Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

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Messaggioda Berto » lun set 14, 2015 1:41 pm

Beni mafiosi, altri 3 giudici indagati: terremoto in Procura a Palermo
di Silvia Barocci - Sabato 12 Settembre 2015
http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/C ... 2664.shtml

Non uno ma ben quattro magistrati indagati. Non uno ma almeno altri due amministratori giudiziari sotto inchiesta. E’ un vero terremoto quello che sta scuotendo il palazzo dei ”veleni” di Palermo. L’indagine della procura di Caltanissetta su Silvana Saguto, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, sta disvelando un sistema familistico nella gestione dei beni confiscati alla mafia ben più ampio. Tanto da coinvolgere un altro noto magistrato, Tommaso Virga, presidente di Sezione del tribunale di Palermo, ex consigliere togato al Csm e da poco nominato nella commissione ministeriale per la riforma dell’organo di autogoverno delle toghe.

Virga è finito sul registro degli indagati per induzione alla concussione perché sospettato di aver favorito un procedimento disciplinare a carico della Saguto, la quale a sua volta avrebbe garantito, quale «indebita utilità» la nomina del figlio di Virga, Walter, ad amministratore giudiziario dei beni sequestrati agli eredi di Vicenzo Rappa, imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » lun set 14, 2015 1:43 pm

Gli stipendi degli alti magistrati che doppiano quello del Presidente - Una trentina gli “uomini d’oro” con indennità intoccabile

http://www.lastampa.it/2014/04/13/itali ... agina.html

13/04/2014
paolo baroni
roma

Il record spetta alla Corte costituzionale, ma anche gli altri giudici, da quelli contabili a quelli amministrativi, mica scherzano. Per non dire poi dei vertici amministrativi più alti di Camera e Senato. Sono almeno una trentina gli «uomini d’oro», intoccabili tra l’altro, perché intaccare i loro compensi significherebbe violare la Costituzione. Se va bene il loro compenso è allineato al vecchio tetto dei 303mila euro lordi/anno, che quest’anno sale a 311mila, e che vale non solo per la magistratura ma per tutti gli incarichi nella pubblica amministrazione. Spesso però guadagnano molto di più anche dei 238mila a cui punta ora Renzi e che corrispondono all’indennità del presidente della Repubblica.

Il più pagato in assoluto è il presidente della Corte costituzionale, Gaetano Silvestri. Che in virtù di una legge del 1953, ritoccata poi nel 2002, calcola così il proprio compenso: stipendio del Primo magistrato di Cassazione maggiorato del 50%, aumentato poi ancora di un altro 20% a titolo di indennità di rappresentanza (che però, precisano gli interessati quasi a discolparsi, non viene calcolata ai fini della pensione). Tradotto in numeri, ai valori 2013, sono 303mila euro di partenza più 151.500 di maggiorazione al 50%, più altri 90.900 di indennità. Totale 545.900 euro (che quest’anno saliranno a 560mila). Al giorno fanno 1.490 euro lordi. Per tanti italiani lo stipendio di un intero mese.

Si dirà, «però la Consulta è la Consulta». Certo. Il Segretario generale della Camera, Ugo Zampetti, però con 470.149 euro mica sfigura al confronto: sono 1.309 euro al giorno, o se vogliamo l’esatto doppio della nuova soglia-Renzi. Al terzo posto, ex aequo, gli altri 14 giudici della Corte costituzionale che guadagnano «solamente» il 50% in più del giudice di Cassazione, ovvero 454 mila lordi l’anno (1.243 euro/giorno). Il quarto posto è per la Segretaria generale del Senato Elisabetta Serafin che viaggia sui 427 mila euro, il quinto posto è invece diviso pari merito tra i due vice di Zampetti, Aurelio Speziale e Guido Letta a quota 358 mila. Ma a Montecitorio ci sono altri 8 alti funzionari che percepiscono più di 300 mila euro, sette sono a quota 375 mila ed un oltre i 400 mila. Per effetto degli scatti di anzianità, infatti, un consigliere parlamentare, dopo 20 anni di servizio arriva a 268mila e a 421mila dopo il 40esimo anno.

In cima alla classifica delle varie magistrature ci stanno da sempre i componenti dell’Avvocatura di Stato: 274.957 euro in media per ciascuno dei 349 membri. Il loro capo supremo, ovvero l’Avvocato generale Michele Giuseppe di Pace, è praticamente allineato al tetto massimo 2013 e pertanto percepisce 301.320 euro. Molto più giù il segretario generale Ruggero Di Martino a 220mila euro, ma non si conosce il suo compenso aggiuntivo di consigliere per gli affari legali della Camera. Se si passa alla Corte dei Conti il discorso non cambia: il presidente Raffaele Squitieri è già allineato al tetto 2014 di 311.658 euro (852 euro/giorno) come Procuratore generale Salvatore Nottola (852 euro/giorno), mentre il presidente aggiunto Giorgio Clemente arriva a 301.320 (824 giorno) ed il capo di gabinetto Patrizia Ferrari a 235mila, più 19mila di altri compensi (Autorità per l’infanzia e giustizia tributario) Il segretario generale Fabio Viola arriva a 255mila euro, il responsabile ufficio stampa Paolo Peluffo a 201mila cui si sommano poi 46mila euro percepiti in qualità di consulente di palazzo Chigi.

Al Consiglio di Stato mentre il presidente Giorgio Giovannini è sotto il vecchio tetto per circa 10mila euro (nel 2013 ne ha infatti percepiti 291.981), altri 6-7 tra gli incarichi di vertice sarebbero sopra la nuova soglia di 238 mila: Oberdan Forlenza, segretario generale Giustizia amministrativa (247mila), e due dei sei magistrati addetti al suo stesso ufficio, ovvero Anna Leoni (281.258) e Dante D’Alessio (240.406). Mentre Antonino Savo Amodio arriva pari (238.698). Per proseguire poi col coordinatore organizzativo del Servizi studi Alessandro Pajno (266.700), ed altri due componenti del servizio, Luigi Maruotti (244.505) e Giampiero Paolo Cirillo (254.652). Nessun dato disponibile invece per il direttore Riccardo Virgilio. Ma questo non è l’unico «buco» nella rigide norme sulla trasparenza che si può trovare andando a caccia di questi dati, dal Parlamento alla Consulta.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » dom ott 25, 2015 7:50 am

Il business e la corruzione dell’antimafia in Sicilia
Martedì 15 Settembre 2015

http://www.infoaut.org/index.php/blog/v ... in-sicilia

Lo ammettiamo. Un po' ci piace. Lo sappiamo. Sappiamo che non è direttamente “cosa nostra”; sappiamo che trattasi di riequilibri tutti interni alle gerarchie del potere. Però un po' ci piace. Nonostante non riguardi direttamente lotte e conflitti, movimenti o insorgenze, raccontarvi di questi fatti, quelli di “casa loro”, pensiamo sia utile; anche un po' divertente, certamente emblematico, probabilmente paradossale.

