Ponte di Genova come la diga del Vajont

Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:34 am

Ponte di Genova come la diga del Vajont
viewtopic.php?f=22&t=2797


Come è crollato il ponte Morandi di Genova secondo uno studio tedesco
https://www.lettera43.it/it/video/ponte ... ollo/30566
Attraverso una simulazione 3D, lo studio tedesco Kostack ha ricostruito il momento del crollo del ponte Morandi a Genova. In particolare gli studiosi hanno fornito cinque possibili ipotesi sul collasso del viadotto grazie anche all’aiuto del software Bullet Constraints Builder, creato proprio per simulare crolli strutturali. Il modello sarebbe stato realizzato utilizzando i disegni originali della struttura e le informazioni fornite dalle immagini riprese dagli smartphone quel tragico 14 agosto 2018.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:35 am

Non riesco a non sentire una stretta analogia tra la tragedia del Vajont e quella di Genova.
In entrambi i casi mi pari vi aliti e vi aleggi lo spirito malefico e di morte che sembra essere la vera essenza dell'unità politica italiana, della sua falsa fraternità e del suo mostruoso stato castuale e irresponsabile.

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 7003387674
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:35 am

Animazione tragedia del Vajont - 1963
https://www.youtube.com/watch?v=uqkFXm2HtMA

https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Vajont

Vajont 9 ottobre 1963: 487 bambini morirono per colpa ed avidità disumana
https://www.youtube.com/watch?v=EGJtTczZshE
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:36 am

Vergogna veneta: Benetton e il ponte di Genova
https://www.facebook.com/groups/237623696395051

Crollo del ponte autostradale a Genova
14 agosto 2018

https://tg24.sky.it/cronaca/2018/08/14/ ... o.amp.html
https://www.facebook.com/marcello.murru ... 0045238253


Genova, crolla ponte sullʼautostrada A10: decine di morti e feriti
Anche un bambino tra le vittime. Lʼincidente mentre un nubifragio si abbatteva sulla zona. Conte sul luogo della tragedia: "Lo Stato cʼè"
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/ ... 802a.shtml

Genova: crolla ponte Morandi sull’autostrada A10, ci sono vittime
Annalisa Grandi e Salvatore Frequente
14 agosto 2018

https://www.corriere.it/cronache/18_ago ... 366b.shtml

Tragedia nella mattinata di martedì a Genova: poco prima di mezzogiorno è crollato un pezzo del viadotto Polcevera,noto come ponte Morandi, sulla A10. «Almeno 31 morti accertati e cinque non identificati» secondo gli ultimi dati aggiornati dal Viminale. Ventisei corpi già composti nella camera appositamente istituita dal Policlinico San Martino. Tra le vittime un bambino di otto anni e due adolescenti di 12 e 13 anni

Secondo i dati diffusi dalla Regione 23 sono stati trovati sul posto, due sono stati estratti successivamente e una persone è deceduta in sala operatoria. Quindici i feriti, di cui nove in codice rosso: quattro le persone estratte vive dalle macerie. «Al momento del crollo transitavano 30-35 autovetture e tre mezzi pesanti», ha detto il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli.

Le vittime

Tra le vittime anche due dipendenti dell’Amiu, l’azienda ambientale del Comune di Genova. Si tratta dei due autisti che si erano registrati al lavoro ma che erano poi irreperibili. A quanto risulta sarebbero stati alla guida di uno dei due furgoni Porter e dell’autospurgo rimasti schiacciati dalle macerie del ponte nel deposito di Rialzo.

Gli sfollati e le operazioni di soccorso

Sono in totale 440 le persone costrette a lasciare la propria abitazione. Il numero potrebbe aumentare poiché sono ancora in corso le valutazioni sugli sgomberi. La Protezione Civile del Comune di Genova ha provveduto finora a far evacuare 11 palazzi e la situazione è sotto monitoraggio costante. Le operazioni di soccorso sono molto complesse per la presenza di travi di grandi dimensioni che rendono complicato l’intervento. Al lavoro ci sono mille operatori, tra polizia, carabinieri, vigili del fuoco e personale del 118. Il premier Giuseppe Conte è arrivato sul luogo del crollo, con indosso una maglietta della Protezione Civile, intorno alle 18.30: con lui la prefetto Fiamma Spena, il capo della protezione civile Angelo Borrelli e il presidente della Regione Toti.

I ponti crollati in Italia
Tangenziale di Fossano
«Il ponte verrà demolito»

«Tutto il ponte Morandi andrà demolito con gravi ripercussioni al traffico e problemi per i cittadini e le aziende», lo ha dichiarato il viceministro delle Infrastrutture Edoardo Rixi. La Procura di Genova indaga per disastro colposo e omicidio colposo plurimo. Le conseguenze sull’economia genovese al momento sono incalcolabili, con gravi danni al porto e alla circolazione in una Liguria «spezzata» tra Ponente e Levante. A fine 2018, era prevista l’inizio della costruzione della Gronda autostradale di Ponente, una sorta di «tangenziale» con un passaggio sulla Val Polcevera spostato a nord rispetto al viadotto crollato. Il Morandi, nei piani, sarebbe stato destinato la traffico locale.

Il numero per segnalare i dispersi

La Prefettura di Genova ha istituito 2 numeri dedicati per informazioni e segnalazioni di eventuali persone disperse: 010/5360637 e 010/5360654. Le immagini mostrano lo squarcio nella struttura del ponte, che collassando ha trascinato con se diverse auto e mezzi pesanti rimasti schiacciati dalle macerie. Il Comune di Genova ha proclamato, per mercoledì e giovedì, due giorni di lutto cittadino.

Crollo ponte a Genova sull’autostrada A10
Ipotesi cedimento strutturale

A causare il crollo sarebbe stato un cedimento strutturale nel tratto che sovrasta via Walter Fillak, nella zona di Sampierdarena. Entrambe le carreggiate sono precipitate al suolo. Notevoli i disagi alla circolazione numerosi veicoli sono rimasti coinvolti. Sulla A10 Genova-Savona In Liguria ha piovuto ininterrottamente per diverse ore, la Protezione Civile aveva dichiarato l’allerta arancione. Il ponte Morandi, costruito negli anni Sessanta, si trova tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano, ed è lungo oltre un chilometro.
Il testimone: «Persone scalze e terrorizzate»

In un filmato pubblicato su Facebook immortalato il momento del crollo: nelle immagini si vede il nubifragio che sta colpendo Genova, e il ponte che cede. «Oh mio Dio» si sente urlare , mentre una persona filma il crollo. «Ho visto la gente corrermi incontro, scalza e terrorizzata» ha raccontato Alberto Lercari, autista Atp, presente al momento del crollo sul ponte Morandi. «Uscito dalla galleria ho visto rallentamenti e sentito un boato. La gente scappava venendo verso di me. È stato orribile» ha detto. «Ho visto il ponte crollare. Eravamo fermi in coda e poi ho visto la tragedia alle mie spalle, poi più nulla» ha raccontato un altro testimone. Altre testimonianze riferiscono di un fulmine che avrebbe colpito il ponte.

Autostrade: «Da controlli mai emerso nulla»

Il viadotto collega l’autostrada A10 con il casello di Genova Ovest ed è uno degli snodi principali dell’area: inaugurato nel 1967, negli anni è stato oggetto di diverse manutenzioni. Il crollo è «per noi qualcosa di inaspettato e imprevisto rispetto all’attività di monitoraggio che veniva fatta sul ponte. Nulla lasciava presagire» che potesse accadere, ha detto il direttore del Tronco di Genova di Autostrade per l’Italia Stefano Marigliani, sottolineando che «assolutamente non c’era nessun elemento per considerare il ponte pericoloso». Il ponte Morandi, ha spiegato,«è stato interessato da interventi di manutenzione su diversi fronti»: in particolare erano «in fase di ultimazione gli interventi sulle barriere di sicurezza» iniziati nel 2016. «Questa opera è soggetta da parte nostra da costante attenzione e cura», ha sottolineato. In particolare, per verificare la sicurezza della struttura, le Autostrade utilizzano «strumenti avanzati» e sul ponte venivano effettuate «prove riflettometriche» per rilevare la situazione all’interno del calcestruzzo: «dalle ultime, effettuate ad inizio 2017 - ha detto Marigliani - non è emerso nulla».


Tra dieci anni il Ponte Morandi crollerà". Sei anni fa la preoccupazione del presidente di Confindustria Genova
2018/08/14

https://www.huffingtonpost.it/2018/08/1 ... a_23501977

Le previsioni di quanto sarebbe accaduto, che oggi suonano ciniche e nefaste, si trovano nero su bianco perfino nei verbali delle sedute del Consiglio comunale di Genova. È il 2012, dicembre, Giovanni Calvini, allora presidente di Confindustria locale a fine mandato, è furioso per chi - fra politici e amministratori - si oppone alla realizzazione della Gronda di Ponente, necessaria per agevolare il traffico nella zona dove oggi è accaduta la tragedia.

Dice testualmente rispondendo al giornalista che lo intervista sul Secolo XIX: "Perché guardi, quanto tra dieci anni il Ponte Morandi crollerà, e tutti dovremo stare in coda nel traffico per delle ore, ci ricorderemo il nome di chi adesso ha detto "no" (alla Gronda, ndr)".

Di anni ne sono passati sei e mezzo, e il ponte è crollato prima. In rete si trovano forum, dibattiti, comitati pro e contro Gronda che parlano della fragilità del ponte Morandi, dagli anni Sessanta una infrastruttura continuamente sotto l'occhio del ciclone.

Già allora però, nel 2012, il presidente di Confindustria tra i primi a livello pubblico e politico dichiarò l'emergenza e la necessità di interventi immediati e soluzioni alternative, in buona sostanza, della creazione della Gronda, per la quale poi soltanto nel 2018 (tre mesi fa) è arrivato l'ok anche dall'Ue dopo un lunghissimo e criticatissimo percorso.

Il caso vuole che le parole di Calvini finirono perfino in Consiglio Comunale: quella frase sul "ponte che crollerà" fu così dibattuta pubblicamente in aula. Seduta del 4 dicembre 2012 .

A parlare è Paolo Putti, consigliere del MoVimento 5 stelle, totalmente contrario alle parole di Calvini.

"La mia sarà una mozione d'ordine. Ho appreso solo questa mattina di alcuni articoli di giornale... Leggo, questa mattina, su un quotidiano genovese, il quale dice che il Presidente della Confindustria di Genova dice: " Ci ricorderemo di chi dice no alla Gronda." Io allora colgo l'occasione per manifestare il mio sentimento di rabbia rispetto a questa affermazione e devo dire anche un po' di stupore e poi, per facilitare la cosa, indicando il mio nome e cognome: Paolo Putti, consigliere del Movimento 5 Stelle, uomo libero che non ha voglia di fare carriera politica, non è questa la mia ambizione, che non ha interessi personali o di bottega, ma il solo interesse di fare il bene della comunità in cui vive e tra le persone che vivono nella mia comunità ci sono anche quegli imprenditori che io, credo, fra 10 anni, andranno a chiedere come mai si sono sperperati 5 miliardi di euro che si potevano utilizzare per fare delle cose importanti per l'industria. Aggiungo. Magari questa persona dovrebbe, prima di utilizzare questo tono, un po' minaccioso (diciamo così) perché testualmente dice "Ci ricorderemo il nome di chi adesso ha detto no!", informarsi perché dice che il Ponte Morandi crollerà fra 10 anni. A noi Autostrade, in quest'aula, ha detto che per altri 100 anni può stare in piedi. Per fortuna gli ha risposto, sullo stesso quotidiano, l'Amministratore delegato di Autostrade per l'Italia, che ha detto il perché ci sono queste situazioni di dubbi etc.: "perché è connaturato alle democrazie immature dove la prevalenza dei diritti forti di pochi, rispetto agli interessi collettivi, prevale agli interessi collettivi di molti."

Il grillino continua: "Credo che si riferisse a lui, perché mi farebbe sorridere se l'Amministratore di Autostrade per l'Italia si riferisse a dei cittadini, che in realtà sono migliaia, perché in migliaia hanno firmato il ricorso al Tar, e poi pensare che noi siamo i forti e Calvini ed altri sono i deboli, mi farebbe, oltre ad arrabbiare, sorridere. Grazie."

Le parole di Putti - se confermate - ci dicono anche un'altra cosa: la rassicurazione di Autostrade per l'Italia che parlava di "un ponte che starà in piedi per altri 100 anni".

La questione della Gronda è al centro di un dibattito costante da anni nel genovese. In molti, dal mondo delle imprese ai semplici cittadini, avevano sollevato dubbi sulla stabilità del ponte. Ma fa ancora più specie leggere che il mondo accademico indicava la necessità di una ricostruzione: due anni fa, la televisione ligure Primocanale, intervistò infatti il professor Antonio Brencich, docente di strutture in cemento armato alla Facoltà di ingegneria di Genova, per chiedere un parere proprio sulla tenuta del Ponte Morandi. Il docente lo definì un "fallimento dell'ingegneria, altro che capolavoro" chiedendone "la ricostruzione".

Diceva: "O costi della manutenzione sono elevatissimi, non esiste che dopo trent'anni un'opera abbia già subito tanti lavori di manutenzione. Ci sono ponti in cemento armato che dopo cento anni non hanno ancora subito nessuna modifica".

Lo ricordava sottolineando come alla fine degli anni Novanta si era già speso in lavori l'80 per cento di quanto speso per la realizzazione.

Oggi, due anni dopo quelle ennesime parole, il ponte realizzato fra il 1963 e il 1967 è definitivamente crollato portando con sé morte e distruzione annunciate da tempo.


Il viadotto sul Polcevera: Ecco l'articolo di Riccardo Morandi del 1967 con tutti i dettagli progettuali
Riccardo Morandi - Ingegnere Andrea Dari - Editore Ingenio 20/08/2018

https://www.ingenio-web.it/20925-il-via ... rogettuali

Nel 1967 l'ing. Riccardo Morandi - pochi mesi dopo l'inaugurazione del ponte strallato di Genova pubblicò un articolo su l'Industria Italiana del Cemento dal titolo "Il viadotto sul Polcevera per l'autostrada Genova Savona.

Dopo una breve descrizione del contesto geografico e morfologico in cui l'opera è stata realizzata l'ingegnere entra nel merito della descrizione generale dell'opera
Il ponte Morandi: descrizione generale dell'opera

L'articolo di Morandi sul ponte polceveraMorandi suddivide l'opera in queste parti:

il viadotto principale
pista di raccordo da Serravalle a Savona
pista di raccordo da Savona a Serravalle
pista di raccordo da Savona a Genova
pista di raccordo da Genova a Savona

e per ognuna di queste approfondisce numeri e considerazioni tecniche.



PUBBLICITÀ E PROGRESSO !!!

https://www.facebook.com/gaetano.ferrie ... 77?__xts__[0]=68.ARDuglfpQsGpqcJHsM-LqZku9vLGMHkJ65ENgiAPoJuZLyJaSBEMYjEQAYbwQjSO7actq4YWCsZvtsmY6JU7hBi2HEdaGky2wipsVLMz4E1_RIp3TbGCJPZunZG7s1QqxWd7ri0rr6pc&__tn__=C-R
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:37 am

Vergogna veneta: Benetton e il ponte di Genova
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Crollo del ponte autostradale a Genova
14 agosto 2018
https://tg24.sky.it/cronaca/2018/08/14/ ... o.amp.html

Genova, crolla ponte sullʼautostrada A10: decine di morti e feriti
Anche un bambino tra le vittime. Lʼincidente mentre un nubifragio si abbatteva sulla zona. Conte sul luogo della tragedia: "Lo Stato cʼè"
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/ ... 802a.shtml


Atlantia
https://it.wikipedia.org/wiki/Atlantia
Atlantia S.p.A. (già Autostrade S.p.A.) è una società per azioni italiana, costituita nel 2002 e presente nel settore delle infrastrutture autostradali e aeroportuali, con 5.000 chilometri di autostrade a pedaggio in Italia, Brasile, Cile, India, Polonia e la gestione degli aeroporti di Fiumicino e Ciampino in Italia e dei tre aeroporti di Nizza, Cannes-Mandelieu e Saint Tropez in Francia. Il principale azionista è la famiglia Benetton.

È quotata nell'indice FTSE MIB della Borsa di Milano.

Edizione srl
https://it.wikipedia.org/wiki/Edizione_(azienda)
Edizione Srl è una holding finanziaria non quotata in borsa controllata dalla famiglia Benetton che fa capo al vasto business della famiglia che va dell'abbigliamento alla ristorazione veloce fino al settore immobiliare e dell'agricoltura.

Sintonia
https://it.wikipedia.org/wiki/Sintonia_(azienda)



Insaziabili questi Benetton, più guadagnavano meno spendevano per la manutenzione delle autostrade che avevano avuto in regalo dal centrosinistra.

