Missionarismo: debolezza spirituale e imperialismo religioso

Missionarismo: debolezza spirituale e imperialismo religioso

Messaggioda Berto » dom ott 22, 2017 9:08 pm

Il fenomeno delle conversioni dall'Islam
di Guglielmo Piombini, Il Domenicale, maggio 2008

http://www.documentazione.info/il-fenom ... -dallislam

Il battesimo di Magdi Cristiano Allam ha fatto notizia, ma è solo la punta di un iceberg gigantesco, le cui dimensioni esatte sono in larga misura ignote. I gravi pericoli cui va incontro chi abbandona la fede islamica rendono difficile le stime, ma le notizie disponibili lasciano intuire un fenomeno rilevante, forse persino in grado di modificare clamorosamente il futuro del mondo. Secondo il London Times, il 15% circa dei musulmani residenti in Europa hanno lasciato l’islam. In Gran Bretagna sono attorno alle 200mila unità e in Francia si calcola che ogni anno 15mila islamici diventino cristiani: più o meno 10mila cattolici e il resto protestanti.

Il calo in Africa
Nel 2006 lo sceicco Ahmad al-Qataani, intervistato da Al-Jazeera, pronunciò parole allarmate: «L’islam è sempre stato la principale religione dell’Africa e un tempo c’erano 30 lingue africane che si scrivevano in caratteri arabi. Il numero dei musulmani africani è attualmente di 316 milioni, metà dei quali sono nordafricani di cultura araba. Nella parte dell’Africa non araba il numero dei musulmani non eccede i 150 milioni. Quando si pensa che l’intera popolazione africana è di un miliardo di persone, ci si rende conto che in proporzione il numero dei musulmani è diminuito notevolmente rispetto all’inizio del secolo scorso. D’altra parte il numero dei cattolici è aumentato da un milione nel 1902 a circa 330 milioni. A questi si aggiungono 46 milioni di appartenenti ad altre confessioni cristiane. Ogni ora 667 musulmani si convertono al cristianesimo. Ogni giorno 16mila musulmani si convertono al cristianesimo. Ogni anno 6 milioni di musulmani si convertono al cristianesimo. Sono numeri enormi».

La crescita numerica dell’Islam è dovuta all’alta natalità dei paesi islamici
È probabile che al-Qataani abbia gonfiato i numeri per accrescere l’allarme tra i propri correligionari, ma le sue dichiarazioni rivelano un trend sempre più chiaro: malgrado le minacce di morte e le persecuzioni che subiscono gli “apostati, nel mondo le conversioni dall’islam al cristianesimo sono molto più numerose di quelle in senso contrario. La crescita numerica dell’islam, che di recente (come ha riconosciuto il Vaticano) ha superato il cattolicesimo come religione più praticata nel mondo, si deve infatti quasi esclusivamente all’alta natalità dei Paesi islamici, i cui tassi di mortalità infantile si sono enormemente ridotti rispetto al passato grazie alla medicina occidentale.

La crescita del cristianesimo è dovuta alle conversioni
La crescita del cristianesimo, invece, si basa soprattutto sulle conversioni degli adulti. Come ha scritto il leader cristiano evangelicale Wolfgang Simpson, «negli ultimi due decenni sono arrivati a Cristo più musulmani che in tutti i secoli precedenti».

Zakaria Botros, sacerdote copto interessato alla salvezza delle anime
Il personaggio che le autorità religiose islamiche temono di più è il sacerdote copto Zakaria Botros, definito dal giornale arabo al-Insan al-Jadid «il nemico pubblico numero uno dell’islam». I suoi programmi trasmessi via satellite dagli Stati Uniti, nei quali discute da un punto di vista cristiano gli aspetti più problematici del Corano (la guerra santa, l’inferiorità delle donne, la lapidazione e così via), hanno provocato conversioni clandestine di massa al cristianesimo. La sua perfetta conoscenza della lingua araba e delle fonti islamiche gli permette di raggiungere un vasto pubblico mediorientale, e gli spettatori rimangono colpiti dalla frequente incapacità degli ulema, che spesso scelgono il silenzio, di rispondere in maniera convincente alle sue osservazioni. La ragione ultima di questo successo è che, diversamente da certe controparti occidentali che criticano l’islam solo da un punto di vista politico, l’interesse principale di Botros è la salvezza delle anime.

Contro l’islamismo radicale è efficace soltanto un convincente messaggio spirituale
Come ha scritto Raymond Ibrahim sul periodico conservatore statunitense National Review, «molti critici occidentali non capiscono che per disinnescare l’islamismo radicale occorre proporre al suo posto qualcosa di teocentrico e di spiritualmente soddisfacente, non il secolarismo, la democrazia, il capitalismo, il materialismo o il femminismo. Le “verità” di una religione possono essere sfidate solo dalla Verità di un’altra religione. Padre Zakaria Botros combatte il fuoco con il fuoco».

La reazione al fondamentalismo produce conversioni di massa. In Iran si reagisce con condanne a morte
In tutto il Medio Oriente la ripulsa per gli aspetti più deteriori legati al fondamentalismo islamico, come l’autoritarismo politico, l’intolleranza, la violenza e il terrorismo, hanno avvicinato milioni di uomini e di donne al cristianesimo. Pare infatti che in Iran un milione di persone si siano segretamente convertite al cristianesimo evangelicale negli ultimi cinque anni. Il pastore Hormoz Shariat sostiene di averne convertite 50mila con il suo programma in lingua farsi trasmesso via satellite. Hormoz fa notare che nel periodo 1830-1979, 150 anni di sforzi di evangelizzazione, i missionari erano riusciti a costituire una comunità evangelicale di sole 3mila persone. Oggi invece il parlamento iraniano, preoccupato per il crescente numero di giovani che abbandonano l’islam, sta lavorando per varare la pena di morte per gli apostati.

Cifre di conversioni nel mondo islamico
Un fenomeno simile si sta ripetendo nell’Iraq in guerra, dove sempre più persone, stanche di subire le conseguenze del terrorismo di al Qaida e delle violenze dell’estremismo religioso, ascoltano con scetticismo crescente i discorsi dei loro capi religiosi. Secondo il pastore protestante Paul Ciniraj, 5mila islamici si sono convertiti al cristianesimo in Iraq, 10mila in India, altrettanti in Afghanistan, 15mila in Kazakistan, 30mila in Uzbekistan. Roman Silantyev, segretario esecutivo del Concilio Interreligioso di Russia, ha affermato che l’anno scorso nel suo Paese circa due milioni di musulmani “etnici” si sono convertiti al cristianesimo (100mila solo nel Kirghizistan). Il disgusto per la violenza islamista è fra le motivazioni principali, dato che il numero maggiore di conversioni si è avuto nell’area di Beslan, teatro del celebre quanto atroce attentato contro una scuola elementare.

Reazioni contro il proselitismo cristiano
In Algeria la conversione di circa 80mila persone ha spinto le autorità governative a emanare di recente leggi che puniscono severamente il “proselitismo” cristiano. In Marocco numerosi articoli di giornale hanno lamentato la conversione di 25-40mila musulmani, soprattutto tra le popolazioni berbere. In Sudan ben 5 milioni di persone hanno accolto Cristo a partire dai primi anni Novanta, malgrado le terribili persecuzioni messe in atto dal governo. Quali le ragioni di queste conversioni in massa? Secondo un leader evangelicale sudanese, «la gente ha visto com’è l’islam, e al suo posto vuole Gesù».
Dopo decenni di guerra islamista, migliaia di conversioni clandestine al cristianesimo sono avvenute anche nelle aree rurali del Kashmir, dove un fedele ha dichiarato: «M’interessa la religione, ma odio la violenza. Odio i fondamentalisti dell’islam. Vengo in chiesa per cercare la pace». Il muftì di Perak, in Malesia, valuta in circa 250mila il numero di chi ha abbandonato l’islam facendo domanda ufficiale di apostasia allo Stato, un diritto che è concesso solo ai cittadini malesi appartenenti a minoranze etniche.

Attive soprattutto le chiese protestanti
Colpisce che ad attivarsi siano però soprattutto le Chiese protestanti, evangelicali e pentecostali. Nel 1996 la Società Biblica Egiziana vendette solo 3mila copie di un film su Gesù, ma 600mila nell’anno 2000. Conversioni segretissime sembrano verificarsi addirittura tra i palestinesi. Un pastore evangelicale ha dichiarato: «Ho lavorato tra queste persone per 30 anni, e dovete credermi se vi dico di non aver mai visto nulla di simile». Ma vi è di più: come riporta il sito http://www.backtojerusalem.org/vision, un gran numero di missionari predicano il Vangelo lungo la strada che dalla Cina giunge a Gerusalemme; e gli evangelicali della Nigeria vogliono fare l’analogo, con 50mila missionari pronti a battere tutto il Nordafrica per giungere ancora, sempre, ovvio, a Gerusalemme. Un sandwich, con l’Arabia Saudita wahhabita nel mezzo...

L'attività dei cattolici
Più timida è invece l’attività missionaria di diversi cattolici. Il padre gesuita Samir Khalil Samir, uno dei massimi esperti cattolici dell’islam, consigliere del Papa, testimonia, per esperienza personale, che nei Paesi islamici molto clero cattolico, per paura o per un malinteso “ecumenismo”, cerca di dissuadere le conversioni.
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Messaggioda Berto » dom ott 22, 2017 9:41 pm

Orrore, terrore, avversione e odio per il nazismo maomettano o sana e naturale islamofobia
viewtopic.php?f=188&t=2523

Ma quali sono i valori spirituali e umani dell'Islam?
viewtopic.php?f=188&t=2580

Religione e religiosità come ossessione, come grave malattia, grave disturbo della mente e dell'anima o psico-emotivo
viewtopic.php?f=141&t=2527

Cosa ci sarà mai di spirituale in questa gente, in questo culto politico-religioso dell'orrore e del terrore, nel loro pregare idolatra e ossessivo?
Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... lamica.jpg
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Messaggioda Berto » dom ott 22, 2017 9:42 pm

Il Papa annuncia un mese missionario straordinario nell’ottobre 2019
GIACOMO GALEAZZI
2017/10/22

http://www.lastampa.it/2017/10/22/vatic ... agina.html

«Accogliendo la proposta della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, indico un Mese missionario straordinario nell’ottobre 2019, al fine di risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale». È l’annuncio - peraltro già noto da alcuni mesi - contenuto nel messaggio che Papa Francesco ha inviato al Prefetto di Propaganda Fide, il cardinale Fernando Filoni, ricordando l’avvicinarsi del centenario della lettera “Maximum illudˮ con la quale Benedetto XV diede nuovo slancio alle missioni.

«Era il 1919: al termine di un tremendo conflitto mondiale, che egli stesso definì “inutile strageˮ, il Papa avvertì la necessità di riqualificare evangelicamente la missione nel mondo - afferma Francesco - perché fosse purificata da qualsiasi incrostazione coloniale e si tenesse lontana da quelle mire nazionalistiche ed espansionistiche che tanti disastri avevano causato. “La Chiesa di Dio è universale, per nulla straniera presso nessun popoloˮ scrisse, esortando anche a rifiutare qualsiasi forma di interesse, in quanto solo l’annuncio e la carità del Signore Gesù, diffusi con la santità della vita e con le buone opere, sono la ragione della missione».

Benedetto XV diede così «speciale impulso alla missio ad gentes, adoperandosi, con lo strumentario concettuale e comunicativo in uso all’epoca, per risvegliare, in particolare presso il clero, la consapevolezza del dovere missionario», che «risponde al perenne invito di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creaturaˮ». Un «comando del Signore» che «non è un’opzione per la Chiesa: è suo «compito imprescindibile», come ha ricordato il Concilio Vaticano II, in quanto la Chiesa «è per sua natura missionaria». Per corrispondere a questa identità missionaria, ha scritto ancora Francesco citando le parole del Concilio, «è necessario che la Chiesa, sempre sotto l’influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell’obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso».

Papa Bergoglio ha ricordato anche le parole di san Giovanni Paolo II, convinto che la missione «rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola!».

Il Papa ha infine citato le parole da lui scritte nell’esortazione Evangelii gaudium: «Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una “semplice amministrazione”. Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un “stato permanente di missione”... La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di uscita e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia».

Nell’avvicinarsi del centenario di Maximum illud, Francesco ha quindi chiesto di «superare la tentazione ricorrente che si nasconde dietro ad ogni introversione ecclesiale, ad ogni chiusura autoreferenziale nei propri confini sicuri, ad ogni forma di pessimismo pastorale, ad ogni sterile nostalgia del passato, per aprirci invece alla novità gioiosa del Vangelo. Anche in questi nostri tempi, dilaniati dalle tragedie della guerra e insidiati dalla triste volontà di accentuare le differenze e fomentare gli scontri, la Buona Notizia che in Gesù il perdono vince il peccato, la vita sconfigge la morte e l’amore vince il timore sia portata a tutti con rinnovato ardore e infonda fiducia e speranza». E ha indetto un mese missionario straordinario per l’ottobre 2019, «affinché tutti i fedeli abbiano veramente a cuore l’annuncio del Vangelo e la conversione delle loro comunità in realtà missionarie ed evangelizzatrici; affinché si accresca l’amore per la missione».
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Messaggioda Berto » gio mar 15, 2018 6:26 pm

NON SUONIAMO AI CITOFONI

L'ebraismo e' l'unica religione al mondo che non fa proselitismo, anzi quasi scoraggiamo chi vuole convertirsi alla nostra fede, con tanti anni di studio e prove stressanti.
Riteniamo che la religione sia un fatto personale non da imporre a nessuno.

https://www.facebook.com/15910898712022 ... nt_mention
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Messaggioda Berto » gio mar 15, 2018 6:27 pm

Non siamo discendenti di Abramo e dei romani
viewtopic.php?f=195&t=2570

Non ho nulla contro gli ebrei che amo profondamente come uno dei popoli più umani ed eroici della terra e non ho nulla nemmeno contro gli antichi romani, è che io non sono né ebreo né romano e pertanto non vi è ragione alcuna che io assuma la loro storia come se fosse la mia. Mi parrebbe poco dignitoso appropriarmi delle storie degli altri rinunciando alla mia, qualunque essa sia stata nel bene e nel male.
La mia umanità e quella della mia gente non è da meno di quelle ebraica e romana.
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Messaggioda Berto » gio mar 15, 2018 8:56 pm

Papa: per unità cristiani superare proselitismo e competizione
25-01-2015
http://www.prealpina.it/pages/papa-per- ... 12966.html


Papa: Il proselitismo è una sciocchezza, mi fa diventare anticlericale
Martedì 01 Ottobre 2013

http://www.lapresse.it/papa-il-proselit ... icale.html

Roma, 1 ott. (LaPresse) - I ricordi della sua infanzia, la sua "insegnate comunista" uccisa dal regime ma soprattutto una 'critica' nei confronti della Curia "troppo vaticano-centrica" e quell'appello ad aprirsi al nuovo, continuare nel solco del Concilio e sgomberare il campo da fanatismi e idolatrie. C'è tutto questo nella lunga conversazione che Papa Francesco ha avuto con Eugenio Scalfari pubblicato oggi nella pagine del quotidiano La Repubblica.

Il colloquio inizia con la visione del mondo di Bergoglio quando traccia "i mali del mondo". "I più gravi dei mali che affliggono il mondo - dice l'argentino - in questi anni sono la disoccupazione dei giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno né l'uno né l'altra, e il guaio è che non li cercano più. Sono stati schiacciati sul presente. Mi dica lei: si può vivere schiacciati sul presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così? Questo, secondo me, è il problema più urgente che la Chiesa ha di fronte a sé".

Il Pontefice tocca alcuni tra i principali argomenti di dibattito tra credenti e non credenti, sottolineando in particolare che "il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di fame un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l'importante è che portino verso il Bene".

Bergoglio poi, spiazza il suo interlocutore, sostenendolo nel disagio nei confronti del 'clericalismo'. "Quando ho di fronte un clericale - dice - divento anticlericale di botto. Il clericalismo non dovrebbe avere niente a che vedere con il cristianesimo. San Paolo che fu il primo a parlare ai gentili, ai pagani, ai credenti di altre religioni, fu il primo ad insegnarcelo". Al Papa poi non piaccione alcune parole come "narcisismo". "Indica un amore smodato verso se stessi e questo non va bene, può produrre danni gravi non solo all'anima di chi ne è affetto ma anche nel rapporto con gli altri, con la società in cui vive. Il vero guaio è che i più colpiti da questo che in realtà è una sorta di disturbo mentale sono persone che hanno molto potere".

Il pontefice, nel lungo colloqui con Scalfari, punta inoltre l'indice contro quella parte della curia che definisce "Vaticano-centrica". Ovvero che "vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio e i presbiteri, i parroci, i vescovi con cura d'anime, sono al servizio del popolo di Dio. La Chiesa è questo, una parola non a caso diversa dalla Santa Sede che ha una sua funzione importante ma è al servizio della Chiesa. Io non avrei potuto avere la piena fede in Dio e nel suo Figlio se non mi fossi formato nella Chiesa e ho avuto la fortuna di trovarmi, in Argentina, in una comunità senza la quale non avrei preso coscienza di me e della mia fede" Francesco spiega inoltre che "la Chiesa non si occuperà di politica".

"Le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti. Questo l'hanno detto tutti i miei predecessori, almeno da molti anni in qua, sia pure con accenti diversi. Io credo che i cattolici impegnati nella politica hanno dentro di loro i valori della religione ma una loro matura coscienza e competenza per attuarli. La Chiesa non andrà mai oltre il compito di esprimere e diffondere i suoi valori, almeno fin quando io sarò qui". Poi alcuni temi a lui cari come quello dell'importanza della donna nella Chiesa. E infatti in un passaggio sottolinea: "Parleremo anche del ruolo delle donne nella Chiesa. Le ricordo che la Chiesa è femminile". Infine la stoccata ormai consueta al consumismo e al liberismo senza regole: "Il liberismo selvaggio - osserva - non fa che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi".

"Ci vuole grande libertà, nessuna discriminazione, non demagogia e molto amore". Soprattutto, per il Papa, "ci vogliono regole di comportamento e anche, se fosse necessario, interventi diretti dello Stato, per correggere le disuguaglianze più intollerabili".




Gino Quarelo
Su alcune cose concordo con Bergoglio, tipo l'antiproselitismo, su tante altre no a cominciare dalla santificazione del maomettismo all'apertura indiscriminata all'invasione dall'Asia e dall'Africa a spese dei cittadini europei e italiani.
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Messaggioda Berto » ven apr 13, 2018 6:51 am

I cristiani ortodossi non fanno proselitismo missionario ?


La Chiesa ortodossa fa’ proselitismo?

http://digilander.libero.it/gogmagog1/o ... itismo.htm

Percorrendo le vie delle nostre città non è raro imbattersi nelle caratteristiche figure dei predicatori protestanti. Queste persone sono normalmente abbastanza giovani e si assomigliano tutte: camminano in gruppetti di due o tre, sono vestite classicamente, hanno un approccio molto cortese con il loro prossimo...

Quando parliamo di proselitismo la prima immagine che ricorre alla nostra mente è quella di tali predicatori itineranti, quando addirittura non emerge quella dei testimoni di Geova, assai popolari per la loro irriducibile insistenza...

Gli italiani più anziani abituati alla pratica cristiano-cattolica ricordano la romantica figura del missionario. Talora nelle giornate che la Chiesa Cattolica dedica alle missioni, alcuni missionari di vari istituti religiosi si recano nelle parrocchie in cerca di sostegno finanziario. Essi descrivono attività evangelizzatrici in paesi lontani, in luoghi che impongono non lievi sacrifici...

E la Chiesa ortodossa? Ha delle missioni? Fa’ del proselitismo? Se per missione intendiamo una realtà aggressiva che punta a far proselitismo dobbiamo proprio dire di no. Nessun cristiano ortodosso che abbia conosciuto bene l’Ortodossia fa’ dei proseliti o cerca delle persone da convertire a forza, convincendole con spiegazioni razionali. Tutto ciò non è in contraddizione con la stabile convinzione con la quale l’Ortodossia confessa la sua originale identità cristiana. Quest'atteggiamento può parere strano solo a una certa mentalità cristiana occidentale secondo la quale il cristianesimo è qualcosa da capire, da illustrare logicamente, per poi essere creduto. Un buon evangelizzatore protestante o cattolico è prima di tutto un buon conoscitore della Bibbia, un buon omileta e un buon apologeta. In tal senso egli deve "saper convincere" l’uditorio e quindi è necessario che abbia sviluppato una buona arte dialettica. A tutto questo, un tempo si aggiungeva una buona dose di "terrorismo spirituale", ossia una costrizione psicologica con la quale il predicatore obbligava gli uomini a credere e a praticare la fede sotto pena di castighi eterni nel caso in cui non lo avessero fatto. Quest’ultimo vezzo non è del tutto scomparso e si riscontra qua e là, soprattutto nelle ristrette cerchie di alcuni movimenti ecclesiali cattolici...

Il cristiano ortodosso maturo non ha nemmeno la tentazione di fare tutto ciò perché sà che chi giudica e chi interviene nella vita del fratello, credente o meno, è Dio, non lui. Sapere questo è molto importante, soprattutto nei rapporti interecclesiali e in ambito ecumenico. L’ortodosso è convinto che lo Spirito Santo agisce e anima la sua Chiesa anche perché può averlo visto in termini molto concreti. Eppure egli non giudica superficialmente e sommariamente nessuno perché l’uomo non può porsi al posto di Dio. L’Ortodosso è testimone dell’azione di Dio nella storia. Dal momento che Dio non è un principio astratto ma è una realtà vivente, Egli muove ciascun uomo in cerca delle realtà vere ed alte, in cerca di Sè. Ne consegue che la ricerca della verità, prima d’essere un’attività intellettuale e speculativa, è un’eminente attività vitale, è la ricerca molto spesso inconscia dell’unica Realtà che dà vita a tutto. Molte persone che si convertono alla verità cristiana sentono d’averla cercata in cuor loro ancor prima d’averlo compreso. Questo principio è fondamentale ed è ben chiaro all’Ortodossia. Ne consegue che nessuno spinge le persone alla Chiesa perché è Dio stesso che le invita in quella direzione, nessuno deve rispondere a domande che non vengono poste o porre discorsi che in un certo livello esistenziale non verrebbero capiti. L’eventuale evangelizzazione deve rispettare la crescita e il livello di ognuno! Non appartiene all’Ortodossia la minaccia di castighi, l’apologia non richiesta della verità, la pubblicità delle proprie virtù e della propria filantropìa. L' "attività missionaria" che l’Ortodossia compie, avviene principalmente quando il missionario, chierico o laico che sia, si purifica dai propri peccati, prega assiduamente e cerca di vivere il vangelo. In tal senso ogni cristiano è missionario! Se esiste qualcun’altro che, vedendo ciò, chiede la ragione di questo stile di vita, allora può instaurarsi un dialogo nel quale l’ortodosso illustra con discrezione i motivi per i quali agisce.

Probabilmente questo tipo di evangelizzazione è molto distante da quella occidentale di tipo cattolico o protestante e, perciò, sembra poter mietere molti meno frutti. È anche per questo che l’Occidente non la considera, come tende a sottovalutare il significato della conversione del cuore come presupposto indispensabile per fare teologia e opera pastorale. Tuttavia ciò che è certo è che nello stile ortodosso rimane un ampio spazio per sentire e riconoscere l’azione di Dio nel rispetto e nella libertà reciproca. Un cristianesimo costruito con criteri ortodossi, che aderiscono alla discrezionalità patristica, si edifica in molto più tempo ma non si scalfisce né salta via come se fosse un superficiale strato di vernice. Un cristianesimo di questo tipo ha la possibilità di conservare tutto il suo patrimonio mistico e spirituale laddove un eccessivo attivismo e apre involontariamente le porte all’accoglimento di criteri secolaristici, e di criteri che, o prima o poi, annullano la cristianità cloroformizzandola, svuotandola di senso e di valore.



La missione esterna della Chiesa ortodossa russa
Documento approvato dal Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa il 16 luglio 2013.

https://mospat.ru/it/documents/o-sovrem ... ojj-cerkvi

Il 27 marzo 2007 il Sacro Sinodo della Chiesa ortodossa russa ha adottato un documento dal titolo “Il concetto di attività missionaria della Chiesa ortodossa russa”. Esso stabilisce i principi generali, gli obiettivi e gli scopi dell’attività missionaria, definisce la responsabilità missionaria del clero e dei laici, descrive le forme e i metodi dell’opera missionaria odierna. Una delle forme della missione di cui esso tratta è quella esterna, al cui esame dettagliato è dedicato il presente documento.

Il termine “missione” viene dal verbo latino mittere, che significa “inviare, mandare”, e designa dunque un “compito, incarico”. I primi missionari cristiani furono gli apostoli (letteralmente “inviati”) che misero in pratica il comandamento dato loro dallo stesso Signore e Salvatore Gesù Cristo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che che vi ho comandato” (Mt 28,19-20 ).

Nel Credo la Chiesa viene definita Apostolica, il che si riferisce non solo alla trasmissione della fede e alla successione apostolica delle ordinazioni, ma anche alla vocazione della Chiesa di predicare sempre la verità cristiana. Così dunque, la missione è insita nella natura stessa della Chiesa: la Chiesa cristiana è una Chiesa missionaria.

Nel corso della storia sono cambiate le forme e i metodi del lavoro missionario, il che ha generato i concetti di missione esterna e missione interna.

1 . Il concetto di missione esterna

La differenza tra missione esterna e missione interna dipende dalla diversità dei destinatari dell’opera missionaria della Chiesa e dalla diversità delle condizioni in cui essa si svolge.

La missione interna è rivolta ai membri della Chiesa, compresi coloro che sono battezzati ma non sufficientemente istruiti nella fede ortodossa, non hanno esperienza di partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa; essa persegue il fine della crescita spirituale dei membri della Chiesa. Parte integrante di questa missione è la catechesi e l’istruzione religiosa.

La missione esterna si rivolge a quanti sono fuori della Chiesa. I destinatari della missione esterna della Chiesa sono i seguaci di differenti credenze e coloro che professano diverse visioni del mondo, sia religiose che non religiose (laiche). Il risultato di questa missione è l’acquisto di nuovi membri per la Chiesa e, di conseguenza, la costituzione di nuove comunità ecclesiali o l’accoglienza dei nuovi membri nelle comunità già esistenti.

Per lungo tempo, la missione esterna della Chiesa consisteva nella predicazione diretta del Vangelo ai popoli non cristiani. Mettendo in pratica le parole del Salvatore, la Chiesa fin dall’inizio della sua esistenza ha predicato il Vangelo a tutti, “vicini e lontani” (cf. Ef 2,17), e questo annuncio ha portato storicamente alla nascita di tutte le Chiese locali esistenti.

Grazie all’attività missionaria della Chiesa russa, l’Ortodossia si è affermata tra le molte tribù e popoli che vivevano sul suo territorio canonico. Fino al 1917, la nostra Chiesa ha compiva la sua missione esterna presso i popoli non cristiani dell’Impero russo, nel territorio della Siberia e dell’Estremo Oriente, come anche al di fuori dell’Impero russo, in particolare in Giappone, Cina, Corea e Nord America.

La predicazione dei missionari russi era accompagnata dalla creazione di comunità per i nuovi convertiti, da una feconda attività di traduzioni, dalla costruzione di chiese e monasteri e dalla istituzione di seminari, scuole, biblioteche, ospedali e laboratori artigianali. Un esempio luminoso è la missione giapponese, frutto degli sforzi missionari di San Nicola del Giappone: iniziata da una chiesetta presso la missione diplomatica russa, essa ha dato vita alla Chiesa Ortodossa Autonoma del Giappone, che continua ancora oggi l’opera salvifica dell’evangelizzazione del suo paese.

Il risultato di molti anni di lavoro disinteressato dei missionari russi in Cina e in America è stata la creazione della Chiesa indipendente cinese, che oggi risorge dopo i pesanti anni della “rivoluzione culturale”, e della Chiesa Ortodossa in America, che ha ricevuto l’autocefalia dalla Chiesa ortodossa russa nel 1970.

Prima degli eventi rivoluzionari del 1917, la missione esterna era realizzata dalla Chiesa Russa su larga scala e in modo organizzato, ma durante le persecuzioni atee del ventesimo secolo questa attività è diventata impossibile nelle forme che aveva avuto in precedenza. Essa è continuata in modo organizzato solo parzialmente nella chiesa all’estero, mentre in Unione Sovietica si è dovuta limitare alla testimonianza individuale del clero e del laicato, spesso accompagnata dalla confessione e anche dal martirio. La missione su larga scala della Chiesa è ridiventata possibile solo dopo che essa ha riacquistato la libertà.

2. La “missione della presenza” e le sue forme

La missione intesa come predicazione diretta rimane tuttora la principale vocazione della Chiesa, ovunque ciò sia possibile e opportuno. Tuttavia oggi, accanto alla missione diretta, un significato particolare ha acquisito quella che potrebbe essere definita la “missione della presenza”, ovvero la testimonianza del Vangelo non direttamente, ma indirettamente – attraverso l’espressione delle posizioni dell’Ortodossia nei vari settori della vita sociale e culturale dei paesi in cui vivono membri della Chiesa. È necessario distinguere le seguenti forme di missione della presenza:

Informativa, consistente nella diffusione di nozioni circa la storia del cristianesimo, la Chiesa ortodossa, le culture dei popoli ortodossi; nel far conoscere all’opinione pubblica le posizioni della Chiesa su una vasta gamma di questioni attraverso i media (giornali , TV, radio, Internet), anche attraverso la partecipazione di rappresentanti della Chiesa al dibattito pubblico.

Culturale, che si realizza con la partecipazione di rappresentanti ufficiali della Chiesa, o di singoli ecclesiastici e laici, alle attività culturali per l’attuazione della testimonianza ortodossa.

Sociale, che consiste nella testimonianza di Cristo attraverso la beneficenza, le opere di misericordia, il servizio sociale, l’aiuto ai poveri e agli svantaggiati, secondo l’esortazione del Vangelo: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Matteo 5:16 ).

Personale, fatta dalla testimoninza data dai fedeli ortodossi, in parole e opere, della loro fede, della loro esperienza spirituale e dei valori cristiani.

Tutte le forme menzionate della missione come presenza sono adatte, sia per i paesi e le società in cui esiste il pluralismo ideologico e religioso, e vige il principio giuridico della libertà di coscienza e di religione, come anche per quelli in cui, per ragioni politiche e altre, non si riconosce il diritto alla libertà di coscienza, di professione e di predicazione religiosa. Particolare importanza in questi ultimi ha la missione personale, che è spesso l’unica possibile.

La Chiesa esorta alla libertà religiosa e insegna ai suoi membri rispetto e amore per ogni persona, di qualsiasi credenza religiosa. Rimanendo fedele al Vangelo, la Chiesa cerca quelle forme di missione della presenza che sono più appropriate in particolari contesti politici, sociali, culturali e religiosi.

3 . La testimonianza dell’Ortodossia tra i cristiani di altre confessioni

La Chiesa ortodossa russa non rinuncia alla testimonianza dell’Ortodossia tra i cristiani di altre confessioni. Essa ha sempre sottolineato che i contatti con i rappresentanti di altre confessioni, compresi i dialoghi bilaterali, la partecipazione a conferenze e l’impegno ecumenico nelle organizzazioni intercristiane, e altre forme di cooperazione intercristiana sono a servizio dello scopo principale, di cui si parla nel documento “Principi fondamentali delle relazioni con le altre confessioni cristiane”, adottato dal Consiglio dei Vescovi dell’anno giubilare del 2000: “la Chiesa Ortodossa è custode della Tradizione e dei doni di Grazia della Chiesa antica, e perciò vede come suo compito principale nei rapporti con i non-ortodossi la testimonianza costante e persistente che porta alla scoperta e all’accettazione della verità che si esprime in questa tradizione ” (3,1). Inoltre, nelle decisioni della riunione pan-ortodossa di Salonicco (1998) si sottolinea con forza che “noi [ortodossi] non abbiamo il diritto di recedere dalla missione affidataci dal Signore nostro Gesù Cristo di testimoniare la verità di fronte al mondo non ortodosso”. Nei casi in cui i nostri interlocutori prendono la via della revisione delle norme eterne e immutabili, che sono fissate nella Sacra Scrittura, il dialogo diventa priva di significato e si esaurisce.

4 . Il dialogo con le altre religioni

La comprensione attuale della missione è basata sulla cultura del dialogo. Il riconoscimento del principio della libertà di scelta religiosa comporta che nei rapporti con i rappresentanti di altre religioni, la forma di base della testimonianza debba essere il dialogo. La Chiesa ortodossa russa è impegnata nel dialogo interreligioso in forme diverse e a vari livelli, per esprimere e difendere le proprie posizioni su questioni di interesse pubblico, come ad esempio le norme e i valori morali, la convivenza pacifica, la giustizia, il rispetto della dignità umana, la tutela dell’ambiente, la bioetica, i diritti umani, ecc.

La Chiesa ortodossa, secondo i propri principi dottrinali e canonici, valuta il sistema di credenze e le pratiche religiose di altre religioni. Rispetto alle persone che sono seguaci di queste religioni e di ideologie secolari, la sua posizione è una posizione di rispetto e amore. Secondo quanto scriveva il grande missionario russo S. Innocenzo metropolita di Mosca: “se il predicatore non avrà in sé l’amore verso le persone alle quali rivolge il proprio annuncio, allora anche la migliore e più eloquente esposizione della dottrina non avrà alcun beneficio, poiché solo l’amore edifica” [1].

Proprio questo approccio è di aiuto alla nostra Chiesa per cercare di superare i conflitti e rafforzare la solidarietà tra le persone, attraverso il dialogo con i rappresentanti delle altre religioni e filosofie.

“Nel mondo di oggi, in cui i processi di globalizzazione, la stratificazione sociale, le attive migrazioni di massa sono accompagnate dall’istigazione alla violenza, dalla comparsa del terrorismo e dell’estremismo e dalle tensioni etniche e religiose, la testimonianza e l’annuncio della possibilità di riconciliazione tra persone di diverse nazionalità, età e gruppi sociali, dovrebbe essere uno dei contenuti principali della missione ortodossa. La missione di riconciliazione dovrebbe aiutare le persone a prender coscienza della possibilità e necessità del trionfo della pace, ai diversi livelli personale, familiare e sociale, in conformità con l’esortazione apostolica : “Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore” ( Ebrei 12:14 ) ” [2] .

5 . La missione nell’attività delle parrocchie della Chiesa ortodossa russa all’estero

Le parrocchie della Chiesa ortodossa russa al di fuori del suo territorio canonico, originariamente sono state create per la cura spirituale dei connazionali che si trovavano lontani dalla patria, ma molte di esse col tempo sono diventate una casa spirituale anche per cittadini del Paese ospitante che hanno aderito all’Ortodossia.

La Chiesa ortodossa russa si attiene strettamente alle norme del diritto canonico, e non realizza la propria missione sul territorio canonico di altre Chiese ortodosse locali, secondo la regola : “i vescovi di ogni nazione devono … agire … ognuno solo per ciò che riguarda la sua diocesi e i luoghi che ne fanno parte” (Ap. 34). Solo su invito della Chiesa locale in questione, la Chiesa russa può partecipare all’attività missionaria di essa.

Nei paesi in cui il cristianesimo è parte della cultura nazionale e ha plasmato l’identità del popolo, le parrocchie della Chiesa ortodossa russa, nel testimoniare l’Ortodossia tra la popolazione del posto, non fanno uso di quei metodi che oggi normalmente si associano al concetto di proselitismo. [3] La stessa cosa la Chiesa russa chiede alle organizzazioni religiose non ortodosse che operano sul territorio canonico del Patriarcato di Mosca. Allo stesso tempo, la Chiesa è aperta a tutti coloro che desiderano accogliere la pienezza della verità della fede ortodossa, perciò in quegli stati in cui vige il principio della libertà di coscienza, il passaggio all’Ortodossia di singole persone che in precedenza si riferivano ad altre convinzioni, religiose o non religiose, è il risultato della loro libera scelta personale.

Nei paesi in cui il cristianesimo è una religione minoritaria, l’annuncio dell’Ortodossia si realizza anche attraverso la partecipazione dei cristiani ortodossi alle opere di misericordia e di carità, poiché il linguaggio delle opere buone è comprensibile a tutte le persone di qualunque nazionalità, religione e cultura. La predicazione del vangelo di Cristo è tanto più convincente, quanto più le persone di altre fedi vedono, nell’agire di chi annuncia, la realizzazione dei comandamenti del Vangelo.

All’integrazione delle persone del luogo nella Chiesa ortodossa contribuiscono: la predicazione del Vangelo e la celebrazione del culto nelle lingue nazionali; la formazione di chierici e missionari originari del luogo; il ricorso al principio della ricezione, da parte della Chiesa, della cultura locale attraverso una predicazione viva, l’incarnazione degli ideali ortodossi nella cultura e nei costumi popolari; la consacrazione di quei tratti nazionali che permettono al popolo in questione, pur mantenendo la propria cultura, identità e autostima, di dare un contributo unico alla glorificazione di Dio nella preghiera, restando nello stesso tempo in unità armoniosa con la Chiesa intera; la creazione di condizioni per la partecipazione attiva alla vita della parrocchia dei convertiti tra gli abitanti locali, per la loro integrazione nella vita della Chiesa [4] .

6 . Piste di sviluppo della missione esterna della Chiesa ortodossa russa

Mentre supera le conseguenze dell’epoca delle persecuzioni, la Chiesa ortodossa russa riceve sempre maggiori opportunità di estendere la propria attività missionaria esterna. La missione esterna può svilupparsi secondo diverse direzioni.

Nella sfera teorica :

l’analisi delle esperienze della predicazione ai non cristiani fatta prima della rivoluzione, e la sua reinterpretazione nell’applicazione alle realtà contemporanee, lo studio dell’esperienza missionaria delle altre Chiese ortodosse locali e dell’attività dei missionari non ortodossi;

la preparazione di manuali pratici per la missione tra i non cristiani;

l’ampio coinvolgimento alla missione esterna di sacerdoti e laici della Chiesa ortodossa russa e la loro relativa formazione.

Nel campo della predicazione pratica tra i non cristiani:

le traduzioni della letteratura ortodossa, e di materiali audio e video, nelle lingue dei popoli di fedi non cristiane che vivono nel territorio di responsabilità canonica della Chiesa ortodossa russa;

l’attuazione delle raccomandazioni contenute nel “Concetto di attività missionaria della Chiesa ortodossa russa”, ovvero la celebrazione dei servizi liturgici nelle lingue nazionali, la formazione di chierici e missionari originari del luogo [5].

Nel campo dell’attività missionaria delle parrocchie della Chiesa ortodossa russa che si trovano in paesi tradizionalmente ortodossi:

la creazione nelle parrocchie di condizioni di apertura nei confronti di cristiani di altre denominazioni e non cristiani, che sono interessati all’Ortodossia;

la messa a disposizione delle chiese e monasteri, che sono regolarmente visitati da turisti non cristiani, di materiale informativo sull’Ortodossia nella lingua di questi turisti, e di indicazioni su dove si può sapere di più sull’eredità spirituale della Chiesa ortodossa.

Nel campo dell’attività missionaria delle parrocchie della Chiesa ortodossa russa che si trovano nei paesi più lontani:

l’uso delle lingue locali nella liturgia;

la traduzione e pubblicazione di letteratura ortodossa nelle lingue locali;

la realizzazione di lezioni regolari nelle lingue locali, dedicate all’Ortodossia e alla comprensione della Scrittura e della tradizione patristica;

lo sviluppo delle attività sociali ed educative delle parrocchie (club per bambini, gruppi di sostegno sociale, corsi di formazione per adulti, ecc.), orientate alla popolazione locale;

l’uso attivo dei media per presentare alla popolazione locale l’Ortodossia e le attività della parrocchia (lezioni per il pubblico esterno, mostre fotografiche ortodosse, presentazioni di nuove pubblicazioni, visite guidate nelle chiese, ecc.);

il reclutamento, la formazione e la successiva integrazione nella vita della parrocchia di candidati al sacerdozio e ai ministeri di catechisti e missionari tra la popolazione locale.

In un mondo che cambia, cambiano anche le forme della missione esterna della Chiesa, ma la testimonianza cristiana e la predicazione di Cristo a coloro che non ne hanno sentito parlare, rimane per la Chiesa un compito immutato.

[ 1 ] S. Innocenzo di Mosca, “Senza l’aiuto di Dio , nessuno può essere un vero discepolo di Gesù Cristo: dagli insegnamenti di Sant’Innocenzo, metropolita di Mosca, a un sacerdote incaricato della predicazione tra gli eterodossi e della guida spirituale dei neofiti”, pubblicato nella rivista “Giornale di storia ecclesiastica”, № 8 , 2001.

[ 2 ] “Il concetto di attività missionaria della Chiesa ortodossa russa” (2, 2).

[ 3 ] La parola “proselitismo”, nel contesto cristiano contemporaneo, non è sinonimo di “missione”. Proselitismo, a differenza di missione, ha un’accezione negativa, in quanto col termine si intendono gli sforzi di conversione alla propria Chiesa di altri cristiani, facendo ricorso a metodi riprovevoli. Tra essi, le pressioni economiche e politiche, l’approfittare delle difficili condizioni economiche della popolazione, cui si offre assistenza medica e umanitaria, la pressione psicologica e l’atteggiamento di disprezzo nei confronti delle altre confessioni religiose. Si definisce come proselitismo anche la missione organizzata tra persone tradizionalmente e culturalmente appartenenti alla comunità cristiana locale.

[ 4 ] “Il concetto di attività missionaria della Chiesa ortodossa russa” (2 , 1).

[ 5 ] Ibidem.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Berto
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Missionarismo: debolezza spirituale e imperialismo religioso

Messaggioda Berto » dom gen 06, 2019 8:31 am

???

UN TRADIMENTO "INAUDITO"
Andrea Cometti
28 Dicembre 2018

http://www.accademianuovaitalia.it/inde ... l-apostata

Ecco perché non ci arrenderemo mai. Nel giro di alcuni anni siamo stati derubati di tutto: come Italiani della nostra civiltà della nostra tradizione, come cattolici della nostra chiesa della nostra dottrina e della nostra fede di Francesco Lamendola

Ecco perché non ci arrenderemo mai

di

Francesco Lamendola

http://www.accademianuovaitalia.it/imag ... DE-178.gif

Nel giro di alcuni anni, all’incirca una generazione, siamo stati derubati di tutto: come europei, della nostra civiltà, della nostra tradizione, delle nostre stesse radici; come cristiani e cattolici, della nostra chiesa, della nostra dottrina e della nostra fede. E a perpetrare il furto sono state le massime autorità: coloro che avrebbero dovuto custodire, con somma cura e diligenza, anche a rischio della vita, il deposito che era stato affidato loro: la sovranità e la cittadinanza europea, la sacralità e l’inalterabilità della fede cristiana. A macchiarsi di questo inaudito tradimento, quale mai si era visto in passato, neppure nelle epoche più oscure, sono stati i capi di Stato e di governo, da una pare, i papi, i cardinali, i vescovi e una parte del clero, dall’altra. Ci è stata tolta la nostra ricchezza, ci è stata sottratta la nostra fierezza, siamo stati umiliati, derisi, sbeffeggiati; ora siamo anche minacciati, rispettivamente della prigione e della scomunica, se non ci decideremo a sottomerci. Ci si chiede di essere docili; di accettare il cambiamento; di fare buon viso a cattivo gioco, per noi e per i nostri figli. Ebbene, noi il capo non lo piegheremo mai: se lo scordino. Potranno imprigionarci, scomunicarci e perfino ucciderci, ma non ci arrenderemo. Mai. E per una buonissima ragione, che chiude qualsiasi spazio a possibili transazioni: che ciò a cui ci si chiede di rinunciare, ciò che ci si chiede di tradire, non è nostro. Non è di nostra proprietà, non rientra nei nostri beni, quindi non abbiamo alcun diritto su di esso. Ci è stato affidato, ma è di qualcun altro. La nostra civiltà è il frutto della fatica, del lavoro, del coraggio e della perseveranza di generazioni e generazioni di nostri antenati: non è nella nostra facoltà venderla o barattarla in cambio di qualcos’altro, lo si chiami in qualsiasi modo: multiculturalità, sincretismo, relativismo, nichilismo o come si preferisce. Quanto alla fede cattolica, la cosa è ancora più chiara, tanto che la capirebbe anche un bambino: la fede ci è stata insegnata da Gesù Cristo, la chiesa è stata fondata da Lui: dunque la fede è sua, la chiesa è sua, non nostra. Se fosse nostra, potremmo anche cedere: dopotutto, nessuno nasce eroe e nessuno è obbligato a fare l’ultimo giapponese. Ma se la chiesa appartiene a Gesù, è chiaro che noi non possiamo cederla: quand’anche lo volessimo, sarebbe impossibile. Dicano pure quel che vogliono; che ci minaccino, che ci lusinghino, che escogitino ogni possibile arte per ingannarci, per indurci a tradire: nulla di quanto possano fare avrà successo. Se la chiesa non è dei cattolici, ma di Dio, i cattolici non la possono vendere o abbandonare. E se anche legioni di cattivi teologi e di falsi pastori ci esortassero, ci supplicassero, ci ricattassero, non otterrebbero nulla: non acconsentiremo mai e poi mai, se lo levino dalla testa; non possiamo disporre di ciò che non è nostro, ma di un Altro; Uno che l’ha pagato a prezzo del suo sangue.


Nel giro di alcuni anni siamo stati derubati di tutto: come Italiani della nostra civiltà, della nostra tradizione come cattolici della nostra chiesa, della nostra dottrina e della nostra fede.

Se si trattasse di qualcosa che è di nostra proprietà, potremmo anche cedere. Immaginiamo di aver creato una società per azioni e che, dopo un po’ di anni, ci accorgessimo che il nostro socio ci sta ingannando, ci sta truffando, ci sta nascondendo una quota dei profitti: potremmo intentargli causa; oppure, valutato il pro e il contro, potremmo anche lasciar perdere. Dipende da tante cose: dal nostro temperamento; dalle prospettive di ottenere ragione; dalla nostra età, dal nostro stato di salute, dal valore che attribuiamo al denaro; dal fatto di avere dei figli o degli eredi ai quali lasciare i nostri beni, o di non aver nessuno. In ogni caso, sarebbe una scelta nostra, e nessuno avrebbe il diritto di criticarci. Oppure immaginiamo di aver militato, per tutta la vita, in un certo partito politico; e di vedere che i suoi dirigenti, a un certo punto, stanno tradendo i nostri ideali, stanno imboccando una strada completamente diversa da quella che quegli ideali imporrebbero. Potremmo protestare, potremmo strappare la nostra tessera, oppure potremmo chiuderci in un silenzio sdegnoso, o amareggiato; potremmo anche pensare che loro, forse, di politica ne capiscono più di noi, che devono adattarsi ai tempi, ai cambiamenti sociali; e che essere duri e puri, in fin dei conti, potrebbe anche essere un errore, perché fare politica è l’arte di calare gli ideali nella realtà concreta. Sia una società per azioni che un partito politico, tuttavia, sono cose interamente umane: e, per quanto chi le ha create possa essere stato animato anche da motivazioni ideali, nessuno può tirare in ballo una verità di ordine superiore, ma solo il gioco degli interessi e il desiderio di creare qualcosa, di dare una risposta a una determinata situazione. In fondo, è come in un matrimonio, o in una famiglia: sarebbe bello che i coniugi fossero sempre leali l’uno con l’altro, che i figli amassero e rispettassero i genitori, ma sappiamo che ciò può non avvenire, e che proprio nel matrimonio e nella famiglia si annidano, a volte, le più amare delusioni.


Se qualcuno nutrisse per caso dei dubbi sull’esistenza del diavolo e dell’inferno, non ha che da osservare quel che fa e che dice, e tutto quel che non fa e non dice, il signore argentino che indegnamente siede sulla cattedra di San Pietro; la luce malvagia che brilla nei suoi occhi quando offende, scandalizza, disorienta e addolora milioni di fedeli.

Umanamente parlando, anche il matrimonio più felice e la famiglia più armoniosa vivono appesi a un filo, sospesi perennemente sull’abisso: a volte basta poco, pochissimo, perché quella felicità e quell’armonia se ne vadano in mille pezzi, quasi senza causa apparente. Ma il fatto di essere cittadini italiani non è come entrare in una società per azioni, non è come aderire a un partito politico; non è neppure come contrarre un matrimonio o avere dei figli: è molto di più, perché italiani si nasce, è un dato originario, inscritto nella nostra essenza e nel nostro destino, un qualcosa che non si può scegliere, perché non dipende da noi. Si può tradire un socio in affari; si possono tradire i militanti di un partito; si può tradire un coniuge: ma ciascuna di tali azioni è pur sempre un atto volontario che restituisce libertà, e sia pure una libertà negativa, a chi, volontariamente, aveva contratto un sodalizio in certa misura artificiale. Ogni sodalizio è una creazione artificiale, compreso il matrimonio, anche se l’amore, si spera, stenderà una nota gentile e disinteressata su quello che è, formalmente, nient’altro che un contratto. Ma chi è italiano, perché nasce italiano, non compie una scelta, è: è quello che è e non potrebbe essere diversamente. Perciò chi lo tradisce nel suo essere italiano, che sia il suo sindaco o il presidente della Repubblica; chi lo inganna, chi lo disprezza, chi lo umilia, svendendo non solo la sua sicurezza, ma perfino il suo orgoglio di appartenenza, svuotando di significato la cittadinanza italiana e spalancando le porte a chiunque voglia entrare in Italia, chiedendo diritti e non osservando alcun dovere; oppure sottomettendosi a dei poteri extranazionali che ordinano di tagliare le spese sociali e accollano a ciascun cittadino gli interessi spropositati su un debito pubblico che quegli stessi poteri esterni hanno creato, o enormemente ingigantito: costui compie un tradimento senza uguali, un qualcosa di talmente mostruoso che a stento si arriva a concepire. Ancora più mostruoso, ancora più inconcepibile è il tradimento di chi, sacerdoti, vescovi, cardinali e papa, invece di custodire intatta la fede dei credenti, invece di difendere e proclamare la dottrina, si adoperano ogni giorno, con diabolica perseveranza e con astuzia infernale, per sgretolare la fede, per stravolgere la dottrina, e quindi per tradire centinaia di milioni di credenti.


Nuovo papa dei protestanti? Non s’illudano: noi non ce andremo mai, sono loro che devono uscire. Che siano coerenti e che fondino la loro chiesa protestante. A noi basta Gesù, Figlio di Dio: ci basta la fede dei nostri padri, delle nostre nonne. I Rahner e i Kasper li lasciamo ad altri...

Ecco; se qualcuno nutrisse per caso dei dubbi sull’esistenza del diavolo e dell’inferno, non ha che da osservare quel che fa e che dice, e tutto quel che non fa e non dice, il signore argentino che indegnamente siede sulla cattedra di San Pietro; la luce malvagia che brilla nei suoi occhi quando offende, scandalizza, disorienta e addolora milioni di fedeli, e si compiace della servile idolatria che le folle - sempre più assottigliate, in verità; ma questo i mass-media non lo dicono – gli tributano, in forme quasi superstiziose; e paragonare tutto ciò, e l’opera, altrettanto sciagurata, dei suoi servitori e di molti vescovi e sacerdoti, con quel che dicevano e facevano i papi del passato, fino allo sciagurato Concilio Vaticano II; perché, inutile girarci attorno, è quello lo spartiacque, e non altro. Ora stiamo assistendo a un’impressionante accelerazione della strategia autodistruttiva da parte del clero apostatico; ma l’apostasia è partita da lì: non dal post-concilio, da una deformazione dei suoi documenti, da una serie di abusi e di forzature delle sue affermazioni. Quando mai un papa, parlando ai fedeli nel corso di un’omelia della santa Messa, ha chiamato cani selvaggi quelli che lo criticano? Eppure il signore argentino lo ha fatto, poco dopo l’affare Viganò: invece di rispondere a quel dossier – lui non risponde mai, lo si era già visto coi dubia dei quattro cardinali – ha chiamato cani selvaggi quelli che lo criticano, e pur se non li ha citati esplicitamente, tutti quanti hanno capito a chi si riferiva. Come ha osservato Marcello Veneziani, che non è sospettabile di simpatie integraliste e tradizionaliste, questo signore, fin da quando è stato eletto – ma bisogna vedere, appunto, come è stato eletto: ad opera di una congiura massonica che i suoi autori non si sono neanche dati la pena di nascondere più di tanto – si è posto l’obiettivo di spaccare la chiesa, di cacciare i cattolici che non ci stanno e di farli sentire in colpa, costringendoli ad andarsene. È lui, e non loro, ad aver lanciato l’attacco: è lui a portare la responsabilità di questo fatto senza precedenti nella storia: di un papa che vuol creare uno scisma, che vuole rompere del tutto con la tradizione, che vuole instaurare, forse, una nuova religione, nella quale il cattolicesimo sarà solo, annacquato e geneticamente modificato, una delle componenti. Per questo sceglie di parlare ai non cattolici; per questo va in visita nei Paesi non cattolici; per questo non parla di Gesù Cristo, se appena ne può fare a meno; per questo non difende la dottrina, ma l’attacca; e per questo rifiuta perfino d’impartire una benedizione ai fedeli, o di rivolgesi a loro con un linguaggio religioso. Per questo corteggia i protestanti, i giudei, gli islamici; per questo parla sempre e solo di politica; per questo gode ad apparire come l’icona mondiale delle sinistre, siano queste di stampo liberale o di stampo radicale. Per questo ostenta stima verso la Bonino e amicizia verso Scalfari; per questo esalta don Milani, ma tace padre Pio; per questo magnifica i ribelli e ignora i veri Santi, i mistici, le anime spirituali; per questo fa stampare francobolli in onore di Lutero e minimizza i cinquecento anni delle apparizioni di Fatima: ha fastidio del culto mariano, ha fastidio della pietà cattolica, ha fastidio della vera devozione. E per questo permette all’eretico Enzo Bianchi di asserire che Gesù Cristo era solo un profeta; per questo consente alla Comunità di Sant’Egidio di trasformare chiese e basiliche in sale mensa per i poveri; per questo ha finto di non vedere l’eutanasia perpetrata sul piccolo Alfie Evans, e ha lasciato che i vescovi inglesi ringraziassero quell’ospedale per ciò che aveva fatto; per questo ha fatto commissariare i francescani dell’Immacolata, spingendoli a uscire a centinaia dalle loro case; per questo si rifiuta di fare pulizia nell’orribile congrega di pervertiti che spadroneggia nelle sacre stanze e che profana la santità di molte curie vescovili. Ormai bisogna essere ciechi per non vedere chi è e che cosa vuole fare costui: è passato il tempo della prudenza, dell’esitazione: è arrivato il momento di alzarsi in piedi e dire no, gridare basta allo scempio diabolico che costui vuole fare a danno dei fedeli.


Hanno usurpato la Sposa di Cristo ! Non possiamo consentire a questo signore argentino, ignorante, narcisista, squilibrato, cinico e insolente, di distruggere un’opera che è stata realizzata a così caro prezzo.

La chiesa non è sua, e neppure nostra. È stata voluta da Gesù Cristo, è stata difesa con il sangue da decine di generazioni di fedeli; i martiri della fede si contano a milioni nel corso della storia. Non possiamo consentire a questo signore argentino, ignorante, narcisista, squilibrato, cinico e insolente, di distruggere un’opera che è stata realizzata a così caro prezzo; non possiamo permettere a una generazione di preti da nulla, infarciti di politica di basso profilo, gonfi di pregiudizi ideologici, senza nulla di spirituale, senza nulla di cristiano, di usurpare le loro parrocchie, perfino di chiude le chiese, a loro piacimento, nel giorno di Natale, per protestare, come dicono, contro il decreto sicurezza voluto dal ministro Salvini. Questi signori vanno cacciati a pedate nel sedere. Le chiese non sono loro, la santa Messa non è loro. Se si permettono di abolirla, offendono i fedeli e li privano del loro nutrimento spirituale: il Sangue e la Carne di Gesù Cristo. La cosa, dal loro punto di vista, si spiega e non è poi tanto grave: per loro la Messa è ben altro; non è il rinnovarsi del Sacrificio di Cristo, ma un pulpito dal quale distribuire sermoni di carattere politico e sociale. Questi infingardi sfrontati hanno usurpato la Sposa di Cristo, la manomettono, la insozzano: gente che, se lavorasse nel privato, verrebbe licenziata in tronco in meno di ventiquattro ore, perché si comporta come se avesse il diritto di fare o dire qualsiasi cosa, anche la più contraria allo spirito del lavoro che sono chiamati a svolgere. Guadagnano male il loro salario, così come abusano di tutti i beni materiali che la pietà dei fedeli ha accumulato nel corso dei secoli. Le chiese, i seminari, le curie episcopali, gli uffici diocesani, gli oratori, le parrocchie, le missioni, il denaro per mandare avanti tutto ciò, non è loro: è stato loro affidato, affinché lo adoperino per i fini della religione cattolica. Per aiutare i poveri, gli orfani, le vedove; ma anche per diffondere la verità di Cristo, per convertire il mondo: non per inchinarsi davanti al mondo, né per approvare l’immoralità del mondo. Che ci fa la signora Bonino nelle chiese cattoliche? Che ci fanno i sacerdoti gay, gli animatori parrocchiali gay, che si proclamano tali in pubblico? Che ci fanno le mense dentro le chiese, nei luoghi di preghiera? Non ci sono altri locali per allestire il pranzo di Natale? Bisogna proprio farlo dentro le basiliche? Sì: essi vogliono farlo proprio lì al preciso scopo di desacralizzare le chiese, di desacralizzare la religione, di ridurre Gesù, come dice l’eretico Enzo Bianchi, e come vorrebbe l’indegno signore argentino, al ruolo di un semplice profeta. Ebbene, non s’illudano: noi non ce andremo mai, sono loro che devono uscire. Che siano coerenti e che fondino la loro chiesa protestante. A noi basta Gesù, Figlio di Dio: ci basta la fede dei nostri padri, delle nostre nonne. I Rahner e i Kasper li lasciamo ad altri...


Alberto Pento
Tutto ciò è una conseguenza della presunzione, dell'esaltazione e del fanatismo idolatra e utopistico delle religioni, in questo caso del cristianismo con le sue sette.
Il dialogo interreligioso tra le sette cristiane è una necessità per i cristiani, poiché Cristo è uno solo;
lo è anche tra le altre e tutte le religioni della terra onde evitare i conflitti e le guerre religiose che hanno insanguinato e che ancora insanguinano il Mondo.
A mio modestissimo parere di aidolo, il solo modo per risolvere la cosa del dialogo interreligioso e della pace religiosa è di andare oltre le religioni, i loro idoli o interpretazioni del divino e la loro idolatria, ritrovando la spiritualità naturale e universale areligiosa.
Il primo passo per tutti è quello di rinunciare alla presunzione idolatra e fanatica dell'assolutismo, imperialismo, universalismo, proselitismo, missionarismo proprio di ogni religione e di denunciare e criticare gli eccessi e le pratiche disumane di ogni religione che questo comporta.



L'assurda, irragionevole e idolatra eresia cristiana
viewtopic.php?f=199&t=2589


Una religione così non è una buona religione ma un male dello spirito
viewtopic.php?f=199&t=2590


Dialogo interreligioso - la Nostra Aetate e l'Islam
viewtopic.php?f=24&t=2561


Missionarismo e proselitismo come debolezza e inconsistenza spirituale e imperialismo religioso e politico
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Missionarismo: debolezza spirituale e imperialismo religioso

Messaggioda Berto » lun apr 29, 2019 5:25 am

???

Sul proselitismo e i suoi troppi significati
Gianni Colzani
26/04/2019

https://www.oasiscenter.eu/it/sul-prose ... ignificati

I temi della libertà religiosa, del proselitismo e della conversione, sono di estrema attualità. I recenti episodi di violenza verso i cristiani, nello stato indiano di Orissa, sono solo l’ultimo episodio di una lista molto lunga che ha coinvolto tutte le grandi religioni. Anche se molti credenti e molti leader di tutte le fedi si sono adoperati per far mantenere alle religioni quel significato di pace e di profondità umana che sono loro propri, il dibattito si è fatto incandescente e ha investito l’attività e i metodi delle sette, ma anche il significato della presenza di scuole cristiane e di centri caritativi in molti Paesi. Letti con occhi occidentali, questi fatti comportano una violazione della Carta dei diritti umani mentre, secondo gli interessati, sono una reazione in difesa di quel patrimonio culturale e religioso che l’Occidente appare incapace di rispettare.

L’insieme di questi fatti mostra come le conversioni siano un tema controverso e finiscano per rovesciare l’accusa di proselitismo su ogni sforzo di comunicazione della propria fede. Non sono temi nuovo in assoluto. Lo stesso Gandhi aveva espresso concetti simili. In una intervista dell’11 maggio 1935, affermava:

Se avessi il potere di legiferare, certamente fermerei ogni tipo di proselitismo. Causa molti conflitti tra classi potenzialmente evitabili e inutile rancore tra missionari.

Dopo aver qualificato come «indecenti» i metodi missionari, concludeva:

nelle famiglie indù l’arrivo di un missionario ha significato la distruzione dell’unità familiare per l’effetto di cambiamenti di abiti, abitudini, lingua, cibo e bevande[1] .

Citazioni simili sono facilmente moltiplicabili. L’attuale società, segnata da una incredibile mobilità che ha vanificato le frontiere di un tempo e imposto una visione multiculturale e multireligiosa, impone una ripresa della riflessione sulle conversioni e un suo ripensamento: che cos’è proselitismo? Comunicare la propria fede ad altri è davvero così negativo? Quale nesso esiste tra l’atteggiamento di chi testimonia la propria fede e la conversione di chi vi aderisce? Convertirsi significa cambiare religione o è sempre un convertirsi a Dio, un aderire a Lui, scoperto e riscoperto in un cammino mai conchiuso? Se ci si converte a Dio, qual è il ruolo e il valore delle diverse fedi, dei loro dogmi e delle loro pratiche religiose? Non mi sembra che la passione che oggi si riversa su queste tematiche abbia fatto fare significativi passi avanti.

Nelle scritture cristiane, i proseliti sono gli interlocutori privilegiati della missione e svolgono ruoli notevoli nella vita delle comunità

Il termine greco “proselito” ricorre quasi esclusivamente nelle scritture ebraiche e cristiane ed è il risultato della maniera con cui il mondo ebraico concepisce lo straniero. Il mondo ebraico conosce una multiforme tipologia di stranieri e si serve di una certa varietà di termini per farlo[2] ; sulla base dell’Esodo, un’esperienza di migrazione e di schiavitù, la letteratura sacerdotale e deuteronomista avvicinerà lo straniero residente – il ger – allo israelita e questo processo sarà confermato dalla traduzione greca dei LXX che, per una settantina di volte, tradurrà il termine ger con prosélytos. La valorizzazione di questa figura sarà opera del giudaismo della diaspora più che di quello palestinese: mentre quest’ultimo rimarrà centrato su un nazionalismo religioso, nella diaspora il termine prosélytos indicherà un cammino religioso, senza alcun interesse per la posizione sociale o nazionale della persona. Questa visione positiva sarà ripresa nelle scritture cristiane: i proseliti saranno gli interlocutori privilegiati della missione e svolgeranno ruoli notevoli nella vita delle comunità. Al di là di questioni aperte, resta il fatto, positivo, che il proselitismo è espressione dell’impegno che credenti e chiese profondono per far conoscere a tutti il vero Dio. Proselitismo equivale a comunicazione della fede.

