Banche venete e italiane, ruberie e depredazioni

Banche venete e italiane, ruberie e depredazioni

Messaggioda Berto » ven dic 18, 2015 12:12 pm

Banco e banca xe voxi de orexene xermana:

http://www.etimo.it/?term=banco
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Banco, banca e panca
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =44&t=2047
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » ven dic 18, 2015 12:36 pm

Anca sto toco lè enteresante:
http://www.pbmstoria.it/unita/bancabors ... zinosi.php

Gli agenti del credito commerciale furono i mercanti , e lo si capisce, visto che già nel X secolo, a Venezia, e ancora più spesso a partire dall'XI, i commercianti più potenti disponevano di liquidità ingenti. Il ruolo principale toccò ai mercanti più ricchi dei due poli economici, Italia e Paesi Bassi - sempre più numerosi man mano che ci avviciniamo agli anni 1200 e 1300 e di cui verso la metà del XII secolo, quando la consuetudine di comprare e vendere a credito è ormai ben radicata in tutti i più importanti commerci all'ingrosso (lana, drapperie, vino, spezie, ecc.), gli esempi non mancano.
[…] Nel XII secolo i prestatori più noti, più ricchi e più attivi furono alcuni grandi commercianti di Arras considerata la più antica capitale finanziaria medievale fuori d'Italia e a un tempo la culla della letteratura satirica di lingua francese (fatto connesso al primo): nel XIII secolo, l'avidità degli «usurai» della città, a cominciare da quella dei Crespin venne beffardamente stigmatizzata dalle satire e dalle commedie di Adam de la Halle e di Jean Bodel.

Fuori di Fiandra e dell'Artois, i mercanti di Cahors, che facevano da intermediari fra l'Inghilterra e la Linguadoca, ebbero la stessa dubbia reputazione, al punto che cahorsin divenne sinonimo di strozzino.

Un successo anche maggiore ebbe il nomignolo di lombard, originato dal fatto che alcune famiglie di Asti o di Chieri avevano approfittato della posizione delle rispettive città lungo le strade alpine per darsi al traffico del denaro. I lombards, che in realtà non erano tutti piemontesi, si stabilirono in molte città dei Paesi Bassi e di Francia (in molte città, come ad esempio Parigi, esiste ancora oggi una rue des Lombards).
Non dell'usura fu figlia la banca, bensì del cambio. I cambiavalute - pochissimi in ogni città - tenevano i loro tavoli o banchi (donde il termine banca) al mercato, e il loro compito principale era il cambio delle monete: dato l'alto numero delle autorità con diritto di batter moneta e la varietà dei tipi e dei valori delle monete in circolazione, nessun mercato molto animato poteva fare a meno del cambiavalute.
[Guy Fourquin, Tendenze economiche nell’Occidente cristiano (1300-1500), in Pierre Leon (a cura di), Storia economica e sociale del mondo, Laterza; Bari 1981, vol. 1 tomo 2 p. 432]
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » dom dic 20, 2015 3:20 pm

Banca Marche, la ricca buonuscita di Bianconi e un danno da 2 miliardi
di Fabio Pavesi11 agosto 2013
http://www.ilsole24ore.com/art/finanza- ... fresh_ce=1

L'ultimo assegno incassato da Massimo Bianconi, direttore generale dal 2004 a settembre del 2012 di Banca Marche, sarebbe stato di 2,3 milioni di euro. Così narrano le cronache. Liquidazione di fine rapporto e uscita definitiva dall'istituto marchigiano per un manager abituato a incassare 1,5 milioni l'anno di stipendio. Ma il conto che si è lasciato alle spalle Bianconi e la sua ex prima linea di manager ora non più in banca è impressionante.
Con l'uscita dell'ex banchiere, con trascorsi importanti in UniCredit, Banca Marche si è ritrovata improvvisamente con 1,9 miliardi di crediti a rischio in più. In un solo anno. Due milioni di buonuscita contro due miliardi di possibili perdite per la banca, dato che i crediti deteriorati sono passati da 2,8 miliardi a 4,7 miliardi. Una voragine quella lasciata dall'ex dominus incontrastato dell'istituto per il quale la Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata aveva chiesto l'avvio di un'azione di responsabilità nei confronti sia di Bianconi che dell'intero Cda e del collegio sindacale. Proposta bocciata di recente dagli altri soci.
Gestione dissennata
Eppure vista con gli occhi di poi la gestione Bianconi appare più che dissennata. Quell'esplosione record delle partite creditizie incagliate salite da 760 milioni del 2011 a ben 2,4 miliardi del 2012, getta una luce sinistra sul credito facile, dato a piene mani a personaggi discutibili da Bianconi e i suoi. La Banca sta tentando di tutelarsi, dopo aver subito la perdita record da oltre 500 milioni nel 2012, dal retaggio della gestione Bianconi. Due esposti sono stati indirizzati alla Procura dai nuovi vertici della banca e citano operazioni sospette di leasing e prestiti con almeno 16 clienti condotte da Bianconi. Tra i nomi quelli dell'immobiliarista Vittorio Casale già finito agli arresti per vari reati; del gruppo pugliese Ciccolella finito in un'inchiesta per truffa sui finanziamenti europei; del costruttore anconetano Lanari e dell'imprenditore farmaceutico Canio Mazzaro. Tutte operazioni che rischiano di costare caro alla banca in termini di prestiti inesigibili. Che certa spegiudicatezza di Bianconi nel concedere credito facile fosse nota è un fatto.
Prime multe già nel 2011
Già nel 2011 Banca d'Italia sanzionò Bianconi, il Cda e il collegio sindacale per carenze nei controlli interni. Un primo segnale che le cose non funzionavano a dovere. Poi interventi sempre più drastici con la richiesta di un passo indietro del banchiere e soprattutto il passaggio al setaccio dei bilanci con quei crediti per oltre 2 miliardi tenuti in bonis, ma in realtà incagliati. Nel mentre uno strano balletto si inscenava. Bianconi viene dimissionato nel giugno del 2011, incassa la liquidazione, ma viene riassunto miracolosamente poche settimane dopo. O il caso della presunta lettera di manleva (che solleva l'ex direttore da ogni responsabilità) consegnata a Bianconi e di cui pare non ci sia più traccia. Insomma a Jesi si nicchia. Bianconi è da sempre chiaccherato anche per le sue personali operazioni immobiliari e per i finanziamenti concessi da Tercas (banca poi finita commissariata) a Bianconi e famiglia per un giro di compravendite immobiliari anche all'estero. Eppure Bianconi viene cacciato e poi ripreso. Fino all'uscita definitiva dal gruppo un anno fa. Ma è tardi, il danno è fatto. E il danno sta tutto nel fardello pesante lasciato in eredità alla banca. Non tanto e solo in quelle svalutazioni sui crediti per un miliardo nel 2012, ma nella mole di crediti a rischio che restano in pancia alla banca: 3,4 miliardi di prestiti malati, una cifra che vale quasi 3 volte il capitale dell'istituto. Che intanto dovrà fare un aumento di capitale (il secondo in 2 anni) da 300 milioni per riportare in sicurezza la banca. Passaggi difficili che attendono alla prova il nuovo management.
Che intanto però rassicura sui cosiddetti "grandi rischi" della banca, nove posizioni per un ammontare di 5,5 miliardi che Il Sole-24Ore aveva pubblicato riprendendoli dal bilancio. Ebbene spiega la banca: «Di quei 5,5 miliardi; 2,8 miliardi sono titoli di Stato e altre esposizioni sono su Banca d'Italia e controparti istituzionali. Solo tre posizioni riguardano crediti su clienti per un ammontare di soli 460 milioni». Rischio molto contenuto quindi. Resta da capire quanto di quei 3,4 miliardi di crediti dubbi ancora a bilancio potranno essere recuperati in futuro. È questa l'eredità pesantissima che Bianconi ha lasciato alla banca.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » mer dic 23, 2015 12:54 pm

