I primati dello stato italiano in Europa e nel Mondo

Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer apr 26, 2017 3:23 pm

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è il paese della raccomandazione, dell'irresponsabilità, dell'immeritocrazia, dei privilegi, della violazione dei diritti, delle caste e delle clientele parassitarie;


È inutile negarlo, la pratica della raccomandazione è la sola che funziona perfettamente nel nostro Paese, anche perché coinvolge ognuno di noi in maniera democratica senza distinzione di genere. Ci sono gli italiani che raccomandano e gli italiani che si fanno raccomandare, una sorta di catena di Sant’Antonio che prosegue all’infinito.

http://www.panorama.it/news/politica/li ... mandazione

Almeno una volta nella vita bisogna provare l’ebbrezza della spintarella, anche quando si è coscienti che questa non servirà a nulla per raggiungere l’ambita destinazione, qualsiasi essa sia (il posto di lavoro, la visita medica, l’esame all’università) e non importa se alla meta arriverà un altro, perché la nostra osservazione sarà “chissà chi lo ha raccomandato…!” E poi ci sentiamo a posto con la coscienza per due motivi, il primo perché, comunque, il tentativo lo abbiamo fatto, il secondo perché la volta successiva non ci faremo trovare impreparati, anzi ci organizzeremo meglio cercando una spinta più potente. Forse un giorno potremo anche inserirla nel curriculum vitae.

La Raccomandazione

Alberto Moravia nel suo racconto breve intitolato guarda caso La raccomandazione narrava di un disoccupato sfinito che di raccomandazione in raccomandazione si ritrovava alla fine davanti alla persona a cui per primo si era rivolto, constatando di persona il fallimento di ogni suo tentativo, come nel gioco dell’Oca dove, se si capita nella casella sbagliata, si finisce al punto di partenza per ricominciare daccapo.

Anche in questo argomento, la Storia italica è piena di precedenti sin da prima della sua Unità (come non avrebbe potuto essere altrimenti dal momento che fa parte del nostro DNA). Il re delle Due Sicilie, Ferdinando II, durante il suo soggiorno proprio in Sicilia per salutare i suoi sudditi, ricevette in un mese ben 28mila raccomandazioni. All’epoca il 90% della popolazione era analfabeta, ma in questa arte i nostri antenati avevamo dimostrato di essere ben istruiti.

A dimostrazione della sua endecimità è la perseveranza con cui resiste a ogni regime politico Monarchia, Dittatura o Democrazia. In alcuni casi si è anche cercato di legalizzarla come riportava il Foglio di Disposizione datato 8 febbraio 1933 in cui Achille Starace scriveva “è superfluo rinnovare il tentativo di sradicarlo, anche perché, alla fin fine, quando le raccomandazioni sono fatte a scopo di disinteressata assistenza, nulla vieta che siano accolte ed esaminate benevolmente”. Ma anche il Segretario del Partito Nazionale Fascista tentava di porre un freno quando il 21 agosto dello stesso anno ammoniva “accade che i meno raccomandabili riescono a procurarsi delle raccomandazioni. Quando si verifichino inconvenienti del genere è bene mettere il raccomandato in condizioni di non nuocere”. Facile a dirsi, difficile a farsi diremmo oggi leggendo le cronache di queste ore con l’erede dei Lupi che chiede “legittimamente” la sua parte di spintarella.

Proviamo a immaginare, anche solo per un istante, che il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, faccia uno dei suoi annunci via Twitter e proclamasse urbi et orbi che le raccomandazioni sono bandite definitivamente dall’Italia. Quale potrebbe essere la reazione in ognuno di noi? Probabilmente avremmo allo stesso tempo più disoccupati e un maggior numero di depressi.

Dalla Monarchia alla Dittatura alla Democrazia

Per esempio nel maggio del 1959 il ministro dell’Interno, Mario Scelba, tentò una simile mossa e inoltrò a tutti i grandi uffici pubblici, ministri e burocrati, una circolare di questo tenore “Ho dovuto rilevare che, purtroppo, sussiste ancora, nei candidati ai pubblici concorsi, il convincimento che elemento indispensabile per la riuscita sia quello di procurarsi una raccomandazione. In pratica, come è noto, il valore delle segnalazioni è nullo, ma se pure la raccomandazione non costituisca un danneggiamento per i terzi, non conferisce all’educazione dei cittadini”. Ovviamente l’invito cadde nel vuoto.

Potremmo suggerire all’attuale ministro dell’Interno Angelino Alfano di recuperare quella circolare, che sicuramente è stata protocollata, e, apportando i dovuti aggiornamenti, in questo caso solo la data, inoltrarla ai colleghi. Ma, siamo certi che qualcuno commenterà “da quale pulpito!”.

Il 25 giugno del 1969 l’agenzia Adn Kronos riferì una dichiarazione fatta dal ministro del lavoro Giacomo Brodolini, quello che si batté con tutte le sue forze per lo Statuto dei Lavoratori, “per le duemila assunzioni previste dall’Inps, ho ricevuto oltre 40mila lettere di raccomandazioni. Non si contano poi le telefonate e i messaggi personali”.

Già perché come dicevamo all’inizio, ogni partito ha le sue clientele e dispone, non per legge ma per consuetudine, di un certo numero di poltrone dove far atterrare le natiche dei relativi clienti. Naturalmente i più sfortunati sono i comuni cittadini che bussano alla porta dei deputati per qualsiasi motivo. Pensate che alle ultime elezioni per il Presidente della Repubblica, i mille Grandi Elettori hanno ricevuto telefonate e messaggi da parte di parenti, amici, conoscenti e anche parroci che chiedevano di scrivere il proprio nome sulla scheda. Che giocherelloni che siamo.

Tuttavia, proprio per non perdere la speranza ci piace concludere con le parole sempre sagge del grande giornalista Vittorio Gorresio che definiva l’Italia “la Repubblica dei raccomandati” aggiungendo che “questa grande istituzione nazionale ha le stesse origini della massoneria (come la si intende nel senso volgare) della mafia e della camorra”.


L’Italia rovinata dai raccomandati di ItaliaDall'Estero | 6 ottobre 2012
In cerca di lavoro nell’Europa afflitta dalla crisi economica? Basta avere le conoscenze giuste!
Testata: The Washington Post
Data di pubblicazione: 24 settembre 2012
Traduzione di Grazia Ventrelli e Chiara Lo Faro per italiadallestero.info

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10 ... ati/374618

ROMA – Maria Adele Carrai ha due Master conseguiti presso università italiane, in economia e in lingue asiatiche, e ora sta completando un dottorato di ricerca in diritto internazionale a Hong Kong. Le sue credenziali linguistiche sono formidabili. Oltre all’italiano, lingua madre, Maria Adele conosce l’inglese alla perfezione, una rarità in Italia, e poi francese, arabo, giapponese e mandarino.

Ma la ventiseienne, figlia di medici di un paesino vicino l’Adriatico, non possiede una chiave fondamentale per accedere al mondo del lavoro in Italia: la raccomandazione. Si tratta della parola giusta detta dalla persona giusta per ottenere un impiego, anche se magari per quell’impiego non si è tagliati.

Mentre la crisi economica che ha investito l’Europa offusca il futuro di milioni di giovani, la cultura delle conoscenze che sottende alle pratiche di assunzione nella gran parte del continente si sta radicando sempre di più, danneggiando qualsiasi prospettiva di ripresa. Questo malcostume chiude le porte ai giovani talenti o li spinge all’estero e contribuisce ad alimentare un circolo vizioso stagnante che minaccia di lasciare l’Europa indietro nella partita della globalizzazione.

“Ciò che conta non è la preparazione che hai ma chi conosci”, accusa Carrai, secondo quanto dichiarato ad AP in una testimonianza rilasciata su “Class of 2012” in merito alla devastante fuga di cervelli dal continente. A dirla tutta, avere delle buone conoscenze non fa mai male. Tuttavia, in gran parte dell’Europa, soprattutto nel Sud martoriato dalla crisi, si tratta spesso della carta vincente per un’opportunità economica. Secondo alcuni giovani ed esperti, senza questa chiave la prospettiva di una carriera promettente è scarsa.

Marco Pacetti, Rettore del Politecnico di Ancona, la mette così: “Negli Stati Uniti la rete di conoscenze è sì importante, ma bisogna soprattutto essere in gamba. In Italia invece, nessuno crede che coloro che si affidano alla raccomandazione abbiano anche competenza e merito.” “È questa la differenza fra una lettera di raccomandazione e una “raccomandazione”, aggiunge Pacetti con riso beffardo. In America, “chi scrive la lettera di referenze, si prende la responsabilità di segnalare una persona preparata, non un idiota.”

L’esempio dello scandalo che ha scosso la Sapienza di Roma, una delle più antiche e note università d’Italia, cade a fagiolo. In un caso denominato “parentopoli”, la moglie, la figlia e il figlio del Rettore della Sapienza sono riusciti a procurarsi posti di insegnamento prestigiosi pur non avendo le qualifiche richieste. Ma il peggio è avvenuto quando è emerso che il figlio del Rettore aveva superato l’esame di cardiologia davanti a una commissione d’esame composta da tre dentisti e due igienisti dentali.

Anche la Spagna ha il proprio sistema di reti di conoscenze profondamente radicato, chiamato “enchufismo”. Proprio come in Italia, si tratta del prodotto di una cultura mediterranea che affonda le radici in una fitta rete familiare in cui i membri del clan si preoccupano l’uno dell’altro. Sono molti i cittadini dell’Europa meridionale che nutrono una mancanza di fiducia praticamente innata verso lo Stato, spesso sinonimo di corruzione. In questa prospettiva, la famiglia è l’unica istituzione su cui poter contare.

In Spagna, la rete delle conoscenze ha assunto un ruolo secondario durante il boom economico che ha interessato il Paese dalla fine degli anni ’90 fino al 2008, ma ha riconquistato una posizione di primo piano ora che la disoccupazione ha toccato punte che sfiorano il 25%.

“In Spagna il fenomeno dell’enchufismo non è nuovo, tuttavia, negli anni del boom era possibile accedere a un colloquio e ottenere un impiego, anche senza ricorrere alla rete delle conoscenze,” sostiene Maria Astilleros, insegnante disoccupata di Madrid. “Da quando la crisi ci ha travolti, i colloqui sono sfumati e siamo ritornati punto e d’accapo all’enchufismo”.

Maria Astilleros di recente è stata convocata per un colloquio per la prima volta in due anni presso una società di relazioni pubbliche poiché il titolare, non a caso, è un cliente di suo zio.

Secondo Gayle Allard, professore americano di Economia Manageriale presso la IE Business School di Madrid, circa il 95% degli impieghi in Spagna sono il frutto di conoscenze. “È una delle cose che più mi hanno colpito della Spagna”, sostiene Gayle Allard. “Per cambiare lavoro, devi avere la tua rete di contatti”.

Secondo il professore, una cultura del nepotismo così radicata produce un effetto corrosivo sulla crescita economica, tanto più cruciale tenuto conto che la Spagna vacilla sotto il peso di un elevato tasso di disoccupazione giovanile che si aggira intorno al 53%. Un fatto è certo, la Spagna “non è una meritocrazia,” aggiunge Allard. “Il candidato che scegli molto probabilmente non è quello più qualificato. Il candidato che scegli è quello con la rete di conoscenze migliore.”

Moira Koffi, membro di “Class of 2012”, recentemente laureata alla prestigiosa Università Sorbonne di Parigi, dice la sua sull’importanza delle conoscenze in Francia. “Se sei raccomandato, lo dici subito: è così che si ottiene un lavoro.”

Anche se Moira Koffi, vendiduenne laureata in comunicazioni, ha tratto vantaggio da questo sistema, ma vorrebbe che la rete di conoscenze non fosse così decisiva per trovare un impiego. “Negli Stati Uniti”, sostiene, “ti viene data un’opportunità per quello che sei.”

Secondo Jean-Francois Amadieu, professore di sociologia alla Sorbonne, il 70% della popolazione francese trova un impiego grazie alle reti di conoscenze personali o a uno stage, a cui comunque si accede solo se si conosce la persona giusta. “I giovani di famiglia modesta hanno grandi difficoltà ad accedere a uno stage rispetto ai giovani di famiglie agiate o di classe media proprio a causa delle reti familiari più ristrette”, aggiunge.

In Italia, la cultura delle conoscenze “si è imposta ancora di più a causa dell’acuirsi della crisi economica,” sostiene l’economista Emiliano Mandrone. E chi parla è un esperto: ogni anno, Mandrone collabora alla preparazione di un’indagine telefonica sovvenzionata dallo Stato e rivolta a circa 40 mila cittadini per capire il modo in cui gli italiani trovano un impiego.

“Il problema delle raccomandazioni non si riduce solo all’opportunità di trovare o meno un impiego,” sostiene Mandrone. “Piuttosto, il problema risiede nel fatto che in questo modo si sottrae lavoro a una persona più preparata.” Secondo Mandrone, il prezzo del sistema raccomandazione nella società e nell’economia italiane non è stato quantificato in termini finanziari, ma è chiaramente “enorme”.

In Italia, la cultura delle conoscenze è stata additata da tempo come principale responsabile della fuga di cervelli dei cittadini più preparati e più brillanti. L’Istituto per la Competitività, un comitato di esperti italiano no profit, recentemente ha stimato che la fuga di cervelli costa annualmente all’Italia qualcosa come 1,2 miliardi di euro (oltre $1,5 miliardi) se si tiene conto dei brevetti perduti e di altre royalty frutto di invenzioni che emigranti italiani altamente qualificati hanno sviluppato durante la loro permanenza lavorativa all’estero.

In Grecia, punto di partenza della crisi finanziaria in Europa, la macchina politica, basata sulla fitta rete di conoscenze, è ritenuta uno dei fattori principali dell’implosione economica. In cambio di voti, i partiti della maggioranza hanno piazzato nelle mani di persone inesperte e con poche qualifiche, ma con conoscenze politiche influenti, lavori nell’apparato aministrativo facili facili. Risultato: quando, verso la fine del 2009, è scoppiata la crisi finanziaria, il governo non aveva la più pallida idea di quante persone impiegasse, né quanto sborsasse per i loro stipendi.

La Germania potrebbe rappresentare un’eccezione al trend dei talenti europei che prendono il volo o che vengono ostacolati nella realizzazione dei loro sogni professionali. Nella ex Germania dell’Est, conoscere la persona giusta nell’apparato del partito era una carta vincente per poter progredire economicamente. Ma nella Germania unita, la rete di conoscenze non viene vista come un elemento cruciale della cultura aziendale.

Il ventisettenne Lutz Hentschel, membro di “Class of 2012”, completato un Master in ingegneria elettronica all’inizio dell’anno, ha dovuto inviare circa 40 domande prima di aggiudicarsi un impiego a Berlino, dove oggi sviluppa circuiti elettrici per ascensori. Durante la ricerca del lavoro, ricorda di aver sostenuto un colloquio per un impiego che alla fine è andato a un candidato meno preparato, ma che conosceva la persona con cui ha sostenuto il colloquio.

Tutto sommato in Germania, sostiene Hentschel, “se hai le qualifiche giuste, un lavoro alla fine lo trovi.”

Da tempo la Gran Bretagna è alle prese con un altro sistema di clientelismo che si fonda sulla rete di quel salotto bene della società che ha ricevuto un’istruzione elitaria e che evoca immagini di uomini vestiti di tutto punto con divise scolastiche, o che si intrattengono amichevolmente in esclusivi club per gentiluomini. Benché la Gran Bretagna abbia fatto passi da gigante per diventare più meritocratica, c’è chi lamenta che l’accesso a impieghi prestigiosi spesso rimane una prerogativa del fior fiore di quella parte della società che ha goduto di un’istruzione privilegiata.

Nell’Europa meridionale, tuttavia, la cultura delle raccomandazioni permea tutte le classi e i settori, da un impiego in banca alla vincita di appalti di costruzione.

Carrai, la linguista e aspirante esperta in diritto internazionale, ha imparato a sue spese quanto contino le conoscenze giuste anche nell’esclusivo mondo accademico. Ad Hong Kong si è trasferita per sottrarsi alla soffocante atmosfera del nepotismo universitario: “Ho visto come funziona. Non volevo rimanere in Italia e assecondare questo sistema.”

“Il sistema delle raccomandazioni può essere una pratica normale, umana, ma fino a un certo punto”, sostiene, superato il quale, “diventa corruzione”.


Meritocrazia: siamo ultimi in Europa. Si va avanti solo con la raccomandazione
La classifica stilata da tre professori universitari della Cattolica. L’81 per cento degli italiani convinti che per la carriera servono amicizie e non merito.

http://www.nonsprecare.it/meritocrazia- ... ne-europea


MERITOCRAZIA IN ITALIA -

Siamo il Paese del merito sommerso. Non riconosciuto, non valutato, non incentivato. Tre professori universitari della Cattolica, Paolo Balduzzi, Giorgio Neglia e Alessandro Rosina, sul sito La voce.info hanno calcolato il valore del “meritometro” all’interno degli stati membri dell’Unione europea. In pratica hanno assegnato una pagella, con base 100, ai sistemi che valorizzano il merito, e dunque un’uguaglianza di opportunità, innanzitutto di studio e di lavoro, che premia le doti e la capacità di progetto di ciascuno. L’Italia è in fondo alla classifica con appena 23,3 punti, meno della metà della Finlandia (67,7 punti), ma anche dieci punti più in basso rispetto alla Spagna (34,9) e alla Polonia (38,8). “È la fotografia di un Paese ingiusto, che scoraggia la ricerca del talento, favorisce i soliti noti, e non riesce a riprendere la strada della crescita economica” commenta il professore Rosina.

RACCOMANDAZIONI PER TROVARE LAVORO IN ITALIA -

Una società a un livello così basso di tasso di meritocrazia, infatti, si blocca e il suo ascensore sociale risulta fermo. Il contrario degli anni del boom, quando appunto erano proprio le capacità individuali, spinte da un’energia collettiva, a schiacciare l’acceleratore del motore del riscatto e della crescita. Il figlio del contadino, studiando con profitto, poteva aspirare a un posto di impiegato, di libero professionista, con un salto significativo nella scala sociale tra una generazione e l’altra. Così l’operaio che sognava di mettersi in proprio, l’artigiano che si trasformava in piccolo imprenditore. Adesso l’81 per cento degli italiani sono convinti che per affermarsi servono rapporti, relazioni, amicizie. Cioè raccomandazioni. Il lavoro, quando c’è, si tramanda di padre in figlio, come nella giungla delle cattedre universitarie o in buona parte dell’universo professionale: Almalaurea ha calcolato che 4 laureati su 10 ereditano l’attività del padre.

