Corruzione negli enti benefici

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Messaggioda Berto » ven lug 07, 2017 8:01 am

Corruzione negli enti benefici
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Re: Corruzione negli enti benefici

Messaggioda Berto » ven lug 07, 2017 8:03 am

Il business della carità. Ottanta euro su 100 bruciati in stipendi e corruzione
L’Italia ha donato 3 miliardi per la cooperazione tra il 2008 e il 2013. Esperienza Burkina: “L’unico aiuto utile è quello che uccide l’aiuto”
karima moual

http://www.lastampa.it/2017/01/30/itali ... agina.html

«La vostra urina vale oro!» assicura un cartello arrugginito piantato in un parco di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso; accanto, una latrina in cemento armato ormai crollata su se stessa e ricoperta da un rampicante. Era questo l’imperativo slogan di un progetto destinato al riuso dell’urina come fertilizzante agricolo. Finanziato anche dall’Unione Europea, è morto prima ancora di nascere, dopo aver inghiottito risorse e arricchito gli ideatori.

Soltanto loro. Accade troppo spesso nel mondo della cooperazione.

Le cifre destinate all’aiuto ai “paesi in via di sviluppo” impressionano: 135 miliardi di dollari all’anno. Nel periodo 1960-2010 la Cooperazione internazionale ha potuto disporre di 1 trilione di dollari. Come se, per mezzo secolo, ogni cittadino dei paesi donatori abbia contributo per 100 dollari ogni anno.

Dal 2008 al 2013 l’Italia ha stanziato per la cooperazione 2,9 miliardi di euro e figura al quarto posto, dopo Germania, Francia e Regno Unito, tra i paesi donatori europei.

Tuttavia, mentre la quota stabilita dall’Ocse per gli aiuti allo sviluppo è lo 0,7% del Prodotto Interno Lordo, noi ci fermiamo allo 0,16%.

Il problema non è la quantità di denaro disponibile, ma l’utilità della spesa, se negli ultimi trent’anni i paesi più dipendenti dagli aiuti hanno registrato tassi di crescita negativi: -0,2%.

Secondo lo Human development report dell’Onu l’Africa subsahariana, dove si concentra la gran parte dei paesi beneficiari dei progetti di cooperazione, rappresenta oggi un terzo della povertà mondiale rispetto a un quinto del 1990.

Circa l’80% delle somme stanziate finanzia il funzionamento delle strutture, o si perde per strada per quella che i professionisti del settore chiamano, con un eufemismo, la “volatilità”: la corruzione, o la non disponibilità ad abbassare il proprio tenore di vita.

Quattrocentomila euro l’anno era l’affitto pagato a Roma per una villa sull’Appia Antica dal nigeriano Kanayo Nwanze, presidente dell’Ifad, l’agenzia dell’Onu che ha come missione quella di sradicare la povertà. Ma in un mondo in cui aumentano, contestualmente, diseguaglianze, conflitti e profughi - 60 milioni solo nel 2016, la cifra più alta mai registrata - esistono alternative alla cooperazione?

Le storie qui raccontate si svolgono tutte in Burkina Faso, una nazione di 17 milioni di abitanti, grande poco meno dell’Italia, che gli indicatori economici collocano ai primi posti nella graduatoria della povertà mondiale.

La vita media non supera i 45 anni, la fertilità è di 6,9 figli per donna. Il Burkina, nel mondo della cooperazione, è considerato un importante laboratorio di tolleranza e di dialogo: qui convivono 60 diverse etnie, altrettante lingue, e tre religioni, la cristiana, la musulmana e l’animista. I conflitti interetnici e interreligiosi erano sconosciuti, almeno fino ai sanguinosi attentati del gennaio 2016, compiuti nella capitale. Ora, nel Nord del Paese è attivo un gruppo jihadista composto da circa 200 militanti. Nonostante la povertà, la vita culturale è vivacissima: in Burkina Faso si tiene il più importante festival del cinema africano e gli spettacoli prodotti dalla scuola di teatro Gambidi vincono spesso riconoscimenti internazionali.

