Mafie e briganti teroneghi

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:09 am

Sicania o Siçiłia (ladri e parasidi)
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SICILIA: IL RECORD DELLA VERGOGNA! SARA’ LA PRIMA REGIONE A DICHIARARE “DEFAULT”? HANNO FATTO I CONTI: ECCO A QUANTO AMMONTA IL DEBITO COMPLESSIVO
http://www.grandecocomero.com/sicilia-d ... nto-banche

Oltre 7,5 miliardi di euro: Sicilia verso il default
Il resoconto dei debiti contratti dall’esecutivo regionale negli anni è allarmante: la Sicilia è a un passo dal default tecnico

Ammonta a 7 miliardi 525 milioni e 547mila euro lo stock del debito complessivo contratto dalla Regione siciliana con gli istituti di credito.

Un allarmante resoconto dei debiti contratti dall’esecutivo regionale negli anni piomba addosso alla Giunta e all’assemblea regionale proprio quando si trovano alle prese con le intricatissime questioni della legge di stabilità e soprattutto con il bilancio che il governatoreRosario Crocetta non si è ancora degnato di presentare anche se manca poco alla conclusione dell’esercizio provvisorio fissata per fine mese.

Quelli che gravano sulla Regione siciliana sono mutui accesi nel passato. Al 31 dicembre 2013 il debito si aggirava sui 5 miliardi. Successivamente, nel novembre 2014 per finanziare la spesa corrente è stato necessario un indebitamento per 606 milioni 97mila euro. L’ultimo finanziamento è stato contratto per saldare il debito della pubblica amministrazione con le imprese nel settore sanitario: un ulteriore debito da un miliardo 776 milioni 547 mila euro. A questo punto la Regione siciliana potrebbe essere costretta a contrarre un nuovo mutuo per portare il bilancio al pareggio, se le trattative con Roma, dalla quale la Sicilia attende le principali risorse a copertura del documento contabile, non dovessero nelle prossime ore andare in porto.

Oggi le opposizioni all’assemblea regionale hanno chiesto a Crocetta “un’operazione trasparenza” invitandolo a riferire in Aula sullo stato reale dei conti pubblici e dichiarare se la Sicilia sia o meno in default tecnico.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:13 am

Casta ogneversedara e i baroni
viewtopic.php?f=22&t=231


L’università è dominata dai baroni? No - Il Fatto Quotidiano
Fabio Sabatini
Ricercatore in Economia politica
19 marzo 2015

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03 ... no/1516424

Da qualche giorno è molto popolare sui social un’intervista dal titolo: “Università, altro che merito. E’ tutto truccato” pubblicata su l’Espresso. L’intervistato è Matteo Fini, ricercatore in “Metodi quantitativi per l’economia”, che ha scritto un libro sui mali dell’università. Il giornalista de l’Espresso lascia intendere che il libro sia talmente scomodo che qualcuno ne sta osteggiando la pubblicazione, al punto che non si sa se lo scandaloso testo vedrà mai la luce.

Premesso che il libro – di cui pare si trovino alcuni stralci solo su Facebook – potrebbe essere ben altra cosa, l’intervista disegna un ritratto caricaturale e superficiale dell’università italiana del quale è bene diffidare. Vediamo perché.

Il pezzo inizia descrivendo l’accesso all’università. Un professore che ti coopta in un dottorato e l’ingresso in un sistema “che non puoi cambiare, immutabile”, in cui sai “che la tua carriera è totalmente indipendente da quello che dici o che fai: conta solamente che qualcuno voglia spingerti avanti”.

Certamente esistono atenei e settori in cui funziona così. Certamente ne esistono altri in cui la possibilità di fare carriera indipendentemente dal merito, da “quello che fai”, è sempre più rara. In economia politica, materia assai vicina alle competenze dell’intervistato (che dunque dovrebbe conoscerne le pratiche), “quello che fai” conta più di ogni altra cosa. La ricerca insomma. Se non fai ricerca e non mostri di saper contribuire al dibattito scientifico internazionale, la carriera per te sarà molto difficile.

Naturalmente esistono ancora casi di concorsi pilotati. Ma siamo sicuri che facciano parte di un sistema che non si può cambiare? Sì che si può, e le esperienze di SECS in the Cities che abbiamo raccontato qui sul mio blog su ilfattoquoidiano.it lo hanno dimostrato.

Esistono nuove generazioni di ricercatori precari e non, e soprattutto di professori, che non hanno alcuna intenzione di perpetuare le pratiche medievali descritte nell’articolo, e che gestiscono la didattica, la ricerca e il reclutamento nella più totale trasparenza. Insomma no, il “sistema” non è granitico né immutabile.

L’autore però rincara la dose. Dichiara di aver avuto un protettore che, dopo averlo sfruttato fino all’osso, è scomparso improvvisamente. Così il concorso “che avrei dovuto vincere io” va in fumo. Lo vince qualcun altro. La prima cosa che ci si domanda è: perché quel concorso avrebbe dovuto vincerlo lui? C’era un accordo privato in tal senso? Era un candidato così eccellente che nessun altro avrebbe potuto competere con lui?

Sempre nel virgolettato il ricercatore afferma che quel concorso avrebbe assegnato “il posto a cui lavoravo da otto stagioni”. In che modo si lavora a uno specifico concorso? Nel nostro mestiere per avere la pretesa di vincere un concorso bisogna fare soprattutto una cosa: ricerca. Scrivere, scrivere, scrivere. Presentare i propri lavori a conferenze. E pubblicarli su riviste scientifiche. Erano così tante e buone le pubblicazioni del candidato da giustificare la sensazione che il posto fosse “suo”? Uno sguardo ai suoi profili su ResearchGate e su Ideas, il più importante database online di articoli e working paper di economia e statistica, suggerisce il contrario.

Dalla sua esperienza specifica, l’autore del libro sembra poi trarre conclusioni piuttosto generali: “In Italia, prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura per farlo vincere. Anche per un semplice assegno di ricerca. All’università è tutto truccato”. Allora, intendiamoci: questo succede, certo che succede, e non lo denunceremo mai abbastanza. I lettori di questo blog sanno che denunciare i casi in cui prima si sceglie un vincitore e poi si bandisce un concorso su misura è stata a lungo un’occupazione importante per me e alcuni coraggiosi compagni di viaggio. Ma che sia tutto truccato è falso.

Nell’intervista si offre un racconto dettagliato di un concorso per borse di studio che Fini ha perduto contro candidati appena laureati ed evidentemente meno titolati di lui, già in possesso, invece, del titolo di dottore di ricerca. Non stento a credere che il caso specifico sia stato scandaloso, ma in linea di principio che una borsa di studio non venga assegnata al candidato con più titoli è assolutamente normale, ed è sbagliato farne oggetto di scandalo a beneficio dei media. Le borse di studio e gli assegni di ricerca – non i concorsi da ricercatore, si badi bene – servono – allo svolgimento di progetti specifici, per i quali sono inevitabilmente richieste competenze specifiche. Se ho bisogno della collaborazione di uno statistico che svolga un certo tipo di analisi dei dati, è necessario che assegni la borsa a chi sa fare quel tipo di analisi, anche se è “soltanto” laureato, anziché a un dottore di ricerca che magari sa fare solo analisi di tipo completamente diverso.

