Mafie e briganti teroneghi

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom apr 22, 2018 4:00 am

La sentenza di Palermo. C’era una volta il Diritto
di Piero
2018/04/21

http://ildubbio.news/ildubbio/2018/04/2 ... il-diritto

È una sentenza che lascia perplessi. Dico meglio: lascia un po’ sbigottiti.

Per cinque ragioni.

La prima è che non ci sono prove contro gli imputati. Soprattutto contro gli imputati di maggiore valore mediatico: il generale Mori (e i suoi collaboratori) e l’ex senatore Dell’Utri. Non ci sono neanche indizi. La tesi dell’accusa si fonda tutta o su alcune testimonianze giudicate false da questo e da altri tribunali, o sulla parola di qualche mafioso, o su ricostruzioni dei pubblici ministeri molto interessanti ma costruite esclusivamente su ipotesi o sulla letteratura.

La seconda è che prima che si concludesse questo processo se ne erano svolti altri, paralleli e sulle stesse ipotesi di reato, e si erano conclusi tutti, logicamente, con le assoluzioni degli imputati (tra i quali lo stesso Mori e l’on. Mannino). Questa sentenza, nella sostanza, ci dice che sì, probabilmente non ci fu il reato, ma ci sono i colpevoli.

La terza ragione dello stupore è il reato per il quale sono stati condannati gli imputati eccellenti.

Il reato si chiama così: «Attentato e minaccia a corpo politico dello Stato». Gli esperti e i professori dicono che nella storia d’Italia questo reato è stato contestato una sola volta. Nessuno però ricorda bene quando. Ma comunque quella volta non fu per minacce nei confronti del governo – ed è di questo che sono accusati Mori e Dell’Utri – perché esiste nel codice un reato specifico, scritto nell’art 289 del codice penale, che prevede appunto l’attentato contro un organismo costituzionale (cioè il governo).

La quarta ragione non è di diritto ma è di buon senso. E sta nella assoluzione (seppure per prescrizione) del capo della mafia (Giovanni Brusca, uno dei boss più feroci del dopoguerra) che sarebbe l’autore della minaccia, contrapposta alla condanna del generale Mori che è forse il militare che ha catturato più mafiosi dai giorni dell’Unità d’Italia ad oggi e che dalla mafia è stato sempre considerato nemico acerrimo. La quinta ragione del nostro sincero sbigottimento sta nello scenario kafkiano che viene disegnato da questa sentenza. Lasciamo stare per un momento il dettaglio dell’assenza di prove. Cerchiamo di capire cosa l’accusa e la giuria ritengono che sia successo nel 1993- 94. Sarebbe successo questo: la mafia, guidata da Riina avrebbe minacciato lo Stato, prima e dopo le uccisioni di Falcone, Borsellino e delle loro scorte. Avrebbero chiesto l’allentamento del rigore carcerario con un ricatto: «Altrimenti seminiamo l’Italia di stragi». In una prima fase questa minaccia sarebbe stata mediata sempre da Dell’Utri e Mori, evidentemente con Ciampi e Scalfaro. Questa però è solo la tesi dell’accusa, perché la giuria non ci ha creduto, gli è parsa davvero troppo inverosimile. Poi succede che Mori – evidentemente mentre trattava con lui – arresta Riina assestando alla mafia il colpo più pesante dal dopoguerra. In una seconda fase, dopo gli attentati del ‘ 93 (uno dei quali contro un giornalista Mediaset molto legato a Berlusconi, e cioè Maurizio Costanzo) la minaccia sarebbe stata portata a Berlusconi, che nel frattempo era diventato Presidente del Consiglio, attraverso Marcello Dell’Utri e forse attraverso lo stesso Mori, evidentemente colpito da un fenomeno grave di schizofrenia. Nessuna delle richieste dei mafiosi, però, fu accolta. E questo, in teoria, dimostrerebbe un comportamento rigorosissimo di Berlusconi: uomo davvero incorruttibile. E infatti la sentenza condanna gli imputati a risarcire con 10 milioni la presidenza del Consiglio, cioè Berlusconi. Le richieste mafiose che Dell’Utri, e forse Mori, avrebbero portato a Berlusconi (e forse a Mancino, ministro dell’Interno, che però ha negato, è stato imputato per falso e poi assolto) erano contenute in un “papello” consegnato dall’ex sindaco Ciancimino, così sostiene il figlio dell’ex sindaco che però è stato a sua volta condannato per calunnia (e dunque il papello è falso).

Ma una persona che legge queste cose qui e ha un po’ di sale in zucca, che deve pensare?

