Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven nov 10, 2017 5:43 am

Aberranti cristiani?


Quando il rispetto per l’altro porta un cardinale a nascondere la croce
di Matteo Matzuzzi

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/11/0 ... oce-106398

È dovuto intervenire il portavoce della Conferenza episcopale tedesca, Matthias Kopp, per cercare di porre un argine alle polemiche montate in Germania dopo la visita dei giorni scorsi a Gerusalemme del cardinale Reinhard Marx (numero uno dell’episcopato locale e arcivescovo di Monaco e Frisinga) in compagnia del capo della chiesa evangelica di Germania, Heinrich Bedord-Strohm. Recandosi in visita alla Cupola della roccia e alla moschea di al Aqsa, infatti, Marx e Bedord-Strohm si sono levati la croce pettorale, evitando di esibire il simbolo della propria confessione religiosa mentre salivano il Monte del Tempio, uno dei due siti della capitale israeliana rispetto ai quali l’Unesco, con una doppia risoluzione di qualche settimana fa, ha negato il legame con la millenaria tradizione ebraica (con voto contrario della Germania, tra i pochi paesi occidentali a essersi opposto al documento). Kopp, in una nota inviata all’agenzia Kath.net, ha spiegato che “si è trattato di un gesto di discrezione, un gesto apparso tanto più opportuno in considerazione delle oridinarie tensioni religiose e della ulteriore intensificazione di esse dovuta alla recente risoluzione dell’Unesco”.

Premettendo che la croce è stata nascosta anche durante la visita al Muro del Pianto – sempre per rispetto, quasi si dovesse mantenere una sorta di par condicio religiosa che tanti tratti in comune ha con il più classico politicamente corretto – il portavoce della conferenza episcopale tedesca ha spiegato il senso del gesto: il cardinale Marx e il capo della chiesa evangelica hanno semplicemente voluto dire “noi qui ci sentiamo ospiti, la nostra visita non si accompagna ad alcun tipo di rivendicazione che possa aggravare una controversia già difficile e accesa”. Più sofisticato il messaggio implicito del rappresentante evangelico, secondo cui “solo con il rispetto, l’accortezza, la prudenza e l’umiltà sarà possibile giungere alla pace”.

Simbolismi e propositi che però non hanno per nulla convinto lo storico ebreo (nato a Tel Aviv e cattedratico a Monaco di Baviera) Michael Wolffsohn, che non s’è fatto intenerire neppure dal gesto di rispetto mostrato dinanzi al Muro del Pianto: “A quanto pare, il cardinale cattolico e il vescovo evangelico intendono la tolleranza come la sottomissione o il sacrificio di sé”, ha scritto in un commento sulla Bild, ricordando come persino i Papi che in passato visitarono le moschee – Giovanni Paolo II a Damasco, Benedetto XVI e Francesco a Istanbul – non siano neppure stati sfiorati dall’idea di privarsi della croce pettorale. Anche perché nessun esponente del clero islamico locale, prosegue lo storico, ha mai preteso un gesto di tale portata. La tolleranza, invece, ha aggiunto Wolffsohn “non è né accondiscendenza né sottomissione, ma dovrebbe significare prima di tutto rispetto dell’altro”, accettandolo “come una cosa del tutto naturale”. Il discorso, come prevedibile, è scivolato sul portato simbolico della croce e di quanti rischiano la vita pur di non nasconderla. Basti pensare ai cristiani di Mosul, Qaraqosh, dell’intera piana di Ninive, con le case marchiate e le croci abbattute. Per non parlare della martoriata Aleppo, in Siria.

Di queste considerazioni s’è fatta interprete Miriam Hollstein, che sempre sulla Bild ha ricordato “che tanti uomini sono stati uccisi per avere reso testimonianza alla loro fede con il segno della croce o con una catenina al collo”. Il simbolismo poi rimanda indietro il pensiero di duemila anni: “Sul Monte del Tempio, Gesù prese su di sé la croce. Poprio lì, i suoi successori l’hanno messa da parte”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » gio nov 30, 2017 7:10 am

???

Guarire le ferite, avere l'odore delle pecore
Mimmo Muolo, inviato in Myanmar
mercoledì 29 novembre 2017
Papa Francesco nell'incontro con i vescovi del Myanmar


https://www.avvenire.it/papa/pagine/pap ... ign=buffer


Guarigione, accompagnamento e profezia. Tre parole che rappresentano altrettanti impegni per la Chiesa del Myanmar. Francesco le pronuncia nel corso dell'incontro con i 22 vescovi birmani che lo attendono in arcivescovado di ritorno dall'incontro con i vertici dei monaci buddisti e dopo che lungo il tragitto ha fatto tappa alla St. Mary Cathedrale dove domani presiederà la Messa per e con i giovani. A bordo di una golf car il Pontefice saluta la folla all'esterno, si intrattiene con un anziano sacerdote in sedia a rotelle e fa una foto con i bambini del coro. Poi all'interno, dopo il saluto del presidente della Conferenza Episcopale, Felix Lian Khen Thang, vescovo di Kalay, pronunciato il suo discorso con diverse improvvisazioni a braccio: la raccomandazione di "guarire le ferite, di avere l'odore delle pecore e anche di Dio". Fuori programma un black out di pochi secondi che ha spento le luci, prontamente tornate a funzionare.

“Il Vangelo che predichiamo è soprattutto un messaggio di guarigione, riconciliazione e pace – si legge nel testo scritto -. Mediante il sangue di Cristo sulla croce Dio ha riconciliato il mondo a sé, e ci ha inviati ad essere messaggeri di quella grazia risanante. Qui in Myanmar, tale messaggio ha una risonanza particolare, dato che il Paese è impegnato a superare divisioni profondamente radicate e costruire l’unità nazionale. Le vostre greggi portano i segni di questo conflitto e hanno generato valorosi testimoni della fede e delle antiche tradizioni; per voi dunque la predicazione del Vangelo non dev’essere soltanto una fonte di consolazione e di fortezza, ma anche una chiamata a favorire l’unità, la carità e il risanamento nella vita del popolo”.
“La comunità cattolica in Myanmar può essere orgogliosa della sua profetica testimonianza di amore a Dio e al prossimo, che si esprime nell’impegno per i poveri, per coloro che sono privi di diritti e soprattutto, in questi tempi, per i tanti sfollati che, per così dire, giacciono feriti ai bordi della strada”. Nella guarigione, infine, il Papa ha anche ricordato l'importanza di tessere rapporti di amicizia con le altre religioni.

Per quanto riguarda invece l'accompagnamento, il discorso scritto sottolinea che “un buon Pastore è costantemente presente nei riguardi del suo gregge, conducendolo mentre cammina al suo fianco”. “Ricordatevi – aggiunge il Papa a braccio - che per un vescovo il prossimo più prossimo che c'è sono i sacerdoti, i quali in lui devono sempre poter vedere un padre”. Nel discorso scritto inoltre raccomanda “coinvolgimento missionario, soprattutto attraverso visite pastorali regolari alle parrocchie e alle comunità che formano le vostre Chiese locali. È questo un mezzo privilegiato per accompagnare, come padri amorevoli, i vostri sacerdoti nel loro impegno quotidiano a far crescere il gregge in santità, fedeltà e spirito di servizio”. Infine chiede anche accompagnamento dei giovani, dei laici e dei catechisti, definiti “pilastri dell'evangelizzazione in ogni parrocchia”. Comunque “la preghiera è il primo compito del vescovo. E alla sera bisogna chiedersi: quante ore ho pregato oggi?”.

Nel discorso scritto c'è anche una terza parte dedicata alla profezia. “La Chiesa in Myanmar testimonia quotidianamente il Vangelo mediante le sue opere educative e caritative, la sua difesa dei diritti umani, il suo sostegno ai principi democratici – rimarca il Papa -. Possiate mettere la comunità cattolica nelle condizioni di continuare ad avere un ruolo costruttivo nella vita della società, facendo sentire la vostra voce nelle questioni di interesse nazionale, particolarmente insistendo sul rispetto della dignità e dei diritti di tutti, in modo speciale dei più poveri e vulnerabili. Sono fiducioso che la strategia pastorale quinquennale, che la Chiesa ha sviluppato nel più ampio contesto della costruzione dello Stato, porterà frutto abbondante non solo per il futuro delle comunità locali, ma anche dell’intero Paese”. Seguono le esortazioni a “proteggere l’ambiente e assicurare un corretto utilizzo delle ricche risorse naturali del Paese a beneficio delle generazioni future. La custodia del dono divino della creazione – conclude il testo - non può essere separata da una sana ecologia umana e sociale”. Il Papa aggiunge anche la recita finale di un'Ave Maria. “Voi in birmano, io in spagnolo”, dice.

Al termine dell’incontro, dopo la presentazione individuale dei vescovi e la foto di gruppo, Francesco benedice la prima pietra di 16 chiese, del Seminario Maggiore e del la Nunziatura Apostolica. Infine, dopo la foto di gruppo con 300 seminaristi, riceve nella Cappella del piano terra, 30 membri della Compagnia di Gesù, missionari in Myanmar.

Papa Francesco ai buddisti: lavoriamo insieme per la pace

Contro “le ferite dei conflitti, della povertà e dell'oppressione”, cattolici e buddisti devono “camminare insieme” e “lavorare fianco a fianco per il bene di ciascun abitante di questa terra”. Nel secondo impegno pubblico della sua terza giornata in Myanmar Francesco ribadisce al Consiglio supremo “Sangha” dei monaci buddisti l'impegno a dialogare e ad adoperarsi per il bene comune. Riceve in risposta il caloroso benvenuto e la dichiarazione di pace del presidente dei monaci, Bhaddanta Kumarabhivamsa (“è deplorevole vedere terrorismo ed estremismo messi in atto in nome di credi religiosi”) e citando Buddha mostra quanto i suoi insegnamenti siano vicini a quelli di san Francesco d'Assisi.

L'incontro si svolge al complesso del Kaba Aye Center, uno dei templi buddisti più venerati dell’Asia sud-orientale, dove il Pontefice arriva in auto dall'arcivescovado. Francesco viene accolto dal Ministro per gli Affari Religiosi e la Cultura, Thura U Aung Ko. Quindi alle ore 16.15 locali (10.45 ora di Roma), ha luogo l’incontro con il Consiglio Supremo “Sangha” dei Monaci Buddisti.

Entrato nella Sala grande del complesso, papa Francesco si toglie le scarpe (come prescrive la tradizione buddista), ma mantiene i calzini neri. Saluta il Presidente dei monaci, ascolta il suo benvenuto e quindi pronuncia il suo discorso in italiano.
Francesco viene accolto e salutato da Bhaddanta Kumarabhivamsa, presidente del Comitato di Stato Sangha Maha Nayaka (Ansa)

Il Papa cita Buddha e san Francesco

Il nostro incontro, dice, “è un’importante occasione per rinnovare e rafforzare i legami di amicizia e rispetto tra buddisti e cattolici. È anche un’opportunità per affermare il nostro impegno per la pace, il rispetto della dignità umana e la giustizia per ogni uomo e donna. Non solo in Myanmar, ma in tutto il mondo le persone hanno bisogno di questa comune testimonianza da parte dei leader religiosi”.

Allo stesso modo, prosegue il Papa, non bisogna rassegnarsi di fronte ai problemi. “Sulla base delle nostre rispettive tradizioni spirituali, sappiamo infatti che esiste una via per andare avanti, una via che porta alla guarigione, alla mutua comprensione e al rispetto. Una via basata sulla compassione e sull’amore”. Francesco esprime la sua “stima per tutti coloro che in Myanmar vivono secondo le tradizioni religiose del Buddismo”. Valori come pazienza, tolleranza, rispetto della vita e dell'ambiente naturale, propri dei buddisti, “possono rafforzare le nostre comunità e aiutare a portare la luce tanto necessaria all'intera società”.

Per il Papa la grande sfida è “aiutare le persone ad aprirsi al trascendente, a guardarsi dentro in profondità e a conoscere se stesse e le relazioni che le legano a tutti gli altri”. Dunque “dobbiamo superare tutte le forme di incomprensione, di intolleranza, di pregiudizio e di odio”. Qui Francesco cita Buddha e subito dopo il Poverello di Assisi. “Sconfiggi la rabbia con la non-rabbia, sconfiggi il malvagio con la bontà, sconfiggi l’avaro con la generosità, sconfiggi il menzognero con la verità”, afferma il primo. “Signore, fammi strumento della tua pace. Dov’è odio che io porti l’amore, dov’è offesa che io porti il perdono, [...] dove ci sono le tenebre che io porti la luce, dov’è tristezza che io porti la gioia”, sottolinea il secondo.

“Possa questa Sapienza continuare a ispirare ogni sforzo per promuovere la pazienza e la comprensione, e per guarire le ferite dei conflitti che nel corso degli anni hanno diviso genti di diverse culture, etnie e convinzioni religiose”, è l'auspicio del Pontefice. Ma spetta soprattutto ai “leader civili e religiosi assicurare che ogni voce venga ascoltata, cosicché le sfide e i bisogni di questo momento possano essere chiaramente compresi e messi a confronto in uno spirito di imparzialità e di reciproca solidarietà”. Chiaro qui il riferimento al Myanmar mosaico di 135 etnie. Infatti Francesco prosegue: “Mi congratulo per il lavoro che sta svolgendo la Panglong Peace Conference (la conferenza di pace naziona del Mynamar, ndr) e prego affinché coloro che guidano tale sforzo possano continuare a promuovere una più ampia partecipazione da parte di tutti coloro che vivono in Myanmar. Questo sicuramente contribuirà all’impegno per far avanzare la pace, la sicurezza e una prosperità che sia inclusiva di tutti. Certamente, se questi sforzi produrranno frutti duraturi, si richiederà una maggiore cooperazione tra leader religiosi”.

La Chiesa Cattolica, sottolinea il Pontefice “è un partner disponibile. Le occasioni di incontro e di dialogo tra i leader religiosi dimostrano di essere un fattore importante nella promozione della giustizia e della pace in Myanmar”. Anche la Conferenza dei Vescovi Cattolici che ad aprile scorso ha ospitato un incontro di due giornate sulla pace, al quale hanno partecipato i capi delle diverse comunità religiose, va in questo senso. Tali incontri sono indispensabili, se siamo chiamati ad approfondire la nostra reciproca conoscenza e ad affermare le relazioni tra noi e il comune destino. La giustizia autentica e la pace duratura possono essere raggiunte solo quando sono garantite per tutti”.