È ora di smetterla di piangersi addosso e di raccontare al pubblico che l’università è un fortino inespugnabile militarmente occupato dai baroni e dalle loro legioni di portaborse. Esiste una quota sempre più ampia di accademici che fanno le cose per bene, che vincono fondi di ricerca internazionali, che partecipano al dibattito scientifico internazionale con ricerche di altissimo livello, che pubblicano sulle più importanti riviste del mondo, e che selezionano le nuove leve di ricercatori solo in base al merito. Che non sfruttano dottorandi e assegnisti per la didattica e che mettono a disposizione il loro materiale didattico gratuitamente, anziché lucrarci sopra con la complicità di case editrici compiacenti. Non so se tale quota di bravi docenti comprenda il dieci, il cinquanta, o l’ottanta per cento degli accademici italiani. So però che sono questi i docenti che vanno presi come punto di riferimento da chi voglia iniziare la carriera accademica.

I giovani ricercatori devono sapere che non è inevitabile diventare servi della gleba, “prendere o lasciare” come suggerisce Fini. Si può scegliere, invece, tra due modi di fare carriera. Servire fedelmente un protettore, e rimanerne schiavo tutta la vita nella speranza che questi abbia un giorno la voglia e il potere di ricambiare la fedeltà con l’assegnazione di un posto pubblico. Questo modo non solo non è onesto ma è anche più rischioso, perché i soldi – e i posti, di conseguenza – sono sempre meno, e il protettore nella maggior parte dei casi non ha il potere che millanta di avere. Millanta perché ne ha bisogno, perché è l’unico modo di ottenere servizi (didattica, ricerca, commissioni varie) a costo zero da giovani ricercatori precari e vulnerabili. Di solito dopo un po’ di tempo (e di lavoro gratuito) tali protettori scompaiono nel nulla lasciando l’allievo in mutande, come mostra l’esperienza di Fini.

Oppure si può scegliere un’alternativa meno rischiosa, forse più faticosa ma foriera di qualche soddisfazione. Cercare il proprio supervisor tra i tanti accademici corretti che non sfruttano i loro allievi e che, invece, sono in grado di insegnare come si partecipa al dibattito scientifico internazionale. Senza aspettarsi di essere premiati con la manipolazione di un concorso pubblico a proprio favore. Il premio sarà, invece, un cv più ricco, col quale ci si costruirà una reputazione internazionale e si potrà partecipare con qualche speranza di vincere a più di un concorso. Di accademici che si sono formati così ne conosco tanti. Non perché sia particolarmente selettivo nelle amicizie, ma perché sono proprio tanti.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:20 am

I lavoratori che si ammalano di più? I Calabresi (nel 2011)
http://www.lindipendenza.com/i-lavorato ... -calabresi


Ad esempio, se la bandiera nera tra gli assenteisti appartiene alla Calabria, la classifica regionale colloca la Dati alla mano, i calabresi sono i più cagionevoli di salute. E’ quanto emerge dalla maxi ricerca dell’Inps, che ha estrapolato dati interessanti dai certificati di malattia giunti nel 2011 dal settore pubblico e privato. Dimostrando come la Calabria sia la regione dove i dipendenti si ammalano di più: 24,5 giorni all’anno per i dipendenti privati, 20 per quelli pubblici.

La ricerca è stata possibile grazie al sistema di teletrasmissione dei certificati di malattia, introdotto nellaFinanziaria del 2004 ma operativo soltanto nel 2010 con il “Collegato Lavoro”, che ha permesso di incanalare in un unico database 11milioni e 714 mila certificati medici per il settore privato con i 4 milioni e 705 mila provenienti dalla pubblica amministrazione. E i dati che ne sono venuti fuori sono molto interessanti.
Lombardia al primo posto, con il 20% dei certificati medici trasmessi nel 2011.

I dati pervenuti da ogni regione hanno poi permesso all’Inps di rendere il rapporto ancora più settoriale, andando ad esempio a suddividere le assenze in base al numero dei dipendenti di un’azienda o ancora suddividendo le assenze tra settore pubblico e privato e tra tipologie di contratto.
Nel primo caso, i dati dimostrano come le piccole aziende – fino a 5 dipendenti – abbiano un minor numero di assenti per malattia (1,5% all’anno) dovuto sicuramente ai maggiori controlli, mentre (sempre in base ai certificati pervenuti nel settore privato) i lavoratori con contratto a tempo indeterminato si ammalano 3 giorni in più rispetto a quelli con contratti a tempo determinato o a progetto: 17,8 giorni per i primi, 14,8 per i secondi.
Per quanto riguarda il discorso più generico di certificati di malattia giunti dal settore privato o da quello pubblico, è necessario intanto dire che non è possibile fare alcun tipo di comparazione con gli anni precedenti, essendo la prima volta che l’Inps ha in mano materiale per elaborare questi dati. Si può comunque dire che la media annua di assenze per malattie va dalle 17 giornate per il settore privato e 15,6 per i dipendenti della PA. Sempre nel settore pubblico, il record lo detengono ledonne tra i 40 e i 59 anni, con 2,4 volte in media pro capite; buona la salute dei giovani, con 1,2% di assenze nel pubblico e 1,5% nel privato per i giovani fino a 19 anni.

Una buona media, se affiancata agli altri dati europei: uno studio effettuato da Lusinyan e Bonato per il Fondo Monetario Internazionale ha dimostrato che sono i paesi scandinavi a detenere il record di assenteismo sul posto di lavoro. Calcolando il rapporto tra ore di malattia e ore contrattuali è emerso che l’Italia ha una percentuale inferiore di ore di malattia all’anno, con meno del 2%, mentre Svezia, Norvegia, Francia e Germania detengono rispettivamente il 6, il 5.5, il 3 e 2.5 per cento.

Un capitolo a parte del report riguarda gli stranieri: i dati dell’Istituto rivelano una salute di ferro nei filippini, con solo 11,5 giorni di malattia nel 2011, mentre egiziani ed egiziane si ammalano di più, con 22,6 giorni in media per gli uomini e 24,5 giorni per le donne.
C’è infine un dato curioso, riguardante il giorno della settimana in cui ci si “ammala” di più. E’ il lunedì, giorno di fuoco dopo il relax del week end, che mette a letto il 32% dei privati e il 28% dei pubblici. Migliorano le condizioni di salute nei giorni successivi e svaniscono, non a caso, la domenica.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:34 am

Caporałà

Caporalato
https://it.wikipedia.org/wiki/Caporalato
Il fenomeno è molto diffuso in Italia soprattutto nel mezzogiorno. Il caporalato è spesso collegato ad organizzazioni malavitose.
Esso generalmente trova grande riscontro nelle fasce più deboli e disagiate della popolazione, ad esempio tra i lavoratori immigrati (come gli extracomunitari).
Anche il Nord non è da meno (???), ogni anno infatti a Milano con l'avvicinarsi del Salone del Mobile, Rho diventa la maggior piazza del caporalato in città. Lo sfruttamento della manodopera a basso costo in agricoltura è prassi diffusa non solo nelle regioni del Sud, ma anche in Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Lombardia e provincia di Bolzano (???).
Aiutarsi tra famigliari, tra aziende agricole famigliari e tra paesi non è caporalato, anche se questo aiuto non comprende i contributi all'INPS e la tassazione che creerebbero grossi problemi alla sopravviovenza di questa economia.