Scoppia il caso delle coop: a rischio 12 miliardi di euro
In Friuli oltre 20mila pensionati travolti dal terremoto di due società. Ma il dissesto del sistema può allargarsi in tutto il Paese: in ballo i risparmi di 1,3 milioni di italiani
Lodovica Bulian - Mar, 22/12/2015

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 06947.html

Nel calderone bollente del risparmio tradito, non ci sono solo i soldi di azionisti e obbligazionisti che hanno pagato con i loro investimenti il salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, Cari Chieti e CariFerrara.
Ma anche quelli di migliaia di piccoli risparmiatori, che nel silenzio mediatico hanno visto andare in fumo i risparmi di una vita riposti nel fidato «fortino» delle cooperative rosse. Le stesse che oggi corrono ai ripari, promettendo revisioni normative e strette ai controlli per evitare che l'effetto psicologico del Salva-banche inneschi la fuga dei soci.In ballo, infatti, ci sono 15 miliardi di euro - 12 miliardi solo nelle nove grandi cooperative di consumo - che 1 milione e 300mila italiani hanno scelto di affidare alla pancia del prestito sociale. Una fetta rilevante, tanto che se la macchina coop fosse una banca, ipotizza il Sole24Ore, per volume di raccolta sarebbe la venticinquesima in Italia. Con la differenza, sostanziale, di non essere soggetta alla vigilanza cui sono sottoposti gli istituti bancari e gli intermediari finanziari. Nel ventre molle delle cooperative, dove non ci sono ispezioni di Bankitalia, commissariamenti e segnalazioni sospette, per le società che hanno fatto crac hanno pagato azionisti e prestatori. Altro che bail in. Nel terremoto finanziario e giudiziario che ha travolto Cooperative Operaie e Coop Carnica in Fvg - senza scomodare i dissesti recenti della Di Vittorio a Parma e di Coopsette a Reggio Emilia - a pagare non sono stati arditi speculatori finanziari, ma un esercito di 20mila pensionati talmente certi dell'infallibile cassaforte cooperativistica da trasformare conti correnti in azioni e libretti, per 130 milioni di euro. Scandali che hanno macchiato l'immacolata reputazione de «La coop sei tu» e hanno fatto scattare pure l'allerta di Bankitalia, che alla vigilia del Salva-banche ha avviato una consultazione pubblica per arginare la raccolta selvaggia del risparmio e assicurare maggiori garanzie al popolo dei prestatori. Perché con le banche, le coop hanno in comune non solo il volume della raccolta, ma anche l'immagine agli occhi di consumatori che nel libretto di risparmio vedono più un deposito bancario, con il plus di una rendita, che un capitale a rischio. Tanto che in Fvg veniva incentivato con depliant al banco dei salumi del supermercato sotto casa.In considerazione, sottolineano da via Nazionale, delle «problematiche emerse in alcuni episodi di crisi d'impresa», è necessario «rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori che prestano fondi a soggetti diversi dalle banche, specie con riferimento a forme che coinvolgono un pubblico numeroso composto da consumatori». Raccolta che non deve, avverte Bankitalia, superare il limite del triplo del patrimonio. Le cooperative possono spingersi fino a cinque volte tanto solo accendendo una fideiussione che garantisca ai soci il rimborso del 30% dei loro prestiti. Non solo, nella definizione dei parametri e delle soglie di sicurezza, Bankitalia sottolinea che «il valore del patrimonio da assumere a riferimento dovrà essere quello risultante dal bilancio consolidato». Ovvero quello che rispecchia la reale situazione economico e finanziaria dell'azienda. Adottando questo criterio, in Toscana e Umbria, rivela ancora Il Sole, il campanello d'allarme suona per due giganti delle cooperative: Unicoop Tirreno, 122mila prestatori per 1 miliardo di fondi, mostra un rapporto prestito-patrimonio di 6,22, mentre Coop Centro Italia, 73mila soci per 582 milioni, si avvicina a 3. Chi controlla?



Stretta di Bankitalia sulle coop per salvare 1,3 milioni di soci
Dopo il crac di due istituti friulani Visco vuole "rafforzare i presidi normativi e patrimoniali". Tutti appesi alla speranza di un assist del governo dove siede Poletti, l'ex gran capo di Legacoop
Camilla Conti - Gio, 03/12/2015

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 00904.html

Dopo il crac delle due Coop friulane, Coop Operaie Trieste e Coop Carnica, con 20mila soci prestatori, Bankitalia tenta di correre ai ripari.

