Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Casta dei magistrati (procuratori-giudici) e degli avvocati

Messaggioda Berto » ven nov 23, 2018 8:42 pm

L'accusa dell'ex Pg Galgano: "Nessuno controlla i magistrati"
"Le pigrizie, le lentezze, le negligenze non sono dai capi degli uffici individuate e represse"
di VINCENZO GALGANO
07 novembre 2018
* L'autore è ex procuratore generale di Napoli

https://napoli.repubblica.it/cronaca/20 ... MPrmotuUVI

Per un gioco di circostanze, complesso, articolato ma del tutto involontario Antonio Bassolino, con le sue 18 assoluzioni, è riuscito a dare una scossa al torpido mondo della politica napoletana. Finalmente si è parlato della durata dei processi, civili e penali, in Italia: speriamo che tali discorsi abbiano un seguito concreto, utile alla collettività, capace di vincere il muro di una sterminata quantità di difensori della condizione attuale di tutte le vicende giudiziarie italiane, condizione formata – salvo casi rari – dalla somma di lentezza, disimpegno, ingiustizia.

Il dato rilevante che balza agli occhi è l’incapacità, anche da parte di cattedratici di vaglio, di rappresentare in modo piano e concreto quali sono state e sono le condizioni che hanno consentito tale spaventosa lentezza delle vicende giudiziarie e, soprattutto, a quali rimedi fare ricorso. Un fattore, che non è atto a risolvere il problema della insopportabile lentezza delle procedure, ma che a tanto contribuirebbe, va trovato nella totale mancanza di controlli sulla attività dei magistrati.

I magistrati italiani sono esclusi da ogni controllo operativo della loro attività. Le pigrizie, le lentezze, le negligenze non sono dai capi degli uffici individuate e represse; non sono produttive di effetti disciplinari, salvo casi rarissimi. I magistrati, per il solo fatto di aver superato un concorso, non sono diventati perfetti: hanno conservate le caratteristiche della loro personalità e del loro ambiente di provenienza. Non è impossibile, quindi, rinvenire in un numero non irrilevante di loro eccessiva disinvoltura di contegno, pigrizia, ignoranza e quel distaccato cinismo che è proprio degli ambienti impiegatizi piccolo- borghesi. La totale mancanza - di fatto – di controllo disciplinari relativi ad eventuali ritardi è – quindi – una delle cause della generale indifferenza al controllo della durata delle procedure. Le poche volte in cui i capi degli uffici si impongono, a costo di resistenze di ogni genere, di stimolare azioni disciplinari, innescano meccanismi di tutela, connessi al carattere elettivo del Csm, alle cosiddette correnti e così via.

La percentuale – quindi – di condanne disciplinari è esigua al punto da essere irrilevante. Non possiamo immergerci nel mare di problemi, che dovrebbero essere sollevati relativamente alla meccanica delle procedure penali e civili, problemi che vengono solitamente camuffati dalle esigenze della difesa e resi per tale motivo non approntabili. Altro meccanismo infernale si può ravvisare nella competenza dell’autorità giudiziaria per tutti i fatti, connotati da antisocialità. La polizia ha solo compiti di indagini. Nel resto del mondo la polizia ha ampie sfere di competenza e risolve problemi sociali di rilevante interesse che – però – non meritano le forme del processo. Altro elemento sociale di conservazione dello statu quo è il generale disprezzo delle regole, tipico del popolo italiano.

Tale disprezzo – vistoso carattere dell’immoralità generale – ha grandemente nociuto alla nostra gente, che avrebbe meritato qualcosa di meglio dai governi che si sono succeduti. L’immoralità, il disprezzo delle regole e le violazioni conseguenti, hanno un costo, che l’intero Paese paga come mancato progresso, e mancato adeguamento al resto del mondo. Tale regola generale, l’Italia lo paga anche nel sistema giudiziario.
La cattiva qualità di un certo numero di magistrati, l’impunità assicurata a chi non fa il proprio dovere, è pagato molto seriamente dall’intero popolo italiano. Sarà bene che la consapevolezza dei costi suddetti si allarghi al punto da impedire le inerzie presenti: in ciò che consiste per l’Italia il novum e non in provvedimenti di facciata ed in chiacchiere.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun nov 26, 2018 8:47 am

Peculato, sequestrati 550 mila euro a ex presidente del tribunale di Roma
Fulvio Fiano
9 novembre 2018

https://roma.corriere.it/notizie/cronac ... TOpSHucy2g

Due appartamenti, uno a Roma e uno a Terni, sono la parte più consistente del patrimonio sequestrato ieri all’ex presidente del tribunale di Roma, Paolo De Fiore, da parte dei finanzieri del Nucleo tributario. La somma totale, raggiunta anche con i depositi su conti correnti, ammonta a 550mila euro.

Assegni di ricompensa alla sua scorta, elargizioni ai dipendenti del suo ufficio, eventi nella sua abitazione, beneficenza a una onlus e a una parrocchia, carte prepagate intestate a suo nome: il magistrato, oggi in pensione, avrebbe usato per fini personali fondi pubblici destinati alla giustizia. A dirlo è il tribunale di Perugia, dove un anno fa De Fiore ha patteggiato la pena in un processo per peculato da cui origina questa misura disposta dalla corte dei Conti della Capitale. I fatti risalgono al 2010-2011.

Per sostenere la partecipazione del tribunale di Roma al «Salone della giustizia», la fiera, aperta al pubblico, che riunisce ogni anno magistrati, avvocati, imprenditori, forze dell’ordine, De Fiore si era rivolto ad alcuni sponsor — aziende che operano anche nel settore della giustizia con la produzione di strumenti per uso investigativo — e aveva così raccolto 280mila euro per il biennio oggetto delle indagini. Di questi soldi, però, solo la metà sono stati destinati alle due fiere, la prima tenuta a Rimini, la seconda a Roma, al Parco dei Principi. Il resto, i 140mila euro «avanzati» dalle voci di allestimento degli stand, conferenze, viaggi etc, anziché finire nelle disponibilità del tribunale sarebbe stato speso da De Fiore per fini illeciti. I 550mila euro sequestrati ieri sono così il risultato del calcolo fatto dai magistrati contabili che oltre al danno patrimoniale chiedono la restituzione del danno di immagine all’istituzione pubblica e il disservizio arrecato alla stessa.

Come detto, solo per una parte di questi 140mila euro spesi dall’ex presidente si è potuti risalire all’uso che ne è stato fatto. I finanzieri hanno rintracciato gli assegni intestati agli agenti della scorta e le donazioni a una onlus. Altre cifre non quantificabili al dettaglio sono quelle «donate» in contanti ai dipendenti dell’ufficio di presidenza e a una parrocchia. Lo stesso dicasi per la parte caricata su due carte prepagate e usata dall’ex presidente,oggi 81enne, per le spese correnti e per la festa organizzata nella sua abitazione privata, alla quale furono invitati, a mo’ di ringraziamento, anche gli stessi sponsor che avevano foraggiato la partecipazione ai saloni della giustizia.

