Se facciamo un confronto tra il Giappone religiosamente shintoista/buddista e l'Italia cristiano-cattolca-romana di oggi, mi viene da chiedermi ma chi è che dovrebbe essere evangelizzato/civilizzato di questi due paesi e a cosa mai è servita l'evengelizazzione cristiana all'Italia se è divenuta uno dei paesi più incivile dell'occidente?I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondoviewtopic.php?f=22&t=2587 Parassitismo economico italico-romanoviewtopic.php?f=22&t=2663 Mafie e briganti terroniciviewtopic.php?f=22&t=2259 Il sud della penisola italica - i meridionaliviewtopic.php?f=139&t=2581 https://it.wikipedia.org/wiki/Criminali ... n_GiapponeLa criminalità in Giappone è tra le più basse in confronto agli altri paesi industrializzati. Giappone, luci e ombre della giustizia. Il reato più frequente? E' il furto della bicidi Pio d'Emilia | 3 luglio 2013
https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/0 ... ici/644083 Uno degli aspetti più positivi del Paese è la sicurezza. Un sistema di prevenzione e repressione che funziona soprattutto in virtù di ragioni culturali, sociali ed economiche di antica origine. Dall'altra parte però, fanno da contraltare, lo strapotere della polizia e della magistratura
Spesso vengo accusato di andare a frugare sempre negli angoli sporchi del Giappone, denunciando gli aspetti negativi e a volte – quanto meno per noi “occidentali”– un tantino bizzarri di un paese che invece ha molto da insegnarci. Verissimo. Oggi parliamo allora di uno degli aspetti più positivi del Giappone: la sicurezza. Il Giappone, compresa Tokyo, la metropoli più “sicura” e organizzata del mondo, è un Paese dove si vive tranquilli, circondati da persone oneste ed educate, dove difficilmente si viene aggrediti o derubati e dove le donne possono camminare tranquillamente per le strade, anche in piena notte, senza alcun timore. Una realtà che oltre a poggiare su un efficace – forse un po’ “paternalistico” – sistema di prevenzione e repressione (che ha, come vedremo, i suoi costi) ha origini e motivazioni culturali, sociali ed economiche. Il fatto, ad esempio, che i giapponesi siano tra i popoli più educati e istruiti al mondo, che vengano sin da piccoli educati a un’etica di gruppo in base al quale chi sbaglia e/o delinque infanga e danneggia l’intera famiglia /azienda/comunità cui appartiene, e che, almeno finora (ma la situazione sta peggiorando) non ci siano sacche di povertà, degrado sociale, emarginazione e conflitti etnici/religiosi paragonabili ad altri paesi industrializzati.
Fatto sta che il Giappone – e forse ce ne rendiamo più conto noi stranieri che ci viviamo che gli stessi giapponesi, per i quali la “sicurezza”, basta vedere lo stupore e la frequenza con cui restano vittime di reati all’estero, è una condizione scontata – è uno dei Paesi più sicuri al mondo, certamente il più sicuro tra quelli appartenenti al G20. Lo dicono le statistiche, tutte positive, da primi della classe. Dal numero (e tipo) di reati commessi (un milione e mezzo quelli denunciati nel 2012, quello più comune è il furto di biciclette, metà delle quali vengono anche ritrovate), alla popolazione carceraria (“appena” 54 detenuti su 100mila persone, in Italia è di 108 e negli Usa oltre 700), al tasso di recidività (38%, metà di quello Usa). Un dato, in particolare, fa davvero, e positiva, impressione. Il numero di cittadini che, nel giro di anno, restano vittime di un reato: negli Usa è il 39%, in Australia (che detiene il record dei paesi industrializzati) il 54%, uno su due, in Giappone il 16%.