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4786604731

Insaziabili questi Benetton, più guadagnavano meno spendevano per la manutenzione delle autostrade che avevano avuto in regalo dal centrosinistra.
Fortunati questi Benetton. In pieno delirio privatizzatore comprano dall'IRI la catena Gs. La comprano con i soldi delle banche e subito la rivendono, guadagnandoci 4500 miliardi di lire. In euro sarebbero due miliardi e 250 milioni.
Fantasiosi questi Benetton. Prodi, Ciampi e Giuliano Amato s'erano impegnati con Bruxelles e soprattutto con francesi e tedeschi a smantellare l'Iri. Massimo D'Alema li prende in parola e nel 1999 decide di privatizzare la rete autostradale di proprietà dell'Iri e quindi dello Stato. Ancora una volta i Benetton non si perdono d'animo. Una lira delle loro non la rischiano, non sia mai. Bussano a Banca Intesa e gli viene aperto. Chiedono un piccolo prestito che in euro è di 8 miliardi e l'ottengono. Con questi soldi comprano dall'Iri Autostrade. Per due, tre anni la manutenzione della rete è quasi inesistente. Con i soldi rastrellati ai caselli e l'aumento delle tariffe restituiscono i soldi a Intesa.
Le Autostrade sono una Zecca che produce moneta sonante. I Benetton semifalliti come imprenditori del tessile-abbigliamento hanno diversificato e incassano tanti di quei soldi da diventare investitori globali.
Grandi investitori, questi Benetton. Con i soldi guadagnati con una gestione finanziaria e non industriale della rete autostradale ex Iri i Benetton diventano soci degli spagnoli di Albertis e comprano il 50% della rete. Vito Gamberale si dimette dalla societa Autostrade perché non ne condivide la politica. Si pensa solo a incassare soldi ma si bada poco alla manutenzione e alla modernizzazione di un asset così importante.
Insaziabili questi Benetton. Con una redditività del 25% decidono di tagliare le spese di manutenzione. Per loro le Autostrade ex Iri sono una miniera d'oro inesauribile. Aumma aumma nel 2016 ottengono una proroga quarantennale con un emendamento aggiunto all'ultimo minuto dal governo alla Finanziaria. Una vergogna. La banda Renzi è capace di tutto. I predecessori non sono stati da meno. I contratti che riguardano i concessionari delle autostrade vengono secretati.
E la trasparenza del mercato, la concorrenza, le terzietà della politica, l'occhiuta vigilanza del commissario per la concorrenza di Bruxelles? Tutto fumo, chiacchiere e distintivo.
Questa banda di malavitosi merita un decreto del governo che spazzi via la benevolenza di TAR e magistratura civile corrotta.
E che faccia capire a opposizioni e potere mediatico che "la fortuna" sta abbandonando i Benetton, e quelli come loro.



Autostrade, con i soldi dei pedaggi italiani Benetton si prende la Spagna
di Daniele Martini

https://www.ilfattoquotidiano.it/premiu ... -la-spagna

Accordo col patron del Real Madrid per conquistare Abertis. Atlantia avrà poco più del 50% del capitale della holding che controlla la rete stradale iberica. Autostrade ha una redditività industriale stratosferica grazie alle tariffe regolate

Sono partiti molti anni fa con i maglioni e l’abbigliamento a buon mercato, ma hanno scoperto ben presto che i soldi, quelli veri e tanti, si fanno con i business monopolistici. Quelli regolati da tariffe e dove la concorrenza sui prezzi, che ha morso sempre di più il tessile-abbigliamento, è del tutto inesistente. Oggi non a caso il marchio Benetton è in crisi profonda, reduce da anni di perdite milionarie, mentre i business delle infrastrutture (dalle autostrade, agli aeroporti, alla ristorazione con Autogrill) in cui la famiglia di Ponzano Veneto ha pensato bene di investire alla grande, sfavillano di luce propria. E che luce. Ieri un altro tassello del gigantesco affare delle autostrade è andato a chiudersi. Atlantia, la capofila del gruppo nel settore delle autostrade ha trovato l’accordo con la Acs di Florentino Perez (proprietario della squadra Real Madrid) e la sua controllata tedesca Hochtief per papparsi la spagnola Abertis su cui Atlantia da sola aveva lanciato nel maggio scorso un’Opa da 16 miliardi sul 100% del concorrente iberico. Mossa che aveva fatto scatenare la controffensiva spagnola. Ora, dopo mesi, l’accordo a tre. Hochtief lancerà l’Opa in contanti su Abertis e a monte verrà costituita una holding dove Atlantia avrà il 50% del capitale più un’azione. Il gruppo dei Benetton entra così in Abertis dal piano superiore. Con un evidente risparmio di risorse.

Una mossa che la dice lunga sull’abilità della famiglia di Ponzano Veneto di giocarsi alla grande i suoi investimenti. Del resto, il business delle autostrade è da sempre un investimento a prova di rischio. E molto remunerativo. Basta scorrere i numeri di Atlantia che possiede Autostrade per l’Italia, la rete da 3 mila chilometri (solo in Italia) oltre agli Aeroporti di Roma cui si è aggiunto quello di Nizza e altri piccoli scali. La holding infrastrutturale, posseduta al 30% da Edizione, la cassaforte dei Benetton, sforna ogni anno numeri in costante crescita. Nel 2017, appena chiuso, Atlantia ha visto i ricavi salire e lambire i 6 miliardi contro i 5,4 di solo un anno prima. La crisi economica in Atlantia non si è mai vista. Nel 2010 il fatturato valeva poco meno di 4,5 miliardi. Eppure il traffico sulla rete autostradale negli anni bui era anche diminuito. A far salire in continuazione il fatturato c’è sempre la ciambella di salvataggio delle tariffe. Quelle non scendono mai, anche quando l’inflazione va a zero come è accaduto. C’è per tutti i gestori la tariffa regolata, concessa dallo Stato che remunera gli investimenti più un quid di guadagno sugli stessi. Quasi un paese di Bengodi per i concessionari: dai Benetton ai Gavio ai Toto.

Anche nel 2017 per Autostrade per l’Italia le tariffe hanno corso di più dell’incremento da volumi di traffico. Ed è proprio Autostrade per l’Italia l’asset più redditizio per l’intera Atlantia. La sola Autostrade ha fatto ricavi per 3,94 miliardi sui 6 miliardi di tutta Atlantia. Pagati costi operativi e del lavoro, Autostrade ha una redditività industriale stratosferica: su 3,94 miliardi di fatturato il margine operativo lordo è di ben 2,45 miliardi. Un livello del 62%. Livelli che pochi raggiungono. La stessa Abertis ha una redditività molto più bassa. Certo, si dirà, quella però non è la ricchezza vera che intascano i Benetton. Vanno spesati gli investimenti per i quali il governo concede gli aumenti tariffari. Ma in realtà è poca cosa. Incide poco, rendendo grassi gli utili della famiglia. L’utile operativo vale infatti nel 2017 ben 1,9 miliardi e il bilancio si è chiuso con un utile netto di 972 milioni in crescita del 19% sul 2016. Grasso che cola, così tanto da consentire ad Atlantia di dare ricchi dividendi ogni anno alla famiglia di Ponzano e ai soci di minoranza.

Dal 2012 al 2016 Atlantia ha girato, solo in acconto dividendi, denaro per la bellezza di 1,5 miliardi. Una vera cash machine, una macchina da soldi che spende sì in investimenti per la manutenzione e ha speso molto per la Variante di Valico, ma con una redditività così elevata si permette il lusso di portare a casa quasi un miliardo di utile netto su 6 miliardi di ricavi. Niente male per la famiglia veneta che ha capito già 20 anni fa che quel business era l’affare della vita. Basti pensare, come documenta R&S Mediobanca, che a primavera del 2017 Atlantia ha ceduto due pacchetti del 5% di Autostrade con una plusvalenza di ben 732 milioni. Ricchi, ricchissimi, un vero tesoro Autostrade/Atlantia per i Benetton. Laddove invece si confrontano con il mercato i successi non sono affatto evidenti. La Benetton, il marchio storico del gruppo è in crisi da anni, ha perso 280 milioni dal 2012 e ora l’anziano patriarca Luciano è tornato sulla tolda di comando per invertire il trend. Ma le perdite del marchio dei maglioni fanno solo il solletico al gruppo che siede sul tesoro delle autostrade italiane e domani anche spagnole.



Crollo ponte Genova, bufera Benetton: la Borsa e la rete condannano Autostrade
Martedì, 14 agosto 2018
Marco Zonetti

http://www.affaritaliani.it/cronache/cr ... 55664.html


I Benetton nella bufera. Alla notizia del crollo del viadotto Morandi a Genova, il titolo Atlantia, ovvero la società di famiglia che controlla "Autostrade per l’Italia" è parallelamente crollato perdendo prima il 10 per cento, per poi chiudere a fine contrattazioni in ribasso del 5,39% a 23,54 euro, bruciando oltre 1,1 miliardi di capitalizzazione.

Conseguenze di una tempestività inquietante, dunque, malgrado dal luogo della disgrazia ancora non giungano notizie definitive sulla causa del cedimento né sul numero effettivo di vittime.

Ma se "Autostrade per l'Italia" finisce nell'occhio del ciclone finanziario e perde terreno in Borsa, la famiglia Benetton diventa al tempo stesso oggetto di un autentico linciaggio in rete.

Sui social network tiene banco infatti una vera e propria "rapsodia" di insulti e ingiurie ai danni dei Benetton, accusati da molti utenti di "aumentare le tariffe e i pedaggi", senza tuttavia "investire in manutenzione, con le sciagurate ripercussioni alle quali stiamo tutti tristemente assistendo".

Nel mirino, ovviamente, c'è anche la risposta data da Giovanni Castellucci, ad di "Autostrade per l'Italia", al Gr1 subito dopo il crollo del viadotto Morandi: "Non mi risulta che il ponte era pericoloso e che andava chiuso. Autostrade per l'Italia ha fatto e continua a fare investimenti". Al giornalista che insisteva facendo notare che da anni il ponte era considerato da chiudere in quanto ritenuto pericoloso, Castellucci ha rincarato: 'Non mi risulta ma se lei ha della documentazione me la mandi". Risposte che hanno soffiato sulle fiamme della già esacerbata indignazione sul web.

Molti invocano a gran voce la revoca della licenza, "prima che succedano altri disastri simili o ancor più gravi", altri si spingono oltre chiedendo che vengano "indagati per strage" o per "omicidio plurimo colposo".

I più ferrati in Storia, su Twitter o Facebook, chiamano in causa i personaggi politici "che li hanno favoriti", ovvero Romano Prodi e Massimo D'Alema, colpevoli delle "privatizzazioni selvagge che hanno distrutto l'Italia" in primis quella delle autostrade.

Autostrade che, alla famiglia Benetton, hanno effettivamente portato molta fortuna. Da un articolo del Fatto Quotidiano scritto da Fiorina Capozzi nell'agosto 2017, apprendiamo infatti che "solo nel 2016, i ricavi da pedaggio di Atlantia sono ammontati a 4 miliardi. Per non parlare del fatto che, ogni anno, a gennaio arrivano puntualmente i rincari dei pedaggi in teoria giustificati dagli investimenti dei concessionari sulla rete autostradale. Negli anni, le autostrade si sono confermate una gallina dalle uova d’oro per i Benetton che le hanno acquistate a prezzi stracciati dallo Stato".

“Il caso della vendita in blocco della Società Autostrade" asseriva dal canto suo Niki Vendola in un'interrogazione parlamentare del 2003, "ha garantito ai nuovi proprietari (Benetton) un enorme potere di mercato e una posizione monopolistica grazie all’estensione ultradecennale della concessione”.

Una condizione privilegiata che, oggi, con il crollo malaugurato del ponte Morandi, è finita con la famiglia Benetton sul banco degli imputati allestito dalla rete e dei suoi inferociti utenti, ben più spietati del Mercato stesso, che l'ha prontamente (e fortemente) penalizzata.








Nota stampa del direttore dell'Istituto di tecnologia delle costruzioni del Consiglio nazionale delle ricerche Cnr-Itc, Antonio Occhiuzzi, relativa al ponte Morandi di Genova crollato il 14 agosto, alle ore 11,50.

https://www.facebook.com/roberto.gresle ... 4736948647

Il viadotto Morandi, che scavalca il fiume Polcevera alla periferia di Genova, deve il suo nome al geniale progettista/esecutore dell’opera, uno dei nomi che, insieme a Freyssinet (Francia), Leonhardt (Germania) e Maillart (Svizzera), nel XX secolo ha modificato la concezione dei ponti in Europa e nel mondo. Realizzato tra il 1963 al 1967, è un esempio di razionalismo 'assoluto': l’intera, essenziale geometria ripercorre le linee di forza che sono capaci di garantire l’equilibrio dell’opera sotto l’azione del peso proprio e del traffico stradale.

Il viadotto si compone di due tratti di accesso e di uscita e di una parte centrale, quella più caratteristica, formata da 6 tratti, sostenuti a due a due da un pilone centrale dal quale si dipartono gli elementi inclinati denominati “stralli”. Due le particolarità strutturali di questo ponte: gli stralli, che a differenza di quanto avviene per i ponti in acciaio non formano un ventaglio o un’arpa, sono solo una coppia per lato e sono realizzati in calcestruzzo armato precompresso; le modalità di realizzazione dell’impalcato (la parte che sostiene direttamente il piano viabile) in calcestruzzo armato precompresso, secondo un brevetto ideato dallo stesso Morandi.

Il crollo di stamattina, per quanto si può capire assolutamente improvviso, può dipendere da moltissime causa diverse. Preliminarmente, però, è possibile fare qualche considerazione di carattere generale.

Gli stralli in calcestruzzo armato precompresso, realizzati anche per altri viadotti analoghi (sul lago di Maracaibo in Venezuela, ma anche in Basilicata, per esempio), hanno mostrato una durabilità relativamente ridotta. E la statica di un ponte di questo tipo dipende fondamentalmente dal comportamento e dallo “stato di salute” degli stralli.

Nel caso in questione, in particolare, una parte degli stralli è stata oggetto di un importante e chiaramente visibile intervento di rinforzo, ma il tratto crollato è un altro. È necessario capire perché, in presenza di elementi che hanno indotto a rinforzare alcuni stralli, non siano state operate le medesime cure sugli altri, gemelli e coevi.

Risulta inoltre che il viadotto Morandi fosse sotto continua e costante osservazione, e non c’è alcun motivo di dubitare che la società concessionaria abbia utilizzato tutte le tecnologie oggi disponibili al riguardo. Il crollo improvviso, quindi, fa dedurre che i sistemi di monitoraggio e sorveglianza adottati non sono ancora sufficientemente evoluti per scongiurare tragedie come quella di stamattina.

A carattere ancor più generale, va ricordato che la sequenza di crolli di infrastrutture stradali italiane sta assumendo, da alcuni anni, un carattere di preoccupante 'regolarità': nel luglio 2014 è crollata una campata del viadotto Petrulla, sulla strada statale 626 tra Ravanusa e Licata (Agrigento), spezzandosi a metà per effetto della crisi del sistema di precompressione; nell’ottobre 2016 è crollato un cavalcavia ad Annone (Lecco) per effetto di un carico eccezionale incompatibile con la resistenza della struttura, che però è risultata molto invecchiata rispetto all’originaria capacità; nel marzo 2017 è crollato un sovrappasso dell’autostrada adriatica, ma per effetto di un evento accidentale durante i lavori di manutenzione; nell’aprile 2017 è crollata una campata della tangenziale di Fossano (Cuneo), spezzandosi a metà in assenza di veicoli in transito e con modalità molto simili a quelle del viadotto Petrulla. Oggi è crollata una parte del viadotto Morandi, che probabilmente comporterà la demolizione completa e la sostituzione dell’opera. L’elemento in comune alla fenomenologia descritta è l’età (media) delle opere: gran parte delle infrastrutture viarie italiane (i ponti stradali) ha superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra (anni ’50 e ’60).

In pratica, decine di migliaia di ponti in Italia hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti, secondo un equilibrio tra costi ed esigenze della ricostruzione nazionale dopo la seconda guerra mondiale e la durabilità delle opere. In moltissimi casi, i costi prevedibili per la manutenzione straordinaria che sarebbe necessaria a questi ponti superano quelli associabili alla demolizione e ricostruzione; quelli ricostruiti, inoltre, sarebbero dimensionati per i carichi dei veicoli attuali, molto maggiori di quelli presenti sulla rete stradale italiana nella metà del secolo scorso.