L'istituto centrale governato da Ignazio Visco sta infatti preparando una stretta sul cosiddetto prestito sociale: sono circa 1,3 milioni gli italiani che hanno depositato oltre 15 miliardi nei libretti delle Coop. Di questi, undici sono stati raccolti dai colossi del consumo, ovvero i supermercati. L'obiettivo, come si legge nel testo sottoposto a consultazione, è quello di «rafforzare i presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori» per porre rimedio a problemi emersi «in alcuni episodi di crisi d'impresa». In teoria, alle coop è proibito effettuare raccolta rimborsabile a «vista» (ovvero su richiesta del depositante come in una banca) ma nella pratica questo viene presentato con modalità commerciali che «possono ingenerare nel pubblico l'idea di una sostanziale equiparazione» a quella bancaria. Bankitalia sottolinea, inoltre, i vantaggi fiscali nonché competitivi rispetto al risparmio delle banche, sempre più oberate da costi e obblighi crescenti come quelli europei sul fondo di risoluzione (attivato nei giorni scorsi con un decreto del governo Renzi per salvare le quattro «malate» del sistema). C'è anche un altro costo che le Coop non hanno. Il settore difetta di uno schema di garanzia obbligatorio del risparmio come le banche (che lo alimentano con i propri fondi), elemento che appunto spinge l'istituto centrale a suggerire l'adozione di un meccanismo di protezione. In particolare, la garanzia acquisita in caso di superamento dei prestiti sociali della soglia di tre volte il patrimonio, deve «possedere caratteristiche che ne assicurino l'efficacia» per contrastare «comportamenti elusivi», anche a fronte di bilanci non sempre accessibili al pubblico. Dal canto loro, le cooperative si dichiarano pronte a valutare il contributo da fornire «partendo però dal presupposto inconfutabile dell'assoluta specificità dell'istituto del prestito sociale, che è a tutti gli effetti un'espressione del rapporto di mutualità tra il socio e la cooperativa». Le protagoniste del settore - che sperano in qualche assist del governo dove siede Giuliano Poletti, ex gran capo della Legacoop e oggi ministro del Lavoro - sono intanto impegnate a fare la rivoluzione: nell'ottobre scorso, i tre colossi della grande distribuzione a marchio Coop (Adriatica, Estense e Nordest) hanno, infatti, unito le forze per creare la più grande cooperativa di consumo d'Europa che sarà operativa dal primo gennaio e punta a sviluppare nuovi affari. Dalle librerie, ai distributori di benzina, passando per gli immobili e - appunto - i circa 4,5 miliardi ricevuti dai soci. Su questo capitale usato dalle coop per la loro attività non vigila Bankitalia ma un'autorità indipendente che - si legge nello statuto della nuova Alleanza - «è un ente collegiale composto da persone nominate dalla direzione di Legacoop nazionale, su proposta della presidenza» e che, su richiesta della Lega «può svolgere verifiche dirette». Un'autocertificazione, insomma. Chissà se a Visco basterà.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » mer dic 23, 2015 1:53 pm

"Hanno bruciato i soldi che risparmiavo per gli studi di mio figlio"
Veneto Banca, le storie di Mario e Sandro, due risparmiatori che con il crollo del valore delle azioni hanno perso tutto
07 dicembre 2015

http://tribunatreviso.gelocal.it/trevis ... 1.12577811

MONTEBELLUNA. Hanno risparmiato per sè o per la famiglia, ed ora con il crollo delle azioni di Veneto Banca hanno perso tutto. Le storie raccolte dalla Tribuna di Treviso raccontano il dramma di tanta brava gente e tanti piccoli risparmiatori che ora hanno perso tantissimo.
Azioni Veneto Banca polverizzate, lo sfogo degli azionisti
Sandro ha visto sparire i soldi risparmiati in trent'anni, Paolo e Marta non volevano le azioni, "non ci hanno mia dato un prospetto". E poi Gabriella, Bruna, Mario...

Mario ci ha scritto in e-mail: "Nel 2012 aprivo un conto presso Veneto Banca. Dopo aver passato una triste storia con un altro istituto, nel gennaio 2013 vengo convocato dal direttore di filiale che, in sintesi, mi spiega che ci sono delle obbligazioni a un tasso molto buono a patto di diventare socio della banca. Fino a qui tutto bene. Gli spiego che avendo subito un trapianto di cornea sono impossibilitato a leggere il contratto e lui, molto tranquillamente, mi spiega che sono azioni interne della banca e che assolutamente non ci sono rischi di nessun genere. Mi fa firmare alcuni fogli e non mi rilascia nessuna copia, spiegandomi che questa operazione è interna alla banca. Dopo oltre un anno vengo chiamato dal diretore perché, mi dice, si era dimenticato di farmi firmare alcune carte per quanto riguardava la mia adesione a socio (nel frattempo la mia situazione visiva stava migliorando, ma purtroppo non era ancora sufficiente per riuscire a leggere). Parlando sempre con il direttore spiego che di lì a poco mi sarebbe servita liquidita e lui mi aveva rassicurato di avvisarlo almeno 10 giorni prima per potermi dare la somma di cui necessitavo. A settembre 2014 chiedo di vendere le azioni e lui, molto gentilmente, mi dice di no perchè stanno facendo i conti nella sede centrale. Chiedo allora di vendere le obbligazioni e, tranquillamente, mi dice che non ho obbligazioni ma solo azioni perchè nel frattempo sono state convertite dalla banca in azioni. Preciso inoltre che sono monoculare con tutta la documentazione ospedaliera necessaria per dimostrare quanto sto scrivendo non ho la possibilita di affrontare spese per una causa mi sono rivolto anche movimento consumatori ma ancora non so niente".

Raccontaci la tua storia. ECCO COME

Rabbia contro #venetobanca Gabriella "Abbiamo perso tutti i nostri sacrifici fatti da giovani per la nostra vecchiaia , non è giusto"
— tribuna di Treviso (@tribuna_treviso) 7 Dicembre 2015

Sandro (e-mail): "Dopo una vita di lavoro e sacrifici, la mia famiglia grazie a Veneto Banca si trova senza speranza. I soldi risparmiati in circa trent'anni di lavoro per garantire a mio figlio gli studi vengono bruciati, con inganno, come la sua speranza per un futuro. Come si può parlare di democrazia, se non si rispettano neanche gli articoli della Costituzione a tutela del risparmiatore? Come si può parlare di ripresa economica se alla povera gente come me vengono rubati i propri soldi? Chi ha sbagliato deve pagare e non i deboli, le leggi devono essere fatte per questo e non per gli interessi dei speculatori. Grazie anche al consulente bancario che ci aveva consigliato in questo tipo di investimento che inganandoci ci aveva assicurato un capitale garantito nel tempo e senza rischi . E una vergona, poi non capite perchè la povera gente a volte ricorre a gesti folli, salvate i nosti risparmi e non la banca"