Le parole del presidente dei monaci buddisti

Anche il presidente dei monaci buddisti si sofferma su concetti di pace. “Noi, leaders di tutte le religioni del mondo, dobbiamo essere risoluti nella costruzione di una armoniosa società umana, seguendo gli insegnamenti delle rispettive religioni , così come essi sono realmente insegnati e coinvolgere noi stessi nel rafforzamento della pace e la sicurezza del mondo”. Dunque “non possiamo accettare che terrorismo ed estremismo possano nascere da una certa fede religiosa”. Essi nascono piuttosto da “cattive interpretazioni degli insegnamenti delle rispettive religioni”. Bisogna “denunciare coloro che danno supporto tali attività”. Invece “bisogna costruire fra noi – conclude il monaco buddista – reciproca comprensione, rispetto e fiducia e gettare ponti per la pace nel mondo”. Un'espressione che sarà piaciuta a papa Francesco.

Nella sala foderata di tappeti le due delegazioni sono una davanti all'altra: i monaci nelle loro vesti arancioni e viola da una parte, il Papa e il seguito dall'altra. Un esponente buddista presenta i monaci a uno a uno, e lo stesso fa un sacerdote cattolico con i membri del seguito.

Al termine, dopo lo scambio dei doni e le foto, il Santo Padre si congeda dal Presidente del “Sangha” e si trasferisce in auto all’Arcivescovado per l’incontro con i Vescovi. Lungo il percorso, prima di arrivare in Arcivescovado, è previsto un giro con la papamobile intorno alla St Mary’s Cathedral, dove domani celebrerà la Santa Messa con i giovani.

La giornata era cominciata con la Messa

Nella prima Messa pubblica celebrata dal Papa in Myanmar, Francesco ha chiesto ai cattolici di non rispondere alla violenza con la rabbia e la vendetta, ma con il perdono e la misericordia. Una sorta di “GPS spirituale – ha detto con una metafora - che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo”.

Di buon mattino - le 8.30 ora locale quando in Italia erano le tre - il Pontefice ha incontrato “il piccolo gregge” (così l'ha definito il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon) della Chiesa locale nella spianata del Kyaikkasan Ground, un'area di 60 ettari nel cuore della principale città birmana. Piccolo gregge che poi tanto piccolo non era, dato che alla Messa, secondo le autorità, erano presenti circa 150mila fedeli. Una folla colorata e gioiosa che si è stretta attorno al Papa con grande affetto e raccoglimento.

All'omelia: «La croce sia la nostra bussola»

Francesco, nell'omelia, ha indicato loro “una sicura bussola, il Signore crocifisso”. “Nella croce – ha detto infatti -, noi troviamo la sapienza, che può guidare la nostra vita con la luce che proviene da Dio”. E anche la medicina per curare le ferite. “So che molti in Myanmar portano le ferite della violenza, sia visibili che invisibili – ha proseguito Bergoglio -. La tentazione è di rispondere a queste lesioni con una sapienza mondana. Pensiamo che la cura possa venire dalla rabbia e dalla vendetta”. Ma la via della vendetta non è la via di Gesù, anzi “è radicalmente differente”. “Quando l’odio e il rifiuto lo condussero alla passione e alla morte, Egli rispose con il perdono e la compassione”. I cristiani sono chiamati a fare altrettanto. “Con il dono dello Spirito, Gesù rende capace ciascuno di noi di essere segno della sua sapienza, che trionfa sulla sapienza di questo mondo, e della sua misericordia, che dà sollievo anche alle ferite più dolorose”.

«Il balsamo della misericordia cura le ferite»

Francesco ha perciò augurato alla Chiesa birmana di poter “assaporare il balsamo risanante della misericordia del Padre e trovare la forza di portarlo agli altri, per ungere ogni ferita e ogni memoria dolorosa. In questo modo – ha detto -, sarete fedeli testimoni della riconciliazione e della pace che Dio vuole che regni in ogni cuore umano e in ogni comunità”. Nelle parole del Papa si coglie il riferimento al processo di riconciliazione nazionale in corso, oggetto ieri dei colloqui con la leader Aung San Suu Kyi e nel quale i cattolici possono recitare un ruolo di primo piano, inversamente proporzionale al loro esiguo numero (675mila persone su una popolazione di 51 milioni di abitanti, in gran parte buddisti). “So che la Chiesa in Myanmar sta già facendo molto per portare il balsamo risanante della misericordia di Dio agli altri, specialmente ai più bisognosi”, ha infatti notato Bergoglio.

«Seminate guarigione e riconciliazione»

La fotografia che il Papa ha fatto è dunque quella di una “Chiesa viva”, pur in mezzo alle difficoltà. “Anche con mezzi assai limitati – ha ricordato -, molte comunità proclamano il Vangelo ad altre minoranze tribali, senza mai forzare o costringere, ma sempre invitando e accogliendo. In mezzo a tante povertà e difficoltà, molti di voi offrono concreta assistenza e solidarietà ai poveri e ai sofferenti. Attraverso le cure quotidiane dei suoi vescovi, preti, religiosi e catechisti, e particolarmente attraverso il lodevole lavoro del Catholic Karuna Myanmar e della generosa assistenza fornita dalle Pontificie Opere Missionarie, la Chiesa in questo Paese sta aiutando un gran numero di uomini, donne e bambini, senza distinzioni di religione o di provenienza etnica. Vi incoraggio – ha concluso - a continuare a condividere con gli altri la sapienza inestimabile che avete ricevuto, l’amore di Dio che sgorga dal cuore di Gesù. Gesù vuole donare questa sapienza in abbondanza. Certamente Egli premierà i vostri sforzi di seminare semi di guarigione e riconciliazione nelle vostre famiglie, comunità e nella più vasta società di questa nazione. Il suo messaggio di perdono e misericordia si serve di una logica che non tutti vorranno comprendere, e che incontrerà ostacoli”. Tuttavia “è come un 'GPS spirituale' che ci guida infallibilmente verso la vita intima di Dio e il cuore del nostro prossimo”.

Il grazie del cardinale Bo

Al termine della Messa è giunto il grazie del cardinale Bo. “Questa è un’esperienza del monte Tabor – ha detto con enfasi -. Oggi siamo trasportati su una montagna di beatitudine. La vita non sarà mai più la stessa per i cattolici del Myanmar. Solo un anno fa il pensiero che questo piccolo gregge avrebbe condiviso il Pane con il nostro Santo Padre Francesco sarebbe stato un puro sogno. Noi siamo come Zaccheo. In mezzo alle Nazioni non potevamo vedere il nostro Pastore. Come Zaccheo, siamo stati chiamati: 'Scendi, voglio fermarmi a casa tua'”. Il Papa infatti è “un buon Pastore che va in cerca dei piccoli e di quelli ai margini”. Dunque, ha concluso il porporato, “come i discepoli sul monte Tabor ritorniamo a casa con una straordinaria energia spirituale, orgogliosi di essere cattolici, chiamati a vivere il Vangelo. Questo giorno rimarrà impresso in ogni cuore qui presente. Oggi è avvenuto un miracolo. Tutti noi ritorniamo a casa come miracolati da Dio. Grazie Santo Padre”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » gio nov 30, 2017 7:11 am

???

A papa Francesco una fatwa contro l’estremismo firmata da 100mila imam (su 300mila)

AsiaNews.it
29/11/2017
BANGLADESH – VATICANO
Anna Chiara Filice

http://www.asianews.it/notizie-it/Leade ... 42448.html

Allamma Majharul Islam è il grande custode della moschea Amber Shah Shahi Jami. Un gruppo interreligioso per promuovere l’armonia tra le fedi. Il dolore per l’attentato alla mosche nel Sinai. Per frenare il terrorismo, “puntare sull’educazione nella madrasse e controllare i sermoni nelle moschee”. Dall'inviato

Dhaka (AsiaNews) – A papa Francesco “consegneremo una lettera che contiene una fatwa contro l’estremismo firmata da 100mila imam”. Lo dice ad AsiaNews Allamma Majharul Islam, Grand Khatib (grande custode) della Amber Shah Shahi Jami Mosque, nella zona di Kawran Bazar a Dhaka. Lo incontriamo nella moschea di cui egli è custode, di sera, mentre gli studenti della sua madrassa (scuola coranica) recitano le preghiere islamiche (v. foto). Tra una tazza di thè e un dolce preparato dalla moglie di un imam che lo accompagna, egli parla di armonia interreligiosa, di come costruire la pace in Bangladesh, del fondamentalismo islamico. Soprattutto sottolinea: “L’islam non consente alcuna forma di terrorismo. Da predicatore, insegno ai miei studenti che islam vuol dire pace, e non offendere i sentimenti religiosi di nessuno”. Di seguito l’intervista.

Grand Khatib, come accoglierà il papa e cosa vuole dirgli?

Accogliamo papa Francesco con immensa gioia. Egli è un leader mondiale. Viene in un piccolo Paese islamico. La sua visita ci rende onore, perché egli non è solo il capo dei cristiani, ma è un leader di tutti i fedeli. Ogni religione porta con sé un messaggio di pace, e il Santo Padre lo promuove in maniera adeguata. Sarò uno dei 500 religiosi islamici che incontreranno papa Francesco [durante il raduno interreligioso ed ecumenico per la pace del primo dicembre, nel giardino dell’arcivescovado – ndr]. In quell’occasione gli consegneremo una lettera che contiene una fatwa contro la militanza islamica firmata da 100mila sacerdoti musulmani.

Cosa si aspetta che papa Francesco dirà a voi musulmani?

Il Santo Padre darà un messaggio di amore, in particolare per i Rohingya, e li aiuterà a risolvere il loro problema di rifugiati. Di sicuro la sua visita porterà ad una rapida risoluzione della crisi [dei profughi musulmani scappati dal Myanmar e accampati in centri di fortuna nella zona di Cox’s Bazar – ndr]. Allo stesso tempo, da leader islamico, io ritengo che essi debbano ritornare in Myanmar, perché essi non sono mai stati cittadini del Bangladesh. E soprattutto perché ognuno ha diritto di vivere nel proprio luogo di origine.

Secondo lei, come si può stimolare l’armonia e la convivenza tra le religioni in Bangladesh? E tra i fedeli musulmani sciiti, sunniti e sufi?

Abbiamo creato il World Religious Forum (Wrf), che raduna insieme i leader religiosi musulmani, cristiani, indù e buddisti. Io ne sono il coordinatore. Con questo forum non vogliamo solo costruire rapporti di fratellanza tra sunniti e sciiti, ma anche tra le altre religioni. Organizziamo programmi per il dialogo interreligioso con coloro che praticano la vera religione che è quella della pace. Anche il card. Patrick D’Rozario [arcivescovo di Dhaka] fa parte del gruppo ed è coinvolto in maniera diretta nelle iniziative. Per il nostro grande contributo alla costruzione dell’armonia interreligiosa abbiamo anche ricevuto numerose lettere di ringraziamento da parte del Vaticano.

Ci fa qualche esempio concreto di convivenza e di rispetto tra le religioni?

Negli scorsi anni sono stati pubblicati su Facebook alcuni commenti che incitavano alla violenza religiosa a Cox’s Bazar, o contro i cristiani di Rongpur, o che giustificavano l’omicidio di Sunil Gomes, un cattolico sgozzato a Natore. Noi abbiamo organizzato una marcia di protesta, cui hanno partecipato 5mila imam e fedeli. È stata la prima volta che il Wrf protestava contro gli attacchi settari nei confronti dei fedeli di altre religioni. Il programma interreligioso ha avuto anche risonanza su tutti i media e noi abbiamo ricevuto apprezzamento da più parti.

Avrà sentito del recente attentato nel Sinai, che ha fatto più di 300 morti e aveva come obiettivo una moschea frequentata da sufi. Quali sono i suoi sentimenti a riguardo?

Quando ho sentito la notizia, ho avvertito un profondo dolore nel cuore. Essi sono dei terroristi. Noi siamo contro la violenza. Siamo addolorati per tutte le atrocità che accadono nel mondo, non solo verso i musulmani ma anche verso i cristiani, i buddisti e gli indù.

In che modo si può assicurare la pace e la giustizia sociale nel suo Paese?

Noi lavoriamo per garantire la giustizia sociale e in questo siamo appoggiati dalle politiche del governo. Io sostengo che tutti debbano godere dei propri diritti, anche i Rohingya. Sosteniamo anche lo sviluppo delle donne e diamo aiuti alle vedove. Per assicurare la pace, operiamo insieme agli altri leader religiosi, in modo che essi godano della libertà di predicare secondo i valori della propria religione. Nessuna fede promuove la violenza religiosa. E per quanto riguarda il terrorismo islamico, nessuna religione permette il conflitto e le uccisioni.

E come frenare il terrorismo?

Dobbiamo ripartire dall’educazione. Noi insegniamo i nostri valori nelle madrasse. Agli alunni riportiamo i veri insegnamenti dell’islam. Motiviamo i giovani e diciamo loro che non c’è posto per le armi o per compiere attacchi contro altri fedeli. Sono orgoglioso di dire che il 90% dei membri del Wrf sono studenti coranici. Il fondamentalismo in questo Paese deriva dalla sbagliata educazione. Poi dobbiamo stare attenti ai sermoni. In Bangladesh ci sono circa 300mila moschee, di cui 10mila solo a Dhaka. Nella mia moschea vengono a pregare circa 8mila musulmani, tra cui diversi ministri del governo. Io sono consulente del ministro dell’Interno e ho il compito di controllare le predicazioni, per evitare che gli imam indulgano in discorsi d’odio. Se ci rendiamo conto che qualcuno predica gli insegnamenti sbagliati e incoraggia l’estremismo, dobbiamo agire contro di essi.

(Ha collaborato Sumon Corraya)


Alberto Pento
100mila Imam contro la violenza maomettana? Ma altri 200mila sono per la violenza maomettana!




In Bangladesh aumentano le violenze contro i cristiani
Fabio Polese - Ven, 11/12/2015

http://www.ilgiornale.it/news/mondo/ban ... 03369.html


Due fratelli cattolici sono stati feriti in modo grave nella tarda mattinata di ieri a Dacca. La dinamica dell’aggressione è molto simile a quella avvenuta lo scorso 18 novembre al missionario italiano Piero Parolari

Ancora violenze religiose in Bangladesh. Questa volta è toccato a due fratelli cattolici, feriti in modo grave nella tarda mattinata di ieri nella capitale del Paese.

I due, Rajesh D’ Cruze e Ranjan D’ Cruze, si trovano in condizioni disperate presso il Medical College Hospital di Dacca.

La dinamica dell’aggressione non è ancora del tutto chiara. Ma secondo le prime ricostruzioni, i due fratelli sono stati avvicinati intorno alle 12 da diversi assalitori armati di pistole e coltelli, mentre erano nella zona di Mohakhli, uno dei quartieri più affollati della capitale.