Una volta in pensione, De Fiore è stato per sette mesi commissario straordinario del Comitato regionale Campania della Lega calcio dilettanti. Nel 2012 il suo nome finì anche in una interrogazione parlamentare che chiedeva all’allora ministro della Giustizia chiarimenti sul presunto coinvolgimento del presidente del tribunale in un’inchiesta per corruzione riguardo a incarichi elargiti senza titolo a consulenti ed avvocati. L’indagine fu archiviata.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun gen 14, 2019 10:31 pm

Soldi e diamanti in cambio di sentenze favorevoli: arrestati due magistrati pugliesi Antonio Savasta e Michele
4 gennaio 2019
Davide Falcioni

https://www.fanpage.it/soldi-e-diamanti ... i-pugliesi

Antonio Savasta, ex pubblico ministero del Tribunale di Trani ma ora giudice a Roma, e il suo collega Michele Nardi, pm a Roma, precedentemente gip a Trani e magistrato all’ispettorato del ministero della Giustizia, sono stati tratti in arresto e condotti in carcere su disposizione della Procura di Lecce con le accuse di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso. Nell’inchiesta è coinvolto, anche se con un ruolo secondario, anche l’imprenditore Luigi Dagostino, re degli outlet ed ex socio di Tiziano Renzi e Laura Bovoli, che era stato indagato a Trani da Savasta per false fatturazioni per le sue imprese. Il pm, secondo l’accusa dei magistrati di Lecce, lo avrebbe favorito in cambio di utilità. Per l’imprenditore è stato disposto il divieto temporaneo di esercizio dell’attività imprenditoriale e di esercizio degli uffici direttivi per un anno.

Secondo l'accusa Antonio Savasta e Michele Nardi avrebbero garantito esiti processuali positivi in diverse vicende giudiziarie e tributarie in favore degli imprenditori coinvolti in cambio di ingenti somme di danaro e, in alcuni casi, di gioielli e diamanti. Gli imprenditori avrebbero pagato per i favori ricevuti e gli avvocati avrebbero svolto il ruolo di intermediari e facilitatori. E' quanto avrebbe accertato la Procura di Lecce, che nella nota firmata dal procuratore Leonardo Leone de Castris spiega come le indagini abbiano svelato un “programma criminoso” che tramite il “costante ricorso alla corruzione di pubblici ufficiali, assicurava favori nei confronti di facoltosi imprenditori”. Savasta e Nardi “avrebbero garantito positivi esiti processuali” nelle vicende giudiziarie in cui erano coinvolti gli imprenditori, “in cambio di ingenti somme di denaro e in alcuni casi di altre utilità tra cui anche gioielli e pietre preziose“.

Il valore dei beni sequestrati supera complessivamente i due milioni di euro. In particolare, al magistrato Michele Nardi sono stati sequestrati beni per 672mila euro tra cui un orologio Daytona Rolex d'oro e diamanti; all'altro magistrato Antonio Savasta sono stati sequestrati beni per quasi 490.000 euro; altri 436mila sono stati sequestrati rispettivamente al poliziotto Vincenzo Di Chiaro, e all'avvocata barese Simona Cuomo. All'imprenditore fiorentino e all'avvocato Ruggiero Sfrecola altri 53mila euro.

La Procura ha aggiunto: "Il ricorso alla misura cautelare si è reso indispensabile tenuto conto del concreto pericolo di reiterazione di condotte criminose e del gravissimo, documentato e attuale rischio di inquinamento probatorio".


Massoneria, servizi deviati, Gladio: le minacce di morte del giudice all'imprenditore che non poteva più pagarlo
Tiziana Colluto
15 Gennaio 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/0 ... 1vO1qJ-k0s

Le confessioni fiume rese da Flavio D’Introno ricostruiscono gli ingranaggi del presunto sistema di corruzione nel tribunale di Trani e accusano i pm Antonio Savasta e Michele Nardi. Quest'ultimo non esita a promettere di far uccidere D'Introno se avesse raccontato ad altri il loro rapporto: accade, come dice l'imprenditore, quando “dopo dieci anni, il pozzo si è prosciugato” e non poteva più pagare il magistrato, che era arrivato a chiedergli - oltre a orologi, diamanti e vari benefit per centinaia di migliaia di euro - anche due milioni di euro per corrompere altri giudici

Ci sono la massoneria e i servizi segreti deviati. C’è persino il sistema Gladio, l’organizzazione paramilitare nata su impulso della Nato in chiave antisovietica. Sono gravide di questi riferimenti le minacce di morte raccontate, quando, “dopo dieci anni, il pozzo si è prosciugato”. Le confessioni fiume rese dall’imprenditore di Corato (Bari) Flavio D’Introno dicono di una paura piena, ma anche di depistaggi e di una fuga all’estero ben architettata, il “sistema Albania”. Le sue parole ricostruiscono gli ingranaggi del presunto sistema di corruzione nel tribunale di Trani e inchiodano il magistrato Michele Nardi, almeno stando alle oltre 800 pagine di ordinanza firmata dal gip del Tribunale di Lecce Giovanni Gallo. Ieri, sono state eseguite le misure di custodia cautelare in carcere a carico suo e dell’ex pm di Trani Antonio Savasta, oltre che di un ispettore di polizia. Tra le misure interdittive notificate, una è a carico del noto imprenditore Luigi Dagostino.

LE MINACCE DI MORTE E LO SPAURACCHIO GLADIO
“Disse che se io parlo allora mi doveva far ammazzare da questi dei servizi segreti, tanto lui a Lecce era molto potente, conosceva gip, capo procura, conosceva tutti, disse: ‘Tu sei un morto che cammina se parli’, disse”. Così D’Introno ricostruisce lo “stillicidio” durante gli interrogatori, perché Nardi ci andava giù pesante quando lui non era disponibile: “Quando faccio vedere la tua foto – gli avrebbe detto – faccio uscire a uno e viene qua… io ho i contatti con i servizi segreti. Ho sentito “Inzerrillo” disse su un altro procedimento penale della struttura Gladio”. Lo ribadisce più volte: “Nardi mi ha minacciato di morte dicendosi capace di fare del male sia alla dottoressa Licci (la pm, ndr) che a me che al luogotenente Santoniccolo per il tramite dei servizi segreti deviati”. Così Flavio D’Introno s’è deciso a parlare. Inizialmente, riferisce solo dei suoi rapporti con Nardi, cerca di tener fuori Savasta, in virtù del “patto d’onore” tra loro. Pian piano, però, si apre e delinea i contorni di quella che lui stesso definisce “associazione a delinquere” finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, accusa che per il gip ha sostanza.

L’imprenditore 46enne fa di più: per dare maggiore riscontro alle sue dichiarazioni, nell’autunno scorso prende a registrare con lo smartphone i colloqui al bar e altrove. A tratti i rapporti si invertono. Savasta evidentemente ha seri timori: lo invita a non dire nulla di loro e gli promette 50mila euro per fuggire alle Seychelles. È il “prezzo del silenzio di D’Introno – è annotato nell’ordinanza – così come emerge il pieno coinvolgimento anche di Nardi nella strategia finalizzata a comprare il silenzio, provvedendo a fornirgli i mezzi per fuggire dall’Italia e rendersi definitivamente irreperibile”. Il 18 novembre 2018, Savasta consegna a D’Introno i primi 1.800 euro a titolo di anticipo, perché “diciamo tu ti rendi conto che dovremmo vergognarci di vivere per quello che uscirà fuori di merda”, gli spiega l’ex pm.

A CIASCUNO IL SUO RUOLO
È l’epilogo di un’organizzazione in cui ciascuno ha il suo ruolo, nella ricostruzione fatta dal pm Roberta Licci e dal procuratore di Lecce Leonardo Leone De Castris: “Nardi è colui che stabilisce le regole organizzative dell’associazione e la ripartizione dei profitti”, “crea i contatti, acquisisce informazioni”; Savasta, “in virtù delle sue funzioni presso la Procura di Trani, concretamente ha il potere di intervenire ed agisce attivando le più disparate iniziative giudiziarie”; Vincenzo Di Chiaro, ispettore presso il commissariato di Corato, “ha il compito di predisporre false relazioni di servizio e comunicazioni di reato, tutte puntualmente ‘canalizzate’ in modo tale da farle pervenire direttamente a Savasta” ed è il trait d’union tra quest’ultimo e D’Introno; Simona Cuomo, nella sua veste di avvocato, “fornisce copertura giuridica alle iniziative concordate”, costruendo anche false denunce. Grazie a questa architettura si sarebbe consumata più volte la svendita della funzione giudiziaria, un “asservimento, e la circostanza rende se possibile ancora più squallida l’intera vicenda, che i due magistrati – scrive il gip – offrono all’imprenditore D’Introno per risolvere i suoi guai giudiziari, imprenditore visto quale una ‘gallina dalle uova d’oro’ a cui spillare denaro e altre utilità in ogni possibile occasione”.

