figli di papà".

Durante un'assemblea che si è tenuta in mattinata avrebbero preso la parola anche alcuni docenti, dicendo che la scuola avrebbe dovuto chiedere scusa per le frasi contenute nel documento.

Il classico D'Oria di Genova. È finito nella bufera anche il liceo classico D'Oria che figura tra le scuole che fanno pubblicità classista. Nel sito dell'istituto si legge tra l'altro "Il contesto socio-economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l'assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale ( come, ad esempio nomadi o studenti provenienti da zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione ed al dialogo fra scuola e famiglia, nonché all'analisi, con apporti reciproci, delle specifiche esigenze formative, nell'ottica di una didattica davvero personalizzata".

Molte le proteste sui social nei confronti della scuola più famosa di Genova ( vi militarono tra gli altri Paolo Villaggio, Massimo D'Alema e Paolo Fresco) accusata di essere classista e razzista anche perché frequentata per lo più da ragazzi dei quartieri "in" della città. La preside respinge le accuse: "La fisionomia di una scuola traspare dalla sua vita quotidiana e dall'impegno di tutto il Personale. E la fisionomia della nostra scuola è da anni all'insegna di un quotidiano impegno per l'inclusione, per sostenere ogni studente nella sua individualità e nel suo percorso di crescita e per la lotta contro il disagio comunque si manifesti".

Milano: la giustificazione del preside del liceo Parini. Oggi a Milano la ministra Valeria Fedeli spiega che alcune frasi "appaiono particolarmente gravi, persino classiste", e fanno fare "un passo indietro rispetto a una delle caratteristiche fondanti della scuola italiana: la capacità di inclusione e integrazione". A Milano c'è polemica intorno al liceo classico Parini, che nel rapporto di autovalutazione dice che i suoi studenti "in genere hanno per tradizione una provenienza sociale più elevata rispetto alla media".. Ma secondo il preside, Giuseppe Soddu, c'è un gigantesco equivoco: "La nostra scuola è aperta a tutti da sempre, a prescindere dalle condizioni socioeconomiche".

Ma, preso atto di una situazione ritenuta favorevole, la scuola ha "il compito (obbligo) di contribuire a elevare il livello culturale dei suoi allievi". Questo è scritto nel Rav. Quindi si ritiene classista elevare il livello culturale degli studenti?" Noi vogliamo studenti che abbiano
desiderio di conoscere e studino con impegno e passione e gioia. Cerchiamo di aiutarli a maturare una coscienza critica dando loro una formazione solida, con la massima attenzione alla realtà odierna, per viverci e lavorarci con successo, e magari cambiarla in meglio".


Scuola, altolà di Fedeli: "Inaccettabili le pubblicità classiste dei licei"
L'intervento della ministra dopo la denuncia di "Repubblica" sugli istituti che presentano come un vantaggio l'assenza fra gli alunni di poveri, disabili e stranieri. "Così si viola la Costituzione e si nega la nostra vocazione all'accoglienza. Ho chiesto un monitoraggio all'Invalsi, prenderemo provvedimenti"
08 febbraio 2018

http://www.repubblica.it/scuola/2018/02 ... -188347122

ROMA – Le scuole che, per attrarre studenti, "descrivono come un vantaggio l'assenza di stranieri o di studenti provenienti da zone svantaggiate o di condizione socio-economica e culturale non elevata" violano i principi della Costituzione e travisano completamente il ruolo della scuola. A dirlo è la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, dopo la denuncia di “Repubblica” che ha raccontato come molti licei, da Milano a Roma, presentino come propri punti di forza (che favoriscono "la coesione" e "l’apprendimento") proprio l’assenza tra gli alunni di ragazzi di origine straniera, poveri e disabili.

Accade sul portale istituzionale "Scuola in chiaro", dove ogni istituto pubblica il proprio Rav (Rapporto di autovalutazione): uno strumento nato per aiutare ragazzi e famiglie a scegliere la scuola confrontando le diverse opzioni. Diversi i casi citati da "Repubblica": "Tranne un paio, gli studenti sono italiani e nessuno è disabile", scrive ad esempio il classico romano Visconti. Mentre il genovese D’Oria sottolinea come l’assenza di "gruppi particolari" (ad esempio nomadi) offra ai ragazzi un "background favorevole". "Non posso che stigmatizzare – spiega la ministra - il linguaggio utilizzato da alcuni istituti". Così "si fa un passo indietro rispetto a una delle caratteristiche fondanti della scuola italiana: la capacità di inclusione e integrazione, riconosciuta anche a livello internazionale. E si nega di fatto l’articolo 3 della Costituzione" ('Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge', ndr).

La scuola di cui abbiamo bisogno, spiega Fedeli, è "inclusiva, capace di rispettare e valorizzare le differenze. Una scuola dove nessuno si senta escluso e dove tutti i ragazzi possano (indipendentemente da provenienza e condizioni) essere formati a diventare cittadini consapevoli. Perciò, conclude la ministra, "scriverò oggi stesso all'Invalsi (l'istituto nazionale di valutazione, ndr) perché faccia immediatamente un attento monitoraggio dei Rav in riferimento a questo tipo di episodi. L'autonomia delle scuole è sacra. Ma ci sono principi irrinunciabili cui tutti dobbiamo ispirarci". Invece, "leggendo certe espressioni sembra che qualcuno li abbia dimenticati. Alcune frasi appaiono gravi, persino classiste. Non sono tollerabili e prenderemo provvedimenti”. Tanto più, avverte, che proprio il Rav "rientra fra gli strumenti di valutazione" delle scuole e dei presidi.
Licei 'classisti', ministra Fedeli: "Inviati gli ispettori. Possibili sanzioni"

La preside del Visconti: "Non siamo una scuola che esclude". "Assieme ad un gruppo di valutazione ho compilato un modulo prestampato riportando lo stato delle cose, ho riportato dati di fatto e non di valore. Il liceo Visconti lavora da sempre in maniera aperta, accogliente, multiculturale, interclassista". Clara Rech, preside del Visconti, respinge ogni accusa di classismo e "rigetta l'immagine di un istituto che si fa vanto di politiche di esclusione". "Sottoscrivo ogni parola detta dal ministro Fedeli e voglio ribadire che il rapporto di autovalutazione richiesto alle scuole dal Ministero è una mera rilevazione di dati contesto e non contiene alcun giudizio di merito o di valore. Tanto meno è una pagina pubblicitaria", spiega la dirigente scolastica. "Il liceo Visconti è per principio e tradizione una scuola democratica, antifascista e interclassista" ha sostenuto ricordando: "Collaboriamo col centro Astalli, Sant'Egidio, il pluralismo religioso fa parte della nostra tradizione: non siamo una scuola che esclude".