L’attacco armato è molto simile a quello dello scorso 18 novembre al medico e sacerdote italiano Piero Parolari, avvenuto nella città di Dinajpur, a circa trecento chilometri a nord di Dacca. Il missionario del Pontificio istituto missioni estere (Pime), era stato attaccato da tre uomini armati mentre si stava recando al lavoro. Questa aggressione era stata subito rivendicata dagli uomini dello Stato Islamico. “Il crociato italiano Pietro Parolari che opera da anni in una campagna missionaria nel distretto di Dinajpur”, si leggeva nel comunicato diffuso dai tagliagole del Califfo, “è stato attaccato con diversi colpi sparati da una pistola con silenziatore che gli hanno provocato gravi lesioni”.

“Condanniamo senza riserve questo attacco efferato e chiediamo azioni immediate contro i colpevoli”, ha detto ad Asia News Nirmal Rozario, segretario generale della Bangladesh Christian Association (Bca). “Quest’anno ci sono stati numerosi episodi di violenza contro i cristiani. Vogliamo la giusta punizione per chi ha commesso questo crimine”. E ha lanciato un appello al governo: “Chiediamo di garantire giustizia e sicurezza per tutti”.

Sempre secondo quanto riferisce Asia News, nelle ultime settimane diversi cristiani sono stati minacciati di morte con una serie di lettere e messaggi recapitati sul cellulare delle vittime designate, “colpevoli di essere stranieri o predicatori del Vangelo nel Paese”. Nelle minacce si consiglia loro di “mangiare finché possono, perché presto saranno uccisi”.



https://it.wikipedia.org/wiki/Diritti_u ... Bangladesh

Attacchi a case e luoghi di culto si verificano prevalentemente contro i fedeli del culto Ahmadi e con sempre maggior frequenza, ma il governo ha fatto la scelta di non prevenir in alcuna maniera tali atti né disciplinare gli agenti di polizia responsabili che non sono riusciti (o che non hanno voluto) difendere le vittime degli attacchi. Anche altre minoranze religiose si trovano prese di mira e sotto attacco tramite rapimenti, profanazione dei luoghi di culto e conversioni forzate; con sempre maggior insistenza vengono segnalati casi in tal senso[8].
Vi sono state anche molte segnalazioni di persone di fede induista sfrattate arbitrariamente dalle loro proprietà e di ragazze indù vittime di violenza sessuale[9], ma con le forze di polizia che si rifiutano di indagare per perseguire penalmente i responsabili di tali azioni.

Anche a causa di questo clima palpabile di persecuzione religiosa, centinaia di migliaia di buddhisti, cristiani e indù si son trovati costretti a lasciare il paese.



Bangladesh, il Papa e cristiani perseguitati
novembre 10, 2017

http://www.tempi.it/bangladesh-la-visit ... h-P5zdryjI

«La speranza di noi cattolici è che la visita del Santo Padre possa tradursi in una maggiore sicurezza per le minoranze religiose»

Bangladesh, September 2012 Chittagong. Bishop House Mass Project trip of Veronique Vogel, Jesus Garcia

Tratto da Acs – «La speranza di noi cattolici del Bangladesh è che la visita del Santo Padre possa tradursi in una maggiore sicurezza per le minoranze religiose». Così dichiara ad Aiuto alla Chiesa che Soffre padre Gabriel Amal Costa, missionario del Pime, originario della diocesi di Dacca.

Il religioso ha raccontato come l’intera popolazione bengalese, musulmani inclusi, sia lieta di ricevere la visita di Papa Francesco, in programma il 1° e il 2 dicembre prossimi. La comunità cristiana, che rappresenta appena lo 0,3 percento dei 160 milioni di bengalesi, attende ovviamente con ansia il Pontefice e spera che Francesco possa invitare le autorità locali a tutelare maggiormente le minoranza religiose. «Dopo l’attentato di Dacca nel luglio 2016, abbiamo vissuto un periodo di paura e incertezza e auspichiamo che il Papa possa aiutarci in tal senso».

Padre Costa ha riferito del grande cambiamento del Bangladesh negli ultimi anni, in particolare a causa della diffusione di un fanatismo islamico che non appartiene affatto alla cultura bengalese. «Le principali vittime di questo fanatismo sono le minoranze religiose, ma vengono colpiti anche i musulmani non radicali», afferma il sacerdote notando tuttavia come il partito al potere stia cercando di arginare l’estremismo e si stia impegnando per rendere il Paese maggiormente democratico.

Al tempo steso si sono registrati anche cambiamenti positivi, come ad esempio la crescita della popolazione cattolica. Rispetto alle 4 diocesi che contava la Chiesa visitata da Giovanni Paolo II nel 1986, quella che incontrerà Francesco vanta oggi 8 diocesi e un maggiore numero di battezzati e di sacerdoti, religiosi e vescovi locali. «Non mancano neanche le conversioni di musulmani al Cristianesimo, anche se si tratta di un processo piuttosto lungo. La Chiesa, infatti, deve essere molto prudente in questi casi perché seppure le conversioni dall’Islam non sono proibite per legge, a livello sociale sono spesso ostracizzate».

Nonostante le difficoltà, la Chiesa del Bangladesh conserva una fede ben salda che padre Costa ritiene possa essere d’esempio ai cristiani occidentali, «i quali a volte hanno paura o vergogna di mostrare la loro identità religiosa. I cristiani bengalesi invece vivono apertamente la loro fede e la mostrano con orgoglio».


Minacciato di morte, un intero villaggio indù costretto a fuggire
30/03/2015

http://www.asianews.it/notizie-it/Bangl ... 33854.html

BANGLADESH
Sumon Corraya

Le 14 famiglie che abitavano Chandantola vivono ora come rifugiati in una città vicina. Politici locali li hanno costretti a vendere le proprietà a prezzi stracciati. La polizia ha arrestato alcuni responsabili, ma la minoranza denuncia: “Da tempo subiamo persecuzioni e le nostre ragazze vengono regolarmente molestate”.

Dhaka (AsiaNews) – Una fila di case ancora tutte ammobiliate, ma senza alcun essere umano al loro interno. È così che appare oggi il villaggio Chandantola (distretto di Barguna, Bangladesh), a maggioranza indù. Le 14 famiglie che lo abitavano hanno abbandonato le loro proprietà per mancanza di sicurezza e per la continua persecuzione che subivano. Con le ultime minacce di morte, sono stati costretti a vendere le loro proprietà a prezzi irrisori e ora vivono in una città del distretto come rifugiati.

È nel 2013 infatti che una prima famiglia decide di abbandonare il villaggio, a causa delle ripetute minacce. All’inizio del 2014 altre due famiglie hanno preso la stessa decisione. Le ultime nove se ne sono andate il 13 marzo scorso.

Secondo testimonianze locali, dietro questa campagna intimidatoria vi sono Abdur Rashid Akan, leader locale del Bangladesh Nationalist Party (Bnp, nazionalista), e Jakir Hossain Sarkar, dell’Awami Juba League. I due avrebbero istigato la comunità islamica contro quella indù, con l’obiettivo di cacciare la minoranza dal villaggio e prendersi i terreni.

“Guidate da Jakir e altri leader – racconta Taslima Begum, musulmana di 40 anni – alcune persone sono venute nel villaggio è hanno costretto gli indù a vendere le loro case a prezzi stracciati.

Per la loro “fuga” il 22 marzo scorso alcuni musulmani sono stati denunciati e arrestati, incluso Rashid. Un funzionario di polizia di Taltoli, Mohammad Babul Akhter, riferisce: “Stiamo investigando sul caso con la massima urgenza”. Tuttavia, nonostante le assicurazioni delle autorità distrettuali, la comunità non ha intenzione di tornare al villaggio. “Se necessario – spiega il vice-commissario di Barguna, Mir Zahurul Islam – costruiremo loro nuove case con fondi del governo”.

Gli indù accusano l’amministrazione di non aver tenuto conto dei loro reclami e delle pressioni che hanno portato al loro esodo.

Le vittime spiegano che le ragazze della comunità hanno dovuto subire regolari molestie sessuali. Le persone hanno anche dovuto ritirare una denuncia contro Rashid, colpevole di aver torturato alcune donne, per via delle minacce di Jakir. “Ci hanno minacciato con coltelli e chiesto di abbandonare la zona subito. Ci siamo anche rivolti ai leader dell’Awami League [primo partito del Paese, ndr], ma è stato inutile”.

Persecuzione di natura religiosa, minacce ed espropri terrieri stanno riducendo a poco a poco la comunità indù in Bangladesh. Ogni mese ci sono episodi di demolizione di templi e idoli della minoranza. Dall’essere il 30% della popolazione nel 1947, quando il territorio [allora Pakistan orientale, ndr] è diventato indipendente dai coloni inglesi, oggi gli indù sono ridotto al 10% su oltre 164 milioni di persone.


Vedi anche


28/01/2014 BANGLADESH
Bangladesh, indù sotto attacco. A rischio la loro sopravvivenza
Ogni giorni templi vengono violati, negozi e case saccheggiati. Inutili le proteste da parte della società civile contro "le atrocità post-elettorali". La minoranza indù è presa di mira in modo sistematico, soprattutto dalle frange fondamentaliste islamiche. Come in passato, molti lasciano il Paese: oggi la comunità è inferiore al 10% della popolazione.

06/02/2015 BANGLADESH

Dinajpur, attaccato un villaggio cattolico. Il vescovo: Basta violenze
Mons. Sebastian Tudu lancia l'appello dopo settimane di tensione. Oltre 300 musulmani hanno aggredito la comunità per questioni legate a un terreno, di proprietà dei tribali cattolici. Negli scontri muore un islamico: il gruppo risponde dando fuoco a tutte le case.

08/01/2014 BANGLADESH

Bangladesh, madre e figlio cattolici uccisi per questioni di terra
I cadaveri di Monika Mridha e del figlio Sushil sono stati ritrovati ieri con colpi di arma da taglio su collo e testa. Il segretario generale dell'Associazione dei cristiani del Bangladesh ad AsiaNews: "Chiunque sia stato, ha approfittato del clima di impunità e di violenza delle elezioni. Chiediamo una punizione esemplare".

26/10/2009 BANGLADESH

Pressioni su una famiglia cattolica per derubarle casa e terreno
Gruppi di musulmani hanno sparato alla casa e hanno edificato un muro per espropriare il terreno, mentre la polizia non agisce. “Allah Akbar” al posto della croce. Già altre famiglie cristiane hanno dovuto lasciare la zona.




Alberto Pento
Non si combatte un'idolatria di morte che promuove l'assassinio e lo sterminio con un'altra idolatria di morte che promuove il lasciar uccidere e il lasciarsi uccidere e al contempo sostiene l'idolatria che uccide.
In tal modo si uccide la vita e si rende un cattivo servizio all'umanità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » ven dic 01, 2017 8:31 pm

???Fondamentalismo religioso???

Papa Francesco in Bangladesh: "Religioni unite contro il fondamentalismo religioso"
1 dicembre 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... so/4013174

Dal suo viaggio in Bangladesh Papa Francesco lancia il suo appello contro il fondamentalismo religioso. Durante un incontro con i leader islamici, induisti, buddisti, cristiani, Bergoglio ha apprezzato lo “sforzo di leader di diverse religioni di vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà”, ribadendo l’importanza del “diritto alla libertà religiosa“. Un appello che si scaglia contro chi cerca “di fomentare divisione, odio e violenza in nome della religione”. Al termine dell’incontro il pontefice ha incontrato tre famiglie appartenenti al gruppo Rohingya, l’etnia musulmana perseguitata e a cui è negata la cittadinanza.

“Possa il nostro incontro di questo pomeriggio – ha continuato Papa Francesco – Essere un chiaro segno degli sforzi dei leader e dei seguaci delle religioni presenti in questo Paese a vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà“. Parole che ricordano il discorso di pace tenuto davanti al Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. Bergoglio, come fatto più volte in passato, ha poi attaccato la corruzione: “Le religioni devono unirsi contro il virus della corruzione politica, delle ideologie religiose distruttive, della tentazione di chiudere gli occhi davanti a rifugiati, poveri, minoranze”.

Papa Francesco si è detto soddisfatto del cambiamento che sta investendo la società: “È un segno particolarmente confortante che credenti e persone di buona volontà si sentano sempre più chiamati a cooperare alla formazione di una cultura dell’incontro, del dialogo e della collaborazione. Ci stimola a tendere la mano all’altro in atteggiamento di reciproca fiducia per costruire un’unità che comprenda la diversità non come minaccia, ma come potenziale fonte di arricchimento e crescita” ha concluso il papa.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » sab dic 02, 2017 7:01 am

La diversità tra religioni sia fonte di arricchimento e crescita
01/12/2017

http://www.asianews.it/notizie-it/Papa- ... 42478.html

Il saluto con un gruppo di profughi Rohingya al termine di un incontro interreligioso ed ecumenico per la pace con cinque rappresentanti di comunità religiose. È “confortante” che “i credenti e le persone di buona volontà si sentano sempre più chiamati a cooperare alla formazione di una cultura dell’incontro, del dialogo e della collaborazione al servizio della famiglia umana. Ciò richiede più che una mera tolleranza. Ci stimola a tendere la mano all’altro in atteggiamento di reciproca fiducia e comprensione”.

Dhaka (AsiaNews) – La libertà religiosa, più ancora “uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti”, e l’incontro con un gruppo di 18 Rohingya, appartenenti a tre famiglie di profughi fuggiti dal Myanmar, hanno segnato l’incontro interreligioso ed ecumenico per la pace che ha concluso la lunga giornata del Papa a Dhaka.

Un incontro aperto con inni e danze tradizionali, seguito dall’indirizzo di saluto dell’arcivescovo di Dhaka, card. Patrick D’Rozario, C.S.C., e da quelli di cinque rappresentanti di comunità religiose (musulmana, hindu, buddista e cattolica) e della società civile. E Allamma Majharul Islam, Grand Khatib (grande custode) della Amber Shah Shahi Jami Mosque ha anche consegnato a Francesco una lettera che contiene una fatwa contro l’estremismo firmata da 100mila imam.

“Le parole che abbiamo ascoltato – ha detto il Papa - ma anche i canti e le danze che hanno animato la nostra assemblea, ci hanno parlato in modo eloquente del desiderio di armonia, fraternità e pace contenuto negli insegnamenti delle religioni del mondo. Possa il nostro incontro di questo pomeriggio essere un chiaro segno degli sforzi dei leader e dei seguaci delle religioni presenti in questo Paese a vivere insieme nel rispetto reciproco e nella buona volontà. In Bangladesh, dove il diritto alla libertà religiosa è un principio fondamentale, questo impegno sia un richiamo rispettoso ma fermo a chi cercherà di fomentare divisione, odio e violenza in nome della religione”.