Parliamo qui dell'ennesimo presunto scandalo riguardante il conclamato, trasversale, “variegato” mondo dell'Antimafia siciliana: croce e delizia della cosiddetta “società civile” abitante i nostri territori. Partiamo dalla fine: tre giudici sotto inchiesta insieme ad alcuni “professionisti” (avvocati, consulenti, imprenditori); un palazzo di giustizia che dovrebbe essere il simbolo della lotta alle mafie, quello di Palermo, ancora una volta in preda alle convulsioni dovute al suo essere pienamente interno ai sommovimenti di potere e dunque sempre precario alla prova dello scontro endogeno tra interessi diversi e contrapposti.

Nello specifico. Già da settimane si vociferava di una presunta indagine (resa pubblica da Il Messaggero) della Procura di Caltanissetta rispetto ad alcune “anomalie” registrate nella gestione pubblica dei beni confiscati alla mafia; parliamo, per intenderci, di quella che alcuni giornalisti locali hanno definito la maggiore holding italiana composta da più di 1500 aziende confiscate (valore stimato intorno ai 30 miliardi di euro), case e terreni agricoli e beni mobili per un valore di svariati miliardi. Ebbene, il magistrato a capo del Servizio Misure Preventive del Tribunale di Palermo, altri due giudici, più vari storici amministratori , consulenti e liquidatori, sono oggi sotto inchiesta con varie accuse che vanno dalla corruzione all'induzione alla concussione passando per l'abuso di ufficio. Li si accusa di avere messo in piedi un sistema che, sfruttando l'assetto “fiduciario” del rapporto di “nomina” manageriale (non esistono criteri univoci per l'assegnazione di incarichi, infatti), ha fatto della fase della “confisca” del bene (prima che questo passi sotto l'egida politica dell'Agenzia nazionale e delle Agenzie regionali) un vero e proprio buisness capace di fruttare milioni di euro tra tangenti, stipendi, onorari per le consulenze, regalìe di vario genere. Insomma un sistema clientelare che, se non riguardasse l'attività di magistrati molto rinomati nel territorio palermitano, in molti non esiterebbero a chiamare mafioso. E questo sarebbe motivo di grande imbarazzo per tutto il mondo della giustizia siciliana e nazionale - le persone coinvolte sono ex membri del Csm, ex sottosegretari, ex prefetti. Quindi meglio provare a farlo passare mediaticamente come indagini su isolati casi di corruzione frutto della devianza di un magistrato, la Saguto, colpevole (presunta) di ingordigia nonostante mesi fa fosse etichettata come “nemica delle cosche” e quindi “a rischio” da una nota dei servizi segreti che identificava in lei un potenziale obiettivo delle criminalità organizzate. Oggi, invece, si delinea un quadro all'interno del quale, questa alta rappresentante delle istituzioni, si presenta a capo di un sistema organizzato atto a “spartire” beni e imprese a professionisti che già amministrano altre imprese confiscate o che, magari, erano già nei consigli di amministrazione delle stesse imprese prima che queste venissero sequestrate e confiscate. Con il risultato di creare un'enorme concentrazione di potere e capitali nelle mani di pochissimi noti. Questi, in cambio, hanno offerto per anni posti di lavoro come consulenti, liquidatori, curatori ad amici e parenti degli stessi giudici del Collegio palermitano incriminato.

A fronte di quella che alcuni cronisti locali definiscono “una bomba che fa tremare dalle fondamenta il Tribunale di Palermo” quali sono le reazioni sociali?

Come al solito Palermo si presenta di fronte questa vicenda con un duplice atteggiamento sociale: da un lato quelli della “scoperta dell'acqua calda”; dall'altro quelli indignati dal quel “malcostume” chiamato “corruzione”. I primi sono coloro i quali hanno sempre saputo come funziona il meccanismo della confisca e dell'affidamento da parte dei magistrati (meglio, dei giudici) che si occupano di simili questioni: costoro non sono né giornalisti illuminati né gli storici attivisti antimafia siciliani. Sono coloro i quali o per vicinanza, o per prossimità, o per internità, hanno conosciuto da vicino le sorti di questi beni vedendo rincorrersi sempre le stesse facce, sempre le stesse firme, sempre gli stessi interessi attorno i vari atti di confisca. Sono le persone che – o perché hanno interessi contrapposti, o che più comunemente guardano a queste dinamiche con indifferenza – hanno sempre saputo guardare alle potenzialità economiche di profitto generate dalla politica speciale chiamata “lotta alla mafia”. Ecco dunque un nuovo capitolo della serie “nei quartieri tutti sapevano come funziona il sistema”.

Dicevamo che poi ci sono quelli del “pessimo e deprecabile malcostume” ; è la cosiddetta “società civile” a parlare, in questo caso: quelli del “il problema non sta nel sistema ma nelle mele marce al suo interno”; sono coloro i quali santificano qualsiasi potente assuma un ruolo sulla carta opposto alla mafia e che poi, regolarmente, da eroi finiscono per diventare “traditori”. Si pensi al caso Montante, ex dirigente nisseno di Confindustria, imprenditore e professionista molto rinomato sul territorio siciliano, che proprio mentre, un anno fa, era in lizza come possibile nuovo presidente dell'Agenzia regionale per i beni confiscati (di nomina politica) viene coinvolto in un 'indagine per associazione mafiosa (cui tutt'ora deve rispondere) nonostante fosse stato tra i promotori della politica del suo predecessore Ivan Lo Bello su codici etici antimafia e lotta al racket per gli iscritti a Confindustria. Ora è invece la volta della Saguto, integerrimo magistrato minacciato dalla mafia perché agli interessi di questa contrapponeva quelli...della sua cricca!!!