Beh, probabilmente gli viene in mente un’idea molto semplice: che quello di Palermo sia stato semplicemente un processo politico. E qualche conferma a questo sospetto viene da un paio di elementi. Il primo è che il Pubblico ministero che ha condotto l’accusa fino all'ultimo minuto, si è candidato a fare il ministro coi 5 Stelle, ha partecipato a diversi convegni politici dei 5 Stelle, ha presentato a nome dei 5 Stelle un programma per riformare la giustizia, e, appena emessa la sentenza, ha rilasciato dichiarazioni feroci contro Berlusconi, che oltretutto è parte lesa e non imputato. Possiamo tranquillamente dire che il Pubblico ministero era un uomo politico. Il suo predecessore, quello che avviò il processo (si chiama Antonio Ingroia) ha partecipato recentemente alle elezioni in qualità di candidato premier con una lista di sinistra.

Anche questa circostanza (almeno in forma così esplicita) è senza precedenti, credo, in tutti i paesi dell’Occidente.

Il secondo elemento sta in tutto quello che ha preceduto il processo. E cioè il processo mediatico, che difficilmente non ha condizionato fortemente la giuria di Palermo.
Ho sentito molti commentatori dire che comunque ci sarà un processo di appello, che potrà correggere gli errori del primo grado. Vero. Per fortuna l’impianto della nostra giustizia è solido. Però è difficile digerire l’arroganza del processo di Palermo, e la sua superficialità, e l’ingiustizia palese di alcune condanne, come quella contro il generale Mori. Ed è difficile non considerare il fatto che l’ex senatore Dell’Utri, che sta in cella in condizioni di salute gravissime, difficilmente, dopo questa nuova stangata, potrà sperare di ottenere cure adeguate e di rivedere il cielo senza sbarre.
No, non è stata una bella giornata.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio lug 26, 2018 6:33 am

Mafia, l’incontro dei boss a Mestre
25 luglio 2018

https://corrieredelveneto.corriere.it/v ... 0094.shtml

VENEZIA Era il 24 gennaio 2014 e a Mestre sbarcarono tre pezzi grossi della mafia siciliana: attorno al tavolo, monitorati dai carabinieri del Ros su richiesta della Guardia di Finanza, ci sono infatti Vito Galatolo, il boss dell’Acquasanta che era venuto nella terraferma veneziana sotto sorveglianza speciale e che poi sarebbe diventato un pentito di mafia, accumulando finora condanne per 16 anni; Giuseppe Corona, ritenuto il tesoriere di Cosa Nostra e arrestato una settimana fa in un blitz delle fiamme gialle sotto la guida della Dda di Palermo; poi Raffaele Favaloro, figlio di un pentito diventato grande amico e socio in affari di Corona, e infine Santo Graziano, che era molto legato a Galatolo e che di recente è stato condannato in appello a 8 anni e 8 mesi nel processo per l’operazione «Apocalisse», nato proprio dalle dichiarazioni dell’ex boss.

L’inchiesta

Continua a esserci un po’ di Venezia, dunque, nelle inchieste palermitane sulla «nuova mafia». E nei giorni scorsi, quando le fiamme gialle hanno arrestato Corona e altri 27 (di cui quattro ai domiciliari), oltre a notificare altri 19 divieti di dimora a Palermo, nella rete sono finiti alcuni personaggi noti anche alle cronache del nord. Come Maurizio Caponnetto, braccio destro di Galatolo e già condannato per alcune rapine: una alla concessionaria Tupperware di Ponzano Veneto, di cui il boss era ritenuto il consigliere, poi quella tentata alla Aladin Bet di Mestre, che secondo il pm Giovanni Zorzi, titolare dell’inchiesta, serviva proprio per ripagare Galatolo dei debiti di gioco contratti con le scommesse. Caponnetto è stato arrestato per favoreggiamento con l’aggravante mafiosa, perché addirittura nel 2013 sarebbe andato a un incontro tra capimafia in rappresentanza di Galatolo: il suo interrogatorio si è svolto a Palermo nei giorni scorsi ma lui, difeso dall’avvocato Mauro Serpico, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Agli arresti domiciliari è finito anche Antonino Salerno, pure lui membro del commando di rapinatori legati al boss poi pentito. Divieto di dimora invece per Pasquale Fantaci, già indagato nell’inchiesta che aveva coinvolto anche Otello Novello, detto il «cocco cinese», accusato di concorso esterno in associazione mafiosa proprio per aver aiutato Galatolo nella sua permanenza a Mestre: l’ex boss aveva infatti lavorato per le società di Novello al Tronchetto. Fantaci, accusato di aver ricaricato una PostePay di Galatolo, non ha risposto al gip Gilberto Stigliano Messuti, su consiglio del suo avvocato Aldo Ghezzo. Divieto di dimora anche per Salvatore Giglio, che sarebbe colui che presentò Galatolo a Otello Novello, che poi lo assunse.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio lug 26, 2018 6:33 am

Mafia a Siracusa: "Qui comandiamo noi, ditelo a Messina Denaro"
25 Luglio 2018

http://siracusa.gds.it/2018/07/25/mafia ... aro_891449

"Qui comandiamo noi, mandatelo a dire a Messina Denaro". I boss siracusani parlano fra di loro e non vogliono abbassare la testa neanche davanti a quello che viene considerato il nuovo capo dei capi di cosa nostra.