#venetobanca Mattia: "Ditta di famiglia: 30.000 euro messi da parte e siamo stati messi azionari senza volerlo e li abbiamo persi tutti"
— tribuna di Treviso (@tribuna_treviso) 7 Dicembre 2015
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » gio dic 24, 2015 6:08 pm

"Coop, Friuli peggio di Arezzo". L'ira dei risparmiatori truffati
Migliaia di azionisti ridotti sul lastrico dopo i crac delle cooperative. Avevano investito in certificati e libretti: "Nessuno ci ha avvertiti dei rischi"
Lodovica Bulian - Mer, 23/12/2015

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... ok+Interna

Certificati azionari piazzati a un esercito di pensionati e casalinghe. Libretti di deposito per tutti, papà, mamma, nonno, suocera e sì, anche per il figlioletto di dieci anni, così «avrà qualcosa da parte».
Senza alcun prospetto informativo, perché non c'è alcun rischio, solo laute garanzie, certezza dell'investimento e una sicura ipoteca sul futuro.Poi, d'improvviso il crac, i soldi bruciati e le notti trascorse con la luce accesa: le stesse che ora tolgono il sonno a obbligazionisti e azionisti di Banca Etruria sono un film già visto per i risparmiatori beffati dalle due più gravi crisi nella storia delle cooperative di consumo, che in Friuli Venezia Giulia hanno travolto 130 milioni di euro e 20mila soci tra Cooperative Operaie e Coop Carnica. Nessuno qui, è sceso in piazza a manifestare. Nessuna delegazione grillina ha guidato una protesta sotto Montecitorio con al collo la cifra dei risparmi perduti. Il popolo coop ha pianto nel silenzio per mesi, soffocando la rabbia nella «vergogna di essere finito sulla soglia della povertà». Figli che non hanno ancora il coraggio di dire la verità ai genitori per timore di malori, famiglie che forse dovranno vendere la casa, giovani con il sogno svanito del master e di una specializzazione. E un suicidio. È il copione di una tragedia sociale, quello che insieme alla crisi che ha colpito le banche venete oggi ferisce il laborioso Nord est.Silvia, che vuole restare anonima, è vedova, ha due figli a carico. In azioni di Coop Carnica aveva 70mila euro, «sacrifici di una vita». Con il tonfo finanziario i suoi soldi sono stati i primi a essere inghiottiti. Come vive? «Con la pensione di reversibilità di mio marito, ma la fine del mese non arriva mai. A mio figlio ho detto che non si sarebbe iscritto all'università. Ma degli amici ci hanno aiutato a mettere insieme la prima rata». Perché tutto in azioni di una cooperativa? «Era lo strumento più sicuro, dicevano, meglio che il conto in banca». E ora - al netto delle promesse di rimborso incerto e parziale contenute nei piani di concordato e nella solidarietà della sorella Coop Nordest - di fronte al fondo di risoluzione annunciato dal governo per tamponare l'emergenza delle quattro banche saltate, i soci gridano all'«assonanza» che lega i due estremi del «risparmio tradito». Il Friuli come Arezzo, cooperative come banche. Perché, sostiene il legale di prestatori e azionisti della Cooperativa friulana, Gianberto Zilli «in entrambi i casi si tratta di risparmio. E se la legge è uguale per tutti, un intervento dovrebbe arrivare anche qui, dove sono state colpite le categorie più fragili, anziani e minori, un'anomalia assoluta». Nelle mani della magistratura, che ha aperto un'inchiesta anche per abusivo esercizio del credito, sono finiti tutti i documenti attraverso cui la Coop raccoglieva certificati e depositi senza premurarsi che i soci sapessero cos'è un capitale a rischio. Se l'avessero fatto, «non ci sarebbero stati certificati da 100mila euro» evidenzia l'avvocato, che per mettere insieme le testimonianze con cui rafforzare l'esposto-querela per truffa presentato in procura, sta girando in lungo e in largo Friuli e Veneto «perché molti dei dei titolari di azioni sono persone che non si riescono a muovere, alcuni sono invalidi al cento per cento. E non hanno più niente». Migliaia di storie, su cui Fi accende i riflettori e denuncia «due pesi e due misure. Non ci possono essere risparmiatori di serie A e di serie B - dice Sandra Savino - Il governo intervenga».



Tra crac e concordati preventivi. Così le Coop rosse vanno a picco
Un mese fa è saltata in aria la Coop Operaie di Trieste. Ora la Cooperativa Carnica blocca dei risparmiatori. La Regione finisce sotto accusa
Sergio Rame - Mer, 19/11/2014

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 69018.html

La Legacoop è in affanno. C'è qualcosa che non va, soprattutto in Friuli Venezia Giulia.

La notizia è di ottobre: le Coop Operaie di Trieste aveva fatto sparire 103 milioni di euro lasciando al verde 17mila risparmiatori. Un crac che aveva subito spinto la procura di Trieste a far scattare le indagini che avevano portato alla luce fittizzi passaggi di proprietà infragruppo. A distanza di un mese l'eco del fallimento ha travolto anche la Cooperativa Carnica che, nei giorni scorsi, ha presentato al tribunale di Udine, la domanda di concordato preventivo. Due storie completamente diverse che però danneggiano ugualmente i risparmiatori.

A ottobre la procura di Trieste ha messo gli occhi sugli affari della Coop Operaie di Trieste. Ci sarebbero ben 103 milioni di euro spariri nel nulla. Volatilizzati. La richiesta di fallimento è già stata inoltrata al tribunale civile. Ma adesso si tratta di capire cosa c'è dietro a certi passaggi di proprietà che gli inquirenti reputano essere fittizie. A rischiare sono ben 17mila risparmiatori che avevano versato i propri risparmi nei conti della cooperativa triestina. "Quei soldi - ha spiegato la procura - di fatto non esistono più". Anche perché, some spiegava Antonio Spampinato su Libero, le perdite di esercizio che si aggirano intorno ai 12 milioni di euro sarebbero state coperte "grazie alla contabilizzazione di plusavalenze per 15 milioni su vendite di immobili ceduti internamente a società controllate al 100%". Ad oggi l'unico indagato è l'ex presidente Livio Marchetti, ma si ipotizzano anche evidenti responsabilità politiche dietro all'intera operazione. A vigilare sulle Coop Operaie di Trieste sarebbe toccato infatti alla Regione Friuli Venezia Giulia. Tanto che, secondo l'assessore alle Attività produttive Sergio Bolzonello, "tutte le revisioni effettuate dal 2007 al 2012 dai revisori su incarico di Confcooperatrive e Lega delle Cooperative si sono concluse con la mancata emersione di irregolarità".

