Mafie e briganti teroneghi

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mer lug 05, 2017 7:27 am

Mafia, droga, estorsioni: blitz dei carabinieri, 54 arresti a Catania
Decapitato il clan di San Giovanni Galermo dei Santapaola: con lo spaccio avevano un giro di affari di 40 mila euro a settimana
04/07/2017

http://www.lasicilia.it/news/catania/92 ... tania.html


Cinquantaquattro persone sono finite in manette nell’ambito di una operazione, denominata doks, condotta dai carabinieri del Comando Provinciale di Catania che hanno eseguito un’ordinanza cautelare emessa dal gip del tribunale etneo su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia catanese. Tutte sono accusate a vario titolo di associazione mafiosa, armi, traffico di stupefacenti, estorsione e rapina, e sono anche ritenute appartenenti alla famiglia Santapaola ed in particolare, al “Gruppo di San Giovanni Galermo” e cioè il clan ritenuto tra i più affidabili e tenuta maggiormente in considerazione da “Nitto” Santapaola.

L’indagine ha anche permesso di sequestrare un notevole quantitativo di droga e le dinamiche interne al clan per il controllo e la gestione delle attività di spaccio della droga, con introiti che si aggiravano intorno alle 40 mila euro a settimana ma anche le numerose estorsioni commesse in danno di imprenditori e commercianti.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » sab lug 08, 2017 4:00 am

Il sud della penisola italica - i meridionali

viewtopic.php?f=139&t=2581
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » sab lug 08, 2017 4:02 am

Questa è l'Italia ed il suo stato dopo i mitizzati e cantati " Risorgimento (con i suoi falsi miti unitario romano e rinascimentale), Resistenza e Repubblica con la sua Costuzione"
I primati dello stato italiano e dell'Italia in Europa e nel mondo
viewtopic.php?f=22&t=2587
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mar lug 18, 2017 8:46 pm

Classifica Sun, Napoli fra 10 città più pericolose al mondo - Tabloid la cita con Raqqa, Mogadiscio, ma pure St Louis e Perth
18 luglio 2017

http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... 9e0d7.html

C'é anche Napoli fra le 10 città più pericolose del pianeta, a dar retta al Sun, sensazionalistico tabloid britannico del gruppo Murdoch. La cartina della paura tracciata dal giornale indica - secondo criteri non esattamente omogenei - i centri urbani ritenuti più a rischio in 10 aree diverse aree geografiche del mondo, scelti per le ragioni più varie: dal terrorismo alla droga, dagli omicidi alla presenza di gang mafiose o criminali, dalla guerra, ai disordini razziali, alla violazione dei diritti umani. Ne viene fuori una mappa ineguale in cui il capoluogo campano é additato come la città più pericolosa dell'Europa occidentale, accanto a luoghi come Mogadiscio (in Somalia, la peggiore in Africa) o addirittura Raqqa (capitale dell'Isis in Siria, indicata per il Medio Oriente). Ma anche a Saint Louis (Usa), giudicata esempio di pericolosità per il Nord America, o Perth, 'paradiso' delle droghe sintetiche in Australia.

Il comunista demente che nega.
https://youtu.be/kVCNLC7zgA8


Napoli, il Sun la inserisce tra le 10 città più pericolose al mondo insieme a Raqqa e Caracas

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/e ... 69446.html

Vedi Napoli e poi muori. Il Sun deve averlo preso un pò troppo alla lettera e oggi si spinge fino a inserire la città del Golfo e del Vesuvio fra i 10 centri urbani più pericolosi del pianeta, in una lista in cui vengono affastellati alla rinfusa luoghi come Saint Louis o Kiev, con Raqqa, roccaforte dell'Isis in Siria, o Mogadiscio, capitale di una Somalia devastata da oltre due decenni di conflitti.

La "mappa della paura" del tabloid britannico - contestata con veemenza dal sindaco Luigi De Magistris - é solo l'ultima provocazione del sensazionalistico giornale del gruppo Murdoch, popolare a dispetto degli scandali che lo hanno coinvolto negli anni e sempre pronto a esagerazioni di dubbio gusto: dal dito medio inalberato a suo tempo in prima pagina contro l'Europa di Jacques Delors, fino alla recente copertina con il leader laburista Jeremy Corbyn infilato in un bidone dell'immondizia alla vigilia di un voto andato peraltro benissimo per il Labour. Stavolta la sparata ha a che fare con il marchio di città da incubo assegnato a una decina di obiettivi, Napoli compresa.

In effetti non si tratta esattamente di 10 luoghi, ma di qualcuno in più, scelti con criteri tutt'altro che omogenei in 10 diverse aree geografiche del mondo e additati per le ragioni più varie: dal terrorismo al traffico di stupefacenti, dagli agguati alla presenza di gang mafiose o criminali, dalla guerra ai disordini razziali, alla violazione dei diritti umani. Ne viene fuori un patchwork in cui il capoluogo campano risulterebbe addirittura la località meno sicura dell'intera Europa occidentale. Come Mogadiscio pare lo sia per l'Africa, Raqqa per il Medio Oriente, Saint Louis per Usa e Canada, Perth ('paradisò delle droghe sintetiche d'Australia) per l'Oceania, Caracas per l'America del Sud, San Pedro Sula (Honduras) per quella centrale, Kiev per l'est europeo, Grozny per Russia e Asia centrale, Karachi per il subcontinente indiano, Manila per l'Estremo Oriente.

A dar retta alla caratterizzazione del Sun, Napoli - descritta un pò come quella di 'Gomorrà - spicca per omicidi, diffusione della droga, presenza di cosche. Il tabloid descrive le 'esecuzionì di camorra come un fatto comune, raccontando di scontri «frequenti» fra i clan, di una lotta spietata per il controllo del mercato degli stupefacenti, della diffusione di «baby gang» con affiliati anche 12enni al servizio di «boss più anziani che si spartiscono il territorio». Sentenzia inoltre che la criminalità organizzata é vista come una strada verso il benessere da molti giovani a causa della disoccupazione. Non contento, il giornale londinese spaccia poi l'idea che la città partenopea abbia «una reputazione talmente cattiva in Italia che la frase vai al diavolo» sarebbe stata trasformata «in italiano» in qualcosa come «vaffa Napoli».