Avevano avviato un'attività imprenditoriale, "La Fenice", che imponeva agli agricoltori di Pachino di conferire solo a lei prodotti delle loro serre e così i commercianti e i grandi centri di distribuzione erano obbligati a comprare da quest'unica società.

Così il clan Giuliano, secondo la Dda della Procura di Catania, controllava e condizionava il mercato ortofrutticolo della zona, grazie anche al suo potere intimidatorio. E' quanto emerge dall'operazione Araba fenice della squadra mobile di Siracusa che ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare del Gip di Catania nei confronti di 19 persone indagate e disposto il sequestro della società 'La Fenice'.

Grazie a questo collaudato meccanismo, gli indagati pretendevano il pagamento di una "provvigione", calcolata in percentuale del raccolto prodotto e ceduto agli operatori della piccola e grande distribuzione, che costituiva il corrispettivo per la presunta attività di mediazione contrattuale svolta tra produttori e commercianti.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mer ago 08, 2018 6:27 pm

Boss della 'ndrangheta vuole portare la madonna: carabinieri bloccano la processione
5 agosto 2018

https://ilmessaggero.it/primopiano/arti ... 97832.html

I carabinieri sono intervenuti a Zungri per interrompere la processione della «Madonna della Neve» dopo che un presunto boss della 'ndrangheta aveva preteso di essere incluso tra i portatori dell'effige. Alla richiesta si é opposto, però, il Comitato promotore dei festeggiamenti e ne é scaturita una discussione. A tutta la scena hanno assistito i carabinieri che erano in servizio d'ordine sul posto e che hanno immediatamente bloccato la processione.

Dopo che il presunto boss si é allontanato, la processione a Zungri si conclusa regolarmente. Il rito é stato autorizzato dai carabinieri su richiesta di alcuni fedeli e del Comitato promotore dei festeggiamenti i quali, dopo che il boss si era allontanato, hanno sostenuto che nessun motivo impediva lo svolgimento della processione. A quel punto i carabinieri della locale caserma, cui si erano aggiunti nel frattempo come rinforzo i militari della Compagnia di Tropea, al comando del capitano Dario Solìto, hanno autorizzato lo svolgimento della manifestazione religiosa, che si é svolta regolarmente.

I carabinieri della Compagnia di Tropea hanno sentito il parroco di Zungri, don Giuseppe La Rosa, ed alcuni fedeli per ricostruire i fatti. Dopo il mancato accoglimento della richiesta da parte del Comitato promotore dei festeggiamenti, il boss si é allontanato e la processione si é potuta svolgere regolarmente. I carabinieri stanno ascoltando tutti coloro che possono fornire un contributo per una ricostruzione dettagliata dei fatti per potere poi inviare un'informativa alla Procura della Repubblica di Vibo Valentia. Secondo quanto si é appreso, comunque, il presunto boss non ha attualmente alcun conto in sospeso con la giustizia ed é quindi un uomo libero.

I PRECEDENTI
In Calabria sono numerosi i casi di ingerenze dei boss nelle processioni di 'ndrangheta, con la pretesa di essere inseriti tra i portatori della statue sacre e di ricevere in queste occasioni specifici atti di omaggio. Nel luglio del 2014, ad Oppido Mamertina, nella Piana di Gioia Tauro, il maresciallo dei carabinieri comandante della locale caserma che coordinava il servizio d'ordine durante la processione della statua della Madonna delle Grazie si allontanò dopo che l'effige fu fatta sostare, in segno di omaggio e di rispetto, davanti la casa del boss Giuseppe Mazzagatti.

Il sottufficiale, su quanto accaduto, inviò una dettagliata informativa alla Dda di Reggio Calabria. Quell'episodio fece scattare l'intervento del Vescovo di Oppido Mamertina-Palmi, mons. Francesco Milito, che dispose la la sospensione per tre anni di tutte le processioni religiose nella Piana di Gioia Tauro. Episodi analoghi si sono verificati negli ultimi anni anche in provincia di Vibo Valentia. Due i casi più eclatanti, rimasti negli annali della 'ndrangheta, verificatisi a Sant'Onofrio ed a Stefanaconi. Nel primo centro, in particolare, «regno» della cosca Bonavota, su disposizione del vescovo, mons.