IL SISTEMA DEL 10%
Dalle carte, disseminate di omissis, emerge che i due magistrati hanno tenuto rapporti diretti anche con altri imprenditori, capitolo su cui le indagini sono ancora in corso. Il sistema, comunque, sempre lo stesso: Nardi “pretendeva il 10 per cento su tutte le questioni trattate da altri magistrati grazie alla sua intercessione”. Pur essendo ormai da diversi anni in servizio a Roma, ora come pm e prima nell’ispettorato del ministero della Giustizia, aveva, a quanto pare, porte aperte nella locale Procura: “Nardi – stando a quanto riferito da D’Introno – aveva il tabulato dei turni dei magistrati di Trani ed era in grado di segnalarmi i giorni precisi per fare in modo che le denunce da me presentate andassero direttamente nella competenza di Savasta”. Nardi tornava nella sua città ogni fine settimana e “ogni dieci, quindici giorni io gli consegnavo soldi in contanti, 1000, 2000, 1500”, rivela l’imprenditore.

In un decennio gli avrebbe dato di tutto, come prezzo della mediazione “ma anche con il pretesto di dover comprare il favore di altri giudici”: un viaggio a Dubai da 10mila euro; la ristrutturazione di un immobile a Roma per 120mila euro e di una villa a Trani per 600mila; diverse somme in contanti; un Rolex d’oro dal valore di 34mila euro; due diamanti da 27mila euro ciascuno. Nardi inizia a proporre poi investimenti nella capitale, come due appartamenti in Piazza di Spagna, finiti in una indagine per bancarotta fraudolenta che lui sta seguendo. Di più: gli chiede due milioni di euro, somme che giustifica come necessarie per corrompere altri giudici, ad una settimana dalla definizione del processo Fenerator in cui l’imprenditore è imputato per usura. D’Introno, però, non ha più soldi. E da quel procedimento giudiziario, anche in appello, ne esce con una condanna. Dopo anni di versamenti, inizia a pensare di “essere stato sfruttato senza in fondo ottenere i risultati che gli erano stati garantiti”.

IL TENTATIVO DI DEPISTAGGIO
Nardi a quel punto gli fa paura: vanta amicizie potenti e la capacità di influenzare gli ambienti giudiziari. Del procedimento a suo carico a Lecce, ad esempio, sembra sapere molto sin dall’inizio, grazie ad una talpa (non individuata) nel palazzo di giustizia salentino. Poiché sa – è la motivazione per cui è stata accolta la richiesta di custodia cautelare in carcere – tenta la carta dell’inquinamento probatorio: “In sostanza – spiega D’Introno – lui mi diceva di riferire volutamente durante i contatti telefonici delle circostanze non aderenti alla realtà, per creare delle prove a suo favore che gli servivano per depistare le nostre indagini di cui lui era sempre a conoscenza. In questo modo si garantiva l’impunità o meglio una imputazione più blanda, di cui era stato già rassicurato da sue fonti interne alla Procura di Lecce”. Per lo stesso motivo, Nardi avrebbe orchestrato con l’avvocato Cuomo una strategia tale da rendere Savasta “il capro espiatorio di tutta la vicenda”. Invece, l’imprenditore puntualizza: sì, “erano un tutt’uno” ma “Savasta eseguiva gli ordini di Nardi. Nardi comandava, la parola precisa”.

COME PILOTARE I PROCESSI
Su “mandato di Nardi” e con la collaborazione dell’ispettore Di Chiaro, Savasta avrebbe cercato di pilotare i processi di primo e secondo grado in cui era imputato D’Introno. Lo avrebbe fatto, in cambio di complessivi 300mila euro, con il fuoco incrociato: stando all’impianto accusatorio, si è mosso attivando – pur non essendo titolare del procedimento Fenerator – procedimenti penali a carico di parti offese e testimoni, a mezzo stralcio da suoi procedimenti concernenti persone e vicende del tutto scollegate. Al poliziotto il compito di creare l’input, depositando annotazioni di polizia giudiziaria e informative di reato attestanti false circostanze e supportate da false dichiarazioni rese da due uomini di D’Introno. Tutto con l’obiettivo di minare l’attendibilità delle prove d’accusa a carico di quest’ultimo. L’imprenditore sarebbe stato aiutato anche per fronteggiare cartelle esattoriali per milioni di euro e nel tentativo di un “golpe aziendale” nella Ceramiche San Nicola, una delle più redditizie aziende di famiglia, che avrebbe voluto sfilare dalle mani del padre e della sorella attraverso un continuo attacco giudiziario sferrato da Savasta.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » ven feb 08, 2019 10:26 am

Sentenze pilotate, arresti e perquisizioni al Consiglio di Stato

Quattro provvedimenti cautelari per i giudici Nicola Russo e Raffaele Maria De Lipsis, ex presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa siciliano, e Luigi Pietro Maria Caruso, ex consigliere della Corte dei Conti. Ordine di cattura anche per il deputato siciliano Giuseppe Gennuso
di GIUSEPPE SCARPA e ALESSANDRA ZINITI
07 febbraio 2019

https://www.repubblica.it/cronaca/2019/ ... -218519440

ROMA - Quattro ordinanze di custodia cautelare sono state emesse dal gip di Roma Daniela Caramico D'Auria, per i reati di corruzione in atti giudiziari commessi in seno al Consiglio di Stato e al Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia. Ai domiciliari il giudice del Consiglio di Stato Nicola Russo (ora in pensione), già arrestato a marzo dello scorso anno con l'immobiliarista Stefano Ricucci, l'ex presidente del Cga siciliano Raffaele de Lipsis, il deputato siciliano di Popolari e Autonomisti Giuseppe Gennuso di Siracusa e l'ex consigliere (ora in pensione) della Corte dei Conti Luigi Pietro Maria Caruso.

L'indagine è quella relativa a presunte sentenze pilotate (almeno cinque) presso palazzo Spada e presso il Consiglio di giustizia amministrativa di Sicilia. Un giro di mazzette da 150.000 euro, solo quello accertato in questo troncone d'inchiesta che fa riferimento al giro dell'avvocato Piero Amara, il grande regista dei verdetti aggiustati nell'ambito della giustizia amministrativa.

Uno dei giudici arrestati è l'ex consigliere di Stato Nicola Russo, già destinatario di un ordine di cattura a marzo scorso insieme all'immobiliarista Stefano Ricucci.Amara, che collabora da diversi mesi, racconta di avere pagato 20.000 euro a Russo per pilotare sentenze su tre diversi procedimenti.

Uno degli ordini di custodia cautelare riguarda l'ex presidente del Cga siciliano Raffaele Maria De Lipsis, accusato di corruzione. Avrebbe intascato diverse tangenti da Amara. ll nome di De Lipsis era stato uno dei primi a finire nel mirino dei pm di Roma e Messina che da oltre un anno indagano sul giro di sentenze aggiustate nei processi che riguardano la giustizia amministrativa. Le sue sentenze, a cominciare da quelle sul contenzioso della Open land a Siracusa, sono state passate al setaccio dagli investigatori della Guardia di Finanza. Secondo gli inquirenti, insieme ad un altro ex presidente del Cga Riccardo Virgilio, già finito agli arresti a febbraio dell'anno scorso, De Lipsis sarebbe stato tra i giudici sui quali Amara e il suo socio di studio Calafiore ricorrevano in favore dei loro clienti.