Mentre la Regione Friuli Venezia Giulia non controllava, i risparmiatori vedevano i propri risparmi andarsene in fumo. Tanto che anche nelle altre cooperativa ha iniziato a spargersi il panico. Come spiega Attilio Barbieri su Libero, "dopo l'ondata delle richieste di rimborso provocata ddai soci che hanno chiesto in massa di smobilizzare i soldi depositati", alla Cooperativa Carnica ha iniziato a mancare liquidità. "A tutela dell'azienda, dei 650 dipendenti e dei soci prestatori - si legge nella nota pubblicata dal consiglio di amministrazione - di fronte all'effetto devastante provocato dal ritiro del prestito sociale, a seguito delle vicende relative a una cooperativa di consumo presente in Regione, la società ha chiesto il concordato preventivo". Secondo le norme concordatarie, il blocco del patrimonio potrebbe durare dai sessantya ai centoventi giorni per i soci depositanti, mentre i fornitori dovranno aspettare almeno novanta giorni per veder saldate le fatture. Perché i 30 milioni in cassa sono congelati. Ora sono in molti a temere un effetto a catena.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » mar dic 29, 2015 7:06 pm

Banca Etruria, l’ira dei risparmiatori
Proteste e tensioni alla sede di Arezzo
Dalle 8,30 i primi obbligazionisti in corso Italia. Alcuni obbligazionisti cercano di entrare. Uno striscione: «Qui giace la fiducia nel sistema bancario»
di Viola Centi - 28 dicembre 2015

http://corrierefiorentino.corriere.it/f ... 6ad7.shtml

Sono arrivati alla spicciolata. Prima dieci, aretini, pochi coraggiosi che hanno sfidato il freddo e la nebbia della mattina pur di essere alle 8 e trenta al presidio davanti alla sede di Banca Etruria, in corso Italia ad Arezzo. Hanno aspetto gli altri manifestanti con pazienza, scansando i ciclisti quasi innervositi dalla loro presenza sulla pista dedicata alle bici, hanno attaccato il loro striscione, che suona come l’epitaffio di una pietra tombale: «Qui giace la fiducia nel sistema bancario».

Il blocco della strada

Alle 10.30 sono arrivate cinque macchine dall’Empolese-valdelsa. Il gruppo si ricompone: sono gli stessi che meno di una settimana fa erano a Roma, in via Nazionale, a gridare ‘Ladri!’ davanti a palazzo Koch e chiedere le dimissione di Ignazio Visco, presidente di Bankitalia, reo, secondo i manifestanti, di non aver vigilato sull’operato delle banche prima del decreto che ha azzerato i loro risparmi. Si sono dati appuntamento stavolta ad Arezzo, per gridare tutta la loro indignazione. Con l’arrivo dei rinforzi, i manifestanti, ormai una cinquantina, hanno invaso la strada bloccando il traffico. Polizia e carabinieri hanno cercato invano di farli soprassedere, ma non c’è stato niente da fare. Striscioni e cori sempre più forti, rivolti verso la banca.

Attimi di tensione

Verso le 11 anche qualche momento di tensione, quando una ventina di persone hanno cercato invano di entrare nella banca. Le porte blindate sono state chiuse dall’interno, mentre i manifestanti con forza picchiavano sui vetri, urlando ‘Vergognatevi!’. Solo l’intervento delle forze dell’ordine è riuscito a riportare la calma e far uscire le persone dall’atrio, adesso presidiato costantemente. Un piccolo gruppo si è allora diretto verso un secondo ingresso, sbarrato prontamente da un impiegato. Ancora cori, urla e insulti, mentre per le vie vicine alla sede dell’Etruria gli ormai ex correntisti distribuiscono volantini. Qualcuno di loro mentre racconta ai passanti la propria storia ha le lacrime agli occhi: «Non vi fidate, togliete i soldi dalle banche! Erano i soldi che avevamo messo da parte per i nostri figli, e ce li hanno rubati!».



Banca d'Italia e Consob sono corresponsabili per non aver impedito la crisi delle banche e le perdite dei risparmiatori
di Stefano Di Francesco 29/12/2015

http://www.magdicristianoallam.it/blogs ... atori.html

L’applicazione della nuova procedura di “risoluzione” bancaria utilizzata per Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Cassa di risparmio di Chieti ha sollevato un vespaio di polemiche. La novità della nuova disciplina bancaria sta nel fatto che non potrà più essere lo Stato a farsi carico di eventuali banche in difficoltà, limitando l’intervento pubblico soltanto a circostanze straordinarie per evitare che la crisi di un intermediario abbia gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema finanziario nel suo complesso. L’attivazione dell’intervento pubblico, come ad esempio la nazionalizzazione temporanea, richiede comunque che i costi della crisi siano ripartiti con gli azionisti e i creditori attraverso l’applicazione di un bail-in almeno pari all’8 per cento del totale del passivo.
In merito alla recente applicazione della procedura di risoluzione, come ama definirla il ministro Padoan, possiamo evidenziare alcune cose.
In primo luogo, è da porre in evidenza come sia stata la dimensione dei crediti in sofferenza a generare la crisi degli istituti di credito e non le obbligazioni subordinate sottoscritte da più o meno ignari risparmiatori. Quindi, la causa del dissesto va rintracciata nella gestione delle banche e nella maldestra erogazione del credito; prova ne è il fatto che degli iniziali 8,5 mld di crediti in sofferenza, solo 1,5 miliardi di euro sono stati iscritti in bilancio nella “bad bank”, con una svalutazione impressionante dell’ 83%.
In secondo luogo, dovremmo porre in discussione il sistema di vigilanza che a quanto sembra ha fatto davvero poco per impedire agli istituti di credito di continuare nella loro politica di credito folle e sconsiderato. Banca d’Italia e Consob sono corresponsabili per non aver impedito, ostacolato e reso note alla clientela , le difficoltà che gli istituti di credito attraversavano. Il vigilare presuppone un intervento antecedente il manifestarsi del problema; qui abbiamo una entità, o meglio due, Banca d’Italia e Consob che invece intervengono sempre e solo a posteriori. Visco si discolpa: “ Abbiamo agito con tempestività ed in osservanza delle disposizioni di legge.”; qualche dubbio su ciò lo abbiamo, dal momento stesso che controllore e controllato rispondono alle stesse medesime proprietà. Nel caso di Banca Etruria ad esempio, gli ispettori della Banca d’Italia rilevarono che già nel 2013, a fronte di un andamento negativo della gestione che portò ad una perdita d’esercizio di 300 milioni di euro, vennero elargiti bonus per 3 milioni al personale. Chi doveva vigilare e non vigilò? Chi doveva intervenire fattivamente e non lo fece? Chi sono i responsabili di questa assurdità?