Non sono riuscito a trovare dati omogenei per l’Italia, ma immagino siano vicini a quelli Usa, o di poco inferiori. Se prendiamo in considerazione solo i reati violenti, in Giappone la percentuale scende al 2%. A Tokyo il rischio di essere derubati, aggrediti, violentati o ammazzati è rispettivamente di 80, 200, 700 e 2000 volte minore che a New York. E va tenuto presente che in Giappone tutti, ma proprio tutti i reati, vengono denunciati e regolarmente indagati. In Italia dubito che si denunci il furto di una bicicletta e anche nel caso dei veicoli a motore la denuncia la si fa solo a scopo assicurativo, per ottenere un eventuale risarcimento. In Giappone no: la gente si aspetta, e spesso viene soddisfatta in questa sua giusta speranza, di ritrovare i beni sottratti e anche quelli, evento molto più comune, semplicemente dimenticati o smarriti. Le polizze furto in Giappone, per i veicoli, hanno un costo irrisorio, e comunque pochissimi le sottoscrivono. Pensate che le autorità, visto il relativo aumento dei furti in casa, ha avviato da tempo una campagna di “sensibilizzazione”, con spot televisivi e cartellonistica stradale, invitando i cittadini a “chiudere” casa. Molti giapponesi, compresi gli abitanti di Tokyo, non lo fanno. E comunque si usano serrature simboliche, che un qualsiasi ragazzino farebbe saltare in pochi secondi, con un temperino.
Tutto questo ha un costo, denunciano Amnesty international e altre organizzazioni che difendono i diritti umani come Human rights watch, che al sistema giudiziario e carcerario giapponese ha dedicato, tempo fa, un’accurata e controversa pubblicazione nella quale si denunciano sia lo strapotere della polizia (che dispone di un “fermo” che può durare sino a 23 giorni, durante il quale i diritti alla difesa sono molto limitati se non assenti) che quello della magistratura: in Giappone vige infatti il principio di discrezionalità dell’azione penale (per tutti i reati, anche i più efferati), principio che spesso sconfina nell’assoluta arbitrarietà e che “produce” il vistoso, ma variamente interpretabile, effetto dell’alto tasso di condanna nei processi. Il 99.8% dei quali finisce, infatti, con la condanna dell’imputato.
“Questo non perché polizia, pubblici ministeri e giudici siano particolarmente bravi ed efficienti – spiega l’avvocato Yuichi Kaido, presidente dell’ordine forense di Tokyo – ma perché il sistema è tale per cui il rinvio a giudizio avviene solo in caso di preaccertata, o comunque presunta, colpevolezza. So che è un concetto pericoloso e per noi avvocati inaccettabile, ma è così e nonostante piccoli, lentissimi passi avanti, il sistema non è destinato a cambiare. Anche perché dà i suoi frutti: l’ampia discrezionalità consente di valutare in fase istruttoria una serie di opzioni alternative, anche per i rei confessi, che in altri ordinamenti possono essere adottati, e solo dopo dispendio di tempo, energie e costi, da un tribunale”.
In sostanza, la “sentenza” in Giappone, viene decisa già durante il fermo di polizia. Un comportamento “convincente” e “collaborativo” (leggi: confessione) da parte di un accusato anche di reati gravi, può portare al non luogo a procedere, all’archiviazione, seguita da una sorta di “informale”, ma efficacissima, “libertà vigilata”. Viceversa, “arroganza” e “mancanza di collaborazione” (leggi: richiesta di assistenza legale) significa rinvio a giudizio e condanna sicura. Cui segue quasi sempre, la prigione. Dove la vita è dura, molto dura. Per tutti. Nessun privilegio, disciplina ferrea, obbligo di lavoro non retribuito, al punto che anche il Giappone, come la Cina, ha provocato censure da parte dell’Onu per l’utilizzazione di lavoro forzato nella produzione di beni di consumo. Ma anche assoluta sicurezza. Non ci sono rivolte, proteste organizzate, violenze tra detenuti o contro le guardie carcerarie. Al massimo, qualche volta, ci scappa qualche gesto di autolesionismo, magari un suicidio. Due, stando ai dati ufficiali, negli ultimi 3 anni, su 118 carceri per un totale di circa 50mila detenuti. Il rapporto detenuti – guardie (che sono armate solo di un piccolo manganello) è di 70 a 1, un record.
