Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:20 am

Casta dei magistrati (procuratori e giudici) e degli avvocati
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... f=22&t=305


Privilegi, corruzione, incoerenze, crimini, eversione, ...







http://www.ilradar.com/la-casta-dei-mag ... -al-giorno

Sono la lobby più forte nel paese, l’ultima corporazione rimasta intatta negli anni, con poteri e privilegi immutati nel tempo.
Hanno le paghe più alte d’Europa, pensioni d’oro,
51 giorni di ferie l’anno e i privilegi di un sistema unico (in quanto ad anomalie) nel mondo.

Parliamo dei magistrati, una categoria che fa dello spreco uno status.

Prendono il doppio dei colleghi francesi grazie a un sistema di scala mobile che non esiste altrove e possono arrotondare lo stipendio con incarichi extragiudiziari.
La loro carriera è praticamente automatica: apprendistato poi 2 anni dopo il decreto di nomina sarà magistrato di tribunale, dopo 13 consigliere d’appello, dopo 20 in cassazione e dopo 28 idoneo alle funzioni superiori della suprema corte.

Tutti passaggi automatici che comportano i relativi aumenti di stipendio, ultra sostanziosi.

Gli stipendi dei magistrati italiani sono quasi un segreto, spesso coperti persino da omissis nei documenti ufficiali.

Ma qualcosa si incomincia a scoprire.
Ecco l’esempio di un magistrato di corte d’appello.
Il neopromosso parte da 54249 euro lordi e arriva dopo 8 classi e 20 scatti a 120433 ai quali si aggiungono 12669 di indennità giudiziaria e 12182 di indennità integrativa. Totale 145000 euro

Il bello è che per mettere insieme 28 tra classi e scatti (biennali secondo la norma) ci vorrebbero 56 anni di servizio.
E invece in appello si arriva solo 13 anni dopo il reclutamento, tramite un formidabile meccanismo moltiplicatore per lo stipendio.

Senza contare le migliaia di incarichi extragiudiziari che nel 99% dei casi ricevono il sì del Csm.

Il tutto lavorando di media 1560 ore l’anno … Una vergogna immodificabile …

(articolo pubblicato su Il Fazioso – dicembre 2011)


http://www.ilradar.com/ecco-la-casta-de ... -consulta/

Uno studio del Prof. Roberto Perotti, Docente in Bocconi, illustra tutti i costi della Corte costituzionale.
Dalle pagine di “Libero Quotidiano” si possono legge le seguenti clamorose cifre:
“Si comincia dalla retribuzione dei quindici giudici costituzionali. Lo stipendio lordo del presidente ammonta a 549 mila 407 euro, mentre quello di un componente del collegio si abbassa di circa centomila euro: 457 mila 839 euro, per la precisione”.
Numeri da capogiro! Per evitare l’incazzatura del lettore evitiamo di fare il confronto con i giudici degli altri Stati. La differenza comunque si attesta attorno al 50%. In altre parole le nostre toghe ci costano il doppio rispetto a Gran Bretagna, Canada e Stati Uniti, dove addirittura il Presidente della Suprema Corte prende “solo” 173 mila euro, un terzo rispetto a quello italiano.
Ma non è finita perché si sottolinea come lo stipendio non sia l’unica fonte di guadagno:
“Lo stipendio infatti non tiene conto dei vari benefit, che per i giudici della Corte costituzionale italiana non sono pochi. Si va dall’auto blu a disposizione in ogni momento, con tanto di tessera Viacard e Telepass, ai biglietti ferroviari, aerei e di altri mezzi di trasporto: tutto a carico del bilancio pubblico. Ogni giorno lavorativo dei togati, essendoci due autisti a disposizione, viene dunque a costare 750 euro. In un anno il servizio costa 2,25 milioni, cioè 150 mila a giudice”.
Meglio non commentare! Ma il peggio deve ancora venire! Tenetevi forte!
“Ma a questi dati c’è da aggiungere altro, perché i 15 fortunati dispongono anche di telefonino, pc portatile (al momento non risulta l’Ipad, ma forse si tratta di una disattenzione) e di un’utenza telefonica domestica a spese dello Stato (ma, bontà loro, a quella possono rinunciare). Non è finita: per non sottoporre i giudici a uno stress eccessivo durante i trasferimenti da casa all’ufficio, l’amministrazione ha pensato bene di mettere a loro disposizione una foresteria (dunque quindici) composta da uno o due locali con annessi servizi igienici e angolo cottura”.

Giustamente non bisogna far mancare nulla ai nostri giudici della Corte costituzionale!
Morale della favola: la nostra
Consulta costa 3 volte di più rispetto a quella inglese: 41 milioni di euro rispetto ai 13 del Regno britannico.

Questo ovviamente senza contare le pensioni che vengono puntualmente caricate sui loro IBAN. Si parla di quasi 6 milioni di euro tra vecchi e nuovi giudici.

Ecco chi è la vera casta:
i giudici! Decidono sulle nostre teste e si prendono pure una valanga di soldi.

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"La super casta dei giudici: zero sanzioni e stipendi al top"
http://www.ilgiornale.it/news/interni/s ... 18105.html

Pubblichiamo ampi stralci dell'intervista di Affaritaliani.it a Stefano Livadiotti realizzata da Sergio Luciano. Livadiotti, giornalista del settimanale l'Espresso e autore di Magistrati L'ultracasta, sta aggiornando il suo libro sulla base dei dati del rapporto 2012 del Cepej (Commissione europea per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa).


Livadiotti è anche l'autore di un libro sugli sprechi dei sindacati, dal titolo L'altra casta.

La giustizia italiana non funziona, al netto delle polemiche politiche sui processi Berlusconi. Il rapporto 2012 del Cepej (Commissione europea per l'efficienza della giustizia del Consiglio d'Europa) inchioda il nostro sistema alla sua clamorosa inefficienza: 492 giorni per un processo civile in primo grado, contro i 289 della Spagna, i 279 della Francia e i 184 della Germania. Milioni di procedimenti pendenti. E magistrati che fanno carriera senza alcuna selezione meritocratica. E senza alcun effettivo rischio di punizione nel caso in cui commettano errori o illeciti.
«Nessun sistema può essere efficiente se non riconosce alcun criterio di merito», spiega Stefano Livadiotti, giornalista del settimanale l'Espresso e autore di Magistrati-L'ultracasta. «È evidente che Silvio Berlusconi ha un enorme conflitto d'interessi in materia, che ne delegittima le opinioni, ma ciò non toglie che la proposta di riforma avanzata all'epoca da Alfano, con la separazione delle carriere, la ridefinizione della disciplina e la responsabilità dei magistrati, fosse assolutamente giusta».

Dunque niente meritocrazia, niente efficienza in tribunale?
«L'attuale normativa prevede che dopo 27 anni dall'aver preso servizio, tutti i magistrati raggiungano la massima qualifica di carriera possibile. Tanto che nel 2009 il 24,5% dei circa 9.000 magistrati ordinari in servizio era appunto all'apice dell'inquadramento. E dello stipendio. E come se un quarto dei giornalisti italiani fosse direttore del Corriere della Sera o di Repubblica».

E come si spiega?
«Non si spiega. Io stesso quando ho studiato i meccanismi sulle prime non ci credevo. Eppure e così. Fanno carriera automaticamente, solo sulla base dell'anzianità di servizio. E di esami che di fatto sono una barzelletta. I verbali del Consiglio superiore della magistratura dimostrano che dal 1° luglio 2008 al 31 luglio 2012 sono state fatte, dopo l'ultima riforma delle procedure, che avrebbe dovuto renderle più severe, 2.409 valutazioni, e ce ne sono state soltanto 3 negative, una delle quali riferita a un giudice già in pensione!».

Tutto questo indipendentemente dagli incarichi?
«Dagli incarichi e dalle sedi. E questa carriera automatica si riflette, ovviamente, sulla spesa per le retribuzioni. I magistrati italiani guadagnano più di tutti i loro colleghi dell'Europa continentale, e al vertice della professione percepiscono uno stipendio parti a 7,3 volte lo stipendio medio dei lavoratori dipendenti italiani».

Quasi sempre i magistrati addebitano ritardi e inefficienze al basso budget statale per la giustizia.
«Macché, il rapporto Cepej dimostra che la macchina giudiziaria costa agli italiani, per tribunali, avvocati d'ufficio e pubblici ministeri, 73 euro per abitante all'anno (dato 2010, ndr) contro una media europea di 57,4. Quindi molto di più».