Poco merito significa stipendi e guadagni meno consistenti, e un livellamento delle retribuzioni verso la fascia bassa della scala. Qui il paradigma è il pubblico impiego dove valutare il merito e poi gratificarlo anche sul piano monetario è da sempre impossibile, grazie alla granitica e corporativa resistenza del sindacato. Un bravo insegnante che ama la sua scuola, guadagna come il collega fannullone (non a caso il 22 per cento dei docenti, ogni anno, cambia scuola); il vigile urbano assenteista a Roma, con certificati medici falsi, si ritrova con una busta paga uguale a quella del piedipiatti che ogni giorno suda in strada; il magistrato, come il professore universitario, fanno carriera esclusivamente in base all’anzianità. Se sono asini, pazienza. Con questo meccanismo del “tutto a tutti” il livello medio di un insegnante scolastico è scandaloso, 24.846 euro l’anno, e vale la metà del collega tedesco che con i bonus legati appunto ai risultati, e quindi al merito, intasca mediamente 44.823 euro.

La carriera e lo stipendio che partono dalla raccomandazione e si appiattiscono nella parte bassa della curva, scoraggiano i giovani a cercare lavoro. “Le nostre ricerche dimostrano, dati alla mano, che il principale motivo che spinge le nuove generazioni a una forma di emigrazione di massa è proprio la mancanza di meritocrazia in Italia. Di fronte a un Paese bloccato, dove non posso giocamela con pari opportunità, non resta che la fuga” commenta Rosina. La fuga degli italiani all’estero, ormai milioni, non riguarda solo i meno preparati, ma al contrario si sta gonfiando tra quelli che hanno studiato con migliori risultati. In pratica formiamo forza lavoro di qualità con i soldi dei contribuenti italiani, poi la perdiamo a vantaggio dei paesi stranieri. Intanto la raccomandazione elevata a metodo (4 milioni e 200mila cittadini sono ricorsi alla raccomandazione, nell’ultimo anno, per accelerare una pratica nella pubblica amministrazione, secondo una ricerca del Censis), rischia di premiare i meno capaci, che non hanno bisogno di emigrare grazie alle spintarelle sulle quali possono sempre contare.

Infine, senza il merito assistiamo impotenti a una costante perdita di qualità dell’intero sistema della formazione ed a quello che il governatore Ignazio Visco, nel suo libro Investire in conoscenza, definisce “l’impoverimento del capitale umano”. È come se un giovane dicesse: ma se il merito non serve per trovare un lavoro e per guadagnare bene, perché dovrei sbattermi nello studio? Spiega Rosina: “Si tratta di un circolo vizioso, che spinge a investire sempre meno nella formazione, il fattore oggi essenziale della crescita e della produttività dell’economia”. Ecco perché ci ritroviamo con una quota di laureati nella popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni pari all’11 per cento contro il 25 per cento della media dei paesi dell’Ocse e il 23 per cento dei 19 paesi dell’Unione europea che sono anche membri dell’Ocse.

QUALITÀ DEL SISTEMA DI FORMAZIONE IN ITALIA -

Si può fare qualcosa per invertire la tendenza e bloccare la deriva della meritocrazia? E da dove partire? Diciamo subito che non è un governo, anche il più efficiente possibile, che può modificare uno scenario sul quale bisogna combattere in primo luogo una battaglia culturale. Certo, dall’esecutivo di Renzi ci aspettavamo più coraggio nell’affermare il merito all’interno della pubblica amministrazione (a partire dai contratti e dalla parte variabile delle retribuzioni) e nell’imporre il diritto-dovere alla valutazione, premessa per riconoscere e premiare i più capaci, di scuole, università e uffici. Ma i valori del “meritometro” potranno cambiare in modo sostanziale quando tutti saremo convinti che rinunciare all’ombrello della raccomandazione, sfidare il concorrente sulla base delle competenze e non delle conoscenze, distinguere il familismo da sane e utili relazioni, restituire una gerarchia alle doti individuali, sono scelte che convengono. Aprono una società, rendendola più giusta, favoriscono una solida crescita economica, danno luce al futuro. E magari spingono i nostri figli a non lasciare in massa l’Italia.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » ven apr 28, 2017 11:02 am

20
è il paese con le banche più truffaldine e ladresche del mondo


Banche italiane, ruberie e depredazioni
viewtopic.php?f=165&t=224


https://www.laleggepertutti.it/80958_tr ... e-italiane

http://www.bluerating.com/banche-e-reti ... -i-clienti

IL LIBRO – Truffe, trabocchetti e inganni ai risparmiatori da parte delle banche. È questo il tema del libro di Vincenzo Imperatore, ex dirigente bancario spietato, dal titolo Io so e ho le prove, edito da Chiarelettere, dove vengono raccontati con dovizia di particolari tutti gli inganni compiuti ai danni dei correntisti nel corso della sua carriera.

GLI INGANNI – L’ex manager si confessa elencando trucchi legati all’applicazione dei tassi d’interesse e ai cavilli di polizze, mutui e derivati sottoscritti dai clienti, e fornisce qualche consiglio prezioso su come difendersi dal desiderio di profitto degli istituti bancari. Imperatore, per esempio, racconta del ricorso alla procedura 72H, un sistema che consente di attingere a una riserva di denaro (dai 500 ai 10mila euro) allo scopo di sedare l’ira di qualche correntista che si ribella dopo aver scoperto un comportamento scorretto della banca. E racconta anche di tassi d’interesse aumentati impercettibilmente dello 0,1 o dello 0,01% a tutti i conti correnti. Come pure di commissioni di massimo scoperto che verrebbero invece a volte calcolate illegittimamente sulla punta più alta dello scoperto del correntista.

FREGATENE DEL CLIENTE – “La banca”, scrive l’ex dirigente nel suo libro, “è l’usuraio più diffuso: usa i mutui, ipotecari o chirografari (senza alcuna garanzia reale), che sono sicuramente i più esposti, gli scoperti di conto corrente, i leasing. La nostra”, sostiene ancora Imperatore, “è una formazione a delinquere. Lo so: ero uno dei migliori. Convocavo alle 7.00 di mattina i miei e gli dicevo di fare profitto, fregandocene dei clienti. Ci fu un momento che il mercato delle polizze assicurative era così saturo che li obbligammo a rottamarle, caricando quelle nuove di altri costi”. Il sistema sarebbe dunque “marcio”. E per evitare di finire nella rete sarebbe opportuno, afferma ancora l’ex manager bancario, “tenere tutte le carte, trattare sempre sulle percentuali dei contratti, controllare i tempi delle comunicazioni, spulciarsi i codicilli, se non si capisce chiedere a un proprio consulente”. Ma anche denunciare. “Le banche sono abituate”, dice Imperatore, “a non scontare pena, e non risarciscono. Al limite restituiscono per ricominciare la volta dopo. Però temono il danno reputazionale”.

L’EPILOGO E LA CONFESSIONE – Dopo lo scoppio della crisi dei subprime nel 2009 l’ex dirigente ha deciso di vuotare il sacco. “A una riunione aziendale, sul palco, quegli stessi dirigenti che per quindici anni ci avevano indottrinato alle peggiori schifezze, ora rovesciano le responsabilità sui piccoli funzionari. Ecco, in quel momento ho detto basta”.


http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... tello.html

http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... re-di.html

http://citywire.it/news/banca-fideuram- ... fa/a982982
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » ven apr 28, 2017 9:00 pm

21
a noi veneti e friulani lo stato italiano ha portato la miseria e l'esodo biblico ottocentesco; la prima guerra mondiale che ci ha distrutti; la grande depressione economica del I e del II dopoguerra; le grandi migrazioni novecentesche; depressione e corruzione morale;



La grande menzogna de l'Onta Guerra Mondiale
viewtopic.php?f=139&t=1616

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... gna-kw.jpg


La barbarie italiana della prima guerra mondiale
viewtopic.php?f=139&t=528

Immagine
http://www.filarveneto.eu/wp-content/up ... talega.jpg

Foibe - per colpa dei falsi nasionalismi ideologici
viewtopic.php?f=139&t=408
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » ven apr 28, 2017 9:15 pm

22
Fin dove arriva la corruzione del sistema italico


Vedete questa roba? Vergogna totale sulla Rai. Come insultano in tv 5 milioni di italiani
aprile 29, 2017
di Gianluca Veneziani

http://www.informazioneitalia.com/vedet ... m=facebook

Rai, la vergogna della fiction Rai “Di padre in figlia”: così umiliano cinque milioni di veneti

Se i veneti avevano intenzione di votare Sì al referendum sull’ autonomia, ora avranno una ragione in più per emanciparsi dallo Stato e dalle sue aziende come la Rai.

In questi giorni la tv pubblica sta mandando in onda la fiction Di padre in figlia, ambientata nella Bassano del Grappa degli anni 70 e 80, una narrazione che riesce nel raro intento di raccogliere tutti i peggiori cliché sul popolo veneto: il capofamiglia, Giovanni Franza (Alessio Boni), è un arrivista disposto a tutto pur di avere successo, uomo autoritario, prepotente e fedifrago; nonché titolare di un’ impresa accusata di frode fiscale e falsa esportazione;

il genero di Franza è un ubriacone e manesco; le donne di famiglia sono tutte vittime di una società maschilista: alla figlia più talentuosa (Maria Teresa, interpretata da Cristiana Capotondi) il padre impedisce di fare carriera come meriterebbe; l’ altra figlia, Elena, si vede tarpare a lungo il desiderio di autodeterminazione e il sogno di far la modella, fino all’ abbandono liberatorio del tetto coniugale (e dei figli); la moglie di Franza subisce reiterati tradimenti dal marito, salvo poi emanciparsi da lui, tradendolo a sua volta; il riscatto femminile passa sempre dalla lotta per la legalizzazione dell’ aborto e del divorzio e da una vita di eccessi, fatta di droghe e assenza di riferimenti tradizionali (è il caso dell’ altra figlia, Sofia); la donna più saggia e mite della fiction è una prostituta; la più sottomessa è una segretaria abusata sessualmente dal padre.

In questo idillio (si fa per dire) il maschio viene descritto sommariamente come un bruto interessato soltanto ai schei, alla mona e al bere; la donna come una figura schiacciata dallo strapotere maschile che deve riscattarsi in tutti i modi (nel lavoro, nel sesso, nelle libere scelte sul proprio corpo). Ne viene fuori una rappresentazione macchiettistica del tipo umano veneto, resa ancora più fastidiosa dall’ accento esasperato, quasi involontariamente caricaturale, di attori che veneti non sono.

La cosa però più irritante è il tentativo di destituzione (e irrisione) di tre principi su cui si è costruito il successo economico del Nord-Est e, ancor prima, di tutta l’ Italia nel periodo del boom: l’ individuo, la famiglia e l’ impresa. L’ individuo, espressione del self-made man che mette su una fortuna contando su talento, tenacia e ambizione, è derubricato a una somma di istinti da soddisfare e di egoismi da coltivare; la famiglia, base della tenuta del tessuto sociale negli anni in cui si predicava la rivoluzione e cuore della crescita stessa di molte imprese a conduzione appunto familiare, viene invece dipinta come un’ istituzione da archiviare, nel migliore dei casi come un’ unione di facciata fondata unicamente sull’ ipocrisia borghese, nel peggiore come un ricettacolo di violenze domestiche, umiliazioni e sottomissioni; da ultimo l’ impresa, vero fiore all’ occhiello della crescita del Veneto insieme artigianale e industriale, appare animata solo dalla sete di profitto, dalla discriminazione di genere, e da affari loschi che si risolvono nel tentativo di fregare il Fisco.

Un’ immagine urtante anche per lo spettatore che veneto non è; ad esempio per chi, pur chiamandosi Veneziani, proviene da ben altra regione. Ma, dopo tutto, è inutile imprecare: la colpa non è Di Padre in Figlia, ma di Mamma Rai.


Alberto Pento
Perché indignarsi? Dovremmo ringraziare invece perché è semplicemente la verità: questo è proprio un italiano vero; un veneto corrotto dall'italianità. Così ci ha ridotto l'Italia, il mito del risorgimento, la resistenza, la repubblica e lo stato italiano. E questo è proprio un buon motivo per liberarci dell'oppressione italica e dei suoi nefasti miti. Grazie RAI che hai fatto vedere a tutti come lo stato italiano e l'italianità riescano a corrompere e a degradare l'umanità. Non che i veneti si siano fatti tutti degradare e corrompere dall'inciviltà italica però purtroppo una parte sì. Pensiamo a Maniero, a Galan, tanto per far dei nomi notissimi ... esempi lampanti della corruzione italica.



Corruzione, Istat: "Il 7,9% delle famiglie coinvolto in richieste di denaro o favori in cambio di servizi"
12 ottobre 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... zi/3909156

Quasi l’8% delle famiglie italiane si è sentito chiedere denaro, favori, regali o altro in cambio di servizi o agevolazioni. In altre parole, è stato coinvolto in un caso di corruzione. Il dato arriva dall’Istat, che per la prima volta ha introdotto una serie di quesiti ad hoc nell’indagine sulla sicurezza dei cittadini 2015-2016. Il 2,7% dei nuclei ha riferito che la richiesta è arrivata negli ultimi tre anni, l’1,2% negli ultimi 12 mesi. L’incidenza del fenomeno è molto diversa tra regione e regione: l’indicatore tocca il 17,9% in Lazio mentre è solo del 2% nella Provincia autonoma di Trento.

La corruzione ha riguardato in primo luogo il settore lavorativo (3,2% delle famiglie), soprattutto nel momento della ricerca di lavoro, della partecipazione a concorsi o dell’avvio di un’attività lavorativa (2,7%). Tra le famiglie coinvolte in cause giudiziarie, si stima che il 2,9% abbia avuto nel corso della propria vita una richiesta di denaro, regali o favori da parte, ad esempio, di un giudice, un pubblico ministero, un cancelliere, un avvocato, un testimone o altri.

Il 2,7% delle famiglie che hanno fatto domanda di benefici assistenziali (contributi, sussidi, alloggi sociali o popolari, pensioni di invalidità o altri benefici) ha poi ricevuto una richiesta di denaro o scambi di favori, continua l’Istat. In ambito sanitario episodi di corruzione hanno coinvolto il 2,4% delle famiglie che avevano bisogno di visite mediche specialistiche o accertamenti diagnostici, ricoveri o interventi. Tra i casi non formalmente classificabili come corruzione si stima che al 9,7% delle famiglie (più di 2 milioni 100mila) sia stato chiesto di effettuare una visita a pagamento nello studio privato del medico prima di accedere al servizio pubblico per essere curati.

Le famiglie che si sono rivolte agli uffici pubblici nel 2,1% dei casi hanno avuto richieste di denaro, regali o favori. Richieste di denaro o favori in cambio di facilitazioni da parte di forze dell’ordine o forze armate e nel settore dell’istruzione hanno riguardato rispettivamente l’1% e lo 0,6% delle famiglie. La stima più bassa di corruzione riguarda le public utilities: sono soltanto 0,5% le famiglie che al momento di richiedere allacci, volture o riparazioni per energia elettrica, gas, acqua o telefono hanno avuto richieste di pagamenti in qualsiasi forma per ottenere o velocizzare i servizi richiesti.

Nella maggior parte dei casi di corruzione degli ultimi 3 anni c’è stata una richiesta esplicita da parte dell’attore interessato (38,4%) o questi lo ha fatto capire (32,2% dei casi). Meno frequente la richiesta da parte di un intermediario (13,3%). La contropartita più frequente nella dinamica corruttiva è il denaro (60,3%), seguono il commercio di favori, nomine, trattamenti privilegiati (16,1%), i regali (9,2%) e, in misura minore, altri favori (7,6%) o una prestazione sessuale (4,6%).

Tra le famiglie che hanno acconsentito a pagare, l’85,2% ritiene che sia stato utile per ottenere quanto desiderato. Sempre con riferimento alla corruzione, inoltre, il 13,1% dei cittadini conosce direttamente qualcuno fra parenti, amici, colleghi o vicini a cui è stato richiesto denaro, favori o regali per ottenere facilitazioni in diversi ambiti e settori ed ammonta al 25,4% la popolazione che conosce persone che sono state raccomandate per ottenere privilegi.

Il 3,7% dei residenti fra 18 e 80 anni (oltre 1,7 milioni) ha ricevuto offerte di denaro, favori o regali in cambio del voto alle elezioni amministrative, politiche o europee. Il 5,2% degli occupati, infine, ha assistito a scambi di favori o di denaro considerati illeciti o inopportuni nel proprio ambiente di lavoro, conclude l’Istat.

A imprenditori, lavoratori autonomi e lavoratori in proprio che a livello personale non hanno ricevuto alcuna richiesta di denaro, regali o altra utilità per ottenere servizi o facilitazioni in ambiti attinenti alla loro attività lavorativa, è stato chiesto quale fosse la loro percezione sulla corruzione. Il 32,4% dichiara che nel settore in cui opera succede sempre o spesso di essere obbligati a pagare per ottenere licenze e concessioni o contratti con la pubblica amministrazione o permessi per l’import e l’export, o per agevolare pratiche fiscali o velocizzare procedure giudiziarie. Un ulteriore 19% afferma che succede almeno qualche volta. Questa percezione è più diffusa nel caso si tratti della richiesta di licenze e concessioni.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » dom mag 07, 2017 7:12 am

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sanità pubblica tra le peggiori dell'occidente, generalmente da Roma in giù con qualche caso di orrore speculativo anche al nord dove in cliniche private i medici operavano dei pazienti sani per intascare il corrispettivo pubblico;



La malasanità, negli ospedali del sud si muore

Sanità, sei nato al Sud. E allora muori - Il Fatto Quotidiano
Enrico Fierro
il Fatto Quotidiano, 3 Settembre 2014

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09 ... ri/1107442

E allora muori, perché sei nato al Sud e qui ti sei ammalato, qui avevi bisogno di cure, attenzione, professionalità, onestà. E invece hai trovato un medico pavido, che ha fatto scempio del giuramento di Ippocrate (“…regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa”) e di ogni senso di umanità. “Il primario ha amicizie e coperture politiche. Io no”. Così si è sfogato nella confessione, tardiva e inutile, registrata da un suo collega e pubblicata, per fortuna, da Basilicata24.it.