Qualcosa di cui in realtà é arduo trovare traccia. Più facile verificare come Napoli non compaia neppure fra le 50 città più rischiose in nessuno degli indici globali tracciati di agenzie internazionali accreditate. Quello del Sun «é un giudizio falso, superficiale», taglia corto il sindaco De Magistris, riconoscendo i tanti problemi che affliggono la sua città, ma non certo l'immagine caricaturale che ne riflette il giornale inglese. Sulla stessa lunghezza d'onda il rettore dell'Università Federico II, Gaetano Manfredi, che parla di «stupidità e luoghi comuni», o la Federalberghi. «Non mi interessa commentare un tabloid - fa eco Fortunato Cerlino, l'attore che veste i panni del boss Pietro Savastano in 'Gomorra-La Seriè su Sky -, lo sappiamo che tipo di notizie riporta: solo sensazionalismo».


Napoli come Raqqa? Forse il Sun non ha tutti i torti
Arnaldo Capezzuto
2017/07/19

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... ti/3739447

È un cazzotto a freddo per Napoli sapere di essere stata inserita tra le prime undici città più pericolose al mondo. La classifica stilata dalla testata inglese The Sun vede il capoluogo partenopeo contendersi la palma dei posti più criminali del pianeta addirittura con Raqqa (capitale dell’Isis in Siria), Caracas, Groszny, Mogadiscio, Manila, St. Louis, Kiev, Perth, Karachi e San Pedro Sula. Il giornale anglosassone a corredo dell’articolo – per rendere più esplicative, diciamo così, le criticità – ha pubblicato un’efficace infografica attribuendo alla metropoli all’ombra del Vesuvio tre simboli: rosso (murder) per gli omicidi, verde (drugs) per la droga e infine blu (gangs) per indicare le bande criminali giovanili.

Un’istantanea che ha il sapore di una condanna senza appello e che sta sollevando tra i napoletani e non solo un vespaio di accese e risentite polemiche. C’è chi ipotizza e quindi non esclude l’ennesima iniziativa legale presso l’apposito sportello, istituito dall’amministrazione comunale, ‘Difendi la città’, per contrastare le nuove offese diffamatorie contro Napoli. Non lo so.

Rifletto e penso che forse la testata inglese tutti i torti non li ha. Sarebbe sbagliato, come in queste ore sta accadendo, liquidare le accuse del tabloid alzando le solite barricate, accendere i fumogeni dello storico vittimismo, far ricorso a una sorta di Spectre che ordisce complotti contro la nostra terra e infine far leva sulla nostra storia millenaria di Napoli capitale. Ignoro i criteri più o meno scientifici adottati e l’attendibilità del lavoro sviluppato dal giornale The Sun per comporre la top ten da brivido dove Napoli con merito ‘rischia’ addirittura di piazzarsi in zona Champions League.

Posso però registrare da cronista e con il piglio del ragioniere che Napoli da almeno quarant’anni – in una sorta di continuità impressionate – è a tutti gli effetti la ‘città dei sangui’ e qui c’entra poco il miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro o San Patrizia. In Europa, dati ufficiali alla mano, non c’è un luogo con una così allarmante continuità temporale di uccisioni, tentati omicidi e vittime collaterali come accade a Napoli. Pensate solo al dato delle vittime innocenti in Campania cioè persone estranee a dinamiche criminali che si sono trovate per una pura fatalità sulla traiettoria di colpi di pistola nell’ambito di conflitti a fuoco tra camorristi.

Chiudete gli occhi, mettete una mano sul cuore e per un attimo allontanate l’amore viscerale, il sentimento soffocante che ci lega a ‘Mamma Napoli’ e pensate alle piazze di spaccio, veri e propri opifici fordisti della droga. Un sistema economico-criminale, lo era Scampia, lo è la Vannella Grassi, lo è il Rione Traiano, lo è il Pallonetto di Santa Lucia, che garantisce lo stipendio e il welfare a tante persone diseredate e addirittura a interi nuclei familiari prendendosi la briga di ‘impiegarli’, dopo averli formati, nelle fasi preparative, collaterali e di lavorazione dello smercio. Quartieri-Stato della camorra, dove campare di droga, alla luce del sole, è la normalità.

Poi che dire del simboletto blu (gangs) dell’infografica della mappa pubblicata da The Sun per indicare le bande criminali giovanili. Le ‘stese‘, la cruenta faida del centro storico di Napoli, i giovani killer paragonati ai terroristi dell’Isis per l’assenza totale di speranza e di futuro ma dominati solo da un asservimento depressivo ideologico alla logica criminale completano un quadro inquietante. Almeno due generazioni sono state abbandonate a loro stesse, in molti casi, figli d’arte e con i soliti cognomi blasonati che non hanno neppure iniziato il ciclo della scuola dell’obbligo.

Allora sarebbe sbagliato considerare la provocazione del tabloid inglese una boutade estiva, giusto per riempire pagine e creare il caso per vedere il giornale. Mamma Napoli è ammalata, le reazioni scomposte che suscita nei suoi figli la ‘classifica della vergogna’ certifica il fatto che si finge di non conoscere il nome della malattia, di non guardare negli occhi il mostro, di esorcizzare, non pensarci. Qui ci siamo abituati alla convivenza, alla connivenza e alla convenienza di aspettare, in una sorta di rito laico scaramantico, l’ultimo sospiro di Mamma Napoli.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » sab lug 22, 2017 7:33 am

E l'italia della Casa Savoia prese accordi con la camorra, telefilm Rai del secolo precedente.
Consiglio di leggere un bel libro dal titolo Maledetti Savoia di Lorenzo Bocca dove documenti questi fatti.
La storia è diversa da quella insegnata nei banchi di scuola....

https://www.facebook.com/vesuviolive/vi ... 1723638111

L'Unità d'Italia, Garibaldi e la camorra
L'avete mai visto?
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mar lug 25, 2017 2:58 am

Emilio Fede ‘tradisce’ berlusconi: “la sua vera storia? mafia, mafia, soldi, mafia”
Giuseppe Pipitone per www.ilfattoquotidiano.it

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... -81437.htm

BERLU E FEDE

Quando Marcello Dell’Utri veniva a Palermo doveva ricordarsi della famiglia di Vittorio Mangano, doveva ricordarsi di “sostenerla”. In che modo e perché dovesse sostenerla è un mistero. Ma per evitare che se ne dimenticasse, Silvio Berlusconi in persona, almeno in un’occasione, si è adoperato per rammentarglielo. A raccontarlo ai pubblici ministeri di Palermo non è un mafioso pentito, e non è nemmeno un collaboratore di giustizia. L’inedito episodio arriva invece dalla viva voce di un uomo che per oltre vent’anni è stato al fianco dell’ex premier: Emilio Fede.