Caporałà tałego o tałian
https://docs.google.com/file/d/0B_VoBnR ... RrUm8/edit
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:34 am

False pension de envałedetà


Falsi invalidi, la lotta alle frodi è in salita. Inps: “Risparmi marginali, se non virtuali”
Il Fatto Quotidiano
di Thomas Mackinson | 18 aprile 2014


http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04 ... ali/956672

Cottarelli rilancia la battaglia su truffe e indebite percezioni puntando a 400 milioni di risparmi in due anni. Ma negli ultimi cinque i risultati sono stati modesti: nel 2012 gli indagati e arrestati per truffa erano lo 0,06% degli aventi diritto, lo Stato ha recuperato 170milioni, ma 110 sono stati spesi per le verifiche. Così l'Inps smorza l'entusiasmo del governo, mentre le associazioni contestano le analisi del commissario

Falsi invalidi e veri risparmi. Il commissario Carlo Cottarelli non ha dubbi, c’è ancora molto da fare. Da questa partita si possono ottenere ancora importanti risparmi, almeno 400 milioni nel giro di due anni. E per dimostrarlo ha allegato alla relazione sulla spending review un grafico che testimonia la guerra silenziosa che sembra aver colpito l’Italia, senza scontri né morti. Solo un esercito di feriti e malati certificati nei bilanci dell’Inps: i beneficiari sono ormai 2,7 milioni di persone e una prestazione su otto è di invalidità. Gli assegni staccati valgono 16,6 miliardi di euro, oltre il 6% dell’intera spesa pensionistica italiana. L’equivalente di una manovra finanziaria.

I dati di Cottarelli rilevano anche una “distribuzione territoriale squilibrata che suggerisce abusi”. Sardegna,Calabria e Campania registrano infatti il doppio delle erogazioni rispetto a Piemonte e Veneto.

Questo il quadro generale che ha indotto il commissario a proseguire la campagna di controlli straordinari che da cinque anni il Parlamento affida all’Inps. Con alcune incognite di fondo. Nessuno, infatti, è in grado di quantificare esattamente i “falsi invalidi” e di prevedere i risparmi conseguenti alla revoca e alla restituzione delle somme indebitamente percepite.

I DUBBI DELL’INPS E I CONTROLLI EFFETTUATI – Neppure l’Inps, che pure eroga le pensioni e da sei anni procede alla verifica dei requisiti sembra avere i numeri. A spiegarlo è stato poche settimane fa il commissario straordinario dell’Inps ché è poi l’ente che eroga, gestisce e controlla l’intera materia. Vittorio Conti è intervenuto alla Commissione parlamentare di vigilanza sugli enti previdenziali ridimensionando così la portata del piano e le aspettative del governo: “Non contate troppo sulle pensioni di invalidità e neppure sulla possibilità di legare l’assegno di accompagnamento al reddito. In entrambi i casi i risparmi sarebbero marginali, per non dire virtuali”.

Il perché è presto detto. Dal 2008 e fino al 2013, su impulso del Parlamento, l’ente ha effettuato campagne straordinarie di controllo passando al setaccio quasi un milione di posizioni, oltre un terzo della platea degli assegnatari. Ne sono state revocate quasi 100mila, in pratica una su otto. Sono tutti falsi invalidi? No. Tocca infatti dividere il grano dal loglio, cioè le invalidità revocate per aggiornamento/perdita dei requisiti (74% di invalidità) dalle truffe vere e proprie. Insomma, i dati diffusi confermano il fenomeno ma sono da prendere con le pinze. Perché a volte vengono perfino smentiti. Nel 2009, ad esempio, a fronte di roboanti risultati presentati da Tremonti fu proprio l’Inps a ridimensionare le cifre che risultavano gonfiate per alcune regioni, come la Sardegna. La stessa Corte dei Conti, nell’analisi sull’attività dell’ente nel 2009, ammetteva poi che su 17 mila prestazioni revocate (11%), una parte consistente, circa 6mila, riguardavano persone che non si erano presentate alla visita. E tra queste anche quelle che erano decedute. Numeri meno equivoci, ma anche meno ottimistici, li fornisce la Guardia di Finanza: dall’inizio del 2010 al giugno 2013 le persone indagate per false invalidità sono state 1.439, quelle arrestate per truffa 301. Sono tante o poche? Se rapportate alla platea dei percettori sono lo 0,06% delle persone che in Italia ricevono uno o più assegni/pensioni/indennità legate all’invalidità civile. Di un mese fa il dato 2013: in un anno la Gdf ha controllato 25mila posizioni, quelle denunciate per truffa perché beneficiarie di indebite percezioni d’invalidità sono state 389 cioè l’1,5% del totale mentre i falsi poveri (altra partita, per ora non considerata da Cottarelli) sono risultati 3.400.

C’E’ UNA STIMA DEI RISPARMI, MA… – E i risparmi conseguenti? I comunicati della Gdf riportano una stima del danno per le casse pubbliche (Inps) pari a 23 milioni, senza distinguere però le due categorie, falsi poveri e falsi invalidi. Ill dettaglio sul numero effettivo dei veri-falsi-invalidi sfugge ancora una volta. Un altro dato lo fornisce poi la Corte dei Conti: nel 2012 ha calcolato che dalla revoca di 39mila invalidità sono conseguiti allo Stato risparmi per 170 milioni. Tutti risparmi? Non proprio. Perché la caccia ai furbi ha anche un costo.

Per far fronte ai piani straordinari di controllo affidati all’Inps su indicazione del Parlamento i 500 medici in forza all’ente non sono bastati in questi anni per dar seguito ai vari piani di controllo. Così ha dovuto impiegare risorse altrettanto straordinarie: oltre un migliaio di ausiliari convenzionati che costeranno 110 milioni di euro in quattro anni (vedi ultima riga della tabella). Il rapporto costi-benefici, sul piano dei conti, non è dunque così scontato e lineare. Il contenzioso aggiunge ulteriori margini d’incertezza: l’ultima relazione della Corte dei Conti segnala che nel 2012 l’ente è stato soccombente nel 60% delle controversie sulle invalidità revocate.

LE ASPETTATIVE DEL GOVERNO – Nelle “slide” di Cottarelli tre righe sono dedicate a 1,5 miliardi di risparmi che si potrebbero ottenere nel giro di tre anni da una stretta sulla spesa previdenziale e assistenziale. Sotto la categoria “Riduzioni trasferimenti inefficienti” compaiono la “Prova reddito per indennità accompagno” e “Abusi pensioni di invalidità”: il risparmio previsto è per entrambi pari a zero per il 2014, mentre per il 2015 e il 2016 si prevede un rientro di 0,1 e 0,2 miliardi da entrambe le voci (per un risparmio complessivo di 0.6 miliardi in due anni). Sotto la categoria “spese settori”, compaiono invece sia la “Revisione pensioni di guerra (per un risparmio di 0,2 miliardi già nel 2014, e di 0,3 nel 2015 e 2016), sia le “Pensioni reversibilità” (nessun risparmio nel 2014 e 2015, ma con un rientro di 0,1 miliari nel 2016). Complessivamente, quindi, si parla di un rientro di 1,5 miliardi tra invalidità, indennità di accompagno, pensioni di guerra e reversibilità. L’idea di ritoccare le pensioni alle porte delle europee ha fatto però tirare il freno a mano alla maggioranza e l’unico intervento confermato oggi è quello sugli “abusi”.