È questo il dramma del Sud, le amicizie politiche, le coperture, il familismo amorale e partitico che in queste lande ha trasformato la sanità pubblica, o quel che ancora ne rimane, in un Far West. Un terra di conquista per partiti famelici, direttori sanitari asserviti, presidenti di aziende sanitarie che non rispondono agli ammalati ma ai loro protettori politici. Un Far West degli sprechi. Se in Europa il 5,6% del budget della sanità pubblica viene assorbito dalla corruzione, nel Sud la percentuale sale, schizza in alto, raggiunge vette vergognose. Sarebbe inutile ricordare i casi di ospedali finiti e chiusi, le sale operatorie completate e abbandonate, le forniture sanitarie che in Calabria, Campania, Puglia e Basilicata, costano dieci volte di più che in altre regioni. Sarebbe pietoso ricordare le tante inchieste aperte e i tantissimi politici coinvolti in scandali che proprio la salute dei cittadini hanno al centro. “Questa è terra vattiata”, avrebbe scritto Leonida Répaci, uno dei tanti, inascoltati cantori dei mali del Sud. Vattiata, maltrattata da politici disonesti e incompetenti.

Basta vedere come dalla Campania alla Sicilia si è proceduto al riordino degli ospedali. I “tagli” sono stati fatti con l’elenco dei collegi elettorali alla mano, e qui pesano più che nelle Regioni del Nord, al punto che in un suo ultimo rapporto il Censis parla di vero “abbandono della sanità pubblica”. Chi può scappa, cerca le cure da Roma in su, turisti sanitari li chiamano.

Anche per questo il Sud si avvia a passi spediti a diventare quel “deserto umano” paventato nell’ultimo rapporto Svimez. Sono dati drammatici che raccontano come metà del Paese è ormai senza futuro, dove aumentano povertà, disoccupazione, emigrazione. Per questa metà dell’Italia abbandonata poco o nulla è previsto nei mirabolanti disegni futuri del governo Renzi.

Qui tra Napoli e Catanzaro, Potenza e Avellino, non contano i diritti, ma le protezioni politiche. E allora muori, e la tua morte in un fredda corsia di ospedale per un errore sanitario sarà coperta dalla più totale omertà. Dopo aver perso da vivo il diritto alla salute, da morto perdi anche quello alla giustizia. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha spedito i carabinieri dei Nas oltre Eboli, presto ci saranno novità, forse si capirà qualcosa e chi deve pagare pagherà. Aspettiamo con scarsa speranza, perché al Sud hanno ucciso anche quella.


Malasanità, in Campania e Calabria l'81% dei decessi: qui si muore di più
l'81% dei decessi: qui si muore di più
Giornata nazionale contro la malasanità
2014/13-maggio
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 6222.shtml

NAPOLI - «Se pago vengo trattato meglio» questo è il concetto del 18% degli intervistati che sono sfiduciati verso chi dovrebbe garantire cure, diagnosi accurate e puntuali e assistenza al malato. Non è un caso, infatti, che 12 milioni di cittadini migrino dal servizio pubblico alle cure di un privato.

CENTO PUNTI DI ASCOLTO - Codici ha promosso sportelli attivi presso tutta Italia .I cittadini che volessero denunciare o segnalare situazioni anomale possono rivolgersi all’indirizzo e-mail nomalasanita@codici.org oppure ai punti d’ascolto territoriali: a San Giuseppe Vesuviano in Via Leonardo Murialdo, 26 (codici.campania@codici.org) e a Napoli in vico San Sepolcro, 102 (sportello.napoli@codici.org). «Siamo pronti ad accogliere ogni segnalazione» spiega il segretario regionale di Codici, Giuseppe Ambrosio «saremo vigili su tutto quello che verrà denunciato dai cittadini e noi stessi provvederemo ad intervenire laddove sarà necessario».

CALABRIA E CAMPANIA, DOVE SI MUORE DI PIU' - Inquietano ed indignano i numeri sulla malasanità in Italia. In nove anni, errori e incidenti sono costati alla sanità pubblica quasi 1,5 miliardi di euro, 300 milioni solo nel 2012. Tante anche le denunce per errore medico: la Sicilia è al primo posto con il 20% di denunce, segue la Calabria con il 19%. Al terzo posto di questa triste classifica spunta il Lazio, con l’11% di denunce. Drammatici anche i dati relativi alle denunce per eventi con decesso. Facendo le dovute proporzioni denunce/decesso, il quadro che ne esce fuori è il seguente: 81% in Calabria e Campania, 77% in Emilia Romagna, Sicilia con il 72%, 69% in Puglia, il Lazio con il 66%. Non è un caso, dunque, che 12milioni di cittadini migrino dal servizio pubblico alle cure di un privato.

IN ITALIA - In Italia, la sanità di «sano ha ben poco»: morti sospette, denunce, indagini della Procura, scarsa trasparenza. A tutto questo, da Nord a Sud, 100 città dicono di “no”. Una forte presa di posizione di Codici che ha così promosso la Giornata nazionale contro la malasanità, dal Piemonte alla Sicilia, 100 delegazioni dell’Associazione scendono in campo per chi volesse denunciare o segnalare casi anomali e poco trasparenti. Il sistema sanitario è un caos volutamente organizzato per permettere speculazioni e sprechi, in cui la politica fa i suoi affari e dove si tenta di nascondere gli errori/orrori medici. L’Associazione vuole quindi ribellarsi a questa situazione di immobilismo, ai compromessi tra classe politica e lobbies. In molte regioni d’Italia, soprattutto nel Meridione, il diritto alla salute è diventato quasi un optional. La salute e la dignità del paziente non sono l’interesse primario, in questo contesto infatti si colloca perfettamente la Campania.

LA CAMPANIA A RISCHIO - La Campaniaè una delle regioni che è più a rischio di tutti, per quanto riguarda il servizio sanitario pubblico. Tagli al personale, posti letto carenti, chiusura di ospedali e come nel caso giornaliero le barelle finite al Cardarelli con l’utilizzo momentaneo di sedie a rotelle. Le liste d’attesa sono l’esempio lampante del disservizio sanitario dove il cittadino può attendere mesi prima di essere sottoposto a visite. Ci sono casi in cui chi non rimane in Campania migra al Nord, per curarsi, o addirittura si sposta all’estero per l'efficienza del servizio che delle cure.


Malasanità, 329 morti in due anni In Calabria il record degli «orrori»
Enza Cusmai - Mar, 25/10/2011

http://www.ilgiornale.it/news/malasanit ... rrori.html

Vibo Valentia: donna di 33 anni muore di parto. Locri: bambina di cinque anni muore dopo essere stata dimessa dall’ospedale. Cosenza: ingessato il braccio sano a una bambina di due anni e mezzo. Basta cliccare su Internet «Malasanità» e l’elenco dei più assurdi decessi o delle distrazioni mediche ci riporta dritti al Sud. Ed è amaro il titolo di una tv locale calabrese che ieri annunciava: «Tranquilli: quanto a malasanità nessuna sorpresa! La Calabria resta saldamente in testa a ogni classifica negativa». Il cronista commentava i dati resi noti ieri dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sanitaria presieduta da Leoluca Orlando. Nel complesso catastrofici: negli ultimi due anni, tra errori, disservizi, carenze strutturali e inefficienze, i casi di malasanità sono cresciuti: 470 in totale, sedici al mese, più di uno ogni 48 ore, di cui 329 terminati con la morte del paziente. Una tendenza in salita negli ultimi 12 mesi, con una media di 19 episodi al mese. Numeri che impressionano ma non quanto il dato geografico. È la Calabria, infatti, la regione in cui si muore di più in ospedale. Gli episodi di sospetta malasanità sono stati 97 e i decessi ben 78. Al secondo posto si piazza la Sicilia, con 91 casi di errori sanitari e 66 decessi. Poi c’è il Lazio dove si contano ben 51 casi di errori e 35 morti. Insomma, queste tre regioni, da sole, totalizzano oltre la metà delle criticità con una media di quasi due al giorno. In Italia, per fortuna, c’è anche la sanità che funziona. In alcune regioni non si sbaglia quasi mai. In Sardegna, zero segnalazioni in 29 mesi. In Molise e in Trentino solo una. Sulle dita di una mano anche le disfunzioni in Umbria, Friuli, Basilicata, Marche e Umbria. Numeri contenuti anche in Valle d’Aosta (10), Piemonte (9), Abruzzo (7), Umbria (4).
Le cosiddette regioni virtuose, con la sanità migliore in Italia, sono affette da pochi episodi di presunta malasanità e si collocano nella seconda parte della classifica: la Toscana si ferma a 29 casi (18 decessi), Lombardia a 28 (11 morti), Emilia Romagna 24 (16 morti) e Veneto 23 (13 morti). In mezzo al guado la Puglia con 31 casi denunciati e la Campania con 29. Ovviamente non tutte le colpe devono essere attribuite ai medici. Su un totale di 470 casi di malasanità, 326 riguardano errori da parte dei medici e del personale sanitario. Che potrebbero aver causato 223 decessi. Ma sono molti anche gli episodi causati da disservizi, carenze e strutture inadeguate. E anche in questo caso il terzetto Calabria, Sicilia, Lazio, colpisce ancora. Ma questa situazione è irrecuperabile? Il presidente Orlando sembra cautamente ottimista ad un patto: «Gli operatori devono denunciare spontaneamente anomalie e disfunzioni». Bisogna spazzare via l’omertà perché - secondo l’ex sindaco di Palermo - è figlia di personalismi e accordi clientelari. «Il vero punto – denuncia Orlando - è che troppo spesso gli operatori si rivelano più interessati a non dar fastidio al politico di turno, piuttosto che assicurare la sicurezza propria e dei pazienti». Parole gravissime che riflettono la situazione in cui si trova la sua Sicilia e la Calabria.
Il caso Calabria: secondo questa indagine la regione svetta per quantità e gravità dei casi di malasanità, con quasi il 25% dei presunti errori che si contano a livello nazionale. Ogni volta che ci scappa un morto, scatta un’indagine, lo sdegno dell’opinione pubblica. Ma poi tutto procede come prima. E calabresi se la passano molto male. Sono secondi in Italia per spesa pro capite sulla sanità e all’ultimo posto per la qualità offerta nei servizi sanitari principali. Chi può emigra e si fa ricoverare in altre regioni spendendo oltre 3mila euro in più. Così, in Calabria si spende il triplo del Veneto. Gli ospedali sono zeppi di amministrativi più che di medici. Un esempio? A Gioia Tauro in ospedale ci sono 26 cuochi per 32 posti letto. Speriamo si mangi meglio che al ristorante.


Ritardano cesareo per non rimanere oltre l'orario di lavoro, neonato nasce con lesioni gravissime: tre a processo
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/c ... 43132.html

«Per evitare di rimanere a lavorare oltre l'orario previsto, avrebbero omesso di eseguire un parto cesareo, nonostante i molteplici episodi di sofferenza fetale emersi dal tracciato». E per «simulare una inesistente regolarità nell'esame medico» avrebbero «somministrato atropina alla gestante». La procedura, e «il non avere informato della situazione i colleghi del turno successivo, avrebbe causato la nascita del neonato con lesioni gravissime».
È l'accusa contestata dalla Procura di Catania a due dottoresse dell' ospedale Santo Bambino, struttura da oltre 2.000 parti l'anno, Amalia Daniela Palano e Gina Corrao, per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio per lesioni gravissime colpose, omissioni e falso in atti d'ufficio. Davanti al Gup Ragazzi, il prossimo 22 maggio, comparirà anche la dottoressa Paola Cairone che, secondo l'accusa, «pur non essendo a conoscenza degli avvenimenti precedenti, praticava alla paziente per due volte le manovre di Kristeller, bandite dalle linee guida, nonostante un tracciato non rassicurante, e non contattava in tempo il neonatologo».
L'episodio risale al 2 luglio 2015 e le indagini sono state avviate dalla squadra mobile e coordinate dal procuratore Carmelo Zuccaro dopo la denuncia dei familiari. Il neonato, venuto al mondo con un giro di cordone ombelicale attorno al collo, ha riportato lesioni gravissime e danni irreversibili cerebrali e motori. I familiari e il bambino si costituiranno parte civile con l'avvocato Gianluca Firrone.


"Noi Italia”, 100 statistiche Istat per capire il Paese. Salute: Italia migliora ma forte divario regionale e in Europa è a metà classifica
14 aprile 2017

http://www.quotidianosanita.it/studi-e- ... o_id=49899

L'Istat ha pubblicato l'edizione 2017 di "Noi Italia": le cento statistiche Istat per capire il Paese.
Rispetto al livello europeo, da oltre un decennio il sistema sanitario è sotto riforma per razionalizzare le risorse e contenere la spesa quasi del tutto pubblica. Quella privata nel 2015 è stata in Italia è del 24,5% del totale, come in Estonia e Finlandia; i contributi maggiori si registrano in Grecia (39,4%), i contributi minori in Germania (15,0%).

L’Italia migliora in salute e welfare. E si pone sopra la media europea nonostante la spesa sanitaria pubblica italiana sia inferiore a quella di importanti paesi partner,

L’ultima analisi è quella proposta da “Noi Italia. 100 statistiche per capire il Paese in cui viviamo”, dell’Istat, che offre un quadro d’insieme dei diversi aspetti economici e sociali del nostro Paese, della sua collocazione nel contesto europeo e delle differenze regionali che lo caratterizzano.
La pubblicazione presenta una selezione dei più interessanti indicatori statistici interattivi (consultabili a questo link http://noi-italia.istat.it/index.php?id ... 4b9307fc74 o scaricare il data base completo a questo link http://noi-italia.istat.it ), che spaziano dall’economia alla cultura, al mercato del lavoro, passando dalle condizioni economiche delle famiglie, alla finanza pubblica, all’ambiente.

Per quanto riguarda la salute, gli indicatori di mortalità (infantile, per tumori e per malattie circolatorie) continuano a contrarsi e si mantengono più bassi della media europea.

Tra gli indicatori sugli stili di vita l’Italia presenta la percentuale più bassa di adulti in eccesso di peso, mentre la diffusione dell’abitudine al fumo vede il nostro Paese in una posizione centrale. L’Italia si conferma tra i paesi europei più longevi, sia per gli uomini sia per le donne.

Gli altri indicatori demografici mettono in luce, tuttavia, un quadro di scarsa dinamicità, con un indice di vecchiaia secondo solo a quello della Germania, un indice di dipendenza tra i più alti, un tasso di crescita naturale negativo e peggiore della media europea e una fecondità tra le più basse, con un valore ben inferiore alla soglia del ricambio generazionale.

La spesa in R&S in rapporto al Pil si sta avvicinando all’obiettivo nazionale per il 2020 (1,53%), ma il progresso è ancora insufficiente a ridurre la distanza con gli altri principali paesi europei. Ritardi rispetto alla media europea contraddistinguono anche la formazione e l’occupazione di persone con alta professionalità tecnico-scientifica, mentre famiglie e imprese italiane rimangono lontane dai paesi più evoluti nell’utilizzo del web.

Scendendo in un maggiore dettaglio, a livello nazionale nel 2014 l’Istat segnala che la spesa sanitaria pubblica italiana si attesta intorno ai 2.400 dollari pro capite a fronte degli oltre 3.000 spesi in Francia e dei 4.000 in Germania (fonte Ocse). Le famiglie italiane hanno contribuito alla spesa sanitaria complessiva per il 23,3%, in lieve aumento rispetto all’anno precedente, ma in calo di oltre due punti percentuali rispetto al 2001.

In Italia i decessi per tumori e malattie del sistema circolatorio sono stati rispettivamente 25,8 e 31,0 ogni 10mila abitanti nel 2014. Nel Mezzogiorno la mortalità per tumori si conferma inferiore alla media nazionale, mentre quella per malattie del sistema circolatorio è più elevata. La mortalità per queste cause è in continua diminuzione e inferiore alla media europea (27,4% e 38,3% dati 2013). Il tasso di mortalità infantile, importante indicatore del livello di sviluppo e benessere di un paese, continua a diminuire, nel 2014 in Italia è di 2,8 per mille nati vivi, tra i valori più bassi in Europa.

Nel 2015 la spesa sanitaria pubblica corrente ammonta a circa 112 miliardi di euro (circa 1.838 euro annui per abitante), pari al 6,8 % del Pil. L'offerta ospedaliera si riduce anche per la promozione di un modello di rete ospedaliera integrato con l'assistenza territoriale (nel 2002 i posti letto ordinari erano 4,3 ogni mille abitanti, nel 2013 sono 3,2).

I tumori e le malattie del sistema circolatorio sono le patologie per cui è più frequente il ricovero ospedaliero; si registra una riduzione nel tempo perchè sono sempre più spesso curate in contesti assistenziali diversi (day hospital o ambulatori).
La mortalità per tumori è in costante diminuzione grazie a misure di prevenzione primaria e avanzamenti diagnostici-terapeutici; anche se gli uomini presentano livelli di mortalità maggiori delle donne, il divario di genere diminuisce nel tempo. Sebbene la mortalità per malattie del sistema circolatorio, tipiche delle età adulte e senili, sia in continua diminuzione su tutto il territorio, essa è responsabile della maggior parte dei decessi, soprattutto per gli uomini.

Il tasso di mortalità infantile, importante indicatore del livello di sviluppo e benessere di un paese, continua a diminuire raggiungendo valori tra i più bassi in Europa.
Nel 2015 tra le persone di 14 anni e più, la quota dei fumatori è pari al 19,6%, dei consumatori di alcol a rischio è il 16,1%, mentre l'incidenza delle persone obese risulta pari al 9,8% della popolazione adulta di 18 anni e più.

A livello regionale invece la spesa pubblica pro capite è molto variabile per le differenze esistenti nelle condizioni socio-economiche e nei modelli di gestione dei sistemi sanitari regionali; nel Mezzogiorno è notevolmente inferiore alla media nazionale. Anche il contributo delle famiglie alla spesa sanitaria totale è più basso nel Mezzogiorno (18,9% nel 2014), in particolare in Molise, Sicilia e Campania; le incidenze più alte si registrano in Friuli-Venezia Giulia (31,0%), Valle d'Aosta ed Emilia-Romagna (28,6%).