La sentenza contestata per la quale procede la procura di Roma è quella del collegio presieduto da de Lipsis che, accogliendo il ricorso di Giuseppe Gennuso, annullò le elezioni regionali a Siracusa facendo poi rivotare e favorendo così l'elezione di Giannuso che avrebbe pagato 30.000 euro per il tramite per il tramite dell'amico consigliere della Corte dei Conti Caruso. Tra i mediatori delle sentenze pilotate torna il nome dell'avvocato Stefano Vinti il professionista che, secondo quanto dice l'ex parlamentare Italo Bocchino intercettato, comprava le cause " a blocchi".

Con De Lipsis salgono a tre i giudici del Cga siciliano ad essere finiti agli arresti in un'inchiesta che, dopo le dichiarazioni di Amara e Calafiore, continua ad allargarsi a macchia d'olio e promette nuovi sviluppi. A luglio, la Procura di Messina guidata da Maurizio de Lucia aveva ottenuto l'arresto di Giuseppe Mineo, anche lui accusato di corruzione in atti giudiziari
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » lun mar 18, 2019 5:33 am

La banda dei giudici corrotti: sentenze vendute, depistaggi. La rete anche in Sicilia
2019/03/13

https://www.tp24.it/2019/03/13/rassegna ... JykCx4mqbU

Giustizia corrotta, ai massimi livelli. Con una rete occulta che corrode il potere giudiziario dall’interno, arrivando a minare i pilastri della nostra democrazia. Un’inchiesta delicatissima, coordinata dalle Procure di Roma, Messina e Milano, continua a provocare arresti, da più di un anno, tra magistrati di alto rango. Non si tratta di casi isolati, con la singola toga sporca che svende una sentenza. L’accusa, riconfermata nelle diverse retate di questi mesi, è molto più grave: si indaga su un sistema di contropotere giudiziario, con tutti i crismi dell’associazione per delinquere, che si è organizzato da anni per avvicinare, condizionare e tentare di corrompere un numero indeterminato di magistrati. Qualsiasi giudice, di qualunque grado.

Al centro dello scandalo ci sono i massimi organi della giustizia amministrativa: il Consiglio di Stato e la sua struttura gemella siciliana. Sono giudici di secondo e ultimo grado: decidono tutte le cause dei privati contro la pubblica amministrazione con verdetti definitivi (la Cassazione può intervenire solo in casi straordinari). Molti però non sono magistrati: vengono scelti dal potere politico. Eppure arbitrano cause di enorme valore, come i mega-appalti pubblici. Interferiscono sempre più spesso nelle nomine dei vertici di tutta la magistratura, che la Costituzione affida invece al Csm. Possono perfino annullare le elezioni. L’indagine della procura di Roma ha già provocato decine di arresti, svelando storie allucinanti di giudici amministrativi con i soldi all’estero, buste gonfie di contanti, magistrati anche penali asserviti stabilmente ai corruttori, giri di prostituzione minorile e sentenze svendute in serie, «a pacchetti di dieci». Con tangenti pagate anche per annullare il voto popolare. Un attacco alla democrazia attraverso la corruzione.

L’antefatto è del 2012: un candidato del centrodestra in Sicilia, Giuseppe Gennuso, perde le elezioni per 90 preferenze e contesta il risultato, avvelenato da una misteriosa vicenda di schede sparite. In primo grado il Tar boccia tutti i ricorsi. Quindi il politico siciliano, secondo l’accusa, versa almeno 30 mila euro a un mediatore, un ex giudice, che li consegna al presidente del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, Raffaele Maria De Lipsis. Che nel gennaio 2014 annulla l’elezione e ordina di ripetere il voto in nove sezioni dei comuni di Pachino e Rosolini: quelle dove è più forte Gennuso. Che nell’ottobre 2014 conquista così il suo seggio, anche se ha precedenti per lesioni, furto con destrezza ed è indiziato di beneficiare di voti comprati. Il politico respinge ogni accusa. Che oggi risulta però confermata dalle confessioni di due potenti avvocati siciliani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore, arrestati nel febbraio 2018 come grandi corruttori di magistrati.

L’esistenza di una rete strutturata per comprare giudici era emersa già con le prime perquisizioni. Nel luglio 2016, in casa di un funzionario della presidenza del consiglio, Renato Mazzocchi, vengono sequestrati 250 mila euro in contanti e una copia appuntata di una sentenza della Cassazione favorevole a Berlusconi sul caso Mediolanum. Altre indagini portano a scoprire, come riassume il giudice che ordina gli arresti, «un elenco di processi, pendenti davanti a diverse autorità giudiziarie», con nomi di magistrati affiancati da cifre. Uno di questi è Nicola Russo, presidente di sezione del Consiglio di Stato, nonché giudice tributario. Quando viene arrestato, nella sua abitazione spuntano atti di processi amministrativi altrui, chiusi in una busta con il nome proprio di Mazzocchi. Negli stessi mesi Russo viene sospeso dalla magistratura dopo una condanna in primo grado per prostituzione minorile. Oggi è al secondo arresto con l’accusa di essersi fatto corrompere non solo dagli avvocati Amara e Calafiore, ma anche da imprenditori come Stefano Ricucci e Liberato Lo Conte. Negli interrogatori Russo conferma di aver interferito in diversi processi di altri giudici, su richiesta non solo di Mazzocchi, ma anche di «magistrati di Roma» e «ufficiali della Finanza». Ma si rifiuta di fare i nomi. Per i giudici che lo arrestano, la sua è una manovra ricattatoria: l’ex giudice cerca di «controllare questa rete riservata» di magistrati e ufficiali «in debito con lui per i favori ricevuti».

Anche De Lipsis, per anni il più potente giudice amministrativo siciliano, ora è agli arresti per due accuse di corruzione. Ma è sospettato di aver svenduto altre sentenze. La Guardia di Finanza ha scoperto che la famiglia del giudice ha accumulato, in dieci anni, sette milioni di euro: più del triplo dei redditi ufficiali. Scoppiato lo scandalo, si è dimesso. Ma anche lui ha continuato a fare pressioni su altri giudici, che ora confermano le sue «raccomandazioni» a favore di aziende private come Liberty Lines (traghetti) e due società immobiliari di famiglia dell’avvocato Calafiore, che progettavano speculazioni edilizie nel centro storico di Siracusa (71 villette e un ipermercato) bocciate dalla Soprintendenza.

L’inchiesta riguarda molti verdetti d’oro. Russo è accusato anche di aver alterato le maxi-gare nazionali della Consip riassegnando un appalto da 338 milioni alla società Exitone di Ezio Bigotti e altri ricchi contratti pubblici all’impresa Ciclat. Per le stesse sentenze è sotto inchiesta un altro ex presidente di sezione del Consiglio di Stato, Riccardo Virgilio: secondo l’accusa, aveva 751 mila euro su un conto svizzero. Per ripulirli, il giudice li ha girati a una società di Malta degli avvocati Amara e Calafiore.

Tra gli oltre trenta indagati, ma per accuse ancora da verificare, spicca un altro presidente di sezione, Sergio Santoro, ora candidato a diventare il numero due del Consiglio di Stato.

A fare da tramite tra imprenditori, avvocati e toghe sporche, secondo l’accusa, è anche un altro ex magistrato amministrativo, Luigi Caruso. Fino al 2012 era un big della Corte dei conti, poi è rimasto nel ramo: secondo l’ordinanza d’arresto, consegnava pacchi di soldi alle toghe sporche ancora attive. Lavoro ben retribuito: tra il 2011 e il 2017 l’ex giudice ha versato in banca 239 mila euro in contanti e altri 258 mila in assegni.