“ Qui niente poveri né disabili” Le pubblicità classiste dei licei
Corrado Zunino
08/02/2018

http://www.flcgil.it/rassegna-stampa/na ... -licei.flc

La prosa con cui alcune scuole del Paese, spesso i licei più prestigiosi e selettivi, si sono offerte alle famiglie per attrarre l’iscrizione dei loro figli è da censura. Nell’ansia di far apparire un istituto privo di problemi, pronto a fornire la migliore didattica senza impacci con gli adolescenti stranieri o i ragazzi bisognosi di sostegno, i dirigenti scolastici hanno licenziato rapporti di autovalutazione classisti. È tutto visibile sul sito del ministero dell’Istruzione, “Scuola in chiaro”. Oltre ai numeri degli studenti presenti e alle informazioni sui percorsi di studio, ogni scuola ha offerto una valutazione di sé. Basata su parametri offerti dal ministero, ma restituita con una propria anima.

L’Ennio Quirino Visconti così si è raccontato: « L’essere il liceo classico più antico di Roma conferisce alla scuola fama e prestigio consolidati, molti personaggi illustri sono stati alunni » . L’illustrazione orgogliosa si addentra nei primi dettagli di censo: « Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio- alto borghese, per lo più residenti in centro, ma anche provenienti da quartieri diversi, richiamati dalla fama del liceo». Fin qui, un dato di fatto. « Tutti, tranne un paio, gli studenti sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile » . La percentuale di alunni svantaggiati «per condizione familiare è pressoché inesistente » , mentre «si riscontra un leggero incremento dei casi di Dsa». Sono i Disturbi specifici di apprendimento. Il finale è una conclusione che spiazza: «Tutto ciò», e si intende la quasi assenza di stranieri e la totale assenza di poveri, « favorisce il processo di apprendimento » . Il buon apprendimento dei figli della buona borghesia di Roma Centro.

Al Visconti, « dove la maggior parte delle risorse economiche proviene dai privati, in primis le famiglie » , dove la presidente della Camera Laura Boldrini ha tenuto lezioni sulle fake news,la “ quota studenti con cittadinanza non italiana” è pari allo 0,75 per cento del totale. Lo dicono le tabelle. Solo che lo 0,75 per cento di 669 studenti non fa «un paio», ma cinque. E la quota di iscritti con «famiglie svantaggiate » è dello 0,8 per cento, un po’ più di «pressoché inesistente». Ecco, se si esce dalla pagina vetrina, quella che serve a far propaganda e richiamare iscrizioni, si scopre che i numeri del Visconti su stranieri e poveri sono più alti.

Anche l’intro dell’autovalutazione del liceo D’Oria di Genova, prestigioso e tradizionale classico, offre una presentazione di sé che accarezza l’idea per cui “ poveri e disagiati costituiscono un problema didattico”. Ecco cosa c’è scritto nel Rav: « Il contesto socio- economico e culturale complessivamente di medio- alto livello e l’assenza di gruppi di studenti con caratteristiche particolari dal punto di vista della provenienza culturale ( come, ad esempio, nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate) costituiscono un background favorevole alla collaborazione e al dialogo tra scuola e famiglia, nonché all’analisi delle specifiche esigenze formative nell’ottica di una didattica davvero personalizzata » . Senza altre questioni da affrontare, sembra di capire, ci possiamo dedicare ai limitati e ricchi studenti indigeni. Infatti: «Il contributo economico delle famiglie sostiene adeguatamente l’ampliamento dell’offerta formativa».

Il Parini di Milano, altro classico storico, anche questo statale, illustra nella presentazione: « Gli studenti del liceo classico in genere hanno, per tradizione, una provenienza sociale più elevata rispetto alla media. Questo è particolarmente avvertito nella nostra scuola. A partire da tale situazione favorevole, la scuola ha il compito ( obbligo) di contribuire a elevare il livello culturale dei suoi allievi » . La dirigente scolastica del Parini, non a caso, ammette «qualche criticità nelle attività di inclusione».

È un classico parificato, però, ad utilizzare il linguaggio più esplicito sul tema. Il Giuliana Falconieri, Roma Parioli. Così la sua autovalutazione: « Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana. La spiccata omogeneità socio- economica e territoriale dell’utenza facilita l’interazione sociale ». Ci si parla solo tra pari grado, e poi: «Non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate » . In questa scuola, tuttavia, c’è una questione particolare: « Negli anni sono stati iscritti figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi».

Clara Rech, preside del Visconti di Roma, autrice di una delle autovalutazioni da censura, dice: «Il numero di battute a disposizione era limitato e pago un eccesso di sintesi. Rettificherò quel passaggio. Sono stata onesta nel rappresentare un dato oggettivo: al Visconti ci sono pochi studenti stranieri e non abbiamo disabili. Volevo dire che la didattica ordinaria, così, è più semplice: recuperare l’italiano di uno straniero chiede risorse e tempo. Credo che tutti gli studenti, ricchi e poveri, debbano crescere insieme e credo nella multiculturalità ».