Laddove le nostre carceri sono sovrappopolate, sporche, rumorose e pericolose qui sono pulite, ordinate, sicure. Al punto da non sembrare prigioni, ma caserme. Dove gli “ospiti” non sono vengono “temprati” nello spirito, ma anche obbligati a lavorare. Luoghi di addestramento, lavoro e riabilitazione sociale improntati a una disciplina ferrea, dove guardie e detenuti si salutano inchinandosi l’un l’altro, ma senza mai guardarsi in faccia, dove non si fuma e tanto meno si beve, dove non è possibile acquistare o ricevere cibo aggiuntivo, e non si può parlare tranne che per un’ora al giorno e dove si è puniti con lunghi periodi di isolamento e razioni di cibo ridotte per ogni minima infrazione, compresa quella, considerate grave, di incrociare lo sguardo con le guardie. Ai detenuti, soprattutto quelli stranieri che qui sono quasi la metà degli “ospiti”, appena entrati viene consegnato un libretto stampato in varie lingue (c’è anche l’italiano) e le prime due settimane si passano, in assoluto isolamento, a imparare oltre un centinaio di minuziosissime regole (da come e quando lavarsi i denti alle posizioni da assumere durante i pasti, il riposo e perfino il sonno) e memorizzare una sorta di “pentalogo” che i detenuti sono costretti a urlare a squarciagola ogni volta che si spostano, marciando o correndo, da un posto all’altro del carcere. E che recita più o meno così: “D’ora in poi sarò onesto, sincero, educato e rispettoso. Collaborerò e rispetterò le regole e mi pentirò profondamente. E sarò riconoscente”.
“Il carcere in Giappone è dove il sistema cerca di riparare le macchine difettose, o quelle che si sono rotte – spiega l’avvocato Kaido – nella speranza di poterle riutilizzare”. E in un certo senso è vero: la vita in carcere è dura sì, con ritmi e regole asfissianti e talvolta crudeli. Ma una volta usciti, a parte i mafiosi locali, gli yakuza, e i poveracci che commettono appositamente reati per poter avere un alloggio e pasti assicurati il fenomeno è in pericoloso aumento, soprattutto tra gli anziani) difficilmente ci si ritorna. Il tasso di recidività, come abbiamo già indicato, è tra i più bassi del mondo industrializzato (38%) ed esiste un efficace sistema di reinserimento nel tessuto sociale. Spesso è la direzione del carcere che si impegna a trovare un lavoro agli ex detenuti. Ed esistono enti ed associazioni, sia pubblici che privati, che “seguono” questa delicata fase di reinserimento. Come in Italia, insomma.
Italia e Giappone a confrontoItalia e Giappone, paesi più vecchi del mondo, crescita bassa e debito pubblico boom, unico dato divergente , l’occupazione
di Nicola Cacace,1/1/2017
https://www.altrimediaedizioni.com/ital ... -confronto Shinzo Abe, primo ministro giapponese da oltre un decennio è salito agli onori della cronaca per aver dato il suo nome ad una nuova teoria, Abenomics, consistente nella massiccia iniezione di capitali pubblici nell’economia, senza risultati apprezzabili sulla crescita. Anche l’Italia può lamentare decenni di risultati negativi sulla crescita pur avendo aumentato il debito pubblico. Due paesi geograficamente e culturalmente lontani, appaiono vicini per risultati socio-economici, fatta eccezione per l’occupazione che il Giappone ha mantenuto ad alti livelli malgrado la “decrescita”, a differenza del’Italia.
Quali sono i paesi col più basso indice di natalità? Giappone, 1,3 figli per donna e Italia, 1,4 contro una media mondiale di 2,0.
Quali sono i paesi più vecchi del mondo? Giappone, 46 anni di età media ed Italia 45, contro una età media mondiale di 30 anni.
Quali sono i grandi paesi dall’economia più stagnante da decenni? Italia la cui crescita media è stata zero% dal 2000 al 2015 e Giappone, la cui crescita media è stata dello 0,8% nello stesso periodo. Contro una crescita mondiale media del 3,5%.
Quali sono i grandi paesi col più alto debito pubblico al mondo? Giappone col 240% del Pil ed Italia col 130%.
Quali sono i paesi col più basso livello di IDE, investimenti diretti esteri? Nell’ultimo decennio sia in Italia che in Giappone gli IDE in entrata ,sono stati inferiori all’1% dei rispettivi Pil.
Quali sono i grandi paesi industriali col più basso numero di stranieri immigrati? Giappone col 2% ed Italia con 8,3%, contro valori medi molto più alte di altri grandi paesi, S.U, Canada, Germania, G.Bretagna, Francia, Spagna, tutti superiori al 13%.