La visita al Museo etnografico è indispensabile per entrare in colloquio con il pensiero animista e il Museo della Musica, da poco restaurato, ricorda la fondamentale, e ancora vivissima, funzione rituale della musica e della danza.

I fagiolini di Kongoussi

«Possiamo mandarvene anche mille tonnellate» dice l’agricoltore Sylvain Sawadogo, mentre osserva le contadine raccogliere i fagiolini da terra.

Nei supermercati italiani ne arriveranno in questi giorni cento tonnellate e sarà già un risultato notevole.

Il progetto nasce nel 2007 per soddisfare la richiesta di una cooperativa che nel villaggio di Kongoussi, raggruppa 1500 famiglie: ampliare il mercato senza danneggiare i colleghi europei, facendo arrivare i fagiolini «controstagione», quando da noi non se ne producono. Valter Ulivieri, agronomo attivo nel mondo della cooperazione, perfeziona l’iniziativa, che piace al punto da attirare l’interesse dell’Unido, l’Agenzia delle nazioni unite per lo sviluppo industriale.

«E’ stato l’inizio del disastro», ricorda Ulivieri. Il progetto è premiato come modello di cooperazione a New Delhi nel 2009, nel 2010 a Ouagadougou una conferenza internazionale ne celebra il successo, mentre viene creata un’apposita struttura organizzativa affittando uffici, automezzi, assumendo personale.

Ma nel frattempo tutto si è fermato: l’Unido compra sementi sbagliate, i fagiolini sono invendibili, nessuno paga i contadini. «Un fiume di danaro si era perso nei meandri ministeriali e agli agricoltori di Kongoussi non arrivò neanche una goccia. E’ la dimostrazione che nella cooperazione il rapporto tra grandi organismi governativi o istituzionali spesso non funziona», dice Ulivieri. «C’è voluto del tempo per riprenderci dallo sconforto, ora siamo ripartiti».

Il pane di Loumbila

Il pane migliore del Burkina si sforna a Loumbila, un villaggio a circa venti chilometri dalla capitale. Il forno e il ristorante sono stati avviati nel 2003 con un investimento di 70.000 euro offerto dalla cooperazione italiana, che ha provveduto anche alla formazione professionale di panettieri e cuochi. Pane ai semi di sesamo, pizza, gelati e piatti locali: l’attività produce reddito e assieme alla vendita della spirulina, un integratore alimentare indicato soprattutto per i bambini che qui di proteine ne mangiano poche, consente al forno di Loumbila di pagare una decina di stipendi e di contribuire alle spese dell’orfanotrofio confinante con il ristorante. Un esempio virtuoso.

I bimbi di Gorom Gorom

Il progetto dell’orfanotrofio «Casa Matteo» di Gorom Gorom, nel Nord del Burkina, lungo il confine con il Mali, nasce nel 2001 e si rafforza in quindici anni di lavoro che hanno visto collaborare la Coop Firenze e il Movimento Shalom. L’obiettivo dell’ autosufficienza era stato raggiunto grazie alla costruzione dell’Hotel des Dunes, pensato per i turisti attratti dal fascino del paesaggio del Sahel. Ma la guerra in Mali, l’arrivo di 30.000 profughi tuareg, le misure di sicurezza richieste da una compagnia mineraria canadese, le azioni terroriste, hanno fatto crollare gli arrivi.

Le suore cattoliche di «Casa Matteo» accudiscono 20 bambini, sostenuti anche grazie al meccanismo delle adozioni a distanza. «Molti sono figli di famiglie musulmane. Accogliamo tutti, facciamo assistenza, non catechesi», dice suor Céline. Nell’edificio adibito a magazzino sembra essersi dato appuntamento il mondo intero: il latte in polvere proviene dalla Svizzera e dal Nord Irlanda; soia, miglio e arachidi dalla Thailandia; il riso dal Nord Carolina; lo zucchero dal Brasile; l’olio di palma dalla Costa d’Avorio; i letti d’ospedale da Massa Marittima; un kit di pronta assistenza per neonati è stato inviato dal Lutheran World Relief; dei condizionatori d’aria coreani LG, portati da cooperanti francesi, restano inutilizzati perché troppo ingombranti.