“È un segno particolarmente confortante dei nostri tempi che i credenti e le persone di buona volontà si sentano sempre più chiamati a cooperare alla formazione di una cultura dell’incontro, del dialogo e della collaborazione al servizio della famiglia umana. Ciò richiede più che una mera tolleranza. Ci stimola a tendere la mano all’altro in atteggiamento di reciproca fiducia e comprensione, per costruire un’unità che comprenda la diversità non come minaccia, ma come potenziale fonte di arricchimento e crescita. Ci esorta a coltivare una apertura del cuore, in modo da vedere gli altri come una via, non come un ostacolo”.

“Permettetemi di esplorare brevemente alcune caratteristiche essenziali di questa ‘apertura del cuore’ che è la condizione per una cultura dell’incontro. In primo luogo, essa è una porta. Non è una teoria astratta, ma un’esperienza vissuta. Ci permette di intraprendere un dialogo di vita, non un semplice scambio di idee. Richiede buona volontà e accoglienza, ma non deve essere confusa con l’indifferenza o la reticenza nell’esprimere le nostre convinzioni più profonde. Impegnarsi fruttuosamente con l’altro significa condividere le nostre diverse identità religiose e culturali, ma sempre con umiltà, onestà e rispetto”.

“L’apertura del cuore è anche simile ad una scala che raggiunge l’Assoluto. Ricordando questa dimensione trascendente della nostra attività, ci rendiamo conto della necessità di purificare i nostri cuori, in modo da poter vedere tutte le cose nella loro prospettiva più vera. Ad ogni passo la nostra visuale diventerà più chiara e riceveremo la forza per perseverare nell’impegno di comprendere e valorizzare gli altri e il loro punto di vista. In questo modo, troveremo la saggezza e la forza necessari per tendere a tutti la mano dell’amicizia”.

“L’apertura del cuore è anche un cammino che conduce a ricercare la bontà, la giustizia e la solidarietà. Conduce a cercare il bene del nostro prossimo. Nella sua Lettera ai cristiani di Roma, San Paolo ha così esortato: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (12,21). Questo è un atteggiamento che tutti noi possiamo imitare. La sollecitudine religiosa per il bene del nostro prossimo, che scaturisce da un cuore aperto, scorre come un grande fiume, irrigando le terre aride e deserte dell’odio, della corruzione, della povertà e della violenza che tanto danneggiano la vita umane, dividono le famiglie e sfigurano il dono della creazione”.

“Le diverse comunità religiose del Bangladesh hanno abbracciato questa strada in modo particolare nell’impegno per la cura della terra, nostra casa comune, e nella risposta ai disastri naturali che hanno afflitto la nazione negli ultimi anni. Penso anche alla comune manifestazione di dolore, preghiera e solidarietà che ha accompagnato il tragico crollo del Rana Plaza, che rimane impresso nella mente di tutti. In queste diverse espressioni, vediamo quanto il cammino della bontà conduce alla cooperazione al servizio degli altri. Uno spirito di apertura, accettazione e cooperazione tra i credenti non solo contribuisce a una cultura di armonia e di pace; esso ne è il cuore pulsante. Quanto ha bisogno il mondo di questo cuore che batte con forza, per contrastare il virus della corruzione politica, le ideologie religiose distruttive, la tentazione di chiudere gli occhi di fronte alle necessità dei poveri, dei rifugiati, delle minoranze perseguitate e dei più vulnerabili! Quanta apertura è necessaria per accogliere le persone del nostro mondo, specialmente i giovani, che a volte si sentono soli e sconcertati nel ricercare il senso della vita!”.

E’ al termine dell’incontro che il gruppo di Rohingya, accompagnati da due interpreti della Caritas, hanno salutato Francesco. La loro vicenda è stata spesso evocata dal Papa, a partire dall’Angelus del 27 agosto quando parlò i “tristi notizie sulla persecuzione della minoranza religiosa, i nostri fratelli Rohingya. Vorrei esprimere – aggiunse -tutta la mia vicinanza a loro, e tutti noi chiediamo al Signore di salvarli e suscitare uomini e donne di buona volontà in loro aiuto, che diano loro i pieni diritti”.

E durante questo viaggio, anche se le autorità del Myanmar hanno chiesto che non fossero nominati, la loro vicenda è stata evocata a più riprese da Francesco fin dal suo arrivo nella ex-Birmania, quando affermò che il futuro del Paese deve essere “la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » dom dic 17, 2017 4:32 pm

L'Isis smentisce il Papa: "Vi vogliamo tutti morti in nome di Allah"
11 Aprile 2017
di Nicholas Farrell

http://www.liberoquotidiano.it/news/est ... disti.html

Secondo i saccenti nostrani in materia, cioè i progressisti, solitamente atei, quando un musulmano si mette ad ammazzare civili occidentali gridando «Allah Akbar» questo non è «terrorismo islamico». Non c' entra «la religione della pace» - ci spiegano - con comportamenti di questo genere e dire il contrario è islamofobia, causata da ignoranza e razzismo. Ovviamente, tante gente normalmente «infedele» all' islam - come me ad esempio, come la maggioranza, scommetto - non è per niente d' accordo. Ma non lo sono neppure i terroristi islamici stessi.

Anzi. Sono arrabbiatissimi con la macchina del fango occidentale che vuole spiegare il loro terrorismo in tanti modi (pazzia, povertà, perversione, ecc.) ma evitando a tutti costi un nesso con la religione islamica. E ce l' hanno anche col Papa che sta per visitare l' Egitto fra poco per lo stesso motivo. A febbraio ha detto: «Non esiste il terrorismo islamico». Nella rivista online dell' Isis - Dabiq - c' è un editoriale lunghissimo scritto in inglese ed intitolato «Break the Cross» (Spaccate la Croce) sul tema dell' ignoranza occidentale del terrorismo jihadista praticato in nome di Allah.

L'oggettivo dell' editoriale è di «correggere la falsa narrazione» sull' islam e spiegare chiaro e tondo «perché noi odiamo voi e perché noi combattiamo contro di voi». L' Isis, cioè Islamic State in Iraq and Syria, elenca in bianco e nero le motivazioni del suo terrorismo. Innanzitutto, noi occidentali dobbiamo morire perché non ci siamo convertiti all' islam e il Cristianesimo è blasfemia e offesa ad Allah punibile con la morte. Si legge: «Noi vi odiamo, prima e principalmente perché siete miscredenti; rifiutate l' unicità di Allah - anche se non ve ne rendete conto - voi siete colpevoli della blasfemia contro di Lui, pretendendo che Lui ha un figlio, voi fabbricate delle bugie contro i Suoi profeti e messaggeri, e commettete delle pratiche diaboliche di ogni tipo.

Non solo: la vostra miscredenza è la prima ragione per cui noi vi combattiamo; è la nostra fede che ci ordina di combattere i miscredenti finché non si sottomettono all' autorità dell' islam. Le penne dell' Isis si sentono in particolare offese da Papa Francesco perché ha detto più di una volta (più recentemente a febbraio) che non esiste «terrorismo musulmano» e che i jihadisti non sono motivati dalla religione e che i musulmani vogliono la pace e che il terrorismo commesso da musulmano è motivato dalla povertà. La loro unica motivazione invece, scrivono, è la religione come richede Allah nel Corano.
«Questa è una guerra divinamente giustificata fra le nazioni musulmane e le nazioni della miscredenza».
Ce l' hanno col Papa forse ancora più che con i progressisti probabilmente perché ha più peso spirituale.

Non è vero, dicono, che l' islam autentico secondo il Corano è contro la guerra e la violenza come sostiene il Papa che si nasconde dietro «un velo di buona volontà». Il messaggio dell' editoriale è chiarissimo: il dovere di ogni musulmano è di prender in mano la spada in nome del «più grande obbligo» di ogni musulmano genuino, cioè, la Guerra santa.
Nel frattempo gli attentati contro i cristiani in quelle chiese in Egitto domenica delle Palme vengono definiti - dal governo egiziano per esempio - assalti «contro gli egiziani» - cioè tutti - e dunque non contro solo cristiani. Mi dispiace: ma per capire il terrorismo islamico - ed islamico lo è - mi fido più dei terroristi stessi piuttosto che la sinistra progressista ed atea e persino del Papa.


Islam e islamici dove sta il problema?
viewtopic.php?f=188&t=2709
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » gio gen 04, 2018 8:11 pm

Alcuni ex musulmani divenuti cattolici e i loro amici a Sua Santità Papa Francesco circa il suo atteggiamento nei confronti dell'islam

Si riporta qui di seguito il testo di una Lettera aperta a Papa Francesco. Chi lo desidera, può firmarla. Essa verrà presentata al Pontefice non appena sarà raggiunto un numero significativo di firmatari. Grazie a tutti coloro che vorranno perciò farla conoscere. Ad ogni buon fine, si rammenta che: «In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono [i fedeli], essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità della persona» (Codice di Diritto Canonico, Can. 212 § 3):


http://exmusulmanschretiens.fr/355-2


Padre Santo,

Molti di noi, a più riprese e per diversi anni, abbiamo cercato di contattarla, ma non abbiamo mai ricevuto il minimo messaggio di avvenuta ricezione delle nostre lettere o richieste di colloquio. Lei non ama i convenevoli e noi neppure, ci consenta perciò di dirle con grande franchezza che non comprendiamo il suo insegnamento riguardo all’islam, quale noi lo leggiamo per esempio nei paragrafi 252 e 253 dell’ Evangelii gaudium, perché non tiene conto del fatto che, essendo l’islam venuto DOPO il Cristo, esso è, e non può che essere, un Anticristo (Cfr. 1 Gv 2.22), e uno dei più pericolosi al mondo, giacché si presenta come il compimento della Rivelazione (della quale Gesù non sarebbe stato altro che un profeta). Se l’islam è intrinsecamente una buona religione, come lei sembra insegnare, per quale ragione noi siamo divenuti cattolici? Le sue parole non mettono forse in dubbio la fondatezza della scelta che abbiamo fatto… a rischio della nostra vita? L’islam prescrive l’uccisione degli apostati (Corano 4.89; 8.7-11), forse che lei lo ignora? Come è possibile equiparare la violenza islamica e una presunta violenza cristiana ?! «Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l’iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre? Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?» (2 Cor 6.14-17). In conformità con il Suo insegnamento (Lc 14,26), noi L’abbiamo preferito, Lui, il Cristo, alla nostra stessa vita. Non siamo forse ben posizionati per parlare con lei dell’islam ?

In effetti, dal momento che l’islam vuole che siamo il suo nemico, noi lo siamo, e tutte le nostre proteste di amicizia non potranno cambiare nulla a questa realtà. Da buon Anticristo, l’islam non esiste se non per essere il nemico di tutti: «Tra noi e voi è sorta inimicizia e odio [che continueranno] ininterrotti, finché non crederete in Allah, l’Unico!» (Corano 6.4). Per il Corano, i cristiani «sono impurità» (Corano 9.28), «di tutta la creazione […] i più abbietti» (Corano 98.6) e «saranno nel fuoco dell’Inferno» (ibidem), pertanto Allah li deve sterminare: «Li annienti Allah» (Corano 9,30). Non bisogna lasciarsi ingannare dai versetti coranici cosiddetti tolleranti, perché sono stati tutti abrogati dal versetto della Spada (Corano 9.5). Mentre il Vangelo annuncia la buona novella di Gesù morto e risorto per la salvezza di tutti, compimento dell’Alleanza che ebbe inizio con il popolo ebraico, Allah non ha altro da offrire se non la guerra e l’uccisione degli «infedeli» in cambio del suo paradiso: «[poiché] combattono sul sentiero di Allah, uccidono e sono uccisi» (Corano 9.111). Noi non facciamo confusione tra islam e musulmani, ma se per lei il «dialogo» è la via della pace, per l’islam esso è solo un modo diverso di fare la guerra. Perciò, come è già accaduto nei confronti del nazismo e del comunismo, il buonismo di fronte all’islam è una scelta suicida e molto pericolosa. Come si può parlare di pace e al tempo stesso cauzionare l’islam, come lei sembra fare ? «Strappare dai nostri cuori la malattia che avvelena le nostre vite […] Quelli che sono cristiani lo facciano con la Bibbia e quelli che sono musulmani lo facciano con il Corano» (Messaggio per la giornata mondiale del migrante e del rifugiato, Roma, 20 gennaio 2014). Che il Papa intenda proporre il Corano come via di salvezza, non è forse qualcosa di inquietante? Dovremmo quindi tornare all’ islam?

La supplichiamo di non voler cercare nell’islam un alleato nella battaglia che sta conducendo contro le potenze che cercano di dominare e asservire il mondo, perché seguono tutti la medesima logica totalitaria, basata sul rifiuto della regalità di Cristo (Lc 4.7). Sappiamo che la Bestia dell’Apocalisse, la quale cerca di divorare la Donna e il suo Bambino, possiede molte teste… Allah, d’altronde, proibisce alleanze di questo genere (Corano 5.51)! E, soprattutto, i profeti hanno sempre rimproverato a Israele la sua volontà di allearsi con le potenze straniere, a discapito della fiducia assoluta che bisogna avere in Dio. Certo, è forte la tentazione di pensare che un discorso a favore dell’islam potrebbe risparmiare ulteriori sofferenze ai cristiani nei paesi divenuti musulmani; ma, a parte il fatto che Gesù non ci ha mai indicato altro cammino se non quello della Croce, ragion per cui noi dobbiamo trovare in essa la nostra gioia e non invece fuggirla come fanno tutti i dannati, non dubitiamo affatto che solo la proclamazione della Verità possa apportare, insieme con la salvezza, anche la libertà (Gv 8.32). Il nostro dovere è quello di rendere testimonianza alla verità, «in ogni occasione opportuna e non opportuna» (2 Tm 4.2), e la nostra gloria è quella di poter dire con san Paolo: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1 Cor 2.2).

In correlazione con il discorso di Sua Santità sull’islam, proprio mentre il Presidente Erdogan, tra gli altri, chiede ai suoi compatrioti di non integrarsi nei paesi di accoglienza e l’Arabia Saudita, insieme con tutte le petromonarchie, non accoglie alcun profugo ― fatti rivelatori questi, fra tanti altri, del progetto di conquista e d’islamizzazione dell’Europa, ufficialmente proclamato dall’OCI (Organizzazione della Conferenza Islamica) e da altre organizzazioni islamiche ormai da decenni―, lei, Santo Padre, predica l’accoglienza dei migranti senza tener conto del fatto che essi sono musulmani e che il comandamento apostolico ne fa divieto: «Se qualcuno viene a voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo. Poiché chi lo saluta partecipa alle sue opere perverse» (2 Gv 1.10-11); «Se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema!» (Gal 1.8-9).