Ma almeno rischiano sanzioni disciplinari?
«Assolutamente no, di fatto. Il magistrato è soggetto solo alla disciplina domestica, ma sarebbe meglio dire addomesticata, del Csm. E cane non mangia cane. Alcuni dati nuovi ed esclusivi lo dimostrano».

Quali dati?
«Qualunque esposto venga rivolto contro un magistrato, passa al filtro preventivo della Procura generale presso la Corte di Cassazione, che stabilisce se c'è il presupposto per avviare un procedimento. Ebbene, tra il 2009 e il 2011 - un dato che fa impressione - sugli 8.909 magistrati ordinari in servizio, sono pervenute a questa Procura 5.921 notizie di illecito: il PG ha archiviato 5.498 denunce, cioè il 92,9%; quindi solo 7,1% è arrivato davanti alla sezione disciplinare del Csm».

Ma poi ci saranno state delle sanzioni, o no?
«Negli ultimi 5 anni, tra il 2007 e il 2011, questa sezione ha definito 680 procedimenti, in seguito ai quali i magistrati destituiti sono stati... nessuno. In dieci anni, tra il 2001 e il 2011, i magistrati ordinari destituiti dal Csm sono stati 4, pari allo 0,28 di quelli finiti davanti alla sezione disciplinare e allo 0,044 di quelli in servizio».

Ma c'è anche una legge sulla responsabilità civile, che permette a chi subisca un errore giudiziario di essere risarcito!
«In teoria sì, è la legge 117 dell'88, scritta dal ministro Vassalli per risponde al referendum che aveva abrogato le norme che limitavano la responsabilità dei magistrati».

E com'è andata, questa legge?
«Nell'arco 23 anni, sono state proposte in Italia 400 cause di richiesta di risarcimento danni per responsabilità dei giudici. Di queste, 253 pari al 63% sono state dichiarate inammissibili con provvedimento definitivo. Ben 49, cioè 12% sono in attesa di pronuncia sull'ammissibilità, 70, pari al 17%, sono in fase di impugnazione di decisione di inammissibilità, 34, ovvero l'8,5%, sono state dichiarate ammissibili. Di queste ultime, 16 sono ancora pendenti e 18 sono state decise: lo Stato ha perso solo 4 volte. In un quarto di secolo è alla fine è stato insomma accolto appena l'1 per cento delle pochissime domande di risarcimento».

Cioè non si sa quanto lavorano e guadagnano?
«Risulta che da un magistrato ci si possono attendere 1.560 ore di lavoro all'anno, che diviso per 365 vuol dire che lavora 4,2 ore al giorno. Sugli stipendi bisogna vedere caso per caso, perché ci sono molte variabili. Quel che è certo, un consigliere Csm, sommando stipendi base, gettoni, rimborsi e indennizzi, e lavorando 3 settimane su 4 dal lunedì al giovedì, quindi 12 giorni al mese, guadagna 2.700 euro per ogni giorno di lavoro effettivo».

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http://www.corriere.it/Primo_Piano/Poli ... enti.shtml

Un blog per i «ribelli» che propongono: non votiamo alle elezioni dell'Anm
«Magistrati, un'altra casta»
L'accusa di Tinti, procuratore a Torino: «Così le correnti si dividono i posti. Il merito non conta»

TORINO — «È accaduto nella magistratura qualcosa di molto simile a ciò che è accaduto all'esterno, nei palazzi della politica. Gruppi legittimi ma di natura privata, cioè le correnti, decidono su un bene pubblico, la giustizia, proprio come i partiti fanno nelle istituzioni». Bruno Tinti, procuratore aggiunto a Torino, uno dei magistrati italiani più esperti sul fronte della lotta ai reati finanziari, traccia nel suo libro fresco di stampa («Toghe rotte», per Chiarelettere, prefazione di Marco Travaglio) un affresco inquietante dei meccanismi che regolano l'autogoverno della sua categoria. Quei meccanismi che avrebbero dovuto preservarne l'autonomia dai «poteri forti» e che, invece, l'hanno trasformata in una Casta, con i propri rituali, i propri compromessi e le proprie spartizioni. E che ora suscitano polemiche all'interno della stessa magistratura, dando vita a nuovi gruppi e a una proposta- choc, l'astensione, in novembre, alle prossime elezioni dell'Associazione nazionale magistrati, il sindacato che rappresenta il 93% dei giudici italiani. C'è anche un blog (http://www.toghe.blogspot. com), al quale lo stesso Tinti partecipa, che racconta il malessere per «il male che le toghe fanno a se stesse».

LA LOTTIZZAZIONE — «Praticamente tutti i posti di potere sono ormai lottizzati dalle correnti - scrive Tinti - . Il sistema funziona più o meno così: a fare il presidente del Tribunale di Roncofritto ci mandiamo Michele, che è dei Gialli, così loro ci votano Luigi, che è dei nostri, a procuratore di Poggio Belsito. Alle prossime elezioni del Csm possiamo quindi candidare Carmelo…». Tinti descrive nei dettagli il funzionamento dei Consigli Giudiziari, i piccoli Csm regionali che a loro volta «pre-selezionano » i magistrati che poi il Consiglio superiore della magistratura dovrà scegliere per gli incarichi direttivi. «I candidati contattano i loro santi protettori… Le lodi si sprecano, ogni corrente sostiene il suo candidato, che certe volte è espertissimo e altre non ha mai ricoperto quel ruolo ma è proprio quello che si vuole, talvolta è il più anziano talvolta il meno anziano ma molto più bravo, e così via», spiega il magistrato torinese. E sul blog si trova il resto.

I RITARDI DEL CSM — A cominciare dalle parole di Mario Fresa, presidente della Commissione trasferimenti del Csm: «L'irragionevole durata delle pratiche del Csm nei concorsi si riverbera sulla irragionevole durata dei processi». Fresa cita il caso dei posti, rimasti a lungo scoperti, al Massimario della Cassazione (è l'ufficio che raccoglie le sentenze della Corte: in genere ci finiscono magistrati giovani, studiosi e appoggiatissimi da una corrente): «È parso evidente che le divisioni riguardavano schieramenti precostituiti, a prescindere dall'esame dei profili professionali… Il metodo che veniva seguito era quello della spartizione correntizia». C'è poi la proposta - citata e criticata sempre da Fresa - di assegnare nove posti di sostituto procuratore generale presso la Cassazione «secondo una sorta di favore ingiustificato a coloro che hanno ricoperto incarichi associativi (cioè a chi ha rappresentato le correnti, ndr) .

LO SFOGO ONLINE — Sul blog i magistrati si sfogano e ragionano a voce alta: «Molti di noi immaginano - ha scritto Pierluigi Picardi, consigliere di Corte d'Appello a Napoli - che se essi lavorano in maniera pazzesca sia così un po' ovunque o credono che i casi di incapacità organizzativa o sfaticatezza siano marginali ma le cose non stanno così. Certi casi come quello di Bari dove un magistrato ha ritardi nel deposito delle sentenze anche di quattro anni ed è ancora al suo posto, non sono frequentissimi, ma se non riusciamo a colpire le situazioni più evidenti come si può immaginare di affrontare con rigore la normalità?». E ancora: «Il Csm non è in grado di decidere nemmeno su un caso clamoroso come quello di padre e figlio rispettivamente procuratore aggiunto e avvocato penalista; potrei continuare parlandovi di un Tribunale nel quale in un anno il collegio ha deciso 8 (dico otto) cause penali in tutto».
Nel giugno scorso, dieci sostituti procuratori generali di Roma hanno rivolto un appello al vicepresidente del Csm, il senatore Nicola Mancino, sul modo nel quale si intendevano nominare un procuratore aggiunto e un sostituto procuratore generale nella loro città: «La discrezionalità del Consiglio si va mutando in inaccettabile arbitrio».

L'AMMISSIONE. Antonio Patrono, membro del Csm e segretario generale di Magistratura Indipendente, la corrente «di destra», ha poi riassunto così le posizioni sulla lottizzazione interna: «Noi sosteniamo che il correntismo esiste ed è un problema da risolvere tutti insieme; Magistratura Democratica e il Movimento per la Giustizia (la «sinistra» e i «Verdi», ndr) sostengono che esiste ma loro ne sono immuni e riguarda solo gli altri; Unità per la Costituzione (il «centro», ndr) sostiene che forse nemmeno esiste e comunque non è un problema… ».