Il problema ha dimensioni grandissime: il costo di un ponte è pari a circa 2.000 euro/mq; pertanto, ipotizzando una dimensione 'media' di 800 mq e un numero di ponti pari a 10.000, le cifre necessarie per l’ammodernamento dei ponti stradali in Italia sarebbero espresse in decine di miliardi di euro. Per evitare tragedie come quella accaduta stamattina sarebbe indispensabile una sorta di “piano Marshall” per le infrastrutture stradali italiane, basato su una sostituzione di gran parte dei ponti italiani con nuove opere caratterizzate da una vita utile di 100 anni. Così come avvenuto negli anni ’50 e ’60, d’altra parte, le ripercussioni positive sull’economia nazionale, ma anche quelle sull’indebitamento, sarebbero significative.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:38 am

Renzo Piano alla Repubblica: "I ponti non crollano per fatalità. Nessuno dunque venga a dirci questo"
2018/08/15

https://www.huffingtonpost.it/2018/08/1 ... n=trending

Non è certo colpa della casualità né della topografia della fragile Genova. Io non so cos'è accaduto, posso dire però che non credo al fatalismo che considera incontrollabile l'anarchia della natura, dei fulmini e della pioggia. I ponti non crollano per fatalità. Nessuno dunque venga a dirci che è stata la fatalità". Lo afferma l'architetto genovese Renzo Piano, senatore a vita, in un'intervista a Repubblica.

"All'opposto della fatalità c'è la scienza. L'Italia è un paese di grandi costruttori, progettisti geniali, scienziati e umanisti. E però non applicano quella scienza che viene prima della manutenzione e si chiama diagnostica. In medicina nessuno fa niente senza una diagnosi. I ponti, le case e tutte le costruzioni vanno trattati come corpi viventi. In Italia produciamo apparecchiature diagnostiche sofisticatissime e strumentazioni d'avanguardia che esportiamo in tutto il mondo. Ma non li usiamo sulle nostre costruzioni".

L'auspicio di Renzo Piano è che questa tragica lezione venga compresa.

"Io spero che il maledetto crollo di questo ponte ci faccia riflettere e ci faccia uscire dall'oscurantismo culturale del 'secondo me si fa così'. Per esempio con la termografia possiamo determinare lo stato di salute di un muro senza neppure bucarlo, proprio come avviene con il corpo umano: si comincia col misurare le temperature delle sue varie parti" [...] "Io credo che la manutenzione non sia mai mancata. Quel ponte l'ho sempre visto sotto controllo. Ma Genova è una città fragile, divisa in due, ed è lunga 20 chilometri. Il ponte è stato sollecitato all'inverosimile".

Guardando al domani, "per tenere assieme Levante e Ponente forse dovrebbero pensare a un incremento del trasporto sul ferro e sull'acqua. Ma - conclude Piano - questo è il momento del cordoglio e del lutto".




«Ecco perché è crollato il ponte», la denuncia di un ingegnere che l'ha costruito

https://video.corriere.it/ecco-perche-c ... 6d93fd6b87


Il disastro del morandi - Il mistero del maxi-appalto per rinforzare i tiranti e i lavori rinviati a dopo l’estate
2018/08/15

http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2018 ... alto.shtml

Genova - Gli accertamenti scattati subito dopo il disastro di Genova (foto e video) ci dicono tre cose. Primo: Autostrade sapeva qual era l’emergenza, ma i tempi sono andati fuori controllo. Al punto che a maggio aveva bandito un maxi-appalto da 20 milioni con procedura ristretta, cioè a chiamata per accelerare, con l’obiettivo di rinforzare i “tiranti” superiori, il cui cedimento rappresenta agli occhi degli esperti la probabile causa dello scempio. I lavori, molto delicati, complessi e invasivi , dovevano iniziare subito dopo l’estate, ma evidentemente i calcoli erano sbagliati e non risulta fossero installati sensori per monitorare in tempo reale la tenuta del viadotto.

Secondo: sempre Autostrade è, di fatto, l’unico controllore di se stesso, esegue con personale proprio ispezioni e (auto)certificazioni, oppure le affida a consulenti pagati dalla medesima società. Nessun ente pubblico compie screening autonomi, perversione d’una norma le cui conseguenze possono essere catastrofiche. Terzo: già a fine Anni 90 l’Ordine degli ingegneri di Genova, lo conferma Donatella Mascia che ne fu presidente dal 1993 al 1999, propose nero su bianco di affiancare alla struttura in calcestruzzo una in acciaio, per alleggerire Morandi ritenuto incontrollabile dato l’incremento del traffico. «I politici - spiega Mascia - preferirono continuare a discutere di fantascientifici tunnel sottomarini, mai realizzati, e il ponte rimase così com’era fino al crollo».

Crollo di ponte Morandi, lo Speciale del Secolo XIX

Il tempo scaduto
Autostrade per l’Italia aveva capito che il problema stava sopra, e non sotto. L’incubo era rappresentato da quelli che volgarmente chiamiamo tiranti, ma che sul piano tecnico si definiscono «stralli», anima in metallo e rivestimento in calcestruzzo, i bracci che scendono dalla sommità dei piloni verso la strada a disegnare una serie di V rovesciate, e dovrebbero tenere sospeso il piano su cui corrono i mezzi. Una parte, quella verso il levante, era stata rinforzata alla fine degli Anni 90, ma il segmento che (forse) ha ceduto no. E il problema era così serio che il 3 maggio scorso l’azienda, colosso delle infrastrutture italiane con interessi all’estero, aveva pubblicato un avviso di gara per 20.159.344 euro.

Definizione tecnica: «Interventi di retrofitting strutturale del viadotto Polcevera al km 0 + 551». Traduzione, esaminando il dettaglio dei progetti: messa urgente in sicurezza dei tiranti sulla parte poi crollata. Le offerte erano state presentate l’11 giugno e finita l’estate - per non intralciare il viavai turistico che segna la Liguria fino ai primi di settembre - sarebbe partito un intervento lungo 784 giorni, che avrebbe comportato blocchi a singhiozzo delle varie carreggiate.Spiega Enrico Sterpi, attuale segretario dell’Ordine degli ingegneri liguri: «Questo bando significa due cose: Autostrade aveva focalizzato la criticità ed era disposta a prendersi una bella responsabilità, con una gara ristretta per un importo tanto elevato. È chiaro insomma che a un certo punto ci fosse necessità di accelerare la procedura». Autostrade sul punto si limita a confermare l’approvazione della commessa e l’imminente via ai lavori.

L’(auto)vigilanza
Che obblighi di vigilanza aveva Autostrade per l’Italia? Chi esegue le verifiche? Quanto può metterci il naso lo Stato? Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha in carico le strutture nate dal ‘99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest’ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatte da tecnici retribuiti da Autostrade per l’Italia.


"I ponti svizzeri sono sicuri" - RSI Radiotelevisione svizzera
Sul viadotto della Biaschina passano ogni giorno 20'000 mezzi (keystone)
Nella Confederazione una tragedia simile a quella di Genova non potrebbe accadere, sostiene l'Ufficio federale delle strade

16 agosto 2018

https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigio ... 80823.html

I ponti autostradali in Svizzera sono circa 5'000, inclusi i cavalcavia. Ma una catastrofe come quella di Genova, nella Confederazione non sarebbe possibile, sia per via della manutenzione costante, sia per la certezza del sistema di finanziamento.

"I collaboratori dei centri di manutenzione delle autostrade controllano tutti i ponti, studiano il manto stradale, cercano eventuali crepe e una volta ogni cinque anni, ogni singolo ponte viene esaminato in dettaglio", spiega alla RSI Thomas Rohrbach, portavoce dell'Ufficio federale delle strade.

Ponti, in Svizzera controlli regolari

Ad essere determinante per la sicurezza non è l'età, quanto piuttosto il buono stato di "salute" del ponte. In questo senso, le risorse per i lavori di manutenzione sono essenziali. "In Svizzera abbiamo mezzi finanziari destinati solo alla manutenzione delle strade e questi mezzi sono garantiti dal fondo per le strade nazionali. Con questi soldi riusciamo a mantenere le infrastrutture in condizioni ottimali", assicura Rohrbach.


Il monitoraggio, in modo particolare, deve essere accurato. Per questo viene affidato ad esperti. Nel caso del viadotto della Biaschina (che è alto 100 metri e che deve sostenere ogni giorno circa 20'000 passaggi di mezzi), ad esempio, si occupa anche la SUPSI. "Noi siamo coinvolti come laboratorio di controllo dei materiali a tutta una serie di lavori, per esempio di prelievi sui ponti o sui rivestimenti della galleria, per controllare il degrado del ferro d'armatura e il contenuto di cloruro nei materiali cementizi, responsabile del deperimento del ferro", fa sapere Christian Paglia, direttore dell'Istituto materiali e costruzioni della SUPSI .

La manutenzione dei ponti

Anche a livello di progettazione ci sono alcune differenze sostanziali nelle infrastrutture attuali elvetiche rispetto al ponte Morandi. "In Svizzera di solito si lavora con il cemento armato pre-compresso, con i cavi annegati nel calcestruzzo, quindi non visibili all'esterno, mentre a Genova, la struttura di Morandi (molto ardita) ha pochi cavi e ha delle travi sospese con molti giunti, che sono dei punti molto deboli dove l'acqua può penetrare. Qui può partire la corrosione, ed è molto difficile fare una manutenzione", spiega inoltre Cristina Zanini Barzaghi, ingegnere civile.




"Viadotto a rischio crollo": per i grillini era una favoletta
Paolo Bracalini - Mer, 15/08/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 65153.html

La frase choc dei 5 Stelle: «Può stare su altri cento anni» Da Grillo a Di Maio, così giustificavano il no alla Gronda

«Ci viene raccontata, a turno, la favoletta dell'imminente crollo del Ponte Morandi, come ha fatto per ultimo anche l'ex presidente della Provincia, il quale dimostra chiaramente di non avere letto la Relazione Conclusiva del Dibattito Pubblico, presentata da Autostrade nel 2009.

In tale relazione si legge infatti che il Ponte potrebbe star su altri cento anni a fronte di una manutenzione ordinaria con costi standard (queste considerazioni sono inoltre apparse anche più volte sul Bollettino degli Ingegneri di Genova)». Ecco cosa sosteneva sul sito del Movimento Cinque Stelle un comunicato del Comitato No Gronda (ieri subito rimosso dal M5s), il gruppo di attivisti contrari alla nuova infrastruttura detta «Gronda di Ponente» progettata appunto per alleggerire il tratto della A10 attorno alla città di Genova. Nella relazione descrittiva di Autostrade sulla finalità della Gronda si evidenzia che il punto più delicato di tutte la rete autostradale genovese è proprio il Ponte Morandi «con 25,5 milioni di transiti l'anno, caratterizzato da un quadruplicamento del traffico negli ultimi 30 anni e destinato a crescere, anche in assenza di intervento, di un ulteriore 30% nei prossimi 30 anni». Un volume di traffico evidentemente insostenibile per la struttura progettata negli anni '60.

Tuttavia il M5s si è sempre opposto alla Gronda non solo a livello locale ma anche nazionale, in linea con il no a tutte le grandi opere infrastrutturali, considerate dai Cinque stelle solo sprechi di soldi pubblici e minacce ambientali. Anche la Gronda autostradale di Genova, considerato inutile dal M5s secondo cui il traffico non è tale da giustificare l'intervento da 4,7 miliardi. Proprio nei giorni scorsi il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli aveva inserito la Gronda tra i progetti «da sottoporre ad una revisione che contempli anche l'abbandono del progetto». E anche Di Maio, in campagna elettorale in Liguria, prometteva di bloccare il raddoppio autostradale a Genova: «Utilizziamo i soldi della Gronda per potenziare il trasporto pubblico, per potenziare la mobilità condivisa, soprattutto quella elettrica, per permettere il trasporto dei passeggeri su ferro» spiegava ad un'emittente genovese il candidato premier M5s. Beppe Grillo si è schierato in prima linea contro la Gronda, chiedendo in un comizio «l'intervento dell'esercito», e denunciando più volte sul sui blog i rischi dell'opera e la sua inutilità, «un business da miliardi di euro che non ha ragione di esistere, perché il flusso delle merci sui camion è finito, l'opera è basata su dati e proiezioni vecchi di almeno dieci anni» spiegava ancora nel 2009.

I consiglieri comunali M5s a Genova sono impegnati in una battaglia per non rinnovare la rete autostradale attorno alla città. «La Gronda è un'opera non solo inutile, ma anche dannosa. I veri problemi del Ponente sono ben altri, non di certo la viabilità» si legge in un post pubblicato sulla pagina ufficiale del gruppo Consiliare M5S Genova. Una convinzione inscalfibile anche a fronte anche di denunce precise sulla pericolosità del Ponte Morandi, addirittura di previsioni sul suo probabile crollo. Quella che fece nel 2012 in una intervista al SecoloXIX il presidente di Confindustria Genova Giovanni Calvini («Quanto tra dieci anni il Ponte Morandi crollerà ci ricorderemo il nome di chi adesso ha detto no alla Gronda»), a cui rispose in consiglio comunale, nella seduta del 4 dicembre 2012, Paolo Putti consigliere del MoVimento 5 stelle: «Colgo l'occasione per manifestare il mio sentimento di rabbia rispetto a questa affermazione. Prima di usare questo tono minaccioso dovrebbe informarsi. A noi Autostrade, in quest'aula, ha detto che per altri 100 anni (il ponte, ndr) può stare in piedi. Tra dieci anni gli imprenditori andranno a chiedere come mai si sono sperperati 5 miliardi che si potevano utilizzare per fare delle cose importanti per l'industria». Tutto inutile, è tutto un magna magna, il Ponte va benissimo, parola di grillino.


Ponte Morandi, quegli allarmi inascoltati
Raffaello Binelli - Ven, 17/08/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 65679.html

Parla l'ingegnere Pisani, che curò i lavori al ponte Morandi nei primi anni Novanta: "Vollero solo alcuni tiranti, perché non hanno voluto rinforzare tutto il ponte?". Diversi gli allarmi degli esperti rimasti inascoltati

Da una vecchia foto scattata alcuni anni fa si vede bene che il ponte Morandi di Genova aveva due tipi di stralli (tiranti): quelli originari, in cemento armato, e quelli in acciaio realizzati nei primi anni Novanta alla pila 11.

A cedere sono stati i primi. Lo stesso lavoro di manutenzione straordinaria era previsto per la pila 9 e la pila 10 (quella crollata è la 9) e a tal fine lo scorso maggio era stato fatto un bando da circa 20 milioni di euro. Oggi ci si interroga su quei lavori non fatti. E su alcune frasi pronunciate ufficialmente, che testimoniano la sottovalutazione del problema: "Al momento il viadotto non presenta alcun problema di carattere strutturale", disse il 23 ottobre 2017 in Consiglio regionale l’assessore alla Protezione civile Giacomo Giampedrone. Stava rispondendo ad una interrogazione di un consigliere che voleva dare voce alla preoccupazione degli abitanti delle case sotto al ponte. Ma come faceva l’assessore ad essere così sicuro della stabilità del ponte? Diceva di aver sentito personalmente le rassicurazioni di Stefano Marigliani: l’ingegnere affermava che va tutto bene e che"i lavori attualmente in corso sono opere manutentive, e sono in progetto due interventi di carattere strutturale da realizzarsi nel 2018 che consisteranno nell’installazione di stralli e impalcati per il rafforzamento della infrastruttura".

Ma i tecnici consultati dalla stessa società Austostrade per l'Italia poche settimane dopo evidenziarono che c'erano dei problemi urgenti. Come scrive il Corriere della sera i professori Carmelo Gentile e Antonello Ruoccolo, del Politecnico di Milano, nella relazione consegnata alla società il 12 novembre segnalarono una "evidente" disparità di tenuta tra i tiranti. "In particolare gli stralli, ovvero i tiranti, del sistema numero 9 si presentano con una deformata modale non conforme alle attese e certamente meritevole di approfondimenti teorico-sperimentali". Non si conoscono le cause di questi problemi (corrosione, eccessivo stress cui era sottoposta la struttura, difetti al momento della costruzione) ma di sicuro andava fatto un intervento per correre ai ripari.

Già altre volte erano stati lanciati degli allarmi, purtroppo rimasti inascoltati. Nel 2001 la professoressa Giovanna Franco, dell'Università di Genova, in uno studio per una rivista tecnica scriveva che "la fase diagnostica ha evidenziato una situazione ben più grave rispetto alle forme di degrado cui sono solitamente oggetto le infrastrutture realizzate con gli stessi materiali. Gli stralli, infatti, elementi generalmente tesi, sono in questo caso soggetti a compressione, così come la guaina di rivestimento in calcestruzzo". Questo dettaglio tecnico aveva causato un problema di non poco conto: non era stato possibile "effettuare alcuna operazione ispettiva sui trefoli di acciaio, le singole fibre del cavo interno, che in molti casi avevano già raggiunto lo snervamento". E più avanti la docente sottolineava che "numerosi trefoli erano tranciati o fortemente ossidati, altri erano visibilmente rilasciati lasciando supporre una loro rottura a valle".