Allo stesso modo in cui «Ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare» (Mt 25.42) non può significare che Gesù avrebbe voluto essere un parassita, allo stesso modo «Ero forestiero e non mi avete ospitato» non può significare «Ero un invasore e mi avete accolto», bensì: «Ho avuto bisogno della vostra ospitalità per un certo tempo, e voi me l’avete accordata». Il termine ξένος (Xénos) nel Nuovo Testamento non rimanda unicamente al significato di straniero, ma anche a quello di ospite (Rom 16.23; 1 Cor 16.5-6; Col 4.10; 3 Gv 1.5). E quando YHWH, nell’Antico Testamento, comanda di trattare bene gli stranieri perché anche gli Ebrei sono stati stranieri in Egitto, ciò è a condizione che lo straniero si integri con il popolo eletto al punto da accettarne la religione e praticarne il culto… In nessun caso si tratta di accogliere uno straniero che intende conservare la propria religione e i propri costumi! Pertanto, non comprendiamo come lei possa perorare la causa dei musulmani che vogliono praticare la loro religione in Europa. Il significato delle Sacre Scritture non deve essere stabilito dai propugnatori del mondialismo, ma permanendo nella fedeltà alla Tradizione. Il Buon Pastore è colui che scaccia il lupo, non certo chi lo fa entrare nel recinto delle pecore.

Il discorso pro-islam di Sua Santità ci spinge a deplorare che i musulmani non siano invitati ad abbandonare l’islam e che tanti ex musulmani, come Magdi Allam, abbiano lasciato la Chiesa, scoraggiati dalla sua vigliaccheria, addolorati dai suoi gesti equivoci, confusi dalla mancanza di evangelizzazione, scandalizzati dall’elogio tributato all’islam… In questo modo le anime ignoranti si trovano confuse e i cristiani non si preparano al confronto con l’islam, al quale sono stati sollecitati da san Giovanni Paolo II (Ecclesia in Europa, n. 57). Abbiamo l’impressione che il suo confratello Mons. Nona Amel, arcivescovo cattolico caldeo, esiliato da Mosul, abbia parlato nel deserto: «Le nostre sofferenze attuali sono il preludio di quelle che voi, Europei e cristiani occidentali, soffrirete in un prossimo futuro. Io ho perso la mia diocesi. La sede della mia Arcidiocesi e del mio apostolato è stata occupata dagli islamisti radicali, i quali ci vogliono convertiti o morti (…). Voi accogliete nel vostro paese un numero sempre crescente di musulmani. Siete anche voi in pericolo. È necessario che prendiate decisioni forti e coraggiose (…). Voi pensate che tutti gli uomini siano uguali, ma l’Islam non dice affatto che tutti gli uomini sono uguali (…). Se non comprendete questo molto in fretta, diventerete le vittime del nemico che avete accolto in casa vostra» (9 agosto 2014; cfr. inoltre qui). Si tratta di una questione di vita o di morte, e ogni atteggiamento compaciente nei confronti dell’islam di compiacenza di fronte all’islam è un tradimento. Noi non vogliamo che l’Occidente continui a islamizzarsi, né che lei vi contribuisca a ciò con la sua azione. Dove dovremmo andare a cercare di nuovo un rifugio?

Santità, ci consenta di chiederle di convocare al più presto un sinodo sui pericoli dell’ islam. Che cosa rimane della Chiesa nei paesi in cui si è insediato l’islam? Se essa vi possiede ancora diritto di cittadinanza, è solo nello status di dhimmitudine, a condizione cioè che non evangelizzi e che rinneghi in tal modo se stessa… Per amore della giustizia e della verità, la Chiesa deve proclamare alla luce del sole i motivi per i quali le argomentazioni addotte dall’islam per bestemmiare la fede cristiana sono false. Se la Chiesa ha il coraggio di fare questo, siamo certi che i musulmani, e anche tanti altri uomini e donne che sono alla ricerca del vero Dio, si convertiranno a milioni. Come lei ha ricordato : «Chi non prega Cristo, prega il Diavolo» (14.03.13). Se le persone sapessero di andare all’Inferno, darebbero la loro vita a Gesù (Cfr. Corano 3.55)…

Con il più profondo amore verso il Cristo, che attraverso di lei guida la Sua Chiesa, noi, cattolici provenienti dall’islam, con il sostegno di tanti nostri fratelli nella fede, in modo particolare quello dei cristiani d’Oriente e dei nostri amici, chiediamo a Sua Santità di voler confermare la nostra conversione a Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, unico Salvatore, per mezzo di un discorso franco e diretto sull’islam. Assicurandole la nostra preghiera nel Cuore dell’Immacolata, chiediamo la sua apostolica benedizione.

Lista dei nomi dei firmatari, con le rispettive e-mail (è ovvio che non tutti gli ex musulmani firmeranno questa Lettera, per timore di possibili rappresaglie):
...
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mar gen 16, 2018 10:10 pm

Incollo da un mio lungo post al sito "Deportati mai più".Ad A. Messina e D. Stimolo

https://www.facebook.com/francomatteo.m ... 5377578781


Spiace dover ripetere e ricordare ai lettori di formazione cristiana e laica che per secoli gli Ebrei viventi nei territori arabi son stati trattati dagli Arabi musulmani come "dhimmi", cioè cittadini "servi protetti", e obbligati al pagamento di una tassa speciale, detta "jiza". Che la Palestina è considerata dalle leggi della sharìa islamica passata e recente come terra eternamente araba, e che quindi gli Ebrei che avevano acquistato negli anni '30 e '40 terre arabe avrebbero avuto sì il diritto di possederle, ma sempre come "dhimmi" cioè soggetti alla rete generale della legislazione islamica e quindi senza alcun diritto di costruirvi un loro "Stato", visto come del tutto illegale ed usurpativo dei diritti della popolazione proprietaria araba, per diritto islamico.
IL PUNTO E' PROPRIO QUI.. Se gli Ebrei son stati in qualche modo costretti a edificare uno Stato "loro", per Ebrei, in Palestina, lo si deve al fatto che 1) era la loro casa patria da secoli, e da cui erano stati espulsi dai Romani di Tito, Vespasiano e Adriano, nel 70 e nel 135 era volgare; 2) nè i Cristiani cattolici nè gli ortodossi greci bizantini avrebbero mai permesso, a causa dell'antigiudaismo ecclesiastico perdurante nei secoli, la rinascita di uno Stato Ebraico; 3) e neanche il nascente Islam avrebbe permesso un'impresa del genere, per i pessimi rapporti instaurati da Maometto con gli Ebrei di Medina, con i quali entrò in guerra vittoriosamente per la stragrande forza del numero dei musulmani suoi seguaci. 4) ogni anno, da secoli, nella sera di Pasqua gli Ebrei ripetevano e ripetono verbalmente e con i sentimenti di nostalgia la speranza di poter ritornare nell'antico territorio di nascita come popolo (Mosè è di circa 13 secoli prima della nascita del Cristianesimo; il re Davide è di quasi 1000 anni av.C.); per cui dopo il crollo per sconfitta alla Prima Guerra Mondiale dell'Impero Ottomano, - che aveva avuto il dominio delle terre palestinesi, chiamate Siria del Sud - , (sorvolo sulla ben nota Dichiarazione Balfour, pur importante per capire la storia successiva) l'acquisto di terre palestinesi da parte di Ebrei durante il Mandato Britannico fu un fatto perfettamente legale, dichiarato tale a denti stretti perfino dall'antisemita imam egiziano Amin Al Husseini, capo religioso islamico dell'università religiosa del Cairo ( e amico di Hitler); un popolo schiavo degli altri per duemila anni riesce dopo fatiche e strazi inenarrabili (si pensi alle stragi scientifiche naziste) a comprarsi a carissimo prezzo pezzi di terra dell'antica patria, e con immenso sacrificio e fatica dissoda le terre incolte e le rende fruttifere, per amore di libertà e senso di felicità verso l'antica patria perduta (cfr Nabucco di Verdi) e in via di riconquista di diritto; cosa c'è in questo di colonialistico e oppressivo ? questo "ishuv" (villaggi e terre acquistate da Ebrei e abitate da coloni ebrei) fu visto come pericoloso dall'imam Amin Al Husseini, perchè temeva la formazione di un piccolo stato indipendente ebraico; per cui gli Arabi aizzati da questo criminale fanatico integralista islamico decisero di cacciar via gli Ebrei e di sterminarli, considerandosi i padroni eterni di quelle terre. La scelta del ritorno in Palestina fu fatta alla fine dell''800 dai Congressi Sionistici dei tempi di Herzl, perchè apparve la scelta più sensata e identificativa storico.spirituale e culturale, rispetto alla possibilità di erigere uno Stato altrove, in Uganda, per luna popolazione ebraica discriminata nel mondo (cfr. affare Dreyfus). Uno Stato indipendente per Ebrei nell'antica cara terra, dal momento che il ritorno a Sion fu visto come il più naturale e consono all'antica storia millenaria di popolo; in nessuna altra parte del mondo gli Ebrei avevano ricevuto e guadagnato il diritto di farlo. Lo Stato Ebraico fu dichiarato nel '48 perchè non vi furono le premesse per la costruzione di un solidale Stato Federale Israelo-Palestinese. La creazione di uno Stato come entità giuridico-politico.economica fu l'unico modo per essere indipendenti come Ebrei e non più essere soggetti alla schiavitù delle leggi islamiche ("dhimmitudine") o alle stelle gialle del MedioEvo cristiano, riprese poi dalle legislazioni antisemite cristiane cattoliche, e successivamente anche post-luterane protestantiche, e infinedai Tedeschi nazionalsocialisti che seppero sfruttare il vecchio antisemitismo cristiano, cattolico e protestante mai scomparso.
Per tutto questo, lo Stato d'Israele degli Ebrei rispose a una necessità storica oggettiva di difesa concreta ebraica dalle leggi islamiche oppressive e discriminatorie attuate nei confronti della popolazione ebraica nei secoli, per legislazione coranica ("dhimmitudine").-.
Se non si tiene conto di tutto questo, lo Stato d'Israele non potrà esser mai compreso nelle sue ragioni.
La mentalità palestinese ed araba in generale non tiene conto di questi importanti precedenti storici perchè esalta le leggi coraniche come un divino assoluto incontrovertibile ed insuperabile. E contro questa mentalità che non tiene conto della realtà antica e presente del popolo ebraico che gli Ebrei son costretti a scontrarsi ogni giorno, contro il pregiudizio storico-culturale per cui la terra palestinese è soltanto palestinese e gli Ebrei degli intrusi e dei violenti, che devono essere messi di nuovo nella condizione di "servi"..
Questa mentalità vetero-islamica ben viva a tutt'oggi (anche presso i numerosi amici dei "palestinisti") è secondo me la principale nemica dei diritti oggettivi della popolazione palestinese, che in realtà si trova strumentalizzata dagli stessi Arabi, ai quali piace continuamente gridare "al ladro sionista!" per mascherare la propria incapacità di riconoscere che il popolo ebraico ha tutto il diritto di possedere legalmente quella terra che era stata ebraica ben prima della nascita di Maometto, popolo ebraico che ha avuto tutto il diritto di tornare a casa dopo secoli di servaggio cristian-islamico comprando le proprie antiche terre, trovate per lo più abbandonate e in rovina, terre acquitrinose e malariche che gli Arabi non avevano mai dissodato con amore per il non cale arabo verso quella terra, vista come semplice appendice della Siria e non terra in qualche modo speciale. Non si capisce perchè per gli Arabi Gerusalemme sia dichiarata "santa", dal momento che essa era sempre stata tale solo per gli Ebrei e che Maometto, che pure agli inizi della sua missione pregava rivolgendosi verso Gerusalemme, in seguito pensò fosse meglio pregare rivolgendosi verso la Mecca, evidentemente ritenuta più santa di Gerusalemme, declassando in questo modo la santità di Gerusalemme, che prima sembra avere intuìto.
Gli errori oggettivi dei governi israeliani verso i Palestinesi nel tempo saranno sempre ricoperti dagli errori ben più madornali mentali e socioculturali e religiosi degli stessi Arabi, quando non riconoscono in alcun modo il diritto al ritorno degli Ebrei nella loro antica casa e non sono disponibili a convivere con loro, con loro che tramite Mosè e i profeti hanno insegnato il monoteismo e la civiltà dell'etica ebraica mosaica allo stesso Maometto.
Quando i Palestinesi e gli Arabi avranno imparato a rispettare i diritti ebraici sulla "Palestina" contesa, allora anche gli Israeliani saranno pronti a dare una mano ai fratelli palestinesi islamici (cosa che già di fatto avviene in vari modi nei territori contesi, perchè la legislazione israeliana tratta in modo civile i Palestinesi israeliani, contrariamente al modo con cui i Palestinesi trattano i cittadini Ebrei, visti come per lo più da eliminare con odio e disprezzo!).

Tutte le Tamimi 17enni palestinesi saranno sempre fuori strada quando accanto alla giusta lotta per i diritti palestinesi imboccheranno senza rendersene conto la vecchia mortale strada dell'odio agli Ebrei in quanto Ebrei, tipico della lettura coranica errata da secoli a questa parte.

Franco Mascolo (Milano)


Franco Matteo Mascolo
La mia conclusione popolare e se volete semplicistica elementare provocatoria sintetica ma essenziale, è: se c'era già la struttura religiosa ebraica di popolo, perchè crearne altre, come han fatto Cristiani e Musulmani?

Gino Quarelo
I cristiani all'inizio erano una fazione, una setta ebraica interna all'ebraismo, poi apertasi ai gentili è diventata completamente altro, nata con l'ebreo Cristo fanatico, esaltato con le sue fisse religiose contrarie ai sadducei, ai farisei e chissà a chi altro. I maomettani sono una mostruosità criminale disumana. Io che sono veneto cresciuto come cristiano cattolico romano e ora divenuto felicemente aidolo, personalmente non ho bisogno di alcuna religione anche se per molti aspetti sento pù umanamente vicina quella ebraica.

Franco Matteo Mascolo
Si legga del prof. David Flusser (z.l.), , insegnante universitario di Ebraismo del Secondo Tempio all'università gerosolimitana di Bar Ilan, scomparso non molti anni fa, il suo ricchissimo libretto "Jesus", in modo da avere un quadro della società in cui Jeshùa operava. Ma chi è poi lei che bacchetta Jeshua e lo chiama fanatico esaltato? questo commento non le fa onore come studioso...