Ora c’è necessità di un mulino per produrre farina e di un nuovo ecografo: quello vecchio è fuori uso da un anno e non si trovano pezzi di ricambio. Serviranno almeno 20.000 euro. La Coop ha garantito il proprio sostegno per altri quattro anni. Poi?

L’aiuto che uccide l’aiuto

Un gruppo di animalisti inglesi si batte per mettere fine ai maltrattamenti degli asini; il sindacato tedesco degli insegnanti ha avviato un progetto contro lo sfruttamento del lavoro minorile e l’altissima evasione scolastica; una associazione di Lucca organizza un corso di rianimazione neo-natale; l’ostetrica Lia Burgalassi visita in tre giorni, senza l’aiuto di alcuna strumentazione medica, 165 donne incinte per stabilire lo stato di avanzamento della gravidanza e alla fine viene ringraziata con canti e balli al femminile e offerte di cibo.

Una Ong di Torino costruisce un invaso per trattenere l’acqua piovana grazie ad un finanziamento di 1,2 milioni di euro della Conferenza Episcopale Italiana; un’altra crede nel microcredito affidato alle donne come molla dello sviluppo, c’è chi punta sui semi di jatropha per produrre biocombustibili. «Il solo aiuto che serve è l’aiuto che aiuta ad uccidere l’aiuto», disse Thomas Sankara, il «Fidel Castro africano», il presidente del Burkina assassinato nel 1987: un delitto rimasto senza colpevoli ufficiali. Quanti progetti di cooperazione vanno nella direzione indicata da Sankara, l’unica davvero utile? Quanti, invece, servono soprattutto a lenire il senso di colpa di noi occidentali verso territori e popoli che abbiamo a lungo sfruttato e massacrato, quanti sono funzionali ad ingrassare i poderosi ingranaggi della cooperazione corrotta?

«Una macchina che se bene indirizzata può creare lavoro e ricchezza e fermare l’esodo di milioni di persone verso un’Europa che fatica ad accoglierle», riflette don Andrea Cristiani, fondatore del movimento Shalom, mentre osserva i 100 ragazzi che frequentano il Liceo Politecnico Shalom di Ouagadougou entrare a scuola. «Offriamo ai giovani la possibilità di una formazione professionale e poi, speriamo, di un lavoro qui. Non ci sono alternative, la strada è questa».
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Re: Corruzione negli enti benefici

Messaggioda Berto » ven lug 07, 2017 10:15 pm

Torino, presidente della Croce Rossa aveva sottratto 400000 euro all’associazione
Elisa Sola
Milano, 6 luglio 2017

http://www.corriere.it/cronache/17_lugl ... d6c1.shtml


Pierpaolo Cagnasso, indagato per peculato e appropriazione indebita: denaro sarebbe servito per pagare casa, macchina, viaggi e «per mantenere un elevato tenore di vita»

Prima quella laurea “vantata” e mai conseguita, poi l’avviso di garanzia per una serie di ammanchi dalle casse della Croce rossa. Ora, con l’atto di chiusura indagini, Pierpaolo Cagnasso, per anni presidente del comitato di Piossasco, è ufficialmente indagato per peculato e appropriazione indebita. Secondo la Guardia di finanza di Torino ammonterebbe a 400mila euro il “tesoretto” che, con l’aiuto della segretaria, avrebbe accumulato a partire dal 2010, sfruttando la sua posizione di vertice.