Roma, la preside: "Scuola senza stranieri e disabili favorisce l'apprendimento". Fedeli: "Frasi gravi e classiste"
di Alex Corlazzoli | 9 febbraio 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/0 ... te/4147887

“Non posso che stigmatizzare il linguaggio utilizzato da alcune istituzioni scolastiche, e riportato dalla stampa nella compilazione del rapporto di autovalutazione (rav). Quando, nella sezione dedicata al contesto in cui opera la scuola, si inseriscono, alla voce ‘Opportunità’, frasi che descrivono come un vantaggio l’assenza di stranieri o di studenti provenienti da zone svantaggiate o di condizione socio-economica e culturale non elevata, si travisa completamente il ruolo della scuola”. La ministra dell’istruzione Valeria Fedeli si è rivolta così a Clara Rech, dirigente del liceo Ennio Quirino Visconti di Roma, dopo la presentazione dell’istituto sul sito del ministero dell’Istruzione Scuola in chiaro.

A sollevare il caso è stato il quotidiano La Repubblica che ha riportato la descrizione fatta nel documento di autovalutazione della scuola: “Le famiglie che scelgono il liceo – si legge nel rav – sono di estrazione medio-alta borghese, per lo più residenti in centro, ma anche provenienti da quartieri diversi, richiamati dalla fama del liceo. Tutti, tranne un paio, sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile. Tutto ciò favorisce il processo di apprendimento”.

Parole che hanno fatto infuriare i vertici di viale Trastevere. Dopo l’articolo apparso sulle pagine de La Repubblica la ministra ha deciso di prendere provvedimenti nei confronti della scuola. Il ministero ha chiesto all’Invalsi, l’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione, di fare immediatamente un attento monitoraggio dei rapporti di autovalutazione con riferimento a questo tipo di episodi. “Alcune frasi – precisa Valeria Fedeli– appaiono particolarmente gravi, persino classiste. Non sono assolutamente tollerabili e prenderemo provvedimenti specifici a seguito dei dovuti approfondimenti. Il rav rientra peraltro fra gli strumenti di valutazione delle scuole e dei dirigenti scolastici. Terremo conto anche di questi elementi”.

Dal canto suo la dirigente del liceo è intervenuta sul caso e sul sito dell’istituto è apparsa una lettera al direttore della Repubblica dove la preside difende a spada tratta la scuola: “Il rapporto di autovalutazione richiesto alle scuole dal ministero è una mera rilevazione di dati di contesto e non contiene alcun giudizio di merito o di valore. Il Visconti è per principio e tradizione una scuola democratica, antifascista e interclassista, in cui vengono accolti ragazzi provenienti dalle più diversificate zone di Roma e provincia e in cui ciascun credo politico, religioso e, in generale, culturale, ha trovato e trova spazio e accoglienza”.

La preside se la prende con il giornale che ha pubblicato le frasi riportate nel rav: “Spiace che tanto lavoro possa vedersi squalificato e rinnegato da un articolo così aggressivamente fuorviante nel tono e nell’uso dei termini”. Intanto sul sito Scuola in chiaro le parole incriminate non sono state cancellate. Per ora restano nero su bianco.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » sab mag 18, 2019 8:58 am

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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » sab mag 18, 2019 8:58 am

Perché l'Illuminismo non è solo l'età del freddo esercizio della regione

https://youmanist.it/categories/cultura ... FLv_O1Bz_w

Dal vostro lato dell’Atlantico, gli intellettuali stanno lanciando un appello alle armi: la cittadella della scienza, dei fatti e delle politiche basate sui fatti è sotto assedio, e ha bisogno di essere difesa, dicono. Questi cavalieri bianchi del progresso – come ad esempio lo psicologo Steven Pinker e il neuroscienziato Sam Harris – condannano l’apparente risorgimento della passione, delle emozioni e delle superstizioni in campo politico. Il fondamento della modernità, ci dicono, è la capacità umana di piegare le forze distruttive con il solo ragionamento; quello di cui abbiamo bisogno, quindi, è una riedizione dell’Illuminismo, ora.

Sorprendentemente, l’immagine rosea che ci viene offerta di questa “Età della ragione” è molto simile a quella descritta dai suoi detrattori più ingenui. L’interpretazione negativa dell’Illuminismo parte dalla filosofia di Hegel e arriva alla teoria critica della scuola di Francoforte, nella metà del Ventesimo secolo. Questi pensatori riscontravano un errore fondamentale nel pensiero Occidentale, ovvero quello di stabilire un’equazione diretta tra razionalità e scienza positivista, sfruttamento capitalista e dominazione della natura – Max Horkheimer e Theodor Adorno arrivarono addirittura a collegare razionalità con il Nazismo e l’Olocausto.

Ma posto che l’Illuminismo è stato un movimento guidato dalla ragione, in opposizione alle passioni, i suoi apologeti, così come i suoi critici, rappresentano semplicemente due lati della stessa medaglia. Il loro errore condiviso è proprio ciò che rende il cliché dell’età della ragione così pervasivo ed efficace.

Le passioni – gli affetti, i desideri, gli appetiti del corpo – sono i predecessori della moderna concezione delle emozioni. Già a partire dagli stoici, la filosofia ha generalmente guardato alle passioni come a una minaccia per la libertà del singolo: i deboli ne sono schiavi, i forti riescono a far prevalere la loro ragione e la loro volontà, e dunque restano liberi. Il contributo dell’Illuminismo è stato quello di aggiungere la scienza a questo quadro, e accostare la superstizione religiosa alla concezione di schiavitù della passione.

Tuttavia, dire che l’Illuminismo è stato un movimento razionalista contro la passione, il movimento della scienza contro la superstizione, delle politiche progressiste contro il conservatorismo tribale è profondamente sbagliato. Questo genere di affermazioni non riflettono le sfaccettature dell’Illuminismo stesso, che ha saputo dare valore anche il ruolo della sensibilità, del sentimento e del desiderio.