EMILIO FEDE SFONDO BERLUSCONI

L’ex direttore del Tg4 ha raccontato ai pm di un incontro tra Berlusconi e lo stesso Dell’Utri, appena arrivato a Milano dopo un soggiorno a Palermo. Ad Arcore, Fede si sta intrattenendo con l’ex premier, quando ecco che arriva Dell’Utri. “Mi alzai per allontanarmi” dice Fede interrogato da Antonino Di Matteo e Roberto Tartaglia nel maggio scorso. “Lo scambio di frasi è stato brevissimo” aggiunge. E poi spiega che Berlusconi, ancor prima di salutare l’ex senatore oggi detenuto, esordisce immediatamente con: “Hai novità? Mi raccomando ricordiamoci della sua famiglia, ricordiamoci di sostenerla”.

Berlusconi Fede

La famiglia da sostenere è quella di Vittorio Mangano, il boss di Porta Nuova, l’ex stalliere di Villa San Martino, l’uomo assunto dall’amico Marcello nel 1974 per garantire la protezione della famiglia Berlusconi. Ma sostenerla come? E perché? “Chiedono riferimenti su di te” dice Marcello all’amico Silvio, sotto gli occhi di Fede. Per i magistrati i riferimento è agli interrogatori in quel momento in corso, durante i quali a Mangano, che era detenuto, veniva chiesto appunto dei rapporti con l’ex presidente di Publitalia e con Berlusconi.

Silvio Berlusconi con Marcello DellUtri Foto di Alberto Roveri

L’ex direttore del Tg4 non ha saputo collocare con certezza l’evento nel tempo: per Fede il rapido scambio di battute tra Dell’Utri e Berlusconi sarebbe di poco antecedente alla discesa in campo dell’ex cavaliere, nel 1994. Mangano però all’epoca era libero: finirà dentro soltanto dopo, ed è per questo che per i magistrati l’episodio è verosimilmente collocabile tra il 1995 e il 1996.

Dalle parti di Arcore quello è un periodo difficile : la Lega ha da poco fatto cadere il primo governo Berlusconi, Dell’Utri è finito indagato dalla procura di Palermo per concorso esterno a Cosa Nostra, mentre Mangano viene arrestato e sbattuto nel supercarcere di Pianosa in regime di 41 bis. È lì che i pm lo interrogano, che gli “chiedono riferimenti” su Berlusconi, sul periodo passato ad Arcore. La bocca del boss di Porta Nuova, però, resta cucita. Ed è per questo che anni dopo Marcello e Silvio lo eleggeranno al rango di loro “eroe” personale.

DELLUTRI E BERLUSCONI

Perché se avesse parlato, Mangano di cose da raccontare ne avrebbe avute parecchie. Ricordi in bianco e nero, degli anni ’70, quando si trasferisce con la famiglia ad Arcore, dove ogni mattina accompagna a scuola i piccoli Marina e Piersilvio, che poi ogni pomeriggio giocano con sua figlia Cinzia, oggi detenuta a sua volta per mafia.

DellUtri e Berlusconi

Ma non solo. Perché il fil rouge che unisce l’ex cavaliere al boss di Porta Nuova non si ferma agli anni ’70. Continua anche dopo. Continua per esempio il 26 settembre del 1993, quando Giovanni Brusca legge sull’Espresso che Dell’Utri sta creando un nuovo partito: il settimanale racconta anche del vecchio lavoro da fattore di Arcore di Mangano. Una storia che Brusca non conosce. Ma che fa comodo a Cosa Nostra, in quel momento precipitata in una situazione di grave difficoltà: Riina è in carcere, la trattativa a suon di bombe con lo Stato non ha portato i risultati sperati, mentre le condizioni carcerarie per i boss detenuti sono sempre più difficili. È così che Mangano torna a Milano nel novembre del 1993 e prende un appuntamento con Dell’Utri, come risulta dalle stesse agende dell’ex senatore.

BERLUSCONI DELL UTRI

Secondo Brusca a fare da cerniera tra Dell’Utri e Mangano sono le cooperative che gestiscono la pulizia degli uffici Fininvest: sono gestite da Antonino Currò e Natale Sartori, due messinesi amici di vecchia data del boss di Porta Nuova, che tra i loro dipendenti hanno assunto anche due delle tre figlie di Mangano. È un legame forte quello tra Sartori e Mangano: quando il boss di Porta Nuova viene arrestato, l’imprenditore messinese si precipita a Palermo.

DELLUTRI, BERLUSCONI

E dall’altra parte la conoscenza tra Sartori e Dell’Utri risale agli anni ’80. Sartori e Currò verranno poi processati e assolti per mafia. “Sono arrivate le arance” sarebbe, secondo Brusca, il messaggio in codice per comunicare ai piani alti di Fininvest che Mangano era a Milano, negli stessi mesi in cui secondo la procura di Palermo viene siglato il nuovo Patto Stato-mafia.

Passa un anno e Dell’Utri finisce indagato per mafia, mentre Mangano viene arrestato: è da quel momento, che Berlusconi chiede all’amico Marcello di ricordarsi della famiglia Mangano. Di sostenerla. Come e perché non è dato sapere. Rimane solo un frammento di conversazione, ascoltato da Fede e messo a verbale vent’anni dopo, quando ai pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia arriva la registrazione di una conversazione dalla procura di Monza. Un file realizzato con il telefonino da Gaetano Ferri, personal trainer di Fede, che nel luglio del 2012 registra una conversazione con l’ex direttore del Tg4, all’insaputa di quest’ultimo.

Vittorio Mangano in tribunale nel 2000

Nella registrazione si sente Fede che spiega alcuni passaggi dei collegamenti tra Arcore, Dell’Utri e Cosa Nostra. “C’è stato un momento in cui c’era timore e loro avevano messo Mangano attraverso Marcello” spiega Fede al suo interlocutore.