C'è poi un'altra domanda che pesa come un macigno. La pone l'ingegner Francesco Pisani, 84 anni, per 13 anni collaboratore di Riccardo Morandi, l'uomo che aveva progettato il ponte di Genova. Pisani ricorda quanto fu fatto nei primi anni Novanta: "Riparammo e rinforzammo solo gli stralli della pila 11. Un intervento mirato. Mi dissero che gli altri piloni erano in condizioni accettabili e sarebbero stati monitorati. Perché negli ultimi 25 anni non sono stati rinforzati come quello di cui mi sono occupato io? Questo dovete chiederlo ad Autostrade".
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:39 am

Di Maio: «Non pagheremo 20 miliardi di penale ad Aspi. Desecretiamo contratti»
di Maurizio Caprino
2018-08-16

http://mobile.ilsole24ore.com/solemobil ... d=AEVsGbbF

Certezza di avere in mano gli elementi e gli strumenti giuridici per revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia senza oneri per lo Stato, valutazione per individuare nei prossimi mesi un nuovo gestore pubblico per la sua rete e, nell’immediato, rifiuto di incontrare la famiglia Benetton , cui fa capo il gestore attuale. È la posizione espressa stamattina a Genova dai microfoni di Radio24 dal vicepremier Luigi Di Maio. L’esponente pentastellato si dice sicuro che la penale di circa 20 miliardi di euro che lo Stato dovrebbe versare ad Aspi in caso di revoca non sia dovuta: «Lo sarebbe solo se la revoca fosse ingiustificata, ma qui lo è». In sostanza, secondo Di Maio, basterebbero il crollo del Ponte Morandi e lutti e sofferenze che ha causato per dimostrare la grave inadempienza del gestore. Il vicepremier ha precisato che dietro la posizione ci sono anche i pareri dei tecnici ministeriali. Ma da quanto risulta ad oggi la convenzione in vigore, che l’attuale governo eredita dal passato, è più «garantista» per il gestore e, tra le altre cose, richiede che il ministero delle Infrastrutture contesti formalmente le inadempienze entro precise scadenze. Non risulta che prima del crollo ciò sia stato fatto, anche perché la struttura ministeriale di vigilanza è sempre stata tenuta con basso profilo dai governi precedenti.

In caso di effettiva revoca, Di Maio ha promesso che l’eventuale futuro gestore pubblico investirebbe sulla sicurezza 6 miliardi l’anno, cioè l’equivalente dei pedaggi incassati da Aspi nello stesso periodo. Ma si porrebbe il problema di individuare un gestore. L’unica soluzione praticabile sembrerebbe quella di trasferire tutto all’Anas, ma ci sarebbero comunque forti criticità. Forse è per questo che Di Maio non ha nominato l’Anas, limitandosi a dire che si valuterà nei prossimi mesi chi dovrebbe gestire la rete Aspi (tremila chilometri, praticamente la metà di tutte le autostrade italiane.

La polemica con Benetton
Durissimo, il vicepremier con delega alle Attività produttive e al Lavoro, nei confronti della famiglia Benetton. «Nello Sblocca Italia nel 2015 fu inserita di notte una leggina che prolungava la concessione a Autostrade in barba a qualsiasi forma di concorrenza. Si è fatta per finanziare le campagne elettorali. A me la campagna non l’ha pagata Benetton e sono libero di rescindere questi contratti». Di Maio non intende trattare con Atlantia: «Non mi sento umanamente di incontrare i vertici di Edizioni Srl, società della famiglia Benetton che possiede Atlantia, ovvero Autostrade per l’Italia. La situazione fa molta rabbia, la verità è che gli utili netti che fanno queste società in regime di monopolio fanno arrabbiare tutti. Molti soldi potevano essere investiti in sicurezza, mentre sono andati in dividendi. Significa che quando si mette in mano ad un privato e a delle finanziarie le nostre strade e la sicurezza delle nostre famiglie si preferisce il profitto. I Benetton li incontreremo virtualmente nella fase di contraddittorio quando gli ritireremo la licenza».

L’annuncio: «Adesso desecretiamo gli atti»
Il vicepremier Di Maio annuncia anche novità sulla gestione della contrattualistica che regola le concessioni: «Adesso desecretiamo i contratti delle concessioni autostradali. I cittadini non lo sanno ma quei documenti sono secretati e anche noi facciamo fatica a conoscerli». A stretto giro si è fatto sentire anche Matteo Salvini: «Per me va rivisto tutto il sistema delle concessioni in Italia. Non solo quella di Autostrade».

Una task force per Genova
Quanto alla situazione a Genova, «ci sarà una task force per fare prove di stabilità urgenti sulle parti del ponte rimaste in piedi per consentire alle attività, come ad esempio Ansaldo Energia, di potere riprendere la produzione in sicurezza», ha detto Di Maio. «Nella task force ci saranno esperti della procura, dei vigili del fuoco e di Autostrade perché non pensiamo che Autostrade possa agire senza un adeguato contradditorio. L’obiettivo è di fare riprendere le attività e limitare il danno economico. Vogliamo scongiurare un danno economico a Genova, al porto, alle aziende dell’area. Per questo stiamo anche studiando diverse soluzioni per la viabilità».

La replica di Autostrade
Autostrade è «impegnata nella ricerca della verità e collabora con le istituzioni», precisa la società in una nota. «Le nostre scuse sono nelle parole e nei fatti. Ma non ci sollevano dalla consapevolezza di dover e poter dare molto a Genova per il superamento dell’emergenza».



Conigli
Lucia Annunziata
16/08/2018

https://www.huffingtonpost.it/lucia-ann ... a_23503544

La revoca della concessione va probabilmente contro lo stato di diritto. Ma è difficile difendere i diritti di qualcuno che non rispetta i diritti di tutti. In tre giorni Atlantia non si è assunta nemmeno la responsabilità morale.

Non sappiamo se Atlantia, azienda di proprietà del gruppo Benetton abbia un cuore, come suggeriva ieri sul Corriere della Sera Massimo Gramellini, ma se ce l'ha è certamente quello del coniglio. Dopo il primo smemorato intervento delle 13,39 in cui, a un'Italia con le mani nei capelli per l'orrore, Atlantia forniva un comunicatino senza un parola sulle vittime, la società dei Benetton non ha mai smesso di fuggire da ogni umana emozione, ma anche da ogni assunzione di responsabilità morale. Capiamo che nessuna azienda si prenderebbe mai la responsabilità diretta di un grave disastro, capiamo il terrore, l'autodifesa, gli avvocati. Ma qui si tratta di una reazione che fin dal primo momento, e ancora fino ad oggi, è segnata dalla fuga dalla realtà. Dove sono il Presidente Fabio Cerchiai, l'AD Giovanni Castellucci, i responsabili della comunicazione, o i proprietari, la celeberrima e ipercomunicativa Famiglia Benetton? In tre giorni di dolore e discussioni, Atlantia non ci ha mai messo la faccia – tranne che con il funzionario di zona, il responsabile del tronco di Genova.

Le prime ore dopo la tragedia sono forse le più dolorose da digerire per chi stava in quelle ore incollato alle immagini, in attesa di sapere che proporzioni avesse quell'apocalisse. Nel comunicato delle 13.39 che abbiamo appena citato, il crollo è derubricata a una vicenda locale: " I lavori e lo stato del viadotto erano sottoposti a costante attività di osservazione e vigilanza da parte della Direzione di Tronco di Genova". Alle 14.10 l'Ad della società Autostrade Giovanni Castellucci così risponde al giornalista del Gr1 che gli fa notare che da anni si diceva che il ponte fosse pericoloso: "Non mi risulta ma se lei ha della documentazione me la mandi. In ogni caso non è così, non mi risulta". Immaginiamo che la maleducazione fosse intesa a dimostrare che l'Azienda era tranquilla, ma forse l'Amministratore Delegato, ha confuso maleducazione con il senso di responsabilità. Alle 16.57 il povero Responsabile del tronco Genova entra in scena e dice che "il crollo è inaspettato"(!) e solo a fine giornata arriva un "cordoglio per le vittime e la profonda vicinanza ai loro familiari".

Purtroppo questo cordoglio non segna un cambio di toni, o di sensibilità. I comunicati del 15 e del 16 sono una girandola, evidentemente mirati a preparare la battaglia legale, con occhi soprattutto puntati sul rassicurare i mercati - "siamo stati corretti", "abbiamo fatto verifiche", "pronti a ricostruire il ponte in 5 mesi". Il primo cedimento nervoso di Atlantia avviene solo quando il governo minaccia di rescindere la concessione: " Da annuncio governo impatti su azioni e bond" , "impegnati per verità". E sarà che è una girandola , ma alla fine il meccanismo si inceppa e la società, preoccupata del proprio futuro, sbraca nei modi e nei toni, ricorda che in caso di revoca le "spetta il valore residuo" del contratto. Nemmeno i gesti umanitari, che pure a questo punto offre come pegno di buona volontà, le riescono bene: il pedaggio di cui tutti chiedono la sospensione, viene sospeso infine sospeso, sì , ma "solo per le ambulanze". Nessuno nelle stanze degli avvocati o degli azionisti ha capito quanto macabra sia questa decisione?

Sì, certo, lo Stato di diritto sarà sicuramente ferito dalla forzatura legale di avviare la procedura di rescissione della concessione. Che vi si arrivi o meno, certo la decisione ha tutte le stigmate di un governo che non vuole fare i conti con i diritti acquisiti, con le regole istituzionali. Ma, francamente, in questo caso è difficile difendere i diritti di una azienda che non ha a cuore i diritti di tutti.

Il caso Genova deve essere inserito profondamente nel dibattito politico su cosa sta succedendo in Italia. La torre d'avorio in cui i Benetton, pur maestri di comunicazione, sono chiusi in queste ore; la cautela legale che travasa in pura indifferenza umana; la prevalenza della logica astratta del denaro sul servizio, sono la perfetta rappresentazione di tutte le ragioni della rivolta elettorale che ha dato la stragrande vittoria al populismo.




Toscani difende i Benetton: "Italiani popolo di incattiviti"
Francesco Curridori - Ven, 17/08/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 65689.html

Il fotografo Oliviero Toscani difende i Benetton, proprietari di Autostrade per l'Italia e attacca gli italiani: "Siamo un popolo di infelici, incattiviti"

"Cos’è questa cattiveria, questo livore?". A chiederlo è Oliviero Toscani che, in un'intervista al Corriere della Sera, difende i Benetton per quanto riguarda le loro responsabilità per il crollo del Ponte Morandi di Genova.

"Non sono un tecnico, ma ho sempre sentito che era seguito con dei parametri molto più ampi della media europea", dice il fotografo che attacca i Cinque Stelle:"Parlano i grillini che ne hanno fatte di tutti i colori, che sono contro tutto, contro la Gronda? Siamo un Paese che deve andare dallo psicanalista. Ma ha visto la mia foto che gira". Secondo Toscani prendersela con i Benetton è sbagliato perché "loro sono delle persone serissime" e lo ribadisce più volte: "Sì, sono sempre stati seri, hanno sempre fatto le cose al massimo.. e lo dico io che ci ho lavorato insieme". Il fotografo si dice dispiaciuto per il crollo del Ponte Morandi ma anche "per tutte le bugie che la gente racconta". Secondo lui il popolo italiano è "frustrato" e "infelice": "Da fotografo e da uomo immagine - aggiunge - posso dire proprio questo: siamo un popolo di infelici, incattiviti. Ce l’abbiamo con la nostra condizione, secondo me è per una colpa nostra. Ma allora prendiamoci a sberle per strada, sarebbe più sano a questo punto. Che popolo cattivo… E non dico solo quello italiano, l’umanità. Ce l’abbiamo con tutti…".

Toscani, poi, rivela che, solo per un fortuito ritardo, quella mattina non si è trovato a dover passare per il ponte crollato. Lui, proprio quella mattina avrebbe dovuto percorrere quel viadotto in moto, insieme al figlio per andare in Francia. "Mentre stavo partendo da casa mi ha chiamato un tecnico del mio service, che doveva raggiungermi a casa. E mi ha detto: sono in ritardo. Ho voluto aspettarlo…", racconta e aggiunge:"Grazie a quel ritardo sono partito un’ora e mezza dopo, senno sarei stato là".



Comunicato del Presidente del Consiglio Conte
17 agosto 2018

http://www.governo.it/articolo/comunica ... conte/9844

Oggi il Governo, tramite la competente Direzione del Ministero delle Infrastrutture, ha formalmente inoltrato a “Autostrade per l’Italia” la lettera di contestazione che avvia la procedura di caducazione della concessione.

Il Governo contesta al concessionario che aveva l’obbligo di curare la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’autostrada A10, la grave sciagura che è conseguita al crollo del ponte. Il concessionario avrà facoltà di far pervenire le proprie controdeduzioni entro 15 giorni, fermo restando che il disastro è un fatto oggettivo e inoppugnabile e che l’onere di prevenirlo era in capo al concessionario su cui gravavano gli obblighi di manutenzione e di custodia.

Si è diffusa la notizia che Autostrade per l’Italia sarebbe disponibile a ricostruire il ponte a sue spese. Se questa proposta verrà formalizzata il Governo la valuterà, ma non come contropartita della rinuncia a far valere la voce di tutte le vittime di questa immane tragedia. Se questa iniziativa di ricostruzione del ponte verrà addebitata a “Autostrade per l’Italia” sarà solo a titolo di provvisorio risarcimento del danno, fermo restando che la ferita inferta alle vittime, ai loro familiari e al Paese è incommensurabile e non potrà certo essere rimarginata in questo modo.

Questa sciagura ci impone di adottare nuove iniziative, ben più rigorose di quelle pensate dai Governi precedenti.

A) Dobbiamo configurare una banca dati, a livello centrale, che possa acquisire tutte le informazioni riguardanti lo stato e la manutenzione di tutte le nostre infrastrutture. Per ogni infrastruttura dovremo avere certezza dell’intervento di manutenzione da ultimo adottato e di quelli programmati. Dovremo essere in condizione di poter operare tempestivamente nella segnalazione degli interventi di riammodernamento del nostro patrimonio infrastrutturale, graduandoli secondo un preciso ordine gerarchico di importanza e urgenza.

B) Potenzieremo il servizio ispettivo che è istituito presso il Ministero delle Infrastrutture, in modo da assicurare una rigorosa e puntuale vigilanza sull’operato dei concessionari e sul rispetto dei vincoli che la legge e le convenzioni pongono a loro carico.

C) A partire da settembre convocheremo tutti i concessionari delle infrastrutture, costringendoli a consegnarci un programma dettagliato degli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, con specifica quantificazione delle risorse destinate a questo scopo: li costringeremo a impegnarsi in un programma di riammodernamento delle infrastrutture destinando ad esso risorse più proporzionate e adeguate agli utili che ne ricavano.

Purtroppo arriviamo al Governo un po’ tardi. Il processo di privatizzazioni che riguarda le nostre infrastrutture è stato avviato molti anni fa, secondo una logica che ha favorito la gestione finanziaria delle stesse e ha oscurato la logica industriale che invece dovrebbe caratterizzarle. Adesso ci ritroviamo con rapporti di concessione e contratti di servizio ormai in essere, alcuni dei quali scadono in un futuro non prossimo, e che contengono condizioni e clausole molto sbilanciate a favore dei concessionari.

Questo Governo farà di tutto per rivedere integralmente il sistema delle concessioni e man mano che esse scadono ne approfitterà per impostare queste operazioni sulla base di nuovi princìpi e di più soddisfacenti equilibri giuridico-economici.

Questo Governo intende dare un segnale di svolta ben preciso: d’ora in avanti tutti i concessionari saranno vincolati a reinvestire buona parte degli utili nell’ammodernamento delle infrastrutture che hanno ricevuto in concessione, dovranno rispettare in modo più stringente gli obblighi di manutenzione a loro carico e, più in generale, dovranno comprendere che l’infrastruttura non è una rendita finanziaria, ma un bene pubblico che il Paese e, quindi, i cittadini sono disposti ad affidare alle loro cure solo a patto che il lucro che ne viene ricavato sia ampiamente compensato dalle garanzie di una “assoluta tutela e sicurezza” delle vite degli utenti e di una “gestione realmente efficiente” del servizio.



L'indecente segreto di Stato sui contratti di concessione
Angelo Allegri - Ven, 17/08/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 65581.html

Gli accordi sulla gestione delle autostrade non possono essere resi pubblici: «Vanno protetti i dati delle società»

Quattro o cinque anni fa la neonata Autorità dei trasporti chiese al ministero delle Infrastrutture i testi dei contratti di concessione autostradale.