Gino Quarelo
Altri ebrei lo chiamavano blasfemo. Io sono un uomo come lei e come Cristo e mi limito a definire Cristo esaltato e fanatico per taluni aspetti/elementi che emergono delle sue parole, dai suoi atti, dalle sue credenze: il credersi capro espiatorio dell'umanità intera è un elemento caratterizzante il fanatismo e l'esaltazione. Uno che si crede Dio poi! Io sono la via, la verità e la vita.

Franco Matteo Mascolo
lei prende per parole di Jeshua le interpretazioni dei suoi discepoli; io vi leggo invece il contrario, leggendo la Buona Notizia, è l'azione giusta e caritatevole che salva (cfr esempio shoccante del buon abitante di Samaria, considerato un grave eretico dagli Ebrei ortodossi) cioè la compassione verso chi si trovi in grave difficoltà, i sofferenti, i poveri, gli emarginati, i senza diritti, (gli "am ha aretz" il popolo della terra) più che le pratiche ritualistiche che vengano viste come più importanti del levitico amore verso il simile. Lei ha una concezione ancora cattolica di Gesù, per questo non lo può soffrire, perchè egli in realtà non si è caricato dei mali del mondo come un agnello di sacrificio come hanno creduto i suoi seguaci che erano ancora attaccati alla mentalità ebraica dei sacrifici vicari (ricordiamo che gli Ebrei dell'epoca seguendo le antiche usanze primitive tipiche di tutti i popoli antichi credevano che il sacrificio di una bestiola pura significasse un vero atto di pentimento agli occhi del Cielo - cosa già criticata dai Profeti!!!). Jeshua riprende la saggezza dei Neviim secondo i quali soltanto l'azione giusta è davvero gradita al Cielo...!

Gino Quarelo
Bene abbiamo appurato che per lei Cristo è solo un ebreo e non il Dio o idolo dei cristiani.
A me sta bene che Cristo sia solo un ebreo o giudeo, infatti io non credo minimamente, perché assurdo, che sia Dio e quindi io mi limito a esprimere il mio giudizio sul Cristo dei Cristiani.
Sul suo Cristo o sulla sua intepretazione di Gesù Cristo come ebreo e non come Dio o idolo dei cristiani possiamo tranquillamente discuterne.
Io sono un uomo veneto e non ho assolutamente bisogno di Cristo, né come uomo né come Dio o idolo.
Però la mia umanità si umanizza anche attraverso l'umanità altrui e i vari casi umani della storia e quindi anche attraverso il caso dell'ebreo Gesù Cristo con la cui esperienza può essere interessante confrontarsi.

Certo è che l'antisemitismo millenario dei cristiani nasce proprio in seno al mondo ebraico nel conflitto tra ebrei cristiani ed ebrei non cristiani.
Sarebbe assai interessante comprendere per bene questa contrapposizione da cui potrebbe risanarsi il conflitto sanguinoso.


Franco Matteo Mascolo
Non è esatto, gli Ebrei accettanti Jeshua come Masciach e sinceramente fedeli alla Torah erano ben accettati (cfr Atti degli Apostoli, vi erano perfino sacerdoti e farisei tra i seguaci di Rabbi Jeshua)...); non era facile capire la fede di Jeshua che ci insegna a potenziare la scintilla divina in noi in modo da avvicinarci sempre meglio al Padre; Rabbi Jesua era lontanissimo dal sentirsi divino ma insegnava un cammino che portava vicino al divino, il divino in noi da riscoprire e praticare. Nessuna trinità teologica (venuta molto dopo da parte dei Cristiani gentili) o interpretazione del tempo, nata per non perdere di vista il mistero profondo della potenza spirituale di Rabbi Jeshua, ma seppellendo la sua reale ebraicità sotto cumuili di teologia greca, lontana dal semplice credo ebraico ...

Gino Quarelo
Perché uccisero l'ebreo cristiano Stefano?

Franco Matteo Mascolo
Gli integralisti temono sempre le novità spirituali e Stefano poteva essere più diplomatico (almeno leggendo gli Atti); Simone Pietro non fu ucciso, nè con le pietre, nè con altro, evidentemente insieme ai principali seguaci sapeva distinguere la verità, accettando sia la Torah sia l'annuncio del Rabbi visto come annunciatore messianico supremo; fu ucciso secondo la tradizione dai Gentili al potere a Roma, perché evidentemente il nuovo movimento ebraico era visto come una guerra silenziosa al potere romano


Certo è che il suo Gesù Cristo non coincide con quello dei cristiani di tutto il mondo.
E ciò è un problema sia per gli ebrei, sia per i cristiani sia per l'umanità intera che è coinvolta direttamente o per riflesso da questa conflittualità per ora insanabile.


https://it.wikipedia.org/wiki/David_Flusser


La Birkat Ha Minim è la dodicesima benedizione dell'Amidah.

https://it.wikipedia.org/wiki/Birkat_Ha_Minim

Secondo il Talmud questa formula fu redatta da Samuele il giovane secondo le indicazioni di Gamaliele II, il capo del Sinedrio dal 70 d.C., e si traduce con:

« Per i calunniatori e per gli eretici non vi sia speranza, tutti si perdano presto, tutti i Tuoi nemici vadano in rovina repentinamente. Tu li annichilirai ai nostri giorni. Benedetto sii Tu o Signore che spezzi gli avversari ed umili i reprobi »


La Ha Minim e i rapporti tra ebrei e cristiani

La Ha Minim nella forma attuale è quella presente nel Talmud Babilonese. Una versione primitiva della benedizione nella liturgia sinagogale è stata ritrovata in un frammento della Ghenizah del Cairo (Egitto) ed aveva forma significativamente diversa: "Che per gli apostati non ci sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il regno dell'orgoglio; e periscano in un istante i nozrim e i minim; siano cancellati dal libro dei viventi e con i giusti non siano iscritti. Benedetto sei tu che pieghi i superbi." Come si può notare, accanto ai minim (eretici o dissidenti) si impreca contro i nozrim, i nazareni, cioè i seguaci di Gesù di Nazareth, a cui venne comminata la scomunica poiché, pur pretendendo di rimanere dentro la sinagoga, la dividevano nella fede, proteggevano i "gentili", soprattutto i romani, e distruggevano il principio dogmatico della habdàlàh ossia la separazione tra circoncisi e non. La comunità giudeo-cristiana frequentava infatti il Tempio e le sinagoghe.

L'introduzione nella "Tefillah" (=preghiera) di una preghiera aggiuntiva (nella numerazione antica era la diciannovesima "benedizione"), due decenni dopo la distruzione del Tempio, sembra essere stata fatta proprio come maledizione contro la setta eretica dei giudeo-cristiani, sia per tenerli lontani dalla sinagoga, sia per proclamare formalmente la rottura definitiva tra le due religioni. Questa ipotesi è stata già formulata nel Medioevo da Maimonide e ripresa ai nostri giorni dal rabbino americano J. Petuchowski.

Preghiere ebraiche contro gli ebrei convertiti al cristianesimo sono menzionate anche da Giustino, Girolamo e Epifanio di Salamina. Altri studiosi, però, ritengono che la menzione dei Nazareni non sia originaria, ma sia stata aggiunta successivamente, senza riuscire tuttavia a precisare quando. La sostanza, tuttavia, non cambierebbe, in quanto i cristiani sarebbero stati implicitamente compresi fra gli eretici (i "minim").
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » dom gen 21, 2018 2:20 pm

Il peso scomodo della verità

http://www.linformale.eu/intervista-mor ... lla-verita

Mordechai Kedar è oggi in Israele una delle più autorevoli voci immerse nella realtà, e come ogni voce che strappa le maschere ai fatti è nemico giurato dei luoghi comuni e delle narrative consolidate. Studioso e conferenziere noto a livello internazionale, Kedar conosce profondamente la cultura araba e islamica. La conoscenza dell’arabo gli consente di avere un accesso diretto e privilegiato alle fonti e ai documenti che la maggioranza dei suoi colleghi possono leggere solo in traduzione. La lingua come strumento per entrare nella profondità delle cose e sfatare miti e leggende, o come si dice oggi, le “fake news”.

Lo abbiamo incontrato a Ra’anana, dove si è trasferito da anni.

Secondo la studiosa europea Bat Ye’Or, “Il jihad è al centro della storia e della civiltà islamica. Da quando la dottrina venne elaborata per la prima volta nella giurisprudenza del VII e IX secolo non è più stata messa in questione“. Qual è la sua opinione?

Potrei dire con una battuta di spirito se il tema non fosse molto serio che l’Islam senza il jihad è come un gatto senza baffi. Ovviamente ci sono anche altri comandi prescrittivi ma il jihad è il modo in cui si mettono gli altri nelle condizioni di accettare l’Islam. Il jihad può essere pacifico, la parola significa infatti sforzo e lo sforzo può essere di natura pacifica. Si può essere benevoli nei confronti degli altri convincendoli, come nel caso del jihad attraverso la dawa, in altre parole del jihad che chiama i non musulmani all’Islam, attraverso la persuasione, l’indottrinamento, la benevolenza. Quindi si tratta di una pratica intesa a promuovere l’Islam, tuttavia, se si rifiuta o si agisce contro l’Islam allora il jihad può trasformarsi nel “jihad el kitai”, il jihad della guerra, e qui tutto è permesso. Per esempio, le terre degli infedeli possono essere loro sottratte insieme alle loro mogli e così via. Una volta che l’Islam ha messo in atto questo mezzo attraverso cui diffondersi, il jihad è diventato di fatto la modalità con cui l’Islam opera quando si tratta degli altri. Internamente ci sono mezzi diversi al suo operare, come i califfi, i capi, ma quando si tratta degli infedeli, gli ebrei, i cristiani, i buddisti, ecc. allora c’è il jihad. Il Jihad è l’anima dell’Islam fin dalla sua origine, dai tempi di Maometto.

In una intervista che ho avuto l’anno scorso con lo storico Benny Morris, a una mia domanda sul ruolo della religione nel conflitto arabo-israeliano, ha risposto in questo modo, “Esiste un profondo antagonismo religioso da parte dell’Islam nei confronti dell’ebraismo ed è ancorato nel Corano in quanto quando Maometto iniziò la sua predicazione, l’ebraismo era una religione rivale. La religione è la base del persistente antagonismo dei musulmani contro ebrei e cristiani ed è la giustificazione per il jihad”. È d’accordo?

Sì, sono d’accordo, ed è molto più di questo. L’Islam e i musulmani sono ossessionati dall’ebraismo. Maometto venne accusato dai suoi detrattori che tutto il Corano non fosse altro che un copia e incolla da fonti ebraiche. C’è una espressione nel Corano, “asatir al awalin”, significa “le favole degli antichi”, o “le storie dei primi”. “Asatir”, di fatto è il plurale della parola “ushtura”, che significa favola, “ushtura”, “storia” è la stessa parola che fa il suo ingresso dall’arabo nel latino. Questa fu un’accusa che venne rivolta a Maometto dai Meccani i quali lo avevano sentito parlare del mondo creato in sette giorni, di Adamo ed Eva, di Noè e dell’Arca e del diluvio, di Abramo e Giacobbe, di Gesù Cristo e di Giovanni. La gente della Mecca lo accusò di avere composto il Corano attraverso le storie degli antichi. Questa espressione ricorre non meno di undici volte nel Corano. Undici volte il testo fa menzione del fatto che Maometto venne descritto come un plagiario il quale aveva rubato il materiale dagli ebrei e dai cristiani. Già all’epoca, Maometto era ossessionato da questa accusa perché desiderava mostrare ai Meccani che l’Islam fosse una religione originale, indipendente. A questo scopo propagò la nozione che l’Islam è la religione della verità mentre l’ebraismo e il cristianesimo sono religioni false. Questo è l’insegnamento base del Corano contro l’ebraismo e il cristianesimo. Nel Corano gli ebrei sono descritti come i discendenti di scimmie e maiali e come i maggiori odiatori dei musulmani. Gli ebrei sono coloro i quali uccidono i profeti, un’accusa presa dal cristianesimo. Secondo l’esegesi generale del primo capitolo del Corano, gli ebrei sono coloro sopra i quali risiede l’ira di Allah mentre i cristiani sono coloro i quali si sono smarriti. Nel Corano, fin dai giorni di Maometto, l’atteggiamento nei confronti dell’ebraismo è stato chiaramente molto negativo.

Nella sua Carta del 1988 e nella sua versione di quest’anno recente leggermente emendata, Hamas è molto esplicito nello specificare che tutta la Palestina appartiene all’Islam. Se uno legge o ascolta quello che Fatah dice in proposito scopre che in realtà non esiste una grande differenza tra le due fazioni. E’ così?

Indubbiamente. Entrambi odiano gli ebrei, odiano lo stato di Israele, odiano l’esistenza di qualsiasi entità ebraica e si diversificano solo in base a delle sfumature. Affermare che Fatah è un movimento secolare mentre Hamas è religioso è errato. Si tratta di una distinzione occidentale, europea che si cerca di imporre qui. Anche Abu Mazen, così come faceva Arafat, va in moschea ogni venerdì, dunque cosa sono, secolari o religiosi? Nell’Islam non c’è alcuna ideologia secolare, diversamente che nel cristianesimo o nell’ebraismo. Nell’Islam non c’è mai stata alcuna tolleranza nei confronti di coloro i quali mettevano in discussione la religione, non ci sono mai stati abbastanza individui sufficientemente coraggiosi da mettere in discussione la mera esistenza o la validità della loro religione, si è trattato sempre di pochissime persone. Tradizionalmente non c’è alcuna divisione tra secolare e religioso nell’Islam. Possiamo dire che Fatah basa la sua visione più su idee nazionaliste cercando di non usare troppo la base religiosa mentre Hamas si basa molto di più su una piattaforma religiosa anche se fa propria anche una prospettiva nazionalistica.

Non ritiene che una delle ragioni più persistenti del conflitto Arabo-Israeliano risieda nel fatto che per I musulmani è intollerabile che gli ebrei, i quali per secoli furono dhimmi sotto di loro, abbiano un loro stato in quella che è considerata terra islamica per sempre?