DELLUTRI, BERLUSCONI, MANGANO

Che ribatte: “Però era tutto Dell’Utri che faceva girare”. “Si, si era tutto Dell’Utri, era Dell’Utri che investiva” risponde Fede. Poi il giornalista si pone una domanda retorica con risposta annessa: “Chi può parlare? Solo Dell’Utri. E devo dire che in questo Mangano è stato un eroe: è morto per non parlare”. Quindi il giornalista fornisce al suo personal trainer la sua estrema sintesi di quarant’anni di potere economico e politico: “La vera storia della vicenda Berlusconi? Mafia, mafia, mafia, soldi, mafia”.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » sab ago 12, 2017 7:44 am

Agguato a foggia: la faida mafiosa del Gargano
Gianni Santucci
Milano, 10 agosto 2017

http://www.corriere.it/cronache/17_agos ... c4db.shtml

In due anni 29 omicidi, i clan abbondano di armi. La fama di killer infallibili dei «montanari». Lo scontro tra le famiglie di Manfredonia e Monte Sant’Angelo non rispetta più nemmeno il tacito patto che metteva al sicuro la stagione turistica
Il luogo dell’agguato a San Marco in Lamis (Ansa) Il luogo dell’agguato a San Marco in Lamis (Ansa)

La mafia del Gargano ammazzava sempre d’inverno. Perché tra luglio e agosto la costa accoglie i turisti, alberghi e ristoranti stracolmi, l’Italia conserva intatta l’immagine del paradiso turistico di buona cucina e acque cristalline: e non deve (non doveva) sapere che quell’industria così florida, in provincia di Foggia, viene taglieggiata senza tregua e senza pietà dalle estorsioni della criminalità organizzata. Questa era la ratio di quella legge sotterranea: mai sangue d’estate. E invece il 27 luglio scorso, nel centro storico di Vieste, in una pozza di sangue i carabinieri hanno raccolto il cadavere di Omar Trotta, 31 anni, pregiudicato, ammazzato davanti alla moglie e in mezzo ai turisti.


Strage d’estate

Poi arriva il 9 agosto, data che farà storia in quest’epica balorda: non un omicidio, ma una strage d’estate, per ammazzare un capo clan di Manfredonia, Mario Luciano Romito, 50 anni. Conta anche (e molto) il luogo, San Marco in Lamis, paese dell’interno garganico attaccato a San Giovanni Rotondo, dove mercoledì, come ogni giorno, gli autobus turistici hanno accompagnato i devoti di San Pio. E così bisogna aggiornare le statistiche: dodici omicidi negli ultimi tre mesi in provincia di Foggia, 29 morti ammazzati in poco meno di due anni, tentati omicidi a ripetizione, un’autobomba esplosa nel 2014, una disponibilità di armi da Paese balcanico: eccola, la guerra di mafia più feroce e dimenticata d’Italia. Che sia degenerata, lo testimonia la mattanza di mercoledì: azione da guerra sotto il sole d’agosto.


Disinteresse

Tre anni fa, durante un’audizione davanti alla Commissione parlamentare sulle intimidazioni agli amministratori locali, l’allora questore di Foggia, Piernicola Silvis, raccontò: «Se un’autobomba esplode qui, non lo viene a sapere nessuno. Queste cose devono essere dette, perché non possiamo aspettare, all’italiana, il morto eccellente, che ammazzino un procuratore della Repubblica, o un bambino, o che facciano una strage con qualche morto innocente per ricordarci che a Foggia c’è un’associazione criminale di stampo mafioso». Il bambino hanno rischiato d’ammazzarlo a settembre 2016, nell’agguato al boss Roberto Sinesi una pallottola ha trapassato la scapola del nipote, 4 anni (si sono salvati entrambi). Solo nell’ultimo anno e mezzo la Squadra mobile di Foggia ha chiuso quattro inchieste e arrestato oltre cento persone per armi, estorsioni, agguati, omicidi. Mercoledì infine, a quanto pare, sarebbero morti due «innocenti». Silvis è appena andato in pensione, oggi è solo uno scrittore (il suo ultimo romanzo, Formicae, è ambientato in quelle zone), e riflette: «In questi anni c’è stato un grande disinteresse dell’opinione pubblica nazionale; forze dell’ordine e magistratura lavorano, ma solo se l’Italia si accorge di questa situazione il contrasto alla criminalità organizzata potrà essere più determinato».


«Miracolati» e «morti che camminano»

Nelle guerre di mafia ci sono i «miracolati» e i «morti che camminano». Mario Luciano Romito rientrava in entrambe le categorie. Miracolato, anzi, lo era due volte. Scampato prima a una bomba nel cofano della sua Audi A4, il 18 settembre 2009; uscito poi soltanto ferito da una Lancia Y10 investita dalle pallottole l’anno dopo, il 27 giugno 2010 (suo nipote Michele morì nell’agguato). Pochi giorni fa, uscito dal carcere, il miracolato Romito è dunque tornato nella sua Manfredonia da sorvegliato speciale (per carabinieri e magistrati), ma soprattutto da morto che camminava, per il clan rivale. Sentenza da eseguire senza attesa, evidentemente: l’hanno ammazzato d’estate e con una strage. I gruppi mafiosi del Gargano sono conosciuti come «montanari» e hanno la fama di sicari infallibili. C’è una vecchia faida: Romito di Manfredonia contro Libergolis di Monte Sant’Angelo. Un tempo alleati, dal 2009 hanno iniziato a trucidarsi dopo un maxi processo (oggi si parla di «eredi» dei Libergolis, perché i boss sono in carcere o al cimitero). Nel Gargano, però, c’è anche un altro scontro in corso, iniziato dopo l’omicidio del boss Angelo Notarangelo, nel gennaio 2015 a Vieste. Ogni tanto qualcuno scompare: e si dice che finisca a pezzi nelle mangiatoie dei porci. L’ultima sparizione in zona è del 26 maggio 2017.