Coloro che oggi si affannano nel cercare di far recuperare qualche denaro ai risparmiatori, attraverso i 100 milioni di euro del FITD, sono gli stessi che han votato la legge (“Direttiva europea sulla risoluzione delle crisi bancarie” - BRRD), recepita nell’ordinamento italiano lo scorso 16 novembre 2015 con il Decreto Legislativo 180/2015. Evidentemente, questa gente, quando vota e decide non ha la consapevolezza di ciò che promuove, oppure agisce sulla base di una strategia ben definita.

I risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate hanno perso complessivamente circa 300 milioni di euro. E’ una cifra assai limitata. Ripagare tutti i risparmiatori indiscriminatamente non è giusto; si dovrà verificare caso per caso, singolo contratto per singolo contratto e non proporre risarcimenti a pioggia. La truffa ed il raggiro di cui certamente moltissimi clienti e correntisti sono stati vittime, dovranno essere risarciti fino all’ultimo centesimo; coloro che invece, per lucrare un maggior guadagno, hanno deciso di investire su titoli ad alto rischio, non dovranno essere risarciti.

In conclusione, la crisi e la conseguente “risoluzione” dei quattro istituti di credito è solo un piccolo assaggio di quello che accadrà nel futuro. Il sistema bancario italiano non è sicuro come amano ripetere Padoan e Visco. Anche alla luce degli Accordi di Basilea 3, i requisiti minimi per il patrimonio bancario saranno, nel 2019, pari solo al 10,5% delle attività. Né la BCE, né la Banca d’Italia sono oggi in grado di controllare l’espansione del credito, la destinazione e la qualità dello stesso. Per anni, si è permesso al sistema bancario di crescere a dismisura, in barba a qualsiasi sana e prudente gestione del rischio. La crescita esponenziale del debito creato dalle banche e gli interessi sullo stesso, gravano su tutto il sistema economico reale e lo strangolano, sottraendo risorse che altrimenti potrebbero essere destinate ad attività in grado di produrre beni e servizi. In Italia, il debito privato di imprese, famiglie e banche è pari al 196% del PIL; parliamo di circa 3.195 miliardi di euro, cui sono connessi interessi passivi annuali di circa 130 miliardi, che rappresentano un costo improduttivo insostenibile per il sistema reale. Fino a quando potrà proseguire questa follia?
I nodi stanno venendo al pettine. Questo è solo l’inizio.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » sab gen 09, 2016 10:17 pm

Ke bruta xente, tuti tałiani doc, bruta xente!

Banca Etruria, sprechi e favori: le accuse agli ex vertici e al consiglio
Dodici contestazioni che chiamano in causa Boschi senior e i manager. Entro due mesi le sanzioni
di Fiorenza Sarzanini, nostra inviata ad Arezzo
fsarzanini@corriere.it
9 gennaio 2016

http://www.corriere.it/economia/16_genn ... b203.shtml

La quantificazione delle nuove sanzioni si conoscerà entro due mesi. Ma l’atto di incolpazione di Bankitalia contro i vertici del consiglio di amministrazione di Banca Etruria e cinque componenti dell’organismo, fa ben comprendere quali siano «le carenze nel governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale» che hanno portato l’istituto di credito all’insolvenza. Dodici punti di contestazione che chiamano direttamente in causa l’ex presidente Lorenzo Rosi, i due ex vicepresidenti Alfredo Berni e Pierluigi Boschi - padre del ministro delle Riforme Maria Elena - e i componenti del Cda Claudia Bugno, Andrea Orlandi, Luciano Nataloni, Luigi Nannipieri e Claudio Salini. Tutti accusati dai funzionari di Palazzo Koch di «inerzia nell’attivare adeguate misure correttive per risanare la gestione, provocando un ulteriore peggioramento della situazione tecnica, già gravemente deteriorata.

Comportamento che ha provocato una significativa erosione delle esigue risorse patrimoniali, da tempo non in grado di soddisfare il previsto “capital conservation buffer” del 2,5 per cento». Tutti chiamati a difendersi dall’accusa di non aver «pianificato interventi idonei a ristabilire l’equipaggio reddituale del gruppo, per di più necessari in considerazione dell’elevato ammontare degli attivi infruttiferi e dei vincoli in termini di patrimonio e redditività».
Nella relazione già notificata agli interessati per le controdeduzioni, sono elencati gli sprechi, gli abusi, e gli atti omissivi che hanno svuotato le casse di Etruria e - dopo il decreto del 22 novembre varato dal governo - causato perdite enormi per azionisti e obbligazionisti. Tra loro anche piccoli risparmiatori convinti di aver messo al sicuro i propri soldi e invece travolti da un fallimento che ha reso il loro investimento carta straccia.


Persi 517 milioni in un anno

I primi due «capi di incolpazione» riguardano le politiche messe in atto dai vertici e si concentrano su quanto accaduto nel 2014, che avrebbe dovuto rappresentare il momento di svolta, visto quanto era già stato eccepito nel corso delle precedenti ispezioni. Per questo stigmatizzano «le esigenze di accantonamento sul portafoglio crediti deteriorati che hanno portato a rettifiche su crediti per 622 milioni di euro e hanno concorso a generare la perdita di esercizio di 517 milioni di euro». Un’enorme massa di denaro persa concedendo finanziamenti anche a chi non forniva adeguate garanzie, firmando contratti di consulenza per incarichi inutili e soprattutto «non in linea con la normativa interna sul ciclo passivo di spesa», gli sprechi nella gestione degli immobili.
Tra i principali addebiti al presidente e ai due vice c’è poi il mancato rispetto della delibera sulla riduzione degli emolumenti, ma pure la scelta di non proporre ai soci «l’unica offerta giuridicamente rilevante presentata dalla Popolare di Vicenza di un euro per azione, estesa al 90 per cento del pacchetto azionario». Secondo gli ispettori ciò «ha lasciato inevasa la richiesta della Vigilanza di realizzare un processo di integrazione con un partner di elevato “standing” e non ha portato a tempestive ed efficaci iniziative per una soluzione alternativa».