Resta il divario tra Nord e Mezzogiorno per i posti letto ospedalieri.
I sistemi ospedalieri di Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana si confermano veri e propri "poli di attrazione" di ricoveri per i non residenti. Al contrario Calabria, Sicilia e Campania mostrano flussi in uscita significativamente più elevati dei flussi in entrata.
Per i ricoveri ordinari per malattie del sistema circolatorio si riduce nel tempo l'eterogeneità territoriale ed i tassi di ospedalizzazione tendono a convergere verso la media nazionale.

Nel Mezzogiorno la mortalità per tumori è inferiore alla media nazionale, mentre la mortalità per malattie del sistema circolatorio, sia per i maschi che per le femmine, è più elevata della media; anche la mortalità infantile è più alta nel Mezzogiorno, nonostante la più ampia riduzione nell'ultimo anno, perchè il miglioramento nel tempo è più lento in queste regioni svantaggiate.

L'obesità e il consumo di alcol a rischio mostrano situazioni territoriali contrapposte: nel Centro-Nord è più alta la quota di consumatori di alcol, nel Mezzogiorno quella di persone obese. Per i fumatori, le quote più elevate si rilevano in Campania, Liguria e Umbria.

Rispetto al livello europeo, da oltre un decennio il sistema sanitario in generale è sottoposto a riforme che puntano alla razionalizzazione delle risorse e al contenimento della spesa; il finanziamento pubblico dei servizi sanitari rappresenta comunque la scelta prevalente.

Nel 2015 la quota di spesa sanitaria privata in Italia è pari al 24,5% del totale, come in Estonia e Finlandia; i contributi maggiori si registrano in Grecia (39,4%), i contributi minori in Germania (15,0%).
La spesa sanitaria pubblica italiana è inferiore a quella di altri importanti paesi europei: a fronte dei circa 2.431 dollari per abitante, in parità di potere d’acquisto, spesi in Italia nel 2014, Regno Unito e Francia superano i 3 mila e la Germania i 4 mila dollari per abitante.
Riguardo l'offerta di posti letto ospedalieri, nel 2014 l'Italia si conferma al di sotto della media Ue28 (3,4 rispetto a 5,2 posti letto ogni mille abitanti).

Il nostro Paese si posiziona quasi a metà della graduatoria dei ricoveri ordinari per tumori e per malattie del sistema circolatorio (rispettivamente 1.116,6 e 1.947,6 per 100 mila abitanti).
Il tasso di mortalità italiano per tumori e per malattie del sistema circolatorio nel 2013 è inferiore alla media europea. L'Italia si conferma anche tra i paesi con il più basso valore del tasso di mortalità infantile (2,8 per mille nati vivi nel 2014), confrontabile con quello di Estonia, Spagna, Lussemburgo e Portogallo.

L'abitudine al fumo è meno diffusa in Svezia, Lussemburgo e Finlandia; l'Italia si colloca in posizione centrale nella classifica dei 21 paesi europei aderenti all'Oecd, che vede nelle prime posizioni Grecia, Ungheria ed Austria. Rispetto all'obesità, l'Italia è tra i paesi con i valori più bassi insieme a Svezia, Belgio e Paesi Bassi.

Per una sintesi degli altri indicatori diversi dalla salute si può consultare il comunicato stampa di presentazione Istat




Napoli, donna ricoverata in un letto pieno di formiche. De Luca: “Sanità inquinata da camorristi e affaristi”
Edoardo Izzo
2017/06/13

http://www.lastampa.it/2017/06/13/itali ... agina.html

http://www.lastampa.it/rf/image_lowres/ ... mpa.it.jpg



Centinaia di formiche che assediano una pazienta costretta in un letto d’ospedale. Un’immagine che richiama situazioni da terzo mondo ma, invece, accade a Napoli in un reparto dell’ospedale San Paolo. A diffondere la foto e a denunciare il caso di malasanità in Campania è il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli. La signora era in cura per uno choc settico post frattura e sotto antibiotici. Al momento dell’invasione di formiche era sola. Dopo quanto accaduto il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin ha disposto l’invio della task force ministeriale e dei carabinieri del Nas.

napoli

“Gravissimo caso di degrado e malasanità”

Quello che mette in risalto Borrelli è «un gravissimo caso di degrado e di mala sanità; una signora ricoverata in Medicina Generale al quinto piano ed immersa tra le formiche in un letto sporco. Un livello di sciatteria e mancanza di igiene che non possiamo accettare da parte del personale medico». Peraltro, il fatto non sarebbe nuovo. «Sono anni - aggiunge il componente della commissione Sanità della Regione - che denunciamo la presenza di insetti, compresi gli scarafaggi all’interno dell’ospedale e le rassicurazioni che ci hanno fornito fino ad oggi si sono rivelate inattendibili. Per questo chiediamo la rimozione immediata di tutti i responsabili e i membri del reparto che hanno permesso una simile vicenda. Il direttore sanitario inoltre dovrà dare serie spiegazioni anche in commissione sanità dove lo farò convocare per un’audizione e sulla cui azione amministrativa ho deciso di chiedere una inchiesta interna». Per Borrelli «non possiamo accettare che i pazienti siano trattati in questo modo e non accettiamo giustificazioni superficiali. La signora va subito rimossa e sistemata in condizioni mediche, sanitarie e di decoro degne di questo nome. O si lavora in modo serio e con grande rispetto per i malati o per quanto ci riguarda si va a casa».

De Luca: “Sanità inquinata da camorristi e affaristi”

«La sanità della Campania è un disastro e stiamo lavorando all’ultimo respiro per riqualificare una sanità che ha delle eccellenze ma è stata per tanti decenni al servizio della politica politicante, inquinata da camorristi, da affaristi di ogni tipo» ha commentato il presidente della Regione Campania, Vincenzo Da Luca, ai microfoni di SkyTg24 a proposito del caso della donna circondata da formiche su un letto dell’ospedale San Paolo di Napoli. «La signora in questione è arrivata che era quasi in fin di vita», ha aggiunto.

L’ospedale: “Un fatto che non doveva accadere”

Il direttore sanitario del San Paolo, Vito Rago, si dice «mortificato. Il fatto è vero. Le formiche sono sul letto, non sul corpo della paziente, ma di sicuro questo è un fatto che non doveva assolutamente accadere. Abbiamo preso immediati provvedimenti». Rago ricorda: «Ricopro questo incarico da appena 20 giorni ma non voglio giustificarmi certo per questo. Ho chiamato il servizio bonifica che interverrà domani mattina nell’intero reparto. Ho provveduto inoltre ad appaltare ad una ditta specializzata l’incarico per una bonifica definitiva». Il dottor Rago ribadisce: «È un fatto che non doveva assolutamente accadere. E farò in modo che non succeda mai più. La prima cosa, fatta subito, è stata quella di cambiare il letto della signora». Mentre il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, annuncia per domani la presentazione di un esposto in Procura a Napoli, Bruno Zuccarelli, segretario regionale Anaao, parla di «immagine vergognosa, di una Sanità da terzo mondo, colpevolmente piegata dall’assenza della politica. Ci chiediamo da tempo cosa stiano aspettando da Roma per nominare il nuovo commissario alla Sanità in Campania, la risposta a questa domanda ci lascia senza parole. A quanto pare la nomina a commissario di De Luca, che è la soluzione a questo punto più ovvia, sarebbe congelata a causa di una ripicca politica».
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer mag 17, 2017 7:46 pm

24
ipocrisie, incoerenze e assurdità italiche:
fratellanza italica adoperata/usata per rubare e per affermare privilegi, nascondere, sminuire e negare doveri e diritti; solidarietà con gli altri, con tutti ma non con te;
finta democrazia e realtà castuale;
tortura e trattamenti disumani da parte dello stato e dei suoi apparati;
manipolazioni e menzogne mediatiche e scolastiche;
femminicidio, maschicidio, infanticidio;
gender;
...


Femminicidio
di Silvana de Mari

Le donne assassinate ogni anno sono circa 130, gli uomini assassinati 400, gli uomini suicidi circa 3200,
le donne suicide sono circa 800 e il suicidio è doppio nelle donne sole.
L'emergenza di questo paese quindi è il suicidio, dovuto alla spaventosa situazione economica che strangola la gente, che obbliga uomini perbene a essere disoccupati, donne che vorrebbero essere madri a non osare farlo, famiglie a perdere la casa per pignoramento, imprenditori costretti a fallire per eccesso di crediti, anziani a cercare qualcosa nei cassonetti.

A sempre più pratiche mediche è stato tolto il carattere di gratuità.

Un tassazione folle strangola le famiglie. Oggi giorno migliaia di persone quasi sempre maschi quasi sempre islamici, provenienti quasi sempre da paesi in pace e con l'economia in crescita come il Senegal, oppure il Marocco o la Costa d'Avorio, vengono scaricati sulle coste italiane, perché, mantenuti dai contribuenti italiani. Una inevitabile percentuale di questa massa incontrollata sta rendendo più pericolosa e incerta la vita delle donne italiane, come è già successo per quelle tedesche e svedesi. In Francia sono sempre più numerosi i bar dove è vietato alle done entrare. Fisicamente vietato: il proprietario ti chiede di uscire.
L'emergenza è il suicidio di un paese morto, assassinato e venduto che sta chiaramente morendo senza un futuro.

Il femminicidio: è stata addirittura inventata una parola nuova per poter colpevolizzare tutti gli uomini, in cambio della patente di vittima data a tute le donne. Su una popolazione di 60 milioni di uomini ce ne sono 30 milioni, leviamo i minori ne restano 25 milioni. 130 uomini su 25 milioni hanno commesso un crimine, QUINDI, tutti gli uomini sono violenti contro le donne. Chiedo scusa, ma c'è stata un'epidemia di encefalite?

Perché si sono tutti inventati che l'emergenza è il femminicidio?
Per distrarre l'attenzione dal suicidio, dalla disperazione, dall'impossibilità di vivere, dai 12 miliardi di euro spesi in un'accoglienza indiscriminata che sta causando disastri e morti in mare, certo, ma non è solo questo.
Un regime per poter diventare in tutto e per tutto dittatoriale , anche a fronte di un'ancora apparenza di democrazia elettiva, deve scardinare di un popolo il passato e l'istituzione familiare.
Contro il femminicidio la vera sfida è il cambiamento culturale, hanno affermato i geni: quindi la nostra cultura non va bene, va cambiata, la scuola, gli insegnanti, persone che eseguono le circolari del ministero spiegheranno il maschile e il femminile. Quei 130 su 25 milioni sono i 130 spostati e spesso fatti di cocaina e meta anfetamina che nessuna scuola può fermare, ma saranno colpevolizzati tutti gli uomini, sarà colpevolizzato l'essere maschio.
Quella che deve saltare è l'istituzione familiare, gli uomini che amano le donne, le donne che amano gli uomini.
Una volta saltata la famiglia un popolo diventa spazzatura, lo zerbino.

La vera violenza contro le donne è il suicidio.
La vera violenza contro le donne è una tassazione talmente atroce che impedisce di diventare madri.
La vera violenza contro le donne è la disoccupazione dei loro uomini.
La vera violenza contro le donne sono i miserabili 4 mesi di congedo per maternità, il dover tornare al lavoro quando il piccolo ha 4 mesi e ha un disperato bisogno di mamma.
La vera violenza contro le donne è la pornografia, la vera violenza contro le donne è l'utero in affitto.
Insegniamo piuttosto alle donne a scegliere un uomo. Un uomo non si sceglie perché è cool, perché ci ha fatto battere il cuore, perché somiglia all'attore, ma perché è perbene. Che sia per la vita. Che sia perbene. Impariamo che la prudenza e la saggezza non sono difetti, ma virtù cardinali. Dobbiamo scegliere un uomo degno del nostro amore e, soprattutto, degno della nostra fiducia.
Abbiamo 1,3 figli per madre. Siamo un popolo che sta morendo. Tra trenta anni saremo una repubblica islamica. Stiamo subendo un processo di impoverimento e libanizzazione, processo che siamo ancora in gradi di invertire.
Non una di meno?
Non uno di meno anche. La vita degli uomini non vale nulla? Gli uomini che muoiono in incidenti sul lavoro, di malattie lavorative, non valgono nulla? Gli uomini che si suicidano perché sono disoccupati o perché la loro ditta è fallita, non sono creature umane?
Che gli uomini e le donne di questo paese, quattromila suicidi l'anno, più di dieci al giorno, smettano di suicidarsi. Che questo popolo smetta di suicidarsi con la denatalità.
E insegniamo alle donne a combattere fisicamente. Bizzarro che tutti coloro che parlano contro il femminicido non offrano la soluzione ovvia, quella che risolverebbe il problema, che non è la rieducazione dei 25 milioni di uomini che sono già perbene. La soluzione è che le donne sappiano combattere e non siano disarmate.
Corsi di autodifesa obbligatori e facilità di porto d'armi per le donne, come in Sidamo, l'Etiopia meridionale.
Solo le donne erano autorizzate a portare la lancia.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer mag 17, 2017 8:12 pm

25
parassitismo economico;



Caso emblematico dell'Alitalia
viewtopic.php?f=22&t=2500


Quanto è costata Alitalia allo Stato? Dall’Iri fino al Cai, storia di una continua perdita

http://www.ultimora.news/quanto-e-costa ... to-iri-cai

Quanto è costata Alitalia allo Stato? Dal periodo di controllo dell’Iri a quella del Ministero del Tesoro fino all’arrivo della Cai: storia di una società in costante perdita, costata tantissimo a tutti i contribuenti.

Quanto è costata Alitalia allo Stato? La nuova crisi riapre scenari già visti e vissuti, con l’interrogativo su quanto abbia pesato, nella sua storia, la compagnia aerea sulle tasche dei cittadini che torna a fare capolino.

Il 2016 si è concluso per Alitalia con una perdita di 400 milioni. I due soci, Cai con il 51% ed Etihad con il 49%, al momento non sembrano essere disposti a versare nuovi capitali nella società, che così rischia seriamente la bancarotta.

Cosa succede in Alitalia? La vicenda sembrerebbe una storia già vista, con più di una voce che parla di un nuovo coinvolgimento dello Stato per aiutare Alitalia, salvando così la compagnia dal fallimento e il posto di lavoro delle migliaia di dipendenti.

Ma quanto è costata finora Alitalia allo Stato? La gestione pubblica dell’azienda è durata fino al 2008, con la compagnia che negli ultimi anni diventata un autentico carrozzone per i conti pubblici. Ma, anche col nuovo corso il peso sulle casse statali è stato elevato.

Vediamo allora quanto è costata Alitalia finora alle casse dello Stato.
Quanto è costata Alitalia allo Stato? Conto miliardario

A fare i conti in tasca alla compagnia aerea è stata Mediobanca, che ha provato a stimare quanto sia costata Alitalia nel suo complesso allo Stato. Gli studi di Piazzetta Cuccia parlano di una cifra complessiva che si aggira sui 7,4 miliardi, che raggiungerebbe quota 10 miliardi se si sommasse anche il denaro bruciato dai privati.

Ma come si è potuti arrivare a questa cifra così elevata? Il conto totale è presto fatto. Nel periodo che va dal 1974 al 2007, quando Alitalia è stata controllata prima dall’IRI e poi dal Ministero dell’Economia e Finanze, il saldo tra entrate e uscite totali ha visto un segno rosso di 3,3 miliardi.

Peggio è andato nei sei anni, dal 2008 fino al 2014, di gestione dei famosi “capitani coraggiosi” della Cai. Nel periodo in questione sarebbero stati 4,1 i miliardi di soldi pubblici utilizzati dallo Stato per sostenere Alitalia.

Nel dettaglio, ci sono i 300 milioni del prestito ponte, i quasi 2 miliardi di debiti che lo Stato si è accollato, la cassa integrazione per i dipendenti in esubero e la partecipazione delle Poste nel capitale societario. Sommando i due periodi di tempo, si arriverebbe quindi alla cifra totale di 7,4 miliardi che lo Stato avrebbe sborsato per Alitalia.
Quanto è costata Alitalia allo Stato? Storia di un’azienda in continua perdita

Il primo volo effettuato da Alitalia avvenne nel lontano 1947. Dieci anni dopo la compagnia entrò nel controllo dell’Iri, passando poi sotto la gestione del Tesoro. A metà anni ‘90 però l’azienda cominciava già a far registrare notevoli perdite, con l’allora governo Prodi che mise in vendita nel 1996 il 37% delle quote del Tesoro.

La grande crisi per Alitalia arrivò nel 2006, con lo Stato che decise di mettere in vendita un altro 39% delle proprie quote. L’asta però non dette risultati, si passò così alla trattativa diretta.

Il governo, con allora in sella sempre Romano Prodi, aveva praticamente concluso un accordo con Air France, ma la vittoria alle successive elezioni politiche di Silvio Berlusconi, sponsor dell’italianità dell’azienda, fece saltare la trattativa con i francesi.

Arrivò quindi nel 2008 la grande cordata della Cai, sponsorizzata da Berlusconi e da Intesa. Al timone della compagnia aerea salirono famiglie di primo piano della nostra economia come Benetton, Riva, Marcegaglia, Caltagirone e Ligresti. Presidente fu nominato Roberto Colaninno.

I cosiddetti “capitani coraggiosi”, acquisirono per soli 300 milioni la parte sana dell’azienda, con lo Stato che invece si fece carico dei debiti. Ma neanche questa gestione portò buoni risultati, con Alitalia che si ritrovò ancora con i conti in rosso. Nel 2014 quindi viene stipulato un accordo con Etihad, la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti, che acquisisce il 49% per 500 milioni.

Dopo la chiusura del bilancio 2016 con una perdita di 400 milioni, circa 1 milione al giorno, Alitalia ora è di nuovo a rischio chiusura. Nessuno dei soci infatti sembra intenzionato a mettere mano al portafoglio per permettere alla compagnia di andare avanti, vista anche la mancanza di un credibile piano di rilancio.