Luigi Renzo, il rito dell'«Affruntata», l'incontro cioé nel giorno di Pasqua tra la Madonna ed il Cristo Risorto, fu «commissariato» per due anni. In occasione di una delle due interruzioni, le statue furono portate dai carabinieri, mentre la volta successiva a sostenere le effigi sacre furono i volontari della Protezione civile comunale, scelti in base ad un sorteggio e dopo un'attenta disamina della loro fedina penale. Analoga procedura fu seguita per un anno, sempre su disposizione di Mons. Renzo, a Stefanaconi dopo la scoperta della pesanti ingerenze da parte della cosca Patania. Anche in quel caso i portatori furono estratti a sorte tra i volontari della Protezione civile.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » lun ott 22, 2018 3:27 am

Saguto: rimossa dalla Magistratura il giudice che faceva affari con i beni confiscati alla mafia
VIVIANI
30 marzo 2018

https://www.iene.mediaset.it/2018/news/ ... 7512.shtml

Rimozione dai ranghi della magistratura. E' questa la sanzione decisa dal Consiglio superiore della Magistratura per Silvana Saguto, ex presidente della sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo che era stata già sospesa da oltre due anni dalle funzioni e dallo stipendio. Avrebbe gestito in maniera parecchio, troppo, disinvolta i beni confiscati alla mafia con assegnazioni di incarichi a un ristretto gruppo di “fedelissimi”, ricavandone entrate improprie e ricambiando le sue persone di fiducia con soldi, regali e favori.

Tra le accuse il giudice ha dovuto rispondere di aver "usato la qualità di presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo per instaurare indebiti rapporti personali con amministratori giudiziari di compendi sequestrati dal medesimo tribunale" al fine di "conseguire vantaggi ingiusti per sé e i suoi familiari", anche per "tamponare la situazione critica in cui versava il suo nucleo familiare a fronte di un tenore di vita tutt'altro che congruo rispetto alle entrate ufficiali".

Sulla questione però non è ancora detta l'ultima parola, il provvedimento del Csm è impugnabile di fronte alle sezioni unite civili della Cassazione. La nostra Iena Matteo Viviani si è occupato più volte di inefficienze e favori indebiti nell'assegnazione di beni confiscati alla mafia.

Guarda l'ultimo servizio del 5 dicembre 2017 dedicato al tema “Il fallimento dell'antimafia” sulla famiglia Cavallotti, in cui si parla anche di Silvana Saguto.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mer nov 07, 2018 4:26 am

Per quasi il 44% dei campani la camorra non sarebbe un problema.
2018-11-06

https://www.agi.it/cronaca/camorra_sond ... 2018-11-06

Il 31,6% dei cittadini campani vede la mafia come qualcosa di marginale o non socialmente pericoloso, il 12,2% la considera solo un fenomeno di letteratura. Sono alcuni dei dati più significativi che emergono dall'indagine su percezione e presenza delle mafie e della corruzione condotta da Libera in tutte le regioni nell'ambito del percorso 'Liberaidee', che da oggi all'11 novembre vedrà l'associazione impegnata in una serie di iniziative di informazione e sensibilizzazione.

Il rapporto nasce da 10mila questionari somministrati a livello nazionale, 616 dei quali in Campania, coinvolgendo in particolare gli under 18 e i giovani tra i 18 e i 25 anni. Vista l'alta percentuale di studenti intervistati, oltre sei su dieci, colpisce come in questa fascia ci sia una scarsa consapevolezza dei fenomeni mafiosi e corruttivi, considerando che il movimento anticamorra campano è nato anche in questi ambienti, oltre che tra gli operai e i braccianti agricoli, anch'essi distanti da una percezione corretta. C'è un forte distacco dalla politica: solo il 16,9% dei campani si definisce impegnato (+5% rispetto alla media nazionale), il 46,8% pensa che sia sufficiente tenersi al corrente, l'8,6% si dice disgustato dalla politica, in linea con il dato italiano.

Nel Paese il fenomeno mafioso è percepito come globale (74,9%), mentre in Campania la percentuale scende al 59,4% e il dato di chi lo ritiene una specificità del Sud è quasi il quadruplo rispetto al resto dell'Italia (7,5% contro 2,1%). Per gli intervistati la principale attività della mafia in Campania è il traffico di droga (70,8%, il 59,8% in Italia), l'estorsione (40%) e il traffico di rifiuti (27%). In quest'ultimo caso la percezione è doppia rispetto al dato nazionale, così come per gli omicidi. Alla domanda 'Cosa ti toglie di più la mafia?', nel dato complessivo prevale l'idea della libertà, mentre in Campania primeggiano sicurezza, lavoro e futuro.

Sul fronte della corruzione, in Campania è più alta la percezione del fenomeno (92,7% contro il 73,4% complessivo) e la metà del campione ritiene che sia molto presente sul proprio territorio, anche in virtù di esperienze personali. Tra le figure considerate più corrotte ci sono i politici, principalmente rappresentanti del Governo, parlamentari ed esponenti dei partiti. Il 64,3% non denuncia perché teme ripercussioni, mentre un terzo dei campani lo giudica un atto inutile perché ritiene corrotti anche i funzionari pubblici, segno di una sfiducia generalizzata. "Alcuni dati sono altamente preoccupanti - riflette Fabio Giuliani, referente di Libera in Campania - mentre su altri fronti il rapporto ci dice che stiamo andando nella giusta direzione. È prioritario lanciare una grande sfida educativa, partendo dalle politiche dell'istruzione". Per il responsabile della ricerca, Mariano Di Palma, "non si puo' affidare l'educazione alla legalità a eventi spot, all'interno di istituti scolastici che si trasformano sempre piu' in 'progettifici'. Bisogna recuperare un senso di mobilitazione civile generale e valorizzare le esperienze straordinarie presenti sui territori anche per dare una speranza per il futuro".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mar nov 13, 2018 2:46 am

'Ndrangheta, 24 arresti a Lamezia Terme. L'ex sottosegretario di Forza Italia Giuseppe Galati ai domiciliari
Lucio Musolino
12 novembre 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/1 ... ri/4758136

“Oh! Grande compare mio, ma poi sei andato a Catanzaro? Non mi hai fatto sapere niente”. “No, io poi ti avevo chiamato ed ero andato a Catanzaro… si sono andato, ci ho parlato”. “Tutto a posto, si!”. “Diciamo di si”. A parlare sono l’ex deputato di centrodestra Giuseppe “Pino” Galati e il consigliere comunale di Lamezia Terme, Luigi Muraca. La guardia di finanza li ha intercettati entrambi. Galati e Muraca, infatti, sono due delle 24 persone destinatarie dell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro.

Nelle carte dell’operazione “Quinta Bolgia” vengono definiti gli intermediari grazie ai quali le aziende legate alle cosche avevano il monopolio di molti servizi all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme. A partire da quello delle ambulanze sostitutive al servizio pubblico, ma anche delle imprese che si occupavano delle onoranze funebri, della fornitura di materiale sanitario e del trasporto sangue.

Dentro l’ospedale di Lamezia potevano lavorare solo aziende legate alla cosca Iannazzo-Daponte-Cannizzaro, riconducibili alla famiglia mafiosa Giampà, che tramite i due politici erano riusciti ad ottenere l’appalto delle ambulanze nel 2010. Un appalto per un anno che, però, senza alcun bando pubblico, è stato prorogato fino al 2017.

Tutto grazie al politico locale Luigi Muraca, consigliere comunale fino allo scioglimento per mafia avvenuto l’anno scorso, e all’ex deputato Pino Galati, parlamentare dal 1996 al 2018: candidato con la lista Noi con l’Italia al Senato, alle ultime politiche non è stato rieletto. Nella sua carriera, Galati ha ricoperto anche incarichi di governo: è stato, infatti, più volte sottosegretario quando a Palazzo Chigi sedeva Silvio Berlusconi e segretario dell’ufficio di presidente della Camera dei Deputati. Nel 2010, inoltre, è stato vicepresidente della Commissione per le questioni economiche e dello sviluppo del Consiglio d’Europa oltre che sottosegretario all’Istruzione.

Condotta dal Nucleo di polizia economico-finanziaria della guardia di finanza di Catanzaro e dallo Scico di Roma, l’indagine ha dimostrato come l’ospedale di Lamezia era di fatto occupato militarmente dalla ‘ndrangheta attraverso i gruppi Putrino e Rocca, veri e propri mattatori di appalti. Per l’accusa agivano sotto l’egida di Vincenzo Torcasio, boss dei Giampà, che in un’intercettazione conferma tutti i sospetti della procura: “Compà – dice inconsapevole di essere intercettato – Pugliese, il direttore amministrativo di Catanzaro, lo abbiamo messo noi”. Con lui c’era il consigliere Luigi Muraca e l’imprenditore Pietro Putrino che ribatte: “Ce l’ha messo Galati”. “E non lo so?” Se ce l’ha messo Pino?” “Ci chiami e gli dici che vado io domani”. “Gli dico: ‘deve andare lo zio Pietro là che deve parlare con Pugliese”. Secca la risposta del boss: “E si deve risolvere questo problema”.

Il problema alla fine è stato risolto. Come scrive la guardia di finanza: “Il gruppo Putrino ha continuato ad operare all’interno dell’ospedale di Lamezia Terme in assenza di una gara formale”. Nell’ordinanza di custodia cautelare, il gip scrive che “i due personaggi ‘politici’ sono il necessario trait d’union tra i Putrino e gli esponenti apicali dell’Asp di Catanzaro, senza il cui interessamento non sarebbe stato possibile ottenere gli illeciti vantaggi”.