Amara, come avvocato siciliano dell’Eni, è anche l’artefice della corruzione di un pm di Siracusa, Giancarlo Longo, che in cambio di almeno 88 mila euro e vacanze di lusso a Dubai aprì una fanta-inchiesta giudiziaria ipotizzando un inesistente complotto contro l’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi. Un depistaggio organizzato per fermare le indagini della procura di Milano sulle maxi-corruzioni dell’Eni in Nigeria e Congo. Dopo l’arresto, Longo ha patteggiato una condanna a cinque anni. Ma la sua falsa inchiesta ha raggiunto il risultato di spingere alle dimissioni gli unici consiglieri dell’Eni, Luigi Zingales e Karina Litwak, che denunciavano le corruzioni italiane in Africa.

Nella trama entra anche il potere politico, proprio per i legami strettissimi tra Consiglio di Stato e governi in carica. Giuseppe Mineo è un docente universitario nominato giudice del Consiglio siciliano dalla giunta dell’ex governatore Lombardo. Nel 2016 vuole ascendere al Consiglio di Stato. A trovargli appoggio politico sono gli avvocati Amara e Calafiore, che versano 300 mila euro al senatore Denis Verdini, che invece nega tutto. L’ex ministro Luca Lotti però conferma che proprio Verdini gli chiese di inserire Mineo tra le nomine decise dal governo Renzi. Alla fine il giudice raccomandato perde la poltrona solo perché risulta sotto processo disciplinare per troppi ritardi nelle sue sentenze siciliane.

Tra i legali ora indagati c’è un altro illustre avvocato, Stefano Vinti, accusato di aver favorito un suo cliente, l’imprenditore Alfredo Romeo, con una tangente mascherata da incarico legale: un “arbitrato libero” (un costoso verdetto privato) affidato guarda caso al padre del solito Russo. Proprio lui, l’ex giudice che sta cercando di usare lo squadrone delle toghe sporche, ancora ignote, per fermare i magistrati anti-corruzione.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » gio giu 06, 2019 9:58 pm

La giustizia italiana è la peggiore d’Europa: “Sempre più lenta e inefficiente”
MATTEO INDICE
2019/04/26

https://www.lastampa.it/2019/04/26/ital ... agina.html

La giustizia italiana è sempre più inefficiente e lenta. Nonostante i continui richiami della Commissione i tempi necessari per risolvere contenziosi civili e commerciali aumentano. Nel 2016 ci volevano 514 giorni per arrivare ad una sentenza di primo grado, nel 2017 ce ne sono voluti, in media, 548. Un mese in più. E’ il dato più alto di tutta Europa. Nessuno deve attendere un anno e mezzo per un pronunciamento di primo grado. Ma l’Italia è maglia nera anche per le sentenze di secondo grado e terzo grado. Oltre due anni per un secondo pronunciamento (843 giorni), e tre anni e mezzo per la sentenza definitiva (1.299 giorni).

Dai dati raccolti dalla relazione annuale di valutazione sulla giustizia della Commissione europea, non brilla neppure la giustizia amministrativa. Nel 2017 ci sono voluti 887 giorni decisioni in questi tribunali. Peggio hanno saputo fare solo Cipro, Malta e Portogallo. I Tar sono comunque in controtendenza: in un’Italia dove i tempi della giustizia crescono, a livello amministrativo si riducono di più di un mese (-38 giorni).

Potrebbe essere un problema di risorse. L’Italia è il nono Paese dell’Ue per soldi spesi nel sistema della giustizia, l’equivalente di 96 euro per cittadino. Ma il 63% di quello che viene investito dallo Stato nel sistema giustizia serve a coprire i salari dei giudici e del personale dei tribunali. Le difficoltà del sistema Italia si spiegano allora probabilmente con la penuria di giudici. Il Paese è 23esimo su 27 (non disponibili i dati britannici) per numero di giudici per ogni 100mila abitanti: appena 10. Pochi, considerando che in Croazia e Slovenia se ne contano più di 40 (43 e 42 rispettivamente).

Lentezze e inefficienze incidono sulla percezione del sistema della giustizia. Appena il 37% degli italiani ritiene che i giudici siano indipendenti. Solo in Croazia, Slovacchia, Bulgaria, e Spagna c’è una sfiducia maggiore. Neppure le imprese scommettono sulla giustizia italiana. Solo il 39% di esse considera giudici e tribunali indipendenti. Un motivo per non investire nel Paese.

«Il quadro di valutazione dell’Ue arriva in un momento in cui le sfide allo stato di diritto stanno aumentando in alcune parti d’Europa», sottolinea il commissario europeo per la giustizia, Vera Jourova. «Purtroppo, alcuni altri stanno invertendo le tendenze positive». Un riferimento anche all’Italia.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » gio giu 06, 2019 9:58 pm

Giudici e pm in processione per farsi sistemare da Palamara
Luca Fazzo - Mar, 04/06/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... nGbQ0Fs7Dk

L'inchiesta sull'ex presidente Anm fa emergere una rete di favori. Nuove intercettazioni, trema il sistema

Undici su diciassette. Dei diciassette magistrati che fino all'anno scorso facevano parte del Csm, decidendo le sorti della giustizia italiana, stabilendo promozioni e trasferimenti nelle alchimie di un mercato sotterraneo, ben undici si sono precipitati - appena finito il loro mandato - a chiedere ai successori un nuovo posto di prestigio, qua e là per il paese.

Quanti di questi undici avranno chiesto un aiuto a Luca Palamara, il potente pm romano, già presidente dell'Associazione nazionale magistrati, oggi indagato per corruzione per i modi da basso impero con cui gestiva il suo potere? «Faccio una ipotesi: tutti», dice una fonte che conosce come va questo mondo.

È questo il vero fronte che rischia di aprirsi quando i segreti del telefonino di Palamara diverranno di pubblico dominio. Perché nella rete di potere di cui Palamara era un tassello cruciale è coinvolto a trecentosessanta gradi il sistema che ha governato la magistratura in questi anni. A venire travolte dal sospetto se non dall'infamia, quando si alzerà il velo su questi segreti, saranno non solo le nomine degli anni scorsi ma anche quelle ancora aperte, il risiko che sta per disegnare gli equilibri dell'intera magistratura italiana. A venire investite dalla bufera saranno nomine e aspirazioni legittime quanto quelle impresentabili. Perché tutti, meritevoli o immeritevoli, bussavano alle porte di Palamara.

Il trojan della Guardia di finanza viene installato sul telefono del pm romano all'inizio di maggio. A venire ascoltate in diretta sono solo le trattative dell'ultimo periodo, quelle incentrate sulla scelta del nuovo procuratore di Roma. Ma lo smartphone di Palamara, a meno che non sia stato accuratamente ripulito, ha dentro di sé la memoria di anni in cui scelte cruciali per l'andamento della giustizia sono state gestite nel sottobosco del Csm. Il quadro che promette di uscirne è devastante.

Ieri la Procura di Perugia trasmette al Csm una nuova infornata di trascrizioni. Nel pomeriggio le ha potute leggere il vicepresidente David Ermini, che è andato al Quirinale, insieme allo staff del presidente Mattarella, in serata ne è stato fatto un riassunto agli altri consiglieri in vista del plenum di oggi. Solo nei prossimi giorni si capirà appieno quanto i pm perugini hanno ritenuto giusto disvelare di una inchiesta che è, per il terreno su cui scava, vulnerabile da condizionamenti e depistaggi. Svelare troppo può compromettere gli sviluppi.

Nell'attesa, a uscirne devastato è il Csm nel suo complesso, per due motivi. Il primo è la degenerazione dei rapporti con la politica. Le nomine sono state sempre politicamente orientate, ma fino all'altro ieri a portare la voce dei partiti nelle scelte provvedevano i consiglieri «laici» del Csm, eletti dal Parlamento anche (e soprattutto) per questo. Il rapporto c'era ma più mediato, meno brutale. Negli anni scorsi la mediazione salta. Palamara non tratta le nomine con Giuseppe Fanfani, il senatore messo in Csm da Matteo Renzi, ma direttamente con Luca Lotti, il palafreniere del leader. Salta il contesto istituzionale, restano solo le reti di interessi e di potere. Non è per questo, verrebbe da dire, che i padri costituenti diedero ai magistrati italiani il potere di governarsi da soli.

