LA QUESTIONE È STATA SOLLEVATA DAL VICE PRESIDENTE DEL CSM, LEGNINI
MALA GIUSTIZIA:MINISTRO ORLANDO CHIEDE ISPEZIONE A NAPOLI PER DECINE MIGLIAIA DI SENTENZE INESEGUIDE
Il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini dopo un incontro con i responsabili degli uffici giudiziari sulla carenza di personale amministrativo, ha detto che "nel Distretto di Napoli restano ineseguite attualmente 50mila sentenze definitive, 30mila delle quali di condanna e 20mila di assoluzione". Il ministro Orlando chiede immediatamente un'ispezione ministeriale
17 giugno 2016
http://www.rainews.it/dl/rainews/artico ... 9c62d.html
Per individuare tutte le cause che nel distretto di Napoli hanno generato il problema di decine di migliaia di sentenze ineseguite, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, a quanto si apprende, ha chiesto all'ispettorato del ministero di svolgere accertamenti.
A sollevare la questione è stato oggi il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini che incontrando i giornalisti a Napoli dopo un incontro con i responsabili degli uffici giudiziari sulla carenza di personale amministrativo, ha detto che "nel Distretto di Napoli restano ineseguite attualmente 50mila sentenze definitive, 30mila delle quali di condanna e 20mila di assoluzione".
Dodicimila delle 50mila sentenze definitive non eseguite - hanno precisato fonti del Csm - riguardano persone da arrestare. Ai provvedimenti restrittivi si uniscono - ha sottolineato il procuratore generale di Napoli Luigi Riello - i mancati sequestri di beni.
Durissimo anche l'intervento, a un dibattito sul processo penale, del presidente dell'Anm Piercamillo Davigo,che ha definito le aule di giustizia in Italia dei "suk Arabi", l'opposto di quel che accade negli altri Paesi europei e negli Stati Uniti dove le udienze vengono celebrate in "religioso silenzio". Secondo il presidente dell'Anm questo mette in risalto la distanza tra l'Italia e il resto del mondo occidentale. Altrove, il processo è "una cosa seria, tant'è che il 90 per cento degli imputati si dichiara colpevole e sceglie i riti alternativi";invece "in Italia c'è sempre la speranza di non scontare la pena". Ed è proprio la prospettiva di sfuggire alla pena che in Italia non può far decollare i riti alternativi,un fenomeno a cui contribuisce anche il frequente ricorso all'amnistia: "in 50 anni sono stati 35 provvedimenti", nota Davigo. E se si abbassasse il quorum , come chiede una proposta di legge del senatore Manconi, "rinunceremmo definitivamente alla speranza che qualcuno patteggi". Il risultato di questa situazione è che "continuiamo a fare un numero sterminato di processi , molti di più che negli altri Paesi".
Napoli, il Csm: non eseguite 12mila sentenze su persone da arrestare Interviene Orlando: accerterò i fatti
Mezzogiorno, 17 giugno 2016 - 15:17
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... cca6.shtml
NAPOLI — È cominciata poco dopo le 9 la visita di una delegazione del Csm, guidata dal vicepresidente Giovanni Legnini agli uffici giudiziari di Napoli. La delegazione, della quale fanno parte i consiglieri Francesco Cananzi, Lucio Aschettino ed Antonio Ardituro sta incontrando in Corte d’ Appello, con il presidente Giuseppe de Carolis di Prossedi i presidenti dei Tribunali ed i Procuratori del Distretto di Napoli. Al centro dell’incontro c’è la carenza di personale amministrativo, segnalata nuovamente dal Csm al ministro della Giustizia con una risoluzione approvata il 15 giugno. La carenza - sottolinea l’ organo di autogoverno della magistratura- non è solo numerica ma qualitativa. Per la gestione del processo telematico, infatti, servono figure professionali di ingegneri e statistici. Legnini ed i consiglieri del Csm avevano partecipato il 5 maggio scorso al vertice sull’ordine pubblico e l’emergenza criminalità a Napoli con il ministro degli Interni Angelino Alfano.
«Nel Distretto di Napoli restano ineseguite attualmente 50mila sentenze definitive, 30mila delle quali di condanna e 20mila di assoluzione». Lo ha detto il vicepresidente del Csm Giovanni Legnini incontrando i giornalisti a Napoli dopo un incontro con i responsabili degli uffici giudiziari sulla carenza di personale amministrativo. Dodicimila delle 50mila sentenze definitive non eseguite - hanno precisato fonti del Csm - riguardano persone da arrestare. Ai provvedimenti restrittivi si uniscono - ha sottolineato il procuratore generale di Napoli Luigi Riello - i mancati sequestri di beni.
«A Napoli si concentrano tutte le criticità e le emergenze, ma anche le positività del sistema giudiziario italiano», ha continuato Legnini. Il Csm ribadisce - è stato detto in un incontro con i giornalisti - le richieste sugli organici del personale amministrativo e dei magistrati evidenziate nella delibera assunta il 15 giugno scorso. Nel dettaglio «la scopertura degli organici dei soli magistrati - ha detto il consigliere Antonello Ardituro - oscilla tra il 20 ed il 40 per cento».