Mafia Foggia, Minniti: "La risposta dello Stato alla morte di due innocenti sarà durissima. Serve una rivolta morale"
di F. Q. | 10 agosto 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08 ... ma/3787993

“La risposta dello Stato rispetto alla morte di due innocenti sarà durissima“. Sono le parole del ministro dell’Interno Marco Minniti al termine del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica a Foggia, convocato dopo la stage di mercoledì a San Marco in Lamis in cui è stato ucciso un presunto boss mafioso con altre tre persone. Una risposta che si articolerà in tre livelli di intervento: “Controllo del territorio, rafforzamento della capacità investigativa e uso delle moderne tecnologie”. Ma servirà anche “una rivolta morale dei cittadini della provincia di Foggia – ha spiegato Minniti – in cui i sindaci giocheranno un ruolo decisivo”. Tutto ciò insomma che sindaci, magistrati, investigatori e attivisti antimafia chiedevano da tempo, come aveva raccontato ilfattoquotidiano.it a marzo.

“Questa riunione serve a dimostrare che la partita che si gioca a Foggia è una partita di carattere nazionale“, ha detto il ministro in conferenza stampa dopo la riunione del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza pubblica. “Abbiamo di fronte un’organizzazione criminale che ha le caratteristiche della mafia – ha continuato – Possiede una struttura chiusa tenuta insieme da principi di omertà. Non ci sono collaboratori di giustizia, in analogia per esempio con la ‘ndrangheta. Poi hanno anche una caratteristica ‘gangsteristica’”. Il ministro dell’Interno ha sottolineato anche l’importanza strategica della zona del Gargano, che “è di fronte all’Albania, da dove arriva la maggior parte del traffico di stupefacenti”.

“La lotta contro le mafie è una grande battaglia di civiltà“, ha continuato Minniti. “E naturalmente su questo fronte è molto importante coinvolgere l’opinione pubblica – ha aggiunto – avere cioè un partecipazione attiva della gente ed è per questo che io oggi ho voluto ascoltare i sindaci e i loro consigli. E a loro ho chiesto di essere parte attiva, perché serve una sorta di rivolta morale nelle popolazioni di questa Provincia”.

Il ministro ha quindi annunciato i “tre grandi filoni di intervento”. “Il controllo del territorio è la prima risposta: 192 unità aggiuntive arriveranno in provincia di Foggia, la prima parte già stasera. Si tratta di uomini – ha spiegato – dei reparti prevenzione e anticrimine della polizia di stato, delle compagnie di intervento dei carabinieri, dei baschi verdi della Guardia della finanza. Il loro compito sarà saturare il territorio”. Poi “da un punto di vista strettamente investigativo, verranno trasferiti in Puglia reparti speciali delle Forze di polizia. In particolare, ci saranno investigatori dello Sco, del Ros e dello Scico che rafforzeranno, rispettivamente, i reparti della Polizia, dei carabinieri e della Guardia di Finanza”.

Infine, ha aggiunto Minniti, “vogliamo sperimentare in provincia di Foggia le tecnologie migliori che abbiamo a disposizione come la videosorveglianza, il sistema satellitare e i droni. Il meglio delle nuove tecnologie che ci sono sul mercato in questo momento. Mettiamo in campo un progetto organico strategico” ha spiegato. “Il Ministero dell’Interno considera questo quadrante strategico per la sicurezza del nostro Paese – ha concluso il ministro – L’obiettivo che ci siamo dati è che ogni due mesi ci riuniremo qui per fare il punto della situazione”. Con lui in conferenza stampa il governatore della Puglia, Michele Emiliano, il viceministro Filippo Bubbico, il capo della polizia Franco Gabrielli e il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro.

“È quello che ci aspettavamo dal governo – ha commentato Decaro – quella contro la criminalità organizzata è una battaglia che si deve combattere uniti, tutti insieme per la propria parte: le istituzioni e i cittadini, quella stragrande maggioranza che non intende girare lo sguardo. Altrimenti non si vince”. “A nome di tutti i sindaci italiani – ha riferito il presidente Anci – ho detto agli amministratori, da Michele Merla a tutti gli altri primi cittadini, che ci uniamo alla loro richiesta urgente che lo Stato sia più presente su questo territorio attraversato da fenomeni mafiosi che non possono essere ancora sottovalutati”. “Serve la presenza di tutti”, ha concluso.

“Abbiamo bisogno che lo Stato ci sia vicino”, ha dichiarato il sindaco di San Marco in Lamis, Michele Merla. “Spero – ha aggiunto il primo cittadino – che le nostre preoccupazioni siano ascoltate dal ministro Minniti perché ci troviamo in un territorio importante, dov’è venerato un santo come Padre Pio. Se non ci ascoltano sarebbe grave per uno Stato moderno come quello italiano. Noi ci aspettiamo, perciò, più forze dell’ordine e più forze in grado di poter investigare perché è proprio questo che manca sul Gargano”.

Prima delle parole del ministro dell’Interno c’erano state quelle del procuratore nazionale Antimafia, Franco Roberti: “La criminalità pugliese e in particolare questa efferatissima forma di criminalità foggiana, è stata considerata troppo a lungo una mafia di serie B“, ha detto intervenendo nella trasmissione 6 su Radio 1. Il magistrato ha poi spiegato che le faide tra clan nel Foggiano vanno avanti da 30 anni e “ci sono stati 300 omicidi, l’80% di questi è rimasto impunito”. Una “sottovalutazione della mafia” denunciata anche al fattoquotidiano.it dalla vice presidente nazionale di Libera, Daniela Marcone.

Infatti, prima della strage di mercoledì, la “risposta” dello Stato ai 28 clan (con 900 affiliati) che tengono sotto scacco una delle province con il più alto tasso di reati in proporzione alla popolazione residente era stata una Procura della Repubblica sotto organico, una sede della Direzione distrettuale antimafia troppo lontana e reparti investigativi in sofferenza. A Foggia ci sono 18 sostituti procuratori e due aggiunti, nonostante dovrebbero essere in 22. Ai numeri striminziti della Procura si unisce un problema legato ai reparti investigativi, costretti a operare in un contesto difficile sia a livello territoriale che di numeri.