A fronte di questi dati, della platea ormai ristretta delle posizioni da verificare, ulteriori controlli avrebbero effetti positivi sul piano dell’equità del sistema e della legalità, ma modesti su quello dei conti. Non meno problematica è, infatti, l’opzione di vincolare il cosiddetto “accompagno” al reddito dei beneficiari sotto i 30mila euro o al reddito familiare inferiore ai 45 mila. I titolari sono invalidi civili totali che non sono in grado di deambulare autonomamente o senza l’aiuto di un accompagnatore. Al 1 gennaio 2012 erano 1.892.245 e il beneficio è indipendente dalla condizione economica. Percepiscono 499,27 euro per 12 mensilità e secondo il piano Cottarelli vincolarle al reddito di 30mila euro consentirebbe risparmi per 100 milioni nel 2015, il doppio nel 2016, applicando la misura solo alle nuove pensioni. Ma avverte Conti: visto il livello di prestazioni e servizi offerti alle famiglie con disabili a carico ritoccare questa voce rischia di essere una scelta politica molto impopolare, in alcuni casi iniqua. In altre parole, una polveriera sociale. E così rischiano di saltare altre due righe del piano Cottarelli che si proponeva di portare alle casse dello Stato 34 miliardi entro il 2016.

LE CONTESTAZIONI DELLE ASSOCIAZIONI DEI DISABILI – Le associazioni dei disabili, del resto, contestano la fondatezza del piano Cottarelli e sono già sul piede di guerra. Temono, non proprio a torto, che la nuova caccia ai falsi invalidi possa danneggiare quelli veri, rendendoli sempre più vittima del pregiudizio e determinando un’ulteriore criminalizzazione della spesa sociale, considerata un costo insostenibile o peggio ingiustificato. “I grandi casi di abuso vengono scoperti dalle Forze dell’ordine, non dalle commissioni”, ricorda però Carlo Francescutti, esperto di valutazione e classificazione internazionale delle disabilità, dirigente sanitario in Friuli Venezia Giulia e membro dell’Osservatorio nazionale sulla disabilità. “E’ scoraggiante e deludente – sottolinea – vedere riproposto un sistema di controlli straordinari che ha già ampiamente dimostrato la sua inutilità. E il paradosso è che i falsi invalidi sono stati certificati da commissioni medico legali: quelle stesse a cui poi affidiamo i piani di controllo. E’ forse il quinto governo che ritiene questa la via maestra per risolvere il problema delle risorse, nonostante i controlli straordinari costino più della quota eventuale di risparmio”.

C’è un altro rischio nell’operazione. Che la campagna contro i falsi invalidi porti consenso ma finisca per distrarre l’attenzione dal vero terreno di coltura del fenomeno: la criminalità organizzata, la politica, la burocrazia. Gli invalidi, veri o presunti, non si certificano da soli: dietro la fabbrica dei falsi si nascondono medici conniventi e interessi economici/clientelari enormi. Per stanarli, questo il punto, servono più forze dell’ordine, più ispettori sanitari, impiegati amministrativi e funzionari statali. Esattamente l’opposto di quanto si prefigge il piano Cottarelli con la previsione di 85mila esuberi nella PA nei prossimi tre anni. E chi controllerà sulle future generazioni di falsi invalidi? Il commissario dell’INPS nel presentare il piano industriale 2014-16 alla Commissione parlamentare di controllo sugli enti previdenziali, ha fatto presente anche le emergenze interne. L’accorpamento con l’Inpdap, si sa, ne ha massacrato il bilancio (12 miliardi in rosso) i tagli lineari della spending review di Monti hanno tagliato gli organici. Nel piano si stima un fabbisogno di 2.500 unità ad alta professionalità per i prossimi tre anni: ne arriveranno solo 500. “La situazione è al limite – si legge nel rapporto del commissario – non ci sono ulteriori margini per tagli alla spesa e al personale senza incidere sui livelli di servizio per la cittadinanza”. Caccia ai falsi invalidi compresa.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 8:54 am

Il business e la corruzione dell’antimafia in Sicilia
Martedì 15 Settembre 2015

http://www.infoaut.org/index.php/blog/v ... in-sicilia

Lo ammettiamo. Un po' ci piace. Lo sappiamo. Sappiamo che non è direttamente “cosa nostra”; sappiamo che trattasi di riequilibri tutti interni alle gerarchie del potere. Però un po' ci piace. Nonostante non riguardi direttamente lotte e conflitti, movimenti o insorgenze, raccontarvi di questi fatti, quelli di “casa loro”, pensiamo sia utile; anche un po' divertente, certamente emblematico, probabilmente paradossale.

Parliamo qui dell'ennesimo presunto scandalo riguardante il conclamato, trasversale, “variegato” mondo dell'Antimafia siciliana: croce e delizia della cosiddetta “società civile” abitante i nostri territori. Partiamo dalla fine: tre giudici sotto inchiesta insieme ad alcuni “professionisti” (avvocati, consulenti, imprenditori); un palazzo di giustizia che dovrebbe essere il simbolo della lotta alle mafie, quello di Palermo, ancora una volta in preda alle convulsioni dovute al suo essere pienamente interno ai sommovimenti di potere e dunque sempre precario alla prova dello scontro endogeno tra interessi diversi e contrapposti.

Nello specifico. Già da settimane si vociferava di una presunta indagine (resa pubblica da Il Messaggero) della Procura di Caltanissetta rispetto ad alcune “anomalie” registrate nella gestione pubblica dei beni confiscati alla mafia; parliamo, per intenderci, di quella che alcuni giornalisti locali hanno definito la maggiore holding italiana composta da più di 1500 aziende confiscate (valore stimato intorno ai 30 miliardi di euro), case e terreni agricoli e beni mobili per un valore di svariati miliardi. Ebbene, il magistrato a capo del Servizio Misure Preventive del Tribunale di Palermo, altri due giudici, più vari storici amministratori , consulenti e liquidatori, sono oggi sotto inchiesta con varie accuse che vanno dalla corruzione all'induzione alla concussione passando per l'abuso di ufficio. Li si accusa di avere messo in piedi un sistema che, sfruttando l'assetto “fiduciario” del rapporto di “nomina” manageriale (non esistono criteri univoci per l'assegnazione di incarichi, infatti), ha fatto della fase della “confisca” del bene (prima che questo passi sotto l'egida politica dell'Agenzia nazionale e delle Agenzie regionali) un vero e proprio buisness capace di fruttare milioni di euro tra tangenti, stipendi, onorari per le consulenze, regalìe di vario genere. Insomma un sistema clientelare che, se non riguardasse l'attività di magistrati molto rinomati nel territorio palermitano, in molti non esiterebbero a chiamare mafioso. E questo sarebbe motivo di grande imbarazzo per tutto il mondo della giustizia siciliana e nazionale - le persone coinvolte sono ex membri del Csm, ex sottosegretari, ex prefetti. Quindi meglio provare a farlo passare mediaticamente come indagini su isolati casi di corruzione frutto della devianza di un magistrato, la Saguto, colpevole (presunta) di ingordigia nonostante mesi fa fosse etichettata come “nemica delle cosche” e quindi “a rischio” da una nota dei servizi segreti che identificava in lei un potenziale obiettivo delle criminalità organizzate. Oggi, invece, si delinea un quadro all'interno del quale, questa alta rappresentante delle istituzioni, si presenta a capo di un sistema organizzato atto a “spartire” beni e imprese a professionisti che già amministrano altre imprese confiscate o che, magari, erano già nei consigli di amministrazione delle stesse imprese prima che queste venissero sequestrate e confiscate. Con il risultato di creare un'enorme concentrazione di potere e capitali nelle mani di pochissimi noti. Questi, in cambio, hanno offerto per anni posti di lavoro come consulenti, liquidatori, curatori ad amici e parenti degli stessi giudici del Collegio palermitano incriminato.