«COLLEGHI, NON VOTATE» — Sul blog dei «ribelli», nasce così una proposta che non ha precedenti nella storia della magistratura: astenersi in massa dal voto per il Consiglio direttivo dell'Associazione, che sarà rinnovato tra poco più di un mese, il 12 e 13 novembre. Come scrive Stefano Racheli, sostituto procuratore presso la Corte d'Appello di Roma, «una contestazione forte», capace di «rompere col sistema» e di far sentire la voce di una base non più divisa in correnti ma organizzata «come una rete, da persone che non appartengono a nessuno e che non vogliono creare nuove appartenenze ». È presto per dire quanti accoglieranno l'appello. Ma, certo, mai come ora le vecchie correnti (e anche quelle più recenti, come «Movimento per la giustizia» e «I Ghibellini - Articolo 3») appaiono in discussione.

SERIE A E SERIE B — Le correnti e i mali interni della magistratura non sono l'unico oggetto del lavoro che Bruno Tinti ha scritto con la collaborazione di tre, anonimi colleghi. La depenalizzazione del falso in bilancio e la constatazione che la maggior parte dei procedimenti per reati finanziari non possono nemmeno cominciare o si concludono con la prescrizione occupa un capitolo chiave: «Oggi in prigione finiscono solo i poveracci e qualche spacciatore di droga, per poco tempo, e i magistrati come me rischiano la disoccupazione». «E non c'è alcuna differenza tra un governo e un altro - conclude il procuratore torinese - . Da Mani Pulite in poi, la preoccupazione è stata una sola: rendere non punibile la classe dirigente di questo paese».
Vera Schiavazzi
25 settembre 2007
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:24 am

Corusion ente la vecia Roma
http://www.storiain.net/arret/num100/artic7.asp

Ke ghe sipia calcosa de vero?

Molti credono che durante il periodo repubblicano nell'Urbe regnasse la virtù.
Al contrario. I primi testi storici, comparsi attorno al 200 a.C., rivelano che...

NELL'ANTICA ROMA LA CORRUZIONE NACQUE CON IL LATTE DELLA LUPA di FERRUCCIO GATTUSO

Un minimo di corruzione, sosteneva Winston Churchill, serve da benefico olio lubrificante per il marchingegno della democrazia.

Il grande statista britannico sapeva distillare, con sapiente alternanza, la retorica per i momenti duri e il cinismo per quelli meno duri. Indubbiamente, e fuori da ogni luogo comune, si può ben dire che un minimo di corruzione - in uno stato che non sia totalitario e controllore maniacale delle vite dei cittadini - sia fisiologico. La natura umana non cambia certo per editto governativo.
La corruzione, soprattutto quella politica, risale alle origini dell'umanità, e trovò terreno fertile in Roma antica.
E per Roma antica intendiamo sia quella repubblicana, sia quella imperiale.
Questo per smontare la retorica tradizionale che voleva l'Urbe dei primi giorni di gloria opposta - per virtù, morigeratezza e onore - alla Roma degli ultimi anni repubblicani e a quella degli imperatori detentori del potere assoluto. Un mito, questo, che ebbe fortuna mediatica, se così si può dire, negli stessi giorni di Roma antica (ad esempio, sotto Cesare Augusto), così come nei nostri e, inutile dirlo, in quelli del Ventennio fascista, che di Roma e del suo mito fecero una leva retorica per il consolidamento del potere.

Molti conoscono - sempre per quella potente fonte di convinzioni che è il luogo comune - la corruzione del Basso Impero romano, quella degli ultimi giorni prima del tramonto nel V secolo d.C.: fu, quella corruzione, alla base del crollo di Roma e del suo dominio.

Pochi, invece, conoscono la corruzione che nella Roma repubblicana allignò nelle caste privilegiate, quelle dei generali dotati di straordinario potere personale, quelle dei senatori e via dicendo.

...


EL DIRITO E LA JUSTISA ROMANI

Infine, la corruzione della Giustizia fu uno dei fenomeni di malcostume a Roma: non esisteva una magistratura permanente, separata dalla politica.

Non esisteva nemmeno un vero codice di leggi paragonabile a quello a noi contemporaneo, e la discrezionalità era quindi ampia. Il diritto romano classico, sul quale si sono formate generazioni di giuristi fino ai tempi nostri, è una elaborazione tardo-imperiale. Nei tempi più antichi la giustizia era amministrata da privati. Nell'epoca repubblicana il pretore, il magistrato pubblico incaricato dell'amministrazione giudiziaria, affidava i giudizi a un giudice scelto dalle parti o da egli stesso designato. Facilmente corruttibile o reso bersaglio di intimidazioni varie, anche fisiche. Sempre Plauto, nei suoi "Menecmi", accenna alla corruzione della Giustizia: i giudici "giocano ai dadi con grande impegno, accuratamente profumati, attorniati da meretrici. Quando sono le tre del pomeriggio fanno chiamare un servo perché vada al comizio a informarsi su quanto è avvenuto al Foro, chi ha parlato a favore, chi ha parlato contro, quante tribù hanno approvato, quante hanno votato contro. Quindi vanno al comizio per non avere noie in seguito alla loro assenza. [...]"


La corruzione della Giustizia durò a lungo,

se ancora sotto l'imperatore Domiziano si sa di misure drastiche prese dal divino Cesare per reprimere il fenomeno. Svetonio infatti nelle "Vite dei Cesari" racconta di come Domiziano "colpì con nota di infamia i giudici venali insieme con i loro coadiutori nel consiglio".
L'ampliamento della burocrazia romana sotto l'Impero portò invece a un altro fenomeno: quello della raccomandazione (commendatio). La caccia al posto era l'attività principale dei rampolli dell'aristocrazia senatoriale e dei giovani rampanti delle classi emergenti. Per ottenerlo era necessario godere di influenti raccomandazioni, nelle quali non è possibile trovare traccia delle qualità specifiche che il candidato poteva vantare per occupare degnamente la posizione cui aspirava, ma solo l'esaltazione di generiche virtù e soprattutto della fedeltà del raccomandato. Ma questo è forse il minore dei mali, e nell'Italia di oggi, sembra un vizio assolutamente radicato. "Mi manda Picone" resta il motto dell'italica gente. Con o senza toga.

BIBLIOGRAFIA
La corruzione politica nell'antica Roma, di Luciano Perelli, pp.322 - Supersaggi Rizzoli, 1994
La corruzione e il declino di Roma, di Ramsay MacMullen - Il Mulino, pp. 449, 1991
Vita dei Cesari, di Svetonio, pp.382 - Garzanti, 1977


La corruzione nell’antica Roma di Silvia Mollo
http://www.istitutocalvino.it/pubbl/sci ... mvirt3.pdf
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » dom gen 05, 2014 10:25 am

LA CORRUZIONE POLITICA NELL'ANTICA ROMA. Tangenti malversazioni malcostume illeciti raccomandazioni
Luciano Perelli

Milano, Rizzoli, 1994
pp. 323

http://www.gatc.it/biblioteca/letture/p ... caroma.htm

Quest'opera è dedicata alla corruzione politica nella Roma repubblicana, un'epoca lontana ma travagliata da problemi etici della vita pubblica straordinariamente attuali. Una interpretazione diffusa della storia di Roma antica presenta l'epoca repubblicana come un periodo felice dal punto di vista della morale pubblica, popolato da uomini che agivano ispirati da nobili ideali nell'interesse di Roma, mentre all'impero sono attribuiti scadimento morale e corruzione. La realtà fu ben diversa.

Ciascun capitolo affronta un particolare aspetto della corruzione politica dell'antica Roma, corredando la trattazione di una scelta molto ampia di brani tratti da testi classici. Sono gli stessi autori che si studiano nelle scuole, curiosamente evitando quelle parti che trattano questioni tanto scabrose. Scorriamo brevemente i temi trattati nel volume.

La clientela era una associazione che legava un gruppo di persone di rango inferiore a un nobile, il patrono. In cambio di tutela e di assistenza giuridica, i clienti dovevano mostrare devozione al loro patrono, rendendogli numerosi servigi. Tra patrono e cliente esisteva un legame così forte che erano esentati dal testimoniare l'uno contro l'altro. L'esibizione di numerosi clienti da parte del patrono costituiva una fonte di prestigio e di potere di primaria importanza. Queste caratteristiche, secondo l'autore, fanno della clientela l'antecedente delle organizzazioni mafiose moderne.