Giappone ed Italia differiscono solo per il dato occupazionale. Mentre il Giappone ha il più basso tasso di disoccupazione dei paesi OCSE,4%, l’Italia ha il più alto dopo la Spagna, 12%, mentre il Giappone ha un tasso di occupazione (rapporto tra occupati e popolazione 15-64 anni) tra i più alti 72%, l’Italia ha il più basso, 56%. Cioè all’Italia mancano 6 milioni di occupati per avere un tasso di occupazione simile a quello giapponese. Come è stato possibile questo miracolo occupazionale? In Giappone l’obiettivo piena occupazione è una priorità del governo e delle imprese, perseguita con molte procedure, dal lifetime employment, occupazione a vita alla seniority, salari che aumentano con l’anzianità più che con i soli meriti. Poiché quasi metà dell’occupazione opera in tali regimi, e più della metà in regimi più precari, part time, lavori occasionali, etc., nei periodi di crisi si attivano tutte le misure pro occupazione da parte delle imprese e dello Stato, con abolizione degli straordinari, riduzioni di orario, pensionamenti anticipati (in Giappone l’età pensionabile è tra le più basse 60 anni) il tutto agevolato con generosi contributi del Governo, il cui debito pubblico è infatti il più alto del mondo (da notare che il debito pubblico giapponese è tutto in mano ai giapponesi che si contentano di un interesse bassissimo, a differenza di quello italiano, largamente in mani straniere).
In sintesi la mia tesi è semplice, la stagnazione economica ed occupazionale dell’Italia ha molte cause, a cominciare dalla inefficienza della pubblica amministrazione e della Giustizia, per finire ad un capitalismo industriale familiare ed asfittico, ma la causa numero uno è la bassa natalità ed il conseguente invecchiamento che danneggia sia la domanda che l’offerta e quindi il Pil e l’occupazione.
Dal lato della domanda il Pil è fatto per l’80% di consumi ed i consumi degli ultrasessantacinquenni, abitazioni, abbigliamento, mobilità, alimentari, con l’eccezione dei farmaci, sono meno della metà di quelli della popolazione più giovane. Dal lato dell’offerta nella società digitale la maggioranza delle innovazioni è fatta dai giovani ed infatti l’Italia è un paese a bassa innovazione che non riesce a dar lavoro neanche ai suoi giovani che sono la metà di trent’anni fa. Da tutti i dati emerge con chiarezza che l’eccessivo invecchiamento mette in crisi l’economia di un paese, a meno di non compensarla con flussi immigratori paralleli ed intelligenti, come ha fatto ad esempio un altro paese a bassa natalità e molto vecchio , la Germania (45 anni di età media) che ha migliorato la condizione demografica prima con massicce immigrazioni di italiani, spagnoli e turchi, poi di siriani, afgani, africani ed oggi ha una quota di immigrati superiore al 15% della popolazione. E a meno di non ridurne i danni sociali con politiche pro labor, riduzioni di orario e simili. L’Italia invece marcia in direzioni contrarie, con la precarietà crescente dei giovani senza futuro e senza figli e con le paure anti immigrati che non si abbassano neanche davanti al fatto che 4000 Comuni su 8000 sono in via di spopolamento e destinati a divenire Comuni fantasma?
Il futuro demografico del paese è addirittura peggiore del presente, perché la natalità sembra ulteriormente – quest’anno sono nati meno di 500mila bambini, meno di un anno fa – e perché un forte sentimento anti immigrazione avanza sotto la spinta degli sbarchi continui dal Mediterraneo che impauriscono la gente, anche per la propaganda di odio anti immigrati diffusa dai partiti populisti. Il tutto favorito dal fatto che pochi conoscono i danni che un invecchiamento della popolazione da bassa natalità e bassa immigrazione, producono sul sistema produttivo e previdenziale. Sono uscite di recente due “previsioni demografiche al 2050 a migrazioni zero” elaborate da Eurostat e dal prof. Livi Bacci che non hanno avuto circolazione mediatica. Il quadro che ne esce è nero non tanto per le riduzioni di popolazione di 10 milioni, da 60 a 50, quanto per l’ulteriore invecchiamento. L’Italia, paese ad alta intensità abitativa, potrebbe vivere benissimo con 10 milioni di cittadini in meno, ma non con 12 milioni di giovani in meno e 2 milioni di anziani in più
L’età media della popolazione passerebbe dall’attuale 45 a 53 anni e l’indice di dipendenza anziani (rapporto tra popolazione di 65 anni e più e popolazione di 15-64 anni) passerebbe dall’attuale 34% al 43%, che decreterebbe il tracollo definitivo dell’assetto socio-economico e previdenziale del paese.