Ecco, appunto: gli interessi. La parola magica, il chiavistello che apre le porte alle analisi sul funzionamento reale della macchina di potere in Sicilia come nelle altre regioni è proprio quella di “interessi” : questi sono contrapposti, trasversali, apparentemente contraddittori; ma fanno tutti richiamo ad un'unica stella polare, un unico orizzonte: quello del profitto.

La storia regionale siciliana, quella dell'antimafia, e quella della politica territoriale (ma anche nazionale e internazionale) ci dice da ormai troppo tempo dell'inutilità di vecchie e artificiose dualità: lo stato opposto alla mafia, la giustizia opposta all'illegalità, le istituzioni opposte ai poteri informali. Interessi e profitto risiedono sempre tanto nell'uno quanto nell'altro dei campi retoricamente presentatici come contrapposti. Non rispondono a logiche di appartenenza morale o etica o metafisica. Rispondono alle logiche che semplicemente definiamo “capitaliste”. La corruzione, gli interessi, i profitti, le clientele: questo è il capitalismo e il suo locale funzionamento. Il capitalismo e le sue regole: formali e informali, legali o illegali. Ma è così che nella sua sostanza, si presenta dalle nostra parte. Tutto fa impresa; tutto fa business. Con buona pace di quelli delle mele marce.

Speriamo di avervi allietato con un racconto remake di tanti altri simili storie. Sappiamo bene che sono storie che riguardano il mondo “di sopra”, quello che nulla o poco ha da spartire con vite comuni e problemi quotidiani, con emergenze sociali e conflitti. Ma è una storia che un po', per la carica di ironia intrinseca, continua a piacerci. Triste fine degli eroi...


Giudice antimafia Saguto: laurea del figlio scritta dal prof che lei ha raccomandato al Cara di Mineo
Emanuele Caramma si è laureato con una tesi sui beni confiscati a Cosa nostra. Che, però - secondo gli inquirenti - è stata redatta da Carmelo Provenzano, professore universitario alla Kore di Enna, e amministratore giudiziario di fiducia dell'ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Lui, al telefono, la ringrazia per la segnalazione del suo nome quale potenziale commissario del centro richiedenti asilo
di Giuseppe Pipitone | 22 ottobre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... eo/2151628

“Beni sottoposti ad amministrazione giudiziaria: bilanciamento tra tutela del mercato e garanzia della legalità”. È solo il titolo di una tesi di laurea ma a rileggerlo adesso sembra quasi una beffa. Perché quella tesi di laurea in Economia appartiene ad Emanuele Caramma figlio di Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, indagata per corruzione, induzione e abuso d’ufficio dalla procura di Caltanissetta. Saguto è al centro di un’inchiesta che ha svelato un gigantesco cerchio magico fatto di favori, regali e prebende nella gestione delle ricchezze sottratte ai boss. Ed è stata anche intercettata mentre definiva i figli di Borsellino “squilibrati e cretini”.

Suo figlio, già citato nell’indagine per un incarico ottenuto in un lussuoso hotel di proprietà della famiglia dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, l’asso pigliatutto dell’amministrazione giudiziaria, si è addirittura laureato con una tesi sui beni confiscati a Cosa nostra. Un titolo che, come spiega La Stampa, a Caramma viene suggerito dal vero autore di tutto l’elaborato, e cioè Carmelo Provenzano, professore universitario alla Kore di Enna, amministratore giudiziario di fiducia della Saguto, uno dei componenti del cerchio magico della zarina dei beni confiscati. È Provenzano che scrive – secondo gli inquirenti – la tesi di laurea del figlio della Saguto, ed è sempre Provenzano che cerca di farsi raccomandare dal magistrato per un incarico al Cara di Mineo, il centro per richiedenti asilo finito al centro di Mafia Capitale e commissariato dallo scorso giugno.
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“Il 12 giugno Provenzano contatta la Saguto ringraziandola per la segnalazione del suo nome al prefetto di Palermo quale potenziale commissario del Cara di Mineo”, si legge nei brogliacci della guardia di finanza. Perché per l’incarico a Mineo, Saguto fa intervenire il prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, sua grande amica. “Ti volevo dire che ieri, davanti a me, ha telefonato quella da Roma per chiedere i dati al prefetto”, dice ad un certo punto a Provenzano. Il professore gongola: “Mamma mia se è così, prima di festeggiare, un bacio in bocca ti do guarda. Sei una potenza”.

Ma non solo. Perché Saguto era riuscita a trovare un lavoro al Cara di Mineo anche a suo marito Lorenzo Caramma, coinvolto con lei nell’inchiesta nissena, già titolare di una serie di incarichi concessi da altri amministratori giudiziari. Caramma aveva trovato l’accordo con Davide Franco, commercialista amministratore del centro richiedenti asilo di Mineo, che aveva “avuto il numero” del marito della Saguto da Guglielmo Muntoni, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma. “E’ vero, ho chiesto all’ingegnere Lorenzo Caramma se fosse interessato a collaborare al Cara di Mineo. Tuttavia i primi di settembre abbiamo ritenuto opportuno interrompere questa ipotesi lavorativa con l’ingegnere dato che dai giornali apprendemmo dell’inchiesta di Caltanissetta. Lo abbiamo fatto per motivi di opportunità”, spiega il commercialista Franco.

E mentre da una parte Saguto chiedeva al prefetto aiuto per trovare incarichi al Cara di Mineo, dall’altra contattava l’amministratore giudiziario Alessandro Scimeca per sollecitare assunzioni chieste dallo stesso prefetto. “Io – dice intercettata il 28 agosto – ti devo chiedere il favore per il prefetto: di quello là da assumere”. Sono invece propositi di vendetta quelli promessi dal magistrato nei confronti dell’avvocato Walter Virga, figlio di Tommaso, magistrato ed ex componente togato del Csm.