Stipendi, premi, buonuscite

I conti erano in profondo rosso ma questo non ha impedito al consiglio di amministrazione di autorizzare pagamenti faraonici ai manager, nonostante ci fosse un esplicito divieto. Al punto 6 delle contestazioni gli ispettori scrivono: «Non si è tenuto conto del “documento sulle politiche di remunerazione e incentivazione” approvato dall’assemblea dei soci nel maggio 2014 che non consentiva la corresponsione di alcuna forma di incentivazione al “personale più rilevante”». Ancor più grave è la denuncia contenuta al punto 8 dove fra l’altro si rimarca l’esito di un audit concluso il 28 gennaio 2015 sui contratti consulenza che evidenziava proprio i «comportamenti anomali» degli organi amministrativi.
Il quadro delineato da Bankitalia mostra come in tutti i settori non si sia intervenuto in maniera adeguata e sottolinea quanto grave sia il fatto che queste mancanze abbiano riguardato in modo particolare «le strutture deputate alla gestione del credito deteriorato che non hanno fronteggiato l’imponente crescita delle partite anomale». Tra gli esempi più clamorosi citati nell’atto di incolpazione c’è quello degli «indicatori di performance» relativi alle sofferenze «risultati ampiamente al di sotto degli standard di mercato in particolare per i tassi di recupero del credito che nel giugno 2014 erano pari a 1,3 per cento anziché 3,5 per cento».


Le fidejussioni «scoperte»

Accusano gli ispettori: «Dall’analisi di un campione di 103 “sofferenze” classificate tra settembre 2013 e lo stesso mese del 2014 emergono le seguenti anomalie: le garanzie consortili sono risultate non attivabili nel 23 per cento dei casi a motivo del mancato pagamento delle commissioni o del mancato invio di lettere di messa in mora; le fidejussioni rilasciate dai garanti, nel 91 per cento dei casi erano prive di efficacia ai fini del recupero, anche a causa della mancanza di monitoraggio sui beni degli stessi».
Mancavano i controlli, mancava pure la volontà di recuperare - nei pochi casi in cui ciò era possibile - il denaro uscito dalle casse di Etruria. E così, anche per quanto riguardava “le cause di minor importo”, «nonostante l’assegnazione a un ufficio che avrebbe dovuto garantire una maggiore tempestività nelle azioni di recupero, ha fatto registrare invece un ritardo medio di circa tre mesi nella lavorazione delle pratiche dal momento della classificazione».
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » dom gen 10, 2016 5:34 pm

Risparmiatori in coda in Procura per denunciare Pop Vicenza
Federconsumatori intanto plaude all’inchiesta e annuncia quattro assemblee per il prossimo sabato: «Auspichiamo che si vada fino in fondo, accertando le responsabilità di cda e organi di controllo» di Maurizio Cescon
10 gennaio 2016

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udin ... ?ref=fbfmv

UDINE. E’ una vera e propria corsa quella dei risparmiatori friulani, azionisti od obbligazionisti della Banca Popolare di Vicenza, a sporgere querela negli uffici della Procura di Udine. In tanti hanno fatto letteralmente la fila, in questi giorni, davanti agli addetti a raccogliere le denunce.

Storie più o meno simili, di clienti della BpVi che hanno sottoscritto azioni per l’accensione di un mutuo o di un finanziamento. O che hanno aperto un fido (da un minimo di 50 mila euro fino a cifre milionarie) con il quale hanno acquistato titoli, oggi di fatto congelati e che hanno perso buona parte del loro valore iniziale.

Toccherà adesso alla magistratura (Udine è la terza Procura d’Italia dopo Vicenza e Prato che ha aperto un fascicolo) accertare le responsabilità e prendere eventuali provvedimenti.

Federconsumatori Fvg commenta in modo positivo l’avvio dell’inchiesta. «Il fatto che a oggi la Procura di Udine abbia aperto - scrive in un post su Facebook la presidente dell’associazione Barbara Puschiasis -, in relazione alle singole querele sporte, indagini per truffa non escludendo altri reati ci rasserena dopo tutto quanto Federconsumatori ha fatto e sta facendo, ma non vorremmo che tali indagini si fermassero all’esecutore materiale (il dipendente della filiale che ha fatto concludere le operazioni) che così diventerebbe il capro espiatorio e lascerebbe impuniti coloro che realmente hanno implicazioni per quanto occorso su scala

Il caso delle “nozze” (mancate) con Etruria
Tra i rilievi di Bankitalia agli ex vertici dell’istituto aretino il no all’integrazione avanzata da Vicenza

Auspichiamo quindi che si vada davvero a fondo, accertando le eventuali responsabilità di capi area, funzionari, consiglio di amministrazione e valutando gli obblighi degli organi di controllo e vigilanza».

La presidente Puschiasis non ha ancora avuto risposta al sollecito, inviato il 4 gennaio ai vertici della BpVi a Vicenza, circa un incontro, più volte richiesto, per la conciliazione. «Confidiamo nell’accordo bonario soprattutto per i casi riguardanti l’acquisto delle azioni attraverso i fidi - spiega - . Con questa operazione, denominata “baciata”, ora gli ignari clienti si trovano a dover subire richieste di rientro e segnalazioni alle centrali rischi. Vogliamo tutelare i risparmiatori: siamo in attesa di riscontri da parte dei nuovi dirigenti della Popolare di Vicenza, ma certo nel frattempo non stiamo con le mani in mano».

Il procuratore di Udine, De Nicolo, non esclude la possibilità di ulteriori denunce da parte di chi ha perso i propri risparmi

Infatti a stretto giro di posta si concretizzerà la prossima iniziativa pubblica di Federconsumatori. Sabato 16 gennaio sono state fissate le quattro assemblee con i soci e i clienti della BpVi.