Innanzitutto, per l’Islam la terra rappresenta un biglietto di sola andata, è un modo di entrare nell’Islam, non di uscirne. Ogniqualvolta, nel passato, gli zoccoli dei cavalli si sono appoggiati su un terreno, esso è diventato di proprietà islamica. Questa è la ragione, nella visione musulmana, per la quale la Spagna dovrebbe ritornare all’Islam, la Sicilia dovrebbe ritornare all’Islam, larghe aree nei Balcani su fino a Vienna, dove i musulmani vennero sconfitti nel 1683, dovrebbero tornare all’Islam, in quanto una volta erano sotto la sua occupazione. Siccome, nella prospettiva teologica islamica, gli ebrei hanno una religione falsa, la loro punizione è quella di vivere in esilio e di vivere sotto il dominio islamico in quanto dhimmi. Bat Ye’Or, nel suo lavoro, ha descritto molto bene quale fosse la condizione dei dhimmi ebrei e cristiani quando vivevano sotto l’imperio islamico. Lo stato di Israele è, per così dire, costituito da una serie di incidenti di strada. Il primo fu nel 1948 quando gli ebrei crearono uno stato in questo paese e per doverlo fare dovettero uccidere i musulmani, e gli ebrei non hanno alcun diritto di uccidere i musulmani, se lo fanno, per la legge islamica, perdono tutti i loro diritti.
Il secondo fu nel 1967 quando gli ebrei presero, dalla Giordania che occupava il territorio illegalmente, la cosiddetta West Bank e quindi Gerusalemme Est. Ora gli ebrei potrebbero volere tornare al Monte del Tempio per rinnovarvi la vita ebraica nel luogo che fu distrutto dai romani mille anni fa. In questo modo, se ritorneranno al Monte del Tempio, l’ebraismo rifiorirà nello stesso luogo in cui per secoli è stato una religione prospera. Ciò pone un serio problema per l’Islam poiché esso è apparso nel mondo per rimpiazzare sia l’ebraismo che il cristianesimo. Dunque, se l’ebraismo dovesse rifiorire a Gerusalemme e specialmente sul Monte del Tempio, l’intera raison d’être dell’Islam verrebbe messa in questione. Questa è la ragione per la quale i musulmani si oppongono così risolutamente a che gli ebrei possano pregare sul Monte del Tempio. Ciò significherebbe il ritorno alla vita dell’ebraismo come era prima che in questo luogo venisse cancellato dall’Islam. Qui il sentimento religioso pervade tutto. Prima di ogni altra cosa, il conflitto tra Israele e i suoi vicini è un problema religioso, un conflitto religioso. Su questa fondamenta, sono sovrapposte una serie di questioni nazionali, territoriali, legali, politiche, ma la base di tutto è religiosa.

Uno degli aspetti che colpiscono maggiormente della propaganda araba-islamica contro Israele è il fatto che è profondamente radicata nell’antisemitismo coranico classico e al contempo ha ereditato i paradigmi dell’antisemitismo occidentale: Gli ebrei sono i nemici dell’umanità, dispongono di un enorme e nefasto potere, il sionismo è ontologicamente malvagio. Non è del tutto illusorio pensare che qualcosa di così forte e persistente possa cessare?

Ci vogliono intere generazioni per modificare le culture. Non è affatto facile. I tedeschi avevano una cultura molto problematica che abbiamo visto in azione durante la prima e la seconda guerra mondiale, ma il fatto che siano stati pesantemente sconfitti da altre potenze gli ha fatto modificare la loro cultura, e oggi, apparentemente, sono diversi dal passato, quindi, a meno che una nazione non passi attraverso un vero disastro non modificherà la propria mentalità. Per due millenni gli ebrei hanno avuto la mentalità degli esiliati, quella di comunità abituate a vivere sotto gli altri traendo il meglio da questa situazione svantaggiata, ma l’Olocausto convinse la maggioranza degli ebrei che non esistesse nessun altro modo di potere vivere nel mondo se non in un loro stato indipendente. Ovviamente il sionismo cominciò sessanta anni prima dell’Olocausto, ma fu a causa di questo che molti ebrei si convinsero che solo Israele rappresentava per loro un luogo sicuro, mentre altri si trasferirono negli Stati Uniti o altrove. Qui si trasferirono milioni di ebrei dopo l’Olocausto poiché fu questo evento che modificò il loro paradigma culturale di esiliati con quello di un popolo indipendente. La Siria, molto probabilmente, attraverserà un profondo mutamento a causa delle atrocità che sono state commesse nel paese. Non sarà più lo stesso paese che era prima, e questo a causa della guerra. L’assetto mentale del Giappone fu profondamente cambiato durante la Seconda Guerra Mondiale, a causa delle bombe atomiche. Il Giappone postbellico non può essere paragonato culturalmente a quello che era prima della guerra.

Da quello che dice sembra che lei sostenga che affinché i musulmani cambino la loro struttura mentale nei confronti di Israele debbano subire un trauma profondo.

La storia ha dimostrato che le atrocità di massa possono cambiare una cultura in un breve periodo. E’ accaduto in Germania a causa della Seconda Guerra Mondiale, è accaduto in Giappone a causa di due bombe atomiche ed è accaduto in Egitto a causa della diga di Aswan che ha distrutto l’agricoltura tradizionale e ha fatto sì che milioni di egiziani lasciassero in un paio di anni le aree rurali per trasferirsi nelle città. Le culture di questi paesi si sono modificate in un breve periodo unicamente a causa di disastri. Nelle società stabili ci vogliono intere generazioni se non secoli.

Se il conflitto non è solo un conflitto su delle porzioni di terra e sugli scambi annessi ma è profondamente radicato nell’odio religioso, non è del tutto ingenuo pensare che si possa giungere a una risoluzione pacifica?

No, non lo è, ma prima di tutto dobbiamo comprendere la definizione di pace. “Pace”, come è intesa in occidente, o “Shalom” in ebraico non sono i corrispettivi di “salam” in arabo. “Salam” in arabo significa tregua. Negoziata, documentata, ma nulla più che una tregua. Tu ti trovi qui, Io mi trovo là, non ci scambiamo nulla, non ci abbracciamo, non ci sposiamo, io vivo nel mio luogo, tu vivi nel tuo, questo è il confine tra me e te. Tu ti prendi cura di te stesso e io mi prendo cura di me. Questo è il significato del concetto di “salam” in arabo, e questo è ciò che possiamo ottenere nel Medio Oriente perché è l’unica mercanzia disponibile nel mercato mediorientale. Questo è il genere di pace che viene ottenuto quando una delle due parti rinuncia a sradicare l’altra parte essendo questa troppo potente e pericolosa e dunque le viene concessa la pace. Questa pace, questa tregua, continuerà fin tanto che l’altra parte sarà invincibile, una volta che l’altra parte si indebolirà o abbasserà la guardia, i musulmani l’attaccheranno. Tutto ciò si basa di fatto su un precedente inaugurato dal profeta Maometto, la pace sia su di lui, nel 628.
Sei anni prima, nel 622, emigrò dalla Mecca a Medina, il trasferimento noto come l’Egira, e mise in piedi una piccola armata con lo scopo di occupare la Mecca, ma i Meccani, che erano gente sveglia, conoscevano in anticipo i suoi piani e misero in piedi un esercito più grande. Quando Maometto discese da Medina alla Mecca, le due armate si incontrarono vicino a un piccolo villaggio chiamato Hudaybiyyah, e quando Maometto vide l’armata degli avversari capì che non era il caso di affrontarla perché sarebbe stato l’ultimo suo atto sulla terra. Dunque si sedette con i Meccani e venne firmato un trattato per un periodo di nove anni, nove mesi e nove giorni. Dopo due anni in cui Maometto non li aveva attaccati, i Meccani ritennero che egli avesse mantenuto l’impegno e tornarono ai loro affari commerciali consueti, e quando Maometto ne fu al corrente attaccò la Mecca, uccise tutti gli uomini, catturò le donne e diede alle fiamme tutti gli idoli. Questa fu la fine della pace che era stata stipulata per un periodo di quasi nove anni. Avvenne nel 630, solo due anni dopo la firma del trattato. Ora, i musulmani imparano due cose da questo episodio, la prima è che se non puoi sconfiggere gli infedeli concedi loro una pace temporanea, come fece Maometto, che è considerato infallibile. La seconda è che se Allah, attraverso la sua misericordia, ti concede il potere e l’opportunità di sbarazzarti degli infedeli, lo fai, anche durante il periodo di tregua che hai concesso. Quindi, questo precedente di Hudaybiyyah rappresenta di fatto il meccanismo attraverso il quale i musulmani concedono la pace agli altri paesi, alle altre nazioni, alle altre religioni se la controparte è troppo potente e pericolosa da affrontare. Questo è quello che possiamo aspettarci e questo è ciò che otteniamo. Prendiamo la pace siglata tra Israele e l’Egitto nel 1979 dopo un anno e mezzo di negoziati. Un anno prima, nel 1978, Sadat si rivolse ai notabili di Al Azhar, la suprema autorità sunnita, per chiedere loro se poteva fare la pace con Israele. Siccome erano al corrente dell’iniziativa ed erano stipendiati da lui, capirono al volo cosa volesse, quindi gli confezionarono una fatwa di tre pagine nella quale gli permettevano di fare la pace con Israele così come il profeta Maometto aveva fatto la pace con i Meccani a Hudaybiyyah.
La sola menzione di Hudaybiyyah significa che si tratta di una pace temporanea la quale durerà solo fintanto che gli israeliani saranno troppo forti, troppo pericolosi e invincibili. La pace con l’Egitto si basa su questo presupposto. La stessa cosa è accaduta con gli Accordi di Oslo del 1993. Arafat non lo ha mai nascosto, lo dichiarava appena poteva che i trattati di Oslo erano come la pace di Hudaybiyyah, e che quando il tempo fosse arrivato, Israele sarebbe stato attaccato di nuovo. Accadde quando Israele smantello lo stato cuscinetto con il Libano nel maggio del 2000. A settembre, Arafat capi che Israele era debole e vulnerabile e così decise di dare il via alla Seconda Intifada il cui obiettivo era quello di costringere Israele alla resa. Questa è la Hudaybiyyah con i palestinesi, i quali non hanno mai realmente inteso ottenere una pace vera ma solo una pace temporanea, solo perché la Seconda Intifada fallì nel suo intento.

E anche con la Giordania si tratta di una pace di Hudaybiyyah?

Non ho trovato alcuna menzione di Hudaybiyyah con la Giordania, ma non mi sono neanche impegnato a investigare la cosa, quindi forse esiste, forse no, ma certamente così è stato con l’Egitto e nel caso degli Accordi di Oslo i quali vennero firmati con Israele unicamente come un trattato di pace temporanea, che di fatto potrebbe proseguire per sempre, fintanto che Israele sarà in grado di mantenere la propria supremazia militare.

Se il conflitto arabo-israeliano è parte di un quadro molto più ampio, intendo un conflitto globale tra la Weltanschauung religiosa islamica e il resto del mondo, Israele non è anche e per lo più da intendersi come un simbolo dell’odiato Occidente?

Sicuramente, ma non si tratta solo di questo. Secondo loro Israele è stato creato dall’Occidente. L’occupazione britannica dopo la Prima Guerra Mondiale, gli Accordi Sykes-Picot, lo ripartizione del mondo arabo in una settantina di entità, nella loro visuale compone il mosaico di una cospirazione occidentale il cui obbiettivo è quello di impadronirsi del mondo, soprattutto quello islamico. Per la forma mentis musulmana, l’Islam è supremo e non vi è nulla sopra di esso, dunque come può qualcuno imporre all’Islam una cosa come Israele? I musulmani credono che l’Islam sia la religione che corrisponde meglio di ogni altra alla natura umana, per loro l’unico libro reale al mondo è il Corano, quindi qualsiasi cosa venga fatta contro la loro volontà è illegittima e inaccettabile. Non vi è dubbio che vi sia in corso uno scontro di civiltà, o meglio, questo è uno scontro tra la civiltà e la barbarie, perché quando tratti gli altri come individui che non hanno alcun diritto all’esistenza e tagli loro le teste, questa non è civiltà, si tratta di pura barbarie. Non sto affermando che tutti i musulmani sono dei barbari, perché non tutti sottoscrivono queste pratiche, ma non contano, perché i musulmani moderati non possono costringere quelli radicali a rinunciare a ciò in cui credono, dunque sono del tutto irrilevanti nello scontro tra musulmani radicali e il resto del mondo. C’è un’altra cosa che mi preme sottolineare.

Prego

Viene spesso fatta una distinzione tra l’Islam moderato e l’Islam radicale. Non penso che questa distinzione sia legittima. L’Islam è una religione che si basa fondamentalmente su tre fonti testuali, il Corano, gli hadith, che rappresentano la tradizione orale, e la Sira, la biografia del profeta. Esiste solo un Corano, non c’è un Corano moderato e un Corano radicale, c’è solo un corpus di hadith e una sola biografia di Maometto. Nel Corano abbiamo versetti che sono moderati come “Non deve esserci imposizione nella religione” mentre altri fanno riferimento all’imposizione e al jihad. Anche gli hadith sono costituiti da tradizioni che invitano a un approccio moderato nei confronti degli altri e della vita mentre ce ne sono altri che incoraggiano il jihad e lo spargimento di sangue. La stessa cosa avviene con la Sira. Ci sono episodi nella vita di Maometto che mostrano che fosse un uomo moderato e ci sono altri episodi che lo mostrano come un estremista.

Il problema è il modo in cui il Corano e le altri fonti islamiche vengono recepite da diversi tipi di musulmani, ma è incontestabile che entrambi i cosiddetti musulmani moderati e quelli radicali trovano ciò che cercano nelle fonti a cui fanno riferimento. Su ciò influisce anche la cultura in cui si sviluppano.

Sì. Facciamo l’esempio di un musulmano nato in Italia, dove, generalmente parlando, le persone sono moderate, il quale assorba la cultura moderata del paese in cui vive. Sarà più probabile per questo musulmano fare riferimento a quei versetti coranici in linea con questo approccio e lo stesso avverrà con gli hadith e con la Sira di Maometto. Un altro musulmano nato in Libia, dove le persone non hanno fatto altro che uccidersi continuamente, assorbirà la cultura della Libia, e probabilmente citerà quei versetti del Corano che invitano a uccidere gli infedeli. Dagli hadith prenderà quei detti che riflettono la natura violenta di Maometto, mentre dalla Sira prenderà tutti quegli episodi che mostrano quanto fosse crudele. Quindi quello che abbiamo non è l’Islam moderato contro l’Islam radicale, ma musulmani moderati contro musulmani radicali.
Tuttavia la cosa è molto problematica. Le persone cambiano. Per esempio, un musulmano nato in Inghilterra, che ha un approccio moderato, un giorno fa un viaggio in Pakistan o si avventura in rete dove scopre una intera galassia di siti islamici radicali: improvvisamente può essere portato a pensare “Mi sono sbagliato tutta la mia vita, questo è il vero Islam. Questo è il modo corretto di essere un musulmano“ e di conseguenza si radicalizza. Quindi anche un musulmano nato in un paese moderato e che ha interiorizzato l’atmosfera del suo luogo di nascita può cambiare e radicalizzarsi. Questa è la questione problematica, specialmente con gli immigrati e i rifugiati, i quali possono apparire moderati e magari lo sono di fatto, ma un giorno si radicalizzano e cercano di imporre agli altri la loro visione delle cose attraverso la forza e il terrore. Lo abbiamo già visto accadere.