Sembrava una richiesta di routine e invece i funzionari ministeriali fecero muro: i documenti, spiegarono, contengono dati delicati per le aziende coinvolte e quindi non possono essere divulgati. Nemmeno all'organismo di controllo. Affermazione sorprendente ma del tutto in linea con quello che era accaduto al momento stesso della creazione dell'Autorità. L'Aiscat, l'associazione dei gestori, era riuscita a ottenere una sostanziale riduzione dei suoi poteri: contrariamente a quello che accade in altri Paesi l'Autorità deve ancora oggi limitarsi alle nuove concessioni, ma non può mettere becco in quelle già firmate, tutte le più importanti compresa quella di Autostrade.

Non meraviglia dunque che Phastidio, il sito dell'economista Mario Seminerio, abbia definito le concessioni «un indecente segreto di Stato», più tutelato di quelli militari. In questo caso, però a essere protetta non è la collettività, ma le società che incassano i pedaggi. Il muro di gomma ha fino ad ora sempre tenuto, sventando ogni pericolo; l'esempio più recente risale all'inizio di quest'anno: mantenendo all'apparenza le ripetute promesse di trasparenza, Graziano Delrio, ministro dei trasporti del governo Gentiloni, ha fatto pubblicare su internet i testi incriminati. Peccato però che siano state escluse le parti più importanti, quelle davvero utili per farsi un'idea della sensatezza economica degli accordi.

Le concessioni, in tutto una ventina o poco più, sono i contratti con cui lo Stato (attraverso il Ministero delle Infrastrutture) affida a una società la gestione di un tronco autostradale, i rispettivi obblighi e diritti, i ricavi che l'operatore privato ne potrà trarre e gli investimenti a cui si impegna. Nella maggior parte dei casi risalgono alla fine degli anni Novanta, il periodo delle grandi privatizzazioni. Quella di Autostrade per l'Italia, siglata nel 1997, scadeva nel 2038, ma di recente, in cambio dei lavori sulla nuova super tangenziale di Genova, la cosiddetta Gronda, è stata prorogata al 2042.

Proprio le proroghe sono uno dei tasti più delicati. La legge europea prevede che una volta scadute, le convenzioni vengano messe a gara, nel nome di una sana competizione. Peccato che in Italia non succeda praticamente mai. Il cavallo di Troia sono di solito i nuovi investimenti: il gestore si impegna a costruire un nuovo tronco, una terza (o quarta corsia), opere considerate indispensabili, e come remunerazione finisce con l'ottenere dal governo un aumento dei pedaggi o una proroga del contratto (talvolta entrambi). Spesso, tra l'altro, l'investimento provoca un aumento del traffico e il gestore ci guadagna due volte. Atlantia dei Benetton (con Autostrade primo gestore italiano) o il gruppo Gavio (secondo) hanno un altro vantaggio: possiedono delle società di costruzioni interne a cui, almeno in parte, affidano i lavori. L'incasso tende così a triplicarsi.

Uno dei dominus del sistema è Fabrizio Palenzona, tra i più formidabili uomini di potere dell'Italia degli ultimi decenni. Ai tempi della prima Repubblica era già un democristiano in carriera (è stato sindaco di Tortona e presidente della provincia di Alessandria). Poi è diventato banchiere (vicepresidente di Unicredit) e proconsole dei Benetton nel settore infrastrutture. In questa veste è presidente di Aiscat (come detto l'associazione dei gestori autostradali) e di Assoaeroporti (i Benetton controllano lo scalo di Fiumicino).

La famiglia di Ponzano Veneto, oggi in difficoltà di fronte all'accanita competizione nel settore dei maglioncini (dove da anni perde soldi) è entrata nel più redditizio comparto dei servizi in concessione già dalla prima privatizzazione nel 1998. Più o meno nello stesso periodo sono entrati i Gavio. Le società della famiglia di Tortona sono state coinvolte qualche anno fa in una grottesca vicenda che rende bene la scarsa trasparenza del settore. La cosiddetta legge sblocca Italia del 2015 prevedeva a loro vantaggio la solita proroga (con relativi incassi) in cambio di lavori per 10 miliardi. Arrivata a Bruxelles la norma fu bocciata tra mille imbarazzi: i «nuovi» lavori, dissero i funzionari Ue, sono gli stessi che ci avete presentato negli anni precedenti. Quante volte volete farveli pagare?
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:41 am

LE SUE LACRIME SULLE SUE GUANCE

Carissimi,
Sapete che non scrivo mai se non per parlare di spiritualità ebraico o per condividere iniziative musicali. Oggi faccio un’eccezione.
Il Ponte Morandi, sopra e sotto il quale ho transitato per decenni, e decine di volte anche nelle ultime settimane, attraversa la Val Polcevera, nelle cui campagne sono nato e cresciuto. Il suo crollo rappresenta per noi genovesi una tragedia il cui impatto è difficile da immaginare, perché simboleggia il destino di una città splendida, fiera, amata, ma sempre più abbandonata dalle istituzioni e dalla politica ipocrita. Le parole delle Lamentazioni di Geremia, che solo tre settimane fa recitavo proprio a Genova, risuonano in me: “Come sta solitaria la città ricca di popolo! È divenuta come una vedova, la grande fra le nazioni; un tempo signora tra le province è sottoposta a tributo. Piangere piange nella notte, le sue lacrime sulle sue guance;”
Non ho parole di conforto, né veementi accuse, ma solo silenzio, come quello che la Torah attribuisce ad Aharon dopo la perdita dei suoi figli. Oggi non posso che abbracciare uno ad uno i miei concittadini, i genovesi che soffrono insieme a me. Riesco solo a trovare un poco di forza per ringraziare i Vigili del Fuoco, il personale del 118 , tutti i soccorritori professionisti e volontari, e tutti coloro che hanno prestato e prestano la loro opera. Possano essere benedetti.
La nostra amatissima e unica Genova, Superba e sofferente, risolleverà il suo capo, con l’aiuto di D-o, ma soprattutto grazie alla proverbiale tenacia dei suoi abitanti, fra cui avrò presto l'onore di annoverarmi nuovamente.
Che i feriti possano presto tornare a una vita normale, e che tutti coloro che sono in stato di trauma possano trovare conforto. Naturalmente prego per le famiglie in lutto, e continuerò a farlo sia solo che nelle diverse sinagoghe in cui celebro.
Possano essere le loro anime avvolte nel fascio dei viventi.

Rabbino Haim Fabrizio Cipriani, Genova



Benetton Maletton
MV, Il Tempo 17 agosto 2018

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... n-maletton

I Benetton non hanno prodotto solo maglioni e gestito autostrade ma sono stati la prima fabbrica nostrana dell’ideologia global. Sono stati non solo sponsor ma anche precursori dell’alfabeto ideologico, simbolico e sentimentale della sinistra. Sono stati il ponte, è il caso di dirlo, tra gli interessi multinazionali del capitalismo global e dell’americanizzazione del pianeta, coi loro profitti e il loro marketing e i messaggi contro il razzismo, contro il sessismo, a favore della società senza frontiere, lgbt, trasgressiva e progressista. Le loro campagne, affidate a Oliviero Toscani, hanno cercato di unire il lato choc, che spesso sconfinava nel cattivo gusto e nel pugno allo stomaco, col messaggio progressista umanitario: società multirazziale, senza confini, senza distinzioni di sessi, di religioni, di etnie e di popoli, con speciale attenzione ai minori. Via le barriere ovunque, eccetto ai caselli, dove si tratta di prendere pedaggi. Di recente la Benetton ha fatto anche campagne umanitarie sui barconi d’immigrati e ha lanciato un video “contro tutti i razzismi risorgenti”. Misterioso il nesso tra le prediche sulla pelle dei disperati e il vendere maglioni o far pagare pedaggi alle auto.

Dietro la facciata “progressista” di Benetton c’è però la realtà di Maletton, il lato B. È il caso, ad esempio del milione d’ettari della Benetton in Patagonia, sottratto alle popolazioni locali, come le comunità mapuche, vanamente insorte e sanguinosamente represse. O lo sfruttamento senza scrupoli dell’Amazzonia, ammantato dietro campagne in difesa dell’ambiente. O la storia dei maglioni prodotti a costi stracciati presso aziende che sfruttavano lavoratori, donne e minori a salari da fame e condizioni penose, come accadde in Bangladesh a Dacca, dove morirono un migliaio di sfruttati che lavoravano in un’azienda che produceva anche per Benetton.
Le loro facce non le abbiamo mai viste negli spot umanitari di Benetton, così come non vedremo nessuna maglietta rossa, nessun cappellino rosso sponsorizzato da Benetton o promosso da Toscani per le vittime di Genova. A questo si aggiunge per la Benetton l’affarone di gestire prima gli autogrill e poi interamente le Autostrade, dopo che lo Stato italiano ha investito per decenni miliardi per far nascere la rete autostradale. Un “regalo” del pubblico al privato, come succede solo in Italia. Il capitalismo italiano ha sempre avuto questo lato parassitario e rapace: non investe, non rischia di suo ma campa a ridosso del settore pubblico o delle sue commesse. A volte socializza le perdite e privatizza i profitti, come spesso faceva per esempio la Fiat, o piazza i suoi prodotti scartati dal mercato allo Stato, come faceva ad esempio De Benedetti accollando materiali un po’ vecchiotti dell’Olivetti alla pubblica ammministrazione. Aziende che si scoprivano nazionaliste quando si trattava di mungere dallo stato italiano e poi si facevano globalità quando si trattava di andarsene all’estero per ragioni di produzione, fisco o costi minori. O si rileva la gestione delle Autostrade come i Benetton e i loro soci, con sontuosi profitti ma poi è tutto da verificare se si siano curati di investire adeguatamente per ammodernare la rete e fare manutenzione efficace. La tragedia di Genova pende come un gigantesco punto interrogativo tra i cavi sospesi sulla città.

Di tutto questo, naturalmente, si parla poco nei media italiani, soprattutto nei grandi; non dimentichiamo che Benetton, oltre che importante cliente pubblicitario nei media, è azionista nel gruppo de la Repubblica-L’Espesso-La Stampa, dove si sono incrociati – ma guarda un po’ – i sullodati Agnelli e De Benedetti. In miniatura, segue lo stesso modello ideologico e d’affari alla Benetton, anche Oscar Farinetti, il patron di Eataly. Il capitalismo nostrano da un verso sostiene battaglie “progressiste” appoggiando forze politiche pendenti a sinistra e finanziando campagne global e antirazziste; poi dall’altro si trova invischiato in storie coloniali di espropriazione delle terre alle popolazioni indigene, di sfruttamento delle risorse e di uomini per produrre a costi minimi e senza sicurezza, ottenendo il massimo profitto.

Poi vi chiedete perché in Italia certe opinioni politically correct sono dominanti: si è cementato un blocco tra un ceto ideologico-politico progressista, radical, di sinistra che fornisce il certificato di buona coscienza a un ceto affaristico di capitalisti marpioni. Un ceto che è viceversa adottato, tenuto a libro paga, dal medesimo. In questa saldatura d’interessi si formano i potentati e contro quest’intreccio ha preso piede il populismo.

Però alle volte insorge la realtà. Drammaticamente, come è stato il caso di Genova. Dove ci sono da appurare le responsabilità, i gradi e i livelli. Inutile aggiungere che con ogni probabilità non ci sarà un solo colpevole, ci saranno differenti piani di responsabilità, anche a livello di amministratori locali, di governi centrali e ministeri dei trasporti, che avrebbero dovuto vigilare e imporre alla società autostrade di spendere di più in sicurezza, pena la decadenza della concessione. Col senno di poi è facile dire che se gli azionisti della società autostrade avessero speso la metà dei loro utili (oltre un miliardo di euro l’anno) per ulteriore manutenzione, sicurezza e rifacimento di strutture a rischio, come era notoriamente il ponte Morandi a Genova, oggi probabilmente non staremmo a piangere i morti e una città stravolta, sventrata. Ma richiamare altre responsabilità non vuol dire buttarla sulla solita prassi del tutti colpevoli nessun condannato; no, ci sono gradi e livelli di responsabilità diversi, e qualcuno dovrà pagare per quel che è successo, ciascuno secondo il suo grado di colpa effettivamente accertata. A questo punto rivedere le concessioni è necessario. Ma non può essere la sola risposta. C’è da ripensare al modello italiano che non funziona più da anni, vive di rendita sul passato e manda in malora il suo patrimonio. Bisogna ripensare alla nostra scassata modernità, al nostro obsoleto repertorio strutturale, vecchio come i capannoni di archeologia industriale e le cattedrali nel deserto che spesso deturpano il nostro paesaggio e ricordano il nostro passato, quando l’industria era il radioso futuro. Un paese che non sa più pensare in grande, investire, intraprendere, far nascere, pensare al futuro. Resistono i ponti dei romani, resistono i ponti di epoca fascista, opere “aere perennius”, ma scricchiolano o crollano le opere recenti, perché non c’è stata vera manutenzione, perché c’è stato sovraccarico, o perché furono fatte in origine con materiali inadeguati, con permessi ottenuti in modo obliquo, perché qualcuno vi speculò, e non solo le imprese di costruzione.

In tutto questo, purtroppo, la linea grillina del non fare, del tagliare, del risparmiare sulle grandi opere o sui grandi rifacimenti non è una risposta adeguata ai problemi e alle urgenze. Non dimentichiamo che per i grillini fino a ieri era una “favoletta” il rischio di crollo del ponte Morandi di Genova, era solo un modo per mungere soldi; e dunque pur di frenare eventuali corrotti e corruttori, per loro è meglio tenersi strade scassate e ponti insicuri.

Intanto è necessario rimettere in discussione il modello imperante, con un residuo di statalismo incapace e impotente, che si accompagna a un capitalismo vorace e parassitario sotto le vesti progressiste e umanitarie, con tutte le sue connivenze politiche denunciate da Di Maio. Quelle aziende che mettevano in cerchio i bambini del mondo, salvo vederli sfruttare nelle aziende del Terzo mondo o espropriare delle loro terre. Quelle aziende che volevano abbattere muri e frontiere nel mondo e nel frattempo crollavano i ponti di casa…


Ferrara difende i Benetton e attacca Salvini e Di Maio: "Sciacalli"
Franco Grilli - Ven, 17/08/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 65802.html

Giuliano Ferrara non usa giri di parole e mette nel mirino chi in queste ore ha puntato il dito contro i Benetton per il crollo del ponte Morandi a Genova.

Una reazione quella dell'Elefantino che vene articolata in un editoriale sul Foglio in cui non risparmia critiche ai grillini e all'esecutivo che ha decisio di revocare la concessione ad Autostrade. "Giggino e il lobbista vice del suo vice, mentre l'addetto alle Infrastrutture se la prendeva con i camionisti polacchi rei di caricare troppo i loro Tir, additavano - sempre a macerie ancora fumanti - la società privata Autostrade della famiglia Benetton come imputato da condannare senza attendere i tempi dell'accertamento via indagini ed eventuale processo, facendosi tribunale di giustizia sommaria e aggiungendo velenose insinuazioni sul sostegno finanziario dei Benetton ai governi e alle forze politiche del passato", afferma Ferrara.

Poi arriva l'affondo e definisce "miserabile il teatrino di poveri sciacalli". Ma non risparmia critiche nemmeno a Matteo Salvini: "Il Truce, nel bel mezzo di una spanzata tra i suoi a Messina, ha messo sotto tiro l' Unione europea, colpevole di aver tagliato fondi, per via dell'austerità, destinati alla manutenzione delle infrastrutture. È stato smentito su tutta la linea". Infine si interroga su quali possanno essere state le cause di una tragedia così grande che è costata la vita a 39 persone: "Tutti sanno, chi per scienza chi per semplice senso comune, che per adesso il crollo del Morandi a cinquant' anni dalla sua costruzione può avere molte cause diverse e nessuna accertata". Insomma Ferrara mette in discussione la linea dell'esecutivo che 24 ore dopo il disastro ha deciso di avviare l'iter per revocare la concessione ad Autostrade. Il premier Conte ha affermato: "Non possiamo attendere i tempi della Giustizia". Ma la sua scelta in queste ore sta dividendo (e non poco) il governo.


Sotto un ponte si sgretola anche lo Stato di diritto
Alessandro Gnocchi - Ven, 17/08/2018

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 65567.html

Concessioni sfavorevoli allo Stato, incuria nella manutenzione, indifferenza nei confronti di chi aveva segnalato il pericolo imminente ...