Ai domiciliari sono finiti anche l’ex direttore generale del’Asp Giuseppe Perri, l’ex direttore amministrativo Giuseppe Pugliese e il responsabile del Suem 118 Elieseo Ciccone. Tutti sono accusati di numerosi episodi di abuso d’ufficio. L’intreccio tra ‘ndrangheta e sanità pubblica ha danneggiato soprattutto gli utenti dell’ospedale di Lamezia Terme dove venivano utilizzate ambulanze fatiscenti che non avevano nemmeno i requisiti tecnici per circolare. Alcuni mezzi, infatti, erano senza freni e con i motori danneggiati. Per non parlare dell’ossigeno scaduto che veniva somministrato ai malati soccorsi da personale non autorizzato e senza alcuna preparazione medica.

Grazie ad accordi corruttivi con i tre dirigenti dell’Asp catanzarese, il sodalizio criminale aveva ottenuto le certificazioni di qualità richieste per l’affidamento del servizio autoambulanze sulla base di una semplice verifica documentale, senza le necessarie operazioni di riscontro fisico dello stato dei mezzi, delle dotazioni e delle strutture aziendali. I due gruppi imprenditoriali avevano instaurato un regime di sottomissione del personale medico e paramedico. Basta pensare che le chiavi di alcuni reparti erano custodite dalle ditte mafiose e non dai medici che dovevano lavorare in quei reparti.

‘Ndrangheta, 24 arresti a Lamezia Terme. L’ex sottosegretario di Forza Italia Giuseppe Galati ai domiciliari

Per esempio, le ditte Putrino e Rocca avevano libero accesso al deposito farmaci dedicato alle urgenze del pronto soccorso, situazione questa ben nota alla dirigenza dell’azienda sanitaria. Le imprese della ‘ndrangheta, inoltre, avevano le password per accedere ai dati sensibili dei pazienti e verificare le loro condizioni di salute. Questo serviva alle imprese del clan di conoscere in anticipo quali pazienti stavano per morire in modo da poter imporre i loro servizi di onoranze funebri.

Nel corso della conferenza stampa, il procuratore Nicola Gratteri ha spiegato il coinvolgimento dell’ex parlamentare Pino Galati: “Durante le indagini abbiano ricostruito diversi incontri tra il politico e gli altri arrestati. A un certo punto si accorge di essere pedinato e a Roma denuncia che ha paura per la sua vita e quindi chiede di sapere cosa sta accadendo. Si è accorto che l’indagine la stava conducendo la guardia di finanza”. “Dall’inchiesta emerge un quadro inquietante. Si esercitavano le funzioni pubbliche in modo corrispondente agli interessi privati”, ha dichiarato il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla. “C’erano servizi – ha sottolineato il generale Alessandro Barbera, comandante dello Scico – che venivano eseguiti in maniera indegna di un paese civile”.

Sulle ambulanze fatiscenti, Gratteri non vuole sentire alibi: “Era una questione di calcolo. Loro sapevano che non avevano concorrenti quindi potevano usare anche un calesse. Questa è un’indagine che ci lascia più tristi del solito. Pensare che c’è gente spregiudicata che vive nell’agiatezza lucrando sui morti, sui funerali. C’era una sorta di racket. Imponevano la propria agenzia con il coinvolgimento di impiegati dell’ospedale che sostanzialmente regolamentavano anche i tempi di consegna del cadavere per dare tempo a queste agenzie di imporre il loro carro funebre. Questo è abbastanza triste e agghiacciante. Quando parliamo dei vertici dell’Asp, sono funzionari che non agiscono per stato di necessità. Hanno uno stipendio che gli consentiva di vivere bene e non c’è nessuna giustificazione per poter aderire a richieste seppur di gente mafiosa o borderline”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » ven nov 16, 2018 7:28 am

Gioco online, le mani delle mafie sul mercato delle scommesse: 68 arresti tra Reggio Calabria, Catania e Bari
Lucio Musolino
14 novembre 2018

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/1 ... ri/4763537

Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) coordinate dalla Dna: in carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata ma anche diversi imprenditori che di fatto erano i prestanome dei clan. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro. L'indagato al telefono: "Cerco nuovi adepti nelle migliori università mondiali, non quattro scemi che fanno bam, bam"

Avevano bisogno di “quelli che cliccano, che movimentano” i soldi facendoli transitare da un Paese all’altro senza lasciar traccia delle transazioni online, non di quelli che fanno “bam bam”, cioè di quelli che sparano. E così avevano puntato tutto sul gioco online, impadronendosi – secondo la Direzione nazionale antimafia – del mercato delle scommesse. Tutte insieme: clan della ‘ndrangheta, famiglie mafiose siciliane e pugliesi che poi puntavano all’estero per riciclare il denaro.