«Aveva fondato un impero»

Il Cagnasso, che di professione fa il titolare di una ditta pompe funebri, è sempre stato un “volontario” dell’associazione. Alla fine degli anni Novanta era stato denunciato per usurpazione di titolo. Si faceva chiamare “dottore” ma non lo era. Il caso, spiega il suo avvocato Giuseppe Portigliotti, è stato archiviato. «Anche perché – puntualizza il legale – lui non si è mai spacciato per medico, semplicemente quando gli scrivevano o dicevano “dottore”, non rettificava». Dopo quell’episodio, l’impresario di onoranze funebri era rimasto in Croce rossa, fino ad arrivare a ricoprire il ruolo di vicepresidente provinciale. Poi, aveva raggiunto la carica di presidente. E a Piossasco, rivela chi lo ha conosciuto, «aveva fondato un impero, con cinquanta persone sotto di sé, convenzioni stipulate con vari enti, anche pubblici, e moltissime spese sostenute». Quegli esborsi, mese dopo mese, sono diventati debiti. E la situazione di “rosso” è diventata drastica, fino al commissariamento. Secondo l’accusa, avrebbero influito nella “mala gestione” anche i prelievi illeciti che Cagnasso effettuò per sè, gestendo il comitato “in maniera quasi autoritaria”, racconta un collaboratore.


La genesi dell’indagine

Cagnasso, interrogato in procura, ha confessato. Ha sostenuto però di aver intascato centomila euro circa e non 400mila come contestato dai finanzieri. «Erano solo prestiti per motivi familiari, avrei restituito tutto», ha dichiarato agli inquirenti coordinati dalla pm Elisa Pazé. «E non ha mai presentato richieste di rimborsi spese aggiunge l’avvocato Portigliotti – egli stesso ha ammesso di aver tenuto un atteggiamento scorretto e illegittimo, ma per vent’anni ha lavorato in Croce rossa senza farsi rimborsare nulla». Nei mesi scorsi, dopo le “dimissioni” dell’indagato, il presidente regionale dell’associazione, Antonino Calvano, aveva mandato una lettera a tutte le sedi locali della Croce rossa con la richiesta di prestiti. Se non fossero arrivati, il comitato di Piossasco sarebbe stato a rischio chiusura. Impossibile trovare i soldi anche solo per riparare dal meccanico le ambulanze. L’indagine è nata lo scorso inverno dopo una segnalazione del revisore dei conti, che notò dei bonifici “strani”, per esempio su fatture ancora da emettere. Si era arrivati facilmente a Cagnasso, che non adottava alcun accorgimento quando “prelevava” dalla cassa di Piossasco con assegni e bonifici e poi “riscuoteva” sul proprio conto. La sua segretaria, indagata in concorso, lo avrebbe coperto facendo figurare i conti in ordine. Non è chiaro se quei cinquemila euro netti che l’ex presidente in media si regalava ogni mese, servissero anche alle sue società. Spetterà alla finanza effettuare le verifiche.


Si è sfogato su Facebook

L’uomo, titolare di una ditta di pompe funebri di Torino, avrebbe espanso negli anni la sua attività rilevando una seconda società ad Airasca, un’impresa di fiori, e dopo essersi specializzato nel rimpatrio di salme dall’estero, un’altra impresa – sempre funeraria - a Cigliano. La crescita nel settore delle pompe funebri andava di pari passo con quella del prestigio del comitato da lui amministrato. “L’impero” che Cagnasso aveva creato a Piossasco era fatto di 200 volontari, 40 dipendenti e vari lavoratori a termine assoldati attraverso un’agenzia interinale che avrebbe anche accusato la vecchia gestione di crediti mai riscossi. Una questione ancora da chiarire. Ora a Cagnasso, ufficialmente fuori dall’associazione, resta Facebook per sfogarsi. «Sei speciale fino a quando servi, poi quando non servi più, sei nessuno», scriveva lo scorso sei gennaio. E poi, dieci giorni dopo: «Non ridere perché sono caduto, ma scappa perché mi sto rialzando».
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Re: Corruzione negli enti benefici

Messaggioda Berto » mar lug 11, 2017 8:38 am

Genova, rissa tra volontari delle ambulanze per il posto migliore per la raccolta fondi: arrestati
di F. Q. | 10 luglio 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... ti/3719542

Calci e pugni per il posto migliore per la raccolta fondi. Sono volate anche le sedie, domenica, tra tre volontari delle ambulanze al cimitero monumentale di Staglieno di Genova. Sgomitando per occupare il luogo più favorevole per il loro banchetto due soccorritori di Milano e uno di Genova si sono azzuffati. I volontari dovevano raccogliere soldi per le rispettive pubbliche assistenze.