I due Virga sono finiti entrambi coinvolti dall’inchiesta nissena. Virga junior, infatti, era stato nominato amministratore giudiziario del gruppo Bagagli e delle aziende sequestrate alla famiglia Rappa: negozi, concessionarie d’auto di lusso, tv private, un tesoro da quasi un miliardo di euro. In cambio – secondo l’accusa – Virga aveva assunto Mariangela Pantò, fidanzata del figlio della Saguto, nel suo studio legale. “Abbiamo pagato il pizzo che dovevamo pagare e abbiamo avuto quell’incarico”, commenta in un’intercettazione. Appena inizia a scoppiare lo scandalo, però, Virga preferisce “licenziare” la fidanzata del figlio della Saguto. La reazione del magistrato è rovente. “Sono distrutta, incazzata non si può dire come gliela faccio pagare, non si buttano a mare le persone, si rischia insieme”. Poi riceve Virga e gelida sentenzia: “Non penso che ci sarà un seguito a questa collaborazione”.



Palermo, bufera a palazzo di Giustizia nell’inchiesta coinvolto pure il prefetto
di Silvia Barocci

http://www.ilmessaggero.it/PAY/EDICOLA/ ... 7569.shtml

Un ”verminaio”. E’ la definizione più ricorrente degli investigatori alle prese con l’inchiesta sul sistema familistico palermitano nella gestione dei beni confiscati alla mafia. Al vaglio degli inquirenti di Caltanissetta è finita anche la posizione del prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo. Verifiche sarebbero in corso, in particolare, sul contenuto di alcune sue conversazioni intercettate con l’ormai ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, indagata per corruzione aggravata, induzione alla concussione, abuso d’ufficio e, in concorso col padre, per riciclaggio. Gli accertamenti sul ruolo del prefetto ruoterebbero attorno al rafforzamento della scorta al magistrato decisa a seguito della notizia, rilanciata lo scorso 22 maggio da alcuni siti web e agenzie, che la mafia voleva morta la Saguto e un’altra ”toga”, Renato di Natale.

I magistrati di Caltanissetta sospettano che si sia trattato di un’operazione costruita a tavolino: un ufficiale della Dia di Palermo avrebbe diffuso una notizia molto vecchia - quella di una nota dei servizi segreti in allarme per l’incolumità della Saguto - con l’obiettivo di sollevare un clamore mediatico attorno alla giudice paladina dell’antimafia per controbilanciare alcuni servizi tv di <CF2>Telejato </CF>e delle <CF2>Iene</CF> che ne mettevano in dubbio la buona fede. In questo modo, invece, avrebbe ricevuto la solidarietà dei colleghi e dell’Anm.



Beni mafia, Alfano: ''Da caso Saguto messaggio devastante''
23 ottobre 2015

http://video.repubblica.it/dossier/gove ... 723/214906

''Profonda delusione e infinita tristezza''. Ha commentato così il ministro dell’Interno Angelino Alfano il caso dell’ex giudice antimafia Silvana Saguto. Poi dal palco dell’auditorium di Palazzo Italia Alfano ha tirato le conclusioni tornando sulla vicenda: ''Io ritengo che quello che sta accadendo adesso a un pezzo della magistratura palermitana, sotto indagine per corruzione e reati gravissimi sull'uso delle consulenze e della gestione dei beni confiscati è un messaggio culturale devastante, oltre alle intercettazioni che provocano un’infinita tristezza e un grande dolore sui figli di Borsellino. Perché se da lì arriva un messaggio del genere, allora vuol dire che non ci si può fidare più di nessuno?''.
(di Alessandro Puglia)



Caso Saguto, l'Anm: "Danni incalcolabili per le toghe"
Venerdì 23 Ottobre

Il presidente dell'associazione dei magistrati: "La sola ipotesi che possano essere realizzate condotte meno che corrette è fonte di sconcerto e di grave turbamento nell'opinione pubblica e tra i magistrati, foriera di danni incalcolabili".
http://livesicilia.it/2015/10/23/caso-s ... ghe_677203

BARI - Gli incarichi di consulenza e di gestione dei beni sequestrati alla mafia vanno affidati secondo criteri di "piena trasparenza". "La sola ipotesi che possano essere realizzate condotte meno che corrette è fonte di sconcerto e di grave turbamento nell'opinione pubblica e tra i magistrati, foriera di danni incalcolabili". Così il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli torna sull'inchiesta che ha coinvolto l'ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, e altri quattro magistrati.




Caso Saguto: nuovo blitz alle Misure di prevenzione. Ma Cappellano va avanti
La Finanza sequestra altri documenti in tribunale. L'avvocato sotto inchiesta: "Con la mia gestione non è fallita alcuna azienda"
di SALVO PALAZZOLO
29 settembre 2015

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -123904521
Caso Saguto: nuovo blitz alle Misure di prevenzione. Ma Cappellano va avanti
La Guardia di finanza è tornata alla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, per acquisire nuove carte sulla gestione del giudice Silvana Saguto. Gli investigatori del nucleo di polizia tributaria e il pm di Caltanissetta Cristina Lucchini sono arrivati di buon mattino in cancelleria. E si sono fermati sino a pomeriggio inoltrato, portando via alcuni scatoloni pieni di documenti. Sembra che riguardino non soltanto la gestione degli avvocati Gaetano Cappellano Seminara e Walter Virga, ma anche altre amministrazioni giudiziarie.

E mentre era in corso il blitz in cancelleria, la nuova sezione presieduta dal giudice Mario Fontana era in piena attività. Per cercare di rimettere ordine in questo settore cruciale per la lotta alla mafia. Ieri, era giornata di ricevimento per gli amministratori giudiziari. Si è presentato anche Cappellano Seminara, indagato con la Saguto di concorso in corruzione: continua a gestire nove amministrazioni giudiziarie. E non ha alcuna intenzione di lasciare. Lo conferma lui stesso a Repubblica, uscendo dalla sezione Misure di prevenzione. "Sotto la mia gestione, nessuna azienda è mai fallita ", dice. "Anzi, sono stati raggiunti risultanti importanti". Cappellano ricorda il caso della Newport, la società che si occupa della movimentazione dei container al porto, "passata da un pesante disavanzo a un milione di euro di attivo ".

