Mafie e briganti teroneghi

Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » lun dic 17, 2018 8:34 pm

Appalti pilotati in Calabria: indagato il governatore piddì Oliverio
Sergio Rame - Lun, 17/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 17484.html

Falso, corruzione e frode in pubbliche forniture. Il presidente della Regione finisce nei guai: scatta l'obbligo di dimora

Falso, corruzione e frode in pubbliche forniture. Questi i reti ipotizzati nell'ambito di un'operazione della Guardia di Finanza di Cosenza che ha fatto finire nei guai anche il piddì Mario Oliverio per presunte irregolarità nell'affidamento di appalti pubblici.

Per il governatore della Regione Calabria, accusato di abuso di ufficio aggravato dal metodo mafioso, i magistrati hanno, infatti, disposto l'obbligo di dimora a San Giovanni in Fiore, il centro del Cosentino in cui vive. L'inchiesta ha, poi, portato agli arresti Giorgio Barbieri, titolare dell'azienda impegnata nella realizzazione della funivia di Lorica che, secondo gli inquirenti, sarebbe la testa di ponte del clan di Franco Muto di Cetrano detto il "re del pesce".
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio dic 27, 2018 8:23 am

Agguato Pesaro, Salvini: "Mafia, 'ndrangheta e camorra sono m…"
Franco Grilli - Mer, 26/12/2018

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... hRqR97foVE

Il ministro dell’Interno, dopo l’omicidio di Pesaro: "Se qualche mafioso rialza la testa, giù mazzate"

"Se qualche mafioso rialza la testa, giù mazzate, perché mafia, 'ndrangheta, camorra sono merda e finché sarò ministro dell'Interno e mi occuperò di pubblica sicurezza li inseguirò via per via, quartiere per quartiere, palazzo per palazzo, ma non a chiacchiere, ma arrestando e sequestrando, mettendo più uomini delle forze dell'ordine, e dotandoli di più soldi e mezzi".

Matteo Salvini, in diretta Facebook, commenta così l'agguato di Pesaro in cui due killer hanno freddato il fratello di un collaboratore di giustizia.

Il ministro dell'Interno e leader della Lega ha dunque annunciato che nella giornata di domani (giovedì 27 dicembre) si recerà nella città marchigiana per presiedere in prefettura il comitato di ordine pubblico e sicurezza: "È mio dovere, ma è anche mio piacere farlo: presiederò il comitato per l'ordine pubblico e la sicurezza, perché se c'è puzza di mafia, di 'ndrangheta, di camorra, se c'è qualcuno che muore per colpi di pistola in pieno centro in una città tranquilla come Pesaro, è mio dovere esserci, analizzare la situazione a Pesaro e nelle Marche".
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » ven gen 11, 2019 11:23 pm

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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » ven gen 11, 2019 11:23 pm

Falsi verbali per coprire la criminalità in Lombardia: dieci carabinieri indagati
Mercoledì 9 Gennaio 2019

https://www.ilmessaggero.it/italia/cara ... 19548.html

Quando la divisa diventa l'escamotage per architettare fior di truffe. E' quello che è successo con due carabinieri di Busto Arsizio che fingevano di fare servizi di controllo, ma falsifiavano i verbali, per coprire e facilitare esponenti della mafia di Gela.

Secondo quanto emerso - le indagini svolte dai colleghi degli indagati sono state coordinate dal Pm Rosaria Stagnaro - un brigadiere capo, l'ex comandante del Nucleo Radiomobile di Busto Arsizio e un appuntato (deceduto), avrebbero finto di svolgere servizi di controllo falsificando i verbali con nomi di fantasia per svolgere diverse attività durante il servizio. Non solo, nel fascicolo di inchiesta emergono anche false malattie, falsificazioni di verbali di arresto, divulgazione di immagini non autorizzare, utilizzo privato della vettura di servizio e secondi lavori.

La Procura di Busto Arsizio (Varese) ha chiesto, così, il rinvio a giudizio di due carabinieri (un terzo indagato nel frattempo è deceduto) per falsità ideologica, truffa ai danni dello Stato e violata consegna (un reato militare trasmesso per competenza alla Procura Ordinaria), a seguito di un'inchiesta che ha visto indagati in totale dieci militari in servizio presso la compagnia carabinieri di Busto Arsizio, i quali avrebbero per anni avuto contatti con esponenti della malavita gelese in Lombardia.

La Procura di Milano, a cui un secondo fascicolo è arrivato per competenza, li ha indagati anche per accesso abusivo in banca dati. L'indagine è iniziata nell'aprile del 2017 dall'omicidio di Matteo Mendola, bustocco di origini siciliane ucciso a Novara. Durante le indagini svolte per risalire ai responsabili del delitto, erano emerse numerose intercettazioni telefoniche tra soggetti legati alla criminalità gelese e i militari indagati.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio feb 07, 2019 4:30 am

Magistrati in odore di mafia", tre toghe indagate per aver rivelato notizie riservate

di Davide Milosa | 10 Gennaio 2013

https://www.ilfattoquotidiano.it/2013/0 ... ate/466123

Due sostituti procuratori della Dda di Catanzaro e un giudice del tribunale di Vibo Valentia sono accusati dalla procura di Salerno per aver dato informazioni coperte da segreto a un avvocato legato alla cosca dei Mancuso. L'indagine del Ros calabrese ha fatto emergere un centro di potere composto anche da massoni e contiguo alla 'ndrangheta

Il casolare sta in località agro di Limbadi. Il boss della ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso, alias don Luni, chiacchiera con Francesco Barbieri, imprenditore calabrese che da anni vive e lavora a Milano. E’ il 7 ottobre 2011. Qualcuno ha appena stappato una bottiglia di Ferrari. L’ambientale del Ros registra rumori e parole. Dice Mancuso: “La puttana della Napoli voleva mandargli l’ispezione, perché mi aveva mandato all’ospedale (…) che potevo fare quello che volevo (…) dopo la Napoli l’ha saputo e ha fatto un’interpellanza parlamentare”. I carabinieri, così, riannodano i fatti di una vicenda che risale al 2005, quando il giudice del tribunale di Vibo Valentia Giancarlo Bianchi dispose il “ricovero provvisorio” di Pantaleone Mancuso, all’epoca rinchiuso nel carcere di Tolmezzo, all’ospedale civile di Vibo. Un provvedimento, annotano i militari, che il magistrato firmò “in assenza delle condizioni previste dalla Legge (…) creando una oggettiva condizione di vantaggio rappresentata dalla conseguente accresciuta possibilità di comunicazione con l’esterno”. Il boss resterà in corsia per 27 giorni, nonostante il termine imposto fosse di una sola settimana. Una bella vacanza interrotta solo grazie a un’interrogazione dell’onorevole Angela Napoli.

MAGISTRATI, MAFIOSI E MASSONI
L’episodio non resta isolato. Dal maggio 2011, infatti, il Ros di Catanzaro indaga su “una consolidata rete di relazioni, in parte palese e in parte occulta, cui partecipano stabilmente magistrati del distretto di Catanzaro e due funzionari di polizia”. Un intreccio di relazioni, che dimostra “la sistematica contiguità (…) con la cosca Mancuso”. A fare da collante la comune appartenenza a logge massoniche. In questa storia, infatti, molti hanno la tessera in tasca. A partire dal boss Mancuso che all’imprenditore milanese rivela: “La ‘ndrangheta non esiste più, la ‘ndrangheta fa parte della massoneria (…) Abbiamo amicizie: medici, avvocati, politici, giudici, commissari”. E massone è anche il magistrato Giancarlo Bianchi.