L’Illuminismo è iniziato con la rivoluzione scientifica del Diciassettesimo secolo, ed è culminato con quella francese della fine del Diciottesimo. Hegel, all’inizio del 1800, è stato il primo ad attaccarlo, sostenendo che il soggetto razionale concepito da Immanuel Kant – il filosofo illuminista par excellence – ha prodotto cittadini alienati, privati della passione e estraniati dalla natura. E il razionalismo del Regime del Terrore che è seguito alla rivoluzione francese ne è la logica conseguenza.

Tuttavia, l’Illuminismo è stato un fenomeno piuttosto diversificato; la maggior parte della sua filosofia era lontana da quella kantiana, e ancora di più dalla lettura hegeliana della filosofia di Kant. La verità è che Hegel e i romantici del Diciannovesimo secolo, che credevano di essere mossi da un nuovo spirito di bellezza e sentimento, hanno riassunto l’età della ragione” in modo da renderla adatta alla loro stessa identità. Il soggetto kantiano era un uomo perso, così come il dogmatico razionalismo dell’Illuminismo.

In Francia, i philosophes erano sorprendentemente entusiasti delle loro passioni, ma anche profondamente sospettosi nei confronti delle astrazioni. Piuttosto che aggrapparsi alla ragione come unico mezzo per contrastare l’errore e l’ignoranza, l’Illuminismo francese enfatizzava il sentire. Molti pensatori dell’Illuminismo erano per una versione polifonica e malleabile della razionalità, che fosse conciliabile con le particolarità della sensazione, dell’immaginazione e dell’incarnazione. In opposizione all’introspettività dei filosofi speculativi – Cartesio e i suoi seguaci erano spesso soggetti a critiche – i philosophes si sono rivolti all’esterno e hanno portato allo scoperto il corpo come punto di contatto passionale con il mondo. Si può persino dire che l’Illuminismo francese ha provato a produrre una filosofia senza ragione.

Per il filosofo Étienne Bonnot de Condillac, per esempio, non aveva senso parlare della ragione come di una “facoltà”. Tutti gli aspetti del pensiero umano partono dai sensi, diceva, specialmente l’abilità di riconoscere e tendere verso sensazioni piacevoli mentre si schivano quelle dolorose. Questi impulsi hanno dato vita alle passioni e ai desideri, quindi allo sviluppo del linguaggio nelle sue varie forme e alla completa prosperità della mente umana.

Per evitare di cadere nella trappola della falsa articolazione linguistica, e per rimanere il più vicino possibile all’esperienza sensoriale, Condillac sosteneva la superiorità degli idiomi positivi rispetto a quelli più evoluti o complessi, che si basano su idee astratte. Per Condillac la razionalità ha richiesto alle società di sviluppare metodi più “naturali” di comunicare. Questo significa che la razionalità doveva essere necessariamente plurale, non universale, e presentava variazioni da luogo a luogo.

Un’altra figura totemica dell’Illuminismo francese è stato Denis Diderot, meglio conosciuto come l’autore dell’ambiziosa Encyclopédie (1751-1772). Diderot scrisse molti articoli sovversivi e ironici – una strategia atta principalmente a evitare la censura – ma non spiegò mai la sua filosofia attraverso trattati astratti. Così come Voltaire, Jean-Jacques Rousseau e il Marchese de Sade, Diderot era un maestro della novella filosofica (così come della narrazione pornografica e sperimentale, della satira e della critica dell’arte). Un secolo e mezzo dopo René Maigritte realizzò l’iconica opera The treachery of images (1928-29) con la scritta “Ceci n’est pas une pipe”; Diderot aveva scritto una breve storia chiamata Ceci n'est pas un conte (Questa non è una storia).

Diderot credeva nell’utilità della ragione nella ricerca della verità – ma aveva anche un certo entusiasmo per le passioni, in particolare quando si trattava di moralità ed estetismo. Come alcune delle figure centrali dell’Illuminismo scozzese, per esempio David Hume, Diderot credeva che la moralità fosse fondata sull’esperienza sensoriale e che il giudizio etico fosse strettamente allineato, persino indistinguibile, rispetto al giudizio estetico. Giudichiamo la bellezza di un dipinto, di un panorama o del volto di un amante esattamente come giudichiamo la morale di un personaggio di un romanzo, di uno spettacolo teatrale o della nostra stessa vita. Ciò implica che giudichiamo il bello e il buono in maniera diretta, senza la mediazione della ragione. Per Diderot, quindi, eliminare le passioni potrebbe produrre degli abomini. Una persona che non abbia la capacità di essere colpita dalle cose, per assenza di passione o dei sensi, sarebbe un mostro immorale.

In questo senso l’illuminismo ha celebrato la sensibilità e il sentimento, senza però rigettare la scienza, anzi. L’individuo più sensibile era considerato il più acuto osservatore della natura. L’esempio archetipo di questo era il medico, in armonia con i ritmi del corpo dei pazienti e con i loro sintomi. Al contrario, è colui che costruisce un sistema speculativo il vero nemico della scienza – come ad esempio il fisico cartesiano che vede il corpo come una mera macchina, o coloro che pensano di aver imparato la medicina leggendo Aristotele e non osservando i malati. Quindi, il sospetto filosofico nei confronti della ragione non era dettato da un rifiuto della razionalità per se; si trattava semplicemente di un rifiuto dell’isolamento dai sensi, dell’alienazione del corpo privo di passioni. In questo, i philosophes erano in realtà molto più allineati con i Romantici di quanto i loro successori amassero credere.

Generalizzare su un movimento intellettuale è sempre pericoloso. L’Illuminismo ha presentato delle caratteristiche distinte in base al Paese, e persino in una singola nazione non era un blocco monolitico di pensiero. Alcuni hanno sì invocato una dicotomia a tenuta stagna tra ragione e passioni, così come il privilegio del ragionamento a priori sulla sensazione – primo tra tutti Kant. Ma da questo punto di vista lo stesso Kant era isolato rispetto ad alcuni, se non la maggior parte, dei suoi contemporanei. Specialmente in Francia, la razionalità non era considerata in opposizione alla sensibilità, ma come un continuum. Il Romanticismo è stato per molti un prosieguo dei temi dell’Illuminismo, non una rottura con essi.