Il ministro Orlando
Il ministero della Giustizia, Andrea Orlando, a quanto si apprende, ha chiesto all’ispettorato del ministero di svolgere accertamenti per individuare tutte le cause che nel distretto di Napoli hanno generato il problema di decine di migliaia di sentenze ineseguite. A sollevare la questione è stato oggi il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini
Il giudice in ritardo non scrive la sentenza. I mafiosi tornano liberi
Marcello Sorgi
http://www.lastampa.it/2016/06/15/itali ... agina.html
Nel silenzio della politica e delle istituzioni (anche togate), dei professionisti e dei dilettanti dell’antimafia, la Calabria sprofonda in un baratro giudiziario. Solo negli ultimi giorni sono scivolati inosservati, come fossero normali, alcuni casi clamorosi. La scarcerazione di alcuni ’ndranghetisti condannati in primo grado e in appello, ma salvati da un giudice che a 11 mesi dalla pronuncia della sentenza non ha ancora depositato le motivazioni; il ritardo di cinque anni con cui ricomincia un altro processo per mafia; l’agonia del processo ai caporali di Rosarno, scaturito sei anni e mezzo fa dalle testimonianze dei migranti e non ancora arrivato nemmeno alla sentenza di primo grado.
LE REAZIONI - Il ministro Orlando manda gli ispettori sul caso del giudice ritardatario in Calabria
«Cosa mia»
La vicenda più grave riguarda il processo «Cosa Mia», nato nel 2010 da un’indagine della procura di Reggio Calabria, allora retta da Giuseppe Pignatone oggi procuratore a Roma, sulle famiglie della piana di Gioia Tauro, protagoniste di una sanguinosa guerra di mafia negli Anni 80-90, con 52 omicidi e altri 34 tentati. L’inchiesta aveva svelato il controllo delle cosche sui lavori dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, con una tangente del 3% imposta alle imprese sotto la voce «tassa ambientale» o «costo sicurezza».
Il processo si è svolto con relativa celerità, considerando l’ampiezza della materia da trattare, il numero di imputati e alcune rilevanti difficoltà logistiche. Basti pensare che la polizia penitenziaria, intimorita dalla caratura degli imputati, si rifiutava di trasportarli nell’aula del processo. Per garantire lo svolgimento del processo, il ministero fu costretto a mobilitare i reparti speciali, usati in genere solo per sedare le rivolte nelle carceri.
Nel 2013 la corte d’assise commina 42 condanne per complessivi trecento anni di carcere, con una sentenza monumentale di 3200 pagine. Impianto sostanzialmente confermato nella sentenza d’appello, pronunciata a fine luglio dell’anno scorso.
A questo punto, non resta che il passaggio in Cassazione, il più celere. Dato che la durata massima della custodia cautelare è di sei anni e i boss furono arrestati nel giugno 2010, il calcolo è semplice. La corte d’appello avrebbe dovuto depositare le motivazioni entro 90 giorni (quindi entro fine ottobre 2015), poi gli avvocati avrebbero avuto 45 giorni per presentare il ricorso in Cassazione. Ai supremi giudici sarebbero rimasti sei mesi, fino alla scadenza del termine della carcerazione preventiva, per chiudere il processo con la sentenza definitiva. Un tempo più che sufficiente: in Cassazione è prassi anticipare i processi per i quali sta maturando la prescrizione (fu così per il caso Berlusconi, frode fiscale, nell’agosto 2013) o stanno per scadere i termini di carcerazione degli imputati.
Liberi tutti
Invece in questo caso i termini sono scaduti la scorsa settimana senza che la Cassazione abbia nemmeno ricevuto le carte del processo, ancora ferme nella corte d’assise di Reggio Calabria perché il giudice Stefania Di Rienzo non ha ancora depositato le motivazioni della sentenza. Scaduto il primo termine di 90 giorni, aveva chiesto una proroga: altri tre mesi. Spirati invano. Di mesi ne sono trascorsi undici e delle motivazioni non c’è traccia.
E così tre imputati, a dispetto della doppia condanna per associazione mafiosa, nei giorni scorsi sono usciti dal carcere. Altri dieci erano tornati liberi precedentemente, sempre per scadenza dei termini della custodia cautelare. Il danno processuale è enorme, quello sociale maggiore. Il ritorno alla libertà degli ’ndranghetisti ne rafforza il potere e scoraggia chiunque (sia dentro che fuori dal sodalizio criminale) dalla collaborazione con la giustizia.
Non è un caso isolato. In questi giorni si celebra a Catanzaro l’appello del processo Revenge, con sette imputati di mafia. Peccato che sarebbe dovuto partire nel 2011, ma sono stati necessari cinque anni per formare un collegio di giudici. E sei anni non sono bastati ad arrivare a sentenza nel processo ai caporali di Rosarno.
Il panorama
Fotografie di una resa giudiziaria nella regione con il record di Comuni commissariati per infiltrazioni mafiose e in cui, recita l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), la ’ndrangheta opera un «atavico, asfissiante strangolamento del territorio» e rappresenta «un pesante fattore frenante per lo sviluppo economico e sociale» grazie alla capacità di «fare sistema» attraendo «nella propria sfera di influenza soggetti legati al mondo dell’imprenditoria, della politica, dell’economia e delle istituzioni».
Non ce n’è abbastanza perché Csm e commissione antimafia se ne occupino?