L’INGRANAGGIO DELLA ‘NDRANGHETA
L’inchiesta Purgatorio inizia nel 2010 seguendo i movimenti di alcuni capitani del clan. Un anno dopo le indagini fotografano i rapporti tra i boss e diversi rappresentanti delle istituzioni. La svolta avviene quando sulla scena compare la figura di Antonio Galati, l’avvocato dei Mancuso e nome noto alle recenti cronache giudiziarie calabresi. Galati, infatti, è stato coinvolto, assieme all’ex giudice del tribunale di Vibo Patrizia Pasquin, nell’indagine Do ut des del 2005, accusati, assieme a un bel gruppo di imprenditori e professionisti, di corruzione in atti giudiziari, concorso in truffa aggravata in danno della Regione Calabria e dell’Unione europea. Per quella inchiesta, l’avvocato dei boss è stato assolto in primo grado. Una sentenza cui i pm si sono appellati.

Torniamo allora all’operazione Purgatorio. E così intercettazione dopo intercettazione, gli investigatori dispongono sul tavolo una serie di pedine che compongono quello che lo stesso legale definisce “l’ingranaggio” a disposizione della ‘ndrangheta. Un sistema perfetto di relazioni, che ruota attorno al giudice Bianchi e a due sostituti procuratori della Dda di Catanzaro: Giampaolo Boninsegna e Paolo Patrolo. A completare il gruppo, due importanti dirigenti della squadra Mobile di Vibo Valentia: Maurizio Lento ed Emanuele Rodanò.

Il quadro è chiaro, gli obiettivi anche. Il Ros ne snocciola alcuni: condizionare l’esito di processi in cui sono coinvolti i Mancuso, violare il segreto d’ufficio, alimentare una “guerra interna” contro altri magistrati del distretto di Catanzaro, anche attraverso un’opera di “dossieraggio” orchestrata dallo stesso Galati.

MAGISTRATI INDAGATI: “RIVELARONO NOTIZIE RISERVATE”
Primo risultato: la posizione dei tre magistrati passa alla Procura di Salerno competente. Bianchi, Boninsegna e Petrolo vengono accusati di aver rivelato informazioni coperte da segreto. L’accusa ne propone l’interdizione. Richiesta che sarà negata dal giudice per le indagini preliminari. Sul caso, però, ora pende il ricorso al riesame. Un atto dovuto da parte della procura campana che ha provocato, in parte, la discovery dell’inchiesta del Ros di Catanzaro con il deposito di un’informativa di oltre mille pagine.

LA DISTRAZIONE DEI GIORNALI CALABRESI
La notizia è clamorosa. Eppure i media nazionali non la registrano. Mentre i quotidiani calabresi la depotenziano. E così, mentre il Ros annota “i concreti e rilevanti contributi, volontariamente forniti dal giudice Bianchi alla cosca Mancuso”, i giornali locali definiscono l’importante magistrato “un togato senza macchia” che “contro la malavita ha usato sempre la mano pesante”. Un rigore che non emerge quando il giudice autorizza Filippo Fiarè, sorvegliato speciale vicino ai Mancuso, a recarsi più volte a Vibo Valentia per sostenere visite odontoiatriche nello studio del figlio. E del resto Bianchi, non pare particolarmente solerte, nel momento in cui l’amico Galati gli rivela che lo stesso Fiarè è il mandante di un omicidio di mafia. Il particolare è tanto vero che mesi dopo il caso sarà risolto. Ma quando Bianchi riceve la confidenza, però, gli investigatori sono ancora in alto mare. Cosa fa il magistrato? Si tiene in tasca la notizia “violando i doveri della sua pubblica funzione”. Un’omissione che, secondo il Ros, favorisce Fiarè, capo dell’omonima cosca alleata con i Mancuso.

LE PRESSIONI DELLA COSCA SUL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
La zona grigia così si allarga e mentre Bianchi, sostengono i carabinieri, rassicura i Mancuso su future assoluzioni, i professionisti della ‘ndrangheta tentano di influenzare le decisioni del Csm a favore dello stesso giudice. Succede tutto alla fine dell’ottobre 2011, quando Antonino Daffinà, già vicesindaco Udc di Vibo, parente dello stesso Bianchi, nonché commercialista di Pantaleone Mancuso interpella l’onorevole Roberto Occhiuto anche lui dell’Udc. Obiettivo (poi fallito), intervenire sul vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Michele Vietti (Udc), affinché il Csm sposti Bianchi al tribunale di Palmi. Un nomina che però non appare scontata, visto che oltre a Bianchi c’è in ballo il nome di un magistrato di Paola (Cosenza) Silvia Capone. Galati ne parla con una toga amica. I due concordano sul fatto che la Capone non avrebbe “proprio i titoli per questo posto”. Quindi sostengono che la Capone “probabilmente è sostenuta da Magistratura democratica”. Per questo, entrambi consigliano a Bianchi di sentire il giudice Massimo Lento (fratello del poliziotto inserito nell’ingranaggio), importante esponente di Md. Obiettivo: “Vedere se in commissione c’è qualcuno di Md per denunciare la porcata”.

GUERRA INTERNA, TOGHE CONTRO TOGHE
La questione del Csm introduce così il tema della “guerra interna” al distretto giudiziario di Catanzaro che Galati e compagnia scatenano contro un giudice e un procuratore di Vibo Valentia. Ancora una volta si mette in moto l’ingranaggio che ormai è ben oliato. L’avvocato dei Mancuso ne parla con Petrolo, sostenendo che anche un importante magistrato di Cosenza, pur essendo di Md, si è messo con loro “per creare questa frattura, anche all’interno di Md”. C’è di più: l’avvocato dei boss, intercettato, confida di aver incontrato un sostituto procuratore generale in grado di fornire notizie su uno dei due magistrati. Particolare inquietante: l’incontro viene mediato da un imprenditore legato ai Mancuso. Il magistrato contatto da Galati viene identificato dal Ros in Salvatore Librandi. Galati ne parla al sostituto procuratore Boninsegna. “Ieri ho avuto un colloquio… un incontro con una persona… un magistrato… Sostituto Procuratore Generale (…) che dice: ma com’è sta situazione al Tribunale di Vibo Valentia? Ho detto: mah… un po’ ingarbugliata! Perché? Dice: ma voi non prendete provvedimenti su questa sezione fallimentare? Il giudice delegato ai fallimenti che dà incarichi al fratello?”. Gli investigatori ci mettono poco a capire di chi stanno parlando. Si tratta del giudice Fabio Regolo. Annotano i carabinieri: “In questa circostanza venivano espressi analoghi riferimenti nei confronti di altri magistrati, che gli interlocutori indicavano come legati al giudice Regolo, ovvero il Presidente del Tribunale di Vibo Valentia, Roberto Lucisano, il Procuratore della Repubblica, Mario Spagnuolo, il giudice Alessandro Piscitelli”. Gli uomini del Ros di Catanzaro registrano, dopodiché accertano che in effetti Fabio Regolo ha un fratello che lavora a Milano in un studio di commercialisti che negli anni ha avuto diversi incarichi giudiziali dal Tribunale di Vibo Valentia.

L’AVVOCATO RASSICURA IL BOSS: “QUEL PM SE NE FOTTE”
Favori reciproci e rapporti pericolosi. Il gruppo si tiene insieme così. Il magistrato Giampaolo Boninsegna, ad esempio, non mostra imbarazzo a salutare in aula il boss Luigi Mancuso. Oppure a intrattenere rapporti di amicizia con l’avvocato Galati. Lui, a detta del legale che vuole rassicurare il boss, “è uno che se ne fotte”. Boninsegna è coinvolto nella rivelazione di un’inchiesta a carico del genero di Pantaleone Mancuso. Il suo collega, Paolo Petrolo, chiacchierando sempre con Galati, addirittura, fa i nomi di alcuni indagati che da lì a pochi mesi saranno arrestati per un enorme traffico di droga.