Se oggi vogliamo guarire le lacerazioni che si sono create in questo momento storico, dovremmo abbandonare l’idea che la ragione sia mai stata predominante. Il presente merita certamente delle critiche, ma queste sono inutili se sono basate sul mito di un freddo passato glorioso che non è mai esistito.

Articolo di Henry Martyn Lloyd (tradotto da Aeon)
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » sab mag 18, 2019 8:58 am

Il massimalismo è il rimosso che affiora inevitabile quando il relativismo ha fatto terra bruciata intorno a sé.

Niram Ferretti
17 maggio 2019

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Il massimalismo è il rimosso che affiora inevitabile quando il relativismo ha fatto terra bruciata intorno a sé. La diagnosi della nostra patologia è stata accuratamente fatta più di un decennio fa da Joseph Ratzinger, poi Benedetto XVI, il papa del Logos, uno dei più acuti analisti del nostro sconforto mascherato da gioiosa iconoclastia.

Non siamo più capaci di avere idee chiare su chi siamo e cosa siamo, e soprattutto abbiamo maturato un progressivo orrore nei confronti dell'idea che esistano giudizi di valore solidi e precisi riguardo il bene e il male, il bello e il brutto, il vero e il falso. “Anything Goes”, il titolo della celebre canzone di Cole Porter, (solo quello), potrebbe riassumere bene la nostra situazione. Alla mancanza di precisi confini categoriali corrisponde, qui da noi, l'idea di una società ibrida, di un meticciato amorfo dove le diversità etniche, culturali e sociali si amalgamano in una umanità indistinta unificata dall'uso e consumo degli ultimi gadgets tecnologici.

Oggi, nel mondo disincantato che Max Weber aveva così chiaramente anticipato, la tecnologia uniforma più di ogni altra cosa. Siamo “evoluti” perché non crediamo più in nessun Dio ma abbiamo l'ultimo IPAD e l'ultimo Kindle. Ma tutto questo è fragile, maledettamente fragile. Abbiamo creato e continuiamo a creare protesi di ogni tipo ma poi basta che la natura si ribelli e di nuovo siamo come siamo sempre stati, inermi, sottomessi a forze soverchianti. Intanto il “progresso” avanza. Lo vedeva già Leopardi, irridendone, ne "La Ginestra", l'avanzamento. Sapeva che il futuro non ci avrebbe liberato dal male.

Il fatto è che, molto semplicemente, aveva ragione Samuel P. Huntington, le culture e le civiltà non svaniscono per decreto, così come per decreto non nasce l'uomo nuovo o il transgender o l'Europa universale. Esse restano e cozzano una contro l'altra quando interessi, valori e prospettive sull'uomo e sul mondo divergono fortemente.
L'Islam quello ben radicato nella sua forte identità religiosa, nel suo assetto giuridico e politico, nel suo massimalismo preservato e custodito, è il nostro contrappasso. Non convertiremo i rigoristi coranici alla nostra ridanciana e libertina dissoluzione categoriale, sono loro semmai che con il terrore, il sacro politicizzato e la violenza, ci spingono a domandarci se la terra bruciata che abbiamo fatto intorno a noi a forza di appiccare il fuoco a tutto quello che ci faceva eredi di Gerusalemme, Atene e Roma, abbia prodotto buoni frutti. Dopotutto l'Illuminismo è un sacco vuoto se è privato del cristianesimo sul quale l'Europa si è plasmata. Cristianesimo che, a sua volta, non sarebbe sorto senza ebraismo e l'incontro formidabile con l'ellenismo. La Torah e i Vangeli precedono di un bel po' la libertà, l'uguaglianza e la fratellanza scaturiti dalla Rivoluzione. Ma tutto questo è passè. E' musealità da guardare e farsela spiegare da chi ha una buona guida se no non si capisce nulla.

Ritrovare noi stessi non è sognare fasti e glorie defunti ma riattingere a una vitalità che non si è estinta sotto le macerie, significa ancorarsi a idee e valori che compongono un patrimonio non divorato dalle tarme del Progresso, questa parola che significa tutto e nulla, e che assai spesso manifesta gli interessi solo di pochi e ben strutturati gruppi che vogliono indirizzare il mondo secondo i dettami della loro Weltanschauung.


Helga Valli
Limpide argomentazioni , , razionali appunto perchè oltre il razionalismo relativistico , rovina finale di un Occidente svuotato delle sue radici .Bello .

Davide Cavaliere
Siamo la prima società della storia che nega il Male, inteso come conflitto fra differenti visioni del mondo e diverse civiltà. Neghiamo che l'Islam sia un mondo in fermento, aggressivo, animato da uno spirito di rivalsa nei confronti dell'Occidente; neghiamo che l'immigrazione di massa generi tensioni sociali; rifiutiamo di guardare alla storia per renderci conto che le società multiculturali sono sempre state delle polveriere (eppure abbiamo i Balcani a due bracciate a nuoto). In modo assolutamente ideologico rigettiamo l'uso della forza militare quando serve e abbiamo smesso di affermare la nostra identità, perché la vivremmo come una imposizione autoritaria a noi stessi e agli altri. Moriremo leggendo Recalcati e Osho.

Dragor Alphan
Lo Stato piu' cristiano del mondo, lo Stato Pontificio, ha avuto secoli in abbondanza per dimostrare le qualita' dei cristiani. Risultato: violazioni in serie dei piu' elementari diritti umani fino all'arrivo dei liberatori laici. Si puo' dire che la Chiesa ha tradito i Vangeli ma le religioni si giudicano sul campo. Non dai testi.