L’esecuzione in pieno giorno di mercoledì mattina, vicino alla stazione di San Marco in Lamis, è stata portata a termine da un commando che ha ucciso quattro persone. Due le vittime designate: Mario Luciano Romito, figura di spicco dell’omonimo clan di Manfredonia scarcerato solo 6 giorni fa e suo cognato. Mentre gli altri due assassinati sono dei contadini incensurati, i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, probabilmente testimoni involontari dell’agguato. La prima domanda alla quale dovranno rispondere gli investigatori è cosa ci facesse Romito, sei giorni dopo la scarcerazione, a quasi 50 chilometri da casa. Sono tre le piste dell’indagine in corso: business della droga, vecchie faide e lontane parentele.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mar ott 10, 2017 1:14 pm

Finti poliziotti e avvocati truffavano anziani in tutta Italia, maxi blitz a Napoli
Martedì 10 Ottobre 2017

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/c ... 92554.html

Tutte le vittime, infatti, avevano denunciato di aver ricevuto una telefonata da un sedicente Maresciallo dei Carabinieri o da un avvocato, il quale riferiva loro di essere un familiare (figlio o nipote, a seconda dei casi) incorso in un incidente stradale e di essere stato trattenuto presso un ufficio di polizia. Ovviamente si trattava solo di un racconto immaginario creato ad arte dai malviventi, infatti la chiamata proseguiva con la richiesta di denaro necessario a risarcire il danno causato dal finto incidente stradale paventando, in caso contrario, gravi conseguenze giudiziarie a carico del familiare. Quando la truffa andava a segno, con la vittima che cedeva alla paura ingenerata dalla messinscena e con il conforto suscitato dall´autorevolezza del mestiere dichiarato dagli interlocutori, il fantomatico tutore dell´ordine (o avvocato) concludeva il colloquio indicando alla vittima una persona che si sarebbe recata presso la sua abitazione per ritirare il risarcimento del danno, che spesso si concretizzava anche nella consegna di gioielli e preziosi in genere.

L´abilità nei raggiri era tale che i truffatori si dimostravano in grado anche di carpire, durante il colloquio telefonico, le informazioni, nome del familiare e altri dettagli, che poi utilizzavano per rafforzare la loro credibilità verso la malcapitata vittima. Da queste denunce si sono poi sviluppate le indagini dei poliziotti e dei carabinieri che hanno consentito di dare un nome ed un volto a tutti i truffatori e sottoporli a specifiche ed intense attività di monitoraggio. Gli investigatori hanno così scoperto l´esistenza di un vero e proprio sodalizio criminale nel quale un sodale, in particolare, era specializzato nel chiamare telefonicamente le vittime, fingendosi avvocato o Maresciallo dei Carabinieri, a seconda dei casi; quando la vittima cadeva nell´inganno, entravano in scena i complici addetti al ritiro del denaro o dei preziosi destinati al fantomatico risarcimento dei danni. I malviventi avevano anche previsto una strutturata metodologia amministrativa che gli consentiva di evitare il pericolo di perdere o limitare i proventi illeciti, monetizzando immediatamente presso i compro oro delle varie zone i preziosi carpiti alle vittime ed eseguendo, subito dopo, bonifici verso carte postali intestate ad altri complici così da massimizzare gli introiti e coprire le spese delle autovetture noleggiate ai loro scopi, del carburante, dei pedaggi autostradali, delle ricariche telefoniche e dei pernottamenti in strutture alberghiere.

Per cercare di non lasciare tracce, gli odierni arrestati cambiavano continuamente le sim-card e i telefonini utilizzati per tenersi in contatto tra loro e coordinare le varie fasi delle truffe. Nessuna zona d´Italia era immune alle loro scorribande, alle loro vere e proprie trasferte del crimine; difatti, i delinquenti erano soliti soggiornare in una struttura ricettiva di una zona «tranquilla», per non più di 4/5 giorni e poi colpire nei paesi e/o città che si trovavano al massimo nel raggio di 100 km. Per gli spostamenti, utilizzavano solo macchine noleggiate e, dopo ogni trasferta, facevano rientro a Napoli, dove tutti gli indagati sono nati e dimorano, per cambiare auto e cellulari, prima di ripartire per un nuovo tour di truffe. Durante i soli sei mesi di indagini tecniche sono state ricostruite ben 66 truffe tra consumate e tentate, che costituiscono altrettanti capi di imputazione a carico dei 13 indagati, di cui 12 colpiti da provvedimento restrittivo ed uno deferito a piede libero.

Nel corso dell'attività investigativa sono stati recuperati e riconsegnati alle vittime l'oro ed i preziosi oggetto di cinque truffe, per un valore di circa 100.000 euro. In un´occasione, a seguito di una truffa perpetrata a Colleferro, è stato arrestato dai militari di una Stazione Carabinieri il complice che, dopo essersi recato presso l´abitazione della vittima di turno, cercava di far rientro a Napoli con addosso le prove dell´illecito provento, confidando che la breve distanza potesse scongiurare il rischio di imbattersi in qualche controllo. Le decine di truffe messe a segno in quasi tutte le regioni italiane, ad eccezione della Campania e delle isole, fruttavano all´associazione centinaia di migliaia di euro, in quanto era possibile carpire ad ogni vittima denaro e gioielli per un valore che raggiungeva anche i 20.000 euro.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mer nov 01, 2017 8:39 am

Bagheria, boss ordina l'omicidio della figlia: "Ha relazione con un carabiniere". L'altro figlio si rifiuta di fare da sicario
30 ottobre 2017

https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/1 ... io/3944699

Ai suoi aveva ordinato il gesto più feroce: l’omicidio della figlia. Perché la ragazza si era “fatta sbirra”: aveva conosciuto un giovane maresciallo dei carabinieri e aveva cominciato con lui una relazione. Che stava mettendo in crisi il clan mafioso di Bagheria, in provincia di Palermo. Il boss aveva deciso, ma il sicario doveva essere una persona fidata: l’altro figlio, il maschio. Che però temeva di finire in cella ed è stato intercettato mentre si opponeva alla richiesta del padre.

Protagonista della storia è Pino Scaduto, padrino di Bagheria e componente della cosiddetta”Cupola” di Cosa Nostra. Era uscito di cella solo sei mesi fa, ma questa notte ci è tornato. Secondo gli inquirenti puntava a riprendere il comando della cosca di Bagheria. È finito in cella insieme ad altri 15 presunti affiliati, arrestati in un’operazione antimafia condotta dai carabinieri. Sono tutti accusati a vario titolo di associazione mafiosa ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.