L'avvocato Cappellano Seminara rivendica anche gli "straordinari risultati " ottenuti dalla cava Giardinello, finita al centro di un dramma: alcuni giorni fa, è stata il teatro di un duplice omicidio commesso da un operaio messo in mobilità. Uno dei morti era il gestore della cava, il geologo Gianluca Grimaldi, figlio del cancelliere della sezione Misure di prevenzione. "Nessun caso di favoritismo - dice Cappellano - Grimaldi era un vero asso nel suo settore. Aveva scoperto che nella cava Giardinello si poteva estrarre il ballast, un materiale unico utilizzato in ambito ferroviario. Così, avevamo potuto vincere una commessa milionaria con Rfi ". Il rilancio fatto da Grimaldi aveva anche portato la cava di Giardinello a stipulare un accordo con Malta. "A luglio, sono partite 17 navi cariche di materiale".
Ieri mattina, Cappellano Seminara ha proposto ai nuovi giudici della sezione Misure di prevenzione altre attività per rilanciare le sue amministrazioni giudiziarie. E l'inchiesta dei pm di Caltanissetta? Il legale dice di voler attendere il termine dell'indagine per difendersi. "Intanto - dice - ho messo a disposizione degli inquirenti tutta la mia documentazione. Controllino pure ogni carta". È quello che i finanzieri stanno facendo, alla ricerca di passaggi di denaro occulti fra il legale e il giudice.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » gio nov 12, 2015 11:00 pm

Si drogava in tribunale. Per il magistrato solo una sospensione
12 novembre 2015
http://www.qelsi.it/2015/si-drogava-in- ... ospensione

In qualsiasi altro luogo di lavoro, lo avrebbero licenziato. Lui, però, nonostante si drogasse in servizio, e all’interno di un Tribunale, ha avuto come pena un anno di collocamento fuori ruolo dalla magistratura. L’incredibile vicenda è stata raccontata dal sito Calabria Web Oggi:

http://calabria.weboggi.it/Cronaca/9468 ... so-un-anno

Si è concluso con la sanzione della sospensione per un anno, con collocamento fuori ruolo organico della magistratura, il processo disciplinare ad un magistrato finito davanti al tribunale delle toghe per aver assunto droga prima del servizio. Una delle sanzioni più gravi, comminata però come "chance" di recupero, considerato che il giovane magistrato, Federico Sergi, è stato riconosciuto responsabile delle pesanti accuse che gli venivano rivolte e per le quali la procura generale della Cassazione aveva chiesto la sanzione ben più grave delle rimozione. All'epoca dei fatti in servizio al tribunale di Palmi (Rc) e sospeso all'esito di un altro procedimento disciplinare per un fatto analogo, Sergi era accusato di "aver violato l'obbligo di esercitare le proprie funzioni con correttezza ed equilibrio", poiché nel 2012 dopo aver assunto cocaina e anfetamine aveva avuto una crisi ed era stato trovato dai colleghi nel bagno del palazzo di giustizia "riverso a terra in preda a convulsioni ed in evidente stato confusionale" al punto che, si legge nel capo d'incolpazione, "continuava a dimenarsi e a farneticare", facendo anche resistenza al medico chiamato per soccorrerlo. Altra accusa rivoltagli riguarda le ripetute assenze che avrebbero compromesso il "regolare svolgimento del servizio".
Il sostituto pg di Cassazione Renato Finocchi Ghersi, nel sostenere l'accusa, ha sottolineato la necessità di valutare il caso a prescindere dal quadro medico del magistrato, che si è poi disintossicato, vista la "rilevante recidività" e l'"esclation della gravità di comportamenti che mettono a rischio la funzione giudiziaria".
Sergi, infatti, oltre alla sospensione per due anni per essere stato trovato ubriaco alla guida, era stato sottoposto negli anni precedenti anche ad altri procedimenti disciplinari, uno dei quali finito con la sanzione dell'ammonimento. Il pg ha quindi concluso chiedendo di valutare il più severo dei provvedimenti, la rimozione.
Una sanzione più lieve è stata chiesta dal difensore, Franco Morozzo della Rocca, ex avvocato generale dello Stato in Cassazione, premettendo che Sergi ha ammesso il fatto contestato, ma chiedendo di inquadrare le accuse in maniera meno grave: l'episodio della crisi in tribunale, ha sostenuto, "ha segnato una cesura, l'ha messo di fronte alle proprie responsabilità, era affetto da depressione e si è curato".
Circostanza ribadita in una deposizione spontanea dalla stesso Sergi, che ha spiegato i fatti legandoli ai problemi di salute e familiari. Spiegazioni comprese dal collegio che infatti ha emesso una sanzione meno grave delle richieste.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » ven feb 05, 2016 5:50 am

Duecento i magistrati “fuori ruolo” con doppio stipendio
4 febbraio 2016

http://www.qelsi.it/2016/duecento-i-mag ... -stipendio


Nei tribunali continuano a mancare magistrati. Così i processi si allungano e i tempi della giustizia diventano biblici. Il paradosso è che a questa situazione contribuiscono quei 200 magistrati “fuori ruolo” che svolgono attività retribuite presso altre istituzioni o organismi, conservando anche lo stipendio da magistrati. Lo racconta Panorama.

L’ultimo ad avere fatto domanda è stato Massimo Russo: giudice a Napoli, già assessore regionale alla Sanità in Sicilia, ora vuole fare il commissario all’Ospedale israelitico di Roma da «fuori ruolo», cioè conservando lo stipendio. Il 19 gennaio la commissione Mobilità del Consiglio superiore della magistratura gli ha opposto un no: meglio se assume l’incarico collocandosi in aspettativa, cioè senza incassare lo stipendio da giudice. Ma Russo insiste, e il plenum del Csm potrebbe presto dargli il via libera. Del resto, l’ha già fatto tante volte…

È alto il numero dei magistrati «fuori ruolo», cioè pubblici ministeri e giudici di ogni ordine e grado che sospendono il loro lavoro e ottengono un altro incarico. Interrogato da Panorama, il Csm calcola ufficialmente che oggi siano 196, anche se soltanto il 20 gennaio scorso il procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, sosteneva fossero 236, per di più in aumento rispetto ai 229 di un anno fa. Questi «fuori ruolo» hanno tutti incarichi importanti e ben retribuiti: in 57 sono al ministero della Giustizia; negli altri ministeri in media sono due o tre; in 17 sono al Csm; tre al Quirinale; 12 alla Scuola della magistratura, altri ancora in organismi internazionali…