Niram Ferretti
Il discorso sulla Chiesa è un pochettino più complesso della disamina sulle sue nequizie. Il cristianesimo ha formato l'Occidente, nel bene e nel male e lo ha fatto attraverso la Chiesa, non di sua sponte. Senza il cristianesimo i più elementari diritti umani non esisterebbero. La schiavitù e l'infanticidio, largamente istituzionalizzati nel mondo pagano e proseguiti poi altrove, soprattutto nei paesi non cristiani, sono stati rimossi in Occidente grazie al cristianesimo promosso dalla Chiesa. Gli ospedali sono creati dall'impulso cristiano promosso dalla Chiesa, le mense per i poveri sono stati creati dall'impulso cristiano, gli orfanotrofi anche. Senza il cristianesimo la ricerca scientifica, contrariamente alla vulgata contraria, non avrebbe ricevuto l'enorme impulso che ha avuto. Le principali figure scientifiche tra il sedicesimo e il dicisassettesimo secolo erano devoti cristiani. I liberatori laici chi sarebbero? I ghiliottinatori giacobini del Terrore? I massacratori della Vandea? Gli adepti della Dea Ragione? Tutte le idee fondamentali dell'Illuminismo sotto il profilo della emancipazione umana, sono cristiane. E' stata tutta luce? No, di certo. Tanta tenebra anche. Ma la luce ha grandemente sopravanzato la tenebra. Sì, hai ragione, la Chiesa ha frequentemente tradito il cristianesimo, non ci sono dubbi, ma lo ha anche enormemente agito. Non sono un apologeta del cristianesimo, ma la storia va rispettata nella sua realtà.

Ariel Akiva
Niram Ferretti non dimentichiamo che la chiesa, originariamente cristiana, è divenuta cattolica... sembra una sciocchezza ma non lo è!

Alberto Pento
Anch'io questo articolo non lo condivido, proprio non riesco a ritrovarmici.
Io, da anni non più cristiano e non mi sento affatto privo di valori umani e spirituali (che non sono necessariamente religiosi). Non condivido per nulla l'idea che l'umanità più buona sia un portato giudaico-cristiano e che tutto il resto dell'umanità fosse e sia disumano, senza valori universali guida.
L'illuminismo non mi pare sia un sacco vuoto senza cristianesimo.
La buona umanità non è nata con il cristianismo che è un'eresia dell'ebraismo e l'ebraismo a sua volta è una cultura e una religiosità che ha le sue radici nella preistoria mesopotamica, mediorientale ed egiziana che non sono certo prive di umanità, di valori etici, di senso della giudizia e della solidarietà umana.
Si pensi all'Enûma Eliš e al Codice di Hammurabi.
Io credo che la buona umanità sia nata con l'uomo e che lo abbia sempre accompagnato lungo la sua storia di milioni di anni anche se a volte pareva scomparire travolta dalla cattiva umanità o dai cataclismi naturali. Come credo che la conoscenza e la scienza siano un portato dell'esperienza umana, dell'umanità della sua intelligenza, del bisogno di risolvere i tanti problemi concreti dell'esistenza e della spiritualità naturale a prescindere dalla religiosità e dalle religioni.

Se poi guardiamo quelli che sono i contrasti e le contraddizioni tra ebraismo e cristianismo e all'interno del mondo cristiano che sono stati e sono tuttora moltissimi e insanabili, sia teologici che etici e politici, che nel passato hanno generato sia l'anticristianismo verso i primi cristiani che il feroce millenario e fanatico antisemitismo con la Shoà del novecento; sia la divisione secolare conflittuale all'interno del cristianismo con le sue numerose contrapposizioni belliche, si pensi solo all'abbandono dell'impero bizantino all'assalto e alla distruzione dei nazi maomettani da parte dei cattolici romani con la loro aspirazione egemonica; sia tutte quelle contraddizioni e assurdità fideistiche riscontrabili nell'essere cristiano a cominciare dall'impossibile imitazione fanatica di Cristo, l'idolatria dei riti e delle cerimonie, il culto delle reliquie e delle immagini, il santismo e il miracolismo, il papismo la papolatria e l'imperialismo cattolico romano, ...
Io non sento affatto il bisogno di ridiventare cristiano e cattolico per sentirmi dotato di valori e di criteri di giudizio tali da darmi la forza di criticare e di oppormi all'inciviltà-incultura orrenda del nazismo maomettano, anche perché i cristiani in generale e i cristiani-cattolici in particolare non mi paiono proprio armonici e coerenti con un Papa che santifica il criminale Maometto e il suo nazismo maomettano, cosa c'è di più relativista e fanaticamente cristiano nell'esemplarità di Bergoglio, dove stanno i valori umani, civili, culturali e spirituali/religiosi capaci di dare la forza per contrastare il nazismo maomettano in questo personaggio che è il cristiano per eccellenza?

A me personalmente basta il semplice e naturale buon senso, con i suoi valori umani e naturali per contrastare l'Islam e la sua demenziale e disumana ossessione politico religiosa.

Niram Ferretti
Alberto Pento, non c'è assolutamente alcun bisogno di diventare cristiani o ebrei. Nessuno indica o prescrive conversioni. L'Europa è stata plasmata dal cristianesimo a partire dall'epoca costantinina dell'impero romano per giungere fino all'Illuminismo, che non è un sacco vuoto senza il cristianesimo, ma un sacco semi vuoto. Ognuno crede in ciò che meglio lo rappresenta, in Gesù se è cristiano, nella Torah sa è ebreo, in Allah se è musulmano, o se è ateo crederà nel Caso che da vità attraverso processi insondabili a forme di ordine perfetto intrinsecamente razionali, oppure crederà nel Partito, nel Grande Capo Supremo Kim Jong Un, nelle magnifiche sorti e progressive, nei feticci o nei menhir. La scelta è ampia. Il suo percorso privato io lo rispetto ma non attiene allo specifico del post che tratta dell'attuale temperie culturale nella quale ci troviamo immersi. Poi lei fa benissimo ad affidarsi al buon senso, come altri si affidano a ciò che ho elencato sopra, nel frattempo io non vedo al momento grandi prospettive per questa Europa, forse lei le vede. In questo caso mi fa piacere che lei sia più ottimista di me.