“Io ho 30 anni e non mi consumo per lui”, si sfogava con un amico il figlio di Scaduto, intercettato dai carabinieri. Non voleva essere lui ad uccidere la sorella, rea di aver infranto il codice mafioso fidanzandosi con un carabiniere. Secondo Repubblica, il boss incolpava anche la ragazza di averlo fatto arrestare nel 2008, proprio nel momento in cui stava cercando di ricostruire la “cupola”, cioè la commissione provinciale di Cosa Nostra. Sempre secondo il quotidiano, tempo fa Scaduto aveva scritto ad una parente: “Questo regalo quando è il momento glielo farò – diceva riferendosi all’uccisione della figlia – tempo a tempo che tutto arriva”.

Chi è il boss – Aveva raccolto il testimone di Totò Riina, tentando di ricostruire “forme alternative di un’organizzazione di vertice di Cosa Nostra”. Così il colonnello Antonio Di Stasio, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, descrive Pino Scaduto. Il ruolo di punta lo raggiunge nel 2007-2008, quando il signore di Bagheria, insieme a Benedetto Capizzi, promuove la ricostituzione della “cupola”, la commissione provinciale dell’organizzazione mafiosa, uno degli organi direttivi di Cosa Nostra. Scaduto viene arrestato la prima volta proprio nel 2008, nell’ambito dell’operazione “Perseo”.

Gli arresti – Pizzini da chiedere e riscuotere, affiliati in carcere da sostenere, un mercato immobiliare da monopolizzare con provvigioni superiori a quelle di mercato: queste e altre sono le dinamiche fatte emergere dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia, concluse con le 16 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del Tribunale di Palermo ed eseguite stanotte nell’ambito dell’operazione “Nuova Alba”. Obiettivo degli inquirenti era di ricostruire gli equilibri mafiosi del mandamento di Bagheria, sempre capace di rigenerarsi rimpiazzando immediatamente i membri finiti dietro le sbarre. In particolare, le indagini hanno portato alla luce un giro di estorsioni che coinvolgeva soprattutto imprenditori di Bagheria e Altavilla impiegati nel settore edile e nella fornitura di acqua minerale. I presunti affiliati al clan selezionavano le vittime e le costringevano a versare al mandamento grosse somme di denaro.

Oltre a Scaduto, tra gli arrestati ci sono altri nomi di spicco della criminalità organizzata palermitana. Tra questi Giacinto Di Salvo, ex capo del mandamento mafioso di Bagheria dal 2011 fino al maggio 2013, quando venne arrestato nell’indagine “Argo”. In cella anche Giovanni Trapani, boss di Ficarazzi (Palermo), che era stato arrestato nell’operazione “Iron Men”, e i vertici storici del clan di Altavilla Milicia, tra cui Franco Lombardo, per breve periodo anche reggente del mandamento di Bagheria, e Michele Modica, anche lui già finito in carcere precedentemente.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mar nov 07, 2017 9:52 pm

'Ndrangheta, 50 arresti in Calabria. Rampolli dei clan traditi dai social: su Facebook come criminali da film
Operazione nel Reggino: quasi tutti i fermati erano tra le nuove leve che imponevano il dominio sugli appalti. Alcuni erano arrivati a fare irruzione nelle riunioni delle Giunte comunali per minacciare gli amministratori. Ostentavano il loro potere con post e foto sui social network
di ALESSIA CANDITO
07 novembre 2017

http://www.repubblica.it/cronaca/2017/1 ... -180454697

REGGIO CALABRIA - Tra Africo, Brancaleone e Bruzzano Zeffirio ogni appalto era cosa loro. E per rivendicarne l'esclusiva proprietà non hanno esitato persino a fare irruzione durante una riunione di Giunta e minacciare sindaco e vicesindaco, diffidandoli dall'assegnare ad altri appalti e lavori.

Così, almeno fino al marzo 2015 ha funzionato l'amministrazione di Brancaleone, piccolo centro della provincia jonica del reggino, per anni preda di capi e gregari di due nuove articolazioni di 'ndrangheta, i "Cumps" e il "Banco Nuovo", oggi tutti finiti in manette.

Su richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dei pm Antonio De Bernardo, Simona Ferraiuolo e Francesco Tedesco, all'esito di un'indagine congiunta della Squadra mobile di Reggio Calabria e del Comando provinciale dei carabinieri, in 32 questa mattina sono finiti in carcere, in 7 ai domiciliari e 11 sono stati destinatari di una misura di obbligo di dimora perché accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza con violenza e minaccia, turbata libertà degli incanti, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi clandestine e munizionamento, ricettazione, tutti aggravati dal metodo mafioso.

"La maggior parte degli arrestati sono giovani, se non giovanissimi. Si sentivano i padroni assoluti e incontrastati" commenta il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, "con arroganza senza pari imponevano il proprio dominio su appalti e lavori, ma non solo. Quello che questa indagine racconta sono le nuove manifestazioni attraverso cui la 'ndrangheta esercita il controllo del territorio". Direttamente e indirettamente.

Per Brancaleone, gli storici clan di Africo hanno messo in piedi un gruppo criminale forgiato allo scopo, che agiva sotto la diretta supervisione di uomini della famiglia di sangue del boss Giuseppe Morabito Tiradritto. E dallo storico clan, le nuove leve hanno ereditato la protervia. Ma rispetto agli anziani che della strategia del "basso profilo" hanno fatto il proprio marchio di fabbrica, si sono mostrati pronti ad affermare il proprio potere con spudoratezza senza pari.

Figli dell'era digitale, i giovani boss non si limitavano a mostrarsi nelle strade, ma anche sui social network, dove senza timore non esitavano a ritrarsi armati fino ai denti come i protagonisti delle serie tv. "Un modo per autocelebrarsi - spiega un investigatore - ma anche per mandare un messaggio chiaro ai coetanei: qui comandiamo noi". Taggandosi in immagini di uomini armati rubate alle serie tv, ritraendosi tra bottiglie, locali, a cavallo o su moto ad acqua, o scambiandosi pezzi rap che inneggiano ai clan, i giovani boss costruiscono una nuova liturgia criminale, pericolosa ma necessaria.