A fronte di quella che alcuni cronisti locali definiscono “una bomba che fa tremare dalle fondamenta il Tribunale di Palermo” quali sono le reazioni sociali?

Come al solito Palermo si presenta di fronte questa vicenda con un duplice atteggiamento sociale: da un lato quelli della “scoperta dell'acqua calda”; dall'altro quelli indignati dal quel “malcostume” chiamato “corruzione”. I primi sono coloro i quali hanno sempre saputo come funziona il meccanismo della confisca e dell'affidamento da parte dei magistrati (meglio, dei giudici) che si occupano di simili questioni: costoro non sono né giornalisti illuminati né gli storici attivisti antimafia siciliani. Sono coloro i quali o per vicinanza, o per prossimità, o per internità, hanno conosciuto da vicino le sorti di questi beni vedendo rincorrersi sempre le stesse facce, sempre le stesse firme, sempre gli stessi interessi attorno i vari atti di confisca. Sono le persone che – o perché hanno interessi contrapposti, o che più comunemente guardano a queste dinamiche con indifferenza – hanno sempre saputo guardare alle potenzialità economiche di profitto generate dalla politica speciale chiamata “lotta alla mafia”. Ecco dunque un nuovo capitolo della serie “nei quartieri tutti sapevano come funziona il sistema”.

Dicevamo che poi ci sono quelli del “pessimo e deprecabile malcostume” ; è la cosiddetta “società civile” a parlare, in questo caso: quelli del “il problema non sta nel sistema ma nelle mele marce al suo interno”; sono coloro i quali santificano qualsiasi potente assuma un ruolo sulla carta opposto alla mafia e che poi, regolarmente, da eroi finiscono per diventare “traditori”. Si pensi al caso Montante, ex dirigente nisseno di Confindustria, imprenditore e professionista molto rinomato sul territorio siciliano, che proprio mentre, un anno fa, era in lizza come possibile nuovo presidente dell'Agenzia regionale per i beni confiscati (di nomina politica) viene coinvolto in un 'indagine per associazione mafiosa (cui tutt'ora deve rispondere) nonostante fosse stato tra i promotori della politica del suo predecessore Ivan Lo Bello su codici etici antimafia e lotta al racket per gli iscritti a Confindustria. Ora è invece la volta della Saguto, integerrimo magistrato minacciato dalla mafia perché agli interessi di questa contrapponeva quelli...della sua cricca!!!

Ecco, appunto: gli interessi. La parola magica, il chiavistello che apre le porte alle analisi sul funzionamento reale della macchina di potere in Sicilia come nelle altre regioni è proprio quella di “interessi” : questi sono contrapposti, trasversali, apparentemente contraddittori; ma fanno tutti richiamo ad un'unica stella polare, un unico orizzonte: quello del profitto.

La storia regionale siciliana, quella dell'antimafia, e quella della politica territoriale (ma anche nazionale e internazionale) ci dice da ormai troppo tempo dell'inutilità di vecchie e artificiose dualità: lo stato opposto alla mafia, la giustizia opposta all'illegalità, le istituzioni opposte ai poteri informali. Interessi e profitto risiedono sempre tanto nell'uno quanto nell'altro dei campi retoricamente presentatici come contrapposti. Non rispondono a logiche di appartenenza morale o etica o metafisica. Rispondono alle logiche che semplicemente definiamo “capitaliste”. La corruzione, gli interessi, i profitti, le clientele: questo è il capitalismo e il suo locale funzionamento. Il capitalismo e le sue regole: formali e informali, legali o illegali. Ma è così che nella sua sostanza, si presenta dalle nostra parte. Tutto fa impresa; tutto fa business. Con buona pace di quelli delle mele marce.

Speriamo di avervi allietato con un racconto remake di tanti altri simili storie. Sappiamo bene che sono storie che riguardano il mondo “di sopra”, quello che nulla o poco ha da spartire con vite comuni e problemi quotidiani, con emergenze sociali e conflitti. Ma è una storia che un po', per la carica di ironia intrinseca, continua a piacerci. Triste fine degli eroi...


Giudice antimafia Saguto: laurea del figlio scritta dal prof che lei ha raccomandato al Cara di Mineo
Emanuele Caramma si è laureato con una tesi sui beni confiscati a Cosa nostra. Che, però - secondo gli inquirenti - è stata redatta da Carmelo Provenzano, professore universitario alla Kore di Enna, e amministratore giudiziario di fiducia dell'ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo. Lui, al telefono, la ringrazia per la segnalazione del suo nome quale potenziale commissario del centro richiedenti asilo
di Giuseppe Pipitone | 22 ottobre 2015
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/10 ... eo/2151628

“Beni sottoposti ad amministrazione giudiziaria: bilanciamento tra tutela del mercato e garanzia della legalità”. È solo il titolo di una tesi di laurea ma a rileggerlo adesso sembra quasi una beffa. Perché quella tesi di laurea in Economia appartiene ad Emanuele Caramma figlio di Silvana Saguto, ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, indagata per corruzione, induzione e abuso d’ufficio dalla procura di Caltanissetta. Saguto è al centro di un’inchiesta che ha svelato un gigantesco cerchio magico fatto di favori, regali e prebende nella gestione delle ricchezze sottratte ai boss. Ed è stata anche intercettata mentre definiva i figli di Borsellino “squilibrati e cretini”.

Suo figlio, già citato nell’indagine per un incarico ottenuto in un lussuoso hotel di proprietà della famiglia dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, l’asso pigliatutto dell’amministrazione giudiziaria, si è addirittura laureato con una tesi sui beni confiscati a Cosa nostra. Un titolo che, come spiega La Stampa, a Caramma viene suggerito dal vero autore di tutto l’elaborato, e cioè Carmelo Provenzano, professore universitario alla Kore di Enna, amministratore giudiziario di fiducia della Saguto, uno dei componenti del cerchio magico della zarina dei beni confiscati. È Provenzano che scrive – secondo gli inquirenti – la tesi di laurea del figlio della Saguto, ed è sempre Provenzano che cerca di farsi raccomandare dal magistrato per un incarico al Cara di Mineo, il centro per richiedenti asilo finito al centro di Mafia Capitale e commissariato dallo scorso giugno.
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“Il 12 giugno Provenzano contatta la Saguto ringraziandola per la segnalazione del suo nome al prefetto di Palermo quale potenziale commissario del Cara di Mineo”, si legge nei brogliacci della guardia di finanza. Perché per l’incarico a Mineo, Saguto fa intervenire il prefetto di Palermo Francesca Cannizzo, sua grande amica. “Ti volevo dire che ieri, davanti a me, ha telefonato quella da Roma per chiedere i dati al prefetto”, dice ad un certo punto a Provenzano. Il professore gongola: “Mamma mia se è così, prima di festeggiare, un bacio in bocca ti do guarda. Sei una potenza”.