Alessandro Kane
Caro Niram, tu sei una stella polare -mi permetto- per molti di noi tuoi lettori.
Ed io condivido ogni parola di quanto tu qui scrivi sul ruolo positivo dell'ebraismo e della cristianità.
Ma sul destino dell'umanità, no.
Primo, perché non voglio, secondo perché io penso, se dovessimo, tracciare un grafico che rappresentasse l'avanzamento della civiltà da zero ad oggi, ebbene, io credo, potremmo ben vedere che sempre la civiltà, ha avuto un trend positivo (comprese guerre e nefandezze d'ogni genere), e non avremmo motivo quindi di non ben sperare.
Stante certo, l'intoppo di questa manciata d'anni; ma al di là di nostri timori -che vivo e condivido- è possibile, ragionevole, pensare che l'umanità ora sia giunta ad un qualcosa di così grande da farla regredire?
Io credo, che l'uomo, nella sua accezione più larga, tenda sempre a migliorare, pur commettendo un'infinità di sbagli, incluso l'islam odierno, che verrà superato.


Niram Ferretti
Alessandro, ti ringrazio per le tue parole, ma io non parlo del destino dell'umanità, mai mi azzarderei a indossare le vesti del profeta, non mi si addicono. L'umanità non è, evidentemente, l'Europa e l'Occidente, è assai più vasta. Il mio post si riferisce alla temperie attuale, soprattutto a quella europea, alla situazione nella quale ci troviamo. Il cosiddetto progresso, come retta teleologica che conduce l'uomo infallibilmente verso il meglio, è un mito costruito in epoca illuminista, ed è, evidentemente smentito costantemente dalla storia. Si avanza e si regredisce. La storia non è un percorso lineare, ma un percorso accidentato e tortuoso. Credo che ne converrai. Detto questo, nessuno è in grado di vedere il futuro. Io, più modestamente. mi limito a fare considerazioni sul presente.


Francesco Birardi
Il relativismo spazza via i nostri valori e lascia il posto ai valori altrui... la nostra democrazia e la nostra tolleranza aprono la porta al totalitarismo islamico.

Anna Alcini Rigato
Perché è un relativismo morale, anche di bassa morale, che non ha niente a che fare con il relativismo come strumento di pensiero non dogmatico ma prospettico.

Anna Alcini Rigato
Un esempio di relativismo filosofico lo trovo nella risposta poco più su di Niram a Dragor Alphan.

Niram Ferretti
In che senso?

Alberto Pento
Scusatemi ma che valori spirituali e civili trovate nel nazismo maomettano? Io non riesco a trovarne nessuno ma proprio nessuno.

Francesco Birardi
Anna Alcini Rigato : Esattamente!

Anna Alcini Rigato
Niram Ferretti Confesso che ho mancato di virgolettare il termine "relativismo" con il quale intendevo riferirmi al tuo mettere in relazione i processi di pensiero in una visione non orizzontale ma verticale, ponendoli in una prospettiva dalla quale valutare le radici e la dynamis, con le sue perversioni, da cui sorgono e si affermano come momentanei "assoluti".

Niram Ferretti
Anna Alcini Rigato ogni fenomeno umano ha, evidentemente, alti e bassi, zenit e nadir, in questo riprende l'andamento proprio dei processi fisici. Detto questo, un fenomeno storico culturale, in questo caso il cristianesimo, va visto nella sua prospettiva impattante generale, e non vi possono essere dubbi che la civiltà occidentale ne è stata plasmata in senso positivo, anche considerando il fenomeno da una prospettiva intrinsecamente laica, riassunta dal crociano, "perchè non possiamo non dirci cristiani".
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » sab mag 18, 2019 9:04 am

???
POPULISMO E DEMOCRAZIA sono dimensioni politiche inconciliabili.

Il populismo salta ogni intermediazione ed il caudillo di turno si rivolge direttamente al popolo per ottenerne l’approvazione o l’investitura . In fondo ci provano grandi e piccoli personaggi della storia politica.
Molti regimi sono stati infatti legittimati dal consenso popolare:
come il plebiscito con cui Luigi Napoleone fece fuori la terza repubblica,
come il voto plebiscitario che consolidò il fascismo,
come il voto altrettanto plebiscitario che portò il nazismo al potere.
Cito il contatto diretto con le masse di fior di democratici come Stalin, Mao, Chavez.
Ma anche microbi politici ( come la Grillo-band) si rivolgono direttamente al popolo per averne l’investitura e radicare su un consenso emotivo un nuovo autoritarismo.
La Democrazia è più complessa. È costruita da intermediazioni e da regole, da consenso avvertito e legalità diffusa.
Essa é un difficile esercizio d’intelligenza collettiva e non di idiotismo da massa critica. Tutto qui.

Gino Quarelo
Non si confonda la democrazia vera che è solo quella diretta come in Svizzera con la farsa della democrazia rapprentativa indiretta e senza vincolo di mandato come quella italiana concepita da una casta attraverso la quale rigenera se stessa: una casta ademocratica di politicanti, di fanfaroni, di bugiardi, di ignoranti, di parassiti, di irresponsabili e se occorre di assassini della propria gente. Il plebiscitarismo è una conseguenza della mancanza di vera democrazia e un segno dell'esistenza di una casta immonda e parassitaria che opprime e depreda la sua gente; dove viene impedito all'uomo di buona volontà di esercitare la sua libertà, responsabilità e sovranità.
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Re: Il mito della civiltà greco-romana e giudaico-cristiana

Messaggioda Berto » lun mag 27, 2019 3:09 pm

“Ebrei e cristiani si alleino, hanno nemici comuni”. La tesi di Gelernter
Giulio Meotti
2015/04/01

https://www.ilfoglio.it/cultura/2015/04 ... Unjf3Xdz1E

Roma. Il 24 giugno del 1993 il professor David Gelernter aprì un pacco senza mittente nel suo ufficio al quinto piano della Arthur Watson Hall dell’Università di Yale. Genio dei computer che ha inventato il “cloud”, Gelernter è la vittima più illustre di Unabomber, alias Theodore Kaczynski, il matematico docente a Berkeley che andò a vivere in una capanna di tronchi nel Montana per lanciare una guerra luddista all’America. Gelernter sopravvisse all’attentato con l’occhio destro accecato, la mano destra monca e gravi lesioni agli organi.