Torniamo allora al casolare in località agro di Limbadi. L’imprenditore e il boss hanno finito la bottiglia di Ferrari. La microspia registra le ultime parole del padrino: “Bisogna modernizzarsi, non stare con le vecchie regole, il mondo cambia e bisogna cambiare tutte cose”
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio feb 07, 2019 4:31 am

Bombe a Foggia, blitz polizia, cc e GdF: 16 arresti, 4 legati al clan Moretti
5 febbraio 2019

https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it ... resti.html

Sono cinque distinte inchieste che hanno portato all’arresto di 16 persone, nell’ambito dell’operazione interforze 'Chorus', responsabili di attentati incendiari a danno di esercizi commerciali di Foggia, estorsioni, rapine, armi e tentato omicidio.
Quattro foggiani, ritenuti legati al clan Moretti, sono stati arrestati per aver progettato un agguato sventato dieci giorni fa ai danni di un pregiudicato foggiano. Due degli arrestati sarebbero parenti di Rodolfo Bruno, il malavitoso assassinato il 15 novembre scorso alla periferia della città.

Altri tre arresti sarebbero direttamente riconducibili a un attentato dinamitardo e due incendi avvenuti nei primi giorni di gennaio, e anche a richieste di pizzo.
Nell’ambito della stessa operazione, inoltre, altri quattro foggiani sarebbero stati raggiunti da ordini di custodia cautelare per detenzione di armi. Tra gli arrestati, infine, tre presunti rapinatori foggiani, e due uomini del Gargano per possesso di esplosivo.

Tra i 16 arrestati dell’operazione "Chorus» eseguita dalla «Squadra Stato» questa mattina Foggia, c'è anche Rocco Moretti junior figlio e nipote dei boss ritenuti a capo dell’omonimo clan della «Società». Secondo l’accusa il 21enne sarebbe il mandante del tentativo di estorsione collegato alla bomba esplosa il 7 gennaio scorso davanti alla profumeria "Gattullo» di via Lecce. A piazzarla materialmente, sostengono gli inquirenti, sarebbe stato Davide Monti di 25 anni, anch’egli raggiunto da ordinanza di custodia cautelare. Rocco Moretti junior - ricostruisce l’accusa - nei giorni successivi avrebbe avvicinato un partente del commerciante rivendicando di essere stato lui a piazzare l’ordigno e pretendendo un pizzo imprecisato, altrimenti avrebbe fatto chiudere le tre profumerie gestite in città dalla famiglia Gattullo.
La polizia ha inoltre identificato ed arrestato Abramo Procaccini, 23 anni, quale esecutore materiale del doppio incendio doloso alla Friggitoria «Mordi e Gusta"', intimidazioni avvenute il 4 ed il 6 gennaio che causarono ingenti danni al locale. In questo caso, ipotizza l’accusa, l’incendio non sarebbe collegato a richieste estorsive.

Altri quattro arresti, su ordinanza del Gip, hanno colpito, invece elementi legati al clan Moretti accusati di tre tentativi di omicidio, avvenuti tra il 16 e il 26 gennaio ai danni essenzialmente di due fratelli Gioacchino e Antonello Frascolla. Si tratta di Gianfraco Bruno 40 anni detto il «Primitivo" ritenuto il mandante, il nipote Antonio Bruno di 21, Antonio Carmine Piscitelli di 36 e Giuseppe Ricco di 55 anni di Margherita di Savoia, legato al clan camorristico della famiglia Panico. Questi ultimi tre erano già stati arrestati in flagranza di reato la mattina del 26 gennaio scorso per il possesso di una pistola che avrebbero utilizzato per l’agguato fallito. La vendetta sarebbe collegata all’omicidio di Rodolfo Bruno - cognato e padre di Gianfranco e Antonio Bruno - ucciso in un agguato di mafia il 15 novembre scorso alla periferia di Foggia

PROCURATORE VACCARO: «ABBIAMO SALVATO VITE» - «È arrivata la risposta dello Stato. Una risposta corale, frutto della sinergia tra Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza. Tra le altre cose, grazie alle attività di intercettazioni in corso, abbiamo sventato un tentativo di omicidio studiato con grande pervicacia. Siamo contenti di essere riusciti a salvare delle vite». Così il procuratore capo di Foggia, Ludovico Vaccaro, nel corso della conferenza stampa in cui sono stati illustrati gli esiti dell’operazione interforze 'Chorus' che ha portato all’arresto di 16 persone in cinque distinti filoni di indagine.
«È una risposta che riguarda più azioni criminose - ha aggiunto il procuratore - e gli episodi oggetto di indagini sono tanti: mi preme dire che si tratta di reati tipici della criminalità organizzata foggiana».

Soffermandosi poi sui sette attentati dinamitardi ai danni di imprenditori e commercianti a Foggia dall’inizio dell’anno, il procuratore ha precisato di aver «letto numerosi messaggi di gente che ci incoraggia ad andare avanti, e stiamo percependo nella società civile la voglia di rialzare la testa. La bomba colpisce l’economia del territorio. L’attività estorsiva ha impoverito questa città perché tocca tutti, non solo le vittime». «Queste ultime - ha sottolineato - si trovano spesso in una situazione di grande disagio e solitudine».
«Abbiamo la necessità - ha concluso Vaccaro - di creare un ponte tra le vittime, le forze dell’ordine e la magistratura. La rassegnazione è la tentazione più forte di questo fenomeno»



Mafia, tutti i nomi degli arrestati per le bombe a Foggia. C'è Rocco Moretti, nipote del boss

2019/02/05

https://www.immediato.net/2019/02/05/ma ... e-del-boss

Maxi operazione “Chorus” a Foggia. 16 gli arresti di polizia, carabinieri e finanza messi a segno all’alba su coordinamento della Procura. Alle prime ore dell’alba, tutte le Forze di Polizia operanti sul Territorio — Arma dei Carabinieri, Polizia di Stato e Guardia di Finanza — hanno eseguito congiuntamente numerose ordinanze di custodia cautelare richieste ed ottenute dalla Procura della Repubblica di Foggia, nell’ambito di complesse e separate attività di indagine coordinate dal medesimo Ufficio inquirente.
L’operazione costituisce il segno eloquente della presenza ferma, rapida ed efficace della “Squadra Stato”, in tutte le sue componenti presenti sul Territorio. In particolare, l’attività ha determinato complessivamente l’arresto di sedici soggetti, ritenuti gravemente indiziati di reati quali tentato omicidio, detenzione di armi, tentata estorsione, incendi, rapine, detenzione di esplosivi.
Nel dettaglio, nei Comuni di Foggia e Vieste, i Carabinieri del Comando Provinciale di Foggia hanno dato esecuzione a tre ordinanze di custodia cautelare, nei confronti di cinque persone, ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di fabbricazione e detenzione di ordigni esplodenti, rapine aggravate, porto e detenzione illegale di armi. Nello specifico, i militari hanno eseguito: due ordinanze di custodia cautelare in carcere nei confronti di tre soggetti, Vincenzo Colucci, cl. ’99, Sergio Perekhodko, cl. ’98, e Pasquale Carbone, cl. ’97, gravemente indiziati di reati predatori caratterizzati da particolare violenza e spregiudicatezza.

