Il processo delle terre liberatehttps://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... 9RYkE/edit Li taliani dapò ver desfà la tera veneta e copà xentenara de miliara de veneti li ciamava el Veneto Veneto bubbone d’Italia
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... pTaUE/editMalavita a Trevixohttps://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... p5Ymc/editMalavita a Treviso
Alla fine dell’infame guerra (La Grande Guerra ?)
2. Malavita a Treviso
Agli inizi degli anni venti l'ordine pubblico a Treviso è così precario e [a sicurezza dei cittadini così a repentaglio, che l'insostenibile situazione è resa oggetto di una inchiesta giornalistica.
Ne esce un quadro scottante attualità, tanto da lasciar perplessi circa la capacità di uno Stato come il nostro (di chi?), che spaccia la propria debolezza per garantismo e l'infingardia corporativa per conquista sociale, di saper e voler combattere davvero la microcriminalità e la criminalità organizzata.
Chi conduce l'inchiesta denuncia come ormai troppo comodo l'alibi delle conseguenze dovute alla guerra oppure della dispersione della forza pubblica nel territorio, per effetto delle continue agitazioni politico-sindacali.
"Il vieto pregiudizio che la guerra è la cagione della maggiore delinquenza attuale non deve essere assunto a scusante, né meno ancora il fatto che in altre città la delinquenza è del pari attiva e grave.
Treviso non è un grande centro che possa sentire un riflesso notevole anche nel male, né ha tradizioni che di tranquillità patriarcale".
Quali allora le ragioni che, a due anni dalla fine del conflitto, fanno di Treviso "un covo di ladri, di delinquenti di ogni specie, di ricettatori, di favoreggiatori, di imbroglioni, di spacciatori di monete false"? Seguiamo il comparire del fenomeno nel tempo.
"Una volta a Treviso si dormiva con le porte di casa aperte,
ora bisogna tapparvisi e chi ha negozi o roba altrove dorme con l'animo sospeso pensando che alla mattina farà probabilmente una dolorosa constatazione"."Caporetto aveva agito da spartiacque.
Fu a cominciare da quel tragico evento che la ‘mala’, in divisa o senza, ma avendo sempre l'esercito quale punto di riferimento, fece di Treviso la mecca dei suoi loschi traffici.
Tutta gente forestiera, segnatamente meridionale, che assorbì rapidamente i balordi della piccola delinquenza locale.Da un lato, dunque, malfattori che conoscono la città come le proprie tasche, perché in molti vi "furono già da lungo tempo da militarie vi rimasero perché avevano fatto conoscenze adatte e lega tra di loro", individui "notoriamente colpiti da mandati di cattura, (...) suonatori ambulanti e pregiudicati calati da altro paese, e infine parecchi vigilati speciali (... che) se la spassano in qualunque ora del giorno lavorativo o festivo, nelle osterie e nei ritrovi pubblici;
dall' altro lato, manovalanza locale, o comunque veneta, dedita un tempo al furto di galline o al massimo di biciclette, ed ora imbaldanzita, perché entrata in un più lucroso commercio.
La loro audacia s'è venuta man mano formando dall'esperienza fatta di una quasi completa impunità, dal sapere che nessuno li disturba, dalle condanne lievissime in caso di arresto, dalla libertà di riunirsi, viaggiare, organizzare, vendere e nascondere la refurtiva".
La forza della associazione delinquenziale è provata anche da "un altro fatto degno della camorra napoletana d'altri tempi.
A qualche negoziante di qui è stato assicurato da qualche noto pregiudicato che, godendo della loro protezione, non avrebbero patito alcun furto".
La gente non ha dubbi.
"Per la conosciuta indole mite e laboriosa degli abitanti è risaputo da tutti che l'origine del male deve ricercarsi soprattutto nell'esistenza di elementi estranei alla città, che esercitano impunemente i loro loschi affari sotto l'egida della deplorevole inerzia degli agenti della pubblica sicurezza".Ed è questo appunto che la gente non si spiega, non comprende perché l'autorità non riesca ad arrestare ed espellere delinquenti che sono traditi dalla loro stessa inflessione dialettale. "Sono sempre gli stessi.
Al tempo della ritirata di Caporetto, chi di essi non era soldato restò a Treviso e finì ripetutamente in carcere, chi era soldato prima e dopo disertò, andò in carcere e fu ... amnistiato.
Tutti hanno al loro passivo larghe serie di condanne; e sono sempre qui, fra i piedi, a godersi la libertà che non ha confine, di giorno e di notte, più di notte che di giorno".
La gente va deprecando che troppi esempi di mitezza ha dato l' autorità giudiziaria, causa questa non ultima se qualche agente è diventato svogliato o negligente, e il delinquente si fatto più audace".
La gente sa, però, che fare si doveva e si poteva, e che volutamente non fu fatto.
"Sarebbe bastato, ad evitare che la malavita riallacciasse le sue fila - (a guerra finita) - e ristendesse la sua rete, un'accurata vigilanza da parte dell'autorità locale competente e
la deportazione di tanta gente venuta dal di fuori, alla quale mancavano i legittimi motivi della sua presenza.