Tokyo è la città più onesta del mondohttps://www.ilfoglio.it/esteri/2017/03/ ... ndo-125277È Tokyo la città più onesta del mondo. O meglio, secondo Bloomberg, “may be”. Non è una classifica in salsa grillina e nemmeno un'agiografia dei giapponesi, ma un bel titolo che poggia su un dato probabilmente unico: l'anno scorso 3,67 miliardi di yen (32 milioni di dollari) di contanti perduti sono stati consegnati all'ufficio oggetti smarriti della polizia di Tokyo, e tre quarti di quel denaro è tornato in mano ai legittimi proprietari. Peraltro la portata dei soldi che fa questo particolare giro è in costante aumento dal 2009.
Il dato spiega due cose: la devozione al contante dei giapponesi e il loro innegabile senso civico. Nel 2015 circolavano circa 103 miliardi di yen cash, più o meno 900 milioni di dollari, il livello più alto tra le 18 nazioni e regioni sviluppate prese in esame dalla Bank of Japan per un report pubblicato lo scorso febbraio. I fatti messi in fila da Bloomberg, al di là delle analisi macroeconomiche e della mitologica sovranità monetaria che non c'entra nulla in questo contesto, suggeriscono che avere grandi quantità di contanti in Giappone non comporta chissà quali rischi: c'è poca criminalità e praticamente nessuna paura di essere derubati.
A Tokyo, una delle città con la più alta densità del mondo, non è inusuale lasciare incustoditi gli iPhone nuovi sulle sedie dei locali per andare a ordinare al banco. E anche gli oggetti personali apparentemente più inutili vengono messi da parte dai gestori nell'eventualità che qualcuno torni per riprenderseli. Culture and ethics education, stupid: “Le scuole giapponesi propongono corsi di etica e morale grazie ai quali gli studenti imparano a immaginare i sentimenti di chi perde soldi o beni, per cui non è raro vedere bambini che portano una moneta da 10 yen in un ufficio della polizia”, spiega Toshinari Nishioka, ex poliziotto che oggi insegna alla Kansai University of International Studies.
In più c'è l'ulteriore riprova che premiare è meglio di punire per orientare i comportamenti. La legge giapponese prevede che chi trova del denaro deve consegnarlo alla polizia, dopodiché ha diritto a ricevere una ricompensa tra il 5 e il 20 per cento dei soldi se il proprietario viene a riprenderseli, e addirittura tutto il denaro se nessuno li reclama entro tre mesi.
La povertà in Giappone diventa un problemaLa stima sui venti milioni di poveri era stata tenuta nascosta dal precedente governo
L'economia del paese è in stallo e un giapponese su sei rientra nella fascia di povertà
https://www.ilpost.it/2010/04/22/giappone-poveri-asiaLa povertà in Giappone continua a crescere. L’economia del paese orientale è rimasta sostanzialmente ferma per molti anni, portando a sensibili differenze tra gli stipendi. Secondo le ultime stime, riprese dal New York Times, un giapponese su sei rientra nella fascia di povertà e le ultime rilevazioni indicano 20 milioni di poveri nel 2007.
I dati hanno sorpreso i giapponesi, che non ricevevano notizie ufficiali sul livello di povertà in Giappone da tempo. Il governo ha candidamente ammesso di aver nascosto per anni le statistiche sui nuovi poveri nel paese. Il problema è stato negato per quasi dieci anni dal Partito Liberal Democratico, sconfitto nell’ultima tornata elettorale da Yukio Hatoyama (Partito Democratico) che ha spinto per una maggiore trasparenza della burocrazia.