Vengono contestati i reati di rapina aggravata e possesso di armi comuni da sparo in concorso, con riferimento a due rapine ai danni di altrettanti esercizi pubblici della città, il 25 aprile 2016 presso il bar “Terzo Millennio” e il 29 novembre 2017 presso una tabaccheria di viale Leone XIII; un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nei confronti di Michele Notarangelo, cl. ’96, e Michele Pinto, cl. ’95, gravemente indiziati dei reati di possesso illegale di micidiale materiale esplodente per conto del clan di riferimento. L’ordinanza costituisce l’esito in sede cautelare delle indagini iniziate lo scorso 17 settembre, allorquando i Carabinieri di Vieste arrestarono in flagranza l’incensurato Pasquale Ninni, cl. ’93, sorpreso a custodire cinque micidiali ordigni esplosivi di fabbricazione artigianale. del peso di due chilogrammi ciascuno. In particolare, le attività di indagine intraprese successivamente all’arresto di Ninni determinavano l’acquisizione di clementi probatori tali da delineare le responsabilità dei predetti soggetti, per conto dei quali l’uomo deteneva illecitamente il materiale esplosivo.

Nel Comune di Foggia, personale appartenente alla Polizia di Stato ha dato esecuzione a sette misure applicative di custodia cautelare, emesse dal Gip di Foggia nei confronti di altrettanti soggetti, per i reati di incendio, tentata estorsione, detenzione di armi. In particolare, quattro misure cautelari in carcere sono state eseguite per i reati di detenzione e porto di armi nei confronti di Aleandro Di Fiore, nato a Foggia classe 1981; Raffaele Di Fiore nato a Foggia classe 1965; Vito Francesco Perdonò, nato a Foggia classe 1990 e Raffaella Dell’Anno nata a Foggia classe 1987. Le relative attività di indagine scaturivano dal tentato omicidio verificatosi il 21 ottobre 2018, quando il Di Fiore, addetto alla sicurezza della discoteca “Domus” di Foggia, con un’arma da fuoco esplodeva alcuni colpi di pistola cal. 7.65 all’indirizzo di un giovane ragazzo, attinto alla testa. Le indagini esperite determinavano l’arresto il 22 ottobre 2018 di Renato Console, nato a Foggia classe 1990, amico di Di Fiore e trovato in possesso di un numero rilevante di armi. Le successive attività di indagine consentivano di ricondurre la disponibilità dell’arsenale al buttafuori, nonché di contestare la detenzione di armi anche a carico di Dell’Anno, Raffaele Di Fiore e Perdonò, quest’ultimo arrestato in flagranza di reato in quanto trovato in possesso di altra arma clandestina cal. 7.65, munita di caricatore, con relative 6 cartucce del medesimo calibro. Tale arma, peraltro, a seguito di accertamenti effettuati da personale della polizia scientifica, risultava essere quella utilizzata da Di Fiore per consumare il grave ferimento fuori dal Domus.

Una ulteriore ordinanza di custodia cautelare eseguita dalla Polizia di Stato attiene invece a gravi atti di intimidazione posti in essere ai danni di esercizi commerciali del Comune di Foggia, la friggitoria “Mordi e gusta” e la profumeria “Gattullo”, destinatari rispettivamente di due atti incendiari e di un danneggiamento mediante l’esplosione di un ordigno. Segnatamente, con riferimento al danneggiamento della profumeria “Gattullo”, le indagini consentivano di ricostruire la responsabilità di Davide Monti, nato a Foggia, classe 1994, quale soggetto che materialmente collocava l’ ordigno. Attraverso un’analitica attività di indagine, si accertava che il giovane era solito frequentare il giovane Rocco Moretti, nato a Foggia il 29.05.1997, figlio di Pasquale e nipote di Rocco, elemento di spicco della criminalità organizzata foggiana. L’attività investigativa svolta ha consentito di acclarare che l’atto intimidatorio era da ricollegare ad una pretesa estorsiva riconducibile al giovane Rocco Moretti che, dopo avere fatto collocare l’ordigno da Monti, avvicinava la vittima, rivendicando la paternità del danneggiamento ed intimando alla stessa la corresponsione di una ingente somma di denaro. In ordine agli incendi appiccati nelle date 04.01.2019 e 06.01.2019 ai danni della friggitoria “Mordi e gusta”, le indagini esperite, sviluppatesi attraverso attività di natura tecnica, acquisizione dei dati registrati dai sistemi di videosorveglianza e attività informativa, consentivano di giungere all’identificazione dell’autore delle intimidazioni, identificato in Abramo Procaccini, nato Foggia classe 1995.

Nel Comune di Foggia, i Militari della Compagnia della Guardia di Finanza di Foggia hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di: Gianfranco Bruno (alias “il primitivo”), di anni 40, elemento apicale della “Società foggiana”, affiliato al “clan Moretti/Pellegrino”; Antonio Bruno, di anni 21, figlio di Rodolfo Bruno, elemento apicale della “Società”, assassinato, con modalità mafiose, a Foggia il 15 novembre 2018; Antonio Carmine Piscitelli, di anni 36; Giuseppe Ricco, di anni 55, soggetto condannato, tra 1’altro, per associazione a delinquere di stampo mafioso in quanto inserito nell’organigramma del sodalizio criminale facente capo al clan camorristico della famiglia Panico e già “braccio destro” del capoclan Francesco operante nell’hinterland vesuviano della provincia di Napoli. Tutti ritenuti gravemente indiziati, a vario titolo, dei reati di tentato omicidio, detenzione e porto di armi, ricettazione. L’operazione costituisce l’epilogo di una complessa e strutturata attività investigativa condotta dai militant del Nucleo Mobile della Compagnia di Foggia, coordinati da questa Procura della Repubblica.

In particolare, le indagini svolte determinavano l’acquisizione di significativi elementi probatori in ordine all’ideazione e tentata esecuzione di un grave fatto di sangue, che sarebbe avvenuto, ad opera di un commando armato, alle prime luci del1’a1ba del 23.01.2019, nell’ambito presumibilmente della guerra tra clan rivali per il controllo delle attività criminali nella città di Foggia. In più occasioni, i militari — unitamente a personale della Polizia di Stato — attuavano un capillare dispositivo finalizzato ad individuare ed intercettare il commando al fine di scongiurare l’omicidio pianificato. Nel prosieguo dell’azione repressiva, i militari operanti, avuta contezza della dinamica dell’azione criminale che sarebbe stata posta in essere, all’esito di un ininterrotto servizio di osservazione, intervenivano prontamente, bloccando le due autovetture a bordo delle quali erano sorpresi i tre componenti del commando, tra i quali il “killer” che avrebbe materialmente eseguito l’omicidio, pronti a compiere l’agguato. A bordo di una delle due autovetture era rinvenuta una rivoltella marca “SMITH & WESSON” con matricola abrasa, carica con sei cartucce calibro 44 Magnum, pronta all’uso ed i tre soggetti, ritenuti responsabili, venivano arrestati ed associati alla locale Casa Circondariale a disposizione della locale Autorità Giudiziaria. Lo sviluppo delle attività di indagine intraprese ed eseguite in modo incessante dagli organi inquirenti (Procura della Repubblica e Guardia di Finanza) consentivano di individuare il mandante dell’omicidio pianificato in Gianfranco Bruno alias “il primitivo”, elemento di spicco del clan “Moretti/Pellegrino”, il quale con l’azione programmata intendeva vendicare il decesso del cognato Rodolfo Bruno, colpendo a morte un elemento di spicco del contrapposto clan rivale dei “Sinesi/Francavilla”. Leattività di indagine sinteticamente descritte certificano la risposta rapida ed efficace dello Stato, attività che proseguirà senza sosta, nel solco di un lavoro di squadra proficuo e destinato a generare fiducia nella cittadinanza.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » ven feb 22, 2019 12:57 am

Confraternite, la scure di Lorefice Fuori mafiosi, massoni, condannati
2019/02/21

https://livesicilia.it/2019/02/21/paler ... ti_1037666

PALERMO - Fuori i mafiosi dalle confraternite, a cui da oggi in poi si potrà aderire solo presentando il proprio certificato dei carichi pendenti, decadenza anche per chi viene semplicemente arrestato e indice puntato anche contro le associazioni di stampo massone. Il vescovo di Palermo, don Corrado Lorefice, usa il pugno di ferro e con un decreto firmato lo scorso 25 gennaio, ma reso noto soltanto oggi, prova a mettere ordine in un settore, quello delle confraternite laicali, finito spesso al centro delle polemiche per la presenza di persone dal passato poco trasparente o addirittura condannate per crimini gravi.