Il crollo del ponte Morandi, a Genova, diventa di giorno in giorno lo specchio di tutto il peggio del nostro Paese. Un altro tema emerge ora dalla disgrazia: la giustizia. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha detto che «non possiamo aspettare i tempi della giustizia». In 24 ore il governo ha aperto e chiuso l'inchiesta, individuato i colpevoli e spiccato il verdetto: revoca della concessione ad Atlantia, la società che controlla Autostrade. Vedremo se Conte passerà dagli annunci ai fatti. Per ora il governo, guidato da un professore di Diritto, mette in discussione proprio le regole dello Stato di diritto, spalancando le porte all'arbitrio. Quale sarà il prossimo caso in cui non si potranno attendere le decisioni della giustizia? È una questione che va al di là della cronaca tragica di questo Ferragosto. Le parole di Conte sono condivise da molti. Basta ascoltare le interviste ai genovesi o leggere cosa scrivono gli utenti dei social network. Circola la convinzione che il processo sarà infinito e si concluderà con un nulla di fatto. Come sempre l'Italia si spacca in due. Chi vuole la revoca immediata della concessione ad Atlantia è accusato di giustizialismo e di incompetenza. Chi preferisce aspettare la sentenza dei magistrati è accusato di voler insabbiare la vicenda per proteggere le responsabilità politiche e il tesoro della famiglia Benetton, proprietaria di Atlantia (che si adopera per rendersi odiosa, riuscendoci in pieno). Tutto questo è sintomo della sfiducia nello Stato di diritto. Sarebbe però sbagliato ascriverla solo alla mancanza di cultura liberale del nostro Paese. La crisi deriva anche dalla disillusione nei confronti della magistratura. Negli ultimi decenni, la giustizia ha dato l'impressione di interessarsi solo alle questioni «da prima pagina» e di imporre una sorta di commissariamento costante della vita politica. Inoltre non è riuscita a dimostrarsi super partes, affondando il solo centrodestra a colpi di inchieste moralistiche finite poi nel nulla o giunte a condanne discutibili. I post-comunisti invece sono stati risparmiati, eccezione fatta per qualche caso di cattiva amministrazione. A questo possiamo aggiungere pubblici ministeri affamati di notorietà, inchieste tanto spettacolari quanto risibili, processi interminabili, sospette «fughe» di documenti dalle procure. Insomma, il campionario è vasto e suggerisce che, negli ultimi decenni, la giustizia abbia scalfito soprattutto la propria credibilità. In questa confusione dei ruoli, che intacca la separazione dei poteri, sono coinvolti anche i giornali. La stampa, con le dovute eccezioni, ha sposato il metodo di condannare prima delle sentenze, arrivando, in alcuni casi, a mettersi a disposizione dei giudici pur di infangare l'immagine del «nemico».


???
https://www.startmag.it/economia/ponte- ... autostrade



Crollo Ponte Morandi a Genova, ecco come il governo tampona Autostrade (Atlantia) dei Benetton
di Michele Arnese
15 agosto 2018

https://www.startmag.it/economia/ponte- ... autostrade


Il titolo Atlantia casca in Borsa, il governo chiede le dimissioni dei vertici del gruppo Autostrade, i Benetton borbottano sui manager della concessionaria e studi della stessa società svelano alcuni aspetti non tranquillizzanti sullo stato del viadotto Morandi crollato ieri a Genova. Ecco tutti i dettagli.

AUTOSTRADE SBANDA IN BORSA

Il crollo del ponte Morandi sulla A10 ha affondato ieri in Borsa Atlantia, la controllante di Autostrade per l’Italia che ha in concessione quel tratto di autostrada. Il mercato intravvede i costi che la società dovrà sostenere e ne penalizza il titolo, che chiude perdendo il 5,39%, a 23,54 euro, bruciando oltre 1,1 miliardi di capitalizzazione, dopo aver toccato ribassi che hanno sfiorato il -10%.

IL POST DI TONINELLI SU FACEBOOK

Stamattina la doccia fredda per il gruppo dei Benetton. annuncio choc del governo: “I vertici di Autostrade per l’Italia devono dimettersi prima di tutto. E visto che ci sono state gravi inadempienze, annuncio fin da ora che abbiamo attivato tutte le procedure per l’eventuale revoca delle concessioni, e per comminare multe fino a 150 milioni di euro”, ha scritto su Facebook il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli (Movimento 5 Stelle).

DI MAIO PUNTA IL DITO CONTRO ATLANTIA

I vicepremier rincarano la dose contro il gruppo Atlantia che controlla la società Autostrade per l’Italia. “E’ possibile, in caso di inadempienze, ritirare la concessione e far pagare multe fino a 150 milioni di euro. Autostrade non ha fatto la manutenzione” sul ponte Morandi: “Toninelli ha avviato le procedure” per il ritiro della concessione. Lo ha detto il vicepremier Luigi Di Maio in un’intervista a Radio Radicale. “Può gestire lo Stato. Ad Autostrade paghiamo i pedaggi più alti d’Europa e loro pagano tasse bassissime”, sottolinea il ministro.

LE PAROLE DI SALVINI

“La revoca delle concessioni è il minimo che ci si possa aspettare”, ha aggiunto il vice premier Matteo Salvini intervistato da Radio 24 e dicendosi “assolutamente” d’accordo sulla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia.

LE TENSIONI FRA GOVERNO E AUTOSTRADE

Le critiche dell’esecutivo ad Autostrade sono anche il frutto di commenti della società che sono stati ritenuti poco consoni da ambienti dell’esecutivo anche dal punto di vista della comunicazione. Nella maggioranza di governo c’è chi sostiene che il ponte Morandi sul viadotto Polcevera fosse un rischio noto da tempo. Ma da Autostrade per l’Italia, che ha in gestione quel tratto della A10 e che effettuava controlli continui su quest’opera, risalente agli anni Sessanta, ieri hanno assicurato che non è mai emerso nulla che potesse far presagire il crollo che ha provocato finora 35 morti. Ma indiscrezioni giornalistiche parlando di un certo borbottio della famiglia Benetton, che controlla il gruppo Atlantia, sulla gestione post crollo da parte dei vertici della società concessionaria. Verità o gioco delle parti? Vedremo. Le parole del top management sono state emblematiche ieri.

LE RASSICURAZIONI DI CASTELLUCCI

Ad escludere che il ponte fosse pericoloso, oltre alla Direzione locale, è stato ieri anche l’amministratore delegato della sociteà Giovanni Castellucci (“non mi risulta”), numero uno anche della holding Atlantia. La società ha assicurato che “lavorerà insieme alle istituzioni per accertare le cause” e annuncia di essere “alacremente impegnata a valutare le soluzioni migliori per ricostruire il viadotto nel minor tempo possibile”. Il crollo, ha spiegato il direttore del Tronco di Genova di Autostrade per l’Italia Stefano Marigliani, è “per noi qualcosa di inaspettato e imprevisto rispetto all’attività di monitoraggio che veniva fatta sul ponte. Nulla lasciava presagire” che potesse accadere. “Assolutamente non c’era nessun elemento per considerare il ponte pericoloso”, assicura Marigliani, spiegando che “il ponte è una struttura dal punto di vista ingegneristico molto complesso: da qui la moltitudine di controlli”. L’opera era infatti soggetta a costante attività disservazione e vigilanza, con strumenti avanzati e prove riflettometriche (l’ultima ad inizio 2017): ma mai “nulla è emerso che facesse presagire” l’accaduto.

CHE COSA DICE AUTOSTRADE SULLA MANUTENZIONE

C’è da dire però che una relazione di Autostrade del 2011, evidenziava già allora un “intenso degrado della struttura del viadotto” per il volume raggiunto dal traffico. Il viadotto era da anni oggetto di una manutenzione continua e nel 2016 le Autostrade hanno avviato dei lavori di manutenzione straordinaria ora in via di ultimazione con interventi sulle barriere di sicurezza. Sulla struttura erano in corso, spiega una nota di Autostrade, lavori di consolidamento della soletta del viadotto ed era stato installato un carro-ponte per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione. Ed è proprio di qualche mese fa un nuovo bando di gara da 20 milioni per “interventi di retrofitting strutturale (una sorta di ristrutturazione profonda) del Viadotto Polcevera”. Ha chiosato il Sole 24 Ore oggi: “L’esigenza di consolidare quella parte del ponte era presente, ma non si riteneva che vi fosse un’emergenza, tanto che l’inizio dei lavori non era previsto prima del 2019”.

LE PREOCCUPAZIONI IMPLICITE

Che significa? Messa urgente in sicurezza dei tiranti sulla parte poi crollata. Le offerte erano state presentate l’11 giugno e finita l’estate – per non intralciare il viavai turistico che segna la Liguria fino ai primi di settembre – sarebbe partito un intervento lungo 784 giorni, che avrebbe comportato blocchi a singhiozzo delle varie carreggiate. Ha spiegato Enrico Sterpi, attuale segretario dell’Ordine degli ingegneri liguri: “Questo bando significa due cose: Autostrade aveva focalizzato la criticità ed era disposta a prendersi una bella responsabilità, con una gara ristretta per un importo tanto elevato. È chiaro insomma che a un certo punto ci fosse necessità di accelerare la procedura”.

AUTOSTRADE: DEMOLIAMO IL PONTE?

Meglio demolire il Ponte Morandi per ricostruirlo che manutenerlo ancora? E’ la domanda che fa capolino in un rapporto tecnico della società Autostrade di tempo fa. Ecco tutti i dettagli. Da 8 a 12 mesi: questo il tempo, che nel 2009, era stato calcolato per la demolizione controllata del viadotto Polcevera, con lo smontaggio della “struttura con un ordine inverso rispetto alle fasi della costruzione dell’opera. In tal modo sarà sufficiente evacuare provvisoriamente le abitazioni che attualmente insistono nell’impronta e negli immediati dintorni del viadotto, senza procedere ad alcun abbattimento dei fabbricati”. Lo si legge nello studio “La Gronda di Genova. Presentazione sintetica delle ipotesi di tracciato” che Autostrade per l’Italia aveva realizzato assieme alla società d’ingegneria SPEA e pubblicato nel febbraio 2009 come base per un dibattito pubblico.

L’IPOTESI DEMOLIZIONE CONTROLLATA

Il documento, nel capitolo dedicato ad una delle ipotesi di varianti di tracciato studiate da Autostrade per l’Italia (quella definita “Gronda Bassa” che “affianca l’esistente viadotto Morandi, di cui è prevista la dismissione, ad una distanza di circa 150 m verso nord”), spiega: “Una volta demolita la struttura del Ponte Morandi, i proprietari delle abitazioni potranno rientrare nei rispettivi alloggi”. Questa demolizione controllata del viadotto Morandi, precisavano gli autori, “richiede di smantellare circa 80.000 mc di calcestruzzo”.

LE CRITICITA’ SOTTOLINEATE DA AUTOSTRADE

Autostrade per l’Italia aveva sottolineato in più punti la criticità della situazione: nel documento si legge, tra l’altro, che “il tratto più trafficato è il viadotto Polcevera (Ponte Morandi) con 25,5 milioni di transiti l’anno, caratterizzato da un quadruplicamento del traffico negli ultimi 30 anni e destinato a crescere, anche in assenza di intervento, di un ulteriore 30% nei prossimi 30 anni”.

I POTENZIALI RISCHI

La relazione, redatta 9 anni fa, metteva in guardia sui potenziali rischi: “Il ponte Morandi – si legge – costituisce di fatto l’unico collegamento che connette l’Italia peninsulare ad est, la Francia meridionale e la Spagna ad ovest, ed è il principale asse stradale tra Genova, le aree residenziali periferiche, il porto di Voltri, l’aeroporto e le aree industriali di ponente. Lo svincolo di innesto sull’autostrada per Serravalle, all’estremità est del viadotto, produce quotidianamente, nelle ore di punta, code di autoveicoli ed il volume raggiunto dal traffico provoca un intenso degrado della struttura sottoposta ad ingenti sollecitazioni. Il viadotto è quindi da anni oggetto di una manutenzione continua”.

LE VERIFICHE E LA VIGILANZA

Ma quali obblighi di vigilanza aveva Autostrade per l’Italia? E chi esegue le verifiche? A queste domande ha cercato di rispondere un’inchiesta del quotidiano La Stampa: “Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha incarico le strutture nate dal ‘99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest’ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatti da tecnici retribuiti da Autostrade per l’Italia”.



Autostrade (Atlantia), ecco tutte le anomalie su pedaggi e controlli. Parla il prof. Arrigo
di Michele Arnese
16 agosto 2018

https://www.startmag.it/smartcity/autos ... -controlli


“Autostrade si controlla da sola in tema di sicurezza, senza alcun ruolo in merito da parte di organismi pubblici. È sconcertante . È inaccettabile”. Parola di Ugo Arrigo, economista dei trasporti che insegna all’università degli studi di Milano-Bicocca.

Arrigo spiega e approfondisce la questione dei controlli di sicurezza sulla rete autostradale dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova e sulla scia di un articolo del quotidiano La Stampa in cui si sostiene: “Autostrade è, di fatto, l’unico controllore di se stesso, esegue con personale proprio ispezioni e (auto)certificazioni, oppure le affida a consulenti pagati dalla medesima società”.

IL NODO DELLA VIGILANZA E DELLE VERIFICHE DI AUTOSTRADE PER L’ITALIA

Che obblighi di vigilanza aveva Autostrade per l’Italia? Chi esegue le verifiche? A queste domande, l’inchiesta di due giornalisti della Stampa e del Secolo XIX risponde così: “Poiché il viadotto è stato realizzato nel 1967, il gestore non deve fornire un piano di manutenzione (il diktat vige per chi ha in carico le strutture nate dal ‘99 in poi). Non solo. Autostrade esegue per legge due tipi d’ispezione, certificate una volta compiute: trimestrale con personale proprio (controlli sostanzialmente visivi) e biennale con strumenti più approfonditi. In quest’ultimo frangente, al massimo, la ricognizione viene affidata a ingegneri esterni, ma alla fine sempre pagati da Autostrade. Né gli enti locali, né il ministero delle Infrastrutture intervengono con loro specialisti. E di fatto non esistono certificazioni di sicurezza recenti che non siano state redatte da tecnici retribuiti da Autostrade per l’Italia”.

DA DOVE NASCE LA NORMATIVA ATTUALE PRO AUTOSTRADE SECONDO IL PROF. ARRIGO

Ma perché sono queste le regole? Quando e perché sono state stabilite? Arrigo ha ricostruito la genesi della normativa: “Quando Autostrade era Iri si controllava da sola in quanto pubblica. Non avrebbe avuto senso che un soggetto pubblico con la mano sinistra (ossia Anas) controllasse un soggetto pubblico con la mano destra”, ha twittato ieri: “Con la privatizzazione il controllo pubblico è invece divenuto indispensabile ma non è stato attivato in quanto immagino abbiano ‘copiato’ la concessione precedente che non lo prevedeva. Non so se questo sia avvenuto per miopia burocratica o volutamente per favorire l’acquirente”.

I DUE FAVORI DI CUI GODE IL GRUPPO ATLANTIA DEI BENETTON

In ogni caso – aggiunge Arrigo con Start Magazine – “almeno due altri grossi favori sono stati fatti all’acquirente, ossia alla società della famiglia Benetton ora Atlantia che controlla la concessionaria Autostrade per l’Italia”. Il primo favore? “È stata la vendita senza previa istituzione di un regolatore indipendente dei trasporti, come esplicitamente previsto dalle norme generali allora vigenti sui processi di privatizzazione”. Infatti l’obbligo dell’istituzione del regolatore indipendente ante privatizzazione per le società di servizi pubblici era previsto dall’articolo 1 bis della legge 474 del 1994. “Dunque la privatizzazione di Autostrade avvenne in violazione di questa norma”, chiosa l’economista.

IL BLUFF DELL’AUTORITA’ DEI TRASPORTI

L’autorità di regolazione dei trasporti (Art) è stata istituita (con 17 anni di ritardo) da un decreto legge del 2011, il collegio è stato nominato nel 2012 e l’authority è pienamente operativa dal 2013, ossia 19 anni dopo la legge del 1994. Ma c’è una sorpresa, di certo apprezzata molto dalla società Autostrade per l’Italia: “L’Art ha competenza su tutte le tipologie di trasporto, comprese le autostrade, ma solo per le ‘nuove concessioni’. Non dunque su quelle in essere e tra esse neppure su quella più importante per la quale vi era un obbligo di istituzione ante privatizzazione”.

CONVENZIONI SECRETATE O NO?

In questi giorni si dibatte anche sul segreto delle convenzioni che legano lo Stato alle concessionarie autostradali. È vero che sono ancora secretate? Risponde Arrigo: “Tutte le concessioni autostradali sono da sempre secretate e non è possibile sapere all’opinione pubblica cosa prevedono. Il ministro Delrio effettivamente ha finalmente deciso all’inizio di quest’anno di renderle pubbliche. Esse sono state dunque rese disponibili sul sito del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Peccato manchino gli allegati di maggiore interesse., in particolare i piani finanziari che giustificano le tariffe e loro variazioni”. Secondo Arrigo, “solo dai piani finanziari è possibile comprendere se le tariffe e la loro crescita nel tempo sono giustificate o meno e se i concessionari rispettano le promesse di investimento che le tariffe permettono comunque di recuperare”.