Oltre 60 arresti in Puglia, Calabria e Sicilia – Sessantotto arresti (13 a Catania, 22 a Bari: si tratta di esponenti legati alle famiglie storiche della criminalità organizzata) e un’ottantina di perquisizioni sono stati eseguiti stanotte dalla guardia di finanza, dalla Dia, dalla polizia e dai carabinieri. Tre inchieste, tre procure (Reggio Calabria, Bari e Catania) e centinaia di uomini impegnati nel blitz coordinato dalla Dna e dal procuratore Federico Cafiero De Raho. In sostanza le mafie si sono spartite e controllano il mercato della raccolta illecita delle scommesse on line.

Gioco online, l'intercettazione del boss: "Tu cerchi quelli che fanno 'bam, bam', io quelli che fanno 'pin, pin', che cliccano"

Volume d’affari da 4,5 miliardi di euro – Oltre all’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Bari e ai due provvedimenti di fermo eseguiti dalle Dda di Reggio Calabria e Catania, c’è stato un sequestro di beni in Italia e all’estero per oltre un miliardo di euro. Il volume delle giocate relative agli eventi sportivi, e non solo, era molto più vasto. Dalle indagini, condotte anche dallo Scico di Roma, infatti è emerso un giro d’affari superiore ai 4,5 miliardi di euro.

Imprenditori e prestanome – In carcere sono finiti importanti esponenti della criminalità organizzata pugliese, reggina e catanese. Ma anche diversi imprenditori che, stando alla ricostruzione degli inquirenti, di fatto erano i prestanome dei clan. Le tre procure contestano i reati di associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, autoriclaggio, illecita raccolta di scommesse on line e fraudolenta sottrazione ai prelievi fiscali dei relativi guadagni. In Calabria, in Sicilia e in Puglia il sistema è pressoché lo stesso: seguendo il percorso del denaro utilizzato per scommettere su internet, la guardia di finanza è riuscita a ricostruire come i gruppi criminali coinvolti nell’inchiesta si sono spartiti e controllavano, con modalità mafiose, il mercato delle scommesse clandestine on line.

I sequestri da Malta a Curacao – Il tutto utilizzando diverse piattaforme gestite dalle stesse organizzazioni. I soldi, accumulati illegalmente, venivano poi reinvestiti in patrimoni immobiliari e posizioni finanziarie all’estero intestati a persone, fondazioni e società, tutte ovviamente schermate grazie alla complicità di diversi prestanome. E proprio per rintracciare il patrimonio accumulato ed effettuare i sequestri è stata fondamentale la collaborazione di Eurojust e delle autorità giudiziarie di Austria, Svizzera, Regno Unito, Isola di Man, Paesi Bassi, Curacao, Serbia, Albania, Spagna e Malta.

Le giovani leve dei “teganini” – Nel corso di una conferenza stampa che si terrà stamattina a Roma, nella sede della Dna, saranno illustrati i dettagli delle tre operazioni che, per quanto riguarda la ‘ndrangheta, sono state coordinate dal procuratore Giovanni Bombardieri e dai sostituti della Dda Stefano Musolino e Sara Amerio. Il provvedimento di fermo ha riguardato anche le giovani “leve” delle cosche. In particolare, nel provvedimento di fermo sono finiti alcuni dei “teganini”, i figli dei boss Tegano che, assieme ai De Stefano e i Condello, hanno fatto la storia criminale della città dello Stretto.

Il ruolo dei “teganini” – Tra i destinatari del provvedimento di fermo c’è Domenico Tegano, detto “Mico”, figlio del boss ergastolano don Pasquale. Quest’ultimo dopo anni di latitanza era stato catturato nel 2004 e, da allora, è detenuto al 41 bis nel carcere di Spoleto perché ritenuto dagli inquirenti un “elemento verticistico della cosca”. Mico Tegano è il suo primogenito e, secondo gli investigatori, ha un carisma “fuori dal comune”. Fino a ieri erano conosciuti in città per aver terrorizzato la movida reggina con risse, estorsioni, spaccio di cocaina e controllo quasi militare dei lidi sul lungomare di Reggio. Oltre alle tradizionali attività criminali, però, il rampollo si occupava di scommesse e da anni è solito recarsi anche all’estero. Di Mico Tegano ne ha parlato anche il collaboratore Mariolino Gennaro che, prima di pentirsi, era l’uomo della cosca che, da Malta, gestiva gli affari legati alle scommesse online.