Il presule ha imposto infatti regole stringenti: non solo chi sarà chiamato a guidare le confraternite, ma anche chi vorrà soltanto farne parte dovrà produrre necessariamente “il certificato generale e il certificato dei carichi pendenti del casellario giudiziale rilasciati in data non anteriore a tre mesi”. Una documentazione che il decreto giudica “essenziale ad attestare l’indubbio percorso di testimonianza dei valori evangelici nella vita civile”. Fino ad oggi, infatti, per iscriversi a una confraternita bastavano i certificati di battesimo, di cresima, di matrimonio e lo stato di famiglia.

Ma produrre la documentazione giudiziaria potrebbe addirittura non bastare, visto che, come dice il decreto, una “fedina penale pulita non necessariamente è indice di vita pulita”: per questo parroci e assistenti spirituali dovranno firmare una lettera “che dia sufficienti garanzie circa la retta intenzione del richiedente e la serietà della sua vita, quale condizione essenziale e imprescindibile per l’ammissione nella confraternita”. Inoltre, terminato il noviziato, i parroci dovranno anche rilasciare un attestato di idoneità.

Tutto qui? No, perché Lorefice si spinge addirittura oltre modificando d’imperio lo statuto diocesano e gli statuti delle singole confraternite: non potranno essere iscritti coloro “che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che con il loro comportamento provocano scandalo”, chi appartiene ad associazioni di stampo mafioso o di tipo segreto e contrarie ai valori del Vangelo (e viene citata esplicitamente la massoneria) ma anche chi ha avuto “sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato”. Inoltre decadranno automaticamente anche coloro che sono già iscritti e commettono reati mafiosi o anche chi viene semplicemente colpito da “provvedimenti cautelari restrittivi della libertà personale” almeno fino “all’accertamento giudiziario della loro condizione”.

Non è certo la prima volta che la Chiesa punta il dito contro le proprie confraternite, visti anche i numerosi episodi accaduti in varie parti del Paese che hanno visto le processioni fare “inchini” e soste sospette in corrispondenza dell’abitazione di qualche boss. Ma è la prima volta che, a Palermo, un vescovo decide misure così drastiche, tentando così di arginare il pericolo di infiltrazioni in realtà storiche ma che gestiscono processioni e feste rionali e che a Palermo sono svariate decine con centinaia di iscritti.

Il provvedimento, spiega il sito della diocesi, non intende criminalizzare le confraternite ma anzi ripulirle, tutelando così chi ne fa parte ma conduce una vita onesta. “La nostra Arcidiocesi – si legge nel testo pubblicato – sente il dovere di intervenire per evitare di criminalizzare indiscriminatamente tutti i membri delle confraternite e si affida ad alcuni strumenti di accertamento della legalità per esercitare il suo dovere di vigilanza e per tutelare dalle associazioni mafiose e criminali o dalle associazioni segrete, le realtà confraternali, cui è affidato il delicato compito di trasmettere non solo le autentiche tradizioni della nostra pietà popolare ma, ancor più, una testimonianza di vita coerente con il Vangelo di Cristo accolto e annunciato nella vivente tradizione della Chiesa”.

Una realtà difficile da gestire, come ammette lo stesso vescovo nelle premesse del decreto: “Accanto ad esperienze positive e incoraggianti si collochino talora anche nella nostra amata Chiesa palermitana imbarazzanti e inaccettabili tentativi di fare delle Confraternite centri di una pratica fintamente religiosa per puro esibizionismo e folklorismo, di esercizio di potere e, perfino, un alibi per persone di dubbia moralità sociale ed ecclesiale”. “È infatti intrinsecamente inconciliabile l’agire malavitoso, tanto più una militanza attiva tra i ranghi di società di stampo mafioso, e l’appartenenza ad una delle tante nostre Confraternite che perseguono i fini apostolici propri della Chiesa”, continua Lorefice che cita il famoso discorso contro la mafia fatto da Papa Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi nel 1993. Ma il vescovo prendere in prestito anche le parole di Papa Francesco nella sua visita a Palermo dello scorso settembre, e in particolare l’omelia tenuta al Foro Italico nella quale il pontefice ha precisato che “non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore; di servizio, non di sopraffazione”.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio feb 28, 2019 9:35 am

Mafie italiche nel Veneto - Anche questi sono veneti, anche questa porcheria è veneta
https://www.facebook.com/groups/2376236 ... 7463325331


Così il Veneto fu ceduto ai Casalesi La divisione del territorio tra i gruppi
Martedì 26 Febbraio 2019
Gianluca Amadori

https://www.ilgazzettino.it/nordest/pri ... 25475.html

La criminalità organizzata si era spartita il territorio veneto e il clan dei casalesi aveva guadagnato sul campo il predominio riconosciuto sul Sandonatese. È quanto emerge dall'inchiesta condotta da Guardia di Finanza e Polizia che, la scorsa settimana, ha portato all'arresto di cinquanta persone, ritenute collegate al presunto boss di Eraclea, Luciano Donadio.

«Talmente solida è stata la posizione egemonica conseguita dal sodalizio nell'area del Veneto orientale da legittimare i suoi dirigenti a porsi come regolatori dei contrasti economici tra i gruppi criminali locali operanti nel settore del narcotraffico e dello sfruttamento della prostituzione - scrive il pm Roberto Terzo - Per la stessa ragione il sodalizio è stato riconosciuto come unico interlocutore, per affari illeciti riguardanti l'area Sandonatese, da altre organizzazioni criminali operanti in altre regioni, appartenenti alla Ndrangheta ed alla criminalità mafiosa catanese.

I prestiti e l'usura, così spremevano le vittime
Indagata anche la presidente della Camera penale
Il boss della camorra sognava la pensione: «Voglio stare tranquillo»

La conferma della spartizione la fornisce lo stesso Donadio, in un colloquio intercettato nel 2016, nel quale dipinge il quadro della situazione ai sodali: «Qua comando io! Nella zona vengo prima io e poi ci vengono gli altri. Hai capito?



Camorra: 50 arresti nel blitz Eraclea, sindaco in manette
19 febbraio 2019

https://www.ilgazzettino.it/nordest/ven ... 10104.html


VENEZIA - Colpo alla camorra infiltrata in Veneto. La Guardia di Finanza e la Polizia, coordinate dalla Dda di Venezia, stanno eseguendo 50 misure cautelari (47 in carcere, 3 ai domiciliari) e 9 provvedimenti di obbligo di dimora e di altro tipo come il divieto si svolgere la professione di avvocato. Sequestrati beni per 10 milioni. Una batosta per le organizzazioni mafiose, ma anche un campanello d'allarme, come sottolinea il procuratore capo di Venezia Bruno Cherchi, che parla di «criminalità strutturata e penetrata nei settori economico e bancario» (LEGGI). Gli arresti sono scattati all'alba tra le 4 e le 5 a Venezia, Casal di Principe, in provincia di Caserta, e in altre località del veneziano. I destinatari del provvedimento sono accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso e altri gravi reati. Tra gli arrestati il sindaco di Eraclea, Mirco Mestre. Coinvolti a vario titolo almeno un avvocato e dei commercialisti. In carcere anche Denis Poles, direttore di banca a Jesolo: consentiva ai malavitosi, come già faceva il suo predecessore, di operare sui conti societari senza averne titolo, concordando l'impiego di prestanome e omettendo sistematicamente di segnalare le operazioni sospette.