Oggi Gelernter, che ha vinto contro la Apple una delle cause informatiche più importanti della storia americana, continua a occuparsi di informatica a Yale, ma scrive anche libri sul giudaismo, sulla religione in America e sull’influenza delle élite che reputa distruttiva. Gelernter ha appena firmato un saggio straordinario per la rivista cattolica First Things, dal titolo “Perché un ebreo dovrebbe interessarsi se la cristianità muore”. È un poderoso appello all’alleanza tra fratelli naturali in un mondo insidiato da comuni nemici.

“Papa Francesco dovrebbe vedere la riconversione dell’Europa come il suo compito più importante”, scrive l’accademico di Yale. “Sicuramente il Papa è d’accordo che il cristianesimo europeo è nei guai. Sicuramente non crede che il cristianesimo non abbia più importanza in Europa. Come può ignorare una catastrofe alla sua porta di casa?”. Molti studiosi e intellettuali ebrei risponderebbero a Gelernter: perché a un ebreo dovrebbe interessare se il cristianesimo decade in Europa? Gelernter sostiene che le tirannie totalitarie del Novecento, la Germania nazista, il Giappone imperiale e la Russia stalinista avevano qualcosa di fondamentale in comune. “Tutti e tre erano regimi ufficialmente pagani. Il culto del Führer, il culto dell’imperatore e il culto della personalità di Stalin dipendevano dalla soppressione delle religioni”. L’odio verso il cristianesimo ha alimentato l’odio per gli ebrei.

Gelernter sostiene poi che oggi sia il ramo progressista del cristianesimo sia il ramo liberal dell’ebraismo stanno morendo, in Europa come negli Stati Uniti e che entrambi odiano Israele. “Le chiese liberali tradizionali stanno morendo. Lo stesso vale per i rami liberali del giudaismo. Negli ultimi decenni, il liberalismo è diventato una religione a se stante”. Gelernter non chiede agli ebrei di azzerare il passato burrascoso dei rapporti fra il loro popolo e la cristianità. “Non è tempo di dimenticare (mai) o perdonare (non abbiamo il diritto), ma è il momento di andare avanti”. E di riconoscere che ebrei e cristiani oggi affrontano lo stesso nemico.

Da un lato, l’islam politico in medio oriente, con la cacciata epocale delle minoranze cristiane da tutto il Levante e la minaccia perenne che grava sulla testa di Israele. Dall’altro lato lo sciatto e aggressivo secolarismo delle democrazie occidentali e con esso il multiculturalismo di stato, sotto i quali germinano la cristianofobia e l’antisemitismo. La tesi di Gelernter sta raccogliendo consensi fra importanti leader e dirigenti ebraici. L’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Ron Prosor, ha paragonato la cacciata di masse di cristiani dai paesi arabi a quella di 800 mila ebrei dai paesi arabi nel 1948. Allora si verificò la fine dell’ebraismo in terra islamica. Oggi è la distruzione del cristianesimo delle origini. E’ anche la tesi di Haïm Korsia, gran rabbino di Francia, che ha invocato una reazione fraterna di fronte al dilagare dell’assassinio di cristiani: “Dove sono le comunità ebraiche un tempo così vive di Aleppo, di Beirut, di Alessandria, del Cairo o di Tripoli? Dove sono le scuole di Nehardea e di Pumbedita in Iraq? E dov’è il florido ebraismo di Esfahan e di Teheran? Nella nostra memoria. Scacciati, uccisi, decimati, perseguitati ed esiliati, i cristiani d’oriente vivono in prima persona la stessa condizione degli ebrei con cui hanno così a lungo convissuto e che hanno visto partire da quei luoghi”. Come i “nazareni” di Mosul. E’ l’opinione anche di Ron Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale: “La ‘N’ dei cristiani è come la stella di David gialla che i nazisti obbligavano gli ebrei a portare”.

Secondo Gelernter si tratta di questo: “Il cristianesimo è il dono degli ebrei all’umanità; il più importante che l’umanità abbia mai ricevuto. Il fatto che così tanti esponenti della sinistra moderna dicano a se stessi, ‘una ragione in più per odiare gli ebrei’, non fa che rimarcare il punto. Il nemico naturale dell’ebreo è il nemico naturale del cristiano. Perché un ebreo dovrebbe preoccuparsi se il cristianesimo vive o muore? Perché lui deve preoccuparsi se il messaggio del giudaismo vive o muore”.

Non a caso Israele è l’unico paese, in un arco di migliaia di chilometri che va fra Marrakech a Teheran, dove la comunità cristiana non soltanto non soffre, ma addirittura cresce. Dall’Ufficio di statistica israeliano leggiamo come nel 1949 i cristiani ammontassero a 34 mila, oggi sono 165 mila e di 187 mila è la previsione nel 2020. E’ questo che dice di rivoluzionario Gelernter: Israele e con esso il popolo ebraico sono ancora nella fase di stabilire le condizioni per la propria esistenza e questa lotta per la sopravvivenza fornisce al cristianesimo la possibilità non soltanto di riscattare gli errori del passato, ma di ipotecare anche il proprio futuro.

Alberto Pento
No non condivido, io credo che l'antisemitismo dei regimi novecentischi non sia di origine pagana ma cristiano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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