In molti quindi si aspettano adesso una mossa da parte dello Stato. La domanda sorge spontanea: ha senso spendere denaro pubblico per un’azienda che ha chiuso in passivo ben 20 degli ultimi 34 bilanci, costata finora alle casse statali ben 7,4 miliardi? La risposta appare scontata, anche se in questi casi nessuno avrebbe il coraggio di metterci la mano sul fuoco.



???

Alitalia, i dipendenti bocciano l'accordo: 67% di No. Ora lo spettro del commissariamento

ll voto certifica una clamorosa protesta affidata alle urne. A Palazzo Chigi incontro a sorpresa tra il premier Gentiloni, Padoan, Delrio e Calenda: "Rammarico e sconcerto". I sindacati: "Cercare sino all'ultimo ogni soluzione possibile"
di LUCIO CILLIS
24 aprile 2017

http://www.repubblica.it/economia/2017/ ... -163780733

ROMA - I lavoratori di Alitalia hanno bocciato con il 67% dei No l'accordo stipulato da azienda e sindacati sul tavolo del governo che avrebbe dato il via a un piano quinquennale fatto di tagli agli stipendi per chi vola (fino a sfiorare il 20%, con una media dell'8%), tagli ai permessi (102 annui), cigs e nuovi assunti con contratto d'ingresso a livello low cost.

In realtà, un progetto che avrebbe puntato a mettere in sicurezza i conti nei prossimi tre anni prima della cessione della compagnia ristrutturata a Lufthansa. Sottoposto a referendum a Roma, Milano e sedi periferiche, l'accordo è stato sonoramente rispedito al mittente dai dipendenti. Con un'affluenza altissima alle urne Alitalia: oltre il 90 per cento degli aventi diritto è andato a votare, per 10.101 dipendenti sugli oltre 11mila. I no sono 6816.

Una chiamata cui ha risposto dunque la quasi totalità del personale viaggiante (1.500 piloti e 3mila assistenti di volo) oltre agli 8mila impiegati e addetti di terra. A Milano (circa 700 no contro poco oltre 150 voti favorevoli, a Malpensa 278 no e 39 sì, a Linate 698 no e 153 sì) e Napoli il "no" ha prevalso nettamente. All'aeroporto di Torino Caselle sui 18 aventi diritto hanno votato in 16, dividendosi tra 9 sì e 7 no. A Roma il colpo finale, con il il no che ha superato la soglia decisiva delle 5.140 schede, ovvero il 50%.
Referendum Alitalia, Livini: ''Chi ha votato no rischia di rimanere con un pugno di mosche"

A scrutinio ancora in corso, i sindacati avevano visto profilarsi l'esito negativo. Per Filt-Cgil, Fit-Cisl, UilTrasporti e Ugl Trasporto aereo "l'indicazione che arriva va nettamente verso la bocciatura dell'esito del confronto con governo e azienda. Quello che si evince è che la votazione è stata una votazione sofferta, ma decisa contro un'azienda che poco ha fatto finora per risollevare le proprie sorti. Per il momento - hanno spiegato - è il personale di volo quello che ha scelto nettamente il no. Attendiamo le valutazioni e decisioni degli azionisti e del governo, nella consapevolezza di cercare sino all'ultimo ogni soluzione possibile per evitare decisioni che sarebbero traumatiche e non più modificabili".

Anche il governo si è mosso. Nel pomeriggio l'esecutivo si è riunito alla presenza del premier Gentiloni e i ministri Delrio, Padoan, Calenda che hanno concordato e ribadito che con la vittoria del "no", il futuro della linea aerea è segnato, o quasi. "Rammarico e sconcerto per l'esito del referendum Alitalia che mette a rischio il piano di ricapitalizzazione della compagnia", hanno dichiarato in un comunicato congiunto il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Graziano Delrio ed il ministro del Lavoro Giuliano Poletti: "A questo punto l'obiettivo del Governo, in attesa di capire cosa decideranno gli attuali soci di Alitalia, sarà quello di ridurre al minimo i costi per i cittadini italiani e per i viaggiatori".

L'unica soluzione al momento è l'arrivo di un commissario e la successiva liquidazione nel giro di sei mesi. Anche se non tutti la pensano allo stesso modo: "Ma come si fa a pensare che una compagnia che trasporta 24 milioni di persone con 120 aerei possa essere messa in liquidazione?" Si chiede Francesco Staccioli dell'Usb, una delle poche voci del sindacato assieme all'Associazione nazionale piloti a dichiararsi apertamente contraria all'accordo sul piano, "noi crediamo che Alitalia possa comunque restare sul mercato, ma con una fortissima discontinuità rispetto al passato e alla dirigenza che 'ha ridotta in questo modo".


Licenziarli tutti



Alitalia e le altre: tutti i crack delle compagnie aeree italiane ma non salvate
Italia, popolo di santi, poeti e navigatori. E in effetti non si parla di aerei. Per un qualche fatidica e insondabile anomalia storica, gli italiani sembrano incapaci di gestire compagnie aeree. Con l'amministrazione straordinaria di Alitalia, ossia l'azzeramento dei soci e la gestione sotto l'ombrello dello Stato, anche l'ultima bandiera aerea tricolore viene ammainata. Da oggi, nei cieli italiani, non c'è più un aereo di linea che abbia un passaporto del Belpaese.
di Simone Filippetti 03 maggio 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=AEduMEFB

1/6 Alitalia e le altre/La Lega e il sogno della Compagnia del Nord

Negli ultimi venti anni, tutte le compagnie aeree nazionali sono fallite o scomparse per vari motivi. E dire che ci hanno provato in tanti. In primis era scesa in campo la politica, perché le compagnie aeree, assieme alle banche, da sempre fanno gola al Palazzo e ai partiti. Per anni la Lega ha vagheggiato una futuribile Compagnia del Nord, che, nella mente del partito di Umberto Bossi, doveva essere Volare, aviolinea low cost nata a fine anni '90 da una costola di Air Europe. Il pedigree era perfetto: proprietario era l'imprenditore orafo Gino Zoccai, vicentino doc, una delle enclavi del Carroccio; sede a Busto Arsizio, profonda Brianza leghista, e vicina all'allora nuovo aeroporto di Malpensa, per il quale si immaginava un futuro, mai realizzato, di super-hub europeo. Fu un altro flop: Volare è fallita e parte delle sue spoglie - a partire dagli equipaggi e dagli aerei - sono confluiti in Alitalia nel Duemilasei. A voler essere ironici, Volare si schiantò perché non era abbastanza camicia verde: alla cloche c'era l'ex comandante Vincenzo Soddu, nato in Sardegna. Lo stesso Soddu ci riprovò poco dopo fondando una sua compagnia, la MyAir -peraltro accusata di essere un clone di Volare - anch'essa saltata in aria.

Altre compagnie aere fallite
https://cissiboy.wordpress.com/2011/09/ ... ee-fallite
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer mag 17, 2017 8:34 pm

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tra i paesi peggiori dell'occidente come rispetto dell'ambiente e smaltimento dei rifiuti;



La crisi dei rifiuti in Campania indica lo stato di emergenza relativo allo smaltimento ordinario dei rifiuti solidi urbani (RSU) verificatosi in Campania, dal 1994 al 2012.
https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_dei ... n_Campania

Ecomafia
https://it.wikipedia.org/wiki/Ecomafia
Il termine ecomafia, nella lingua italiana, è un neologismo coniato dall'associazione ambientalista Legambiente per indicare le attività illegali delle organizzazioni criminali, generalmente di tipo mafioso, che arrecano danni all'ambiente.
In particolare sono generalmente definite ecomafie le associazioni criminali dedite al traffico di rifiuti e allo smaltimento illegale degli stessi.

https://www.legambiente.it/temi/ecomafi ... di-rifiuti


Con "Terra dei Fuochi" si individua una vasta area situata nell'Italia meridionale, che si estende in Campania, a cavallo tra la provincia di Napoli e quella di Caserta, famosa a livello mediatico a causa della presenza di rifiuti tossici e numerosi roghi di rifiuti, con eventuale impatto sulla salute della popolazione locale.
https://it.wikipedia.org/wiki/Terra_dei_fuochi


Il boss della Camorra pentito «I nostri rifiuti sepolti al Nord»
Martedì 22 novembre 2016
http://www.ecodibergamo.it/stories/Cron ... 1212061_11

«Al Nord abbiamo sversato di tutto». Sono le dichiarazioni choc del pentito di camorra e ora collaborazione di Giustizia, Nunzio Perrella, che racconta al presidente dell’associazione SoS Terra, Gigi Rosa, il legame tra rifiuti e criminalità organizzata.
«Il Nord sta molto rovinato - racconta Perrella davanti alle telecamere di Nemo, trasmissione di Raidue. Il Nord sta molto rovinato dal 1987. Poi quando è stato pieno di rifiuti ci siamo spostati al Sud e l’attività ancora non si ferma. Nonostante io sia collaboratore di giustizia ricevo ancora richieste per lo smaltimento dei rifiuti. Perrello cita esplicitamente alcuni Comuni del Bresciano, alcuni al confine con la provincia di Bergamo: «Ospitaletto, Castegnato, Montichiari, Rovato, le vostre dicariche sono piene zeppe di rifiuti pericolosi». «Un faccia a faccia scioccante» conferma Rosa, colpito dai dettagli di queste rivelazioni sconcertanti.



Raccolta differenziata: ancora troppe disparità tra Nord e Sud
Dal 12% della Sicilia al 65% del Trentino. Ma la Campania arriva al 43% e quasi il 40% dei Comuni italiani ha raggiunto gli obiettivi Ue per il 2020
30 ottobre 2015

di Valeria Balboni
http://www.corriere.it/ambiente/15_otto ... 7802.shtml

Nel 2014 in Italia sono stati avviati alla raccolta differenziata il 46% dei rifiuti urbani. Oltre 3 mila Comuni hanno anche raggiunto il 50% di effettivo riciclo del differenziato, obiettivo Ue per il 2020. Questi numeri, contenuti nel quinto rapporto Anci-Conai su raccolta differenziata e riciclo, dipingono un’Italia virtuosa in cui, per buona parte dei cittadini, suddividere i rifiuti in base alla tipologia è ormai un’abitudine. Un risultato in sintonia con una recente inchiesta Doxa-Conai, secondo la quale l’87% degli italiani dichiara di svolgere regolarmente la raccolta differenziata.

Aumenta la raccolta differenziata

Nel complesso, nel 2014, la produzione di rifiuti è aumentata del 2% – e il dato, dopo anni di decrescita, può essere letto come una ripresa dei consumi – nello stesso anno però la raccolta differenziata ha fatto meglio, aumentando del 3,7%. Una buona parte è data dalla frazione umida, seguono carta e cartone, vetro, imballaggi misti e in plastica. Se si legge più in profondità, si nota che questo dato medio è il risultato di situazioni molto diverse, e quella che emerge è un’Italia divisa fra un Centro-Nord virtuoso e un Sud in cui gli obiettivi Ue sono ancora lontani. Si va dal 12% di rifiuti differenziati in Sicilia al 65% del Trentino, passando per il 43% della Campania e il 61% della Lombardia.

I sei consorzi

I rifiuti raccolti devono poi essere avviati al riciclo e di questo si fa carico – in particolare per gli imballaggi – il Conai (Consorzio nazionale imballaggi) consorzio nato per facilitare la raccolta differenziata e il riciclaggio, cui aderiscono oltre un milione di produttori e utilizzatori di imballaggi. In pratica agisce da collegamento fra i Comuni, che raccolgono i rifiuti, e i consorzi che si occupano del riciclaggio di sei diversi materiali da imballaggio: carta (Comieco), vetro (Coreve), acciaio (Ricrea), alluminio (Cial), plastica (Corepla) e legno (Rilegno). Solo una parte dei rifiuti differenziati viene effettivamente riciclata, ma otto Regioni (Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Marche, Sardegna ed Emilia-Romagna) hanno raggiunto l’obiettivo del 50%, risultato ottenuto anche da 3.141 Comuni fra cui figurano due metropoli come Milano e Torino.

Costi, qualità e ambiente

Se la gestione dei rifiuti in Italia è in linea con gli altri Paesi europei, rimangono però diversi aspetti problematici, uno dei quali è il costo, che comunque viene ripagato dalla riduzione del nostro impatto sull’ambiente. Una sfida ancora aperta è la qualità dei rifiuti raccolti: i risultati migliori si ottengono quando il materiale non è «inquinato» dalla presenza di rifiuti gettati in modo scorretto. Pensiamo ai piatti di ceramica buttati con il vetro, o ai sacchetti di plastica eliminati con la carta. Negli anni la qualità è andata migliorando, ma si può fare meglio: la presenza di materiale estraneo impedisce di indirizzare i rifiuti recuperati al riciclaggio, che è il vero scopo di questa raccolta.

Plastica bruciata: responsabilità anche dell’industria

Per la plastica, in particolare, l’Associazione europea dei riciclatori di materie plastiche (Pre-Plastics Recyclers Europe) sottolinea la necessità di standardizzare a livello europeo la raccolta e il riciclaggio dei rifiuti di plastica, per realizzare un programma di economia circolare, in cui questi si trasformino effettivamente in risorse. Oggi una parte della plastica raccolta viene bruciata (quando possibile negli impianti di termovalorizzazione) perché inquinata da materiale estraneo e quindi non adeguata al riciclaggio. La responsabilità però non è solo dei cittadini, ma anche dell’industria che per ragioni di marketing fa scelte a volte discutibili. Il Pet colorato (quello delle bottiglie azzurre, o arancio, per capirci) non può essere diviso facilmente dal Pet trasparente, e questo crea un problema per gli impianti, o quanto meno la sua presenza fa sì che il materiale venga destinato a produrre manufatti meno pregiati di quelli che si potrebbero ottenere con plastica trasparente.

Bioplastiche e umido

Un problema analogo è quello delle bioplastiche: materiali biodegradabili, usati per alcune bottiglie, che possono esser gettate con l’umido. Non tutti gli impianti di smaltimento dell’umido, però, sono adeguati a gestire questi materiali, che d’altra parte non devono essere differenziati con la plastica. Quello che è necessario è un generale coinvolgimento delle aziende produttrici nell’intera filiera degli imballaggi plastici: dalla produzione allo smaltimento. Un esempio virtuoso può essere quello di Unilever che ha recentemente dichiarato di essere diventata un’azienda zero waste: tutti i rifiuti e i prodotti obsoleti, provenienti dalle fabbriche e dai centri logistici e di distribuzione in Europa, vengono riciclati.



Rifiuti, la mappa provinciale della differenziata: bene il Veneto, male la Sicilia
Riccardo Saporiti 24 aprile 2017


http://www.infodata.ilsole24ore.com/201 ... la-sicilia


Molto bene nel Triveneto, bene in Sardegna, in Campania e nelle Marche. Ma anche in Lombardia e in Piemonte. Male nel resto d’Italia, con punte negative in Sicilia, Calabria e Basilicata. Va così la raccolta differenziata in Italia. O meglio, è andata così nel 2015, secondo i dati più recenti pubblicati sul catasto rifiuti di Ispra.

È stato proprio utilizzando i numeri pubblicati dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che Infodata è stata in grado di costruire questa mappa:

I colori variano dal rosso al verde a seconda di quanto sia più alta la percentuale di rifiuti differenziati nel corso dell’anno di riferimento. In alto a destra sono presenti due filtri: uno per le regioni e un altro per le provincie. Utilizzandoli è possibile “zoomare” sul territorio che si vuole analizzare. Posizionando il cursore del mouse sul territorio di un comune, o un dito per chi legge da mobile, una finestra pop-up indicherà il nome del comune in questione e la quota di raccolta differenziata raggiunta nel 2015.

Se si guarda alle provincie, è Treviso quella in cui la gestione dei rifiuti ha permesso di ottenere i risultati migliori in termini di riciclo. Qui infatti nel 2015, in media, l’85,22% dell’immondizia è stata differenziata. Seguono Mantova, in Lombardia, con l’80,3% e di nuovo in Veneto Belluno con il 76%. Oltre ad ottenere la prima e terza piazza, la regione della Serenissima conferma di essere una delle più attente al tema: delle dieci migliori province per raccolta differenziata, ben sei si trovano qui. Solo Rovigo rimane fuori dalla top 10, ma si piazza comunque al 13simo posto.

All’estremo opposto, ecco la Sicilia. Le quattro peggiori provincie italiane per raccolta differenziata, sempre secondo Ispra, sono Enna, Siracusa, Messina e Ragusa. Più in generale, tutte e nove le provincie dell’isola si trovano tra le peggiori 15.

A livello di singolo comune, il risultato migliore lo registra San Lorenzo Maggiore, poco più di duemila abitanti distribuiti su 16 chilometri quadrati di territorio in provincia di Benevento. Stando ai dati Ispra, questo piccolo comune campano ha differenziato il 94,4% dei rifiuti prodotti. Seconda piazza per Castelcucco, nel trevigiano, terza per Tortorella nel salernitano. Mentre in fondo alla classifica ci sono una quarantina di realtà, sparse per lo più nel centro e nel Sud Italia, in cui l’Istituto superiore per l’ambiente afferma che con la differenziata non si è nemmeno cominciato. La strada per raggiungere il livello dei comuni veneti è ancora molto lunga.



I rifiuti di Roma illuminano 170mila case. In Austria
2017/04/24

http://www.agi.it/cronaca/2017/04/24/ne ... bc-1711356

Circa 70mila tonnellate di rifuti di Roma saranno convertiti quest’anno in energia elettrica che sarà impiegata in 170mila case. In Austria. Secondo un accordo siglato nel 2016, dallo scorso dicembre ogni settimana l’Ama fa partire tre treni da Roma con a bordo 700 tonnellate di spazzatura prodotta dai romani e impilata in container a tenuta stagna. I treni superano le Alpi e arrivano all’impianto della EVN di Zwentendorf, a circa 60 chilometri da Vienna. Qui i rifiuti vengono bruciati e convertiti in gas che genera vapore. A sua volta, il vapore viene incanalato nella vicina centrale elettrica e convertito in energia che va ad alimentare circa 170mila case della Bassa Austria.