Nel 1937 la Commissione Peel propose di dare agli arabi la maggior parte della terra e una piccola parte agli ebrei. Gli arabi dissero di no e hanno continuato a dire no fino ai nostri giorni a tutte le proposte fatte da Israele. Non pensa che sia arrivato il tempo di dichiarare che non ci sarà mai uno Stato palestinese perché i primi a non volerlo sono sempre stati i palestinesi stessi?

Prima di tutto mi lasci dire che non credo esista un popolo palestinese o una nazione palestinese. Il motivo è che il Medio Oriente moderno non ha creato nazioni, sono tutti arabi. Non c’è, per esempio una nazione siriana, ci sono in Siria tribù arabe e gruppi etnici diversi come i curdi, i turcomanni, gli armeni, gli arabi. Ci sono anche religioni diverse, gli alawiti, i drusi, i cristiani, e ci sono sette musulmane sunnite e sciite. Tutti restano leali alla loro struttura tradizionale, alla loro tribù, al loro gruppo etnico, religioso, settario. Non hanno mai interiorizzato lo stato come la fonte della loro identità, questo è il motivo per il quale il concetto di stato non si è insediato nel cuore della gente. Questa è la Siria, perlomeno la Siria che esisteva sotto Assad fino alla Primavera Araba che è cominciata nel 2011. Non c’è un popolo siriano, un popolo consolidato intorno a un concetto di nazione. La stessa cosa vale per i palestinesi. Lo si può capire da come funzionano i matrimoni. Una ragazza di Hebron non ha alcuna opzione di sposarsi con un ragazzo di Nablus in quanto “loro” non sono come “noi”. Per non parlare di Gaza che, per gli arabi non gazawi, è vista come una realtà completamente diversa dalla propria. Nella West Bank ci sono diversi episodi di discriminazione araba nei confronti dei gazawi. Non esiste alcuna nazione palestinese più che ne esista una siriana, irachena, sudanese.

Ciò detto, quale potrebbe essere secondo lei una possibile soluzione del conflitto mettendo da parte uno Stato palestinese?

Personalmente appoggio la soluzione degli emirati, perché gli emirati sono l’unica forma di stato che funzioni nel Medioriente. Gli stati moderni come quelli europei non funzionano perché non corrispondono alla cultura. Soltanto gli emirati del golfo, come il Qatar, Abu Dabi, il Kuwait, tutti questi emirati sono stati di successo, non a causa del petrolio, il Dubai non ha petrolio, ma a causa della stabilità della sociologia, perché la società si appoggia su una singola tribù. Solo quando una società si appoggia su una singola tribù, l’arena politica funziona. Le società frammentate come quella irachena sono fonte costante di conflitti e questi conflitti si trascinano anche in parlamento, come risultato di ciò le loro economie sono fallimentari. Per i palestinesi dovremmo seguire il modello degli emirati, e creare degli emirati per i palestinesi all’interno delle città. Un emirato esiste già da dieci anni, si tratta di Gaza. Gli abitanti di Gaza sanno molto bene come gestire i loro problemi interni basandosi sul modello tribale. Un altro emirato dovrebbe essere a Hebron, un altro a Gerico, Ramallah, Jenin, Qalqilya, Nablus. Questa è l’unica soluzione fondata sulla sociologia invece che su sogni di nazioni che non esistono.

Una delle principali distinzioni accademiche fatte oggi è quella che diversifica tra Islam e Islamismo. L’Islamismo, in questa visione delle cose sarebbe solo l’Islam che ha smarrito se stesso. Tuttavia, se torniamo al Corano, specialmente alla parte di esso scritta a Medina, possiamo vedere chiaramente che gran parte di quello che viene fatto dai radicali è stato insegnato e fatto da Maometto medesimo nel VII secolo. Non crede che questa distinzione sia assai fragile?

Islam e islamismo sono modelli che i musulmani, nella stragrande maggioranza dei casi, non comprendono. La differenza che conoscono è tra chi mantiene rigorosamente i precetti islamici e chi non lo fa, ma non posseggono questa distinzione occidentale tra Islam e islamismo. Pregare cinque volte al giorno e praticare il jihad per loro sono la stessa cosa, mentre in Occidente si distingue tra i precetti che un individuo applica a se stesso e quelli che egli cerca di imporre agli altri. I musulmani sono teoricamente divisi in due categorie: coloro i quali credono nell’Islam e lo agiscono su se stessi e coloro i quali cercano di farlo agire sugli altri, imponendoglielo. I primi sono compatibili con le nostre società, i secondi non lo sono, ma entrambi, lo ripeto, fanno riferimento a un’unica tradizione testuale, a un unico testo.

This post is also available in: English (Inglese)
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam

Messaggioda Berto » mer gen 24, 2018 10:02 pm

Questa migrazione incontrollata provoca reazioni di intolleranza Ci andremo di mezzo tutti…
21 gennaio 2018
Aldo Cazzullo

http://www.italiaisraeletoday.it/questa ... -per-primi

Rabbino Di Segni, lei da 17 anni è il capo religioso della più antica comunità ebraica della diaspora, quella di Roma. Com’era il ghetto quando lei era piccolo, subito dopo la guerra?
Pieno di bambini. Papà era pediatra. Volevamo ricominciare, ma la ferita della Shoah era terribile. La razzia del 16 ottobre 1943 fu opera dei tedeschi. Ma poi furono gli italiani a far deportare altri mille ebrei.

I suoi come si salvarono?
Molti si sentivano al sicuro dopo aver versato l’oro ai nazisti. Mio padre Mosè ebbe una perquisizione in casa. Chiamò da un telefono pubblico un amico giornalista che lo mise in allerta. Non tornò nel ghetto, scappò con mia madre Pina a Serripola, una frazione di Sanseverino Marche.
Anche sua madre era figlia di un rabbino. Nonno era il rabbino di Ruse, la città di Elias Canetti, sul Danubio. Fu salvato da re Boris, che disse a Hitler: gli ebrei bulgari non si toccano. Morì avvelenato, forse per mano nazista. Resistere, però, era possibile.

Cosa pensa del ritorno delle spoglie di Vittorio Emanuele III?
Era meglio se rimaneva dove stava.

E della beatificazione di Pio XII?
Ho studiato la sua storia, e devo ribadire un giudizio severo. Non fece nulla per impedire la deportazione. È vero che poi offrì rifugio a molti perseguitati.

Suo padre fu partigiano. Medaglia d’argento. Combatté la battaglia più dura il 24 marzo 1944, mentre suo cugino Armando veniva ucciso alle Fosse Ardeatine. Gli altri cugini sono morti ad Auschwitz. Mamma era nascosta in un granaio con mio fratello Elio e mia sorella Frida. Venne il rastrellamento fascista, il prete andò ad avvisare la banda di mio padre, che arrivò appena in tempo. I fascisti scapparono.

Perché gli ebrei sono il popolo più antico al mondo? Perché sono stati perseguitati ovunque e da tutti?
È una scelta del Padreterno: ci ha esposti a ogni rischio, e continua a farlo; e nello stesso tempo ha un impegno con noi per la nostra sopravvivenza. Non lo dico io, lo dicono i profeti.

Siete il popolo eletto?
Non nel senso di una presunta superiorità. L’elezione è una sfida. E una continua messa alla prova. Non ti è consentito quel che è permesso a una persona normale. Sei chiamato a rispettare una disciplina particolare, con tutti i rischi che questo comporta.

Marx, Freud, Einstein: qual è il segreto dell’intelligenza degli ebrei?
Se ti considerano diverso, finirai per comportarti in modo diverso, anche se non sei religioso; e l’evoluzione nasce dalla differenza. Siamo un popolo ricco di eccessi, in positivo e in negativo: ci sono ebrei molto intelligenti, e altri che non lo sono .

È vero che san Francesco aveva origini ebraiche?
Un libro lo afferma, ma non ne sono affatto sicuro. Senza fare paragoni, era ebreo don Lorenzo Milani.

Lei ha detto: «Abbiamo sempre inventato cose che ci hanno portato via». Cosa intende?
Le rivoluzioni del primo ‘900 sono state fatte da ebrei, poi eliminati scientificamente uno per uno, da Trotzky in giù. In Italia abbiamo avuto Modigliani e Treves, che fece il duello col Duce. Lo diceva già Malaparte: un ebreo può fare la rivoluzione, non comandare.

Lei ha biasimato l’Italia per aver votato contro il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele. Perché? Perché è il riflesso della tipica posizione cristiana e più ancora musulmana per cui gli ebrei possono essere sottomessi o tollerati, mai sovrani, neppure a casa propria.
Gerusalemme è anche la casa dei palestinesi. Me ne rendo conto. Ma Gerusalemme capitale non è un’invenzione di Trump. È una questione politica che risale al 1948. E una questione religiosa millenaria. Non dimentichi che i cristiani hanno fatto le crociate, e non per riportare gli ebrei a Gerusalemme: dove arrivavano i crociati, distruggevano le comunità ebraiche.

Cosa pensa della politica di Netanyahu?
Non parlo di politica. Né israeliana, né italiana.

Esiste ancora l’antisemitismo in Italia?
C’è sempre stato, c’è, e ogni tanto riemerge in forme diverse. C’è l’idea religiosa che il popolo ebraico abbia esaurito la sua funzione, e debba vagare ramingo e disperso tra i popoli come punizione per non aver accolto la verità. E ci sono le curve degli stadi che deformano simboli per trasformarli in offese, senza rendersene conto; oppure rendendosene conto benissimo. Colpisce che non ci sia più inibizione a dichiarare simpatie fasciste.

C’è anche un antisemitismo di sinistra?
Certo che c’è.

Cosa pensa di Lotito?
Scusi, ma lei e io ci siamo incontrati qui nella sinagoga di Roma, in una splendida mattina di sole, per parlare di Lotito?.
https://www.google.it/search?q=lotito&i ... TCXrfzt9gE

E di Papa Francesco?
È un Papa che sa ascoltare. Gli ho chiesto di non citare più i farisei come paradigma negativo, visto che l’ebraismo rabbinico deriva da loro; e l’ha fatto. Gli ho chiesto di non cadere nel marcionismo, e mi pare ci stia attento.

Cos’è il marcionismo?
L’idea — cara all’eretico Marcione e tuttora diffusa tra i laici che di religione sanno poco, come Eugenio Scalfari — che esista un Dio dell’Antico Testamento, severo e vendicativo, e un Dio del Nuovo, buono e amorevole. Ma Dio è uno solo. Ed è insieme il Dio dell’amore e il Dio della giustizia. Il Dio che perdona, e il Dio degli eserciti.

Primo Levi criticò Israele dopo Sabra e Shatila.
È vero, anche se la colpa fu di mancata vigilanza, non furono israeliani a massacrare i palestinesi. E comunque Se non ora quando è un libro molto sionista. Persino troppo, là dove si compiace per gli ebrei in armi.

Lei non ha punti di disaccordo con Papa Francesco?
Ne ho molti. Ad esempio il Papa fa passare la domenica come un’invenzione cristiana; ma se voi avete la domenica, è perché noi abbiamo il sabato. Quando Francesco è venuto qui in sinagoga voleva discutere di teologia. Gli ho risposto di no: di teologia ognuno ha la sua, e non la cambia; discutiamo di altro.

Di migranti?
Sui migranti noi ebrei siamo lacerati. La fuga, l’esilio, l’accoglienza fanno parte della nostra storia e della nostra natura. Ma mi chiedo: tutti i musulmani che arrivano qui intendono rispettare i nostri diritti e valori? E lo Stato italiano ha la forza di farli rispettare?

Si risponda.
Purtroppo devo rispondere due no. Per questo sono preoccupato. L’Europa è nata dopo Auschwitz; non vorrei che finisse con un’altra Auschwitz. Non so chi sarebbero stavolta le vittime. So che la migrazione incontrollata può provocare una reazione di intolleranza; ci andremmo di mezzo anche noi, e forse per primi.

L’arrivo di migliaia di migranti musulmani è un problema per gli ebrei?
Non solo per gli ebrei; per tutti.

Lei è andato alla moschea di Roma, ma l’imam non è venuto in sinagoga. Come mai?
Il rapporto con l’Islam è molto complesso. Ci stiamo lavorando. Al corteo del mese scorso a Milano si sono sentiti slogan in arabo che inneggiavano a Khaybar, la strage di ebrei fatta da Maometto. Ho ricevuto lettere private di scuse da parte di organizzazioni islamiche; non ho sentito parole pubbliche

Cos’è per lei il Giorno della Memoria?
Una data necessaria. Con rischi da evitare: l’assuefazione, la noia, e alla lunga il rigetto di chi dice: “Non ne posso più di questi che stanno sempre a piangere”.

Chi è per lei Gesù?
Innanzitutto, un ebreo. Conosceva la tradizione ebraica, ha predicato insegnamenti morali nati in gran parte condivisi dalla tradizione, in parte “eterodossi”. Ma per voi è il Messia, il figlio di Dio; per noi non lo è.

Un falso Messia?
Non voglio usare questa espressione. Per noi non è il Messia.

Cosa pensa delle leggi sulle unioni civili e sul fine vita?
Lo Stato fa le leggi che ritiene; i credenti fanno quel che ritengono, spesso dopo averci chiesto consiglio. La sedazione profonda non è un problema; ma l’idratazione e la nutrizione non vanno interrotte. Mai.

Voi rabbini potete sposarvi.
Non possiamo; dobbiamo. Nella nostra visione,, un uomo che non si sposa non è pienamente realizzato.

Come immagina l’aldilà?
Non è al centro delle mie preoccupazioni. Noi crediamo che la vita non si fermi qui, in questo mondo, in questa dimensione. Per il resto abbiamo poche informazioni, ma confuse.

Noi cristiani crediamo alla resurrezione della carne.
È un concetto ebraico, l’avete preso da noi. Ma non abbiamo un sistema ultraterreno definito come il vostro, con il Paradiso, il Purgatorio, l’Inferno. C’è l’idea della punizione e del premio; del resto discutiamo da millenni. Voi pensate gli ebrei come un monolito; ma da sempre non facciamo altro che litigare.

Dunque la lobby ebraica non esiste?
In Italia “lobby” ha una connotazione negativa, in America no: è un gruppo di espressione che difende valori e interessi. E noi abbiamo valori e interessi da difendere.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Spiritualità e religione

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron