Evoluzione/ragione e creazione/fede non sono in contrasto

Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » gio dic 17, 2015 11:05 pm

Ke enbrojon ke lè San Tomaxo!

http://www.uprait.org/sb/index.php/ao/a ... le/898/644

Inoltre Dio, in quanto immutabile, è immutabile anche nella sua volontà, cioè tutti i fatti che superano le leggi della natura creata sono dall’eternità previsti e voluti da Dio. Non sono, cioè, la violazione, ma la partecipazione alla Legge eterna.
Come è ben spiegato da san Tommaso:
“Dio non agisce andando contro le leggi della natura a causa di una volontà mutevole: Dio infatti dall’eterno ha previsto e ha voluto fare ciò che opera nel tempo. Perciò ha fissato il corso della natura in modo tale da preordinare nella sua volontà eterna che talvolta avrebbe agito contro tale corso. Nell’agire andando oltre il corso della natura, Dio non elimina totalmente l’ordine dell’universo, in cui consiste la sua bontà, ma solo l’ordinamento di una causa particolare al suo effetto”.

Me despiaxe caro Tomaxo ma łe łej nadurałi łe xe ogneversałi e no ghè altre sorane a coeste parké łe xe łej divine e prasiò, come ben te ghè dito: ... “Dio non agisce andando contro le leggi della natura a causa di una volontà mutevole: ... ", coel ke a naltri par on "fato miracołoxo" lè on fato natural ke corisponde senpre a łej ogneversałi, magari a łei ke no se cognoseva
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » gio dic 17, 2015 11:12 pm

???

Il Papa all'udienza generale: la fede è ragionevole, il mistero di Dio non è irrazionale ma sovrabbondanza di verità
21 novembre 2012
https://www.facebook.com/notes/benedett ... 7001512365

Il Papa, all’udienza generale di stamani, tenuta nell’Aula Paolo VI, ha continuato la sua catechesi sull’Anno della fede, invitando a “riscoprire quanta gioia c’è nel credere” e a “ritrovare l’entusiasmo di comunicare a tutti le verità della fede. Queste verità – ha detto - non sono un semplice messaggio su Dio, una particolare informazione su di Lui. Esprimono invece l’evento dell’incontro di Dio con gli uomini, incontro salvifico e liberante, che realizza le aspirazioni più profonde dell’uomo, i suoi aneliti di pace, di fraternità, di amore. La fede porta a scoprire che l’incontro con Dio valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di bello c’è nell’uomo.
Accade così che, mentre Dio si rivela e si lascia conoscere, l’uomo viene a sapere chi è Dio e, conoscendolo, scopre se stesso, la propria origine, il proprio destino, la grandezza e dignità della vita umana”.
“La fede – ha rilevato - permette un sapere autentico su Dio che coinvolge tutta la persona umana: è un “sàpere”, un conoscere che dona sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo. La fede si esprime nel dono di sé per gli altri, nella fraternità che rende solidali, capaci di amare, vincendo la solitudine che rende tristi. Questa conoscenza di Dio attraverso la fede non è perciò solo intellettuale, ma vitale. E’ la conoscenza di Dio-Amore, grazie al suo stesso amore. L’amore di Dio poi fa vedere, apre gli occhi, permette di conoscere tutta la realtà, oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze. La conoscenza di Dio è perciò esperienza di fede e implica, nel contempo, un cammino intellettuale e morale: toccati nel profondo dalla presenza dello Spirito di Gesù in noi, superiamo gli orizzonti dei nostri egoismi e ci apriamo ai veri valori dell’esistenza”. Benedetto XVI nella sua catechesi si è soffermato “sulla ragionevolezza della fede in Dio. La tradizione cattolica ha sin dall’inizio rigettato il cosiddetto fideismo, che è la volontà di credere contro la ragione. Credo quia absurdum (credo perché è assurdo) non è formula che interpreti la fede cattolica. Dio, infatti, non è assurdo, semmai è mistero. Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità. Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa. Così come quando gli occhi dell’uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso, anzi la fonte della luce? La fede permette di guardare il «sole» di Dio, perché è accoglienza della sua rivelazione nella storia e, per così dire, riceve veramente tutta la luminosità del mistero di Dio, riconoscendo il grande miracolo: Dio si è avvicinato all’uomo e si è offerto alla sua conoscenza, accondiscendendo al limite creaturale della sua ragione (cfr Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 13). Allo stesso tempo, Dio, con la sua grazia, illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti. Per questo, la fede costituisce uno stimolo a cercare sempre, a non fermarsi mai e mai quietarsi nella scoperta inesausta della verità e della realtà. E’ falso il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo i quali la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede. E’ vero esattamente il contrario, come i grandi maestri della tradizione cattolica hanno dimostrato. Sant’Agostino, prima della sua conversione, cerca con tanta inquietudine la verità, attraverso tutte le filosofie disponibili, trovandole tutte insoddisfacenti. La sua faticosa ricerca razionale è per lui una significativa pedagogia per l’incontro con la Verità di Cristo. Quando dice: «comprendi per credere e credi per comprendere» (Discorso 43, 9: PL 38, 258), è come se raccontasse la propria esperienza di vita. Intelletto e fede, dinanzi alla divina Rivelazione non sono estranei o antagonisti, ma sono ambedue condizioni per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio autentico, accostandosi alla soglia del mistero. Sant’Agostino, insieme a tanti altri autori cristiani, è testimone di una fede che si esercita con la ragione, che pensa e invita a pensare. Su questa scia, Sant’Anselmo dirà nel suo Proslogion che la fede cattolica è fides quaerens intellectum, dove il cercare l’intelligenza è atto interiore al credere. Sarà soprattutto San Tommaso d’Aquino – forte di questa solida tradizione – a confrontarsi con la ragione dei filosofi, mostrando quanta nuova feconda vitalità razionale deriva al pensiero umano dall’innesto dei principi e delle verità della fede cristiana”.Ha quindi ribadito che la fede cattolica è “ragionevole e nutre fiducia anche nella ragione umana. Il Concilio Vaticano I, nella Costituzione dogmatica Dei Filius, ha affermato che la ragione è in grado di conoscere con certezza l’esistenza di Dio attraverso la via della creazione, mentre solo alla fede appartiene la possibilità di conoscere «facilmente, con assoluta certezza e senza errore» (DS 3005) le verità che riguardano Dio, alla luce della grazia. La conoscenza della fede, inoltre, non è contro la retta ragione. Il Beato Papa Giovanni Paolo II, infatti, nell’Enciclica Fides et ratio, sintetizza così: «La ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando l’assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole» (n. 43). Nell’irresistibile desiderio di verità, solo un armonico rapporto tra fede e ragione è la strada giusta che conduce a Dio e al pieno compimento di sé”.“Questa dottrina – ha osservato - è facilmente riconoscibile in tutto il Nuovo Testamento. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Corinto, sostiene: «Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1 Cor 1,22-23). Dio, infatti, ha salvato il mondo non con un atto di potenza, ma mediante l’umiliazione del suo Figlio unigenito: secondo i parametri umani, l’insolita modalità attuata da Dio stride con le esigenze della sapienza greca. Eppure, la Croce di Cristo ha una sua ragione, che San Paolo chiama: ho lògos tou staurou, “la parola della croce” (1 Cor 1,18). Qui, il termine lògos indica tanto la parola quanto la ragione e, se allude alla parola, è perché esprime verbalmente ciò che la ragione elabora. Dunque, Paolo vede nella Croce non un avvenimento irrazionale, ma un fatto salvifico che possiede una propria ragionevolezza riconoscibile alla luce della fede. Allo stesso tempo , egli ha talmente fiducia nella ragione umana, al punto da meravigliarsi per il fatto che molti, pur vedendo la bellezza delle opere compiute da Dio, si ostinano a non credere in Lui: «Infatti – scrive nella Lettera ai Romani - le … perfezioni invisibili [di Dio], ossia la sua eterna potenza e divinità, vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute» (1,20). Così, anche S. Pietro esorta i cristiani della diaspora ad adorare «il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1 Pt 3,15). In un clima di persecuzione e di forte esigenza di testimoniare la fede, ai credenti viene chiesto di giustificare con motivazioni fondate la loro adesione alla parola del Vangelo”.“Su queste premesse circa il nesso fecondo tra comprendere e credere – ha sottolineato - si fonda anche il rapporto virtuoso fra scienza e fede. La ricerca scientifica porta alla conoscenza di verità sempre nuove sull’uomo e sul cosmo, lo vediamo. Il vero bene dell’umanità, accessibile nella fede, apre l’orizzonte nel quale si deve muovere il suo cammino di scoperta. Vanno pertanto incoraggiate, ad esempio, le ricerche poste a servizio della vita e miranti a debellare le malattie. Importanti sono anche le indagini volte a scoprire i segreti del nostro pianeta e dell’universo, nella consapevolezza che l’uomo è al vertice della creazione non per sfruttarla insensatamente, ma per custodirla e renderla abitabile. Così la fede, vissuta realmente, non entra in conflitto con la scienza, piuttosto coopera con essa, offrendo criteri basilari perché promuova il bene di tutti, chiedendole di rinunciare solo a quei tentativi che - opponendosi al progetto originario di Dio - possono produrre effetti che si ritorcono contro l’uomo stesso. Anche per questo è ragionevole credere: se la scienza è una preziosa alleata della fede per la comprensione del disegno di Dio nell’universo, la fede permette al progresso scientifico di realizzarsi sempre per il bene e per la verità dell’uomo, restando fedele a questo stesso disegno”.“Ecco perché è decisivo per l’uomo – ha detto il Papa - aprirsi alla fede e conoscere Dio e il suo progetto di salvezza in Gesù Cristo. Nel Vangelo viene inaugurato un nuovo umanesimo, un’autentica «grammatica» dell’umano e di tutta la realtà. Afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La verità di Dio è la sua sapienza che regge l’ordine della creazione e del governo del mondo. Dio che, da solo, «ha fatto cielo e terra» (Sal 115,15), può donare, egli solo, la vera conoscenza di ogni cosa creata nella relazione con lui» (n. 216)”.Infine, Benedetto XVI ha esortato a confidare “che il nostro impegno nell’ evangelizzazione aiuti a ridare nuova centralità al Vangelo nella vita di tanti uomini e donne del nostro tempo.
E preghiamo perché tutti ritrovino in Cristo il senso dell’esistenza e il fondamento della vera libertà: senza Dio, infatti, l’uomo smarrisce se stesso. Le testimonianze di quanti ci hanno preceduto e hanno dedicato la loro vita al Vangelo lo confermano per sempre. E’ ragionevole credere, è in gioco la nostra esistenza. Vale la pena di spendersi per Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene radicati nell’anima di ogni uomo: ora, nel tempo che passa, e nel giorno senza fine dell’Eternità beata”.

Me despiaxe Papa ma te confondi Dio el creator de l'ogniverso co l'idolo Cristo Dio; el Dio vero no se pol xmarir, perdar, coel ke se pol perdar xe l'idolo e perdarlo lè on ben.
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » gio dic 17, 2015 11:13 pm

???

Ratzinger: «Credere è ragionevole»

Lo ha detto il pontefice durante l’udienza citando sant’Agostino: la ragione non è bloccata dalla fede

http://www.lastampa.it/2012/11/21/vatic ... agina.html

«È ragionevole credere, è in gioco la nostra esistenza». Ed «è ragionevole la Fede Cattolica», che «nutre fiducia anche nella ragione umana». Lo afferma Papa Benedetto nella catechesi proposta all’Udienza Generale, tenuta nell’Aula Nervi per circa 10 mila fedeli, all’indomani della presentazione del libro «L’infanzia di Gesù» che completa la trilogia ratzingeriana «Gesù di Nazaret».
Per il Pontefice, dunque, «è falso il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo i quali la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede». «È vero esattamente il contrario, come i grandi maestri della tradizione cattolica hanno dimostrato», spiega citando Sant’Agostino.
«La sua faticosa ricerca razionale è una significativa pedagogia per l’incontro con la Verità di Cristo», dice Joseph Ratzinger, ricordando che il vescovo di Ippona «prima della sua conversione, cerca con tanta inquietudine la verità, attraverso tutte le filosofie disponibili, trovandole tutte insoddisfacenti».
«Intelletto e fede, dinanzi alla divina Rivelazione non sono - chiarisce Benedetto XVI - estranei o antagonisti, ma sono ambedue condizioni per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio autentico, accostandosi alla soglia del mistero». Dunque, «è decisivo per l’uomo aprirsi alla fede e conoscere Dio e il suo progetto di salvezza in Gesù Cristo».
«Nel Vangelo - infatti - viene inaugurato un nuovo umanesimo, un’autentica “grammatica” dell’umano e di tutta la realtà». «Confidiamo allora - suggerisce il Papa teologo - che il nostro impegno nell’ evangelizzazione aiuti a ridare nuova centralità al Vangelo nella vita di tanti uomini e donne del nostro tempo. Preghiamo perchè tutti ritrovino in Cristo il senso dell’esistenza e il fondamento della vera libertà: senza Dio, infatti, l’uomo smarrisce se stesso».
«Le testimonianze di quanti ci hanno preceduto e hanno dedicato la loro vita al Vangelo - conclude infine – lo confermano per sempre. Vale la pena di spendersi per Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene radicati nell’anima di ogni uomo: ora, nel tempo che passa, e nel giorno senza fine dell’Eternità beata».

Me despiaxe Papa ma te confondi Dio el creator de l'ogniverso co l'idolo Cristo Dio; el Dio vero no se pol xmarir, perdar, coel ke se pol perdar xe l'idolo e perdarlo lè on ben.
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » gio dic 17, 2015 11:17 pm

Caso o disegno? Evoluzione e creazione secondo una fede ragionevole
Altri libri recensiti
Christoph Schönborn
Esd, Bologna 2007

Matteo Coatti
http://www.disf.org/altri-libri-recensiti/9788870946673
Nessuna contrapposizione tra fede e scienza. Fede nella Creazione ben distinta dal creazionismo. Teoria dell’evoluzione come qualcosa di completamente altro dall’evoluzionismo inteso come ideologia ateistico-materialista. Possibile mediazione tra fede in Dio creatore e teoria dell’evoluzione sulla base della ragione. Sono questi i punti fondamentali che emergono dal lavoro del card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e già professore di teologia dogmatica a Friburgo, nonché membro della Commissione Teologica Internazionale.

Il libro muove dal tentativo di dare una risposta ragionevole e soddisfacente alle domande che da sempre l’uomo si pone: quella sull’origine e sul fine del mondo. Questioni che per il credente si intrecciano con il dato biblico di Dio Creatore. E proprio l’importanza di questa nozione, e con essa quella delle linee fondamentali della teologia della Creazione (inizio assoluto e creatio ex nihilo, diversità delle creature,creatio continua e governo della creazione affidato alla Provvidenza, p. 32 e seguenti) è subito messa in rilievo dall’autore, che mostra come la creazione intera sia frutto di un atto sovrano e libero di Dio. Le creature sono così chiamate all’esistenza e ricevono in dono, oltre all’essere, anche l’agire: diventano “concreatrici”, ferma restando la differenza ontologica tra esse ed il Creatore, differenza che si manifesta nel fatto che le creature possono solo trasformare la materia, mentre Dio crea tramite il Logos.

Ma qual è il posto dell’uomo in questo progetto? Come si legge nel sesto capitolo, egli è corona della creazione. Affermare ciò dopo la scoperta darwiniana dell’uomo come parte della natura può sembrare impossibile: non è forse vero che è solo un animale fra tanti, dominato più dalle pulsioni che dalla ragione (come insegna Freud)? Non è forse vero che condivide la maggior parte del genoma con lo scimpanzé? Eppure, suggerisce il card. Schönborn, egli “è il punto minuscolo in cui l’universo perviene all’autocoscienza e può riflettere su di sé” (p. 100). Appoggiandosi ai numerosi passi biblici da cui emerge chiaramente la preminenza ontologica dell’uomo su qualsiasi altra creatura, l’autore mostra come il mondo sia stato creato in vista dell’uomo, e che la vera differenza non sta nei geni, ma nel fatto che l’uomo è un essere spirituale dotato di una libertà così ampia da potersi permettere di negare la sua differenza con lo scimpanzé. “L’evoluzionismo (ideologico) si fonda su questa libertà. Solo grazie alla sua spiritualità, un uomo può sviluppare teorie che riconducono lo spirito alla materia” (p. 111).

E se l’uomo è corona, Cristo è traguardo della creazione: è proprio per mezzo del Logos di Dio, cioè Cristo, che il Padre ha creato tutto ciò che esiste: “tutto è stato fatto per mezzo di lui”, come troviamo scritto nel prologo del Vangelo di Giovanni. E’ Cristo, allora, ad essere il fine della creazione: in Cristo, il Padre mantiene nell’essere tutto l’Universo (ecco la creatio continua, ben spiegata anche a p. 67). Tutte le cose sussistono in lui, il “riconciliatore universale” (p. 122) che riunisce sotto il suo nome “la croce e il cosmo”, offrendo a chi accolga questa visione “un potenziale imparagonabile di apertura di senso” (p. 123).

Grande attenzione viene data, in più passi del testo, alle distinzioni tra teoria dell’evoluzione ed evoluzionismo da una parte e tra fede nella Creazione e creazionismo dall’altra. Mentre infatti i primi due termini di ogni coppia sono i veri poli entro cui il discorso scientifico, filosofico e teologico può svilupparsi, evoluzionismo e creazionismo sono fanatismi contrari tanto alla causa della scienza quanto alla vera posizione cristiana. L’evoluzionismo, infatti, si configura non come una teoria scientifica, ma come un’ideologia che conduce chi la sostiene ad una professione di fede materialista (quando invece risulta chiaro che negare o affermare Dio non è il compito della scienza). Dall’altra parte, il creazionismo non è affatto la posizione cristiana (e meno che mai cristiano-cattolica) sulla questione, ma solo un’interpretazione letterale e fanatica del primo capitolo della Genesi, interpretazione priva di qualsiasi appiglio esegetico e di buon senso.

Non poteva mancare una trattazione, breve ma puntuale, del problema del male (p. 81 e sgg.), vero ostacolo sulla via della fede in un Creatore buono. L’autore, dopo aver ricordato che è proprio l’intima comunione con Cristo che ci fa percepire maggiormente il problema, dimostra che è il fraintendimento delle nozioni di onnipotenza e perfezione di Dio la causa di tanti equivoci circa il “ Creatore ragionevole e il suo progetto intelligente” (p. 88). Ma Dio non è un ingegnere o un orologiaio, bensì il Creatore di nature. Il card. Schönborn richiama la differenza tra il demiurgo di platonica memoria, che mette ordine in qualcosa che già esiste, e Dio Creatore, che chiama all’esistenza tutto ciò che fa parte della creazione. Rifacendosi ad una concezione di natura precedente alla tecnicizzazione ed alla meccanizzazione del mondo, l’autore mostra che nella creazione di Dio c’è soprattutto il crescere il divenire, pur con tutte le prove, i tentativi, gli sprechi. Ciò che è contrario alla funzionalità non è per forza di cose contrario anche alla creatività ed alla vita: è riflesso dell’inesauribile vitalità del Creatore. Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, il progetto genetico funziona in modo preciso. E il male naturale (terremoti, inondazioni,…) è parte integrante di quell’attività che permette il mantenimento della vita sulla Terra, senza la quale nulla di ciò che è presente nel mondo fisico esisterebbe.

Le risposte alla domanda che dà il titolo al libro possono, in conclusione, essere due. Una che, erigendo il caso a nuova divinità, esclude l’opzione “Dio creatore”, spacciando questa posizione per scientificamente vera e fondata (anzi, l’unica scientificamente possibile, vera e fondata). Un’altra, invece (ed è quella dell’autore), che raccorda la fede nella creazione e la teoria dell’evoluzione per mezzo della ragione, dissolvendo in questo modo la menzogna del contrasto tra scienza e fede e mantenendo la ragion d’essere di entrambe, in quanto modi di conoscere la realtà. Senza invasioni di campo, con chiarezza ed onestà intellettuale. Esattamente ciò di cui il confronto odierno ha bisogno: un pacato ragionamento che muova da solide basi (filosofico-teologiche o scientifiche, a seconda della sensibilità e del curriculum di studi dei diversi soggetti impegnati), e che sappia cercare l’incontro tra visioni complementari perché ragionevoli, anziché lo scontro tra fanatismi esagerati. Per una comprensione sempre maggiore, ma che mai sarà definitiva, di quel mistero che va sotto il nome di Creazione.
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » ven dic 18, 2015 4:57 pm

Idołatria e spirtoałetà natural e ogniversal
Idolatria e spiritualità naturale e universale
viewtopic.php?f=24&t=2036


Dio nol pol esar altro ke al de łà de ogni mistero e de ogni sagrałetà
viewtopic.php?f=24&t=1940


Falbe credense, łi abuxivi e łi uxurpadori de Dio
viewtopic.php?f=24&t=1780
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » gio lug 07, 2016 6:05 am

Chi sono gli antievoluzionisti?

di Giulia Trincardi
Intervista a Fabrizio Fratus

https://www.facebook.com/iltalebano/pos ... 8618500204

L’evoluzionismo – ovvero la teoria secondo cui, dalla sua comparsa sulla Terra, la vita si sarebbe evoluta in modo progressivo da cellula primordiale a organismo complesso – è uno dei pilastri della biologia moderna e trova le sue origini nelle osservazioni e riflessioni effettuate da Charles Darwin oltre un secolo e mezzo fa.
Per la maggior parte delle persone, l’evoluzione della specie è una materia relativamente scontata che si studia a scuola e i cui passaggi fondamentali sono spesso ridotti a una sorta di filastrocca: brodo primordiale, pesci, dinosauri, meteorite (ops), roditori, mammiferi, scimmie, uomo. La sua teorizzazione è però, ovviamente, molto più complessa di così e sicuramente più controversa; per capirlo, basta dare un’occhiata al più recente ‘albero della vita’ pubblicato poche settimane fa sul journal Nature Microbiology.
Ciò che non tutti sanno, inoltre, è che oltre ad essere oggetto di dibattito in campo scientifico ed essere osteggiata dalle principali correnti religiose – che attribuiscono l’origine della vita alla creazione divina – la teoria formulata da Darwin è contestata anche da un movimento detto “antievoluzionista.” Gli antievoluzionisti non sono creazionisti ma, di base, si contrappongono a tutte le altre scuole di pensiero accusandole di non disporre di prove scientifiche a supporto delle loro teorie.
Mentre lo scontro tra evoluzionisti e creazionisti è diventato il simbolo della faida tra pensiero scientifico e fede, insomma, ironia vuole che l’antievoluzionismo critichi il darwinismo proprio per una mancanza di prove scientifiche, attribuendo ai suoi sostenitori lo stesso tipo di “devozione” e “salto di fede” generalmente associato al creazionismo.

Quali sono le prove che mancano a questa teoria, effettivamente? Dobbiamo forse rivedere il concetto stesso di “scientifico”? Nella mia esperienza, l’evoluzionismo è – come tutte le teorie scientifiche – un pensiero in costante riforma; se il pensiero scientifico si basa prima di tutto sulla confutazione di sé stesso, ci sono pochi argomenti su cui gli scienziati battibeccano tanto quanto sull’origine della specie. Ogni volta che esce una nuova teoria sull’‘homo naledi’ o sulle stringhe di RNA nel brodo primordiale, le voci discordanti non mancano mai. È forse tutta una bugia e l’intera cornice di pensiero su cui abbiamo basato scienze come la genetica, la biologia e la medicina moderna è fallace?
In Italia, l’insegnamento dell’evoluzionismo è stato al centro di una polemica infuocata tra il 2004 e il 2005 quando l’allora ministro dell’istruzione Letizia Moratti aveva lasciato intendere di voler rimuovere l’argomento dal percorso didattico obbligatorio. A detta del ministro, la riforma non era atta a una censura della teoria, quanto al voler garantire una pluralità di punti di vista agli studenti—lasciando la giurisdizione dell’argomento in mano agli insegnanti. In seguito a un appello a dir poco accorato della comunità scientifica, il ministro Moratti è tornata rapidamente sui suoi passi, inserendo di nuovo la teoria nei contenuti didattici garantiti dalla scuola primaria a quella superiore. L’anno prima, l’organizzazione Alleanza Studentesca aveva indetta una settimana dedicata all’antievoluzionismo, evento che aveva ottenuto il supporto di alcuni movimenti della destra estrema come Forza Nuova.
“Coloro che sono antievoluzionisti ritengono il neodarwinismo non capace di dare una spiegazione scientifica sulla nostra origine.”
Per capire qualcosa in più, ho deciso di contattare il Comitato Antievoluzionista—nato nel 2003 proprio dalle vestigia di Alleanza Studentesca—e ho espresso i miei dubbi a Fabrizio Fratus, divulgatore ed esponente dell’antievoluzionismo in Italia; abbiamo parlato di creazionismo, dei legami tra darwinismo e razzismo e persino della “teoria gender”.
Si dichiara anti-evoluzionista. Questo fa di lei necessariamente un creazionista?
Fabrizio Fratus: La mia formazione è nel campo della sociologia, dopo la laurea ho iniziato a lavorare nel mondo della cooperazione internazionale. Dal 2002 ho iniziato la battaglia culturale contro la teoria di Darwin (TdD), oggi neodarwinismo, divenendo così un referente del movimento anti-evoluzionista. Coloro che sono antievoluzionisti ritengono il neodarwinismo non capace di dare una spiegazione scientifica sulla nostra origine, in sostanza siamo convinti che la TdD sia una ideologia, o ancora meglio una religione, sicuramente non è scienza. Il creazionista è certamente antievoluzionista e in più ha una fede per cui lo porta ad analizzare e interpretare tutti i dati oggettivi della ricerca scientifica in relazione alla Genesi. In sostanza, quindi, un antievoluzionista può essere anche ateo.
Qual è la situazione dell’anti-evoluzionismo in Italia, oggi e come è organizzata la comunità che ne sottoscrive i principi?
Il movimento antievoluzionista è in crescita nell’ambito degli studiosi ed è, in questo momento, fermo sotto l’aspetto dell’azione. La realtà è che la cultura in Italia è bloccata ed è gestita da una lobby. Faccio un esempio avvenuto nel 2012: la lobby degli evoluzionisti non ha permesso la venuta in Italia del prof. Lonnig, capo ricercatore al Max Planck Institute di Francoforte. Il professore fu invitato dall’università di Bergamo per un confronto sulla TdD ma venne fatto saltare tutto nel momento stesso in cui si scoprì la posizione del professore. E cosa dire del fatto che l’ateo più importante al mondo del ‘900, Antony Flew, convertitosi nel 2004 al teismo non sia citato da nessuna parte in Italia? Faccio presente che prima della sua conversione al teismo era sempre citato come illustre personalità accademica.
E come non citare J. Sanford, genetista di fama mondiale, ateo e evoluzionista che, studiando il genoma umano, è divenuto creazionista? Il suo libro sul DNA ha dimostrato l’inesistenza dell’evoluzione e che al contrario il nostro DNA si sta degenerando, cioè perdendo informazione genetica.
Durante un suo intervento, la critica più forte che avanza al darwinismo è che non sia effettivamente “scientifico” ma che manchi di prove concrete a suo sostegno. Cosa intende per prove concrete?
Una teoria scientifica deve essere falsificabile. Con il neodarwinismo non è possibile, quindi non è scienza. Inoltre tutte le predizioni della teoria non si sono verificate, anzi, sono state confutate. La cellula è tutt’altro che altro che essere semplice, è talmente complessa che la sua origine non ha spiegazione. Mancano i famosi fossili di transizione tra una specie e un’altra. Insomma, di fatti scientificamente validi a sostegno di quanto scrisse Darwin non ve ne sono. Basta leggere le dichiarazioni degli stessi evoluzionisti per averne dimostrazione.
La più chiara è sicuramente quella del genetista di Harvard Richard Lewontin, “Noi difendiamo la scienza nonostante l’evidente assurdità di alcune delle sue affermazioni e la tolleranza della comunità scientifica per delle favole immaginarie, […] Perché abbiamo un impegno materialista aprioristico, […] Non è che i metodi e le istituzioni della scienza ci obbligano ad accettare una spiegazione materialista dei fenomeni, ma al contrario, siamo costretti dalla nostra adesione aprioristica alle cause materiali… Questo materialismo è assoluto, perché non possiamo permettere l’accesso a Dio.”
Ecco quanto è valida scientificamente la teoria di Darwin. Ma prendiamo anche un altro importante scienziato evoluzionista, colui che è stato importantissimo nel processo contro l’insegnamento dell’Intelligent Design nelle scuole americane, ovvero il prof. di filosofia e zoologia M. Ruse: “L’evoluzione viene promossa dai suoi praticanti come più che solo scienza. L’evoluzione viene promulgata come una ideologia, una religione secolare—una completa alternativa al cristianesimo, con significato e moralità. Sono un evoluzionista fervente ed ex-cristiano, ma devo ammettere […] che chi si attiene alla lettera ha assolutamente ragione. L’evoluzione è una religione”. Sono gli evoluzionisti che devono dimostrare di avere delle prove, [..] E come si è appena accennato, sono i primi a sapere di non averle.”
“Con Darwin prese piede il pensiero degli ideali borghesi e di ricerca di fondamenti per il loro modello di sviluppo—L’idea di progresso implicava la convinzione della superiorità dell’uomo ‘civile’ rispetto all’uomo ‘selvaggio’.”
Lei dice che le specie, nella storia, sono sempre comparse e scomparse restando uguali a loro stesse, non evolvendosi. Esclude anche parentele tra animali? Il fatto che, per esempio, il patrimonio genetico umano sia al 97% uguale a quello dell’orango, è prova secondo lei di almeno una parentela tra specie?
Prima questione da affrontare: cosa si intende per parentela? Gli ultimi studi dicono che è al 94%, la parentela con l’orango, ma ci si dimentica di dire che abbiamo il 90% dei geni in comune con i coralli marini, il 95% simili alla la fragola, il 97% al ratto. Vado avanti? Non credo serva. Il riduzionismo scientifico credo stia portando a errori grossolani. Io faccio sempre un esempio nei miei convegni. Prendiamo il DNA, ogni specie vivente ne è dotato. Per gli evoluzionisti è una prova a sostegno della loro idea, per i creazionisti è una tesi a favore di Dio vista l’iper-complessità. La realtà è che il DNA esiste ed è un fatto e che evoluzionisti e creazionisti interpretano in relazione alla loro fede di appartenenza: materialista gli evoluzionisti, trascendentale i creazionisti!
Nei suoi interventi collega il darwinismo al colonialismo, qual è la sua tesi in merito?
Non è la mia tesi, ma un fatto. Con Darwin prese piede il pensiero degli ideali borghesi e di ricerca di fondamenti per il loro modello di sviluppo. L’idea di progresso implicava la convinzione della superiorità dell’uomo “civile” rispetto all’uomo “selvaggio”: l’uomo evolvendosi produceva una società più evoluta e quindi aveva il “diritto” di sottomettere le civiltà ritenute inferiori.
Tale pensiero ipotizzava che lo sviluppo di ogni società umana avvenisse secondo un unico modello e che non era possibile che esistesse un processo storico discontinuo e differenziato. Ciò che in realtà si osserva nel campo storico è che il progresso non è necessario e tantomeno continuo, la storia procede a salti e poche volte è cumulativa. Se in alcune società accadeva qualcosa, in altre il nulla era la normalità. Ogni società che si “sposta” verso la nostra ci sembra attiva e progredita, mentre quelle che divergono dal nostro modello ci sembrano involute o stazionarie. Ancora oggi avviene questo processo che provoca guerre.

A questo proposito, il darwinismo nasce in un determinato periodo storico. Crede che l’evoluzionismo oggi sia ancora incline a un pensiero razzista? Perché?
La TdD è la base del razzismo: uno degli scopritori del DNA, il premio Nobel James Watson evoluzionista nel 2007 ha dichiarato al Sunday Times che i neri “non sono intelligenti come i bianchi”; comunque basta leggere il testo originale per comprendere cosa pensava Charles Darwin sulle razze e le donne.
Nel suo intervento, nomina anche la ‘teoria gender’. A suo avviso il pensiero evoluzionista è in qualche modo responsabile di una società più progressista?
Assolutamente si, la teoria di Darwin parte da una logica per cui tutto è variabile, tutto è progresso (come spiega Herbert Spencer) e quindi tutto è relativo. La ‘teoria gender parte’ da questo presupposto. All’origine parlavano di monosesso, cioè che l’evoluzione avrebbe portato a una specie basata su un unico sesso, ora sono un po’ confusi e parlano di non sesso, di scelta… non si sa bene. Ma resta un fatto, perché la scienza, quella vera, è verificabile e falsificabile: uomo e donna sono definiti con i cromosomi ecco come capire subito a quale sesso si appartiene.
Infine, invita il suo pubblico a pensare “fuori dagli schemi”, dove, da quel che dice, gli schemi corrispondono al pensiero dominante evoluzionista. Non crede che il creazionismo—teoria ovviamente più antica del darwinismo—possa essere a sua volta considerato uno schema imposto?
I creazionisti sono onesti e senza nessun problema dicono: “il nostro è un atto di fede”. Gli evoluzionisti no, fanno passare tutto come un fatto scientifico, lo impongono sui libri di testo con falsi come Lucy (è solo una scimmia), con l’esperimento di Miller per la creazione della vita (Spallanzani ha dimostrato che la vita nasce solo da altra vita, ma sui libri non lo troviamo), con la teoria della ricapitolazione (definita la più grande frode scientifica). La teoria di Darwin è una grande favola al servizio del modello politico ideologico dominante che si basa sul materialismo. I fatti non sostengono nulla di realmente dimostrabile a sostegno della teoria.
NdA: Come ho esposto allo stesso Fratus in sede di intervista, il mio punto di vista è considerevolmente diverso dal suo. La cosa che mi colpisce di più del confronto con la teoria antievoluzionista è il fatto che critichi il darwinismo per la matrice materialista di cui è infuso. Il pensiero materialista è indubbiamente criticabile, per quanto, forse, più da un punto di vista filosofico e politico che meramente scientifico o, meglio, proprio perché tende a escludere un discorso culturale dall’analisi sull’esistenza. Eppure, dalle parole di Fratus, ho l’impressione che, in qualche modo, il suo discorso sorrida a sua volta a una semplificazione materialista della natura umana, o, forse, riduzionista.
Confrontarmi con il pensiero antievoluzionista ha aperto una specie di baratro semantico nel mio cervello. Ma immagino che questo, se non altro, resti il bello di ogni dibattito.
Giulia Trincardi per Motherboard
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » lun feb 13, 2017 11:52 pm

Darwin Day 2017, il biologo Bizzarri: «creazionisti e post-darwiniani, identici errori»
di Mariano Bizzarri*
*docente del Dipartimento Medicina Sperimentale – Università Sapienza Systems Biology Group Lab

12 febbraio 2017

http://www.uccronline.it/2017/02/12/dar ... ici-errori

Oggi, 12 febbraio, si festeggia l’anniversario di Charles Darwin, padre della teoria evolutiva. Pubblichiamo qui sotto il contributo che ci ha inviato il dott. Mariano Bizzarri, docente di Patologia e direttore del Systems Biology Group dell’Università La Sapienza di Roma.

È alquanto paradossale che la Chiesa Cattolica – nei suoi documenti e tramite le affermazioni dei suoi più alti esponenti, inclusi numerosi pontefici – abbia da sempre sostenuto la conciliabilità della fede Cattolica con la teoria dell’evoluzione, mentre il mondo Protestante, pur con differenze nelle sue plurime manifestazioni, ha da subito ferocemente avversato l’evoluzionismo.

Questo rilievo non è peregrino se solo si considerano alcune peculiarità dell’ideologia protestante che, in modo del tutto contraddittorio, da un lato proclama il diritto alla autonoma e libera interpretazione delle Scritture da parte di ciascun fedele, e dall’altro, a seconda dei casi, impone invece una lettura strettamente letterale. Il sottolineare la centralità della “lettera” assume in questo contesto un significato critico. È proprio l’adesione alla “lettera” della scrittura biblica che ha portato il mondo protestante anglosassone in un duplice cul de sac. Per i credenti affiliati ad una delle tante confessioni protestanti, l’adesione alla “lettera” ha necessariamente imposto il doversi conformare ad una vulgata della creazione che inevitabilmente assume i contorni del racconto magico e favolistico (“In sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra, il mare, e tutto ciò che è in essi”, Esodo, 20,11).
Per coloro che non credono, l’adesione alla medesima “lettera” ha fatalmente ispirato le ridicolizzazioni e le critiche più triviali, considerato quanto facile è stato argomentare come il racconto della creazione sia insostenibile dal punto di vista scientifico.

Invero questo atteggiamento – noto come “creazionismo biblico” – è tipico di alcune confessioni cristiane protestanti ed evangeliche che professano l’inerranza biblica, diffuse specialmente negli Stati Uniti d’America. Il mondo cattolico è essenzialmente estraneo a questa diatriba alimentata dal nulla, se non altro perché da sempre educato alla lezione paolina, per la quale “la lettera uccide, lo spirito vivifica” (2Cor, 3,6). Un richiamo analogo è quello che fa Dante quando, a proposito di scritture sacre, ricorda come sia necessaria una loro “interpretazione”, articolata su quattro livelli di significato possibili (Dante Alighieri, Convivio, Libro II, cap. primo, 2-15). Peraltro, la necessità di collocare lo sforzo ermeneutico in un contesto adeguato, individuando preliminarmente il “genere letterario” della Scrittura, sarà poi affermato da Pio XII nell’Enciclica Divino Afflante Spiritu (1943). In ultima istanza, la Bibbia non è un trattato scientifico, ma un libro sapienziale e come tale andrebbe rispettato.

Credo che proprio da questa confusione tra “spirito” e “lettera” nascano la maggior parte dei fraintendimenti moderni che, vogliamo sottolinearlo, sono venuti emergendo solo in tempi relativamente recenti. È infatti solo a partire dall’età dei Lumi che ci si è affannati a cercare tra le righe dei testi sacri la conferma e la legittimazione di quel corpus di conoscenze che andava costituendosi come “scienza”, cercando nei primi una impossibile concordanza con quanto veniva emergendo a valle della sperimentazione. Lo stesso caso di Galilei è stato tramandato in modo artatamente falsato, e con il chiaro intento di mostrare la inconciliabilità tra fede e scienza[1].

Tutto ciò è particolarmente vero nel contesto del dibattito sull’evoluzionismo, dove la posizione prevalente – riassunta in modo estremamente chiaro da Richard Dawkins (L’Orologiaio cieco, Mondadori 2003) – fa leva sulla teoria evoluzionistica per demolire qualunque ipotesi antropocentrica, e affermare l’inesistenza di Dio sulla base del fatto che l’emergere della Vita e dell’Uomo discendono da processi “ciechi”, assolutamente casuali. È alquanto paradossale, notiamolo en passant, come questi risoluti credenti nelle verità assolute della Scienza finiscano con il supportare teorie altrettanto inverosimili – sul piano dell’evidenza empirica – nel momento stesso in cui tanto si affannano a proclamare la loro assoluta adesione al manifesto ateo. È il caso, per esempio, di Francis Crick (Life itself, Simon & Schuster 1981), che, per spiegare la vita sulla Terra, ha elaborato la teoria della Panspermia (per la quale i “semi” vitali sarebbero stati diffusi da intelligenze extraterrestri).

Decostruzione del termine “evoluzione”.
Un primo problema si pone inevitabilmente quando ci si confronta con la necessità di assegnare un preciso significato al termine ‘evoluzione’, la cui decodificazione è oggi gravata dalla sovrapposizione di diversi livelli di analisi e dall’esigenza di coniugare la teoria evoluzionistica con sovrastrutture ideologiche meta-scientifiche. Per evoluzione si intende “il progressivo ed ininterrotto accumularsi di modificazioni successive, fino a manifestare, in un arco di tempo sufficientemente ampio, significativi cambiamenti morfologici, strutturali e funzionali negli organismi viventi” (Wikipedia). In questa ampia accezione si ritrovano un po’ tutti – con la significativa esclusione dei creazionisti, un movimento ambiguo attualmente prosperante pressoché esclusivamente nei paesi di cultura protestante.

La Chiesa Cattolica ha da sempre considerato verosimile che la vita sulla Terra sia riconducibile ad un “processo”, e non sia uno stato emerso improvvisamente dalle brume del caos. Già Sant’Agostino riteneva che, pur avendo Dio creato il mondo secondo un abbozzo rudimentale, gli avesse conferito delle “proprietà seminali”, principi per i quali la Natura avrebbe potuto svilupparsi ed evolversi nei modi in cui oggi lo conosciamo[2]. Questo è quanto, in modo più articolato, ripropone Papa Francesco quando sottolinea che “L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono” (Discorso del Santo Padre Francesco in occasione dell’inaugurazione di un busto in onore di Papa Benedetto XVI, casina Pio IV, 27 ottobre 2014).

Sant’Agostino non manca inoltre di sottolineare che: “Supporre che Dio creò l’uomo dalla polvere con le mani è molto infantile … Dio non plasmò l’uomo con le mani né soffiò su di lui con la gola e le labbra”[3]. Nel solco di queste prime anticipazioni si sono mossi San Tommaso e innumerevoli altri autori di fede cattolica. Il tema è stato recentemente affrontato anche da alcuni pontefici, tra cui Papa Benedetto XVI, per il quale “La dottrina dell’evoluzione è per certo un’ipotesi importante, che però presenta decisamente molti problemi, i quali necessitano ancora di un’ampia discussione”. La chiosa di Papa Francesco prima ricordata si colloca pertanto in modo perfettamente coerente all’interno di una tradizione che, senza soluzione di continuità, può essere fatta risalire fino a Sant’Agostino.

Non si comprende quindi il livore con cui queste parole sono state stigmatizzate in ambito protestante, soprattutto grazie alla lettura distorta operata dal pastore Ken Harn, e successivamente auto-alimentatasi grazie alla diffusione via internet. Non vogliamo inseguire il Sig. Harn sul suo terreno – cominciando per esempio contestandogli l’equiparazione del Papa ad un ‘mago’ – ma riteniamo preferibile rimarcare le criticità evidenziate dal Santo Padre. Perché, infatti, il punto è precisamente questo. L’evoluzione è una teoria – parte di complessiva teoria della Biologia ancora di là da venire – di cui dobbiamo ancora capire quale sia il “motore”. Le “novità” sono realmente tali o sono variazioni su alcuni temi formali, discreti? Sono dovute a modifiche genetiche o intervengono altri fattori, come il condizionamento biofisico imposto dall’ambiente? Sono imposte dal “caso” o si dipanano lungo un percorso predefinito?

I limiti dell’Evoluzionismo.
Quello che la dottrina cattolica rifiuta è che il processo dell’evoluzione dipenda esclusivamente da mutazioni genetiche, emerse per caso e selezionate in base al fatto che queste, determinando un diverso fenotipo, gli conferiscano maggiori probabilità di adattamento e sopravvivenza. In sintesi, l’evoluzione non può essere guidata dal caso, definizione che in se è già un ossimoro dato che in linea di principio non si capisce come la stocasticità, da sola, possa conferire ordine e direzione ad un processo.

Questa è la critica di fondo che viene rivolta oggi, non tanto a Darwin (che era ben consapevole dei limiti della sua teoria), quanto ai suoi zelanti epigoni che, come spesso accade, si rivelano essere più “realisti del re”. Di fatto, la teoria evoluzionistica così come ci viene consegnata dai post-darwiniani viene oggi estesamente criticata e discussa in ambito scientifico – basti pensare ai contributi apportati in tale direzione da Steven Jay Gould, Stuart Kauffman o Carl Woese, tanto per citarne alcuni. La riscoperta di una eredità di tipo Lamarkiano, del trasferimento orizzontale dei geni o delle modificazioni ereditate per via epigenetica materna, hanno inoltre contribuito a modificare in modo sensibile l’impianto della teoria di Darwin e ne impongono una profonda rivisitazione.

Considerazioni di un “credente sperimentale”.
È veramente curioso che le posizioni più estreme ed intransigenti oggi sul tappeto – il post-darwinismo alla Dawkins e il creazionismo dei tanti predicatori di intolleranza, come il Sig. Ken Harn – militino entrambe nel campo anglosassone protestante. In entrambi i casi si riafferma la fede in un principio deterministico assoluto, centrato sul caso o su un “dio” meccanico, responsabile di ogni sia pur infinitesimale dettaglio. Si comprende subito come l’impostazione filosofica soggiacente sia la medesima. In entrambi i casi viene negata alla Vita quella Libertà che, seppur vincolata alle leggi del creato, costituisce il messaggio primo della Sacra Scrittura. Sia per Dawkins quanto per Harn, la Vita e l’Uomo sono regolati da un “orologiaio”: comunque cieco, perché sia esso il Caso o Dio, procede indifferente al decorso della Storia dell’Uomo.
L’intuizione di Sant’Agostino è oggi invece più feconda che mai: perché preserva la libertà dell’Uomo nel contesto di un processo evolutivo che si dipana in accordo alle leggi della Natura che, in se stesse, non hanno nulla di arbitrario.

Il mio lavoro quotidiano è propriamente centrato sulla ricerca e la comprensione di quelle leggi che riescono a coniugare la “libertà” con la “necessità”. Non c’è nulla di arbitrario e casuale – ed aveva quindi ragione Einstein nel ricordare come “a Dio non piaccia giocare ai dadi” – ma neanche nulla di “preordinato”: l’organismo vivente ‘esplora’ uno spazio di possibilità, ristretto ad un numero ‘discreto’ di potenzialità ammesse dalle leggi di Natura.
Entro questi limiti si svolge l’evoluzione e gli stessi processi che ricapitolando la filogenesi, portano alla ontogenesi. Questa evidenza è per me constatazione quotidiana, emergendo dal vivo della stessa sperimentazione scientifica. Come tale non solo mi riconferma nella bontà dell’impianto teorico che permette di riconciliare aspetti apparentemente contrapposti in Biologia – come si fa a coniugare evoluzione e permanenza di alcune forme ‘fondamentali’? Come conciliare cambiamento e omeostasi? Come fa un organismo a rimanere se stesso pur cambiando continuamente? – ma mi ribadisce nella sapienza delle Scritture, quando correttamente interpretate nel rispetto della loro complessità ermeneutica. Soprattutto mi aiuta a riscoprire, ogni giorno, dietro ogni fenomeno quella mano invisibile che ci fa sentire vicino Dio. Anche nel mio laboratorio.

Note
[1]^ Galilei non si limita a rivendicare l’autonomia della scienza dalla religione, afferma anche che essa è infallibile, se rettamente intesa (secondo criteri da lui stesso definiti); e che, mentre gli scienziati, se applicano fedelmente il metodo sperimentale, non possono sbagliare, possono invece sbagliare quei teologi che pretendono di leggere le Scritture prendendole alla lettera, laddove esse parlano un linguaggio figurato, specialmente riguardo alle verità naturali. In altri termini Galilei sembrerebbe voler mettere la Teologia sotto tutela della Scienza. Non solo, ma il ragionamento galileiano implica che la matematica permetta agli uomini di raggiungere la verità con la medesima grado di certezza di Dio, proprio perché Dio conosce in modo “matematico” e pone all’origine del mondo leggi conoscibili grazie alla matematica.
[2]^ Alcune citazioni di Sant’Agostino sono particolarmente illuminanti al riguardo: “Nel granello dunque erano già presenti invisibilmente tutti insieme gli elementi che nel corso del tempo si sarebbero sviluppati per formare l’albero; allo stesso modo dobbiamo immaginare il mondo, quando Dio creò simultaneamente tutte le cose, conteneva simultaneamente tutti gli elementi creati in esso e con esso quando fu fatto il giorno […]. Conteneva inoltre gli esseri che l’acqua e la terra produssero virtualmente e causalmente, prima che comparissero nel corso dei tempi e che noi ora conosciamo come opere che Dio continua a compiere fino al presente” (De Genesi ad litteram, V, 23,44. “[…] un’altra cosa sono i [semi] misteriosi con i quali, al comando del Creatore, l’acqua ha prodotto i primi pesci e i primi volatili, la terra i primi suoi germogli ed i suoi primi animali secondo la loro specie. E nella realizzazione di queste prime nascite non si esaurì la forza vitale di quei semi […]”. De Trinitate, III, 8, 13. [Le creature] acquistano e perdono perfezioni, secondo l’esigenza e il movimento delle realtà, […] perché per Divina Provvidenza tendono a quel risultato che il razionale ordinamento dell’Universo implica”. Ibidem, XII, 5.
[3]^ De Genesis contra Manicheos, cit. in Andrew Dickson White, Project Gutenberg A History of the Warfare of Science with Theology in Christendom, vol. 1, New York, Londra, D. Appleton & Companyc, 1922 [1896].
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » lun feb 13, 2017 11:59 pm

Spirtoałetà e rełijoxetà no łe xe ła mema roba
viewtopic.php?f=24&t=2454

https://www.facebook.com/giovanni.raimo ... 9166215677

Alberto Pento
Credere è insito nel vivere, nell'essere, nel respirare. Credere nello Spirito Universale o D-o, istintivamente, naturalmente non va confuso con il credere idolatra delle religioni, di tutte le religioni. Questo credere non è un atto di fede dogmatica e idolatra ma è l'atto stesso del vivere, dell'essere. Questo credere è una dotazione universale di ogni creatura e non dipende da rivelazioni, da profeti, da libri, da ideologie, da dogmi, da preghiere e da miracoli o da particolari meriti e grazie divine.

Piercarlo Accornero
Giusta riflessione!

Giovanni Raimondo
Alberto Pento, capisco la tua posizione e la condivido in parte, ma vedi, la fede in Dio, deve passare anche per un processo razionale(Dio ci ha donato l'intelligenza per capire), che la storia e archeologia ci forniscono e quindi ci confermano che quanto scritto è vero. Ultima scoperta fatta dagli archeologi sono i "Rotoli del Mar Morto", altro elemento che ci farà capire ancora di più cosa vuole dirci Dio attraverso la Bibbia. Dio ci ha donato tre cose: Intelligenza, Amore e Razionalità oltre che Libertà. Usiamole al dovere!

Piercarlo Accornero
La fede non ha bisogno di prove storiche (prove a che, se la fede so definisce per categorie astoriche...?).Ha bisogno di rispondere a un'esigenza antropologica umana: quella di consistere su qualcosa/ qualcun o.

Alberto Pento
Giovanni Raimondo io non ho fede, io non credo nel senso che intende lei. Io vivo e nel vivere sono impliciti il credere e la fede ma non in qualcosa o in qualcuno ma semplicemente nel vivere e in tutto ciò che il vivere comporta e implica anche di naturalmente spirituale e che mi connette all'intero universo. Il Dio dei Rotoli del Mar Morto e della Bibbia che lei cita, per me non è D-o ma semplicemente un idolo. Riesce a capirmi? Il suo Dio su cui insiste non è D-o ma un idolo, il suo idolo ebraico-cristiano. Il D-o a cui mi riferisco io è universale e non ha nome oltre a quello generico di D-o e la sua religione è quella naturale del vivere ed è comune a tutte le creature e a tutti gli uomini e sta oltre gli idoli delle loro religioni e si rivela da sempre e ovunque nel Creato e nel cuore di ogni cretaura e materia vivente.

Piercarlo Accornero
La sua posizione è interessante. Molto simile alla spiritualità degli "animisti", definizione impropria e superata. La vedo somigliante a quella degli indiani delle praterie...Mi tolga una curiosità, se posso permettermi: com'è che scrive Dio con un trattino fra D e o? La domanda non è peregrina: ho amici di fede ebraica che scrivono così- Penso sia un resto delle idee che avevano sull'estremo rispetto per il Nome di Dio.

Alberto Pento
E' proprio una derivazione ebraica, io considero l'ebraismo la religione più umana e la meno idolatra che vi sia, dopo quella naturale e universale.

Piercarlo Accornero
La ringrazio per la risposta. Lei saprà che gli ebrei definivano Dio con Maqom, il Luogo, quindi come qualcosa di presente e reale?

Alberto Pento
No, non lo sapevo, non ho approfondito così tanto la religione ebraica. Grazie dell'informazione.

Piercarlo Accornero
Prego. Tuttavia la religione (per me ideologia) più aniconica è islam. Se lei va a vedere le sinagoghe tra il I e III secolo, in Palestina e altrove, vedrà immagini di mosaici con una descrizione realistica della natura sconvolgenti, tenendo conto che si tratta di luoghi di culto ebraico. Per esempio, quella di Dura-Europos.

Alberto Pento
L'islam è aniconico solo parzialmente poiché il gioco arabesco decorativo non figurato è anch'esso una "raffigurazione" in più è anche parolatra, il Corano è la parola di Allah e in quanto tale è idolatra tanto quanto le altre religioni che sono anche iconiche come il cristianismo e l'ebraismo. L'unica chiesa non idoplatra di D-o è il Creato o la Creazione.

Piercarlo Accornero
E' peggio: è così adorante dell'astrazione da essere disumano, anzi, odiante della realtà. Paradossalmente, è l'ideologia più idolatra che esista: asservisce alla sua adorazione il Nulla.

Alberto Pento
Sì astrazione figurativa, ma che come rappresentazione visiva è anch'essa una forma e perciò una sorta di figura; in più nel Corano vi è la rappresentazione della divinità nella forma verbale umana e anche questa è una sorta di figura/rappresentazione di Dio in forma sonora.

Piercarlo Accornero
La plasticità ossessiva delle descrizione islamiche, la loro dovizia di particolari truculenti, è una sorta di rivincita della carnalità che si vuole esorcizzare. Parafrasando: disumano, troppo disumano. Ecco perché ritengo islam una malattia dell'umanità.

Piercarlo Accornero
Un vero e proprio cancro. Se lei ha dimestichezza di pagine islamiche, vedrà la pochezza di argomentazioni, che quasi tutte si riducono ad un 'apologia della loro fede, apologia infantile, come contenuto. E questa sarebbe la cultura islamica? Questa ideologia è lo zombi di una religione che visse sì e no il tempo di Maometto e poi sfumò nella carica spirituale.

Giovanni Raimondo
Considerare il Cristianesimo una forma d'idolatria mi sembra molto assurdo e vorrei capire il perchè di questa tua posizione che fino adesso non ho capito. Che qualcuno ci ha creati, questo non desta dubbio, tranne a quelli che vogliono seguire la teoria del caso...

Alberto Pento
Chi ci ha creati non è né qualcosa, né qualcuno.

Giovanni Raimondo
E chi è, secondo te???

Alberto Pento
E' ciò che è e a me è più che sufficente, ad andare oltre si incontrano soltanto gli idoli.

Giovanni Raimondo
Si, ma aver creato tutto questo, secondo me richiede la mano di qualcuno, altrimenti non si spiega. Se seguiamo la teoria del caso, andiamo in un vicolo cieco, non credi???

Alberto Pento
Nessuna mano e la spiegazione e il senso sta nella vita e nel vivere e basta, il resto è idiozia e presunzione. D-o non ha mani e non è un idolo, l'uomo non può attribuire alcunché a D-o. L'uomo come tutte le altre creature può soltanto percepire il pulsare di D-o nel suo cuore e basta. Il porsi domande sul fine ultimo o altro del Creato non è affare dell'uomo ma di D-o, porsi queste domande è un non senso, un assurdo, un voler presuntuoso di essere D-o.

Alberto Pento
Il Creato in realtà è la Creazione che è perennemente in atto.

Giovanni Raimondo
Non ho capito, poichè prima dice che nessuno ci ha creato e poi dice che qualcuno ci ha creati e l'uomo non può attribuire alcunchè a Dio, ma può soltanto percepire il pulsare di Dio nel suo cuore e basta. Se come ha detto alla fine, che "il Creato in realtà è la Creazione che è perennemente in atto" significa che qualcuno ha progettato e ha piggiato on, altrimenti non si spiega...Chiarisca meglio la sua posizione, perchè sinceramente cerco di capirla ma mi è molto difficile proprio perchè prima esprime un pensiero e poi ne esprime un altro in contrasto con quello precendente.

Alberto Pento
Ripeto D-o non è né qualcosa né qualcuno.

Giovanni Raimondo
Ma allora chi è???

Alberto Pento
È D-o! E non si può aggiungere altro perché se si aggiungesse trasformerebbe D-o in un idolo;poiché soltanto gli idoli sono una cosa o qualcuno.

Piercarlo Accornero
Credo che Alberto Pento voglia insistere sull'assoluta alterità di Dio...

Giovanni Raimondo
Ma a Dio, non vengono associati idoli. Poi bisogna vedere quale sono gli idoli secondo lei....

Alberto Pento
"Alterità" in un certo senso indefinibile che però anima la vita e che è presente in ogni tempo, in ogni luogo in ogni cosa e creatura.

Alberto Pento
Per esempio: Cristo Dio e Allah di Maometto e del Corano sono idoli.

Piercarlo Accornero
Bisogna che chiarisca lui il suo pensiero...per me è abbastanza evidente: tutto sommato, è una concezione di Dio già testimoniata in storia delle religioni, arcaica e bella, e pure estremamente moderna, se riesce ad affascinare anche oggi...

Giovanni Raimondo
Cristo un idolo??? No, questo non è vero. E appurato storicamente che Cristo è nato, vissuto e fatto i miracoli ed è morte in croce.. Se si legge le fonti romane che ne sono a quantità, capirà.

Alberto Pento
Cristo era un uomo, un rabbino ebreo, crocifisso dai romani invasori, che divinizzato si è trasformato in un idolo, l'idolo dei cristiani.

Giovanni Raimondo
Mi creda, si legga le fonti romane che parlano chiaro su questo...

Piercarlo Accornero
Però questa è la concezione cristiana, cui si può anche arrivare dopo un lungo percorso. insomma, è lo stesso atteggiamento dell'imperatore Inca, quando gettò via il Vangelo che un frate gli porgeva sostenendo che "era quel libro che gli diceva la religione". L'imperatore lo portò alle orecchie e, siccome non gli "diceva" nulla, lo buttò via. Diversità di aspettative dal divino.

Piercarlo Accornero
C'è comunque il rischio che la figura di Gesù venga degradata a idolo, basta vedere certa religiosità popolare.

Alberto Pento
La presunzione dei frati alla corte dell'imperatore Inca è pari alla loro idolatria. La vera spiritualità non può essere che universale ed è quella che va coltivata per rendere l'umanità più fraterna.

Piercarlo Accornero
L'universalismo della spiritualità è una delle idee cardine della Bibbia.

Alberto Pento
Sì lo Spirito Santo non può che essere universale ma anche eterno, infinito e vario e la varietà si manifesta nella Creazione perennemente in atto che perciò comprende e implica l'evoluzione dall'uno all'infinito attraverso la varietà dal semplice al complesso ed è in tale processo creativo che può trovare posto, senso e giustificazione la teoria dell'evoluzionismo darwiniano.
La rivelazione divina è nella creazione stessa e c'è da sempre e ovunque nel cuore di ogni creatura e non ha bisogno di manifestarsi attraverso profeti o incarnatori divini e non capita di tanto in tanto nella storia per qualche capriccio o caso divino idolatra.

Scusatemi se non sono allineato e intervengo a dire la mia da aidolo.
Riprendo o cito da un'altra discussione: "Sì lo Spirito Santo non può che essere universale ma anche eterno, infinito e vario e la varietà si manifesta nella Creazione perennemente in atto che perciò comprende e implica l'evoluzione dall'uno all'infinito attraverso la varietà dal semplice al complesso ed è in tale processo creativo che può trovare pienamente e armoniosamente posto, senso logico e giustificazione ragionevole la teoria dell'evoluzionismo darwiniano.
La rivelazione divina è nella creazione stessa e c'è da sempre e ovunque nel cuore di ogni creatura e non ha bisogno di manifestarsi, di tanto in tanto nella storia, attraverso profeti o incarnatori divini e non capita di tanto in tanto nella storia per qualche capriccio o caso divino idolatra."
La teoria evoluzionista non è altro che quel filo logico e sensato che lega la variazione degli organismi dal semplice al complesso ed è assolutamente naturale e spiritualmente ragionevole.

Alberto Pento
Gentile Giovanni Raimondo, per me non vi è nulla di più naturale e sensato del caso, cioè di ciò che capita ma che al momento quando capita non si spiega e non si comprende ma che è comunque naturalmente causato, ragionevolmente spiegabile e del tutto comprensibile non appena si maturerà tutto ciò che serve alla piena consapevolezza.

Piercarlo Accornero
In effetti, l'autentica spiritualità, meglio, la comprensione non puramente meccanicistica o materialistica del kosmos (non trovo ora altra parola), che è appunto kosmos=bellezza, ordine, contrario di khaos, riguarda tutte le culture, perché tute le culture sono opera dell'unico essere umano, diffuso dal polo nord a quello sud. Questo è il senso dell'"alleanza noachica" della Bibbia. e va bene. Il problema si profila, allorché qualcuno, mortale, si arroga di essere l'unico rappresentante valido di un'"autentica" religione=relazione con l'Invisibile. Tutti così i vari profeti, e in particolare l'ultimo, Maometto. Questo forse è l'unico punto su cui concordo con quanto dicono i musulmani: che Maometto sia l'ultimo dei profeti. Dei profeti come li ha descritti lei: essenzialmente bugiardi e arroganti. Gesù Cristo, tuttavia, è difforme rispetto a questa norma: non rimanda mai a se stesso come fondatore della "vera" fede, ma al Dio dell'accezione primigenia.

Alberto Pento
Su Maometto convengo che sia stato un profeta del demonio o un falso profeta idolatra dell'idolo dell'orrore e del terrore.
Per quanto riguarda l'ebreo Cristo, fintantoché ci si limita a considerarlo un rabbino, un uomo spirituale, un profeta tra i tanti mi sta bene e non trovo critiche da muoverli se non alle sue credenze sul vivere la vita sulla terra in funzione della vita in cielo dopo morti, che per me non esiste in quanto la vita è solo quella sulla terra che va vissuta pienamente di per sè e quando si muore si smette la propria responsabilità umana e si torna nelle disponibilità del Creatore; ma quando lo si tratta come Dio allora non posso che definirlo un idolo e bugiardo se a trattarsi come Dio è lui stesso oppure devo chiamare bugiardi e idolatri i suoi discepoli, apostoli e seguaci se son loro che da uomo ne hanno fatto un Dio.

Piercarlo Accornero
Lei ha messo il dito sul discrimine fra essere cristiano oppure no...Non contesto le sue idee sulla vita dopo la passeggiata terrena, sono le mie stesse. L'unica cosa che mi lascia perplesso (anche perché non corrisponde al senso delle parole di Gesù, almeno biblicamente...) è la sua opinione sul vivere la vita terrena in funzione di una supposta tale celeste. La basileia ton ouranon non è un "dopo" fisico, il regno dei cieli futuro, ma è un "oltre" teologico, metafisico, un modo di vivere, questa vita, riconoscendo la sua dipendenza dall'Invisibile. Come vede, molto simile alla sua concezione e quella dei popoli alla cui spiritualità guardo ...

Fabiana Ruggeri
Nella Bibbia c'e' scritto che Dio ci ha creati a Sua Immagine dunque È una Persona (mi riferisco alla Sua Intelligenza). La ragione per cui i primi scienziati iniziarono a fare scienza fu che cercavano delle leggi e la ragione per cui le cercavano era che credevano in un Autore di quelle leggi.
Fu la Chiesa Cattolica a promuovere la scienza. Questo è un dato inconfutabile ed è triste che gli atei lo ignorino. I primi scienziati erano credenti e quello che ben presto scoprirono fu che l'universo è governato da leggi comprensibili al cervello umano.
Capirono così che la nostra intelligenza e l'intelligibilita razionale dell'universo rimandano entrambe alla stessa Intelligenza Superiore.
Oltretutto le leggi da sole non sono in grado di creare niente tantomeno di autocrearsi, sono solo una descrizione matematica di quello che accade sotto precise circostanze.
In poche parole a nessuno verrebbe in mente che queste lettere che hanno un senso siano state buttate a caso, ognuno può intuire che a sceglierle sia stata un'intelligenza e non un processo casuale (lasciamo stare il Q.I. :) ).
Stessa cosa vale per l'universo, la sua messa a punto, le costanti sono così perfette che il minimo scostamento avrebbe reso la vita sulla Terra impossibile per l'uomo.
In sintesi Chi ha progettato questo universo lo ha fatto con la previsione di costruire un habitat ospitale per l'uomo. Che la Hack non lo abbia capito rigettando le evidenze non significa nulla. Altri brillanti scienziati credenti arrivano sempre più e sempre meglio a conclusioni opposte alle sue e anzi sostengono che il big bang va nella stessa direzione di quanto affermato nella Bibbia, o meglio, i testi originali biblici.
Sì perché purtroppo le traduzioni contengono errori che potrebbero far sollevare dei dubbi se la Bibbia davvero sia la Parola di Dio. Le nuove scoperte scientifiche avvalorano quanto scritto in quei Testi svelandone il significato.
Scusate se mi dilungo.. se uno va a investigare il linguaggio alfabetico ebraico scopre una corrispondenza sconcertante tra l'alfabeto ebraico e il macro- e microcosmo. Gia' a partire dal fatto che le lettere dell'alfabeto ebraico siano 22 e che servano anche da numeri (Nelle cellule umane ci sono 46 cromosomi: 44 cromosomi sono detti somatici o autosomi e sono disposti in 22 coppie + 2 cromosomi sessuali).
Vado ad allegare un video oppure due a questo proposito. Dobbiamo considerarci fortunati ad avere tutte queste informazioni a disposizione oggi..

Alberto Pento
La Bibbia è soltanto un libro scritto dagli uomini. L'uomo ha incominciato a fare scienza da quando è apparso sulla terra o da quando è stato creato, non certo dalla Bibbia o dal cattolicesimo romano in poi.

Fabiana Ruggeri
Alberto Pento Se fosse davvero così non si capisce come si spiegano tante, troppe coincidenze tra le scoperte scientifiche e quanto affermato nella Bibbia (vedi video all. mio commento precedente).
Se l'uomo ha fatto scienza da quando è stato creato allora non si capiscono i secoli di ritardo con cui la Cina ha iniziato a fare scienza rispetto all'Europa
Ci sono stati degli studiosi, poi ti dirò uno in particolare, che hanno studiato le motivazioni storiche e sociali alla base del ritardo e una è stata individuata nel fatto di non credere in un'intelligenza Superiore Creatrice di leggi studiabili dall'uomo quindi non si sentirono motivati a cercarle.

Alberto Pento
Anche i seguaci del Corano sostengono le stesse cose. Le diversità tra gli uomini fanno parte della varietà umana e la varietà/diversità sono il senso della Creazione con tutte le sue infinite singolarità, individualità, specificità. L'uomo ha milioni di anni e non i 6mila della Bibbia; poi vi è tutta l'"esperienza/evoluzione pre umana" da considerare.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » lun mar 13, 2017 7:58 am

La dottrina dei miracoli
Giorgio Masiero
5 settembre 2016
http://www.enzopennetta.it/2016/09/la-d ... i-miracoli

A 20 anni dalla sua scomparsa, ricordiamo il matematico Marcel-Paul Schützenberger, rivisitando una sua celebre lezione sul darwinismo

Si è svolta nel marzo scorso a Bordeaux una conferenza dedicata al lascito scientifico di Marcel-Paul Schützenberger (1920-1996), nella quale matematici e information scientist ne hanno ricordato la poliedrica figura. Nella teoria combinatoria, Schützenberger fu forse il matematico più creativo ed influente del XX secolo, per le applicazioni dei suoi studi in campi diversi, dalla linguistica alla cibernetica all’economia. Fuori delle accademie divenne celebre quando a Filadelfia, ad un meeting di matematici e biologi convocato dal premio Nobel Peter Medawar per superare “il diffuso senso d’insoddisfazione riguardo alla teoria dell’evoluzione così come accettata dai più [vale a dire nella versione darwiniana, N.d.R.]”, mostrò che oggi i computer sono in grado di dimostrare la fallacia di quella teoria, potendo realizzare virtualmente in secondi ciò che fisicamente viene da essa postulato essere accaduto in miliardi di anni, e così dimostrando che il neo-darwinismo è una fiction “che si sostiene su dozzine e dozzine di migliaia di miracoli”.

Nel seguito farò una libera sintesi della lezione di Schützenberger a Filadelfia (“Algorithms and the Neo-Darwinian Theory of Evolution”, Wistar Institute Symposium, 1966), attingendo anche a suoi interventi successivi sullo stesso tema. Prescinderò da calcoli e tecnicismi, alcuni dei quali il lettore interessato potrà trovare in un mio passato articolo.

Nella versione moderna, la più chiara definizione di darwinismo è quella di Richard Dawkins: l’evoluzione degli esseri viventi vi è spiegata con il binomio: mutazioni genetiche casuali e selezione naturale. All’interno di questa dottrina convivono 2 scuole reciprocamente contraddittorie: i gradualisti, tra i quali lo stesso Dawkins, e i saltazionisti, come Stephen J. Gould. Per i gradualisti, l’evoluzione procede solo per micro-mutazioni del genoma; per i saltazionisti invece, l’evoluzione procede essenzialmente per macro-mutazioni.

Il mio mestiere è la matematica, la logica e la teoria dell’informazione, non la biologia, ma l’intervento dei matematici è qui legittimato dall’uso frequente che i biologi fanno di argomenti matematici ed informatici. Noi matematici poi, siamo abituati a discutere anche i fondamenti della nostra disciplina: è normale che volgiamo uno sguardo critico analogo ai fondamenti delle altre. Infine, ci sono tutta una serie di ricercatori – fisici, chimici, medici, ecc. – che applicano correntemente la matematica nelle loro ricerche riguardanti un problema fondamentale dell’evoluzione, quello della complessità funzionale. E qui, su questo tema, io mi trovo coinvolto direttamente in una mia area di lavoro.

Che cosa s’intende per complessità funzionale?
Funzionale vuol dire semplicemente volto ad uno scopo, anche se la parola “scopo” è tabu in scienza. Quando un biologo nel suo laboratorio pensa tra sé e sé in termini di funzioni (la funzione d’un gene, d’un enzima, del ribosoma, delle antenne della drosofila), pensa come la gente comune, ed ha ragione di farlo perché è un concetto adatto alla situazione. A capirlo meglio di tutti sono i fisiologi, per i quali tutto è funzionalità. Così essi descrivono il sistema circolatorio, digestivo, nervoso, ecc. Anche la complessità è un concetto chiaro a ognuno. Già negli organismi unicellulari, i meccanismi di separazione e di fusione dei cromosomi sono processi incredibilmente complessi.

Ora, i viventi si presentano come strutture complesse d’interrelazioni funzionali e se vogliamo spiegare l’evoluzione dobbiamo spiegare questa funzionalità e questa complessità. Ebbene, la comparsa di complessità funzionale, crescente nel tempo al dipanarsi dell’evoluzione, non risulta spiegabile con nessuna delle nostre conoscenze fisico-chimiche attuali, né la logica formale vi trova al momento alcun appiglio.

Con la scoperta del codice genetico, abbiamo imparato che un gene è una stringa in un alfabeto di 4 lettere, le 4 basi A, T, C e G del DNA, il cui testo totale è il genoma. Una parola così comanda alla cellula di costruire la tal proteina, che sia una proteina di struttura o, in combinazione con altri segnali, d’un altro tipo. Tutti i risultati sperimentali ricadono in questo schema. Ma come funzionano i geni? Schematicamente un gene è assimilabile ad un’unità d’informazione. Quando è attivato, parte un ordine elementare del tipo sì-no. Per fabbricare l’occhio, si attivano dai 1.000 ai 2.000 geni. Ma se la spiegazione è tutta qua, è risibile! Supponiamo che un’azienda europea decentri ad una fabbrica in Asia la costruzione d’un componente elettromeccanico completamente nuovo, senza dir nulla né su come funzioni, né a cosa debba servire. Con 2.000 bit d’istruzioni il costruttore asiatico non andrebbe da nessuna parte! Il congegno, pur estremamente più semplice d’un occhio, potrà essere costruito solo quando il costruttore avrà capito il significato delle operazioni di cui gli si chiede la meccanizzazione, cioè se ha già l’idea dell’oggetto prima di fabbricarlo. E tutto ciò rappresenta una massa enorme di pre-conoscenze, che devono essere condivise tra l’ordinante e il fabbricante.

In base alla teoria dell’informazione e alla nostra conoscenza del genoma, questo non contiene abbastanza istruzioni per spiegare il vivente. Non è perché sappiamo che un gene è necessario per la sintesi di questa o quella proteina che capiamo come qualche migliaio di geni bastino a dirigere il corso dello sviluppo d’un organo: come accade che con così poche istruzioni elementari la materia vivente, apparentemente priva come il costruttore asiatico di ogni pre-conoscenza, sia capace di fabbricare oggetti tanto efficaci e complessi? qual è la natura di questa caratteristica della materia vivente? Nulla nelle nostre conoscenze scientifiche – fisiche, chimiche e cibernetiche – ci permette d’immaginarlo. Se ci mettiamo dal punto di vista dell’evoluzione, dovremmo dedurre che i pesci dell’era primaria già contenevano in potenza i germi di organi che essi non avevano, ma che avrebbero avuto i loro successori nel lasciare gli oceani per la terra ferma e l’aria, con i cablaggi neuronici appropriati. Il binomio darwiniano ha un qualche valore descrittivo, molto limitato peraltro, ma non ha alcun valore esplicativo. Si ferma a considerazioni ecologiche sull’abbondanza relativa di specie e biotipi. Per giunta, nella sua forma classica, gradualista, è falsificato dalla paleontologia.

La selezione naturale ha un qualche valore esplicativo, ma è della più patente banalità, perché coincide col principio che nulla può esistere se non è abbastanza solido da esistere. In una zona che si desertifica, le specie che spariscono per prime sono quelle che hanno più bisogno d’acqua: verissimo, ma ciò non spiega l’apparizione presso i viventi di nuove strutture complesse con la funzione di resistere meglio all’aridità! Salvo che in pochi casi artificiali, la selezione naturale non ci permette di predire se questa o quell’altra specie, questa o quell’altra varietà, saranno favorite o sfavorite dall’evoluzione dell’ambiente. Ciò che possiamo fare è ipotizzare, dopo accaduto, l’effetto della selezione naturale: per esempio, constatiamo che la tal specie di lumache è meno mangiata da certi uccelli forse perché ha una conchiglia meno visibile. Il darwinismo è ecologia, anche molto bella, tutto qua. Insomma, la selezione naturale è uno strumento deboluccio, perché i fenomeni di selezione naturale sono ovvi, ma in nessun modo essa li anticipa teoricamente.

Secondo il racconto neo-darwiniano un gene subisce una mutazione e, nell’ambiente dato, la mutazione può facilitare la riproduzione dei suoi portatori, cosicché i mutanti arrivano progressivamente a sostituire i non mutanti. L’evoluzione non sarebbe altro che un’accumulazione di modifiche tipografiche qualificanti per l’adattamento. I genetisti poi, studiano matematicamente la velocità con la quale una mutazione favorevole si propaga in date condizioni. Essi fanno ciò con molta abilità, ma producono meri esercizi scolastici perché nessuno dei parametri che usano può essere determinato empiricamente. In più ritroviamo l’ostacolo già detto: sappiamo quanti geni ci sono in un essere vivente, circa 100.000 nei vertebrati superiori, ma è un numero risibilmente insufficiente a spiegare la massa d’informazione necessaria alla complessità funzionale.

I darwinisti raccontano così che i cavalli, un tempo mammiferi grandi come conigli, crebbero di taglia per sfuggire più velocemente ai predatori. Nella chiesa gradualista, s’isola questo tratto – la taglia – e se ne considera l’aumento come il risultato d’una serie cumulativa di mutazioni tipografiche casuali, con spostamenti, sostituzioni, ecc. dei 4 nucleotidi, favorita dall’assunzione che per la velocità di fuga davanti a un predatore il criterio determinante in un ruminante sia il possesso d’una grossa taglia… Ma questa è pura retorica, perché nulla vieta di pensare che l’aumento di taglia possa avere piuttosto un effetto negativo sulla velocità di fuga, quando scorrelato da altri tratti! Quella darwiniana è la visione meccanica di un’evoluzione scandita da una successione lineare di cause ed effetti. L’idea che le cause possano interagire le une con le altre sembra estranea alla dottrina, eppure è un’evidenza sperimentale che nei fenomeni biologici le modifiche locali interagiscono in modo drammatico. L’informatica è proprio un’altra area scientifica che bene esibisce questo fenomeno, alla base della definizione teorica di complessità: una minima modifica tipografica del software non ha come risultato di evolverlo solo un pochino, ma di annullarlo tout court. Come con un numero telefonico: se devo chiamare qualcuno conta poco se sbaglio una o due o tre o tutte le cifre del suo numero.

È vero che una mutazione biologica si basa infine su una mutazione tipografica (del genotipo), dove un aminoacido è sostituito da un altro, un codone da un altro, ma al livello dell’attività biochimica risultante (del fenotipo) non si può parlare di tipografia! Non abbiamo nessuna regola fisico-chimica che ci permetta di collegare in maniera intellegibile le modifiche tipografiche ad una struttura biologicamente efficace. Tornando all’occhio, se si considerano le migliaia di geni necessari alla sua fabbricazione, ciascuno di essi preso isolatamente non significa nulla. Ciò che ha significato è la macro-struttura reticolare delle loro interazioni, che sono a cascata con cicli retroattivi di una complessità oggi impossibile da analizzare e che, se sarà mai analizzabile in futuro, tutto rivelerà fuorché un coacervo spontaneo.

Dawkins crede di spiegare le macro-strutture funzionali con quella che chiama “selezione cumulativa di mutazioni casuali”. Usa la metafora della scimmia che batte a caso le dita su una tastiera, ottenendo infine un testo letterario significante. La scimmia di Dawkins è un programma del suo pc che scrive una stringa di 28 caratteri (come il numero di lettere di un verso di Shakespeare), simulando il meccanismo neo-darwiniano di mutazioni tipografiche casuali più selezione naturale. La scimmia fittizia batte e ribatte sui tasti (il caso), salvo che il software sceglie (la selezione cumulativa) ogni volta come nuova base di partenza la frase che si distanzia meno dal verso di Shakespeare. Con questa procedura la scimmia arriva a scrivere il testo letterario in una quarantina di generazioni. Ma Dawkins trucca le carte, perché per calcolare ad ogni generazione la distanza della frase attuale da quella finale il programma deve conoscere fin dall’inizio il verso di Shakespeare! È triste che professori universitari e premi Nobel abbiano applaudito un tale sproposito. [Non CS, che in un vecchio articolo del 2011, smascherò l’errore di Dawkins (NdR)]. Un semplice ragionamento matematico dimostra l’esatto opposto: a meno di non scegliere intelligentemente i parametri in vista del risultato, ogni progressione tipografica è orribilmente lenta, con le mutazioni nella direzione sbagliata che tanto più allontanano il bersaglio quanto più la frase attuale vi era arrivata vicino. Di fatto, il gradualismo neanche tocca il triplice problema della complessità, della funzionalità e della loro interazione. Nella realtà biologica, lo spazio topologico [l’interattoma, N.d.R.] nel quale ci si dovrebbe immergere per descrivere la più semplice delle funzionalità complesse è così complesso da sfidare oggi ogni comprensione.

I saltazionisti sono più umili, ma anche più sorprendenti. La tesi saltazionista è nata con Richard Goldschmidt negli anni ’40 ed è stata ripresa più di recente da Gould, Niles Eldredge e altri: si produrrebbero grandi mutazioni, implicanti centinaia di geni alla volta in tempi stretti, in meno di 1.000 generazioni così da cadere sotto la soglia di risoluzione della paleontologia. Curiosamente questi pensatori, dopo essersi sbarazzati delle mutazioni casuali e anche della selezione naturale, non provano alcun imbarazzo a dirsi darwinisti.

Il saltazionismo si espone a due tipi di critiche: intanto, non ha alcuna spiegazione per le supposte macro-mutazioni simultanee di molti geni, un fenomeno miracoloso nel quadro della biologia chimica attuale, invocato ad hoc per salvare la paleontologia del Cambriano. Uso il termine miracolo nel senso di evento estremamente improbabile anche al livello ultra-cosmologico di multiverso finito. Parliamo di macro-mutazioni: per diventare un elefante non basta trovarsi all’improvviso con una grande proboscide, bisogna che allo stesso tempo un organo completamente differente, il cervelletto, sia modificato per realizzare l’insieme dei cablaggi necessari perché l’elefante possa servirsi della nuova proboscide. Le macro-mutazioni devono essere coordinate da un sistema plurimo di geni fin dall’embriogenesi. Ora, se si guarda alla storia dell’evoluzione simulando i calcoli al computer, ciò che ne risulta sono dozzine e dozzine di migliaia di miracoli che i saltazionisti non sanno spiegare meglio dei gradualisti.

C’è poi una seconda classe di miracoli e riguarda il fatto che le macro-mutazioni, ammesso che siano avvenute, si sono sommate tutte in una direzione ben definita a costituire le grandi tendenze dell’evoluzione: complessificazione del sistema nervoso, interiorizzazione del processo riproduttivo, apparizione delle ossa, dell’orecchio, arricchimento delle funzioni relazionali, ecc. Per questo trend i saltazionisti si appellano alla contingenza, e cosi credono di chiudere la questione. Di fatto, per spiegare l’aumento della complessità e della funzionalità, ricorrono ad una parolina.

La seconda serie dei miracoli saltazionisti è culminata nell’apparizione dell’uomo, si sa. Qui ormai sono in molti, anche tra i biologi, a mettere in dubbio la semplicioneria darwiniana, muta davanti alla comparsa quasi simultanea nell’uomo di numerosi sotto-sistemi che lo distinguono dalle scimmie superiori: il bipedismo con le modifiche concomitanti del bacino e del cervelletto, una mano abile con impronte digitali a conferirle un tatto molto più delicato, le modifiche alla faringe necessarie per la fonazione, la modifica del sistema nervoso centrale al livello dei lobi temporali per un riconoscimento fine della parola, ecc., ecc. Dal punto di vista dell’embriogenesi, questi organi sono completamente differenti l’uno dall’altro, cosicché ciascuna di queste modifiche si può spiegare solo come il dono che una famiglia di scimmie con molta ambizione verso i propri discendenti ottenne da una buona fata per regalo di nascita. È singolare che questi doni siano stati accordati tutti insieme, a beneficio di quei discendenti che noi siamo! Certi darwinisti invocano una predisposizione del genoma. Ma dove sta materialmente, cioè chimicamente, questa predisposizione? era già presente nei pesci del Precambriano? La realtà è non tanto che non sappiamo niente, ma che non sappiamo nemmeno da che base concettuale ripartire per sperare di capire qualcosa.

In questo vuoto c’è chi, come alla scuola di Santa Fe, fa emergere l’ordine dal caos, più precisamente dal “bordo del caos” (Stuart Kauffman). È gente, peraltro molto competente in medicina o in fisica o in chimica, che sull’evoluzione ha saputo trovare espressioni poetiche…, che non spiegano nulla. Come, prima ancora, nelle strutture dissipative di Prigogine o nel sistemismo di Varela, si mischia la complessità in tutte le salse per produrre magicamente la funzionalità. Queste scuole richiamano a loro supporto certe reazioni chimiche, o il profilo di una costa marittima frastagliata, o le turbolenze atmosferiche o la struttura d’una catena montuosa…, tutti fenomeni la cui complessità è certamente grande, se intesa come impredicibilità, ma che rispetto al mondo vivente giace su una struttura non funzionale. Nessun algoritmo ci permette di catturare la complessità del vivente che, contrariamente agli esempi presi dal regno minerale, è di natura funzionale.

Per concludere, sulla comparsa della vita e sull’evoluzione delle specie, se vogliamo rimanere in ambito scientifico, al momento non ci resta che cercare nuove idee e intanto tacere.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Evoƚousion/raxon e creasion/fede no ƚe se dà contro

Messaggioda Berto » lun mar 13, 2017 9:34 pm

Il contadino non studiato che sta rivoluzionando l'Agricoltura
http://ilnuovomondodanielereale.blogspo ... e-sta.html

Pomodori senz’acqua ne pesticidi: questo metodo affascina i biologi

I metodi di Pascal Poot, lontani dall’agricoltura moderna, sono oltreché iperproduttivi anche naturali e poco costosi. Gli scienziati pensano di trovare delle risposte ai cambiamenti climatici.

Qui il terreno è così sassoso e il clima così arido che le querce vecchie di 50 anni sono più piccole di un uomo. All’entrata della fattoria di Pascal Poot, sulle alture di Lodève (Hérault) troneggia un vecchio cartello in cartone: “conservatoria di pomodori”

Ogni estate, i pomodori gialli a pera e altri Neri di Crimea crescono qui in una pazza abbondanza.

Senza irrigazione malgrado la siccità, senza tutore, senza cure e alcun pesticida ne concimi, le sue migliaia di piante producono fino a 25 kg di pomodori ciascuna.

Il suo segreto? E’ nei semi che Pascal Poot semina davanti a me, con dei gesti che mischiano pazienza e nonchalance. L’inverno sta per terminare nella regione, è venuto il tempo per Lui di affidare i suoi semi alla terra. Sono le prime semine dell’anno

L’uomo ha 52 anni ma sembra senza età.
Questo figlio di agricoltori che ha lasciato la scuola a 7 anni si dichiara completamente autodidatta.

Ha allevato pecore e coltivato castagneti prima di specializzarsi nelle sementi. Oggi semina su del terriccio, dentro una serra, quindi mette i vasetti su un enorme mucchio di letame fresco, per cui la temperatura nei giorni successivi arriverà a 70 gradi, riscaldando la serra e permettendo la germinazione dei semi.

La tecnica del letto caldo è molto antica. Questo permetteva agli orticoltori del XIX secolo di raccogliere meloni in città dalla fine della primavera. E questo permette a Pascal Poot di far germinare ogni anno migliaia di piante di pomodori, zucchini, peperoni, poi li pianta in piena terra e non se ne occupa più fino alla raccolta.


Mentre semina, Pascal mi spiega i dettagli del suo metodo:

“La maggior parte delle piante che oggi chiamiamo “erbacce” erano piante che si mangiavano nel Medioevo, come l’amaranto o il dente di cane.
Mi son sempre detto che se loro sono così resistenti è perché nessuno se ne è più occupato da generazioni .


Tutti cercano di coltivare gli ortaggi proteggendoli il più possibile, io invece cerco di incoraggiarli a difendersi da soli.

Ho cominciato a piantare pomodori su un terreno pieno di sassi vent’anni fa, e all’epoca non c’era una goccia d’acqua. Tutti pensano che facendo così le piante muoiono, ma questo non è vero in effetti tutte le piante sopravvivono. All’inizio abbiamo pomodori piccoli, ridicoli. Bisogna raccogliere i semi dei frutti e seminarli l’anno seguente. Allora si cominciano a vedere veri pomodori, possiamo raccoglierne 1 o 2 kg per pianta.

Meglio ancora se aspettiamo un anno o due. All’inizio mi hanno preso per matto ma alla fine, i vicini hanno visto che io avevo più pomodori di loro e senza peronospora, allora la gente ha cominciato a parlarne e dei ricercatori sono venuti a vedere.”

“Alla fine degli anni 90, durante la lotta contro gli OGM, ci siamo detti che bisognava lavorare anche sulle alternative, ed abbiamo cominciato a fare l’inventario degli agricoltori che si facevano le proprie sementi. Ne abbiamo trovati tra 100 e 150 in Francia. Ma il caso di Pascal Poot era unico. Il minimo che si può dire è che lui ha una grande indipendenza di spirito, segue le sue regole, e per mia conoscenza nessuno fa come lui.

Lui seleziona le sue sementi in un contesto molto difficile e di stress per le piante e ciò le rende estremamente tolleranti, migliora le loro qualità gustative e fa si che i nutrienti sono più concentrati. Oltre ciò lui coltiva diverse centinaia di varietà differenti, pochi agricoltori hanno una conoscenza così vasta”


I ricercatori cominciano solo ora a capire i meccanismi biologici che spiegano il successo del metodo di Pascal Poot

“Il principio base è di mettere le piante nelle condizioni in cui vogliamo che crescano. L’abbiamo dimenticato ma da molto tempo fa parte del buon senso contadino, oggi si chiama ereditarietà dei caratteri acquisiti in altre parole c’è una trasmissione dello stress e dei caratteri positivi delle piante per più generazioni.

Bisogna comprendere che il DNA è un supporto di memorizzazione plastico , non è solo la mutazione genetica che causa il cambiamento , c’è anche l’adattamento , con geni che sono dormienti , ma che possono risvegliarsi. La pianta produce dei semi dopo aver vissuto il suo ciclo, e conserva memoria di alcuni aspetti acquisiti. Pascal Poot gestisce bene questo, le sue piante non sono molto differenti dalle altre a livello genetico ma hanno una capacità di adattamento impressionante.”


Questa capacità di adattamento ha un valore commerciale.
Durante la mia visita, molti hanno chiamato Pascal per ordinare delle sementi. L’agricoltore vende i suoi semi a molte aziende bio, come Germinance. Kevin Sperandio, artigiano sementiere di Germinance, ci spiega:

“Il fatto che le sementi di Pascal Poot si siano adattate a un territorio difficile fa si che hanno una capacità di adattamento enorme, valida per tutte le regioni e per tutti i climi. Noi non abbiamo i mezzi di fare questo genere di test ma sono sicura che se facessimo un confronto tra una varietà ibrida, quella di Pascal Poot e un seme bio classico sarebbero quelle del conservatore dei pomodori che otterrebbero i migliori risultati”

Una parte dei semi sono venduti illegalmente, perchè non sono iscritti nel catalogo ufficiale delle specie e varietà vegetali del GNIS (raggruppamento nazionale interprofessionale delle sementi e delle piante)

“Una delle mie migliori varietà è la Gregori Altaï.
Ma non è iscritta nel catalogo, forse perché non è abbastanza regolare. Molte varietà sono come questa. L’autunno scorso, la sementiera Sementi del Paese a un controllo di repressione frodi ha trovato 90 infrazioni nel loro catalogo, il principio stabilisce che siamo autorizzati a vendere i semi che danno frutti tutti uguali e danno gli stessi risultati in ogni luogo. Per me questo è il contrario della vita, che riposa sull’adattamento permanente.

Questo porta a produrre dei cloni ma vediamo sempre più che questi cloni sono come zombi...”

Alla domanda su questi controlli, un rappresentante di GNIS spiega:

“Il nostro obiettivo è quello di fornire una protezione per l’utente e il consumatore. Il settore francese delle sementi è molto importante, ma ha bisogno di un’organizzazione e di un sistema di certificazione”.

Tuttavia la standardizzazione della frutta e dei semi si fa spesso a scapito del gusto e delle qualità nutrizionali . E potrebbe , in futuro , danneggiare gli agricoltori , dice Veronique Chable

“Il lavoro di selezione dei semi dimostra che siamo in grado di far crescere la pianta in condizioni molto particolari . Ma l’agricoltura moderna ha perso di vista che tutto questo si basa sulla capacità di adattamento. In un contesto di rapidi cambiamenti climatici e ambientali il mondo agricolo avrà bisogno di questo. Dovremo preservare non solo i semi , ma anche la conoscenza degli agricoltori , le due cose vanno insieme”.

Per condividere questa conoscenza , ho chiesto a Pascal di spiegare come si selezionano e raccolgono i suoi semi.

Ecco i suoi consigli:

"Bisogna raccogliere il frutto più tardi possibile, appena prima del primo gelo così avrà vissuto non solo la siccità estiva , ma anche le piogge autunnali.

Il pomodoro è molto speciale . Quando si apre un pomodoro , i semi sono in una specie di gelatina, come un bianco d’uovo . Questa gelatina impedisce ai semi da germogliare all’interno del frutto, che è caldo e umido.

I semi non germoglieranno fino a quando la gelatina non sarà marcita e fermentata.

È necessario dunque far fermentare i semi .
Per questo bisogna aprire il pomodoro , togliere i semi e lasciarli per alcune ore nel loro succo , per esempio in una ciotola e ci sarà poi una fermentazione lattica.

Dobbiamo monitorare la fermentazione come il latte sul fuoco , può durare tra 6 e 24 ore , ma non deve formarsi della muffa. Poi se prendendo un seme col dito si stacca bene dalla gelatina allora è pronto.

Si mette il tutto in un colino da tè ,si lava con l’acqua e si mette ad asciugare. così si ottiene una percentuale di germinazione tra il 98 % e il 100 %

Il peperone è diverso , basta lavare i semi , asciugarli su un setaccio fine e conservare. Per il peperoncino è lo stesso ma occorre fare attenzione perché i semi sono molto piccanti , e questo passa anche attraverso i guanti . Una volta che ho raccolto i semi di peperoncini Espelette senza guanti , ho dovuto passare la notte con le mani in acqua ghiacciata !"
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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