La soglia di povertà è stata ricalcolata e collocata intorno a un reddito annuo di 22mila euro per una famiglia di quattro persone. Per gli analisti, il tasso di povertà in Giappone è raddoppiato rispetto ai livelli calcolati negli anni Novanta, quando iniziò una grave crisi economica legata al mercato immobiliare e al collasso dei mercati.
Identificare con precisione l’effettivo numero di poveri non è però facile. Autorità e assistenti sociali segnalano che i giapponesi in ristrettezze economiche cercano di nascondere la loro condizione, ritenuta spesso un’onta e vissuta in primo luogo come un fallimento personale. Chi riesce cerca di svolgere più lavori, ma il denaro non sempre è sufficiente per pagare l’affitto, le bollette o i medicinali. Del resto, l’80% delle persone che vivono in povertà sono “impiegati poveri”, donne e uomini con paghe basse e lavori temporanei senza tutele.
Gli stipendi sono sufficienti per sopravvivere, ma le altre attività sociali come uscire con gli amici o andare al cinema restano precluse. «La povertà in una società ricca non significa vestirsi di stracci o vivere su un pavimento sporco. Queste sono persone con cellulari, auto, ma sono isolate dal resto della società» osserva la sociologa Masami Iwata (Japan Women’s University, Tokyo).
Il crescente numero di poveri potrebbe portare a seri problemi nel lungo termine. Secondo gli analisti, un’ampia porzione della famiglie non avrà presto le risorse per offrire ai propri figli un’istruzione di qualità, dando così vita a un «ciclo permanente di lavori poco pagati».
Giappone, la corruzione politica passava dai lingotti. Ma ora bastano i ventagliettiPio d'Emilia
24 ottobre 2014
https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/1 ... ti/1167176Poco più di vent’anni fa, in leggero ritardo rispetto alla nostra Tangentopoli, la magistratura giapponese uscì per un attimo dal letargo in cui si era adagiata (e nel quale è subito dopo tornata a crogiolarsi) lanciando una breve ma intensa battaglia contro la corruzione. Nel giro di pochi mesi mezzo parlamento venne inquisito e Shin Kanemaru, uno sorta di Andreotti a mandorla (così evitiamo di dovergli dedicare dieci righe di presentazione) venne arrestato all’alba, mentre era ancora in pigiama e mentre cercava di nascondere parte dei lingotti d’oro che teneva sotto il futon, il “materasso” giapponese.
Tra casa e ufficio gliene sequestrarono circa mezzo quintale, in lingotti di varie dimensioni. Nessuno ha mai saputo da dove provenissero: qualcuno dice dalla premiata ditta Inagawa (terza cosca mafiosa del Giappone), qualcuno sospettò addirittura una poco probabile origine nordcoreana. Una cosa sembrava certa: non erano il frutto di onesti risparmi. Comunque sia, l’accusa era di evasione fiscale e violazione della legge elettorale, che all’epoca era molto più permissiva di oggi: privati e aziende potevano tranquillamente finanziare i politici (non i partiti!) anche in modo anonimo, a patto che pagassero sulle donazioni il 37% di tasse.
Vent’anni fa la lotta alla corruzione: finì indagato mezzo Parlamento
Il termine giapponese per questo tipo di “donazioni” era shitofumeikin (letteralmente: “spese varie”), oggi vietate. All’epoca, pare che il 70% delle aziende giapponesi prevedesse nei loro bilanci questa voce, e che in totale venissero “donate” cifre attorno a 5 miliardi di dollari l’anno. Più altrettanti che venivano “donati” direttamente, senza passare dai bilanci e senza pagarci le tasse: si consegnavano direttamente avvolti nel cosiddetto furoshiki, l’elegante foulard, di solito bianco e blu, che i giapponesi usano per avvolgerci un po’ di tutto. Dal pranzetto che si portano da casa alle tangenti. È tutt’ora considerato più sicuro di un bonifico off-shore.
Altri tempi, comunque. L’iniziativa della magistratura, risoltasi in pochi mesi e senza alcuna condanna esemplare (in Giappone vige l’azione penale discrezionale e la magistratura è saldamente controllata dal governo, attraverso il ministro dell’Interno: un procuratore solerte fa poca strada) spianò la strada ad una legge elettorale rigorosissima, tra le più restrittive del mondo. E oggi, pensate un po’, per finire nei guai, basta distribuire durante un comizio gli uchiwa (sorta di ventaglietti di carta, con stampata la faccia del candidato) o regalare dei biglietti per il teatro scontati.