“I social network – spiega il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo - sono diventati ormai un veicolo di comunicazione anche delle ideologie mafiose. Ritengo sia un dato allarmante nella misura in cui il criminale entra in contatto con un numero enorme di utenti in uno spazio virtuale che non veicola solo buoni sentimenti ma diviene sempre più il luogo da sfruttare per allargare gli orizzonti della intimidazione diffusa perseguita dalle mafie moderne”. Quelle che sembrano semplici e un po’ grette manifestazioni di arroganza, sono messaggi di alta mafia, tanto più pericolosi, quanto facili da diffondere. “La ‘ndrangheta – dice al riguardo Lombardo - sa che la forza di intimidazione per essere tale deve essere veicolata verso le potenziali vittime. E sa bene che solo l’utilizzo delle nuove forme di comunicazione è in grado oggi di garantire tale risultato su larghissima scala. Ecco spiegata la ragione per cui è necessario usare Facebook o altri strumenti similari. Sanno di correre il rischio di fornire a noi elementi di prova a loro carico. Nonostante questo sono consapevoli che il vantaggio che ne deriva è di grandissima ampiezza, tanto da spingerli ad agire lo stesso. Ovviamente non si tratta di una intimidazione virtuale. È virtuale solo lo spazio comunicativo che viene usato. Le armi e le condotte delittuose sono reali, come dimostra l’indagine svolta”.

Un’inchiesta solida, che ha collocato con precisione nel complesso mosaico criminale della Locride il "Banco nuovo" e dei i suoi "Cumps" (abbreviazione americanizzata di "compari"), attivi in Calabria, ma che già da mesi si erano fatti notare nell'hinterland milanese, terra di conquista del nipote del boss Giuseppe Morabito, il "Tiradritto".

Come il nonno, i nipoti del capo passato alla storia per determinazione criminale e ferocia non si fermavano davanti a niente. E sebbene con nuovi, eclatanti metodi, hanno affermato le proprie pretese su appalti e lavori pubblici, che nella provincia jonica reggina rimangono la più grande industria. "Non si limitavano a interferire con l'attività del Comune. Più volte - e di questo ne abbiamo cognizione fino al marzo 2015 - si presentavano dalle ditte titolari di questo o quel lavoro pretendendo che lo abbandonassero e lo lasciassero a loro" spiega il procuratore Cafiero de Raho. "Anche per quanto riguarda i lavori in ambito privato, grazie a dipendenti e funzionari pubblici corrotti, per i clan c'era campo libero".

Agli arresti è finito infatti anche Domenico Vitale, responsabile dell'Ufficio tecnico del Comune, secondo quanto emerso dall'indagine, gola profonda dei clan all'interno dell'amministrazione e principale interlocutore quando servivano autorizzazioni e permessi per questo o quel lavoro. Alle giovani leve, nulla veniva negato. Anche perché identica al passato era la capacità di intimidire e, se necessario, di far male. In mano ai nuovi picciotti, come padri e nonni impegnati anche nel tradizionale business del traffico di droga, è stato trovato un vero e proprio arsenale di armi e munizioni, che si sono dimostrati pronti a utilizzare.

E forse non solo in Calabria. Questa mattina, perquisizioni e sequestri sono stati eseguiti anche in Lombardia e Liguria, nuove colonie di un vecchio regno basato sul terrore.




Le nuove leve della 'ndrangheta, 50 arresti in Calabria
Franco Grilli - Mar, 07/11/2017

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 60393.html

Si chiama "Cumps" (cumpari in dialetto calabrese) la nuova sigla che secondo gli inquirenti raccoglie le nuove leve della ‘ndrangheta in cerca di potere, tra appalti, droga ed estorsioni

Maxi blitz delle forze dell'ordine, in Calabria, nei confronti di 50 persone, raggiunte da ordini di custodia per un indagine su 'ndrangheta e appalti.

Le persone coinvolte sono ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, illecita concorrenza con violenza e minaccia, turbata libertà degli incanti, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. Tra i reati contestati anche violenza e minaccia a pubblico ufficiale, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e porto illegale di armi clandestine e munizionamento, ricettazione, commessi con l'aggravante del ricorso al metodo mafioso, ovvero al fine di agevolare la 'ndrangheta. Sono in corso anche diverse perquisizioni e sequestri di beni.

Gli inquirenti hanno dato all'operazione il nome "Cumps-Banco Nuovo". Arresti e perquisizioni hanno interessato la parte ionica della provincia di Reggio Calabria e altre regioni d'Italia. L'inchiesta della Dda di Reggio Calabria ha svelato l'operatività di diverse articolazioni della 'ndrangheta nei centri di Brancaleone, Africo e Bruzzano Zeffirio, i nuovi assetti organizzativi e i ruoli rivestiti dagli affiliati, rimodellati all'indomani della "pace" raggiunta dalle cosche dopo la sanguinosa faida di Africo-Motticella, che aveva visto affermarsi i gruppi "Palamara-Scriva" e "Mollica-Morabito".

La riorganizzazione degli assetti della 'ndrangheta sul territorio di Brancaleone ha dato origine ad un "Banco nuovo", una nuova realtà locale caratterizzata dalla spiccata tendenza degli affiliati a controllare i lavori e le opere pubbliche del comune. Le indagini hanno portato anche alla luce l'esistenza di una pericolosa cellula di 'ndrangheta di nuova generazione, definita "Cumps" (inglesismo della parola calabrese "cumpari"), composta da una serie di persone che si ritengono dominatrici incontrastati del territorio di Brancaleone (Reggio Calabria) e non esitano a compiere azioni eclatanti pur di affermare il loro predominio, disponendo di armi ad elevato potenziale offensivo. Secondo la procura gli affiliati avrebbero usato i social network per farsi conoscere. E anche per questo sarebbero finiti nella rete degli inquirenti.


Infiltrazioni anche nei lavori per una caserma dei carabinieri

Ci sarebbero anche alcuni piccoli interventi di manutenzione della caserma dei carabinieri di Brancaleone fra i lavori in cui la 'ndrangheta era riuscita a infiltrarsi. Secondo la ricostruzione degli inquirenti i "cumps", consapevoli del rischio derivante dagli scontri armati, avevano trovato nei territori di Africo Nuovo, Brancaleone e Bruzzano Zeffirio nuovi accordi per lo sfruttamento degli appalti. Nel corso dell’indagine è stata documentata, in particolare, l’esistenza di specifiche intese per la spartizione degli appalti, riservando quelli superiori alla soglia di 140/150mila euro esclusivamente alla "locale" di Africo, mentre quelli al di sotto di tale soglia sarebbero rimasti appannaggio delle cosche del territorio, senza alcuna ingerenza del clan di Africo.
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