Ma non solo. Perché Saguto era riuscita a trovare un lavoro al Cara di Mineo anche a suo marito Lorenzo Caramma, coinvolto con lei nell’inchiesta nissena, già titolare di una serie di incarichi concessi da altri amministratori giudiziari. Caramma aveva trovato l’accordo con Davide Franco, commercialista amministratore del centro richiedenti asilo di Mineo, che aveva “avuto il numero” del marito della Saguto da Guglielmo Muntoni, presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma. “E’ vero, ho chiesto all’ingegnere Lorenzo Caramma se fosse interessato a collaborare al Cara di Mineo. Tuttavia i primi di settembre abbiamo ritenuto opportuno interrompere questa ipotesi lavorativa con l’ingegnere dato che dai giornali apprendemmo dell’inchiesta di Caltanissetta. Lo abbiamo fatto per motivi di opportunità”, spiega il commercialista Franco.

E mentre da una parte Saguto chiedeva al prefetto aiuto per trovare incarichi al Cara di Mineo, dall’altra contattava l’amministratore giudiziario Alessandro Scimeca per sollecitare assunzioni chieste dallo stesso prefetto. “Io – dice intercettata il 28 agosto – ti devo chiedere il favore per il prefetto: di quello là da assumere”. Sono invece propositi di vendetta quelli promessi dal magistrato nei confronti dell’avvocato Walter Virga, figlio di Tommaso, magistrato ed ex componente togato del Csm.

I due Virga sono finiti entrambi coinvolti dall’inchiesta nissena. Virga junior, infatti, era stato nominato amministratore giudiziario del gruppo Bagagli e delle aziende sequestrate alla famiglia Rappa: negozi, concessionarie d’auto di lusso, tv private, un tesoro da quasi un miliardo di euro. In cambio – secondo l’accusa – Virga aveva assunto Mariangela Pantò, fidanzata del figlio della Saguto, nel suo studio legale. “Abbiamo pagato il pizzo che dovevamo pagare e abbiamo avuto quell’incarico”, commenta in un’intercettazione. Appena inizia a scoppiare lo scandalo, però, Virga preferisce “licenziare” la fidanzata del figlio della Saguto. La reazione del magistrato è rovente. “Sono distrutta, incazzata non si può dire come gliela faccio pagare, non si buttano a mare le persone, si rischia insieme”. Poi riceve Virga e gelida sentenzia: “Non penso che ci sarà un seguito a questa collaborazione”.



Palermo, bufera a palazzo di Giustizia nell’inchiesta coinvolto pure il prefetto
di Silvia Barocci

http://www.ilmessaggero.it/PAY/EDICOLA/ ... 7569.shtml

Un ”verminaio”. E’ la definizione più ricorrente degli investigatori alle prese con l’inchiesta sul sistema familistico palermitano nella gestione dei beni confiscati alla mafia. Al vaglio degli inquirenti di Caltanissetta è finita anche la posizione del prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo. Verifiche sarebbero in corso, in particolare, sul contenuto di alcune sue conversazioni intercettate con l’ormai ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, indagata per corruzione aggravata, induzione alla concussione, abuso d’ufficio e, in concorso col padre, per riciclaggio. Gli accertamenti sul ruolo del prefetto ruoterebbero attorno al rafforzamento della scorta al magistrato decisa a seguito della notizia, rilanciata lo scorso 22 maggio da alcuni siti web e agenzie, che la mafia voleva morta la Saguto e un’altra ”toga”, Renato di Natale.

I magistrati di Caltanissetta sospettano che si sia trattato di un’operazione costruita a tavolino: un ufficiale della Dia di Palermo avrebbe diffuso una notizia molto vecchia - quella di una nota dei servizi segreti in allarme per l’incolumità della Saguto - con l’obiettivo di sollevare un clamore mediatico attorno alla giudice paladina dell’antimafia per controbilanciare alcuni servizi tv di <CF2>Telejato </CF>e delle <CF2>Iene</CF> che ne mettevano in dubbio la buona fede. In questo modo, invece, avrebbe ricevuto la solidarietà dei colleghi e dell’Anm.



Beni mafia, Alfano: ''Da caso Saguto messaggio devastante''
23 ottobre 2015

http://video.repubblica.it/dossier/gove ... 723/214906

''Profonda delusione e infinita tristezza''. Ha commentato così il ministro dell’Interno Angelino Alfano il caso dell’ex giudice antimafia Silvana Saguto. Poi dal palco dell’auditorium di Palazzo Italia Alfano ha tirato le conclusioni tornando sulla vicenda: ''Io ritengo che quello che sta accadendo adesso a un pezzo della magistratura palermitana, sotto indagine per corruzione e reati gravissimi sull'uso delle consulenze e della gestione dei beni confiscati è un messaggio culturale devastante, oltre alle intercettazioni che provocano un’infinita tristezza e un grande dolore sui figli di Borsellino. Perché se da lì arriva un messaggio del genere, allora vuol dire che non ci si può fidare più di nessuno?''.
(di Alessandro Puglia)



Caso Saguto, l'Anm: "Danni incalcolabili per le toghe"
Venerdì 23 Ottobre

Il presidente dell'associazione dei magistrati: "La sola ipotesi che possano essere realizzate condotte meno che corrette è fonte di sconcerto e di grave turbamento nell'opinione pubblica e tra i magistrati, foriera di danni incalcolabili".
http://livesicilia.it/2015/10/23/caso-s ... ghe_677203

BARI - Gli incarichi di consulenza e di gestione dei beni sequestrati alla mafia vanno affidati secondo criteri di "piena trasparenza". "La sola ipotesi che possano essere realizzate condotte meno che corrette è fonte di sconcerto e di grave turbamento nell'opinione pubblica e tra i magistrati, foriera di danni incalcolabili". Così il presidente dell'Anm Rodolfo Sabelli torna sull'inchiesta che ha coinvolto l'ex presidente delle Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, e altri quattro magistrati.




Caso Saguto: nuovo blitz alle Misure di prevenzione. Ma Cappellano va avanti
La Finanza sequestra altri documenti in tribunale. L'avvocato sotto inchiesta: "Con la mia gestione non è fallita alcuna azienda"
di SALVO PALAZZOLO
29 settembre 2015

http://palermo.repubblica.it/cronaca/20 ... -123904521
Caso Saguto: nuovo blitz alle Misure di prevenzione. Ma Cappellano va avanti
La Guardia di finanza è tornata alla sezione Misure di prevenzione del tribunale di Palermo, per acquisire nuove carte sulla gestione del giudice Silvana Saguto. Gli investigatori del nucleo di polizia tributaria e il pm di Caltanissetta Cristina Lucchini sono arrivati di buon mattino in cancelleria. E si sono fermati sino a pomeriggio inoltrato, portando via alcuni scatoloni pieni di documenti. Sembra che riguardino non soltanto la gestione degli avvocati Gaetano Cappellano Seminara e Walter Virga, ma anche altre amministrazioni giudiziarie.