Gli agenti, intervenuti sul posto, hanno arrestato i militi di 21, 28 e 39 anni. I più giovani fanno parte della Pubblica assistenza di Santa Croce San Michele di Milano ed il terzo, il 39enne, appartiene alla genovese Valbisagno Soccorso.

I tre avrebbero riportato anche lievi ferite. Saranno processati per direttissima dai giudici del tribunale di Genova. La polizia ha avviato degli accertamenti per verificare se i soccorritori arrestati erano autorizzati a svolgere la raccolta fondi. Si dovrà fare chiarezza anche sul perché i due milanesi siano arrivati fino a Genova per l’attività di autofinanziamento.
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Re: Corruzione negli enti benefici

Messaggioda Berto » mar lug 11, 2017 8:39 am

"Sesso con i migranti in cambio dell'asilo". In manette il prete della Caritas di Trapani Avrebbe costretto i giovani in difficoltà a prestazioni sessuali facendo leva sul suo ruolo apicale nella commissione territoriale presso la Prefettura deputata al rilascio dello status di rifugiato
Trapani 25 giugno 2014

http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 08700.html

Avrebbe promesso aiuto in cambio di prestazioni sessuali a migranti maschi che chiedevano lo status di rifugiati politici. Diceva di essere "uno che conta" il direttore della Caritas trapanese - ormai sospeso dal suo incarico - don Sergio Librizzi, accusato di violenza sessuale e concussione. E facendo leva sul suo ruolo nella commissione territoriale presso la Prefettura, deputata al rilascio dello status, avrebbe convinto le sue vittime. I rapporti - secondo le prime ricostruzioni - sarebbero stati consumati nell'auto del prete, dove gli investigatori avevano collocato delle "cimici". Gli episodi - almeno otto - vanno dal 2009 ai giorni scorsi. Uno "molto influente" Il sacerdote era componente - "molto influente", ha sottolineato il pm Paolo Di Sciuva - della commissione territoriale presso la Prefettura, deputata al rilascio dello status. "Costringeva i giovani a prestazioni sessuali - ha detto il procuratore capo Marcello Viola - mediante pressioni, facendo leva sul suo ruolo apicale, sulla sua posizione di dominio". Almeno 8 vittime L'indagine, non ancora conclusa, per ora coinvolge soltanto don Librizzi. Fondamentali sono state le intercettazioni ambientali.

Tra le vittime, almeno otto, non ci sono soltanto migranti, ma anche disagiati che si erano rivolti alla Caritas. Il sacerdote è stato portato in carcere. "Abbiamo chiesto ed ottenuto la custodia cautelare in carcere - ha detto il procuratore Viola - perché c'è il rischio di inquinamento delle prove, ma anche della reiterazione del reato".
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Re: Corruzione negli enti benefici

Messaggioda Berto » gio lug 27, 2017 7:05 pm

SCANDALO CROCE ROSSA: I SOLDI PER I POVERI? SERVIVANO PER LA BELLA VITA DEI DIRIGENTI: 5 GLI INDAGATI
di agostino • 28 febbraio 2017
https://www.news-italys.com/blog/2017/0 ... i-indagati

Casale Monferrato – Ammanchi di denaro e acquisto di beni a uso personale per oltre 170 mila euro. La Guardia di finanza ha concluso le indagini nei confronti degli ex vertici della Croce rossa di Casale Monferrato: cinque le persone indagate, a vario titolo, con l’accusa di peculato.