Il secondo motivo è che il Csm appare delegittimato dallo stesso meccanismo che lo ha eletto. Sabato si è dimesso Luigi Spina, il consigliere di Unicost indagato insieme a Palamara. Sulle mailing list e nella assemblea dell'Anm di Milano numerosi magistrati chiedono che seguano il suo esempio anche Antonio Lepre e Corrado Cartoni, che compaiono nelle intercettazioni. «C'è una questione morale», scrivono nella nota finale. Ebbene, sia Spina che Lepre sono pubblici ministeri, eletti al Consiglio in base alla spartizione preventiva tra le correnti: quattro candidati per quattro posti. Non ci sono candidati non eletti pronti a subentrare. Si dovrà tornare a votare. Ma in quale clima, con quali speranze di discontinuità, si terranno queste elezioni?

E a fare da sfondo a tutto c'è lo sfascio del sistema correntizio. Unicost, il correntone di centro che per decenni ha regnato alleandosi un po' a destra e un po' a sinistra come la vecchia Dc, è investito in pieno dallo scandalo. La sinistra di Area e di Magistratura democratica oggi è all'opposizione: ma evita di cavalcare lo scandalo, perché se si va a scavare sugli anni passati nessuno sa cosa può saltare fuori. E il grande rinnovatore-moralizzatore Piercamillo Davigo non può fare la voce grossa: perché nella votazione al centro dell'inchiesta, quella per la nomina del procuratore di Roma, ha votato nello stesso identico modo di Lepre. Probabilmente non si era neanche accorto di quanto gli accadeva sotto il naso, ma non è che questo vada del tutto a suo favore.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » gio giu 06, 2019 9:59 pm

Denunciati i pm del caso Renzi: "Omesse indagini sulle spese pazze"
Giuseppe De Lorenzo - Mar, 05/01/2016

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... m7MiKjTT7w

Depositata l'accusa contro i pm che hanno archiviato il caso delle spese di Renzi: "Non hanno voluto indagare"

Una denuncia scritta contro due pm e il gip che hanno archiviato il "caso" delle spese pazze di Matteo Renzi quando era presidente della Provincia di Firenze.

A presentare l'esposto alla procura della Repubblica di Genova contro il procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, il sostituto Luca Turco e il Gip Alessandro Monetti, è Alessandro Maiorano, dipendente della provincia fiorentina diventato il "grande accusatore" del premier.

Maiorano scrive nella denuncia che "sussitono tutti gli estremi affinché l'Autorità adita proceda ai dovuti approfondimenti per comprendere se i magistrati indicati in epigafe abbiano omesso atti d'ufficio o abusato di atti d'ufficio in danno dello scrivente e comunque a vantaggio del Renzi Matteo". In poche parole, le colpe dei magistrati sarebbero quelle di aver chiuso più di due occhi sulle accuse, presentate dallo stesso Maiorano a più riprese e sostenute da alcuni documenti, contro il segretario del Pd. Il quale sarebbe colpevole di aver utilizzato in maniera illecita i fondi della Provincia a sua disposizione.


Le tappe della vicenda

Il primo agosto del 2014, l'ex dipendente della Provincia presentava alla procura di Firenze una denuncia contro il Presidente del Consiglio per i reati di "associazione a delinquere, corruzione e ricettazione nonché per consequenziali fattispecie di falso in atto pubblico". Per sostenenere le accuse, al fascicolo erano state allegati i documenti relativi alle spese sostenute da Renzi in quegli anni alla guida dell'ente provinciale, "dall'abbonamento Sky - si legge nella denuncia - alle somme incredibili in pranzi, cene, colazioni e cappuccini". Inoltre, ci sono anche i "9 milioni di euro succhiati da Florence Multimedia": "Mai nessuno - si legge nell'esposto - a cominciare dalla Procura di Firenze, si è mai interessato di approfondire onde accertare se l'operazione nascondesse o meno una colossale ipotesi di sperpero di denaro pubblico". Quello di cui sarebbero colpevoli i pm e il gip di Firenze, è quello di non aver voluto aprire una indagine per stabilire "se le somme regolarmente sborsare con riferimento a spese realmente sostenute, fossero suscettibili di rientrare in quelle occorrenti per il perseguimento di finalità istituzionali".

Non finisce qui. Perché Maiorano fa notare che le sue denunce furono presentate quando "il Comandante Interregionale della Guardia di Finanza, cui sempre venivano affidate le indagini, era il Generale di Corpo d'Armata, Michele Adinolfi", con il quale Renzi aveva "dimistichezza". Dimistichezza "dimostrata" dalle telefonate del Generale Adinolfi, intercettate, finite sui giornali e che ne hanno determinato le dimissioni anticipate. Anche in questo caso, Maiorano aveva chiesto alla procura di indagare per capire se questa "dimistichezza avesse potuto incidere sull'inerzia della Procura della Repubblica" in merito alle denuncie da lui presentate contro Renzi.

Tra le carte presentate da Maiorano contro il segretario Pd, anche un richiamo alla figura di Marco Carrai, amico di Renzi, affittuario nell'appartamento un cui viveva anche il premier, e presidente dell'Aeroporto di Firenze e amministratore della "Firenze Parcheggi" (a partecipazione comunale). Situazione che - secondo Maiorano - permetterebbe di parlare di conflitto di interessi.
Le indagini della Corte dei Conti

Sulle spese di Matteo Renzi alla Provincia di Firenze ha indagato anche la Corte dei Conti. Che ha scritto nero su bianco come alcune spese di ristorazione (10.190 euro) tra il 2007 e il 2009 fossero "giustificate con motivazioni del tutto generiche". Senza contare quell'abbonamento Sky (1.614 euro) "ad uso esclusivo del suo presidente Renzi, ritenuto non inerente all'attività istituzionale dell'ente".

Nonostante ciò, scrive Maiorano nella denuncia depositata questa mattina, la procura "a distanza di un anno, senza aver fatto nulla, senza aver compiuto un atto di indagine ed anzi facendo qualcosa di molto più grave, chiedeva l'archiviazione" del caso. Senza mettere bastoni tra le ruote al Rottamatore. E per questo, oggi, è scattata la denuncia.

Per accertare se i pm e il gip abbiano avuto, o meno, un occhio di riguardo nei confronti dell'attuale premier.
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » gio giu 06, 2019 9:59 pm

Io giudice vi svelo le vergogne della casta
Sab, 02/03/2013

http://www.ilgiornale.it/news/interni/c ... 91579.html

Il codice non scritto prevede "vivi e lascia vivere". Decisivi gli appoggi politici al Csm

Quando entri in magistratura, è come dischiudere uno scrigno segreto e misterioso. Hai l'impressione d'essere stato ammesso in un regno proibito. Con le sue leggi, i suoi codici di comportamento.

Rigorosamente non scritti, prima regola. Nulla di ufficiale. Quello che è ufficiale è demandato a Note, Circolari, Protocolli, utili per giustificare l'esistenza di un grande apparato.
Quando entri in magistratura, resti allibito; poi, lentamente, ne assorbi il clima, le consuetudini. Ti arriva subito forte e chiaro un messaggio: vivi e lascia vivere, camperai cent'anni. Il tuo ego cresce a dismisura, tanto quanto il peso della toga. Scopri come sia importante la difesa dei tuoi privilegi: questione di sopravvivenza. Non muovere le acque, non rompere gli equilibri, non discutere le tradizioni: ne puoi trarre vantaggio al pari degli altri. E, dunque, perché agitarsi? Non sei d'accordo? Finirai a smaltire l'arretrato dei colleghi lavativi. Sarai tollerato come un diverso, insidioso e pericoloso. Alla prima occasione, fuori.