Ovviamente, 196 (o 236 che siano) conservano lo stipendio, cui aggiungono l’indennità per la funzione aggiuntiva. Hanno un solo «tetto» teorico: i 240 mila curo annui lordi imposti ai dipendenti pubblici. È una storia che dura da tempo. Panorama, sulla base delle 816 schede individuali pubblicate dal Csm sui magistrati attualmente in servizio ma collocati fuori ruolo almeno per una volta nella loro carriera, calcola che in totale costoro abbiano ottenuto congedi e aspettative per 4.553 anni, con una media individuale che supera i 5 anni e sei mesi trascorsi fuori da un palazzo di giustizia, Il paradosso è che nei tribunali italiani oggi mancano 1.200 magistrati: su un organico di 10.151, gli effettivi sono solo 8.651. Le assenze dei «fuori ruolo» contribuiscono così non poco ad allungare i tempi della giustizia.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » sab feb 06, 2016 6:31 pm

Milano, tangenti: arrestato giudice tributario, notissimo avvocato cassazionista
Professore e Avvocato Luigi Vassallo, Arrestato per Tangenti
domenica, 20, dicembre, 2015

http://www.imolaoggi.it/2015/12/20/mila ... sazionista


Sarebbe stato fermato in flagranza di reato dalla Guardia di Finanza al momento di intascare 5mila euro, la prima parte di una tangente da 30mila euro che avrebbe chiesto per condizionare, attraverso altri colleghi, una sentenza in materia tributaria.

A bloccare Luigi Vassallo, 58 anni, notissimo avvocato cassazionista, professore universitario e giudice tributario in Appello a Milano, sono stati i militari della Gdf in borghese.

L’accusa, secondo le forze dell’ordine, e’ “induzione indebita a dare o promettere utilita’” e il fermo di Vassallo – che nel contenzioso in questione non figurava nemmeno come giudice – dovra’ essere ora convalidato o meno dal gip. La vicenda e’ finita in Procura quando gli avvocati di uno studio internazionale di Milano hanno denunciato di aver ricevuto la richiesta di 30mila euro che il giudice tributario avrebbe sostenuto di dover utilizzare per condizionare favorevolmente il processo” su una esterovestizione contestata a una societa’“.

La trattativa e’ stata monitorata dai finanzieri fino al momento della consegna del denaro, nello studio legale dell’azienda, tra i cui impiegati si erano confusi i finanzieri in borghese.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » sab feb 27, 2016 10:32 am

Evoluzione della giustizia italiana

Dai terroristi partigiani ai ladri con vitalizio. Evoluzione della giustizia italiana
(da “Il Federalismo”, direttore responsabile Stefania Piazzo)
25 Feb 2016
di ROMANO BRACALINI

http://www.lindipendenzanuova.com/dai-t ... a-italiana

I recenti casi di cronaca in cui un giudice ha condannato in Veneto l’uomo che sparò per difendersi, a pagare un vitalizio alla famiglia del ladro, scatenando la scomunica mediatica del vescovo di Chioggia, così come la vicenda del cittadino di Grosseto finito in carcere per aver sparato a chi gli stava rubando l’auto, impongono una più ampia riflessione sul diritto italiano. Chi è la vittima e chi l’aggressore? Chi è Caino e chi è Abele? Difendersi è un diritto? E che dire dell’eredità del signor Mattielli, che sparò a due nomadi per difendere la proprietà privata e che, una volta morto, ha visto i propri beni convolare sui campi rom? In nome di quale popolo si esercita la giustizia? E gli avvocati, chi difendono? Intanto viene bocciata la legge cosiddetta anti-moschee in Lombardia, che regolamentava i luoghi di culto. Cosa si esercita in nome del popolo italiano? Ebbene, dei precedenti ci sono, illustri. Li ripercorriamo con un brano magistrale, quando dei terroristi furono promossi a partigiani…
La giustizia è spesso zoppa, ma gli avvocati quale verità servono? A Napoli, città di filosofi e di avvocati, li chiamano con irrispettoso epiteto “mozzaorecchi”. Gli avvocati del Foro napoletano, sempre in soprannumero, affollavano i tribunali in cerca del cliente da spennare e a cui offrire i loro loschi servigi. Il cinema e la televisione americana hanno illustrato i caratteri di avidità e di cinismo degli studi legali in spietata concorrenza fra loro. L’idraulico esulta davanti a un rubinetto che gocciola, l’avvocato fiuta l’affare nel delitto. Non c’è nulla di male; anche il dentista vive sulle protesi e le carie. Quando Garibaldi prese possesso di Napoli nel settembre 1860 una coda immensa di questuanti faceva anticamera impetrando favori e posti, secondo un’inveterata abitudine, e i più furbi si portavano l’avvocato che davanti al “dittatore” improvvisava un’arringa appassionata e teatrale a difesa della causa del cliente.

Cliente è parola di tutto rispetto, se si adopera al mercato rionale o in drogheria, ma sentirla ripetere da un avvocato fa una brutta impressione. La professione dell’avvocato sarà certo cambiata nel frattempo, ma certi caratteri di interesse specifico, che nulla hanno a che fare col trionfo della giustizia e della verità, sono rimasti appiccicati alla professione forense come un marchio di sangue, come un Dna poco nobile.

La dottoressa Forleo che ha mandato assolto il gruppo islamico associato ad Al Qaeda (non alla Croce Rossa o alla bocciofila di Corsico), è stata smentita clamorosamente dal Gip di Brescia che, confermando un sospetto generalizzato, ha ribaltato la sentenza assolutoria affermando, al contrario, che gli imputati non sono “resistenti”, ma “terroristi”, creando un precedente, che nella legislazione anglosassone fa giurisprudenza, e aprendo un conflitto di competenza tra le procure. Non si sa come abbia reagito la Clementina Forleo che dopo tutto il polverone che ha sollevato ha scelto più prudentemente di non commentare. Da parte nostra avremmo commentato l’intervento del giudice Spanò di Brescia come un’opportuna e pronta correzione di un’interpretazione abnorme e temeraria della legge fatta alla luce di un ragionamento “politico” che non attiene alla competenza del giudice, il quale è chiamato a giudicare su dati di fatto e non in base alle proprie analisi politiche.