TUTTI I DIFETTI DELLE REGOLE SU TARIFFE-PEDAGGI

Ma qual è il secondo favore elargito ad Autostrade? “È stato – risponde Arrigo, come ha scritto anche su Twitter – il mantenimento del principio che si possa caricare in tariffa già oggi un investimento che si farà (forse) in futuro. Esso ha senso solo per gestori pubblici non per gestori privati. Andava bene per un sindaco che doveva rifare un acquedotto e che anziché aumentare le tasse ai cittadini aumentava la tariffa dell’acqua potabile, così poteva mettere da parte i soldi per l’investimento. Ma la stessa cosa non ha alcun senso per un gestore privato il quale, una volta incamerata la maggiorazione tariffaria per investimenti futuri inizia a distribuirla sotto forma di dividendi agli azionisti e bonus ai manager”.


Ecco come Conte, Di Maio, Salvini e Toninelli sbandano sulla concessione di Autostrade-Atlantia
di Michele Arnese
17 agosto 2018

https://www.startmag.it/economia/ecco-c ... e-atlantia


La revoca diventa “eventuale”. La decisione lascia spazio a una commissione. E comunque alla fine forse ci sarà una multa più che la revoca/decadenza sbandierata dal premier-giurista Giuseppe Conte; annuncio che ha provocato un ruzzolone in Borsa del titolo Atlantia (la capogruppo dei Benetton che controlla la concessionaria Autostrade per l’Italia). Nel frattempo, la procedura per la “caducazione” della concessione è partita, annuncia Palazzo Chigi.

Il parziale dietrofront rispetto ai tuoni e ai fulmini assicurati subito dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova è arrivato questa mattina. La retromarcia è innestata ufficialmente dal leader leghista Matteo Salvini. Il vicepremier del Carroccio non ha mai parlato di revoca della concessione, ma più volte negli ultimi tre giorni aveva invocato ed evocato la nazionalizzazione delle autostrade. Eppure si intesta di fatto oggi, in una conversazione con il Corriere della Sera, il ruolo di dialogante mediatore con la società autostradale: soldi e investimenti subito, il resto (la concessione) si vedrà. Questo il senso delle parole del ministro dell’Interno.

“Stiamo lavorando con gli avvocati e di sicuro va rivisto tutto il sistema delle concessioni, c’è chi ha fatto soldi a palate e mentre registra a bilancio miliardi di utile rivede al ribasso le cifre per la sicurezza. Ma non è questo il momento di parlare di rescissioni di convezioni o di contratti, faremo il punto nel governo la settimana prossima, prima vediamo cosa succede”. Queste le parole precise al Corriere della Sera del vicepremier Salvini.

Servono, ha aggiunto Salvini, “almeno alcune decine di milioni di euro che mi auguro nelle prossime ore vengano messe a disposizione dalla società per le vittime, per la ricostruzione, per la messa in sicurezza. Questo è il punto di partenza”. E prima di parlare di una eventuale rescissione, “facciamo una verifica su quanti miliardi sono disposti a investire non nei prossimi anni, come da programmi che a questo punto appaiono chiaramente obsoleti, ma nei prossimi mesi”.

Nella maggioranza le posizioni divergono: se la Lega ammorbidisce la minaccia della revoca, il Movimento 5 Stelle con il vicepremier Luigi Di Maio avverte che “chi è contro la revoca dovrà passare sul mio cadavere”. E dopo la frenata di Salvini, il capo politico del Movimento pentastellato dice: “La sentenza già c’è stata, sono i 40 morti e il crollo del ponte. posizione del Governo è che chi non vuole revocare le concessioni ad Autostrade deve passare sul mio cadavere. C’è un volontà politica chiara”.

Parole che vengono lette come una risposta alla prudenza della Lega. La volontà sarà pure chiara come assicura Di Maio, ma era chiara pure la volontà di mettere in stato d’accusa il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il no del Quirinale a Paolo Savona come ministro dell’Economia, ma poi si sa come è finita la vicenda.
“Il governo è compatto, nessun dubbio sulla procedura di revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia”, assicura via Twitter il capogruppo del M5S alla Camera, Francesco D’Uva.

In verità anche il ministro pentastellato delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli, ha rivisto le sue posizioni. Ha scritto ieri su Facebook: la commissione ispettiva sul crollo del Ponte Morandi a Genova, istituita dal Ministero delle infrastrutture e trasporti, sarà già oggi “sul luogo del crollo del ponte Morandi per i primi accertamenti”. Toninelli ha anche precisato che “l’esito del loro lavoro, che dovrà arrivare entro un mese, entrerà nella procedura di un’eventuale revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia”. La revoca è stata dunque revocata.

Il premier-giurista Giuseppe Conte aveva annunciato la revoca della concessione perché “non si possono attendere i tempi della giustizia penale”. Un processo sommario – senza alcuna contestazione formale – che esporrebbe il governo a un contenzioso legale monstre, con il rischio di dover pagare un indennizzo che esperti hanno stimato in non meno di 20 miliardi. Per questo, secondo l’economista Andrea Giuricin intervistato da Mf/Milano Finanza, alla fine ci sarà una multa più che una revoca, come ha scritto ieri l’agenzia Reuters sulla base di indiscrezioni governative.

Ma in serata il presidente del Consiglio annuncia: “Oggi il Governo, tramite la competente Direzione del Ministero delle Infrastrutture, ha formalmente inoltrato ad Autostrade per l’Italia la lettera di contestazione che avvia la procedura di caducazione della concessione. Il governo contesta al concessionario che aveva l’obbligo di curare la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’autostrada A10, la grave sciagura che e’ conseguita al crollo del ponte”, ha scritto il premier Giuseppe Conte in un comunicato.

Ma la strada per il governo non è in discesa. La clausola della convenzione che garantisce di più Autostrade per l’Italia – ha spiegato Maurizio Caprino del Sole 24 Ore – è il comma 3 dell’articolo 8, che impone allo Stato di pagare alla controparte l’equivalente dei ricavi che sarebbero prevedibilmente stati realizzati fino al termine naturale del contratto, al netto di alcuni “correttivi”. “Non è possibile valutarne esattamente l’entità, perché va fatto riferimento anche ad allegati alla convenzione a tutt’oggi segreti”.

Inoltre la revoca che era stata annunciata sembra tecnicamente una decadenza (non a caso il premier ora parla di “caducazione”): così la definisce l’articolo 9 della convenzione, scrive il Sole 24 Ore oggi: “Per arrivarvi, occorre che il ministero delle Infrastrutture «accerti che si sia verificato un grave inadempimento» (articolo 8) di alcuni degli obblighi del gestore. Questo è il compito della commissione ministeriale istituita ieri, che dovrà produrre una relazione dettagliata entro 30 giorni, termine previsto dalle norme generali della legge sul procedimento amministrativo (legge 241/1990). Non è chiaro come questo possa conciliarsi con la complessità dell’indagine da fare”.

Non sarebbe l’unico problema. Il governo non ha mai chiarito se l’eventuale decadenza/revoca riguarda tutta la rete in concessione ad Aspi o solo la tratta interessata dal crollo: “Inadempienze eventuali relative a un tratto – ha detto l’ex-ministro della Funzione pubblica, Sabino Cassese – non possono coinvolgere la concessione come tale, ma il tratto coinvolto. Altrimenti, vi sarebbe una sproporzione tra evento contestato e misura adottata”.

Resta una domanda, avanzata da Start Magazine: invece di evocare revoche di concessioni autostradali e invocare nazionalizzazioni, perché il governo non modifica le anomalie delle convenzioni (analizzate dal prof. Ugo Arrigo in questa intervista https://www.startmag.it/smartcity/autos ... -controlli ) e non vara una sorta di piano Marshall di sostituzione dei ponti (come indicato dal prof. Antonio Occhiuzzi)?
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:42 am

???
Rimango basita da moltissimi post su FB.
Shar Kisshati

https://www.facebook.com/shar.kisshati/ ... 8078453971

I fatti sono che a 12 anni dalla costruzione, lo stesso ingegnere che costruì il ponte disse che non andava bene, anche perché era stato costruito pensando al carico e al flusso dell'epoca (certo non è stato un genio a non immaginare che sarebbe aumentato).
Negli anni '80, proprio perché il ponte era sovraccaricato e si sospettava un futuro cedimento, si comincia a progettare un'alternativa. Nei primi anni '90, Andreotti finanzia con non ricordo quanti miliardi di lire la costruzione di un nuovo ponte. E qui comincia una lunga carrellata di politici locali, nonché di movimenti cittadini locali, che hanno bocciato o rimandato le opere. I miliardi di Andreotti finirono in Veneto (evidentemente più furbi). Da quel momento cominciano a susseguirsi altri progetti: gronde alta, bassa a destra e a manca. Tutte opere bloccate o bocciate sempre da politici locali e movimenti cittadini. Ricordiamo che Genova è stata rossa per decenni e decenni, eh. Ma non sono stati solo loro, ci sono stati i soliti dannosissimi ambientalari, sostituiti in seguito dai grillini. Chiaro, Autostrade per l'Italia avrà sicuramente delle responsabilità ma, improvvisamente, dopo decenni di responsabilità politiche GRAVISSIME, adesso la colpa è solo di Benetton ed è meglio nazionalizzare le strade, facendo finta che non ci siano mai stati i decenni di imbecillità. Facendo finta che la Messina-Palermo non sia mai esistita, facendo finta che la Salerno-Reggio Calabria non sia mai esistita, ecc. ecc. Quando vedo quest'isterismo collettivo mi vien da ridere. L'ipocrisia di tutti va oltre ogni immaginazione. I forconi però, insieme a chi vorrebbe un nuovo piazzale Loreto, quelli mi terrorizzano. Stanno facendo tutti una gran figura di merda e, anch'io, se fossi parente di una delle vittime, rifiuterei i funerali di Stato che è il maggior colpevole. Forse gli unici che stanno uscendo a testa alta, almeno in questa precisa circostanza, sono quelli di Forza Italia.



Una cosa è certa: “I ponti non crollano per fatalità”
Riccardo Ruggeri, 17 agosto 2018

https://www.nicolaporro.it/una-cosa-e-c ... r-fatalita

Confesso che mi sfugge questa volontà di politicizzare a tutti i costi il caso del ponte Morandi, spaccando il paese in due, come non lo fosse già abbastanza. Trovo idiota che da una parte tutti i “competenti” siano schierati con i Benetton, dall’altra tutti gli “incompetenti” contro i Benetton. Che modo di ragionare è mai questo? Un punto dovrebbe essere acquisito: “I ponti non crollano per fatalità”. Se fai la manutenzione come la fanno gli svizzeri, in caso di problemi o li chiudi per manutenderli meglio, o, se del caso, li abbatti, prima che crollino (era il caso del Morandi?).

Un punto è fermo: nessuno deve morire per colpa di un ponte. Due giorni fa il Corriere del Ticino titolava alle pagine 2-3 “La tragedia di Genova: In Svizzera non potrà mai succedere”. Leggendo i tre articoli di approfondimento non trovavi un briciolo di arroganza. Gli esperti interpellati, escludevano tutti la fatalità applicata ai ponti, garantivano come si fa manutenzione: “controlli continui e capillari sui viadotti”.

In contemporanea lo affermava una celebrità che tutto il mondo ci invidia, archistar, senatore a vita, genovese, inventore del “rammendo”, Renzo Piano: “I ponti non crollano per fatalità” (Repubblica). Lo ha ripetuto il Procuratore di Genova. Hanno ragione. Perchè fingere, questo è un punto fermo. Se la fatalità non è invocabile, resta la manutenzione. La si faccia a regola d’arte, punto.

Lo stesso concetto lo si trova declinato nelle interviste che i giornali svizzeri (Blick, 20 Minuten) hanno fatto in questi giorni a Jürg Röthlisberger e a Thomas Rohrbach dell’Ustra (ufficio federale delle strade svizzere), a Eugen Brühwiler, capo del Laboratorio di costruzione, manutenzione e sicurezza dei manufatti al Politecnico di Losanna, a Armand Fürst, un imprenditore, e pure il maggior costruttore di ponti svizzero.

Quest’ultimo ha spiegato perché la Svizzera è all’avanguardia nel mondo sulle tecniche di manutenzione delle strutture portanti. Nel 2014 i suoi protocolli, e relativi parametri di riferimento sulla manutenzione delle strutture portanti, sono stati adottati dai paesi più avanzati. Ma c’è una differenza, dicono. Il Governo Svizzero ci mette tutti i quattrini necessari, perché quelle dei ponti sono manutenzioni molto costose. La piccola Svizzera spende annualmente 1,3 miliardi di franchi per la manutenzione delle strade, di cui 400 milioni solo per i ponti. I dipendenti federali attivi sulle strade, ogni giorno (sic!), fanno un controllo visivo di ogni singolo ponte, e ogni 5 anni la revisione è approfondita, lo è prima qualora si siano verificati incidenti stradali gravi, inondazioni o fenomeni naturali particolari. Queste revisioni sono affidate a specialisti non governativi. Le statistiche del traffico vengono parametrate sui componenti più critici, come ad esempio i giunti di dilatazione, in modo da renderli compatibili all’incremento dei carichi stradali, nel frattempo eventualmente aumentati. I protocolli sono rigidi, trasparenti e tempificati.

Tornando a noi mi parrebbe ovvio, per rispetto verso gli incolpevoli morti e le centinaia di sfollati dalle proprie case (c’erano prima del Morandi, non dimentichiamolo) che si creasse fra maggioranza e opposizione un momento di sintesi, di depotenziamento delle tensioni. Così che, da un lato la Magistratura possa perseguire i colpevoli, e il Governo possa imporre al gestore l’immediato ripristino, per il viadotto Morandi, della situazione quo ante bellum. Così come sull’intera rete data in concessione ai tre gestori si facciano una serie di due diligence tali da poter anche noi, presto, affermare: “In Italia un caso Genova non potrà mai più succedere”.

Ci rendiamo conto di cosa è avvenuto? Una cinquantina di automobilisti prendono l’autostrada per fare prima, pagano un biglietto e muoiono precipitando in un fiume, cento metri sotto, perché il ponte si è sbriciolato. Nessuna fatalità, ma incompetenza allo stato puro, diciamocelo, di un intera filiera di società civile, rivelatasi composta da dilettanti allo sbaraglio.

Come ripeto da anni, tutti i nodi stanno arrivando al pettine. Facilitiamoli, aspettando sereni che l’epoca delle chiacchiere e della cipria collassi, in modo da poter ripartire con un nuovo slancio. Più presto archiviamo l’attuale modello politico, economico, culturale, e mettiamo almeno in pausa la vecchia, fallimentare classe dominante, meglio sarà.


https://www.facebook.com/NicPorro/video ... cation=ufi



Due cose a quelli che “ora ci pensa lo Stato”
Oscar Giannino
2018/08

http://www.lintraprendente.it/2018/08/d ... I.facebook

Riflessioni post-Genova a margine della propaganda trasversale sui morti: se pensate che il pubblico investa meglio del privato, i numeri dicono il contrario. E soprattutto: la vera colpa del pubblico è lasciare secretate le convenzioni autostradali...

Il tragico crollo di circa 200 metri del viadotto Morandi a Genova ci consegna – oltre a un doloroso bilancio di vittime – due gravissime emergenze che non investono solo il capoluogo ligure, ma l’intera Italia. La prima riguarda l’interruzione di un asse viario essenziale non solo tra Genova Ovest ed Est, che ora rischiano di essere di fatto per anni quasi separate come Berlino ai tempi della Guerra fredda, ma tra il porto di Genova, il maggior scalo di container italiano, e l’intero asse occidentale della E80, che da Lisbona giunge fino al confine orientale dell’Anatolia. Per l’intensissimo traffico pesante che percorreva l’A10, l’Autostrada da Ventimiglia fino a Genova, ora per aggirare l’interruzione del ponte Morandi servirà salire fino a Novi Ligure per poi riscendere verso la A7 e reinstradarsi nella A12, che va verso La Spezia. È un collo di bottiglia micidiale per la movimentazione delle merci portuali in partenza e in arrivo, comporta due ore minime di percorso in più, e un danno non solo per la vita quotidiana dei genovesi ma per le attività economiche locali e nazionali complessivamente valutabile in diversi miliardi di euro l’anno. Una simile emergenza su un asse viario di rilevanza europea dovrebbe immediatamente condurre il governo a soluzioni progettuali ed esecutive, sulla base di appropriate valutazioni costi-benefici, con un cronoprogramma il più spedito possibile. È una vera emergenza nazionale.