I brogli elettorali. Il campionario dei metodi per alterare il risultato elettorale era molto vario: elargizioni di denaro e di favori agli elettori, pressioni e intimidazioni al momento del voto, faziosità e corruzione dei magistrati incaricati dello spoglio dei voti e della proclamazione del vincitore. Questo campionario di irregolarità era però continuamente contrastato da iniziative volte a garantire il regolare svolgimento delle elezioni.

La corruzione e le malversazioni dei funzionari dello stato affliggevano coloro che erano sottomessi alla loro autorità. Nonostante il generoso appannaggio ricevuto, i governatori delle provincie e gli alti gradi dell'amministrazione periferica spesso approfittavano con le irregolarità più diverse della propria posizione ai danni delle popolazioni soggette a Roma. Verre, il rapace governatore della Sicilia dei tempi di Cicerone, costituiva un caso tutt'altro che isolato. Ma la corruzione riguardava anche i gradini inferiori dell'amministrazione statale; gli storici classici si occuparono poco di questi episodi, troppo umili per meritare la loro attenzione. Più frequentemente sono citate le frodi dei publicani, titolari di lucrosi appalti statali. Un esempio è quello di Marco Postumio di Pyrgi, titolare di contratti di fornitura per l'esercito, il quale faceva affondare di proposito vecchie navi, dopo averle caricate di merci di poco valore, per richiedere allo stato l'indennizzo di un valore molto superiore.

L'amministrazione della giustizia è un altro settore della vita pubblica romana toccato da ampia corruzione. Il diritto romano classico, sul quale si sono formate generazioni di giuristi fino ai tempi nostri, è una elaborazione tardo-imperiale. Nei tempi più antichi la giustizia era amministrata da privati. Nell'epoca repubblicana il pretore, il magistrato pubblico incaricato dell'amministrazione giudiziaria, affidava i giudizi a un giudice scelto dalle parti o da egli stesso designato. L'assenza di un codice e di un corpo indipendente di magistrati specializzati rendeva il giudizio un evento in buona parte dipendente dalle pressioni, se non proprio azioni di vera e propria corruzione, che le parti in casua potevano esercitare sul giudice. L'autore presenta al lettore numerosi esempi di come i processi fossero spesso volti a favore di un personaggio ricco e potente. I processi erano pubblici, cosa che temperava gli eccessi della corruzione dei giudici e che faceva emergere l'attività di giudici integri e imparziali come termine di confronto per l'attività di tutti gli altri.

Non poteva mancare l'argomento delle raccomandazioni, un flagello che già allora minava l'efficienza dell'amministrazione pubblica. Agli inizi della sua storia Roma era dotata di un apparato statale molto snello, ma con l'allargarsi del dominio di Roma anche l'amministrazione statale divenne più estesa, con ciò moltiplicando i posti nelle carriere statali. La caccia al posto era l'attività principale dei rampolli dell'aristocrazia senatoriale e dei giovani rampanti delle classi emergenti. Per ottenerlo era necessario godere di influenti raccomandazioni, nelle quali non è possibile trovare traccia delle qualità specifiche che il candidato poteva vantare per occupare degnamente la posizione cui aspirava, ma solo l'esaltazione di generiche virtù e soprattutto della fedeltà del raccomandato.

La corruzione politica è un fenomeno che suscita reazioni contrastanti, di riprovazione e di condanna morale, talvolta di accettazione più o meno rassegnata. Può accadere che le ragioni e i sentimenti sui quali si fondano queste reazioni convivano in noi, formando un cocktail dal difficile equilibrio e dal sapore cangiante, raramente gradevole. La curiosità di saperne di più, di conoscere fatti e particolari, è però sempre forte.

Sicuramente l'opera appaga questa curiosità per quanto riguarda la storia di Roma antica. E' anche possibile che qualcuno trovi nella lettura dei poco edificanti episodi descritti dai classici l'amara consolazione che i tempi moderni non sono peggiori di quelli antichi in quanto a corruzione. Il lettore può trovare, però, la spinta per una riflessione più profonda sulla natura pervasiva della corruzione sui modi per combatterla e contenerne gli effetti deleteri. L'analisi storica può servire a sfrondare il problema della corruzione dalla retorica inutile e concentrare l'attenzione sui rimedi, in diversi casi indicati con sorprendente lucidità dai classici stessi. Giampiero Marcello

La corruzione politica e la connessione tra politica e denaro non è un fenomeno solo dei nostri giorni ma è sempre esistito nel corso dei millenni, in varie forme e con varia gravità. Nell'antica Roma, anche prima di arrivare al Basso Impero, diventato proverbiale come regno della corruzione, il fenomeno ebbe dimensioni almeno dieci volte superiore a quelle dei nostri tempi. Il volume documenta con grande copia di testimonianze di autori latini e greci i vari aspetti della corruzione politica durante la Repubblica e i primi due secoli dell'Impero: corruzione legata alle strutture clientelari della società, all'esistenza di potentati personali al di fuori e al di sopra del potere legale, all'importanza e al prestigio della ricchezza come strumento indispensabile di dominio politico. Il volume tratta di associazioni paramafiose (clientela e amicizia), corruzione elettorale e brogli, concussione e peculato, bustarelle, appalti e tangenti, vendita di posti e di cariche, corruzione dei giudici, potere delle raccomandazioni. Il lettore rimarrà impressionato dalle coincidenze col presente, spesso rilevate e sottolineate dal curatore.

LUCIANO PERELLI è stato docente di letteratura latina e di storia romana all'Università di Torino.
E' autore di numerosi saggi e articoli, e collabora a riviste specializzate.
Tra le sue pubblicazioni principali ricordiamo:
-Lucrezio poeta dell'angoscia (Firenze 1969), Il teatro rivoluzionario di Terenzio (Firenze 1973),
-Il movimento popolare nell'ultimo secolo della Repubblica (Torino 1982),
-Il pensiero politico di Cicerone (Firenze 1990), I Gracchi (Roma 1993),
-Storia del mondo antico (Torino 1989), S
-toria della letteratura latina (Torino 19942).



SOMMARIO

Introduzione 5

Avvertenza 20

CAPITOLO I
Le associazioni paramafiose: clientela e amicizia. I potentati personali 21

CAPITOLO II
Corruzione elettorale e brogli 71

CAPITOLO III
Concussione e peculato 131

CAPITOLO IV
Politica e affari: bustarelle, appalti e tangenti 195

CAPITOLO V
La corruzione della giustizia 245

CAPITOLO VI
Le raccomandazioni 281
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » lun gen 06, 2014 10:33 am

El procurador Stafa

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... nisimi.jpg

«Favori in cambio di rapporti sessuali» Arrestato il pm Roberto Staffa: filmato con un trans nel suo ufficio

http://www.ilmessaggero.it/roma/cronaca ... 6316.shtml

ROMA - Il pubblico ministero Roberto Staffa, della procura di Roma, è stato arrestato stamattina dai carabinieri, su disposizione dell’autorità giudiziaria di Perugia. Questa mattina sono stati anche perquiisiti i suoi uffici.
ll magistrato, tra i più in vista della procura capitolina e titolare di numerosi processi contro la criminalità organizzata, è accusato di corruzione, concussione e rivelazione di segreti d’ufficio. Secondo indiscrezioni, il provvedimento di arresto sarebbe stato deciso dopo mesi di indagini con microspie e telecamere piazzate nel suo ufficio di piazzale Clodio, che avrebbero consentito di raccogliere indizi concreti circa le sue presunte responsabilità. In particolare, secondo indiscrezioni, Staffa si sarebbe compromesso a causa di una relazione con un transessuale straniero, che sarebbe stato anche ripreso all’interno del suo ufficio.

Le accuse. Sesso con una donna, chiuso a chiave nel suo ufficio, per concedere un permesso di colloquio con un detenuto. Quindi non solo trans, ma anche rapporti con la familiare di una persona finita in carcere. Dalla procura di Roma, che non può indagare su magistrati del proprio ufficio, sono stati più di uno gli input inviati alla magistratura di Perugia.