Quando il tribunale si svuota, il collega del Sud che se ne va, vedendomi ancora chino sul lavoro, mi canzona ridendo: «Tanto, lo stipendio è sempre uguale...». In effetti non esistono orari d'ufficio. A che ora vengo a lavorare? Quando tieni udienza. Quando tengo udienza? Lo decidi tu. Perché non si lavora al pomeriggio? Perché manca il personale. Perché convochiamo testi, sapendo che l'udienza va rinviata? Il teste ha l'obbligo di comparire. Perché la stanza del mio collega è sempre vuota? Lavora da casa, s'è portato via i fascicoli, stende le sentenze nel tinello, dove può concentrarsi di più. Perché a Natale, a Ferragosto, a Pasqua i tribunali sono vuoti? Non ci sono attività istituzionali. Perché il collega è assente? È indisposto. Ha mandato il certificato medico, almeno? No, lo porterà al rientro. Perché il procuratore viene al lavoro con l'auto blindata partendo da casa sua, che dista decine di chilometri dall'ufficio? È stato autorizzato.

E ancora. Perché esiste la sospensione dei termini feriali e quindi non possiamo fissare udienze dal 31 luglio al 15 settembre? Perché gli avvocati vogliono andare in ferie. Perché non decidi subito sull'istanza di scarcerazione? Il codice mi assegna cinque giorni, dunque me li prendo tutti, così posso passare il fine settimana in famiglia. Perché non scrivi subito la sentenza? Devo farla decantare, ho fissato un termine di sei mesi, come il codice mi consente.
Vorrei fare domanda di trasferimento: devo andare al Csm a parlare con il consigliere che ho votato. Devo progredire in carriera: devo andare al Csm a parlare con il consigliere che ho votato. Ho un procedimento disciplinare in corso: devo andare al Csm a parlare con il consigliere che ho votato. Vado: «Sta' tranquillo, ho già parlato con gli altri colleghi della commissione disciplinare, andrà tutto per il meglio, nessuna sanzione». Il Consiglio superiore della magistratura salva i magistrati. È lì apposta. Ma perché ho in ballo un procedimento disciplinare? Trattasi di atto dovuto: ho messo in galera una persona per errore. E che sarà mai!

Al Csm entri nella guardiola esibendo il famoso tesserino verde, quello che ti frutta il rispetto sociale, i favoritismi, la visibilità sui mass media. Il clima è ovattato, esoterico. Cammini su tappeti rossi. Fai anticamera. Svolazzano di qua e di là tante impiegate, altrettante fanno capannello alla macchinetta del caffè. Commessi impettiti che potresti scambiare per presidenti di qualche tribunale. Il cortile sembra una concessionaria della Lancia, vi sono schierate decine di auto minacciosamente blu, appena uscite dall'autolavaggio.

Quando finalmente entri nella stanza del «tuo» consigliere, ti accorgi che gli hai interrotto una serie interminabile di telefonate e vedi dalle pile di fascicoli sulla sua scrivania, tutti blasonati col logo ministeriale o del Csm, che in quella stanza si discutono incarichi direttivi o semidirettivi in Procure e ministeri. Sei una nullità, con quella tua banale richiesta di poterti trasferire nella località di residenza dei tuoi genitori. In realtà, in quella stanza si decide chi sarà il procuratore generale della Cassazione o di Torino o di Palermo; chi dirigerà il tribunale di Roma o di Milano. Una specie di gioco a scacchi in cui le pedine si muovono in base a degli scambi. Per ogni posto importante vi è già tutta la filiera degli aventi diritto, concordati e spartiti fra le correnti. Come la «dinastia sabauda», così viene definita la cordata dei giudici piemontesi.

Te ne vai via dal Csm quasi subito con una bella stretta di mano rivestita dall'accento palermitano o napoletano. Riprendi il tuo trenino per il Nord. Hai vissuto una grande giornata, sei entrato anche tu, con tanto di tesserino spillato sulla giacca, nel Palazzo che decide il destino dei grandi magistrati, quelli potenti. Per la cui nomina si scomoda persino il capo dello Stato. Per te non si scomoderà nessuno. Anzi, devi stare attento alle prossime elezioni, il Csm si rinnova. Bisogna capire in fretta a quale corrente conviene aderire.
(*) Iudex è lo pseudonimo di un magistrato




Il Governo dei giudici
Mauro Anetrini
2019/06/06

http://www.opinione.it/editoriali/2019/ ... dipendenza


Metti che, in Italia, ci siano 8mila magistrati circa. A fronte dei pochi indagati, la maggior parte dei loro colleghi lavora in silenzio, lontano dai clamori e dai giochi di potere.

Quei “pochi”, tuttavia, al netto delle responsabilità individuali (o di gruppo, per dirla chiaramente), hanno creato una rete di controllo intollerabile in un Paese democratico. Hanno fatto esattamente ciò che, nei convegni pubblici, contestano al mondo politico, diventando essi stessi centro di un potere occulto, sottratto ad ogni controllo e, anzi, capace di condizionare o sostituirsi alla politica.

Quando parlavamo di governo dei Giudici, ci riferivamo proprio a questo: ad un sistema e non sporadici episodi. Avanti così non si può andare. Non è possibile che qualcuno possa pensare di controllare il Paese attraverso le nomine dei Procuratori di Roma, Milano e di coloro che, in forza delle regole sulla competenza, vigilano sul loro operato.

Qualche cosa bisognerà pur fare, estendendo l’intervento ben oltre (e addirittura indipendentemente da) la separazione delle carriere. Però, non dobbiamo neppure dimenticare gli “altri”, quelli che lavorano in silenzio, il cui operato rischia di essere delegittimato senza motivo.

Invertiamo la prospettiva: se davvero vogliamo cambiare le cose, pensiamo ai “buoni”, proteggiamo loro (e noi stessi) e scriviamo regole che impediscano loro di cedere alle tentazioni. Equilibrio e moderazione, non vendetta.

Dopo lo scandalo, molti magistrati hanno inteso ribadire la loro incondizionata adesione al principio secondo il quale il Giudice deve essere indipendente, sottolineando la connotazione morale del concetto di indipendenza. Giusto, giustissimo, anzi: sacrosanto.

Ma qui non è in discussione l’indipendenza della magistratura. Qui parliamo di un sistema di potere che ha piegato leggi ed istituzioni ad interessi inconfessabili, facendosi scudo anche o soprattutto con l’indipendenza. Strano, vero? Quelli che dovrebbero essere impermeabili agli altri poteri, scelgono di usarli, intimidirli, condizionarli e di costruirci la carriera e le fortune personali. Ad occhio, direi che l’indipendenza non c’entra affatto. Mercanteggiare cariche in nome dell’indipendenza non mi sembra una bella cosa.

Mettiamola così: facciamo due o tre ritocchini alle leggi vigenti e allarghiamo un po’ lo spettro dei controlli sull’operato extragiudiziario dei magistrati. L’obbligo di rendiconto sulle amicizie e sui regali ricevuti non mina la vostra indipendenza. In compenso, mette tranquilli noi, che (pensate un po’) siamo costretti dalla legge a fidarci di voi.



La riforma della giustizia imposta dai fatti
Arturo Diaconale
2019/06/06

http://www.opinione.it/editoriali/2019/ ... ia-procure

C’è molta schizofrenia in quanti s’indignano per le cene in cui i rappresentanti delle correnti della magistratura s’incontrano per tessere trame (che essendo notturne sono ovviamente oscure) sulle nomine dei capi delle Procure. E contemporaneamente si ergono a difesa dell’indipendenza della magistratura quando Matteo Salvini denuncia il fenomeno di giudici che manifestano pubblicamente il loro sostegno all’accoglienza indiscriminata ed emettono sentenze ispirate rigorosamente alle proprie convinzioni politiche.