Secondo gli accertamenti effettuati dagli investigatori delle fiamme gialle, che si sono mossi lo scorso anno dopo le segnalazioni dei nuovi responsabili della Croce rossa locale, i cinque avrebbero utilizzato per scopi personali beni e denaro che dovevano invece essere destinati agli assistiti in difficoltà.
Le tessere benzina dell’associazione, in particolare, sarebbero state utilizzate dagli indagati per il rifornimento delle auto personali. Allo stesso modo quelle del supermercato sarebbero state usate per acquisti personali, tra cui elettrodomestici, capi d’abbigliamento e cosmetici.

Fonte: Newsitalys




Lo stipendificio della Croce Rossa e la sua privatizzazione
01 Maggio 2016

http://www.infoaut.org/index.php/blog/v ... tizzazione

I mali della Croce Rossa sono molti, a cominciare dall’impegno che essa porta avanti gestendo quei luoghi chiamati oggi CIE, carceri dove vengono rinchiusi migranti che hanno solo la colpa di essere entrati in Italia “illegalmente”. Tuttavia per anni la Croce Rossa oltre che assolvere una funzione d’assistenza, è stata in realtà un gigantesco welfare sociale sia per il personale civile che per quello militare.
Il solito carrozzone all’italiana, dispensatore di poltrone e potere con soldi pubblici, a spese di chi fa del volontariato il proprio credo, almeno 150.000 in Italia, impegnati nei servizi di primo soccorso e delle ambulanze. Un esercito di lettighieri, autisti e operatori sui mezzi di soccorso che donano gratis il loro tempo, salvo ricevere un indennizzo che arriva a contare al massimo come un buono pasto. Alle loro spalle un’armata di mangia soldi che avrebbe dovuto fare scandalo sin dal primo momento, un sistema clientelare che gestiva l’accesso a Mamma Croce Rossa con assunzioni per chiamata diretta, raccomandazioni molto spesso sottaciute persino da una parte del sindacato.

I conti della CRI iniziano a essere paurosamente in rosso almeno dal 2004, commissari nominati dai governi di turno hanno fatto il resto, ennesimo caso di come molte volte la cura sia peggiore del male. Sostanzialmente il susseguirsi dei vari commissari, dall’era Berlusconi fino ai giorni nostri, ha fatto in modo che la musica non cambiasse. Tanto per dare l’idea, la Croce Rossa era arrivata a possedere persino 25 auto blu con due autisti per auto in servizio h24, a disposizione della dirigenza. Il commissario attuale è riuscito a spendere qualcosa in meno dei suoi predecessori, ma la musica rimane sempre la stessa.

Lo Stato, almeno fin dal 2005, ha continuato a puntellare la CRI con almeno 180 milioni di euro all’anno, cifra utilizzata solo per pagare gli stipendi di almeno 5 mila dipendenti, dislocati tra uffici e sedi centrali e provinciali. Un carrozzone che nel giro di dieci anni ha bruciato ben 1 miliardo di euro, se si conta che l’ultimo bilancio risale al 2004. Praticamente anche in questo caso la CRI era diventata l’ennesimo bancomat per i soliti: commissari, super dirigenti, consulenti esterni, ecc. ecc.

Un ente che nonostante tutte le sue ombre è stato la stampella anche per buona parte di quei servizi che il Servizio Sanitario nazionale non riusciva a garantire, vittima anch’esso di tagli e privatizzazioni che oggi più di ieri stanno riducendo un diritto inalienabile a un lusso per chi potrà permetterselo, una sanità all’americana.