Il ministero della Giustizia ha chiesto alla Procura di Perugia che, compatibilmente con il segreto istruttorio, invii all'ispettorato gli atti sul caso di Roberto Staffa che, a seguito dell'arresto, è stato automaticamente sospeso dal servizio. La sospensione dal servizio scatta in via automatica nei confronti dei magistrati nel caso in cui siano destinatari di misure cautelari.

Le indagini erano partire un anno e mezzo fa, quando il transessuale era stato arrestato nell’ambito di un’operazione contro la prostituzione condotta da una collega dello stesso Staffa. IL trans, interrogato del Gip di Roma in sede di convalida dell’arresto, aveva vantato rapporti di amicizia con il pm, e avrebbe dichiarato di subire una sorta di ricatto dal magistrato, che gli avrebbe assicurato protezione in cambio di rapporti sessuali. Quell’interrogatorio fu secretato immediatamente e trasmesso per competenza alla procura di Perugia. Subito dopo sarebbero scattate le intercettazioni ambientali e telefoniche, che nel giro di alcuni mesi avrebbero fornito riscontri al racconto del trans.

I vertici della procura di Roma sono sempre stati tenuti al corrente dell’evolversi dell’inchiesta e da alcune settimane lo stesso Staffa era stato esonerato dalla conduzione di alcune inchieste delicate. «La violazione della legge da parte dei magistrati compromette la giurisdizione e la credibilità dell'ordine giudiziario»: «nella magistratura non possono esistere spazi di impunità». È quanto sottolinea l'Anm in merito all'arresto del pm. Pur «nella doverosa attesa dei successivi approfondimenti d'indagine» l'Anm «riafferma la centralità della questione morale» e sottolinea che «i magistrati sanno trovare gli strumenti necessari per individuare e sanzionare, anche al proprio interno, ogni comportamento contrario alla legge. Nell'auspicare un rapido accertamento dei fatti, l'Anm esprime, quindi, sostegno e apprezzamento per l'azione di quanti sono impegnati nella ricerca della verità».

Sarà interrogato probabilmente venerdì prossimo Roberto Staffa. L'ufficio del magistrato è stato perquisito oggi dagli investigatori, alla presenza del procuratore di Perugia Giacomo Fumu e del sostituto Angela Avila.
L'avvocato Salvatore Volpe, difensore del magistrato, ha dichiarato di non aver ancora visionato l'ordinanza di custodia cautelare.
«Gli inquirenti - ha precisato - mi hanno informato che è stata secretata. Devo comunque sottolineare che Staffa è un galantuomo assoluto, un magistrato che ha sempre anteposto il dovere e gli impegni professionali alle esigenze personali». «Un magistrato eccezionale - ha aggiunto - che fino ad oggi è sempre stato un avversario di incredibile valore. Malgrado ciò ha sempre avuto un cuore d'oro, una grande attenzione verso la persona che aveva di fronte».

Il personaggio. È in servizio alla procura di Roma da quindici anni il pm Roberto Staffa, 55 anni napoletano, giunto da Venezia dove aveva ricoperto il ruolo di presidente di corte d’Assise. In questa veste il magistrato condanno’ nel 1997 a 19 anni di carcere l'ex boss della banda del Brenta, Felice Maniero, accusato di 9 omicidi e processo’ i componenti del gruppo dei «Serenissimi» protagonista di un clamoroso assalto al campanile di piazza San Marco la notte tra l’8 e il 9 maggio del 1997. A Roma e’ stato il titolare dell'inchiesta sugli aborti clandestini avvenuti presso la clinica capitolina Villa Gina che culmino’ con vari arresti tra cui quello del professor Ilio Spallone. Staffa ha fatto parte del pool dei magistrati che si occupano dei reati sulla persona e di violazione delle legge sugli stupefacenti, come magistrato della Dda. Nella sua esperienza di pubblico ministero a piazzale Clodio, il magistrato si è occupato anche per un breve periodo dell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi.
Il magistrato è conosciuto anche per la sua passione per la musica al punto da far parte di un gruppo, i Dura Lex, in cui suonavano anche altri magistrati e avvocati.

Mercoledì 23 Gennaio 2013 - 14:12

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/01 ... ffa/478080
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » lun gen 06, 2014 10:44 am

GIUSTIZIA IN ITALIA: PEGGIO CHE IN MONGOLIA E VIETNAM
http://www.lindipendenza.com/giustizia- ... -e-vietnam


Italia culla del diritto, ma non della giustizia. La lentezza dei processi frena la crescita per cittadini, imprese e investimenti esteri con costi enormi per il Paese. I fascicoli accumulati superano i 6 milioni a cui si devono aggiungere i 3,5 milioni circa di procedimenti penali. Le sole pratiche relative ai procedimenti civili pendenti occuperebbero una superficie pari a 74 campi da calcio grandi come San Siro. Una montagna di carta che, in termini economici, si traduce in quasi 96 miliardi di euro di mancata ricchezza. L’abbattimento del 10% dei tempi della giustizia civile potrebbe determinare un incremento dello 0,8% del Pil, secondo l’ultima stima di Confindustria. “Abbiamo calcolato -spiega all’Adnkronos Edoardo Merlino, segretario generale del Centro per la prevenzione e risoluzione dei conflitti (Cprc)- che questa percentuale corrisponde in termini economici a un milione di cause civili pendenti”.

Azzerare l’arretrato civile dunque farebbe guadagnare il 4,8% del Prodotto interno lordo pari a poco meno di 96 miliardi. Una missione ritenuta non impossibile se si guarda al ‘modello Torino’. Da Viale dell’Astronomia a Confartigianato sono diverse le associazioni di imprenditori che chiedono un intervento del governo per recuperare competitività. Ma non solo: il presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, chiede al ministro della Giustizia, Paola Severino, di affidarsi a magistrati manager contro i ritardi. Nel rapporto ‘Doing Business 2012′ della Banca Mondiale, l’Italia continua a perdere posizioni. È fanalino di coda in Ue e non va meglio il confronto con il resto del pianeta: 158esima su 183 paesi. Meglio di noi Gambia, Mongolia e Vietnam, impari il confronto con il Vecchio Continente. In Italia servono 1.210 giorni per tutelare un contratto, contro 394 in Germania, 389 in Gran Bretagna e 331 in Francia. Ben 692 giorni in più – equivalente ad 1 anno 10 mesi e 27 giorni – rispetto alla media di 518 dei paesi Ocse.

In Italia, inoltre, i costi legali sono spropositati. La quota in termini di assistenza legale e spese processuali, rispetto al valore complessivo della causa, è tra le più alte: circa il 30%, contro il 14,4% della Germania e il 9,9% della Norvegia. La Commissione europea sull’efficienza della giustizia calcola che lo Stato italiano spende per la giustizia 70 euro per abitante, a fronte dei 58 della Francia dove, peraltro, la durata media di un processo civile è la metà. Non solo: le aziende straniere incassano i danni nel giro di 12 mesi, mentre quelle del Belpaese devono aspettare in media oltre 3 anni oppure accettare accordi al ribasso, mentre nel frattempo chiedono prestiti per sopravvivere. Abnorme la durata dei fallimenti, più di 10 anni in media, non è da meno la giustizia tributaria. L’incertezza frena così l’economia, oltre che accrescere il senso di ingiustizia. Stime della Banca d’Italia indicano che “la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale”. Un deficit pubblico giudiziario tutto da sanare. Sul Sud Italia pesa la maggior parte dell’arretrato, più di metà del totale nazionale. Qui la giustizia viaggia con il freno a mano tirato. La durata media di un processo civile ordinario di primo grado si triplica da Torino a Messina, da 500 a 1.500 giorni. A Roma i processi civili durano un terzo in più che al Nord dove, comunque, non mancano città ‘fuori media’. E l’inaugurazione dell’anno giudiziario, prevista a breve, fornirà nuove cifre sulla lenta giustizia. Secondo alcune stime elaborate dal Centro studi Confindustria basate sull’eterogeneità geografica nella lunghezza dei processi di primo grado, le ripercussioni sullo sviluppo economico sono “rilevanti”: se nella provincia di Bari la giustizia civile avesse “la stessa efficienza che si riscontra nella provincia di Torino (-60% circa di durata dei procedimenti), la sua crescita economica nel periodo 2000-2007 sarebbe stata più elevata di 2,4 punti percentuali”.