L’indipendenza della magistratura dovrebbe valere in entrambi i casi. Non solo in quello in cui i giudici interpretano la legge sulla base delle proprie convinzioni politiche, ma anche in quello in cui si riuniscono in cene aperte anche ad esponenti di un partito per trovare intese sulle nomine dei procuratori. Invece in questo momento le trame sono oscure e fanno scattare sdegno, condanna ed esecrazione mentre la denuncia di un comportamento politico nell’uso della giustizia suscita furibonde levate di scudi in difesa del diritto inalienabile del magistrato a nutrire e manifestare le proprie opinioni politiche.

La spiegazione di tanta bizzarra schizofrenia non è il doppiopesismo morale ma il diverso interesse politico. Dipingere gli artefici delle trame oscure come una banda di toghe degenerate da espellere dalla magistratura è il modo migliore per favorire un ricambio nel Csm che veda la prevalenza di quelle correnti di sinistra estrema su quelle più moderate uscite vincitrici alle ultime elezioni interne alla categoria. Al tempo stesso, difendere le toghe che applicano la legge sulla base delle proprie convinzioni ideologiche è uno dei tanti modi per creare problemi al ministro dell’Interno, Matteo Salvini. A cui non si perdona di aver vinto le elezioni europee e di essere diventato l’avversario principale di quella parte della sinistra che da sempre nasconde dietro il diritto del magistrato-cittadino a manifestare le proprie opinioni la tentazione e la pratica ad usare la giustizia come strumento di battaglia politica.

A fare danni ed a provocare una ennesima ondata di sfiducia dei cittadini nei confronti dell’intero sistema della giustizia, però, sono sia le cene dei congiurati correntizi che le sentenze ispirate alle convinzioni politiche ed ideologiche. E per eliminare questa sfiducia c’è un solo modo: riformare alle radici il sistema che consente la degenerazione delle correnti e l’interpretazione politica della legge!
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Re: Casta de judiçi e dei avogadori, justisia tałiana

Messaggioda Berto » ven giu 07, 2019 8:29 pm

"I giudici provano sulla loro pelle processi mediatici e intercettazioni"
Stefano Zurlo - Ven, 07/06/2019

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... wCjDQ9xZJA

L'ex magistrato Nordio: "È un bene che ora siano vittime di indagini invasive spesso usate con una certa disinvoltura. È la nemesi"

È a un dibattito a Pordenone, ma Carlo Nordio non si sottrae al tema del giorno: «Siamo alla nemesi storica».

Si aspettava questo sconquasso dentro le solenni stanze del Csm?

«È vent'anni che scrivo queste cose e lo dico senza alcun compiacimento».

Politica e giustizia vanno a braccetto?

«Adesso tutti si scandalizzano per le riunioni carbonare fra i consiglieri e i politici, ma da sempre la politica la fa da padrona a Palazzo dei Marescialli e nell'Associazione nazionale magistrati. Basta riflettere sulle correnti che sono costruite a imitazione dei partiti, con una destra, un centro e una sinistra».

Sì, ma la legge prevede che un po' di politica ci possa e ci debba essere attraverso i consiglieri laici.

«Certo, ma i laici, che sono una minoranza, quando arrivano a Palazzo dei Marescialli dovrebbero interrompere ogni rapporto con i partiti. Solo che non va così».

Le nomine sono davvero pilotate?

«Certo. Se non hai la sponsorizzazione di questa o quella corrente non puoi aspirare a guidare uffici importanti. Le correnti fanno e disfano accordi, le correnti barattano i posti».

A danno del talento e delle capacita' delle singole toghe?

«Non è detto. A volte vengono scelti personaggi di primo piano, ma il criterio è quasi sempre quello della lottizzazione. E la riprova di questa consuetudine è la valanga di ricorsi che intasano Tar e Consiglio di Stato. E che spesso si concludono con la vittoria dei ricorrenti».

L'inchiesta di Perugia che cosa aggiunge a questo quadro?

«I fatti ipotizzati, se confermati, sarebbero gravissimi. Per questo sarebbe stato bene chiudere le indagini prima di divulgare episodi di cui non siamo ancora certi, ma il mondo va cosi. Per i comuni mortali e ora anche per le toghe. Conosciamo il contenuto delle indagini a pezzi e bocconi direttamente dai giornali, con il rischio di errori ed errate valutazioni».

Siamo alla nemesi storica.

«Appunto. La politica ha sempre strumentalizzato la giustizia: bastava un avviso di garanzia per essere messi fuorigioco. Ora lo stesso meccanismo dilaga dentro la magistratura e il Csm: la giustizia strumentalizza la giustizia».

Fra l'altro si procede sulla base di intercettazioni che sono scivolose per definizione.

«Certo. Quelle di cui parliamo in questi giorni sono parziali, incomplete, non sono state trascritte con i sacri crismi, ma a questo punto è bene che i magistrati assaggino sulla loro pelle queste tecniche investigative molto, molto invasive, utilizzate in tutti questi anni con una certa disinvoltura».

In questo caso si è andati oltre con il trojan inserito nel telefonino di Luca Palamara.

«Con il trojan ascolti tutto quello che viene detto al telefono e vicino al telefono, abolendo la vecchia distinzione fra intercettazioni telefoniche e ambientali. Questo strumento mi lascia perplesso ma il decreto Spazzacorrotti ha esteso la sua applicabilità anche ai reati di corruzione e non solo di mafia. Solo che la nuova disciplina entra in vigore il 1 luglio. Per questo io temo che tutti questi atti siano nulli».

Lei ha sempre attaccato la contiguità fra politica e giustizia. Non è cambiato niente dai tempi di Mani pulite?

«Pensi che una ventina d'anni fa fui convocato dai probiviri dell'Anm allora guidata da Elena Paciotti proprio per aver detto questa banale verità. Mi dissero che li avevo offesi con le mie parole, io mandai a quel paese l'Anm e di quella storia non si è saputo più nulla. Ma la patologia rimane: pensi a quante toghe sono entrate in Parlamento a metà o a fine carriera. Insomma, non siamo ingenui: le candidature non si costruiscono in 24 ore, evidentemente ci sono rapporti consolidati nel tempo».

Come si esce da questa situazione?

«Io la mia proposta l'ho formulata da tempo, almeno per il Csm: questo stato di cose si supera con il sorteggio».

Con i dadi?

«Con la sorte, come si fa per il Tribunale dei ministri e per i giudici popolari che danno anche l'ergastolo. Si prepara una lista di personalità specchiate e di prestigio: giudici di Cassazione, avvocati di lunga esperienza, professori universitari e da quel cesto si pescano i consiglieri. È l'unico modo, a mio parere, per spezzare il legame fra eletti e elettori. Una vicinanza che stride. Ancora di più nella formazione della Sezione disciplinare del Csm, insomma il tribunale della magistratura».

Che cosa non va nella Disciplinare?

«Il paradosso, chiamiamolo così, è clamoroso: i giudici vengono scelti dentro il Csm dai magistrati. Fatte le debite proporzioni è come se l'inquisito eleggesse la corte che dovrà decidere se assolverlo o condannarlo».

Intanto lo scandalo dell'inchiesta di Perugia si allarga. Il Csm assomiglia a una Asl o a una municipalizzata fra incursioni dei politici, nomine, veleni e gossip. Esagerazioni?

«Capisco che il popolo guardi con sconcerto ad una realtà che pareva immacolata ed è invece il crocevia di scorribande e scontri fra opposte fazioni. Questo mi addolora ma purtroppo non mi sorprende».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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