Intolleranza e Fanatismo

Questa visione positiva sarà mantenuta per secoli senza particolari dibattiti. Saranno gli illuministi a modificare il termine: il loro interesse non verterà sulla condizione religiosa personale del proselito ma sulle modalità di comunicazione della propria fede. Poiché considerano la ragione come l’unico criterio di verità, descriveranno il proselitismo come una comunicazione delle proprie convinzioni pretestuosamente autoritaria: non mira a favorire una fede personale libera e illuminata, ma a indurre sottilmente o a obbligare palesemente una persona ad aderire alle convinzioni religiose di un altro. Il proselitismo, in quanto patologia della comunicazione, si apparenta all’intolleranza e al fanatismo. L’enfasi illuminista sull’individuo e sulla sua razionalità porterà a un radicale ripensamento della vita sociale: l’autorità lascia il suo ruolo alla ragione mentre la tradizione scompare dietro il ricorso all’esperienza personale. In questo quadro antropologico non vi è più spazio per l’appassionata comunicazione della propria fede: il proselitismo viene sentito come comunicazione asimmetrica, come violenza.

Con l'Illuminismo la parola assume un significato negativo: indica una comunicazione delle proprie convinzioni asimmetrica e autoritaria

A questa critica se ne aggiunge oggi un’altra, di carattere socio-religioso; molte comunità, che sentono il loro patrimonio culturale e religioso minacciato dalla sottile violenza della globalizzazione, insorgono contro ogni forma e ogni istituzione universalizzante e chiedono un regime giuridico di protezione per la loro tradizione e le loro religioni. Innescata dalla arroganza di gruppi evangelical e di sette fondamentaliste, questa reazione non si limita a contestare forme sbagliate di evangelizzazione[3] ma rivendica una sorta di «identità collettiva» dei popoli non-occidentali e la afferma come un valore da proteggere. Al di là della reazione, si registra l’attestazione di un patrimonio collettivo, inteso come identità intoccabile: la sua difesa arriva fino a imporre dei limiti anche ai cammini individuali di libertà. Mettere a fuoco il comportamento sbagliato di questi gruppi è necessario ma non è ancora tutto: al centro sta l’affermazione di una “identità collettiva”, categoria molto delicata da analizzare.

Nemmeno le Chiese, a dir la verità, hanno approfondito la questione; accettando l’impostazione illuminista, si sono per lo più limitate a distinguere tra evangelizzazione e proselitismo cercando così un’immagine della comunicazione della fede che fosse accettabile anche per l’uomo moderno. In questi ultimi dieci anni questi appelli non hanno fatto che moltiplicarsi. È del settembre 1997 l’appello Towards Common Witness: A Call to Adopt Responsible Relationship in Mission and to Renounce Proselytism approvato dal Comitato centrale del WCC (Consiglio mondiale delle chiese) che presenta il proselitismo come controtestimonianza; è del maggio 2006 l’incontro riservato tra membri del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dell’Ufficio per il Dialogo Interreligioso del WCC per discutere di Interreligious Reflexions on Conversion: Assessing the Reality e formulare un comune codice di condotta. Grosso modo si può dire che sono due le ipotesi di soluzione oggi presenti: l’introduzione di una legislazione che limiti la conversione o l’accettazione di un comune codice di condotta, per ora ancora solo ipotetico, che aiuti a distinguere tra legittima testimonianza e deprecabile proselitismo.

Realtà Viva e Dinamica

Anche se svolto in tono minore, il quadro del dibattito risulta sufficientemente chiaro: da una parte vi è la problematica illuminista e dall’altra vi è un crescente pluralismo religioso che ha imposto alle Chiese e ai movimenti missionari una riflessione sul senso e sulle modalità della comunicazione della fede e della condivisione delle convinzioni religiose personali e comunitarie. Le Chiese cristiane rivendicano unanimemente il diritto di proclamare la loro fede: nel farlo si appoggiano sia alla libertà religiosa, intesa come innegabile diritto delle persone e come criterio per una normativa statale ispirata alla libertà[4] , sia al valore della testimonianza come forma originaria e insopprimibile di comunicazione.

Lasciando a parte la questione della libertà religiosa, trattata da altri autori, il cuore del dibattito sta nel rapporto che si stabilisce tra identità individuale e collettiva, tra libertà di coscienza e appartenenza culturale-religiosa. L’identità, e di conseguenza l’appartenenza, va pensata come una realtà viva e dinamica, irriducibile a qualcosa di immutabile; è qualcosa di vivo perché si ridefinisce in una continua relazione con altri che confermano o discutono il nostro modo di interpretare la vita. Per questo l’identità individuale vive sempre in un ambito sociale: mentre indica ciò che ci accomuna, indica pure ciò che ci rende diversi. L’identità, insomma, ha un aspetto che permane identico a se stesso e indica quell’«io» che regge ogni mutamento e un aspetto mutevole che regge il peso e la chance dei mutevoli influssi che provengono dall’ambiente e, prima di tutto, dall’incontro di altre persone.

L'identità, anche quella religiosa, è sempre in mutamento e non può cristallizzarsi in una forma immutabile

L’identità è sempre identità-in-mutamento e non può essere fissata in una forma immutabile, se non ideologicamente. Anche l’identità religiosa, anche la tradizione religiosa. Essa non è una riserva di risposte già pronte e confezionate per tutti i tempi ma è una risorsa, un pungolo a vivere con fedeltà i problemi e gli interrogativi inquietanti che le diverse epoche pongono; la fedeltà alla propria tradizione religiosa è una responsabilità e un rischio da onorare, non un talento da sotterrare. Alla propria identità appartiene una insopprimibile tensione tra ricerca personale e appartenenza culturale e religiosa; diventarne consapevoli è accettare un continuo mutamento e impegnarsi a viverlo.

In questa identità-in-mutamento trovano spazio sia le tradizioni di un popolo, dalla sua cultura alla sua religione, sia l’incontro – oggi molteplice – con persone diverse ed estranee, testimoni dell’ampiezza umanistica del mondo. Va detto che un certo etnocentrismo è presente in ogni persona e in ogni cultura: dice il particolare punto di vista di una civiltà e l’appartenenza culturale di ogni individuo. Ogni appartenenza culturale deve riconoscere i limiti della propria civiltà e dell’umanesimo che la regge; la sua pienezza si dà solo nell’apertura e nel dialogo con altre civiltà e richiederà un ripensamento fecondo, fedele e creativo, della propria identità. Certo non tutte le culture hanno il medesimo peso e lo stesso valore umanistico, ma spetta a quelle che rivendicano un significato universale farsi carico di un dialogo con tutte le altre.

Tra queste vi è la cultura occidentale. Fondata sul lógos greco, sullo ius romano e sulla pístis cristiana, la cultura occidentale ha il dovere di questo dialogo. L’orgoglio e la rabbia, di cui parla la Fallaci e che valorizzano l’universale bisogno di una patria[5] , vanno incanalati in questa direzione. Il dibattito sull’occidentalizzazione del mondo comporterà un ridiscutere l’ampiezza e la qualità di una concezione antropologica ridotta a dominio scientifico-tecnico e a consumismo personale; comporterà anche un ridiscutere l’ampiezza e la qualità delle antropologie degli altri popoli. In questo flusso di relazioni e di trasformazioni, nessuno dovrebbe rivendicare un ruolo che limiti la libertà culturale e religiosa degli altri.

Universalità Differenti

In un articolo pubblicato nel 2005 su «Il Corriere della Sera», Tommaso Padoa Schioppa indicava il proselitismo come «la libertà di persuadere». La comunicazione ad altri delle proprie convinzioni è indispensabile ed è praticata in tutti i campi, da quello scientifico a quello politico a quello religioso. Per questo riteneva che fosse almeno arduo, se non impossibile, separare la libertà di espressione dal proselitismo, cioè dal desiderio di convincere altri di quanto siamo convinti noi e perché ne siamo convinti noi. Lo sforzo appassionato di comunicare in profondità con l’altro convincendolo – la testimonianza cristiana – ha un valore illuminante anche per se stessi: si coglie meglio il valore e il peso delle proprie scelte. Questa “libertà di persuadere” non è solo lontana da ogni proselitismo ma è l’ossatura di una corretta vita sociale.

Molti degli spunti avanzati dall’autore sono condivisibili ma il tono latamente illuminista non è del tutto adatto alla vita di istituzioni religiose rivolte a quel fondamento ultimo che indicano con il nome di Dio. Il cuore della loro vita e del loro cammino, infatti, è quella consegna della propria vita a Dio che illumina e gerarchizza ogni altra esperienza. Tale esperienza è decisiva anche nella conversione: non si tratta di un cambio di religione, ma di una scoperta o riscoperta più profonda di Dio. Perché dovrebbe essere unethical conversion, una conversione immorale, la scelta di vita di una persona povera o incolta? Solo chi è ricco e sapiente può decidere a fondo della propria vita? È a questo che si dovrebbe guardare: se una persona sta prendendo in mano la propria vita. Certo non favorisce la libertà di una persona il decidere per lui.

Ad Gentes 13 descrive la conversione come «un itinerario spirituale»: chi si converte «viene introdotto nel mistero dell’amore di Dio», quel Dio che – in Cristo – lo chiama a una relazione personale con Lui. Questo ingresso esige un cambio di mentalità e di vita, un mutamento di scelte etiche e un’appartenenza comunitaria, ma l’evento decisivo resta la consegna della propria vita a Dio. Il ministero cristiano di comunicazione della fede – l’apostolato o, se vogliamo, il proselitismo – è al servizio di questo evento.

Su questo servizio pesa una storia in cui l’incontro con questi popoli fu vissuto come “esportazione”, “diffusione”, “imposizione” di un modello straniero di comunità religiosa. Il prezzo pagato fu lo stabilirsi di una distanza tra la fede e la pratica delle comunità cristiane e le tradizioni proprie delle culture non-europee; ancora oggi, dopo secoli, il Cristianesimo è sentito in quelle terre come una religione straniera. Oggi è venuto il momento di riprendere nuovamente quel discorso.

Per prima cosa andrà chiarito che l’universalità delle Chiese cristiane e quella dell’Occidente non rispondono ai medesimi interessi e ai medesimi progetti: le scelte degli ultimi Papi durante le guerre in Kosovo e in Iraq, i loro interventi sui problemi della maternità, delle donne e della sessualità, su una globalizzazione solo economica e mercantile, sul legame tra pace, libertà e diritti umani, sul futuro della famiglia umana e sul ruolo delle istituzioni internazionali bastano per sostenere che il Cristianesimo non è oggi appiattibile sull’Occidente. In linea di principio e in termini statistici.