La spesa pubblica complessiva per tribunali e procure, invece, supera i 7,5 miliardi di euro, la seconda più alta in termini pro-capite in Europa dopo la Germania. L’Ufficio studi di Confartigianato stima che la giustizia-lumaca sottrae agli imprenditori risorse per 2,2 miliardi di euro. Impossibile da quantificare i mancati introiti per la fuga degli investitori esteri, spaventati dai nostri ritmi giudiziari. E ad aumentare il deficit è anche la legge Pinto, applicata se non si rispettano i tempi ragionevoli di un processo. Un trend in pauroso aumento. Nel 2008 il danno per le casse dello Stato è stato di 81,3 milioni di euro, l’anno successivo è lievitato a 267 e nel 2010, assicurano gli esperti, ha superato i 300 milioni. Un rischio oneroso se si considera che le cause in corso, tra penale e civile, superano i 9,5 milioni. E la nostra litigiosità non ha eguali: più del doppio rispetto alla media Ue, da 10 a 20 volte in più degli scandinavi. Se la lentezza del processo sembra non frenare la voglia di giustizia, tra ricorsi, impugnazioni e cavilli cresce il popolo degli avvocati, circa 260mila. In provincia di Milano ci sono tanti legali quanti nell’intera Francia. E le tariffe premiano chi firma più atti, non chi accorcia i tempi o evita i processi optando per la conciliazione. Così tra eterni rinvii che si rincorrono per i tre gradi di giudizio l’onorario cresce insieme all’arretrato.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » ven gen 10, 2014 9:28 pm

Franzoni, Taormina paghi 200.000 euro
Legale aveva chiesto condanna coniugi pagare onorari 771.000euro


http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche ... 78438.html

(ANSA) - BOLOGNA, 10 GEN - Annamaria Franzoni e il marito Stefano Lorenzi chiedono che l'avv.Carlo Taormina sia condannato a risarcire 200 mila euro di danni. Lo fanno rispondendo alla citazione del legale al tribunale civile di Bologna, con cui Taormina a propria volta chiedeva che i coniugi venissero condannati a pagare onorari mai saldati, per 771.000 euro. E presentando contestualmente domanda riconvenzionale, ritenendosi danneggiati dal coinvolgimento nel processo 'Cogne-bis'.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » dom feb 09, 2014 8:12 am

Vicenza, l’ultima frontiera di una Giustizia al collasso

http://www.lindipendenza.com/vicenza-lu ... l-collasso

Di ENZO TRENTIN

Su alcune singolarità della giustizia italiana ci eravamo già soffermati in un precedente articolo dove davamo conto del fatto che un giudice che lavorava troppo era stato costretto a dimettersi. A conferma di quanto scrivevamo il giudice stesso, in un commento in calce all’articolo, confermava.

È di questi giorni un’altra conferma sul fatto che i giudici a Vicenza non si sentono a loro agio. Pare ci sia troppo da lavorare. Ne da’ notizia il quotidiano «Il Giornale di Vicenza», nell’edizione del 5 febbraio 2014, che apre con il titolo: “È già in pensione il presidente del tribunale – Per almeno un anno palazzo di giustizia resterà senza guida”. E se ne stanno andando anche altri tre giudici del civile.

Il presidente in questione è un signore 72enne: Francesco Bernardini, che era arrivato a fine settembre 2013 a Vicenza carico di entusiasmo: «Così farò funzionare questo tribunale» aveva subito dichiarato ai mass media. E invece il presidente di tribunale, atteso a lungo a Vicenza ed arrivato cinque mesi fa, è andato in pensione. Alcuni problemi di salute l’hanno convinto prima a chiedere qualche settimana di ferie, e quindi il pensionamento che, alla sua età, poteva sollecitare in qualunque momento. Il risultato, per la giustizia vicentina, è pesante: per almeno un anno in città mancherà la guida del tribunale, affidata al vice Oreste Carbone.

Prendiamo pure per buone le giustificazioni di questo magistrato; rimane il fatto che al tribunale di Vicenza sussistono alcuni problemi di non poco conto. Non solo, come documentato nell’articolo precedente, chi lavorava sodo non era visto di buon occhio; ora sappiamo attraverso le pagine del quotidiano locale che si stanno aprendo altri buchi in organico, e la “colpa” per così dire, è proprio della situazione che negli anni si è creata in tribunale. Altri giudici – almeno due o tre – della sezione civile nelle prossime settimane lasceranno la città del Palladio, per trasferirsi altrove. Fra le cause oltre a quelle personali, l’enorme mole di lavoro che affanna ciascun magistrato, il quale è alle prese con più di mille cause. È una situazione complessiva da tempo ingestibile, che garantisce risposte ai cittadini solamente grazie alla buona volontà dei singoli.

«Si può ancora parlare di giustizia?», si chiedono gli stessi giudici civili alcuni dei quali, scoraggiati lavorano ancora nella vecchia sede – un palazzo ormai sporco e fatiscente – malgrado il nuovo tribunale abbia da tempo una nuova struttura ancora sottoutilizzata. Il presidente Bernardini, nei pochi mesi di permanenza aveva dato un’accelerata al trasloco nel nuovo edificio; ma non era riuscito a dare una linea precisa alla suddivisione dei fascicoli (non ci sono i soldi per gli arredi) e alla riorganizzazione del personale. Dove le carenze di organico, macroscopiche, sono denunciate da anni, ma senza che giunga alcun rinforzo se non dai carabinieri e dai poliziotti in pensione che lavorano da volontari. Ad oggi, gli appelli giunti dai sindacati, dalle associazioni di categoria e dalla politica non hanno prodotto assolutamente niente dopo l’accorpamento con Schio e con Bassano del Grappa per la sezione penale. Continuano infatti a restare irrisolti i problemi del personale e dei fascicoli civili di Bassano, che in parte erano stati trasportati a Vicenza.

Insomma, chi pensa seriamente all’indipendenza del Veneto non può trascurare questi latenti problemi e rimandarne la soluzione al dopo. Responsabilità vuole che gli indipendentisti, tra i quali militano non pochi avvocati (nessuno dei quali si è mai lasciato sfuggire qualche commento pubblico in materia), comincino a prefigurare il nuovo sistema istituzionale e la sua gestione.

Un miglioramento metodico dell’organizzazione sociale suppone uno studio preliminare approfondito, per cercare di sapere da una parte che cosa ci si può attendere da esso, nel futuro prossimo e remoto, dal punto di vista del rendimento, dall’altra quali forme di organizzazione sociale e di cultura sono compatibili con esso, e infine come esso stesso può essere trasformato. Solo degli esseri irresponsabili possono trascurare un simile studio e tuttavia pretendere di dirigere la società; purtroppo è quel che succede ovunque, fra i rivoluzionari come fra gli indipendentisti dei giorni nostri.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » ven mar 14, 2014 7:44 am

Justisia çevil, par l’Ocse la Talia lè maja nera

Giustizia civile, per l’Ocse l’Italia è maglia nera
http://www.lindipendenza.com/giustizia-civile-italia

di FRANCO CAGLIANI

La giustizia italiana? Da mettersi le mani nei capelli. L’arretrato crescente ”ha lo stesso impatto soffocante che ha il debito pubblico”. E’ efficace il paragone del vice segretario dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, che lo definisce ”un fardello di cui dobbiamo liberarci”. Con 2.866 giorni, quindi all’incirca 8 anni, per la definizione di una causa nei tre gradi di giudizio, l’Italia e’ maglia nera tra i Paesi dell’Ocse per la durata del processo civile. Una ‘zavorra’ che ha effetti diretti sul piano economico e nella fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Il rapporto dell’organizzazione su ”Giustizia civile: come promuovere l’efficienza” da’ il polso di quello che il presidente del Senato Piero Grasso ha definito un ”girone dantesco”.

Nel 2010 si sono impiegati 564 giorni per il primo grado, contro una media di 240 giorni e i 107 del Giappone, che ha invece la giustizia civile piu’ veloce del mondo. Il tempo medio stimato per la conclusione di un procedimento nei tre gradi di giudizio e’ di 788 giorni. Con un minimo di 368 in Svizzera e un massimo di quasi 8 anni, appunto, in Italia. Questo nonostante si tratti di due Paesi che destinano al sistema giudiziario la stessa quota di Pil, lo 0,2%. Meno investimenti da parte delle aziende, minore fluidita’ del mercato del lavoro, condanna al nanismo d’impresa e maggior costo del credito sono gli effetti diretti – avverte l’Ocse – della giustizia lumaca sul piano economico: ”un ”circolo vizioso” con un impatto sul Pil stimabile in una perdita dell’1%. Ma non si puo’ scordare un effetto indelebile, di carattere generale: la perdita di credibilita’ delle istituzioni. Come affrontare allora la crisi della giustizia civile?