La piaga dei rifiuti della città eterna

“Ripulirò la capitale”, aveva assicurato in campagna elettorale il sindaco pentastellato Virginia Raggi. “Ma a quasi un anno dalla sua nomina bottiglie di vetro abbandonate, sacchi di immondizia e cestini stracolmi sono onnipresenti nelle foto ricordo di Roma”, sostiene la BBC che ha pubblicato un servizio dal titolo “Perché Roma invia treni pieni di rifiuti in Austria”. Per l’emittente britannica, lo smaltimento dei rifiuti nella capitale è stato "per anni azzoppato da cattiva gestione e corruzione” . Calcolatrice alla mano, la città di Roma produce quotidianamente circa 5.000 tonnellate di rifiuti. Discariche e inceneritori “sono stracolmi” così la capitale “ha deciso di risolvere parte del problema inviando i rifiuti in Austria”.

La soluzione green dell’Ue

Ripulire la capitale spedendo i rifiuti a 1000 chilometri di distanza può sembrare un controsenso, ma rientra negli sforzi dell’Unione europea per aiutare le città a ridurre la quantità di immondizia che finisce nelle discariche. “Non è assurdo”, spiega alla BBC Gernot Alfons, direttore della centrale di smaltimento rifiuti della EVN, ausiliaria di ENKI. “L’alternativa sarebbe continuare a conferire I rifiuti nelle discariche già stracolme e produrre così emissioni di metano con un forte impatto in termini di emissioni di CO2. E’ molto meglio spedirli a impianti ad alta efficienza come il nostro”.

Quanto costa e chi l’ha voluto

“Per ogni tonnellata di rifiuti, l’Ama pagherà 139,81 euro”, si legge su un articolo del Tempo che ha fatto i conti in tasca al comune di Roma e alla società austriaca. Ogni spedizione frutta alla EVN circa centomila euro, si legge sul quotidiano, secondo cui il “bando, vinto a inizio 2015, è rimasto poi bloccato quasi due anni”. In particolare, secondo un’analisi di “Il Foglio” , “l’appalto è stato voluto e gestito dall’ex ad di Ama Daniele Fortini (giunta Marino). L’Ama paga 100mila euro a convoglio, per arrivare a 95 milioni nei 4 anni previsti di vigenza del contratto”.



Il sud della penisola italica - i meridionali
viewtopic.php?f=139&t=2581
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer mag 17, 2017 8:57 pm

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Roma, città capitale da sempre la città più corrotta dell'occidente; Roma e il suo storico imperialismo politico romano che continua nel cattolicesimo, come Regno Universale della Chiesa Romana = Regno di Cristo;



Roma la città parassita e imperialista per eccellenza, la nostra rovina


Corruzione italiana e romana
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Roma - il mito tra il vero e il falso
viewtopic.php?f=111&t=2355

Il mito risorgimentale e le sue falsità italico-romane
viewtopic.php?f=139&t=2481

Scandalo della Banca Romana
https://it.wikipedia.org/wiki/Scandalo_ ... nca_Romana
Lo scandalo della Banca Romana è stato un caso politico-finanziario che ha coinvolto alcuni settori della Sinistra storica, accusati di collusione negli affari illeciti della Banca Romana, uno dei sei istituti che all'epoca erano abilitati ad emettere moneta circolante in Italia, e del suo presidente Bernardo Tanlongo.


Poggiolini
https://it.wikipedia.org/wiki/Duilio_Poggiolini
Duilio Poggiolini (Roma, 25 luglio 1929) , ex dirigente pubblico italiano, è stato direttore generale del servizio farmaceutico nazionale del Ministero della Sanità e coinvolto nell'inchiesta Mani Pulite sullo scandalo di Tangentopoli. È stato membro della loggia massonica P2.
All'atto dell'arresto vennero sequestrati oltre 15 miliardi di lire su un conto svizzero intestato alla moglie, Pierr Di Maria: inoltre nella casa di Napoli della coppia vennero trovati diversi miliardi di lire in lingotti d'oro, gioielli, dipinti e monete antiche e moderne (fra cui rubli d'oro dello zar Nicola II e krugerrand sudafricani). Venne rinchiuso nel carcere napoletano di Poggioreale, dove fu sottoposto ad interrogatori da parte dei PM impiegati nell'inchiesta "Mani Pulite", tra cui Antonio Di Pietro, rimanendovi per sette mesi e dando numerose deposizioni.


De Lorenzo
https://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_De_Lorenzo
Francesco De Lorenzo (Napoli, 5 giugno 1938) è un medico italiano, deputato dal 1983 al 1994 per il Partito Liberale Italiano, più volte ministro, è noto soprattutto per la riforma del Servizio Sanitario Nazionale (Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), per essere stato arrestato durante lo scandalo Tangentopoli poco dopo essersi dimesso da ministro.
Coinvolto nello scandalo di Tangentopoli, ha avuto una condanna definitiva (5 anni) per associazione a delinquere finalizzata al finanziamento illecito ai partiti e corruzione in relazione a tangenti per un valore complessivo di circa nove miliardi di lire, solo in parte ottenute da industriali farmaceutici dal 1989 al 1992, durante il suo ministero. Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con sentenza n. 14 del 20 luglio 1994 hanno chiarito che "La stessa accusa ha prospettato che tutte le somme corrisposte finivano nelle casse del partito al quale De Lorenzo apparteneva".
Nel giugno 2010, la Terza Sezione Giurisdizionale d'Appello della Corte dei Conti ha escluso il danno erariale conseguente al presunto illecito aumento dei prezzi dei farmaci, ma ha comunque condannato il De Lorenzo ad un risarcimento di 5 milioni di euro per danno all'immagine dello Stato.
La Corte di Cassazione con sentenza del 12 aprile 2012 ha rigettato il ricorso con la conferma della condanna per danno d'immagine a 5 milioni di euro a carico di De Lorenzo e dell'ex dirigente del Servizio farmaceutico Duilio Poggiolini.
Il 9 luglio 2015 gli è stato revocato il vitalizio, insieme ad altri nove ex deputati e otto ex senatori.

Mastrapasqua
https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Mastrapasqua
Antonio Mastrapasqua (Roma, 20 settembre 1959) è un dirigente pubblico e privato italiano.
Da maggio 2014 è consigliere indipendente e presidente del comitato per la remunerazione e le nomine di Gtech Spa. Dal 2008 fino al 2014 è stato presidente dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.
Nel settembre 2014 viene iscritto nel registro degli indagati dalla Procura della Repubblica di Roma per il reato di concorso in falso e truffa ai danni del Servizio Sanitario Nazionale nell'ambito di un filone d'indagine riguardante prestazioni sanitarie fantasma erogate dall'Ospedale Israelitico di Roma[2].
Il 21 ottobre 2015 finisce agli arresti domiciliari. Il provvedimento cautelare viene emesso dalla Procura di Roma nell'ambito dell'inchiesta per il reato di falso e truffa ai danni del SSN. L'ordinanza del GIP Maria Paola Tomaselli a carico di dirigenti, medici e operatori dell'Ospedale Israelitico di Roma cita un «collaudato sistema» incardinato su prestazioni sanitarie «illecitamente erogate a danno del SSN» tra il 2012 e il 2014, sottolinendo come Mastrapasqua, in qualità di dirigente generale del nosocomio abbia, in concorso con altri dirigenti, «con artifici e raggiri» messo a carico della sanità regionale «prestazioni che non erano accreditate», provocando così un «danno patrimoniale di rilevante entità» per il servizio pubbli



Mafia Capitale, procura chiede 28 anni per Carminati e 26 anni per Buzzi
di Ivan Cimmarusti 27 aprile 2017

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... m=facebook

«Condannate il boss Massimo Carminati e il suo braccio destro Salvatore Buzzi, rispettivamente, a 28 e 26 anni e tre mesi di carcere» oltre a «19 anni per il consigliere regionale Luca Gramazio». Tanto hanno chiesto il procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo e i sostituti Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, per i presunti vertici di Mafia Capitale. Alla sbarra degli imputati risultano in tutto 46 imputati, accusati a vario titolo anche di reati contro la Pubblica amministrazione, per aver manipolato appalti con il Comune di Roma e la Regione Lazio. In tutto la procura ha chiesto oltre 500 anni di carcere per i 46 imputati alla sbarra.

Mafia Capitale, parla Carminati: io un fascista anni Settanta

L’associazione mafiosa
La presunta associazione mafiosa conta 18 elementi di spicco, tra i quali Carminati, «il braccio imprenditoriale» Salvatore Buzzi e il consigliere regionale di centro-destra Luca Gramazio. In particolare «Carminati è capo e organizzatore, sovrintende e coordina tutte le attività della associazione, impartisce direttive agli altri partecipi fornisce loro schede dedicate per le comunicazioni riservate, individua e recluta imprenditori, ai quali fornisce protezione, mantiene i rapporti con gli esponenti delle altre organizzazioni criminali operanti su Roma nonché con esponenti del mondo politico, istituzionale, finanziario, con appartenenti alle forze dell'ordine e ai servizi segreti».

Mafia Capitale, Buzzi: «Se denunci la politica sei finito»

Le cooperative
Buzzi, invece, organizzatore, gestisce, per il tramite di una rete di cooperative, le attività economiche della associazione nei settori della raccolta e smaltimento dei rifiuti, della accoglienza dei profughi e rifugiati, della manutenzione del verde pubblico e negli altri settori oggetto delle gare pubbliche aggiudicate anche con metodo corruttivo, si occupa della gestione della contabilità occulta della associazione e dei pagamenti ai pubblici ufficiali corrotti. Gramazio, «prima consigliere comunale al Comune di Roma poi Consigliere Regionale alla Regione Lazio, pone al servizio dell'organizzazione le sue qualità istituzionali, svolge una funzione di collegamento tra l'organizzazione la politica e le istituzioni, elabora, insieme a Fabrizio Franco Testa, Buzzi e Carminati, le strategie di penetrazione della Pubblica Amministrazione, interviene, direttamente e indirettamente nei diversi settori della Pubblica amministrazione di interesse dell'associazione».

La difesa di Buzzi
«Con assoluta serenità assistiamo a questa ennesima forzatura con la quale la Procura della Repubblica di Roma ha chiuso il processo di Mafia Capitale - ha spiegato l’avvocato Alessandro Diddi, difensore assieme all'avvocato Piergerardo Santoro di Salvatore Buzzi -. Le richieste di pena formulate in data odierna dimostrano come la Procura abbia perso una grande occasione per riparametrare il trattamento sanzionatorio richiesto alle esatte dimensioni di un fenomeno che il dibattimento ha dimostrato non avere nessuna somiglianza a quello mafioso. Il dibattimento ha praticamente demolito tutti gli elementi accusatori delineati nel corso delle indagini. Spiace che una Procura così attenta e autorevole non abbia saputo cogliere l’occasione, con la pacatezza che un impegno tanto importante avrebbe richiesto, per ricondurre nei giusti confini le vicende di un imprenditore che nel corso degli anni ha dovuto barcamenarsi tra le costanti e continue richieste provenienti dalla politica. Evidentemente il deserto probatorio nel quale la Procura si è smarrita ha fatto perdere il controllo dei criteri di dosimetria della pena».


QUEL PORTO DELLE NEBBIE di EUGENIO SCALFARI
17 marzo 1996

http://ricerca.repubblica.it/repubblica ... ebbie.html

FA BENE il procuratore-capo di Roma, Coiro, a difendere il suo ufficio, la sua Procura contro attacchi indiscriminati e sospetti generalizzati. In parte quella difesa è un atto dovuto perché un capo, fino a prova del contrario, deve dar fiducia ai suoi collaboratori, molti dei quali impegnati in inchieste delicate e complesse che non potrebbero esser condotte a termine da magistrati frustrati e non credibili; ma soprattutto è vero - e risulta in concreto dai comportamenti di molti di quei magistrati - che la Procura di Roma guidata da Coiro è molto diversa da quel "porto delle nebbie" di infausta memoria che per anni ed anzi per decenni abbiamo conosciuto.

Ma il "porto delle nebbie" non è stato un' invenzione giornalistica né, tantomeno, una trovata lessicale dei savonarola arroccati a Milano nel "pool" di Mani pulite. Bisognerà scriverla prima o poi la storia di quel "porto" e Coiro potrebbe esserne una delle fonti principali perché per lunghissimo tempo pagò di persona, vittima d' un ostracismo tenace, il suo rifiuto di conformarsi al "rito romano" prevalente nel ventennio degli anni Settanta-Ottanta.
Si fa un gran parlare da tre anni a questa parte della politicizzazione faziosa dei magistrati del Pubblico Ministero che scoperchiarono le fogne di Tangentopoli e a furia di lanciare contro di essi accuse e vere e proprie campagne di delegittimazione quello slogan ha finito per far breccia e quasi per diventare una verità in tutto quel vasto settore della pubblica opinione che si riconosce nella leadership di Silvio Berlusconi e nei suoi alleati. Ma non si è mai sentito dire con la stessa veemenza che se c' è stato un macroscopico fenomeno di politicizzazione durato a dir poco vent' anni e con effetti giudiziari rilevantissimi, esso nacque nella Procura, nell' ufficio Istruzione ed anche in alcune sezioni giudicanti del Tribunale e della Corte d' appello di Roma, in stretto raccordo con la prima sezione della Corte di Cassazione.

La funzione che quei magistrati esercitarono si potrebbe definire come quella degli "alani" del potere: cani da guardia non già delle istituzioni e dell' amministrazione imparziale e rigorosa della giustizia, ma degli interessi personali e di gruppo di chi quelle istituzioni aveva occupato e da quelle posizioni democraticamente raggiunte aveva derivato gli strumenti per costruire un meccanismo di inamovibilità e di impunità.

L' IMPUNITA' era la condizione principale dell' inamovibilità; di qui il controllo diretto dell' azione penale e la pratica diffusa dell' aggiustamento dei processi; in una parola l' influenza politica sulla giurisdizione: a questo servivano gli "alani" e questo fecero.

Del resto Coiro lo sa benissimo per averne fatta diretta esperienza e per aver tentato di ribellarsi all' inquinamento diffuso e prolungato, e con lui lo sanno molti sostituti procuratori e moltissimi magistrati del Tribunale romano che non esitarono a denunciare anche pubblicamente quell' intollerabile stato di cose. Chi parla ora di politicizzazione dei magistrati di Mani pulite farebbe bene a documentarsi meglio su quanto accadde a Roma, e non solo a Roma ma a Palermo, a Napoli e in alcuni settori della stessa magistratura milanese prima che il ciclone di Mani pulite sconvolgesse equilibri collaudati e saldissimi. E se quel ciclone, che ha avuto certo aspetti anche inquietanti e meritevoli di critiche che dal canto nostro non abbiamo risparmiato, è partito così in ritardo rispetto ad una prassi criminosa in atto da tempo, gli "alani" della magistratura ne portano diretta e personale responsabilità, come la storia di molte inchieste importanti insegna ampiamente. Basterebbe il nome di Carmelo Spagnolo, per lunghi anni potentissimo capo della Procura romana, a dare il tono e il senso di come il "porto delle nebbie" fu pensato e costruito. Michele Sindona e i suoi protettori politici erano tra i suoi referenti principali. Si erano costituiti in quel periodo - parliamo sempre del ventennio Settanta-Ottanta - due gruppi di potere di rilevantissima forza, che avevano come massimi referenti politici Giulio Andreotti e Bettino Craxi e addentellati robusti nei principali uffici giudiziari. La tecnica usata con frequenza dagli "alani" era quella dell' avocazione delle inchieste nate in altre Procure o a ridosso delle Commissioni parlamentari d' inchiesta quando esse venivano insediate per far luce sugli scandali di maggior rilievo. Per avocare, talvolta s' invocava la competenza territoriale assorbente di Roma in quanto centro dello Stato, ma più spesso l' avocazione veniva proposta e ottenuta - quasi sempre con il "placet" della Suprema Corte - rilanciando la pubblica accusa con un reato di maggior gravità di quello contestato in origine da altre Procure. Laddove si ipotizzava un reato di corruzione Roma rilanciava con ipotesi di concussione; laddove il reato riguardava imputati e circostanze ben definite Roma rilanciava contestando l' associazione per delinquere; laddove si era partiti dall' appropriazione indebita Roma proponeva il peculato e così via. Ma procura e ufficio Istruzione di Roma non si limitavano ad avocare per poi seppellire e infine archiviare: prendevano iniziative per ridurre alla ragione chi tentasse di rompere l' equilibrio costituito. Oltre agli "alani" da guardia c' erano anche i "dobermann" di attacco. Da questo punto di vista fu esemplare l' azione penale intrapresa contro la Vigilanza della Banca d' Italia, colpevole d' aver esercitato i suoi doveri ispettivi nei confronti di Roberto Calvi e del suo Banco Ambrosiano, di non avere accettato il piano di salvataggio di Sindona, d' aver portato in luce le malefatte dell' Italcasse. Problemi grossi, intrecci perversi tra affari e politica che furono "regolati" con l' arresto di Sarcinelli e con l' incriminazione del governatore Baffi sottoposto all' oltraggio del ritiro del passaporto: una ferita ancora aperta nella coscienza civile del paese, verificatasi quando imperavano negli uffici giudiziari romani magistrati dello spicco e della natura di Claudio Vitalone e Alibrandi. I due gruppi di potere spesso si fronteggiavano e battagliavano l' un contro l' altro, ma altre volte erano accomunati dal prominente interesse di "richiamo all' ordine", cioè dal fine di impedire che una giurisdizione imparziale andasse a cercare la verità. Il percorso politico degli "alani" è stato, dopo di allora, univoco: caduti Andreotti e Craxi, il punto di riferimento diventò il Cossiga degli ultimi due anni del settennato presidenziale e poi, trascorso anche quel periodo, Berlusconi e infine negli ultimi tempi l' astro nascente di Gianfranco Fini nonostante i suoi "trascorsi" di difensore di Mani Pulite. Non è questo del resto l' identico percorso di molti intellettuali che da posizioni di sinistra - e talvolta di estrema sinistra - hanno seguito la stessa strada e toccato le medesime stazioni? Craxi, Cossiga, Berlusconi, Fini: molti nomi sonanti e molte candidature elettorali dell' ultim' ora stanno a dimostrarlo. Noi non sappiamo se il giudice Squillante, oggi imputato dalle procure di Milano e di Perugia, sia colpevole dei gravi reati che gli vengono ascritti. La presunzione d' innocenza gioca per ora, anche per noi, in suo favore. Sappiamo però storicamente che di quel gruppo di "alani" egli faceva organicamente parte e che anche lui seguì lo stesso e assai battuto percorso che dall' obbedienza craxiana conduce fino a Berlusconi e Fini con relative offerte di candidatura. Tutto ciò è storia e non "pochade" come ama definirla il leader di Forza Italia. Storia dolente e oscura d' un paese umiliato, di istituzioni inquinate e di giurisdizione deviata. Può darsi che gli indizi raccolti dalla procura di Milano siano insufficienti; può darsi che le testimonianze a carico siano labili. Si vedrà. Ma la storia politica di vent' anni di giurisdizione romana è quella che abbiamo qui delineato. Il procuratore Coiro lo sa. Se volesse fornire oggi, assieme alla giusta difesa dell' opera sua, anche la sua preziosa testimonianza su quel "porto delle nebbie" nel quale lui stesso rischiò di soffocare, renderebbe al paese un grande servigio.