Coinvolto anche un appartenente alla Polizia di Stato, Moreno Pasqual, accusato di aver fornito informazioni riservate agli uomini del clan relative ad indagini nei loro confronti, entrando illecitamente nelle banche dati della Polizia. Pasqual è accusato anche di aver garantito protezione e supporto dopo i controlli di altre forze di polizia.

L'INDAGINE E' stata condotta dal Gico del nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Trieste e dalla squadra mobile di Venezia. Dalle prime ore dell'alba sono impegnati per eseguire le misure cautelari oltre 300 uomini dello Scico della Gdf, dello Sco della Polizia e del nucleo di polizia economico-finanziaria di Venezia. I dati salienti dell'intervento saranno comunicati dal Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho e dal Procuratore Distrettuale di Venezia Bruno Cherchi in un incontro con la stampa alle ore 11,30.
A coordinare l'inchiesta è il sostituto procuratore veneziano Roberto Terzo, mentre l'ordinanza con i provvedimenti restrittivi - oltre 1.100 pagine - è stata emessa dal gip Marta Paccagnella. Le indagini coordinate dal dottor Terzo sono durate anni.

VENETO ORIENTALE Tra i filoni d'indagine anche l'ipotesi di rapporti con la politica e il voto di scambio, in particolare in rapporto con il clan dei Casalesi. Tutto ruoterebbe attorno al mondo dell'edilizia legato alle costruzioni lungo la costa adriatica veneziana, da San Donà di Piave a Bibione, Caorle e oltre. Decine di estorsioni per riscuotere crediti, truffe all’erario, armi. Secondo l'accusa, la Camorra si era infiltrata nel Veneto Orientale facendo affari e perfino garantendo i voti necessari all’elezione di un sindaco, quello di Eraclea.

IL PARTICOLARE PIU' INQUIETANTE. A commissionare le estorsioni, per recuperare crediti, erano imprenditori e semplici cittadini, di quelli che si proclamano perbene, ma che non hanno avuto scrupoli nel rivolgersi alla malavita, invece che alle forze dell’ordine o alla magistratura, consentendo agli esponenti della Camorra, trasferitisi in Veneto, di radicarsi e rafforzare il loro potere, basato su violenza e intimidazione.

ERACLEA SOTTO CHOC Nomi eccellenti fra i cinquanta arresti per le infiltrazioni camorristiche nel Veneto Orientale. In manette è finito anche il sindaco Mirko Mestre, avvocato, mentre risulterebbe indagato il suo vice, Graziano Teso. Dall’alba di questa mattina due auto, uno della Finanza e una della Polizia sono davanti all’ingresso del municipio, nella piazza con il mercato in corso gente attonita e incredula. “E’ una brava persona” non ci posso credere dicono fra le bancarelle e nei bar (LEGGI).

PUNTO SNAI
Al centro della mega operazione coordinata dalla Procura antimafia di Venezia, e condotta dal Gico di Trieste e dalla Squadra mobile lagunare, quello che viene considerato il referente locale del clan dei casalesi, Luciano Donadio, 53 anni, sorpreso nel cuore della notte nella sua abitazione a poca distanza dalla centralissima piazza Garibaldi. Arrestato anche il suo primogenito, Adriano Donadio, titolare del Punto scommesse Snai, che affaccia sempre su piazza Garibaldi, locale che è stato sequestrato.

I NOMI DEGLI ARRESTATI

Capi indiscussi nel veneziano erano Luciano Donadio e Raffaele Buonanno, nato in Campania ma già nel veneziano negli anni '90. Con loro un gruppo proveniente da Casal di Principe (Caserta) come Antonio Puoti, Antonio Pacifico, Antonio Basile, Giuseppe Puoti e Nunzio Confuorto che hanno, nel tempo assoldato persone campane e veneziane come Girolamo Arena, Raffaele Celardo e Christian Sgnaolin. Tra gli arrestati dal blitz dell'operazione il sindaco di Eraclea Mirco Mestre, per voto di scambio, Denis Polese, direttore di banca a Jesolo (Venezia) e il suo predecessore - indagato in stato di libertà - che garantivano conti societari, e infine Moreno Pasqual, poliziotto accusato di passare informazioni ai malavitosi. Tra gli arrestati anche una vittima del trader Fabio Gaiatto, si tratta di Samuele Faè, di Caorle.

IL GRAZIE DEL GOVERNATORE
Il governatore Luca Zaia è il primo a ringraziare le forze dell'ordine:
«In attesa che vengano resi noti i dati salienti - ha detto - mi sento di ringraziare a nome di tutta la gente per bene il Procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho e il Procuratore distrettuale di Venezia Bruno Cherchi per un successo nella lotta alla criminalità organizzata che contribuisce a portare sui nostri territori sicurezza, ordine e legalità. Credo di interpretare il sentimento dei veneti».



Pizzo, droga, prostituzione: come la camorra ha conquistato il Veneto orientale
Carlo Di Gennaro
19 febbraio 2019“

http://www.veneziatoday.it/cronaca/camo ... agine.html

Ottenevano il pizzo da imprese dell'edilizia e della ristorazione. Controllavano il narcotraffico e la prostituzione e rifornivano le aziende di lavoratori in nero. Costituivano ditte destinate alla bancarotta e producevano false fatture. Avevano intrecciato stretti legami con l'imprenditoria locale, diventando protettori, dispensatori di favori, soci in affari. Nell'operazione portata a termine stamattina rientrano vicende risalenti anche a oltre vent'anni fa. Le indagini dimostrano che la camorra ha stabilito radici profonde nella nostra regione, e in particolare nel Veneto orientale: in queste zone le cosche campane si sono insediate mano a mano, prendendo il controllo della criminalità e allacciando rapporti con l'imprenditoria e la politica. La procura distrettuale antimafia di Venezia, la guardia di finanza e la polizia di Stato hanno eseguito oggi il provvedimento cautelare emesso del gip di Venezia nei confronti degli appartenenti a questo sodalizio di stampo mafioso: 50 persone in arresto (47 in carcere, 3 ai domiciliari), altre 11 raggiunte da obbligo di dimora.

INDAGATA LA PRESIDENTE DELLA CAMERA PENALE

SEQUESTRI PER 10 MILIONI DI EURO
La camorra e la connivenza dei cittadini

Il gruppo, affiliato al clan dei Casalesi, controllava il territorio con l'uso delle armi e della violenza. Un sistema consolidato e diffuso, tanto che l'operazione risulta essere la più vasta di sempre, in Veneto, contro la criminalità organizzata. Uno degli arrestati di spicco è il sindaco di Eraclea, Mirco Mestre, indagato del reato di scambio elettorale politico-mafioso in relazione alle elezioni 2016. La "conquista" dell'area era partita proprio da Eraclea, molti anni fa, dopodiché il gruppo aveva esteso la sua influenza criminale nell'est del Veneto, avvalendosi della sua forza di intimidazione per instaurare una condizione di omertà e commettere delitti di ogni tipo: usura, estorsione, rapina, ricettazione, riciclaggio e auto riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, sottrazione fraudolenta di valori, contraffazione di valuta, traffico di stupefacenti, sfruttamento della prostituzione, intermediazione illecita di manodopera, detenzione illegali di armi, danneggiamenti, incendi, truffe e truffe aggravate ai danno dello Stato, bancarotta fraudolenta, emissione di false fatture. «I soggetti locali - ha spiegato il procuratore Bruno Cherchi - conoscevano la situazione e vi hanno partecipato. Se all'inizio erano vittime di usura, ad esempio, nel tempo si instauravano degli accordi che hanno reso più facile l'azione della criminalità organizzata. Ci sono gravi indizi di un inserimento stabile nelle attività produttive, e non solo».