La premessa e’ che ridurre la litigiosita’ del 35% farebbe ridurre la durata dei processi civili del 10%. L’Ocse misura risultati positivi nei paesi che hanno introdotto un ”filtro di ammissibilita”’ dell’appello. E che hanno un ”mercato dei servizi legali” liberalizzato. Poi la raccomandazione che negli studi dell’Organizzazione si ripete da anni: e’ necessario ridurre l’opacita’, l’incertezza istituzionale, e la diffusione dei fenomeni corruttivi.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » mar nov 11, 2014 8:21 am

la casta dei majistradi la xe contro le riforme de la justisia ke toca i so privilej e la responsabeletà çivil dei judeghi


Assemblea Anm: i magistrati si compattano, congelano lo sciopero e attaccano il premier: "Riforma inutile e ipocrita"


http://www.huffingtonpost.it/2014/11/09 ... 29404.html

I rulli di tamburo continuano. Minacciosi. Più contro i metodi e i modi del premier Renzi che quelli del ministro Guardasigilli Andrea Orlando. Ma non scelgono la via dello sciopero. “Una trappola tesa con l’alibi delle ferie tagliate – dicono le toghe riunite in assemblea - in cui il governo vorrebbe che noi cadessimo per poi strombazzare ai quattro venti che sappiamo fare solo difese corporative”. La parola sciopero, alla fine di una giornata lunga e molto vivace, non compare neppure nel documento finale approvato a larghissima maggioranza. Dove invece si dice che “l’Anm valuterà ogni forma di protesta e non ne escluderà nessuna se nell’iter di approvazione del disegno di legge sulla responsabilità civile dovessero emergere passaggi tesi a umiliare e indebolire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura”. Della giurisdizione, parola che dovrebbe entrare nel lessico comune con tutto il suo peso specifico. Detta più banalmente, del servizio giustizia che è un diritto dei cittadini.

“RIFORMA FALSA E IPOCRITA” - Succedono tante cose nell’assemblea generale dell’Anm più difficile da nove anni a questa parte. L’aula magna al secondo piano della Cassazione è gremita come non si vedeva da anni. Sul tavolo c’è “una riforma della giustizia falsa e ipocrita”, che riesce a fare quello è sfuggito a Berlusconi “in quindici anni di tentativi”. Una riforma che “umilia e disprezza la giurisdizione”, e quindi il ruolo e la funzione del servizio giustizia, “a colpi di slogan e riforme spot, demagogiche” , ma lo fa in “in modo molto più subdolo perché sfrutta un dato vero – la giustizia non funziona e i cittadini sono arrabbiati – scaricandolo sulla parte sbagliata: i magistrati scansafatiche che hanno troppe ferie e non producono”. E’ solo uno zibaldone degli interventi di sei ore di dibattito. Ma di fronte a questa analisi condivisa da tutti e da tutte le correnti della magistratura, succede qualcosa di inedito.

COSI’ DIVISI, COSI’ UNITI - Prima di tutto l’Anm esce più unita e compatta da un’assemblea che invece poteva lacerare in modo pericoloso. Fino alle 16 erano sei i documenti, le mozioni, da mettere ai voti. Area, cioè Md e Movimenti, le toghe rosse, aveva fin da subito fatto squadra con Unicost, la corrente di centro che con Silvana Sica, giudice civile a Napoli, ha presentato un documento (il n.4) durissimo, tutto in difesa della giurisdizione e zeppo di proposte (“semplificare il rito e le procedure, questa è la riforma a costo zero per una giustizia più veloce e quindi più certa”) ma senza affondo finale (aggiunto nella versione finale). Magistratura indipendente, prima firmatari Sebastiano Ardita, Schirò e Aldo Morgigni, era stata (documento n.5) più dura nell’analisi e nella proposta di “serie, concrete, non occasionali forme di lotta ed eventuali scioperi”. Carlo Fucci (doc. n.3), indipendente, ha legato la piattaforma di lotta al disegno di legge della responsabilità civile e ha chiesto “la proclamazione dello sciopero come forma estrema di protesta senza ulteriore convocazione dell’assemblea”. Un’altra parte di Mi (doc. n.1), capofila Pasquale Grasso, a cui poi si è unito Andrea Reale di Proposta B, i più decisi nel chiedere lo sciopero, avevano invece puntato tutto, troppo, sul tema ferie, stipendio, carichi di lavoro, convinti che “le riforme del governo sulla giustizia sono il banco di prova sul quale la politica intende valutare il livello di duttilità della magistratura”. Altri due documenti – Maria Clara Salvi per conto della Corte d’Appello di Catania – e Giovanni Favi, più una dozzina di colleghi erano in qualche modo complementari e attaccavano soprattutto il governo per “la scientifica disinformazione” che ha addebitato “l’eccessiva durata dei processi civili e penali ai magistrati ignorando dati pubblici e statistiche europee che invece mettono la magistratura italiana al primo posto per produttività”. E poichè questa è cronaca, cioè è accaduto, ne chiedevano l’ufficiale smentita in nome di un obbligo di rettifica che “l’Anm deve pretendere”.

Insomma, per tutto il giorno si è rischiato il Vietnam con una parcellizzazione del voto. O, forse peggio, “il prevalere di una reazione di pancia anziché di testa”. Sarebbe stato un indebolimento gravissimo per l’Associazione. E nei fatti una messa in mora per il presidente dell’Anm Rodolfo Sabelli accusato di essere troppo morbido.

MI SPACCATA - Il lavoro di mediazione, e il tenore degli oltre cento interventi, hanno fatto il miracolo. Con alcuni effetti colletarali. Magistratura indipendente si è spaccata e il leader storico Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia, che ha mandato avanti Pasquale Grosso, è rimasto con uno sparuto numero di uomini (200 contro gli oltre 1800 voti della mozione Sica). Da notare che Ferri, con il documento Grosso, ha attaccato il governo di cui fa parte. Sono incoerenze che di questi tempi si pagano care. Mi è all’opposizione nell’Anm. Sarà interessante vedere cosa farà ora la parte della corrente che ha seguito Schirò e quindi Area e Unicost. Se dovesse entrare nella giunta dell’Anm, sarebbe una riunificazione attesa da una dozzina d’anni.

Tra gli effetti collaterali del voto, anche il rafforzamento di
Sabelli e la frenata per i nuovi movimenti cosiddetti “grillini” come Proposta B. Soprattutto la vittoria della magistratura nel suo insieme che compatta attacca frontalmente il governo Renzi. Il ministro Orlando non è quasi mai citato in sei ore di interventi.

Dietro la scelta di non rompere ora, c’è un’assunzione di responsabilità che può essere rischiosa per correnti come Md e i Movimenti storicamente le più movimentiste e “politiche”. “Oggi ha vinto il senso di responsabilità – dice il segretario di Md Anna Canepa – quella delle ferie è una bugia che ci offende ma non ci condiziona. E’ chiaro che siamo e saremo attenti su tutto quello che succederà”. L’arma dello sciopero resta lì, congelata. “Come dice il documento approvato a così larga maggioranza – aggiunge – chiediamo un incontro urgente con il governo per essere effettivamente ascoltati, per presentare le nostre proposte e per avere risposte serie. Pronti a fare sciopero se ci saranno interventi come quello sulla custodia cautelare o la visita psichiatrica con ammenda sulla pubblica piazza per il magistrato condannato civilmente. E pronti a comunicare nei giusti modi tutto quello che non funziona in questa riforma”. Come la mancanza del filtro di ammissibilità per il cittadino che decide di fare causa civile al magistrato. “I tribunali saranno sommersi dalle cause. Altro che misure deflative: sarà un fallimento. E sarà nostra cura comunicare di chi è la colpa”.