Si richiedeva all'uopo un servizio di pattuglia, che, tuttora deficiente, allora mancava affatto, un numero conveniente di agenti realmente, e non per celia, investigatori, qualche sorpresa in qualche pubblico esercizio, qualche sopralluogo con relative retate di malviventi in qualche casa eccentrica, l'arresto e la deportazione di presenti organizzatori e la sorveglianza di sospetti favoreggiatori.
Non ultima si richiedeva la collaborazione dell'esercito, specialmente dei capi reparti, ai quali non sarebbe stato difficile prevenire e reprimere i furti commessi su vasta scala da soldati, specie automobilisti, ed il commercio clandestino da loro esercitato attraverso la cooperazione di congedati, divenuti improvvisamente padroni di frequentazione di parecchie automobili e di parecchi autocarri.
Di tutte queste misure di precauzione e di repressione della mafia importata nel Veneto e su più vasta scala nel Trevigiano che cosa fu fatto? Dovremmo rispondere nulla o quasi nulla".
La connivenza tra malavita di importazione e addetti all'ordine pubblico che rispondono alla stessa matrice regionale si legge tra le righe.
I diretti responsabili del mantenimento dell'ordine e della sicurezza si difendevano dall'accusa proveniente dall'opinione pubblica sostenendo che non si può procedere all'espulsione di alcuno quando "non vi sono motivi gravi".
Giustificazione che la gente respinge sdegnata, perché non può essere che ciò che a Treviso non si ritiene `grave' lo si ritenga invece a Udine, ove la questura era invece intervenuta ed aveva rimpatriato in pochissimi giorni centinaia e centinaia di forestieri che, come nel capoluogo della Marca, infestavano la zona.
Si insiste, insomma, sul sospetto della combutta o, quanto meno, del concorso esterno, e proprio per questo si rimane, scettici sulla possibilità di avere un futuro migliore.
"Non ci rassicura la esperienza del passato, il quale rivive nelle penose impressioni della cittadinanza che per lungo tempo assistette con profondo disgusto e fra gravi preoccupazioni all'indifferenza, eretta a sistema, delle autorità, quasi una parola d'ordine fosse corsa, dagli uffici ai corpi di guardia, di non disturbare la mala vita e di lasciar correre il triste e deplorevole andazzo.
Mai si prevenne, e di rado si represse con la dovuta energia la mala vita, la vera mafia, qui attratta dalla fama, onde la Marca Trevigiana fu ritenuta, dopo Caporetto, terra di facile conquista, come alla losca speculazione, così al più audace brigantaggio".
L'accusa si configura ormai in tutta la sua gravità, e Il Risorgimento' si rifiuta prudentemente di farla propria. Respinge però con fermezza il tentativo di giustificazione avanzato dalla forze dell'ordine – eterno ritornello di tutto lo apparato statale italiano –, cioè a dire la carenza di personale.
In Italia, i dipendenti pubblici eccedono, e troppo spesso sono reclutati con sistemi clientelari, per essere poi distribuiti malissimo sul territorio e impiegati peggio ancora.
"A Treviso, sede di Legione RR.CC. non c'è che una squadra di soli tre uomini dell arma che fanno servizio indagativo. E più incredibile ancora è il fatto che questi non dispongono neppure di una bicicletta, mentre tante biciclette vengono adoperate per piantoni, postini, scrivani, ecc. per null'altro fine che la polizia e non per quello direttamente.
Alla Questura poi, dove figurano in servizio, un Commissario, quattro o cinque vice commissari, un vice ispettore o dieci o dodici guardie investigative, il vero servizio di polizia giudiziaria non lo fanno che un vice commissario, il vice ispettore e due o tre guardie. Tre vice commissari sono da lungo tempo assenti e non vennero sostituiti, un terzo fino l'altro giorno aveva mansioni di ufficio che potrebbero essere sbrigate da chi a differenza sua conosce la città e l'ele mento delinquente, e grande numero di guardie sono negli uffici a scrivere e a rovinare carte. (...) Succede un delitto grave di notte?
Non c'è che un piantone, alla Questura. Tutti gli altri sono a casa a letto e gli uffici sono chiusi.
Ammazzano qualcuno per la strada?
La Questura lo sa il giorno dopo dai giornali o dopo molte ore perché gli agenti investigativi ... investigano sulle carte in ufficio e non sono fuori a raccogliere notizie ed a fare servizio".
L'indignazione, a questo punto, esplode. "Fuori, in città, a conoscere l'ambiente, a constatare che soldati offrono ‘pacchi vestiario’ che forse non son che pezze di stoffa rubate nelle recenti imprese, (...) senza ritegno, sicuri della indifferenza o della paura di chi accetta e delle assenze di chi dovrebbe essere ovunque presente".
Fuori, "prima che la giustizia ufficiale venga sostituita dai cittadini onesti, che hanno il sacrosanto diritto, in assenza dello Stato, di difendersi nella persona e negli averi contro il brigantaggio, qualunque ne sia l'etichetta".Voleva essere un monito, non una previsione.
Il monito non fu raccolto, e successe quello che per forza succede quando le cose vanno così.
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