In seconda battuta si dovrà mostrare che l’universalità di Cristo e della sua salvezza non è la stessa cosa della cattolicità della Chiesa: con la testimonianza della sua vita – espressione primaria di ogni comunicazione – la Chiesa è al servizio di quel regno di cui è già germe e inizio. In poche parole, solo Chiese fedeli al Vangelo e autenticamente inculturate potranno capovolgere la percezione di estraneità culturale che ancora accompagna il Cristianesimo. La convinzione poi che la pluralità culturale risalga, in ultima analisi, all’atto creatore di Dio rende ancora più urgente e indispensabile questo impegno.

Dare e Ricevere

In questo contesto, l’evangelizzazione o apostolato o proselitismo ben inteso perde la sua durezza. È testimonianza e servizio di quell’Amore che è la forza di ogni autentico cammino religioso; è appassionata comunicazione di quel Vangelo del regno che fa dell’amore il contenuto e il metodo di ogni apostolato; vivere l’evangelizzazione come il dono di se stessi nella kénosis dell’Incarnazione e nell’agápe della Pasqua è viverla in modo lontano da ogni eccesso o perversione proselitistica.

Questa comunicazione della propria fede comporta un dare ma anche un ricevere. Testimone ed erede di una tradizione religiosa che ha imparato a guardare con occhi cristiani, chi si converte non è solo un credente in via di maturazione, ma è una grazia e un dono che aiuta l’intera Chiesa ad aggiungere nuovi lineamenti alla fede che vive e alla testimonianza con cui la serve. Convertirsi non è aderire a un sistema religioso precostituito e immutabile ma è aggiungere il proprio apporto al cammino di una comunità. Poiché chi si converte non può fuggire né la tragedia delle divisioni tra cristiani né il nodo dei rapporti tra le diverse religioni, la sua storia e il suo apporto sono un momento di straordinaria fecondità dialogica per tutta la Chiesa.

Per questo la comunicazione della propria fede o evangelizzazione non è questione di tolleranza o di dialogo ma di testimonianza e servizio al disegno di Dio; per questo la Chiesa sostiene la libertà religiosa per tutti: una vera religiosità si esprime vivendo le proprie convinzioni e non impedendo agli altri di vivere le loro.
Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis.

[1] Mohandas Karamchand Gandhi, 80. Interview to a missionary Nurse (before May 11, 1935), in IDEM, The Collected Works of Mahatma Gandhi, vol. 67 (25 April, 1935 – 22 September, 1935), The Publication Division – Ministry of Information and Broadcasting, Government of India, New Delhi 1960-1987, 48-49.

[2] I termini usati sono ger, nokrî, zar, tôshab. Su questi si veda Robert Martin-Achard, «gur- dimorare come forestiero», in Ernst Jenni, Claus Westermann, Dizionario Teologico dell’Antico Testamento. I, Marietti, Torino 1978, 355-358; Adam Simon Van Der Woude, «zar – straniero», ivi, 451-454; Karl Georg Kuhn, «prosélytos», in GLNT, XI, Paideia, Brescia 1977, 297-344. Il termine proselito ritorna 4 volte nelle scritture cristiane: Mt 23,15; At 6,5; 13,43 ed è alluso in 8,27.

[3] Ad esempio la caricatura di dottrine e pratiche di altre fedi, l’accusa di idolatria per la venerazione di icone mariane o di santi, il rifiuto del battesimo ricevuto in altre confessioni e l’obbligo di essere ribattezzati, l’esagerare i problemi di alcune chiese, l’offrire aiuti umanitari o educativi in vista della conversione, il ricorso a pressioni economiche culturali o etniche, l’approfittare dell’ignoranza per confondere le persone, lo sfruttare la solitudine o la malattia o la delusione per proporre la conversione come rimedio.

[4] L’articolo 18 della Dichiarazione dei Diritti Umani, approvata e proclamata dall’ONU il 10 dicembre 1948, precisa che «everyone has the right to freedom of thought, conscience and religion; this right includes freedom to change his religion or belief, and freedom, either alone or in community with others and in public or private, to manifest his religion or belief in teaching, practice, worship and observance».

[5] Oriana Fallaci, La rabbia e l’orgoglio, Rizzoli, Milano 2001.

Per citare questo articolo

Riferimento al formato cartaceo:

Gianni Colzani, Sul proselitismo e i suoi troppi significati, «Oasis», anno IV, n. 8, dicembre 2008, pp. 24-27.

Riferimento al formato digitale:

Gianni Colzani, Sul proselitismo e i suoi troppi significati, «Oasis» [online], pubblicato l'8 dicembre 2008, URL: https://www.oasiscenter.eu/it/sul-prose ... ignificati.


Alberto Pento
Se si pensasse veramente a Dio (alla spiritualità vera che è naturale, universale e areligiosa) e si capisse che è completamente altro dagli idoli delle religioni non sarebbe necessario alcun proselitismo, alcun missionarismo.
Il proselitismo-missionarismo sono conseguenti all'invasamento religioso idolatra e sono una forma di imperialismo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Missionarismo: debolezza spirituale e imperialismo religioso

Messaggioda Berto » dom ott 24, 2021 9:28 pm

La Scala per il Paradiso

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I SANTI MARTIRI DI NAGASAKI

Non era passato nemmeno mezzo secolo dall’inverno del 1551, da quando cioè san Francesco Saverio aveva lasciato il Giappone dopo aver convertito oltre mille abitanti in due anni di instancabile missione. Altri religiosi seguirono presto le orme del grande gesuita spagnolo e furono liberi di predicare. La comunità cattolica crebbe rapidamente: nel 1587 contava già oltre 200.000 battezzati, ma in quell’anno il daimyo Toyotomi Hideyoshi, il più influente presso l’imperatore, emise il primo editto contro i cristiani, ordinando di bandire i missionari dalle sue terre. Tuttavia, la misura rimase pressoché inattuata e l’opera di apostolato continuò. Il mutato atteggiamento di Hideyoshi era dovuto a più cause: il rifiuto dei gesuiti di fornire una nave per l’invasione della Corea, la saldezza delle vergini cristiane, il sospetto che l’obiettivo dei missionari, impegnati a diffondere il Vangelo e in varie altre opere di carità, fosse quello di preparare la conquista straniera.

Alla fine, nel novembre del 1596, Hideyoshi si risolse a mettere in atto la persecuzione e ordinò ai governatori da lui dipendenti di arrestare tutti i religiosi cristiani. Molti trovarono rifugio nelle campagne, ma 26 furono catturati. Si trattava di 6 francescani d’origine spagnola o portoghese, 3 gesuiti e 17 terziari francescani giapponesi. Tra loro c’era Paolo Miki, capofila del gruppo nel Martirologio, nato da una nobile famiglia nipponica e divenuto un carismatico predicatore gesuita, capace di convertire molti connazionali. I prigionieri furono prima portati in una piazza, dove subirono il taglio di un pezzo dell’orecchio sinistro. Fu solo l’inizio di un lunghissimo calvario. Per intimorire tutti i giapponesi cristiani e scoraggiare altre conversioni, Hideyoshi fece marciare i 26 da Kyoto a Nagasaki, la città dove era presente la maggiore comunità cattolica e dove i condannati arrivarono dopo 30 giorni e circa 600 chilometri di fatiche.

Contrariamente alle aspettative del tiranno, quei giorni furono un trionfo di fede. Del gruppo, che marciava intonando il Te Deum, facevano parte anche tre fanciulli di 12, 13 e 14 anni, cioè Luigi Ibaraki, Antonio Daynan e Tommaso Kozaki, i quali commossero tanti cuori induriti e si rifiutarono di rinnegare Cristo. I 26 ottennero di potersi confessare prima dell’esecuzione, preannunciata al popolo perché valesse da esempio. Quattromila cristiani si riversarono sulla collina poco fuori Nagasaki dove erano state preparate le croci e, al passaggio dei prigionieri, si prostrarono per chiedere preghiere. Quando i futuri martiri videro le croci che riportavano scritti i loro nomi, si inginocchiarono e le baciarono. I carnefici li legarono con corde e anelli di ferro, poi li innalzarono contemporaneamente sulle croci, sotto le quali stavano dei samurai armati con affilate lance di bambù. L’ordine di esecuzione fu ritardato per accrescere il terrore del supplizio.

In quel frangente si levò improvvisa la voce di uno dei crocifissi, che iniziò a intonare il Benedictus. Poi il tredicenne Antonio cantò il «Lodate, fanciulli, il Signore», seguito da Luigi e Tommaso. Un francescano cominciò la recita delle litanie a Gesù e Maria, ripetute dalla folla, mentre l’ufficiale responsabile dell’esecuzione iniziava a preoccuparsi per quanto avrebbe dovuto riferire a Hideyoshi riguardo a quell’impressionante testimonianza cristiana. Paolo Miki pregò per il perdono dei carnefici, esortò tutti alla conversione e li invitò a guardare i volti dei crocifissi, che non mostravano timore della morte, in ragione della fede in Cristo risorto. Infine arrivò l’ordine. Il francescano Filippo di Gesù fu il primo trafitto con due colpi di lancia. L’ultimo fu padre Pietro Battista, che poco prima aveva amministrato il Battesimo a una pagana muta, la quale riacquistò la parola grazie al contatto con la croce.

I fedeli si precipitarono a raccogliere con dei panni il sangue dei martiri, ma fu loro impedito di dar sepoltura ai 26, i cui corpi rimasero per settimane sulle croci con molte sentinelle di guardia. Tra gli svariati prodigi che si verificarono sull’altura (dalle apparizioni ai globi di fuoco discesi sulle spoglie dei santi, fino agli uccelli rapaci che non osarono avvicinarsi ai loro corpi), numerosi testimoni videro muoversi, 62 giorni dopo la morte, padre Pietro Battista, dalle cui ferite, come già avvenuto al terzo giorno, sgorgò una gran quantità di sangue. I protomartiri giapponesi furono beatificati da Urbano VIII nel 1627 e canonizzati da Pio IX nel 1862.

Questi i loro nomi: Paolo Miki, Giacomo Kisai, Giovanni Soan di Goto (Compagnia di Gesù), Francesco Branco, Francesco di San Michele, Gonsalvo Garcia, Martino dell’Ascensione, Pietro Battista Blásquez, Filippo di Gesù (Ordine dei frati minori), Antonio Daynan, Bonaventura di Miyako, Cosma Takeya, Francesco Kichi, Francesco di Nagasaki, Gabriele de Duisco, Gioacchino Sakakibara, Giovanni Kisaka, Leone Karasumaru, Luigi Ibaraki, Mattia di Miyako, Michele Kozaki, Paolo Ibaraki, Paolo Suzuki, Pietro Sukejiroo, Tommaso Kozaki, Tommaso Xico (terziari francescani).
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