“SCHIENA DRITTA” - Il filo rosso di tutti gli interventi è proprio questo: “Le riforme fin qui strombazzate sono inutili, per non dire dannose, prive di una visione organica, solo spot”. Il presidente Sabelli (Unicost) è stato chiaro: “Non chiediamo privilegi ma strutture adeguate, condizioni di lavoro dignitose, personale preparato, norme chiare ed efficaci, funzionali a una giustizia moderna mentre queste sono scarse e di pessima qualità”. La via delle polemiche e la proclamazione dello sciopero sarebbero state, ora, “solo una trappola in cui la magistratura non cade”. “Non ci faremo trascinare sul terreno dello scontro sindacale – ha concluso il presidente dell’Anm – manterremo la schiena dritta a difesa dei valori costituzionali”.

La magistratura è rimasta politicamente sola e deve recuperare il consenso dei cittadini. Lo farà anche cercando di comunicare di volta in volta in modo chiaro tutto quello che non funziona e perché.
“Nessun attacco all’indipendenza della magistratura” assicura il ministro Orlando in serata tirando un sospiro di sollievo. Non è lui il problema. E lo sa bene. Domani il Guardasigilli farà il suo esordio al nuovo plenum del Csm. E se pensa di aver vinto, capirà che non è così.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori

Messaggioda Berto » gio gen 22, 2015 6:09 pm

Corte Costituzionale, quanto prendono di pensione i giudici che ci tolgono la pensione

21 gennaio 2015

http://www.liberoquotidiano.it/news/pol ... no-di.html


No al referendum. Un deciso "niet", quello dei Giudici della Corte Costituzionale, che hanno bocciato l'iniziativa promossa dalla Lega Nord per eliminare la riforma Fornero e restituire agli italiani quegli anni di pensione che hanno perso da un giorno all'altro (senza neppure citare il dramma degli esodati). La Consulta, insomma, conferma il furto ai pensionati. E' curioso allora andare a vedere quanto prendono loro, i giudici della Consulta, una volta raggiunta la pensione.

Cifre-monstre - A disposizione ci sono i dati del 2013. Dati che parlano da soli. Per quell'anno la Corte Costituzionale aveva previsto di pagare ai suoi ex giudici e loro superstiti 5,8 milioni di pensione. A quell'epoca c'erano 20 giudici precettori di pensione e 9 superstiti. Impressionante la cifra media, pari a 200mila euro all'anno per ogni singolo pensionato. Cifre che spiegano perché la consulta bocciò il (minimo) taglio alle loro pensioni d'oro proposto dal governo Monti. C'erano poi, ovvio, le spese totali per le pensioni di ex dipendenti e superstiti, pari a 13,5 milioni. In totale, vi erano 120 ex dipendenti e 78 superstiti precettori di pensioni, che avevano diritto ad uno stipendio medio di 68mila euro.

Gli stipendi - Un accenno, infine, anche alle retribuzioni delle toghe della Consulta. La retribuzione lorda del presidente è pari a 549.407 euro annui, mentre quella di un "semplice" giudice è pari a 457.839 euro. Come ricordava lavoce.info, un confronto con ciò che accade negli altri paesi è doveroso: in Gran Bretagna la retribuzione media è pari a 217mila euro, in Canada a 234mila euro, negli Usa, invece, siamo a 173mila euro per il presidente contro i 166mila euro dei giudici.



Consulta, i giudici italiani i più pagati al mondo
Corrado Giustiniani
18 maggio 2015

http://m.espresso.repubblica.it/attuali ... QlOL_pSJao

Se vale il proverbio “non c’è due senza tre”, adesso tocca alla Corte costituzionale autoridurre gli stipendi. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dal 27 febbraio scorso guadagna 185 mila euro lordi l’anno, perché si è sottratto dalla retribuzione di primo cittadino dello Stato, di 240 mila euro, i 55 mila della sua pensione di professore universitario. Altre pensioni il presidente non ne ha, perché ha rinunciato a ricongiungere al suo attuale trattamento di quiescenza i nove anni trascorsi alla Consulta, mentre fra sette anni, a fine mandato, diventerà senatore a vita. Nel suo primo decreto presidenziale, Mattarella ha disposto che nessuno, al Quirinale, potrà guadagnare più dei 240 mila euro del tetto Renzi, e che nessuno potrà cumulare stipendio e pensione. Il divieto di cumulo, introdotto già alla fine del 2013 per la pubblica amministrazione, non era però vincolante per gli organi costituzionali.

Quanto alle retribuzioni dei dipendenti del Parlamento, alla fine dello scorso settembre gli uffici di presidenza di Camera e Senato annunciarono uno storico taglio, anche qui per decisione autonoma. Il tetto a 240 mila euro non sarà unico, ma articolato in sottotetti. In più non concorrono a formarlo gli oneri previdenziali e l’indennità di funzione, mentre chi lo raggiunge – se meritevole – potrà godere di un ulteriore incentivo di produttività. Non scatta infine tutto in una volta, come per pubblica amministrazione e Quirinale, ma in quattro distinte annualità: una marcia di avvicinamento che si concluderà il primo gennaio 2018. Ma pur, con tutte queste deroghe, è innegabile che dei passi concreti siano stati compiuti.

Ci si aspetta ora che sia la Consulta a fare la sua parte. Anche perché i suoi giudici, che percepiscono 360 mila euro l’anno, e il suo presidente, che con l’indennità di funzione arriva a 432 mila euro lordi, sono i più pagati del mondo. Lo dimostra una ricerca dell’economista dell’Università Bocconi Roberto Perotti, attualmente esperto di Palazzo Chigi. I giudici britannici percepiscono, in sterline, l’equivalente di 235 mila euro lordi, in Canada siamo all’equivalente di 217 mila euro, 234 mila per il presidente. Negli Stati Uniti il compenso in dollari del presidente equivale a 173 mila euro e quello dei giudici è inferiore di 7 mila euro. Meno della metà, quindi, di quanto mediamente guadagnino i quindici giudici italiani (attualmente tredici, perché il Parlamento ne deve ancora nominare due).

Il bello è che, fino a tutto aprile del 2014, gli stipendi della Corte erano ancora più alti: 467 mila euro i giudici e ben 561 mila il presidente. Sono scesi da maggio ai valori attuali per una semplice ragione: per legge, la retribuzione di un giudice della Consulta è pari a quella del primo presidente di Cassazione, aumentata del 50 per cento. Ma quest’ultima, col “tetto Renzi”, è scesa da 311 mila a 240 mila euro. Rispetto a un giudice, il presidente guadagna un ulteriore quinto in più. Dopo l’esempio dato da Mattarella, non si sentirà obbligato l’attuale presidente della Consulta Alessandro Criscuolo ad autoridurre il suo stipendio e quello dei suoi colleghi?

C’è poi la delicata questione del cumulo retribuzione-pensione. Almeno sei giudici, nella composizione dell’attuale Consulta, ne godono. I loro introiti effettivi superano dunque in vari casi i 500 mila euro. Secondo notizie di stampa che risalgono alla primavera del 2014, tuttora non smentite, lo stesso Alessandro Criscuolo godrebbe di stipendio e pensione, mentre due giudici, Giuliano Amato e Paolo Grossi, dopo la nomina avevano rinunciato alla pensione.

Per la verità, la legge 87 del marzo 1953, che ha fissato il compenso del giudice costituzionale, parametrandolo sul primo presidente di Cassazione, all’articolo 12 prevede testualmente che tale compenso “sostituisce ed assorbe quello che ciascuno, nella sua qualità di funzionario di Stato o di altro ente pubblico, in servizio o a riposo, aveva prima della nomina a giudice della Corte”. Divieto di cumulo, dunque.

Fu una sentenza del Consiglio di Stato, ventiquattro anni dopo, a trovare la scappatoia. Relatore, Vincenzo Caianiello, che sarebbe diventato poi giudice e addirittura presidente della Corte costituzionale. Il Consiglio, quel 27 maggio del 1977, ragionò così: nel 1965 è stata sancita la cumulabilità, per gli statali, di stipendio e pensione. E dunque le stesse norme debbono valere anche per i giudici costituzionali. Considerati, evidentemente, alla stregua di semplici dipendenti pubblici. Ma se è così, ora che il divieto di cumulo è tornato, ed è stato anche confermato da un decreto Renzi-Madia, la Corte potrebbe trarne le conseguenze. Sarebbe un atto di grande saggezza giuridica, che gli italiani certamente apprezzerebbero. E, assieme al divieto di cumulo, sulla scia di quanto ha deciso il presidente della Repubblica, sarebbe opportuno introdurre anche nel palazzo di fronte al Quirinale, per giudici e funzionari della Consulta, il tetto massimo retributivo di 240 mila euro.
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