A Roma è record di statali In Europa nessuno fa peggio
I dipendenti del Campidoglio sono 23 mila, che diventano 60 mila se si contano le aziende partecipate. Costano il doppio di quelli di Milano
6 May 2017

https://www.pressreader.com/italy/liber ... 0815931638

Ha il «primato» italiano e pure quello europeo. Di fatto, è arrivato a un soffio dal triplete, ma il comune di Roma non raggiunge l’impresa, deve accontentarsi di due «medaglie». Perché peggio del Campidoglio ci sarà senza dubbio qualche amministrazione pubblica, nel Mondo. Nessuna in Italia né in Europa, tuttavia, riesce a battere il record di dipendenti toccato dall’intera galassia della Capitale. Stiamo parlando, in totale, di circa 60mila soggetti che a fine mese hanno una busta paga pubblica romana: ai 23.083 lavoratori «puri» del Comune vanno aggiunti gli oltre 24mila addetti delle società controllate o partecipate. E dal conteggio sono esclusi i circa 1.500 lavoratori «fuori ruolo».

In ogni caso, cifre pazzesche. Che portano Roma ad avere il maggior numero di dipendenti pubblici in Italia (in media 57): secondo i dati della Ragioneria relativi a tutte le regioni italiane, infatti, il Lazio (dove la Capitale è ovviamente preponderante) ha 77 lavoratori ogni mille abitanti. Solo la Valle d’Aosta - che è regione a statuto speciale (la più piccola del Paese) e dunque va tenuta fuori del ranking - ne ha di più: 83. Per il resto, sono tutti parecchio distanti da Roma: in Friuli Venezia Giulia e in Molise se ne contano 69, in Sardegna 66, uno in più di Calabria e Liguria. Poi seguono Basilicata (64), Trentino Alto Adige e Sicilia (63), Umbria (60), Abruzzo e Toscana (59), Campania (58), Marche e Puglia (55), Emilia Romagna (53), Piemonte (52), Veneto (48) e Lombardia (44).

I dati della Capitale fanno impressione pure se analizzati nel bacino dei comuni: il personale degli 8mila enti locali ammonta a 425mila unità. Calcolatrice alla mano, vuol dire che a Roma lavora il 10% dei dipendenti dei sindaci d’Italia. Dicevamo del primato europeo: Roma paga molti più stipendi pubblici della media della Spagna (53 addetti ogni mille abitanti), della Germania (54) e della Francia (59).

Il problema è la sostenibilità. La forza lavoro della holding Campidoglio (circa 60mila buste paga, come accennato) è superiore a quella di alcune multinazionali. Per dire: il gruppo Fca (Fiat Chrysler Automobiles) in Italia ha 33mila dipendenti, Leonardo Finmeccanica 45mila, Enel 37mila. Pure due colossi bancari come IntesaSanpaolo (circa 60mila) e Unicredit (45mila) non tengono testa alla Capitale. Che ha problemi di bilancio e chiede sistematicamente il sostegno dello Stato.

L’ultimo atto firmato da Matteo Renzi il 7 dicembre, prima di passare il testimone a Paolo Gentiloni, è proprio un aiutino da 137 milioni per evitare il dissesto finanziario del Campidoglio. Denaro di tutti i cittadini italiani che, indirettamente, serve (anche) a sostenere quella mole sterminata di stipendi. E non sono proprio bassi. Anzi. Escluse un paio di regioni a statuto speciale, a Roma le buste paga dei lavoratori pubblici sono le più alte: stiamo parlando di 42mila euro medi per lavoratore, superiori (di poco) ai 34mila euro del Friuli Venezia Giulia oltre che ai 33mila euro di Umbria e Sardegna. Ma nettamente distanti dai 27mila euro del Molise e dai 30mila euro della Lombardia. La spesa complessiva è da capogiro. Nel 2015 il costo sopportato dalla Capitale d’Italia per pagare i suoi dipendenti è stato pari a poco più di un miliardo di euro (il 21% del budget), a fronte dei 600 milioni spesi da Milano. E invece di diminuire, con i premi di produttività e i bonus appena accordati dal sindaco M5S, Virginia Raggi, il costo è destinato a salire.


La Corte dei conti indaga sul debito di Roma
Dopo quella penale, aperta un’inchiesta dei pm contabili sul «caso derivati» Il «buco» miliardario risale al 2002 sotto la gestione dell’ex sindaco Veltroni
24 Agosto 2016
http://www.iltempo.it/roma-capitale/201 ... ma-1018022

Anche la Corte dei conti vuole vederci chiaro su come è stato gestito il risanamento del debito storico del Comune di Roma. I magistrati della Procura contabile del Lazio, così come hanno fatto i colleghi del penale, hanno aperto un fascicolo sulla base dell’esposto presentato dall’attuale assessore al Bilancio Marcello Minenna e dal capo di gabinetto del sindaco Carla Raineri prima delle elezioni, quando entrambi erano al fianco del commissario straordinario Francesco Paolo Tronca. Nella denuncia si chiede ai pm di verificare se le mosse messe in campo da Massimo Varazzani, ex commissario straordinario per la gestione del debito di Roma Capitale, abbiano causato un danno all’erario del Campidoglio. In particolare, i due denuncianti hanno chiesto di accertare se in relazione al «caso derivati» l’operato di Varazzani sia stato corretto. Era stata l’amministrazione guidata dall’ex sindaco Walter Veltroni ad acquistare nel 2002 prodotti finanziari derivati, i cui effetti disastrosi si sono ripercossi sulle casse di Roma Capitale sotto forma di debiti. Nel 2008, con l’elezione di Alemanno, il governo Berlusconi diede il via libera alla creazione della gestione commissariale, una sorta di «bad company» interna al Comune che doveva provvedere al risanamento del debito accumulato fino a quel momento. Basti pensare che si è arrivati a toccare quota 32 miliardi di euro. Oggi, invece, si attesta attorno ai 12 miliardi: 3 miliardi e 224 milioni di euro per quanto riguarda il debito non finanziario e 8 miliardi e 768 milioni di euro per quanto riguarda il debito finanziario. A Varazzani venne quindi affidato il compito di controllare le pretese dei creditori e autorizzare il Comune al pagamento. Ed è proprio questo il punto contestato nell’esposto. Secondo Minenna e Raineri, l’ex commissario non avrebbe convocato tutti i creditori, violando la par condicio creditorum e «favorendo» le banche. Varazzani aveva ottenuto una linea di credito da 5 miliardi per disfarsi dei derivati, portando come garanzie i 500 milioni di euro messi a disposizione ogni anno della gestione commissariale: 300 milioni dallo Stato e 200 milioni dal Comune, racimolati grazie all’addizionale Irpef dello 0,9% (la più alta d’Italia) e l’euro versato al Campidoglio per ogni volo atterrato e decollato da Ciampino e Fiumicino. Il danno ipotizzato nella denuncia deriverebbe dagli interessi di questa operazione: i 5 miliardi, considerati i tassi d’interesse e le spese per il prestito, sono costati 7 miliardi. Questa l’ipotesi su cui si lavoreranno i magistrati contabili, per stabilire se la strategia di Varazzani abbia effettivamente favorito gli istituti di credito che avevano emesso i derivati, aggravando la situazione debitoria del Comune. I pm di viale Mazzini si avvarranno dell’ausilio della Guardia di Finanza, a cui la Procura penale guidata da Giuseppe Pignatone ha già affidato una delega d’indagine. Il sindaco Virginia Raggi, durante la sua campagna elettorale, aveva fatto della ristrutturazione del debito di Roma, «un debito che è principalmente finanziario e nei confronti delle banche», uno dei punti fondamentali del suo programma. Fatto sta che secondo quanto spiegato dall’attuale commissario straordinario per il piano di rientro del debito di Roma Capitale, Silvia Scozzese, durante un’audizione in commissione Bilancio della Camera: «Né i piani di rientro finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008». Attualmente, infatti, per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune di Roma, non è stato individuato direttamente il soggetto creditore. Si tratta di circa 5.100 posizioni riferibili a procedure non definite, per larga parte relative a procedure espropriative e a contenzioso, per un importo pari a quasi 2 miliardi di euro. A ciò si aggiunge il fatto che la gestione commissariale ha ereditato dal Comune di Roma nove contratti derivati, di cui due risultano ancora aperti alla data del 30 settembre 2015. Entrambi hanno come controparte Banca Opi, sono stati stipulati il 24 luglio 2007 e scadono il 31 dicembre 2030. «Il rischio è che già nel 2016 – ha spiegato la Scozzese – si potrebbe verificare una crisi di liquidità se emergessero nell’anno pagamenti per debiti non finanziari superiori a 539 milioni di euro».


Roma, debito fuori controllo: c'è lo spettro del fallimento
Venerdì 7 Ottobre 2016
di Oscar Giannino

http://www.ilmessaggero.it/roma/campido ... 11221.html

Ieri il neo assessore al Bilancio, Andrea Mazzillo, ha escluso l’ipotesi di un default per la Capitale, ma la situazione è più che emergenziale. I problemi più rilevanti sono quattro. C’è un debito finanziario di 1,2 miliardi, gestibile a seconda dei flussi di entrate proprie del Campidoglio. C’è il nodo della rata annuale di ammortamento del debito da 13 miliardi circa, in gestione separata commissariale. C’è inoltre uno squilibrio patrimoniale di oltre un miliardo del Gruppo Roma Capitale, creato dal saldo netto tra crediti e debiti delle società partecipate comunali che al Gruppo fanno riferimento, e che può rapidamente chiamare all’esigenza di ricapitalizzazioni. E infine c’è un quarto problema: la continua emersione dai conti ereditati di debiti fuori bilancio, residui attivi e passivi.

Facciamo un passo indietro. L’assestamento di bilancio 2016 votato a fine luglio in Campidoglio e impostato dall’allora assessore Minenna è stato un puro atto dovuto. Per rispettare la scadenza di legge, senza avere il tempo né l’intenzione di compiere alcuna scelta strutturale. La voce più rilevante era lo stanziamento di 90 milioni previsti per il salario accessorio nel 2017 e 2018, una delle gravi questioni createsi in passato tenendo gli occhi chiusi sui finti salari di produttività spalmati per tutti fino, in alcun i casi, a oltre il 50% della retribuzione ordinaria. Altre voci apparivano in singolare e inesplicato contrasto con la situazione certificata dall’ex commissario Tronca solo 60 giorni prima, a fine maggio. Secondo il rendiconto finale della gestione Tronca in cassa allora risultavano solo 13 milioni di euro, mentre a luglio secondo il documento Minenna erano saliti a ben 800, computando però per cassa poste non traducibili in liquidità immediata. Qualche giorno fa il sindaco Raggi ha disposto ad alunni disabili e municipi l’assegnazione di 9 milioni su 11 “trovati”, ha detto, nelle disponibilità di tesoreria. Lodevole, ma il problema da affrontare è purtroppo di tutt’altro ordine di grandezza. Il Campidoglio non potrà impostare di qui a 10 settimane il preventivo 2017 senza una ricognizione a 360 gradi dei diversi fattori che concorrono al suo squilibrio strutturale. E poiché per farlo occorre tempo, con tutto il rispetto i 100 giorni sin qui persi sono un cattivo inizio.

LE SCOPERTE
Per avere un’idea di quanto temibilmente ballerine siano le scoperte speleologiche, per così dire, che continuano ad avvenire scavando nei conti di Roma, basti pensare che secondo la Ragioneria capitolina nel primo semestre 2106 già erano emersi 46 milioni non computati nel preventivo 2016, tra nuova spesa corrente e debiti fuori bilancio. A seguito dell’assestamento votato dall’attuale giunta a fine luglio l’Oref, cioè l’Organo di Revisione Economico-Finanziaria del Campidoglio, ha innalzato vertiginosamente la stima fino a 234 milioni di debiti fuori bilancio.
La nuova giunta partirà probabilmente dall’esame di sostenibilità della rata annuale di ammortamento dovuta a Cdp per l’anticipazione di cassa del debito di 13 miliardi, affidato alla gestione separata commissariale guidata da Silvia Scozzese. Che ha avvisato per tempo, a fine 2015, che dal 2017 i flussi prevedibili di cassa generati non saranno tali da sostenerne più la gestione ordinaria e il rientro. Perché, appunto, il bilancio del Campidoglio resta strutturalmente squilibrato.

D’altro canto, i romani sono già al massimo delle sovra aliquote Irpef e Irap sommando Comune e Regione: pagano 750 euro l’anno oltre la media nazionale.

Non pesa solo la rata annuale di ammortamento del debito. Come ha puntualmente dovuto ammettere ieri l’assessore Mazzillo, è la macchina comunale a essere divenuta incapace di entrate proprie in percentuali accettabili. Perde oltre 100 milioni di affitti l’anno sul suo patrimonio immobiliare, sconta 7,1 miliardi di crediti non incassati tra entrate tributarie, multe, tariffe per servizi e canoni. Non riesce a processare l’anno più del 10% degli arretrati Imu. E dal 2008 si sono aggiunti 2,3 miliardi di spese correnti non liquidate ai fornitori, che il commissario Tronca ha iniziato a ridurre. Da asili, mense, affitti e mercati, il Campidoglio riesce a incassare solo 900 milioni l’anno aggiuntivi ai trasferimenti centrali e alle tasse: rispetto ai 4 miliardi di euro di Milano, che ha meno della metà degli abitanti della Capitale.

LE IDEE SUL RIORDINO
Intervenire sul conto economico ordinario postula avere idee estremamente chiare sul riordino del perimetro e dell’organizzazione dell’intera macchina capitolina. Purtroppo a tutti i livelli, dagli assessorati centrali ai Municipi, c’è un problema di gestione e controllo dei dati, di regole, e di risorse umane. Se ci fermiamo alle maggiori stazioni appaltanti gare per lavori e forniture, nel perimetro capitolino e delle sue controllate maggiori siamo a quota 150, che sfiora addirittura le 300 unità se comprendiamo anche quelle per modesti importi. Occorre integrare i sistemi informatici oggi non interfacciati e usati da ogni Dipartimento e Municipio per gestire appalti, gare e affidamenti, che compartimentano e ostacolano ogni processo centralizzato di controllo. E superare la prassi invalsa di attribuire ogni singolo affidamento alla valutazione del dirigente responsabile del procedimento, senza omogeneità di criteri. E bisogna cessare di aggirare gli obblighi di gara attraverso il frazionamento degli importi.

Nel 2015 Milano ha realizzato alienazioni di beni patrimoniali del Comune per 950 milioni, Roma per 33. In compenso, il Campidoglio oggi gestisce anche aziende agricole come Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere, volte alla produzione di carni, salumi e formaggi. Naturalmente, il conto di queste aziende è in perdita. Malgrado le 72 mila unità immobiliari destinate a canone sociale nel Comune di Roma (di diversa proprietà pubblica, non solo comunale), il Campidoglio spende oltre 20 milioni di canoni sociali in proprio.

Quanto al miliardo di squilibrio delle partecipate, non è purtroppo nemmeno esso una sorpresa. Oltretutto il più dei contratti di servizio delle società scade a fine anno, e andranno riscritti con criteri di efficienza del tutto diversi. Di sicuro, il Campidoglio oggi non ha la disponibilità finanziaria adeguata per gli investimenti che sono necessari in Atac e Ama. E comunque una stima almeno approssimativa delle disponibilità non si può credibilmente fare, prima di aver definito come s’intende aggredire gli squilibri strutturali che gravano sul conto economico.

Atac, che in 5 anni ha ottenuto sussidi pubblici per 4,3 miliardi riuscendo a sommare perdite per 1,1 miliardi, ha 12 mila dipendenti con costo medio di 46mila euro, ai vertici di settore. Per l’Ama siamo ancora al punto in cui sono le cronache giudiziarie a dettare l’agenda, mentre senza una precisa scelta industriale il trattamento dei rifiuti romani continuerà a essere un affare per altre parti d’Italia.

Ci fermiamo qui. Non c’è alcun pregiudizio verso la giunta Raggi. Il duro compito che l’attende era chiaro da prima delle elezioni. La condizione di Roma impone scelte molto impegnative, che richiedono grande risoluzione, raffinata competenza, visione e padronanza di un’infinità di dettagli. E 100 giorni dicono che il tempo per addossare le colpe agli altri è finito.


Roma, debito pregresso a quota 12 miliardi
Andrea Marini 06 aprile 2016

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ACLDy01C

l debito pregresso del Comune di Roma, quello che dal 2008 è sotto il controllo della Gestione commissariale, è arrivato a quota 12 miliardi: 3,2 di natura non finanziaria (come debiti commerciali per ritardati pagamenti) e 8,8 di natura finanziaria (come mutui). A fare il punto, ieri, nella sua audizione nella commissione Bilancio della Camera è stata Silvia Scozzese,che da settembre 2015 è il commissario straordinario del Governo per la gestione del piano di rientro del debito pregresso del Campidoglio.