E mentre era in corso il blitz in cancelleria, la nuova sezione presieduta dal giudice Mario Fontana era in piena attività. Per cercare di rimettere ordine in questo settore cruciale per la lotta alla mafia. Ieri, era giornata di ricevimento per gli amministratori giudiziari. Si è presentato anche Cappellano Seminara, indagato con la Saguto di concorso in corruzione: continua a gestire nove amministrazioni giudiziarie. E non ha alcuna intenzione di lasciare. Lo conferma lui stesso a Repubblica, uscendo dalla sezione Misure di prevenzione. "Sotto la mia gestione, nessuna azienda è mai fallita ", dice. "Anzi, sono stati raggiunti risultanti importanti". Cappellano ricorda il caso della Newport, la società che si occupa della movimentazione dei container al porto, "passata da un pesante disavanzo a un milione di euro di attivo ".

L'avvocato Cappellano Seminara rivendica anche gli "straordinari risultati " ottenuti dalla cava Giardinello, finita al centro di un dramma: alcuni giorni fa, è stata il teatro di un duplice omicidio commesso da un operaio messo in mobilità. Uno dei morti era il gestore della cava, il geologo Gianluca Grimaldi, figlio del cancelliere della sezione Misure di prevenzione. "Nessun caso di favoritismo - dice Cappellano - Grimaldi era un vero asso nel suo settore. Aveva scoperto che nella cava Giardinello si poteva estrarre il ballast, un materiale unico utilizzato in ambito ferroviario. Così, avevamo potuto vincere una commessa milionaria con Rfi ". Il rilancio fatto da Grimaldi aveva anche portato la cava di Giardinello a stipulare un accordo con Malta. "A luglio, sono partite 17 navi cariche di materiale".
Ieri mattina, Cappellano Seminara ha proposto ai nuovi giudici della sezione Misure di prevenzione altre attività per rilanciare le sue amministrazioni giudiziarie. E l'inchiesta dei pm di Caltanissetta? Il legale dice di voler attendere il termine dell'indagine per difendersi. "Intanto - dice - ho messo a disposizione degli inquirenti tutta la mia documentazione. Controllino pure ogni carta". È quello che i finanzieri stanno facendo, alla ricerca di passaggi di denaro occulti fra il legale e il giudice.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom mar 27, 2016 9:06 am

RELAZIONE SUI COSTI ECONOMICI DELLA CRIMINALITA`ORGANIZZATA NELLE REGIONI DELL’ITALIA MERIDIONALE
http://www.camera.it/_dati/leg16/lavori ... 000001.pdf


Corusion tałiana e romana
viewtopic.php?f=22&t=278
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » dom apr 03, 2016 12:08 pm

Fisco, mappa dell'evasione della Cgia: al Nord i contribuenti più corretti - Tgcom24
02/04/2016

http://www.tgcom24.mediaset.it/economia ... 602a.shtml


09:34 - Il grado di fedeltà fiscale premia le regioni del Nord. E' quanto emerge da uno studio della Cgia, secondo cui è nel Nordest dove la correttezza dei contribuenti nei confronti del Fisco si attesta su livelli molto più elevati che nel resto del Paese. La palma dei cittadini più ligi va ai residenti del Trentino Alto Adige, dove l'indice di fedeltà fiscale è pari a 166,4. Seguono gli abitanti del Veneto e del Piemonte (entrambi con indice 133,5).
Fisco, mappa dell'evasione della Cgia: al Nord i contribuenti più corretti

Le regioni del Centro nella terza fascia - Seguono quelli del Friuli Venezia Giulia (127,9), dell'Emilia Romagna (125,7), della Valle d'Aosta (123) e della Lombardia (121,5). Nella terza fascia, quella medio alta, troviamo gran parte delle regioni del Centro, capeggiate dall'Umbria (117,2), mentre l'Abruzzo (101,3) è pressoché in linea con il dato medio Italia (100).

La Calabria all'ultimo posto - La rischiosità fiscale più elevata, invece, la riscontriamo in particolar modo al Sud. Nella classe di fedeltà medio-bassa si inseriscono la Puglia (95,6), la Basilicata (94,5) e il Lazio (92,1). Infine, nella zona ad alta pericolosità fiscale troviamo il Molise (80,4), la Campania (79,7), la Sicilia (78) e, all'ultimo posto, la Calabria (73,8).

I 5 indicatori usati dalla Cgia - La Cgia ha messo a confronto i risultati emersi dall'analisi di 5 indicatori relativi a ciascuna delle 20 regioni d'Italia: l'incidenza dei redditi dichiarati sui consumi; la quota dei redditi dichiarati su quelli disponibili; il tasso di irregolarità degli occupati; la litigiosità fiscale e la stima della compliance degli studi di settore.

Per ciascun indicatore è stato posto a 100 il dato nazionale e sono stati ricalcolati i valori delle 20 regioni italiane attraverso una proporzione. Il risultato finale è stato ottenuto come media dei valori ricalcolati per i 5 indicatori che compongono l'indice. A valori più elevati dell’indice corrisponde un grado di fedeltà fiscale presunta più elevato.

"Evasi 90 miliardi di euro l'anno" - "Secondo le stime del governo - segnala il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo - l'evasione di imposta presente in Italia si aggira attorno ai 90 miliardi di euro all'anno. Essendo pressoché impossibile ripartire in maniera puntuale a livello territoriale questo mancato gettito, sappiamo, dai dati del ministero dell’Economia, che al Sud il rapporto tra le imposte evase e il gettito potenziale è più elevato che nel resto del paese. E in alcuni casi sfiora il 60%, ovvero 60 centesimi di gettito evaso per ogni euro regolarmente versato. In linea teorica, comunque, possiamo affermare che 20,9 milioni di cittadini residenti nel Mezzogiorno (Sardegna esclusa) presentano una rischiosità fiscale molto elevata, mentre il livello di pericolosità dei 39,9 milioni di abitanti del centronord è relativamente molto basso (Lazio escluso)".

"Al Sud è in atto un'inversione di tendenza" - "Anche al Sud - dichiara il segretario della Cgia Renato Mason - ci sono dei segnali che ci consentono di affermare che è in atto una importante inversione di tendenza. Cosa che non succedeva da moltissimi anni. Sul fronte della diffusione del lavoro nero, ad esempio, tra il 2000 e il 2013 questa ripartizione territoriale ha segnato la contrazione del tasso di irregolarità degli occupati più elevata di tutte le altre. A dimostrazione che anche nel Mezzogiorno ci sono dei segnali di legalità che vanno rafforzati, attraverso la crescita e l’occupazione per mezzo degli investimenti".
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » sab apr 23, 2016 8:13 am

"Le abbiamo sfondato la vagina" Orrore nell'ospedale di Reggio Calabria
Rachele Nenzi - Ven, 22/04/2016

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... tect=false

Le indagini sugli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria e sui suoi medici, ieri hanno portato alle manette quattro ginecologi e all'interdizione altre sette persone.

Dalle intercettazioni emergono alcuni dettagli inquietanti. Alessandro Tripodi, primario facente funzioni, ride al telefono mentre racconta gli errori commessi dai medici, soprattutto contro le pazienti.