Se ritorniamo su questo caso è perché in questa vicenda, già intrisa di speculazioni ideologiche e di riferimenti erronei, che avrebbero tolto prestigio allo stato di diritto, s’è proditoriamente e curiosamente inserita la “protesta” degli avvocati difensori che dopo aver cantato vittoria hanno definito l’intervento del Gip di Brescia come frutto delle polemiche seguite alla sentenza della Forleo. Hanno detto, smentendo ogni prassi e un’invalsa consuetudine, che le “sentenze non si discutono” (salvo quando danno ragione a loro) ed hanno preannunciato un appello al presidente Ciampi. Per chiedere che cosa? Per fare che cosa? «Per moderare i toni delle polemiche, in modo da garantire un processo d’appello sereno», hanno spiegato con una motivazione che ha dell’incredibile. La loro pretesa merita un’adeguata risposta.

Gli avvocati, si sa, difendono vittime e carnefici, come è giusto che ciò avvenga in uno Stato democratico in cui i diritti elementari sono garantiti a tutti. Non è il caso di scambiare gli affari con la morale, o la giusta mercede con un attestato di giustizia. Ma i legali degli islamici assolti non si sono accorti di cadere in contraddizione quando affermano che le sentenze non vanno discusse (come si pretende nei regimi autoritari) mentre loro si sono permessi di farlo nei confronti della pronuncia del giudice bresciano. Ormai lanciato sul più spericolato percorso e senza più freni, uno degli avvocati ha detto: «Mi auguro che la massima autorità dello Stato lanci un monito affinché l’ago della giustizia sia posto nuovamente in equilibrio». L’ago non sta in equilibrio! La prosa non è elegante né convincente; e ciò che s’indovina in questo maldestro appello avvocatesco, inusuale e furbo, lanciato al Quirinale è solo voglia di protagonismo, privo com’è d’ogni connotato di franchezza e nobiltà.

La pubblicità è l’anima del commercio. Purché “l’ago della giustizia“, che nelle ansie degli avvocati c’entra come il cavolo a merenda, non interferisca col predominante interesse della parcella. Ma forse, tutto sommato, che la vicenda si gonfi e si carichi di motivazioni e di contrasti in modo da discuterne ancora a lungo nei diversi gradi di giudizio è perfino augurabile.
Se le cause nei tribunali italiani non finiscono mai è probabile che ciò avvenga anche per specifico desiderio degli azzegarbugli interessati, più del giudice, a prolungarne i tempi all’infinito. Se avete lo sciacquone che non funziona troverete sempre un “mozzaorecchi” disposto a fare causa a qualcuno assicurandovi del vostro buon diritto ad essere risarcito da “quel” qualcuno. Metà delle cause per diffamazione a mezzo stampa a carico di giornalisti vengono archiviate, ma un avvocaticchio delle cause perse disposto ad avviarle si trova sempre, anche quelle che chiaramente non stanno in piedi; e il giudice non può far altro che esaminarle e perdere due o tre anni tra udienze e testimonianze prima di giudicarle palesemente infondate.

Se si è arrivati a dare due visioni nettamente opposte di un fatto di cronaca dando per innocenti coloro che invece sono colpevoli, vuol dire che il nostro sistema giudiziario è arrivato a un grado di perversione intollerabile, anche se ci conforta l’idea che esso abbia al tempo stesso gli anticorpi e gli strumenti per combattere le aberrazioni e gli errori giudiziari, come ha dimostrato il Gip del tribunale di Brescia. Un giudice a Berlino si trova ancora. Ma c’è ancora molto da fare, anche alla luce dell’intervento poco elegante, inopportuno e pretestuoso dei difensori dei “kamikaze”. Difendete pure i “tagliagole”, ma non menatene vanto.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » dom apr 03, 2016 8:02 am

I magistrati delinquono, il cittadino paga
6 febbraio 2016

http://www.malagiustizia.org/1210/i-mag ... adino-paga


I magistrati italiani hanno incarcerato 23.998 innocenti negli ultimi 23 anni e noi cittadini abbiamo speso 601 milioni di euro per risarcirli. Con altri 32 milioni 611mila euro abbiamo risarcito altri innocenti da loro condannati senza imprigionarli.

É matematicamente impossibile che si sia trattato di 23mila 998 errori ma nessuno ha mai pagato, se non il cittadino di tasca propria. Sono cifre ufficiali fornite dal ministero di una catastrofe che va dal 1992 al luglio 2015. E vengono risarcite solo un terzo delle 2.500 ingiuste detenzioni annue riconosciute dai tribunali. Danni enormi.

Ma i magistrati aprono gli anni giudiziari invitando politici e giornalisti, saziati e prezzolati col finanziamento pubblico, 190 milioni di euro l’anno dei nostri quattrini, per strimpellare che, a parte qualche fesseria: organici ridotti, lunghezza delle cause e via dicendo, va tutto bene. In un lavaggio del cervello annuale. Gli fa eco il ministro senza vergogna della Giustizia che sintetizza: “vi sono difficoltà da superare ma non vi è più una questione giustizia” e i giornalisti gli baciano le mani. Benissimo per tutti loro a pancia piena, a fronte del disastro.