Scozzese ha permesso di mettere un punto fermo: quando è stato predisposto il piano di rientro, nel 2008, il disavanzo ammontava a poco più di 9,5 miliardi. Quando nel 2010 è stato effettuato l’accertamento definitivo, la cifra è stata quantificata a quota 16,7 miliardi: Scozzese ha spiegato, ad esempio, che di ben 2mila pratiche di espropri, avvenuti tra il 1960 e il 1990, si è ritrovata memoria solo nel 2010. Tuttavia, non tutte le nubi si sono diradate: «Né i piani di rientro del debito di Roma Capitale finora redatti, né il documento di accertamento definitivo del debito – ha detto Scozzese – sembrano contenere una ricognizione analitica e una rappresentazione esaustiva della situazione finanziaria da risanare antecedente al 2008. Attualmente per il 43% delle posizioni presenti nel sistema informatico del Comune non è stato individuato direttamente il soggetto creditore». Soprattutto, Scozzese ha messo in guardia su una possibile crisi di liquidità per gli anni 2020-2035. Per smaltire il debito pregresso – quello “ordinario” in capo al Campidoglio, secondo l’ultimo bilancio approvato dal commissario straordinario Francesco Paolo Tronca è pari a 1,2 miliardi, ampiamente sostenibile – ogni anno viene versato un contributo statale di 300 milioni, più 200 milioni ricavati da una addizionale sui diritti di imbarco sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti di Roma e da un incremento dell’addizionale comunale Irpef dello 0,4 per cento. Eppure: «Se si esclude dal computo del debito finanziario della Gestione Commissariale il contributo atteso dal ministero dell’Economia di 880 milioni di euro – ha sottolineato Scozzese – il saldo tra entrate e uscite si prospetta negativo fino al 2039. Chiaramente nei primi anni questo scenario di crisi verrebbe attutito dal versamento degli 880 milioni di euro, spostando le difficoltà di liquidità al 2020 e fino al 2035».


Mafia Capitale, cosa hanno punito i giudici e quali saranno gli effetti sulla pena
Fulvio Sarzana
2017/07/20

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... na/3743082

Il processo di primo grado per Mafia Capitale termina con una sentenza a sorpresa: per la X sezione del Tribunale di Roma non c’è stata mafia a Roma. E’ necessario attendere le motivazioni per capire quale sia stato il percorso logico adottato dalla corte capitolina ma già dalla lettura del dispositivo in udienza sono apparse chiare le linee sulle quali si è mosso il tribunale.

Va detto che la Corte ha confermato l’esistenza di due associazioni a delinquere e che le pene generali irrogate a tutti gli imputati sono estremamente severe rispetto al tipo di reato risultante dal processo e dalle esclusioni delle aggravanti (per esempio nessuno degli imputati sembra aver usufruito delle attenuanti generiche pur avendo in massima parte la Corte rigettato la presenza di aggravanti) considerato anche che il sodalizio non sembra aver compiuto fatti di sangue.

La lettura in udienza della sentenza da parte della X sezione del Tribunale di Roma ha evidenziato tre punti dai quali sembra emergere con assoluta certezza la convinzione da parte della Corte che non vi sia stata a Roma, nel contesto dei fatti da cui è scaturita Mafia Capitale, attività mafiosa.

Il primo elemento di convinzione deriva dalla circostanza che la Corte ha ritenuto di riqualificare il fatto, declassandolo da condotta mafiosa a condotta semplice attraverso l’applicazione di un diverso articolo del codice penale, il 416 e non il 416 bis, che prevede l’associazione a delinquere cosiddetta semplice, rispetto a quella mafiosa. Quella, per fare un esempio generale, che può essere diretta a turbare appalti, a realizzare attività corruttive, ma non a realizzare un programma criminoso mafioso.

Un reato diverso quindi da quello contestato, e non, come invece si è letto da qualche parte, una semplice aggravante “mafiosa” che non è stata riconosciuta o che sarebbe “caduta”.

L’aggravante del metodo mafioso (che è diversa dal reato di associazione mafiosa) era stata contestata nel processo in aggiunta all’associazione a delinquere di stampo mafioso, in quanto si era ritenuto che al di là del reato associativo mafioso, i diversi protagonisti avessero agito anche con l’aggravante prevista dall’art. 7 D.L. 152/1991 conv. con L. 203/1991.

Questa aggravante si applica quando, al di là dell’esistenza del vincolo mafioso, uno o più soggetti adottino modalità tipiche dell’agire “mafioso”, prima fra tutte l’intimidazione basata sulla violenza oppure, in caso di attività economiche, l’aver agito per favorire il clan. Nel processo di Mafia Capitale sono state escluse per tutti gli imputati sia il metodo che l’esistenza di un vincolo formale di appartenenza al sodalizio mafioso; questo è il secondo elemento che conferma la chiara convinzione del tribunale di non trovarsi di fronte ad un’associazione mafiosa.

Ultimo elemento fattuale che induce a ritenere che per il Tribunale di Roma non c’era sodalizio mafioso è l’assoluzione di due imputati ritenuti il collegamento tra un clan di ‘ndrangheta egemone nel Vibonese e alcune cooperative riconducibili a Salvatore Buzzi, braccio finanziario dell’organizzazione capeggiata da Carminati.

È facile presumere che la procura di Roma ricorrerà in appello e che le difese degli imputati attualmente ristretti in regime di 41bis chiederanno sin da subito la fine del regime carcerario duro. L’inesistenza del vincolo mafioso avrà effetti anche, grazie alla legislazione premiale, sul tipo di pena che i condannati potranno scontare e nel luogo in cui la potranno espiare.

La battaglia su Mafia Capitale si aggiorna dunque al prevedibile appello.




Il saccheggio di Roma - La Stampa
Mattia Feltri
02/09/2017

http://www.lastampa.it/2017/09/02/cultu ... agina.html

Un autista di autobus di Roma, oltre che guidare gli autobus, faceva il traslocatore. Un altro faceva il piastrellista. Un altro ancora lavorava alle pompe funebri. C’è gente che fa turni di tre ore, ha detto andandosene Bruno Rota, penultimo direttore generale di Atac, l’azienda dei trasporti della capitale. Ogni giorno almeno un assunto su dieci rimane a casa, per malattia o permesso. Ad agosto la percentuale sale a uno su cinque. I sindacalisti si sono presi undicimila ore di permesso in più rispetto agli accordi. C’era chi era in permesso sindacale da un anno. Del resto in Atac ci sono undici sigle sindacali. Sono stati appena licenziati quaranta dipendenti entrati col sistema di Parentopoli, ma non vogliono rinunciare alla liquidazione.

Ogni anno, fino a pochi anni fa, venivano venduti biglietti falsi per 70 milioni di euro, con la collaborazione di dirigenti ed edicolanti. Sono state acquistate porte-vetro a 98 e 128 euro quando l’offerta media delle aziende sconfitte era di 6,5 e 13,5 euro. Fra il 2013 e il 2015 sono state bucate 6 mila gomme ma ne sono state sostituite d’urgenza 15 mila. Dove sono finite le 9 mila di troppo? Boh. La metropolitana, per sciopero o guasto, è ferma in media più di un giorno alla settimana. I suoi freni a disco costano 6 mila e 700 euro anche se il prezzo di listino è di mille e 700. Un viaggiatore su tre non paga il biglietto. Ogni giorno un autobus su quattro è fermo perché rotto. Atac ha un debito di 1,3 miliardi di euro. Forse fallirà, forse no, ma una domanda non è ammessa: di chi è la colpa?

Gino Quarelo
I romani sono proprio così da sempre e quello che saccheggiano non è Roma ma i territori e i popoli soggetti a Roma.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I primati dello stato italiano in Europa e nel mondo

Messaggioda Berto » mer mag 17, 2017 9:33 pm

28
è il paese occidentale dove vi è l'evasione più alta: quella "buona" da necessità o "legittima" difesa e per sottrarre una parte dei profitti e del reddito alla voracità predatoria del fisco italico parassita; e quella cattiva da elusione e avidità;


Evaxion elouxion, soravivar e lexitema difexa
viewtopic.php?f=94&t=366


A proposito di "imposte o tasse" e di evasione:


i primi evasori sono i disoccupati che si arrangiano con lavoretti in nero;

poi vi sono i lavoratori dipendenti (sia del pubblico che del privato, ma più del privato) che con i bassi salari esistenti non ce la fanno ad arrivare a fine mese e a mantenere una famiglia e quindi sono costretti a fare sia straordinari in nero (dove possono) sia a svolgere un secondo lavoro sempre in nero (come possono);

anche il costo elevato della manodopera, tra contributi e imposte, fa sì che molte piccole imprese siano costrette a ricorrere al lavoro nero;

a questi si aggiungono i lavoratori autonomi che prestano la loro opera ai lavoratori dipendenti, specialmente nelle attività e nei servizi generici di non elevata specializzazione e professionalità che sono costretti dalla concorrenza sleale dei lavoratori dipendenti che svolgono il secondo lavoro e dalle poche risorse disponibili dei clienti/datori di lavoro, ad effettuare prestazioni a bassissimo prezzo che ovviamente non può contenere la quota contributiva e fiscale.

A questi casi di evasione naturale e per necessità, vanno aggiunti quelli, sempre per sopravvivenza, dei lavoratori autonomi artigiani e commercianti che vi sono costretti dalla elevatissima e impossibile imposizione fiscale e contributiva, pena restare senza lavoro e quindi diventare dei disoccupati paria privi di ogni tutela sociale come la cassa integrazione, la mobilità e altre indennità straordinarie che invece hanno tutti i lavoratori dipendenti del privato; mente a quelli publici è garantito a vita il posto dio lavoro.

E questo è solo l'inizio, il discorso sarebbe ancora lunghissimo.

Non dimentichiamoci che in Italia il primo evasore fiscale è proprio lo stato italiano che non versa le imposte per i suoi dipendenti.


I DIPENDENTI PUBBLICI NON PAGANO LE TASSE, LO DICE ANCHE LA MATEMATICA
di GUGLIELMO PIOMBINI
2015

https://www.miglioverde.eu/i-dipendenti ... matematica

Da dove viene, e dove va a finire il denaro pubblico? Poiché il “pubblico” è un’astrazione che non può pagare o ricevere nulla, questo denaro esce sempre dalle tasche private di qualche individuo in carne ed ossa e, gira e rigira, finisce sempre nelle tasche private di qualcun altro. Osservando più da vicino il percorso che compie il denaro pubblico dal suo prelievo fino alla sua destinazione finale ci accorgiamo che il gettito dello stato proviene dai versamenti effettuati dai contribuenti privati (aziende, professionisti, individui), a proprio nome o come sostituti d’imposta; e termina la sua corsa nei conti correnti di due categorie di persone: una componente fissa di “consumatori di tasse” (il ceto politico-burocratico) e una componente variabile (tutti coloro che, pur non facendo parte dell’apparato statale, ricevono pensioni, sussidi o elargizioni dallo stato).
In concreto lo stato incassa l’intero gettito dal settore privato, e lo usa per pagare tutti gli stipendi della pubblica amministrazione. Anche la gente comune dimostra di essere consapevole di questa situazione quando rivolge al funzionario scortese o inadempiente la frase: “Guardi che sono io che la mantengo con le mie tasse!”. I dipendenti dello stato, infatti, pagano le imposte solo in maniera figurativa, attraverso un artificio contabile, ma in realtà neanche un euro entra nelle casse dello stato. È ovvio infatti che se la busta paga di un funzionario statale riporta 40.000 euro di stipendio lordo e 10.000 euro di trattenute, ciò significa che egli riceve dallo stato 30.000 euro e paga zero di tasse. Lo stato usa la ridicola pantomima di indicare il lordo e il netto nella busta paga dei propri dipendenti per gettare fumo negli occhi della gente, allo scopo di far credere che i lavoratori pubblici e quelli privati siano trattati in maniera uguale, ma le cose non stanno così.
Lo stato, del resto, non potrebbe mai ottenere delle entrate tassando il settore pubblico, perché questo non produce utili ma solo perdite enormi, e quindi non c’è nulla da tassare. Se domani tutte le aziende italiane chiudessero o emigrassero all’estero, le entrate dello stato scenderebbero ben presto a zero, e non ci sarebbero più soldi per pagare gli stipendi degli statali. Se invece fosse vero quello che dicono i dirigenti sindacali – che gli statali e i pensionati pagano le imposte “fino all’ultimo centesimo” mentre i lavoratori autonomi sono quasi tutti evasori – allora il governo avrebbe a sua disposizione un metodo infallibile per debellare definitivamente l’evasione fiscale e risolvere ogni problema di bilancio: assumere tutte le partite iva come dipendenti pubblici! In verità se si comportasse in questo modo lo stato fallirebbe dopo pochissimo tempo, e questo dimostra che gli statali non pagano tasse ma le consumano.
A coloro che non fossero ancora convinti si può porre questa domanda: pagano più tasse i commessi e i barbieri di Montecitorio che guadagnano 150.000 euro lordi all’anno, o gli artigiani e i barbieri sotto casa che pagano il 70 per cento di tasse sui due-tremila euro che riescono a fatturare ogni mese? Se rispondono che pagano più tasse i commessi e i barbieri di Montecitorio, allora giungono alla conclusione assurda che lo stato potrebbe fare il boom di entrate fiscali assumendo tutti i barbieri e tutti gli artigiani d’Italia. Se invece rispondono che pagano più tasse i barbieri e gli artigiani privati, allora ammettono che gli statali pagano le tasse solo sulla carta, cioè per finta.


Chi ci guadagnerebbe dall’abolizione delle imposte?
Poiché i dipendenti pubblici non pagano tasse, un paese dove tutti i cittadini lavorano per lo stato potrebbe tranquillamente abolirle senza nessuna conseguenza di rilievo sul bilancio statale. Il precedente storico esiste, dato che nel 1974 il regime comunista della Corea del Nord ha abolito ufficialmente tutte le imposte. L’operazione aveva un fine propagandistico: annunciare al mondo che “in Corea del Nord il popolo è così fortunato da non dover pagare le tasse”. In questo modo, tuttavia, i dirigenti politici nord-coreani hanno involontariamente dimostrato che la partita di giro nella busta paga dei dipendenti pubblici è in verità una … presa in giro. La decisione infatti ebbe solo conseguenze formali, dato che le entrate statali rimasero più o meno invariate. (Qualcuno potrebbe chiedersi da dove provengono allora le entrate dello stato nordcoreano. Innanzitutto l’intera produzione statale, per quanto scadente, è di sua proprietà e può venderla ai propri cittadini o all’estero; i razzi e gli armamenti di produzione nord-coreana hanno infatti un certo mercato. In secondo luogo esiste un settore privato illegale, ma tollerato dalle autorità, che in realtà paga tasse al governo. Il regime ha dovuto infatti accettare obtorto collo queste aperture al settore privato nel campo agricolo per rimediare alla terribile carestia alimentare degli anni Novanta, che aveva provocato tre milioni di morti).
Cosa succederebbe se un futuro governo italiano, magari guidato da Matteo Salvini, decidesse di prendere a modello la Corea del Nord, e azzerasse le aliquote di tutte le imposte? A causa della natura mista, pubblico-privata, della nostra economia le conseguenze sarebbero molto diverse rispetto alla Corea. Alcune categorie di persone ne riceverebbero un vantaggio palpabile. Tutti i lavoratori autonomi e dipendenti del settore privato infatti raddoppierebbero o triplicherebbero immediatamente i propri redditi. Ma che accadrebbe ai dipendenti statali? Anche i loro stipendi lieviterebbero verso l’alto? I primi a dubitarne, in realtà, sono gli stessi membri del ceto politico-burocratico, i quali sanno benissimo che una forte riduzione delle imposte metterebbe a rischio i loro stipendi, i loro vitalizi e le loro pensioni.
Infatti non occorrono sondaggi approfonditi per scoprire che gli uomini politici e i burocrati statali rappresentano le categorie più contrarie alla riduzione delle aliquote fiscali, mentre i lavoratori privati, soprattutto quelli autonomi, sono in larghissima misura favorevoli. Viene dunque da chiedersi: si può definire “contribuente” un soggetto che teme di subire una forte perdita economica da una riduzione delle tasse? Ovviamente no, e tutto questo rivela che il dibattito sul fisco è viziato da forti dosi di malafede: molte persone che dicono di “pagare le tasse fino all’ultimo euro” in cuor loro sanno benissimo che, nella realtà, neanche un centesimo passa dal loro portafoglio alle casse dello stato, mentre molte migliaia di euro prendono la strada opposta.


I veri evasori totali
In definitiva, la crescita del numero e dei redditi dei lavoratori privati fanno aumentare le entrate dello Stato; al contrario, la crescita del numero e degli stipendi dei lavoratori pubblici fanno aumentare le uscite dello Stato. L’aumento delle “imposte” a carico degli statali può al massimo determinare una riduzione della spesa pubblica, ma in nessun caso può accrescere il gettito dello stato. Si tratta di una pura questione matematica, sulla quale non c’è nulla da discutere.
Il fatto che i dipendenti pubblici non contribuiscono alle entrate del bilancio statale non significa necessariamente che svolgono attività inutili. Se escludiamo i casi più eclatanti di parassitismo (politicanti, commessi parlamentari, passacarte, forestali, ecc.) in molti casi i dipendenti pubblici svolgono delle attività in qualche modo utili: si pensi agli insegnanti, ai medici del servizio sanitario nazionale, ai vigili del fuoco, agli impiegati delle poste e così via. Il problema è che è impossibile quantificare la loro effettiva utilità, dato che le loro retribuzioni non provengono da uno scambio volontario con il cliente o con l’utente, ma da un’imposizione coattiva. È comunque innegabile che in molti casi le loro remunerazioni (senza considerare gli altri benefici, come la stabilità del posto di lavoro) siano completamente fuori dagli standard di mercato: nessuna impresa privata potrebbe riservare un trattamento così generoso ai propri dipendenti, senza chiedere in cambio un notevole aumento della produttività.
Non basta dunque avere un “posto di lavoro” per poter dire “io pago le tasse”; occorre svolgere un lavoro produttivo. Per questo è paradossale che i fanatici della lotta all’evasione, dell’obbligo di scontrino, della delazione fiscale e della criminalizzazione dei lavoratori autonomi siano in gran maggioranza persone che vivono di risorse pubbliche: uomini politici, dirigenti ministeriali, burocrati, magistrati, titolari di pensioni sganciate dai contributi versati e dipendenti statali in genere. A costoro, ben più che alle partite iva, si addice la qualifica di “evasori totali”, dato che tutte le imposte a loro carico (dirette, indirette e contributi) in ultima analisi vengono pagate con i versamenti fatti dai lavoratori del settore privato. Anzi, sarebbe meglio parlare di evasori al quadrato, dato che non solo non pagano tasse, ma si mettono in tasca pure le tasse pagate da altri!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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