IN MANETTE IL SINDACO DI ERACLEA
La scalata partita negli anni '90

L'organizzazione risulta costituita già alla fine degli anni '90 da Luciano Donadio (nato a Giugliano in Campania nel 1966 e residente ad Eraclea), Raffaele Buonanno (nato a San Cipriano D'Aversa nel 1959, domiciliato a Eraclea e a Casal di Principe) e Antonio Buonanno (nato a San Cipriano D'Aversa nel 1962, residente a Casal di Principe) assieme ad un nucleo di persone originarie di Casal di Principe e di altri centri dell'Agro Casertano (Antonio Puoti, Antonio Pacifico, Antonio Basile, Giuseppe Puoti, Nunzio Confuorto) via via implementata da altri soggetti sia campani che locali (come Girolamo Arena, Raffaele Celardo, Christian Sgnaolin). I ruoli primari erano rivestiti da Luciano Donadio e Raffaele Buonanno (quest'ultimo imparentato tramite la moglie con esponenti di vertice dai clan Bianco e di Francesco Bidognetti, detto "Cicciotto e mezzanotte", capo della omonima famiglia) i quali rappresentavano l'associazione nei rapporti di natura criminale, pure con i dirigenti e gli associati al gruppo Schiavone e Bianco e le altre "famiglie" Casalesi.

LE REAZIONI DELLA POLITICA
I legami con la mala del Brenta

Il gruppo mafioso avrebbe rilevato il controllo del territorio dagli ultimi esponenti della "mala del Brenta", con i quali sono stati comprovati i contatti. Le strategie criminali erano finalizzate, tra l'altro, ad acquisire, se necessario con minacce e violenza, la gestione o il controllo di attività economiche, soprattutto nell'edilizia e nella ristorazione, ma anche ad imporre un aggio ai sodalizi criminali limitrofi dediti al narcotraffico o allo sfruttamento della prostituzione. Una quota dei profitti dell'attività criminale era destinata a sostenere finanziariamente i carcerati di alcune delle storiche famiglie mafiose di Casal di Principe appartenenti al clan dei Casalesi. Per affermare la propria egemonia sul territorio, i sodali hanno fatto uso e commercio di armi - anche da guerra - utilizzandole per compiere attentati intimidatori anche ai danni di ditte concorrenti.


Gli affari nell'edilizia

L'organizzazione ha operato inizialmente nel settore dell'edilizia, dedicandosi particolarmente all'attività usuraria ed all'esecuzione di estorsioni, da ultimo specializzandosi nel settore delle riscossioni crediti per conto di imprenditori locali. Nel corso delle indagini sono state sventate rapine, anche in abitazione: in una di queste, in provincia di Treviso, sono stati tratti in arresto alcuni dei componenti del gruppo e altri arruolati per l'esecuzione del colpo. Nel tempo, l'organizzazione si è finanziata anche con la produzione di fatture per operazioni inesistenti per molti milioni di euro, grazie ad una fitta rete di aziende intestate anche a prestanome poi oggetto di bancarotta fraudolenta. Oltre alle frodi all'erario per reati tributari, spiccano quelle all'Inps, attraverso false assunzioni in imprese di 50 persone contigue al sodalizio, allo scopo di ottenere indebitamente l'indennità di disoccupazione per circa 700mila euro.


Il sindaco, il banchiere e il poliziotto

Tra gli arrestati, come detto, c'è il sindaco di Eraclea, Mirco Mestre: il reato che gli viene contestato è scambio politico-elettorale riferito all'elezione nel 2016, conseguita per soli 81 voti di scarto sul rivale. La vittoria gli fu assicurata grazie agli oltre 100 voti procuratigli dal gruppo mafioso del quale lui stesso aveva sollecitato l'intervento, indicando anche i candidati della propria lista su cui convogliare le preferenze. In cambio, aveva promesso favori su istanze amministrative presentate da società controllate dagli uomini dell'organizzazione criminale. In carcere anche Denis Poles, direttore di una banca di Jesolo, il quale, come il suo predecessore (indagato a piede libero) consentiva ai camorristi di operare su conti societari senza averne titolo, concordando con loro l'interposizione di prestanome, omettendo sistematicamente di effettuare le segnalazioni di operazioni sospette. Coinvolto anche un appartenente alla polizia di Stato, Moreno Pasqual, accusato di aver fornito informazioni riservate ai malavitosi, inerenti ad indagini nei loro confronti, tramite illecito accesso alle banche dati di polizia, nonché di averne garantito protezione e supporto a seguito di controlli subiti da parte di altre forze di polizia.

Hanno collaborato all'esecuzione del provvedimento cautelare, nell'operazione denominata «At last», il Nucleo di polizia economico-finanziaria Venezia, il Servizio centrale investigazione criminalità organizzata (S.C.I.C.0.) della guardia di finanza di Roma, il Servizio centrale operativo (S.C.O.) della polizia di Stato con l'imponente impiego di oltre trecento unità di polizia giudiziaria.



“I Casalesi al posto della mafia del Brenta”. Retata in Veneto, in cella sindaco di Eraclea
Arrestato per voto di scambio anche Mirco Mestre: “Primo caso in Regione”
“I Casalesi al posto della mafia del Brenta”. Retata in Veneto, in cella sindaco di Eraclea
di Giuseppe Pietrobelli | 20 Febbraio 2019

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edi ... ea/4984503

Se lo ricordano ancora quello scrutinio mozzafiato a Eraclea, cittadina turistica dell’Adriatico. La notte del 5 giugno 2016, l’avvocato Mirco Mestre, astro nascente del centrodestra, bruciò per 81 voti il sindaco uscente di centrosinistra Giorgio Talon: 2.528 consensi contro 2.447. Un’inezia, equivalente allo 0,78%. Ma erano voti dei casalesi. Così emerge dalle pieghe dell’inchiesta della […]
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » mar mar 05, 2019 8:34 am

Mafia, blitz nel Trapanese: 25 arresti, anche un ex deputato regionale Pd
5 marzo 2019
https://www.ilmessaggero.it/italia/mafi ... 40920.html

Associazione mafiosa, scambio elettorale politico-mafioso, estorsione, danneggiamento: questi i reati di cui sono accusati, a vario titolo, 25 esponenti della mafia trapanese arrestati stamani in una vasta operazione che coinvolge oltre 200 carabinieri del Comando Provinciale di Trapani. Il provvedimento è stato emesso dal gip di Palermo, su richiesta della dda.

Tra gli arrestati nell'ambito dell'operazione antimafia della dda di Palermo, guidata da Francesco Lo Voi, ci sono due esponenti politici.
Si tratta dell'ex deputato regionale del Pd Paolo Ruggirello, accusato di associazione mafiosa, e dell'ex assessore comunale di Trapani Ivana Inferrera, indagata per voto di scambio politico-mafioso.

In cella sono finiti, oltre ai vertici del mandamento di Trapani (rappresentati dai fratelli Francesco e Pietro Virga, figli del boss ergastolano Vincenzo), esponenti di spicco della "famiglia" mafiosa di Paceco e della "famiglia" di Marsala.