5mila dipendenti ridotti a 4 mila sono state alcune delle sforbiciate dell’attuale commissario Francesco Rocca, anch’esso elemento di un sistema che vuole privatizzare tutto al grido di "Privato è bello, privato è meglio”. Come se un ente pubblico non possa far quadrare i conti allo stesso modo del privato. Chiaramente il tutto a spese dei cittadini/ne, salvando i veri colpevoli ai piani alti non solo della CRI ma anche del governo. Solo per il personale, dati della Corte dei Conti, si spendevano 208 milioni di euro nel 2005, cioè più della metà dell’intera spesa corrente dell’ente che vale poco meno di 400 milioni. Il risultato finanziario del 2010 ha avuto un negativo di ben 9 milioni di euro. Non è cambiato molto negli anni più recenti, dove in parte la spesa si è assestata intorno ai 208 milioni di euro nel 2011 e cosi via. Per le ambulanze, la benzina e tutto ciò che serve a far funzionare il servizio di assistenza si spendono mediamente 150 milioni di euro, mentre solo per il pagamento dell'esercito degli stipendiati se ne vanno almeno 200 milioni.

Il solito carrozzone ben oleato, anche da una parte di quel sindacalismo che oggi tenta di portare a casa qualche risultato con le giuste proteste di una parte del personale crocerossino, che subirà un taglio non da poco unito al ricatto di una privatizzazione che bussa alla porta con contratti di lavoro peggiorativi. La privatizzazione costerà lacrime e sangue, sia sulla pelle dei semplici cittadini che sui lavoratori e volontari. Perché se è vero che il male della CRI è sempre stata la testa, rimane anche vero che il corpo, quello che sul campo, nel bene o nel male assiste milioni di persone, non è da buttare via. Anzi il personale sanitario in esubero (1500/2000 dipendenti) potrebbe essere impiegato altrove, magari nel Servizio Sanitario Nazionale, oggi sempre più in carenza di organico e finanziamenti.

Se da un lato il salasso per i lavoratori e lavoratrici è tutto in divenire, per i volontari il discorso è diverso, peggiore semmai. Turni di lavoro massacranti a spese non solo del soccorritore ma anche del cittadino, con conseguente calo di sicurezza per entrambi.

Il pericolo di questa privatizzazione sarà l’effetto domino che essa creerà all’interno dell’ambito d’intervento che alla CRI è stato dato: i servizi ai cittadini. Il passaggio da pubblico a privato è già in atto, l’inizio è datato 2012, molte onlus e cooperative da quel momento stanno occupando il posto della CRI lungo tutta la penisola, un mercato ricco di opportunità. A rischio sono anche i semplici servizi come ambulanze, servizio emergenza 118, prestazioni d’assistenza, così come i presidi sanitari lungo tutto la penisola. La chiusura e la privatizzazione da questo punto di vista saranno la nuova “emergenza sanitaria” scatenata dal governo a spese della salute di tutti e tutti. Com’è accaduto ad esempio per il Centro educazione motoria di Roma (gestito dalla Cri e finanziato, cumulando ritardi su ritardi, dalla Regione Lazio), che ha già licenziato 25 persone. Oggi si lavora con un organico ridotto per offrire il delicato servizio della riabilitazione motoria ai diversamente abili.

Purtroppo anche i già citati CIE sono i primi della lista. Sempre a Roma, una struttura gestita fino al 2014 dalla Croce Rossa al costo di 60 euro a persona, è stata ceduta ad un consorzio italo-francese dall’anno successivo, grazie alla solita gara al massimo ribasso. L’appalto del servizio è stato vinto al prezzo di 28,8 euro pro-capite. La cifra però non copre il costo per il personale finora impiegato. Di conseguenza la forza lavoro è stata più che dimezzata, per non parlare delle condizioni di chi è detenuto in queste strutture.

Giri d’affari milionari che hanno saputo dare prova di come politica e malavita possano andare a braccetto sotto la luce del “sole”, Mafia Capitale ne è l’ultimo esempio.

In conclusione la Croce Rossa Italiana è riuscita a essere quello che la politica ha sempre voluto: un carrozzone che nella sua attività ha potuto sostenere da una parte le mancanze di un Servizio Sanitario Nazionale sempre più assente, e dall’altro uno stipendificio per i soliti noti. La via migliore sarebbe la riappropriazione della validità delle maestranze all’interno della CRI: medici, infermieri, autisti e operatori sui mezzi di soccorso, avrebbero sicuramente un bel da fare all’interno della Sanità pubblica.
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