La seconda emergenza si desume invece dalla lunga storia che esita nella tragedia. È una storia, purtroppo, specchio dei tempi che viviamo da alcuni decenni nelle opere pubbliche del nostro Paese. Stretti dall’incapacità di farne di nuove – per le mille obiezioni e resistenze ai progetti, per l’inconcludenza delle conferenze di servizio con le Autonomie locali, per il regime di reiterate impugnative, insomma per tutto ciò che in Italia conduce quando va bene un’opera del valore di 100 milioni a dover registrare in media più di 15 anni dall’inizio del suo iter alla sua realizzazione – i decenni passano invano: e così le opere nuove non si fanno, e nel frattempo quelle antiche vanno incontro all’inevitabile usura di carichi di traffico sempre maggiori. E talora, tragicamente, crollano. Ed è anche questa una vera emergenza nazionale, visto che ieri l’Istituto per la Tecnica delle Costruzioni del CNR ha ricordato che in Italia “sono migliaia i ponti stradali ad aver superato i 50 anni di età, che corrispondono alla vita utile associabile alle opere in calcestruzzo armato realizzate con le tecnologie disponibili nel secondo dopoguerra. Hanno superato, oggi, la durata di vita per la quale sono stati progettati e costruiti”.

Visto che saranno a questo punto le indagini della magistratura e tecniche a far luce sul crollo, che cosa sappiamo comunque già fin d’ora, per poter giungere a questa prima durissima conclusione? Mettiamole in fila.

Primo: le obiezioni e i dubbi tecnici sulla tenuta del ponte Morandi erano state avanzate da anni. Il professor Antonio Brencich, docente di tecnica delle costruzioni in cemento armato all’Università di Genova, nel 2016 aveva diffusamente e criticamente argomentato sulla tenuta della portanza dell’opera realizzata secondo il brevetto-Morandi. “il ponte Morandi è un fallimento dell’ingegneria”, aveva detto, e già alla fine degli anni Novanta il costo complessivo nei decenni della manutenzione aveva superato l’80% del costo di sostituzione”. Le critiche trovarono eco ance in interrogazioni parlamentari, alle quali seguirono rassicurazioni ieri drammaticamente smentite. Prima di allora, già nel 2012 Confindustria Genova aveva drammaticamente preconizzato l’eventualità del crollo dell’opera, visti i suoi storici problemi legati alle tecniche di realizzazione e considerato il carico crescente di traffico. Ma la reazione furono sberleffi.

Secondo: la sostituzione del discusso ponte Morandi era infatti prevista nella prima versione della Gronda di ponente, il nuovo passante autostradale genovese per alleviare l’A10 la cui storia iniziale risale addirittura al 1984, e poi fermata dal TAR nel 1990. A questo seguì il cosiddetto progetto della Gronda Bassa, che avrebbe appunto consentito l’abbattimento del ponte Morandi, favorevoli Anas e Regione Liguria ma contrari Comune e Provincia. Che poi verrà accantonato per ragioni ambientali a favore, nel tempo, di altri tragitti spostati dalla città alla montagna: la Gronda Alta che da 17 passava a 28 km di cui 20 in galleria e 2,5 in viadotto; poi la Gronda Ampia ancor più a Nord che diventava di quasi 40 km e raddoppiava i costi; infine una nuova Gronda Bassa che tagliava i costi a 2,5 miliardi ma con tunnel sotto il Polcevera, proprio il torrente scavalcato da ponte Morandi. Tutti coloro che hanno detto No all’idea stessa della Gronda e ai sui primi ipotizzati tragitti a valle hanno un pesante responsabilità storica

Terzo: l’opposizione alla Gronda di movimenti ambientalisti e poi da parte del Movimento Cinque Stelle è sempre stata forte e decisa. Tanto che ancora nel 2013 sul sito ufficiale del Movimento un documento ufficiale attaccava come infondata “favoletta” quella dei dubbi sulla tenuta del ponte Morandi, una scusa insomma per realizzare l’inutile Gronda, e respingendo frontalmente le considerazioni che fin dal 2009 erano state avanzate da Autostrade per l’Italia, la concessionaria privata dell’A10 che aveva proposto nel 2009 la Gronda Bassa e l’abbattimento del ponte Morandi, giustificata considerando l’ormai inadeguatezza dell’opera “visti i 2,5 milioni di transiti l’anno, il quadruplicamento del traffico nei precedenti 30 anni, destinato a crescere di un ulteriore 30% nei successivi”. Nessuna sorpresa dunque che l’attuale ministro alle Infrastrutture Toninelli abbia posto la Gronda nell’elenco delle opere pubbliche che, come la TAV Torino-Lione e tante altre, il governo si riserva di riconsiderare o annullare. Peccato che, in questo caso, purtroppo gli allarmi sul ponte Morandi per procedere alla realizzazione della Gronda – oltre alla congestione perenne dell’asse unico autostradale urbano genovese – sia siano rivelati ieri tragicamente fondati. Quindi ora, grazie al partito del no pregiudiziale, niente infrastruttura nuova e nemmeno più quella vecchia, oltre il bilancio terribile delle vittime.

Quarto: l’Europa e le sue regole di bilancio pubblico, contro cui qualcuno del governo a cominciare da Salvini ha tuonato subito, non c’entrano nulla con il crollo del viadotto. Autostrade per l’Italia è concessionario privato del gruppo Atlantia controllato dai Benetton. Il problema semmai in questo caso è un altro. In particolare, e lo accerteranno i magistrati, se la società abbia sempre investito il necessario nei controlli e nella manutenzione del viadotto. In generale, a noi giornalisti non è possibile saperlo con precisione: visto che, anche dopo il decreto Madia sull’accesso ai dati della PA, l’Italia resta l’unico Paese democratico al mondo in cui le convenzioni autostradali sono secretate, ergo non si può capire con precisione si l’aumento delle tariffe avviene in presenza di reali e verificati investimenti effettuati, o sulla base di quelli annunciati o comunque non verificati. La secretazione delle convenzioni autostradali è uno scandalo contro il quale mi batto da anni e anni, come sa chi segue cosa scrivo e cosa dico su Radio24. Una battaglia condivisa con pochissimi, come il professor Marco Ponti, perché la politica di ogni colore, destra e sinistra, ha preferito l’opacità dei rapporti con i concessionari privati.

Quinto: ma quanto spendiamo nel complesso per realizzare nuove infrastrutture di trasporto viario nel nostro Paese? I dati comparati rilasciati dall’OCSE ci parlano di una storia precisa. A euro costanti, al netto delle diverse inflazioni nazionali, l’investimento pubblico italiano per le strade a metà degli anni Novanta era intorno ai 7 miliardi annui, come nel Regno Unito e Spagna, per poi salire oltre 8 miliardi nel 2001, e crescere fino a oltre 15 miliardi nel 2006, superando la Francia a 14 e la Germania a 11 miliardi. Poi la crisi terribile dopo il 2008: riscendendo fino a sotto 4 miliardi annui tra 2010 e 2013, e risalendo faticosamente sopra i 4 miliardi risuperando la Spagna solo 2015, e scavalcando sopra i 5 miliardi il Regno Unito nel 2016. Ergo sì: lo Stato ha tagliato di brutto gli investimenti sulle strade, e un effetto molto rilevante l’ha esercitato la crisi di spesa dovuta alla trasformazione delle Province (sono oltre 5mila i chilometri di strade provinciali oggi interessate da interruzioni, frane e gravi problemi di tenuta del manto stradale). Questo però riguarda lo Stato cioè l’Anas: oltre il 50% dei più di 7mila chilometri di autostrade italiane sono gestiti invece dai due maggiori concessionari privati, un altro 20% da altri, i cui investimenti sono stati invece premiati da (opachi, come detto) aumenti di tariffe.

Sesto: ma a parte la spesa per realizzare strade e ponti nuovi, per la manutenzione stradale quanto spendiamo, per impedire ad esempio che ponti e viadotti crollino, come testimoniato da ben 12 casi gravi nell’ultimo decennio? Ecco, qui i conti non tornano. La fonte è sempre l’International Transport Forum delll’OCSE. E comprende la manutenzione stimata sia di strade urbane sia extraurbane. A euro costanti 2005, negli anni 2010-2015 l’Italia risulta con una spesa media in manutenzione stradale di circa 15mila euro a chilometro annuo. Solo la Norvegia ci supera, a quota 17mila. Tutti gli altri Paesi sono a quote molto più basse: il Regno Unito 8mila euro, l’Austria 7mila, la Francia 4mila, il Belgio 2mila. Verrebbe da dire che, se i numeri sono corretti, c’è un enorme problema di come li spendiamo davvero, questi soldi. Un enorme problema di trasparenza e di efficienza dell’allocazione delle risorse pubbliche. Non è affatto vero che lo Stato gestisca le autostrade meglio dei privati. Basti pensare alla biblica cinquantennale vicenda della Salerno-ReggioCalabria dell’Anas statale,inaugurata mille volte nei decenni dai politici ma che a tutt’oggi ha ancora 30 cantieri aperti e 8 – i maggiori – sospesi per Ferragosto. Mentre l’Anas stesso, per salvarlo dai maxi contenziosi, si pensava di annegarlo in Ferrovie prima che il governo attuale chieda a Ferrovie invece di salvare Alitalia: a pasticcio si sostituisce così un pasticcio ancor peggiore.

Due emergenze nazionali, dunque, e basta effetti devastanti del no pregiudiziale a opere nuove. In tutta Italia ponti a rischio e viabilità congestionata sono un cappio al collo dello sviluppo e del lavoro, delle imprese e di milioni di cittadini. C’è bisogno di più investimenti pubblici trasparenti, e di investimenti privati trasparenti. E’ il modo migliore per non rendere vano il sacrificio doloroso di decine di vittime.
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Re: Ponte di Genova come la diga del Vajont

Messaggioda Berto » sab ago 25, 2018 7:43 am

Di Maio scrive ai suoi: "Su Autostrade avanti tutta". Ecco la mail
di Valerio Valentini
2018/08/17

https://www.ilfoglio.it/politica/2018/0 ... 0.facebook

Il messaggio, teoricamente, sarebbe di quelli riservati: una mail inviata da Luigi Di Maio ai parlamentari. Eppure tutto, nel testo firmato dal vicepremier grillino, lascia presupporre che sia più un tentativo di motivare le truppe, in gran parte acquartierate in villaggi vacanze o in baite di montagna, che non un'iniziativa finalizzata a condividere con deputati e senatori la strategia da adottare. Ma insomma, Di Maio ci tiene a comunicare ai suoi che non c'è alcuna intenzione di recedere dai bellicosi propositi annunciati nei giorni scorsi. "L'atto di revoca" delle concessioni, si legge, "è stato annunciato dal presidente del consiglio in persona, e lo sta istruendo direttamente insieme al ministro Toninelli e li ringrazio a nome di tutto il Movimento per quello che stanno facendo in questi giorni".

Avanti tutta, insomma. Nell'ordine, il ministro dello Sviluppo conferma di voler procedere alla "revoca delle concessioni ad Autostrade per l'Italia", all'applicazione delle "sanzioni" e alla richiesta di "risarcimenti per centinaia di milioni di euro". Risarcimenti, precisa Di Maio, "che sono soldi dovuti, non concessioni da barattare con l'eventuale revoca": e questo, se non è una sorta di excusatio non petita, allora è un messaggio indiretto inviato agli alleati della Lega, che invece sarebbero disposti ad abbandonare l'ipotesi dello scontro frontale. Non solo: il capo grillino precisa che il governo desecreterà "tutti i contratti dei concessionari autostradali" così da "mostrare questa vergogna al mondo intero". E non basta, perché tra gli obiettivi che Di Maio promette di applicare c'è anche questo: "Chiederemo a tutti i funzionari pubblici che hanno incarichi a vario titolo, anche dentro Autostrade per l'Italia, di dimettersi da uno dei due ruoli". Infine, "supporteremo anche con un decreto legge, se servirà, la Regione Liguria e il Comune di Genova per l'emergenza che stanno attraversando".

Ma al di là dei punti programmatici, già tutti anticipati nelle innumerevoli dichiarazioni rilasciate alla stampa nei giorni scorsi da Di Maio e Toninelli, quello che colpisce, nella mail, sono soprattutto i toni. Di Maio sembra quasi volere convincere i suoi parlamentari della giustezza delle azioni intraprese, dissipare ogni possibile scetticismo. E nel farlo, delegittima tutti gli oppositori e liquida tutte le critiche con un'arroganza da capopolo, indifferente alle leggi e alle procedure. Quando parla della revoca delle concessioni ad Austostrade, il vicepremier si esprime così: "La giusta causa per la revoca non è da rintracciare in codicilli o in commi da azzeccagarbugli, la giusta causa sono i 39 morti. E ogni volta che qualcuno come Consob o qualche professorone ci dirà che dobbiamo stare attenti ai mercati e agli iter burocratici, rispondetegli che se vogliono possono andarlo a dire alle famiglie delle vittime". Quando fa riferimento ai Benetton, scrive: "Non è un caso che i loro contratti siano stati secretati per i vergognosi vantaggi che gli erano stati concessi". Gli ex presidenti del consiglio? Ecco cosa dice di Enrico Letta: "Molti dei personaggi politici che hanno permesso tutto questo, oggi o lavorano per Autostrade per l'Italia o sono loro consulenti. Uno su tutti Enrico Letta, ex presidente del consiglio, passato per il Cda della società che gestisce le autostrade spagnole, comprate dai Benetton con i soldi dei pedaggi degli italiani".

Qui in calce, il testo integrale della mail.

Ciao a tutti. Per 5 anni dall'opposizione abbiamo combattuto contro i privilegi di Autostrade per l'Italia, che gestivano e gestiscono le nostre autostrade senza gare e con doveri contrattuali ridicoli. Non è un caso che i loro contratti siano stati secretati per i vergognosi vantaggi che gli erano stati concessi. Molti dei personaggi politici che hanno permesso tutto questo, oggi o lavorano per autostrade per l'Italia o sono loro consulenti. Uno su tutti Enrico Letta, ex presidente del consiglio, passato per il Cda della società che gestisce le autostrade spagnole, comprate dai Benetton con i soldi dei pedaggi degli italiani. Sono anni che i nostri parlamentari, guidati dal nostro senatore e sottosegretario Andrea Cioffi, ad ogni legge di bilancio hanno provato a fermare le marchette ai concessionari autostradali. Il crollo del ponte Morandi è figlio di tutti i trattamenti privilegiati e delle marchette fatti ad Autostrade per l'Italia. Il bilancio, per ora, è di 39 morti, con famiglie distrutte, feriti, gente che magari resterà in carrozzella per tutta la vita, oltre 600 sfollati che si vedranno la casa abbattuta. A tutte queste persone dobbiamo delle risposte concrete, non solo il cordoglio. E su questo il governo intero non arretrerà di un millimetro. Ecco come vogliamo procedere:

1. Revoca delle concessioni ad Autostrade per l'Italia. La giusta causa per la revoca non è da rintracciare in codicilli o in commi da azzeccagarbugli, la giusta causa sono i 39 morti. E ogni volta che qualcuno come Consob o qualche professorone ci dirà che dobbiamo stare attenti ai mercati e agli iter burocratici, rispondetegli che se vogliono possono andarlo a dire alle famiglie delle vittime. Noi agiremo subito. L'atto di revoca è stato annunciato dal presidente del consiglio in persona, e lo sta istruendo direttamente insieme al Ministro Toninelli e li ringrazio a nome di tutto il Movimento per quello che stanno facendo in questi giorni.
2. Applicheremo sanzioni e chiederemo risarcimenti per centinaia di milioni di euro, che sono soldi dovuti, non concessioni da barattare con l'eventuale revoca.
3. Desecreteremo tutti i contratti dei concessionari autostradali e mostreremo questa vergogna al mondo intero.
4. Chiederemo a tutti i funzionari pubblici che hanno incarichi a vario titolo, anche dentro Autostrade per l'Italia, di dimettersi da uno dei due ruoli.
5. Supporteremo anche con un decreto legge, se servirà, la Regione Liguria e il Comune di Genova per l'emergenza che stanno attraversando. Domani saremo ai funerali solenni delle vittime del ponte Morandi. Abbiamo voluto i funerali solenni, decisi nel consiglio dei ministri, perché pensiamo che sia il minimo atto di vicinanza alle vittime, ma non posso biasimare le famiglie che hanno scelto di celebrare i funerali nel proprio comune di appartenenza, anche in dissenso con uno Stato che invece di proteggere i loro figli, ha preferito per anni favorire i poteri forti.

Ci vorrà tanto tempo per invertire la rotta e togliere la mangiatoia pubblica a questi prenditori, ma siamo stati votati proprio per questo.

Grazie a tutti per il vostro lavoro anche in questi giorni che avrebbero dovuto essere di un po' di riposo e tempo per le nostre famiglie. Saranno giorni per cuori forti, in alto i cuori!

Un abbraccio, Luigi
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