L’esuberanza dei “baby boss” – Il pentito ha raccontato al pm Musolino di quando Mico Tegano ha piazzato una bomba in una delle sue sale giochi solo perché si era rifiutato di dare dei soldi al figlio del boss intanto cresciuto e a capo di un “un gruppo malavitoso di 40 persone tutti facenti parte della zona di Archi”. I Teganini appunto che, nell’ultimo periodo, hanno creato non pochi problemi a Reggio Calabria. Un paio d’anni fa sono arrivati ad aggredire anche due poliziotti intervenuti a sedare una rissa. Proprio per l’esuberanza dei baby boss, con le altre cosche si sono registrate frizioni che, in determinati momenti, stavano per degenerare. Approfittando del fatto che i mammasantissima sono tutti, o quasi, in carcere, i “teganini” stavano cercando di ridiscutere gli accordi sulle estorsioni e non sono mancate le intimidazioni e i danneggiamenti anche ad esponenti storici della ‘ndrangheta reggina.

L’inchiesta del 2015 e gli “adepti” – L’operazione di oggi quindi prende le mosse dall’inchiesta “Gambling” che nel 2015 aveva portato all’arresto di Mario Gennaro. Le sue dichiarazioni ai magistrati avevano confermato i sospetti della Dda di Reggio Calabria sull’interessamento della ‘ndrangheta nel settore delle scommesse. Già nelle intercettazioni dell’epoca gli indagati parlavano di “pennette” e “percentuali nelle scommesse”. La collaborazione del pentito Gennaro, che dal pm Sara Amerio in un interrogatorio è stato definito “la rappresentazione vivente della ‘ndrangheta unitaria”, si è rivelata fondamentale per riscontrare quello che il pm Stefano Musolino e la guardia di finanza avevano già scoperto in quegli anni e che può essere sintetizzato in un’intercettazione finita agli atti dell’inchiesta. Una conversazione tra indagati in cui uno di loro spiega la nuova frontiera delle cosche: “Io cerco i nuovi adepti nelle migliori università mondiali e tu vai ancora alla ricerca di quattro scemi in mezzo alla strada che vanno a fare così.. Bam, bam!!. Io cerco quelli che fanno così, invece: Pin, pin!! Che cliccano! Quelli cliccano e movimentano… È tutta una questione di indice, capito?”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio dic 06, 2018 9:43 pm

Più di 80 arresti in 100 giorni, nella Capitanata della 'Quarta mafia' dove "è in atto un vero intervento
03 dicembre 2018 13:47

https://www.foggiatoday.it/cronaca/arre ... anari.html

Così facevano affari Francesco Pio Pacilli, figlio di Giuseppe Pacilli, e Libero Caputo, ritenuti dagli inquirenti al vertice dell'organizzazione. "Il loro ruolo - spiega il capo della mobile, Roberto Pititto - era acquistare all'ingrosso grossi quantitativi di stupefacente. C'era un accordo: acquistavano droga dal Clan dei Montanari in cambio del monopolio". "Dall'operazione "Agosto di fuoco" sono 80 e passa gli arresti effettuati: diciamo che è in atto un intervento di sistema, di cui la polizia fa parte, diretto al ripristino della legalità di tutta la provincia sul piano preventivo, amministrativo e giudiziario, amministrativo", chiosa il questore Mario Della Cioppa | IL VIDEO

https://www.quotidiano.net/cronaca/vide ... -1.4329831
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom dic 09, 2018 9:13 am

Castellammare: falò dell'Immacolata, la camorra avverte i pentiti
Sulla pira che è stata bruciata stanotte compare uno striscione "Così devono morire i pentiti" e un manichino. Indaga la polizia
08 dicembre 2018

https://napoli.repubblica.it/cronaca/20 ... XjpEtGXlaw

"Cosi devono morire i pentiti abbruciati" è la scritta che accompagna un manichino su uno dei falò nei quartieri della periferia di Castellammare.
Prima il messaggio poi i fuochi nel quartiere dell'Aranciata Faito, periferia di Castellammare di Stabia, nel napoletano.
L'inquietante intimidazione apparsa nella notte è stata ripresa in un video. E la foto choc ha fatto immediatamente il giro dei social, rilanciata dal sito di informazione ilcorrierino.com

Castellammare, striscione sul falò dell'Immacolata: "Cosi devono morire i pentiti "
https://www.repstatic.it/video/photo/20 ... _81218.jpg

A Castellammare di Stabia la notte tra il 7 e l'8 dicembre nei quartieri della città si accendono falò, ma da molti anni ormai la tradizione religiosa è stata sostituita da una folle caccia alla legna che porta spesso a tagliare alberi, innescando una una gara tra chi fa il fuoco più grande, competizione dietro la quale i clan giocano un ruolo importante anche alla luce dell'inquietante episodio di questa notte.

L'episodio nel quartiere Aranciata Faito davanti a una folle festante che ha anche assistito all'esplosione di fuochi d'artificio. Indaga la polizia. A quanto si apprende, in diverse roccaforti della camorra sono stati appiccati altri falò.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

PrecedenteProssimo

Torna a Ençeveltà tałega, straji, połedega, caste, corusion

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 2 ospiti

cron