Mafia, arrestato Ruggirello ex deputato regionale Pd. “È a disposizione dei fedelissimi di Messina Denaro”
Paolo Ruggirello

Blitz a Trapani, 25 arresti. Decapitato il nuovo vertice della cosca. Il politico accusato di associazione mafiosa: "Favori in cambio di voti". Assalto dei boss a Favignana, sequestrato il Grand hotel Florio. In manette pure un 'ex assessore comunale, Ivana Inferrera. Il boss Virga: "Mi sto giocando tutte le carte per questi politici ".
dal nostro inviato SALVO PALAZZOLO
05 marzo 2019

https://palermo.repubblica.it/cronaca/2 ... -220739861

TRAPANI. L’ultima indagine sulla mafia dei fedelissimi di Matteo Messina Denaro porta un risvolto a sorpresa: i carabinieri del nucleo Investigativo hanno arrestato un esponente del Pd siciliano, Paolo Ruggirello, ex deputato regionale e candidato (non eletto) alle ultime elezioni per il Senato. Un ras del voto arrivato quattro anni fa nelle fila dei renziani dopo una militanza nel movimento per le autonomie e nel centrodestra. Adesso, è accusato di associazione mafiosa, questa la contestazione pesante che gli viene mossa dalla procura distrettuale antimafia di Palermo nell’indagine che all’alba ha portato in carcere 25 persone, fra colonnelli e gregari del clan di Trapani.

Intercettazioni e pedinamenti dicono che Ruggirello sarebbe stato a disposizione della “famiglia”, favorendo affari e assunzioni, avrebbe anche inserito persone segnalate dei boss nelle liste per alcune consultazioni elettorali locali; in cambio avrebbe ricevuto sostegno elettorale. Dice il procuratore capo Francesco Lo Voi: "Ruggirello ha rappresentato il ponte fra mafia e istituzioni"

L'ATTO D'ACCUSA DEL GIP: "Ruggirello ha preso parte a Cosa nostra favorendo appalti e assunzioni"

In manette è finita anche l'ex assessore comunale di Trapani Ivana Inferrera, che nel 2017 fu candidata alle Regionali con l'Udc: è accusata di voto di scambio politico mafioso. Stessa contestazione per il marito, Ninni D'Aguanno, arrestato pure lui. Il blitz porta in carcere un terzo politico locale, l'ex consigliere comunale di Erice Ninni Maltese, è ritenuto componente della famiglia mafiosa dei Virga.
Il blitz
L’inchiesta decapita il nuovo vertice di Cosa nostra trapanese, composto dai figli del vecchio capomafia Vincenzo Virga, Francesco e Pietro, che dopo essere stati scarcerati avevano lanciato la riorganizzazione della cosca. Puntando soprattutto sull’edilizia, sullo smaltimento dei rifiuti e sugli investimenti nel settore del turismo, il clan aveva nominato un referente sull’isola di Favignana per gestire il Grand hotel Florio e altri interessi economici. Adesso, è scattato un sequestro per la struttura alberghiera e per altri beni, valore 10 milioni di euro.

Questo racconta l’indagine coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Gianluca De Leo e Claudio Camilleri. E’ la conferma che la filiale trapanese di Cosa nostra, diretta dal latitante (ormai dal 1993) Matteo Messina Denaro, è il vero laboratorio della nuova mafia siciliana, che prova a ridarsi un volto rispettabile. Con una mission: abbandonare le attività criminali tradizionali sul territorio per dedicarsi ai grandi affari, grazie ad alcune complicità insospettabili. La settimana scorsa, un’altra operazione aveva portato in carcere il re delle scommesse on line della provincia, accusato di aver finanziato la famiglia Messina Denaro e di aver sostenuto l'elezione del deputato regionale di Forza Italia Stefano Pellegrino, componente della commissione antimafia, indagato per corruzione elettorale. "Uno spaccato davvero particolare - dice il procuratore aggiunto Paolo Guido - erano i politici a cercare i mafiosi in campagna elettorale".

Trapani zona grigia. Diceva il boss Pietro Virga: "Mi sto giocando tutte le carte per questi politici". Ora, un curioso destino accomuna i due esponenti delle famiglie più importanti della città, Paolo Ruggirello e Antonino D’Alì, l’ex sottosegretario all’Interno del governo Berlusconi. Entrambi indagati per rapporti con la mafia. D’Alì è imputato in appello, per concorso esterno.
Dagli affari alla politica
Paolo Ruggirello è cresciuto all’ombra del padre, il ragioniere di contrada Guarrato che negli anni ’60 e ’70 fu protagonista di una sorprendente scalata imprenditoriale: diventò monopolista degli appalti per le strade della provincia, proprietario della Banca Industriale e patron del Trapani calcio. E qualche sospetto di mafia raggiunse anche lui quando si trasferì a Roma.

Trapani, il procuratore di Palermo Lo Voi: "Ruggirello ponte tra istituzioni e mafia"

Nel 1995, Ruggirello senior muore all’improvviso e gli affari di famiglia vengono presi in mano dalla figlia Bice, Paolo si lancia invece in politica. Inizialmente, al fianco del socialista Bartolo Pellegrino, l’assessore della giunta di Totò Cuffaro costretto alle dimissioni perché intercettato mentre parlava con un mafioso degli “sbirri”. Subito dopo, Ruggirello prende il volo nella politica siciliana, diventando presto uno dei ras del voto.
Cambi di casacca
Negli ultimi tredici anni è passato dal movimento autonomista di Raffaele Lombardo alla lista di centrodestra guidata da Nello Musumeci. Tre legislature da deputato regionale. Nel 2015, Ruggirello ha fatto il suo ingresso nel Partito Democratico, col sostegno del luogotenente di Matteo Renzi in Sicilia, il sottosegretario Davide Faraone. Le polemiche furono tante, soprattutto perché la proposta più importante di Ruggirello prima di entrare nel Pd aveva riguardato una maxi sanatoria sulle coste siciliane.

Nel marzo scorso, la corsa al Senato va a vuoto. Il segnale che Paolo Ruggirello era ormai diventato ingombrante per il Pd. E gli è stata bloccata anche la strada verso le cariche nazionali del partito. Ma lui continuava a tessere la sua trama di alleanze, anche verso altri gruppi, probabilmente in vista di un nuovo cambio di casacca.

“Io sono un uomo che ha sempre cercato l’incontro e mai lo scontro”, continuava a ripeteva nelle sue interviste. “In quasi dieci anni di attività politica sono stato al servizio del territorio”. Un servizio a tutto campo, dice ora l’indagine che ha portato Ruggirello in manette.
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Re: Mafie e briganti teroneghi

Messaggioda Berto » gio mar 14, 2019 10:57 am

'Ndrangheta, sciolta l'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria per infiltrazioni
Giovanna Pavesi - Mer, 13/03/2019

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 61608.html

Lo scioglimento è stato disposto dall'esecutivo, che ha deciso di affidare la gestione a una Commissione straordinaria

La decisione è stata presa il 7 marzo, quando il Consiglio dei Ministri ha deliberato lo scioglimento dell'Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria per infiltrazioni della 'ndrangheta.

E la prima conseguenza è stata l'affidamento della gestione a una Commissione straordinaria (composta da Giovanni Meloni, Maria Carolina Ippolito e Domenico Giordano).

A comunicare la decisione, una nota della prefettura di Reggio Calabria, precisando che "nelle more del perfezionamento della procedura di scioglimento con la firma del Presidente della Repubblica", il prefetto, Michele Di Bari, ha disposto la sospensione dell'Organo di direzione generale e ha incaricato della gestione provvisoria dell'Ente la giunta straordinaria. Secondo le prime ricostruzioni, da tempo si parlava di un imminente scioglimento dell'Asp per infiltrazioni mafiose.
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