Nei nastri, pubblicati oggi da ilDispaccio, quotidiano online calabrese, si sente il dott. Alessandro Tripodi fare "apertamente riferimento alla circostanza che il dott. Timpano, nel corso dell'intervento aveva cagionato alla paziente [Omissis] una perforazione della vescica, analogamente a quanto era accaduto nel caso della paziente denominata [Omissis]".

Tripodi: minchia non sai che è successo, stanotte l'ira di Dio; Manuzio: eh? e di chi?; Tripodi: allora, quella lì, eh, di Timpano, che gli ha sfondato la vagina. Eh, allora, lo sai, ha la vescica aperta, (ride......ride....ride) (...) allora dal drenaggio esce urina .. te la ricordi a [Omissis]? Era oro.....mi ha chiamato Pina Gangemi...dottore vedete se potete venire che qua c'è l'ira di Dio...ride....ride che oggi..........2 litri di urina dal drenaggio (ride).....in pratica...sono andato.... la vescica era aperta....l'hanno suturata in triplice stato.....".

Non c'è solo questo. Parlando con un altro collega, dr.ssa Manuzio, Tripodo dice: "Vadalà (il primario, Ndr) mi ha spiegato e mi ha detto io non lo so che cazzo hanno combinato, perchè l'isterotomia era fatta alta. Poi, dice c'era un buco nella vagina e l'utero in pratica era come se avessero fatto una..inc.le.. per fare un'isterectomia, la stessa cosa (ride) ...... dice non ha capito neanche lui quello che ha fatto..sangue che usciva a fontana da sotto..inc.le..m'immagino a Timpano"

Non solo. Tripodi al telefono ride anche quando a perdere la vita è un bambino, a causa di un parto finito male che sarebbe stato realizzato dal primario, Pasquale Vadalà, e dalla collega Manuzio. "Ehi...- dice alla moglie al telefono - eh niente, gli è morto un bambino quà... a Vadalà e alla Manuzio...omissis... ho chiuso il cellulare apposta, cretina, perché sennò mi chiamava in continuazione Vadalà eh...omissis.. e infatti me ne sono andato subito (ma fuia subutu) (n.d.r. ride)...".

Parlare al telefono degli errori/orrori commessi in sala operatoria sembra una cosa normale, all'ospedale di Reggio Calabria. In chiamata con un'altra collega, Tripodi avrebbe detto: "Si sono messi l'altro giorno a fare un'isterectomia per via vaginale". Risponde la collega: "Eh?". "Gli è rimasto l'utero nella mani", ride Tripodi, "stava morendo la paziente".

Anche il Gip Antonino Laganà è choccato da quanto emerge dai nastri delle intercettazioni: "Si ride letteralmente degli altrui errori medici - si legge nel documento riportato da il Dispaccio - forieri di devastanti conseguenze per le pazienti ignare vittime di tale situazione con ciò delegittimando e di fatto sfiduciando totalmente il singolo medico "preso di mira" e rilevando la drammaticità della situazione medica occorsa".
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » sab giu 11, 2016 9:05 pm

Sanità, abuso d'ufficio per il marito di Anna Finocchiaro: condannato in primo grado a nove mesi - Il Fatto Quotidiano
di Andrea Tornago | 10 giugno 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/06 ... si/2818005

Melchiorre Fidelbo, ginecologo siciliano e marito della senatrice Pd, era finito sotto inchiesta per l’affidamento dell’appalto del presidio ospedaliero di Giarre (Catania). Ad aprile è stato nominato nel consiglio direttivo dell’Airtum, l’associazione che riunisce i registri tumori territoriali

Condannato a nove mesi in primo grado per abuso d’ufficio. Melchiorre Fidelbo, ginecologo siciliano e marito della senatrice del Pd Anna Finocchiaro, eletto nell’aprile scorso nel direttivo dell’Associazione italiana registri tumori (Airtum), è stato riconosciuto colpevole di abuso d’ufficio dai giudici della terza sezione penale di Catania per l’appalto sul servizio di informatizzazione dell’ospedale di Giarre, insieme all’ex dirigente dell’azienda sanitaria provinciale Giuseppe Calaciura. Per entrambi, assolti invece dall’accusa di truffa ai danni dello Stato, è stata disposta la sospensione della pena. Fidelbo era finito sotto inchiesta per l’affidamento dell’appalto del presidio ospedaliero di Giarre, del valore complessivo di 1,7 milioni di euro, alla società Solsamb srl (di cui era amministratore e socio al 50 per cento) “senza previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica e comunque in violazione del divieto di affidare incarichi di consulenza esterna”.

Sul banco degli imputati erano finiti anche gli ex manager dell’Asp di Catania Giovanni Puglisi e Antonio Scavone – ora senatore autonomista di area verdiniana – mandati assolti dalle accuse di abuso d’ufficio e truffa. La vicenda dell’informatizzazione di Giarre, ricostruita dagli inquirenti, comincia nel 2007 quando il consorzio Sanità Digitale, il cui socio di maggioranza era la Solsamb di Fidelbo, presenta il suo progetto per il nuovo ospedale catanese. In quei mesi Fidelbo viene nominato nella sottocommissione regionale impegnata nella redazione del piano sanitario regionale per il triennio 2007-2009. Il costo del progetto di informatizzazione nel frattempo cambia con le modifiche introdotte dalla nuova giunta di Raffaele Lombardo, e il prezzo lievita da 1,2 a 1,7 milioni di euro. La convenzione tra la Solsamb e l’Asp di Catania viene quindi siglata nel luglio del 2010, e l’ospedale inaugurato alcuni mesi dopo alla presenza dell’ex ministro della Salute Livia Turco, dell’assessore regionale Massimo Russo, dell’allora capogruppo del Pd Anna Finocchiaro e del marito e amministratore della Solsamb, Melchiorre Fidelbo.

Nell’aprile scorso – come raccontato da ilfattoquotidiano.it – Fidelbo è stato nominato nel consiglio direttivo dell’Airtum, l’associazione che riunisce i registri tumori territoriali nonostante fosse imputato nel processo catanese per abuso d’ufficio e truffa. Priva di codice etico, l’associazione degli epidemiologi a cui diversi progetti di legge vorrebbero affidare un ruolo cruciale nell’alimentazione, gestione, aggiornamento e controllo di qualità dei dati epidemiologici nazionali, non si è mai dotata di una carta che regoli le incompatibilità di soci e dirigenti. Della situazione giudiziaria del dottor Fidelbo “non abbiamo parlato – spiega la presidente dell’Airtum, Lucia Mangone – Abbiamo dato mandato a un gruppo di persone di costituire un codice etico, ma per darci delle regole per le nuove elezioni: mi sembra scorretto affrontare problemi di candidabilità una volta che una persona è eletta”.

Ma tra i medici soci dell’Airtum cresce il malcontento, e alcuni si stanno organizzando per far sottoscrivere un documento che chieda alla presidenza una presa di posizione formale e le dimissioni del consigliere Fidelbo. Raggiunto al telefono da ilfattoquotidiano.it, Fidelbo spiega che resterà al suo posto nel Registro Tumori nonostante la condanna in primo grado: “Lo statuto dell’associazione non lo prevede, quindi non ritengo di fare un passo indietro. Dopo che ci sarà la sentenza definitiva, se sarò condannato”.
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