È quanto è successo, rispettivamente, a Midori Matsushima, fino a qualche giorno fa ministro della giustizia, e a Yuko Obuchi, ministro dell’Industria del governo “rosa” inventato dal sempre più nero (in tutti i sensi) Shinzo Abe. Il cui indice di gradimento, iniziato due anni fa circa a livelli record (68%, il più alto del dopoguerra) è negli ultimi giorni sceso per la prima volta sotto il 50%. E con l’aumento ulteriore dell’Iva (dall’8 al 10%) e l’ennesima, annunciata riattivazione di alcune centrali nucleari, entrambe decisioni estremamente impopolari, non è certo destinato a risalire. Particolarmente disastrosa, non solo per l’interessata che potrebbe anche farcela, prima o poi, a riemergere sulla scena politica (era tra le più probabili candidate a diventare la prima donna premier del Giappone) in un paese dove bastano le scuse sincere ed un congruo periodo di riflessione per “purificarsi” e ripresentarsi al giudizio degli elettori, ma per Abe ed il suo governo è appunto l’uscita di scena di Yuko Obuchi.
Abe sulle ministre dimissionarie: “È colpa mia, dovevo essere più oculato”
Figlia dell’ex premier Kenzo Obuchi, colto da malore durante una discussione politica con Ichiro Ozawa (ex segretario del già citato Kanemaru, guarda caso) e deceduto pochi giorni dopo. Alla bella, popolare e soprattutto giovane politica Abe aveva affidato il compito di rilanciare l’immagine del nucleare. Ed infatti la Obuchi aveva già cominciato a girare il Giappone per convincere le donne e le mamme, secondo i sondaggi le più convinte oppositrici del minacciato ritorno al nucleare.
“È colpa mia – ha ammesso Abe, che nel giro di poche ore ha reso noti i nomi dei successori (un uomo e una donna, rispettivamente) – dovevo essere più oculato nelle mie scelte”. In effetti, non è che abbia eccelso, nello scegliersi le sue “donne”. Nella sua amministrazione ce ne sono almeno altre tre al centro di pesanti polemiche che potrebbero portare, almeno in un caso, ad altre imminenti dimissioni. Si tratta di Sanae Takaichi, ministro degli interni, di Tomomi Inada, responsabile del programma politico del partito e di Eriko Yamatani, responsabile della Commissione per la Sicurezza Nazionale, che in Giappone comprende anche la polizia. Tutte e tre fanno a gara per accreditarsi come strenue patriote: le prima due si sono fatte fotografare con il leader del partito neonazista, la terza con tale Makoto Sakurai (video*), un pazzo neorazzista che gira per i quartieri coreani di Tokyo e Osaka insultando chi ci abita e intimando loro di tornarsene a casa. Peccato che la maggior parte siano nati qui, figli e nipoti dei coreani che vennero costretti ad emigrare in Giappone durante l’occupazione, per lavorare nelle fabbriche dell’impero.
Insieme ad Haruko Arimura, ministro di stato per le pari opportunità, queste tre signore hanno guidato la folta delegazione di parlamentari che ha effettuato il solito, provocatorio pellegrinaggio al tempio Yasukuni, dove sono venerati gli spiriti di tutti i giapponesi morti per la patria, criminali di guerra compresi. Il bello è che Shinzo Abe, fedele frequentatore del luogo, questa volta non ci è andato. Vista la fine che sta facendo la sua Abenomics, sta disperatamente cercando udienza a Pechino.
*Anche se è in giapponese, ecco un bell’esempio del suo stile. Il video si riferisce ad un pubblico dibattito con Toru Hashimoto, il sindaco di Osaka che l’ha invitato a “sparire” dalla città.
La classifica della corruzione nel mondoLa pagella di Transparency International dà all'Italia solo 44 su 100: nella Ue peggio di noi solo la Bulgaria
http://espresso.repubblica.it/inchieste ... o-1.247660Japan 20esimo posto come minor corruzione 75 di trasparenza su 100
Italy 61esimo posto come minor currruzione e 44 di trasparenza su 100