Stipendi ottimi, invece di subire tagli aumentano, zero controlli sull’operato, tanti di più sarebbero in galera, zero punizioni, perdita di poltrone o rallentamenti in carriera nel caso arrestino decine di innocenti. Pazienza se a migliaia vengono incarcerati ingiustamente, con 30 milioni di euro l’anno spesi di media per risarcirli, una manovra finanziaria annuale occulta, tanto c’è il cittadino che paga.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » dom apr 03, 2016 8:05 am

Bancarotta da otto milioni, arrestati un avvocato, due commercialisti, due imprenditori e un consulente aziendale - Cronaca - Tribuna di Treviso
di Camilla A.D. Patrizia De Rossi
2016/02/12


http://tribunatreviso.gelocal.it/trevis ... 1.12945477


TREVISO. Sei persone sono stati arrestate per bancarotta fraudolenta dalla Guardia di Finanza di Treviso nell'ambito dell'operazione "Piazza Pulita". Il sodalizio era composto da due commercialisti, Nicolò Corso e Mario Pietrangelo, un avvocato, Benedetta Russo Collerone, e due imprenditori di Conegliano, Teresa Calamia e Vincenzo Zanato, nonchè da un consulente aziendale di Ponte di Piave, Mario Buso: due, Corso e Zanato, sono in carcere, gli altri quattro ai domiciliari. Indagati altri 12 soggetti e perquisito anche uno studio commercialistico a San Vendemiano. Fra gli inquisiti anche un ex direttore di banca, Renzo Romor, già licenziato perché ritenuto responsabile di aver aperto conti correnti a favore dei soggetti indagati senza rispettare le normative in materia di antiriciclaggio.
02-_WEB
L'operazione ha disarticolato una rete di malaffare ordita da esperti professionisti che ha portato sul lastrico diverse aziende della Marca. A capo del sodalizio un noto commercialista che si avvalso per le operazioni illecite di fidati collaboratori, tra i quali un avvocato e numerosi prestanome compiacenti.

Il modo di operare, in questo caso riscontrato in cinque società Srl di vari settori (dagli accessori per l'arredamento al vitivinicolo) nella sostanza consisteva nell'individuazione di aziende in condizioni pre-fallimentari per inserire in esse soggetti prestanome. La tecnica utilizzata in modo sistematico, che ha portato al fallimento di sette società operanti sul territorio nazionale, puntava a realizzare continue variazioni dell'assetto societario ed a svuotare le imprese del loro attivo, attraverso la distrazione dell'intero patrimonio aziendale, quantificato in 7,7 milioni di euro, e in alcuni casi con l'aggiunta dell'appropriazione indebita di somme di denaro provenienti da altre società, alcune già fallite.

I militari delle "Fiamme Gialle" sono riusciti a ricostruire i movimenti illeciti nelle indagini, coordinate dalla magistratura trevigiana, durate circa un anno. Le accuse sono di bancarotta fraudolenta, riciclaggio, appropriazione indebita e ricettazione di denaro in capo ai vertici della consorteria criminale, da tempo dedita all'acquisizione seriale di aziende condotte poi definitivamente all'insolvenza.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » dom apr 03, 2016 8:12 am

Lascito milionario, indagato avvocatoSpariti 2 milioni, erano beneficenza
06.04.2014

http://www.ilgiornaledivicenza.it/home/ ... -1.1789035


VICENZA. È accusato di aver tentato di far sparire, evidentemente per tenerseli, i 2 milioni di euro che due ricche vicentine gli avevano affidato affinchè, dopo la loro morte, li gestisse a favore di enti caritatevoli come Città della Speranza o il Bambin Gesù. L'avvocato vicentino Marco Cervelli, 45 anni, con studi in città e a Caldogno, ha ricevuto l'altra mattina l'avviso di garanzia firmato dal pubblico ministero Paolo Pecori, in cui il magistrato ipotizza a suo carico la tentata appropriazione indebita aggravata di quei quattrini. L'indagato rigetta con decisione le accuse e ribadisce la correttezza del suo operato.
IL TRUST. La famiglia vicentina Monte, con Chiara e Isabella, madre e figlia, decisero di destinare i loro beni, una volta decedute, visto che non avevano eredi diretti, oltre che a Città della Speranza e al Bambin Gesù. anche alla Federazione malattie rare infantili di Torino e all'Istituto nazionale per la ricerca sul cancro di Genova. Affidarono i risparmi all'avv. Cervelli, ma con lui si accordarono per la forma del “trust”, uno strumento giuridico per la gestione di beni mobili ed immobili. Le due vicentine, disponenti, avevano intestato i beni al legale, in qualità di amministratore (trustee), affinchè li gestisse secondo una serie di regole. Quali? Che il trust durasse 25 anni, e che i proventi fossero tutti destinati (tranne una quota per il pagamento del professionista) agli enti caritatevoli.
LA DENUNCIA. Le due vicentine sono morte fra il 2012 e il 2013. Trascorsi alcuni mesi, Città della Speranza si è vista arrivare solo alcune migliaia di euro e si è insospettita. Per questo da Padova sono stati avviati degli accertamenti sulla destinazione dei soldi e le prime verifiche hanno indotto i vertici della Torre della ricerca, tutelati dall'avv. Nando Cogolato, a sporgere un'articolata denuncia in procura. Il pm Pecori ha affidato le indagini ai carabinieri della sezione, che hanno accertato come l'avv. Cervelli avesse avviato una serie di contatti in Svizzera.
LA SOCIETÀ. Gli inquirenti hanno scoperto che Cervelli aveva avviato una società anonima in Svizzera, costata secondo l'accusa 200 mila euro. Non solo: il professionista vicentino avrebbe venduto la lussuosa abitazione della famiglia delle sue clienti ad un prezzo ritenuto «vile», cioè largamente inferiore ai valori di mercato. Quindi, prima che Cervelli spostasse effettivamente i soldi in Svizzera, sono intervenuti con la consegna dell'avviso di garanzia. Il sospetto è quello che l'avvocato, dietro lo schermo della società anonima, volesse far sparire i 2 milioni e utilizzarli pro domo sua.
LA DIFESA. Per la difesa dell'avv. Cervelli la ricostruzione accusatoria è frutto di immaginazione. Tutelato da due penalisti, gli avv. Pino Fucito e Francesco Corrà, l'indagato contesta fieramente le accuse. In primo luogo sottolinea che il suo compito di trustee è sorvegliato da un controllore, che non ha avuto nulla da ridire sulle sue scelte. In secondo, che ha venduto la casa perché sarebbe stato solamente un costo in tasse tenerla senza venderla. In terzo, soprattutto, di avere agito nell'interesse delle clienti e dei beneficiari del trust. Portare (legalmente) quei soldi in Svizzera garantisce un risparmio fiscale notevolissimo. «Tenete 2 milioni di euro in Italia e vedete cosa vi resta, dopo le tasse, fra 25 anni; e fate lo stesso in Svizzera, e calcolate la differenza», è il ragionamento. Le indagini dovranno fare chiarezza.
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