Si terranno a Udine, nell’aula magna dell’università in piazzale Kolbe, dalle 9 alle 13 e i risparmiatori saranno suddivisi in modo da consentire l’ingresso a tutti. Dalla sede dell’associazione ieri sono partite 900 lettere ad altrettante persone, ma le previsioni di adesione sono molto superiori.

«La capienza dell’aula magna è di 313 posti - aggiunge ancora Puschiasis - quindi significa che potremmo avere più di 1.200 risparmiatori nelle quattro assemblee. Ma in ottobre, quando organizzammo un incontro analogo, alle nostre 500 lettere risposero in più di mille, grazie al passaparola, tanto che vi furono problemi per l’afflusso in sala di tutti coloro che volevano qualche ragguaglio sulla vicenda.

Arriverà gente da ogni parte della regione, contiamo di fare il punto della situazione, alla luce dell’apertura dell’indagine penale e in vista dell’assemblea decisiva su ricapitalizzazione, quotazione in borsa e prezzo dell’azione, prevista per marzo». Oltre alla presidente, sono previsti gli interventi di Vanni Ferrari, leader di Federconsumatori della provincia di Udine e del consulente in materia bancaria Gianni Zorzi.

La Banca Popolare di Vicenza è un istituto di credito molto radicato in Friuli, anche perchè negli anni Novanta assorbì la storica Popolare Udinese, con tutte le filiali e i dipendenti. I soci nella nostra regione sono circa 12.500 e la gran parte di loro ha investito da piccole somme (lo stock minimo era di almeno 100 azioni per un avere un mutuo, pari a 6.250 euro, ndr) a cifre con molti più zeri.

Migliaia di friulani dunque hanno i capitali congelati, talvolta il gruzzolo di una vita di lavoro, e non hanno la minima idea di quale destino li attenda nel prossimo futuro. Emblematico il caso dell’artigiano in pensione che ha “investito” 300 mila euro in azioni con l’accensione di un fido e che oggi si ritrova senza un euro in tasca e con la necessità di pagare gli interessi sul fido.

E nel solo ultimo trimestre del 2015, tra commissioni e rateo del 15 per cento, si è ritrovato a pagare 10.872 euro alla banca della quale si fidava ed è cliente da sempre. Ecco che dunque per la gente diventa fondamentale accertare le eventuali colpe di chi avrebbe dovuto consigliare investimenti sicuri e non certo in balia dei mercati finanziari. Altra questione spinosa, che è già stata sollevata, è quella del rimborso delle azioni, operazione che è stata condotta in porto solo per alcuni.
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Re: Banke e łe so ladrarie

Messaggioda Berto » sab gen 16, 2016 9:49 am

BANCA ETRURIA - LA BOSCHI È NEI GUAI. HANNO CONFESSATO TUTTO.GUARDATE COSA FACEVANO
venerdì 15 gennaio 2016

http://direttainfo.blogspot.it/2016/01/ ... -guai.html

"Seguivamo i clienti in ospedale, nelle case di cura, sotto le scuole mentre aspettavano i figli e alla fine sapevamo che stavamo vendendo prodotti rischiosissimi". A parlare è un direttore di filiale di Banca Etruria che, con garanzia di anonimato, confessa le nefandezze compiute nei confronti dei clienti. Per vendere le rischiosissime obbligazioni subordinate arrivavano a taroccare i questionari Mifid.
Chi parla al quotidiano Repubblica è un direttore di filiale di Banca Etruria del centro Italia ancora dipendente dell'istituto. E quello che confessa fa pensare ad una vera e propria truffa nei confronti dei risparmiatori. "Parliamo di persone che hanno una scolarità finanziaria pari allo zero", dice ancora. E quindi come facevano a superare l'ostacolo del Mifid, il questionario obbligatorio per stabilire il livello di rischio che un investitore può affrontare? "Semplice, nel 95% dei casi lo compilavamo noi e ai clienti chiedevamo solo di firmarlo".
La vendita senza scrupoli di prodotti così rischiosi è proseguita senza sosta anche quando Bankitalia ha acceso un faro su Banca Etruria. "Tra il 2012 e il 2013, nel momento in cui i dirigenti e gli operatori del settore sapevano la situazione critica della Banca, abbiamo venduto la maggior parte delle obbligazioni", dice il direttore. E per superare le richieste di Bankitalia ai clienti è stato fatto rifirmare un documento che li metteva a conoscenza dell'alto rischio dei prodotti nel loro portafoglio. "Peccato che nessuno leggeva quello che gli facevamo firmare".
"Abbiamo fatto delle cose vergognose" - Ma il momento più basso, quello della "vergogna" usando le parole stesse della gola profonda, è arrivato nel giugno 2015. I commissari di Etruria si erano accorti dei Mifid taroccati e hanno fatto arrivare lettere ai clienti invitandoli a tornare in filiale perché nel loro portafoglio investimenti c'erano prodotti non adatti ai loro profili. Il tutto con un linguaggio formale, troppo formale. Tant'è che per i dipendenti di Banca Etruria è stato semplicissimo superare questo ostacolo: "Abbiamo detto che era una pura formalità e facevamo rifirmare lo stesso documento". La gola profonda dice però che lui personalmente aveva invitato i suoi clienti a rivolgersi alle associazioni dei consumatori. Un pentimento, forse tardivo però.
(TgCom24)



Banca Etruria, papà Renzi e Rosi. La coop degli affari adesso è nel mirino dei pm
La coop rossa Castelnuovese è la società più importante coinvolta nelle perquisizioni della Procura di Arezzo. Si occupa di rifiuti in società con l'istituto. Oltre che di outlet, il settore in cui è attivo anche il padre del presidente del consiglio
di Gaia Scacciavillani | 9 gennaio 2016

http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... pm/2360830

La Castelnuovese è la società più importante coinvolta nelle perquisizioni di ieri della Procura di Arezzo. La cooperativa ‘rossa’, aderente alla Legacoop, è stata guidata per quasi vent’anni, nonostante le sue origini democristiane, da Lorenzo Rosi: dal 1995 fino al luglio 2014. Nel contempo Rosi, ora indagato per i prestiti in conflitto di interesse, scalava la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio: consigliere dal 2008, vicepresidente dal 2013 prima di lasciare il posto a papà Pier Luigi Boschi per diventare presidente di Bp nel nel 2014.
Proprio per chiarire i rapporti tra la coop e l’istituto, incluso il conflitto d’interesse non dichiarato, il procuratore capo Rossi ha disposto la perquisizione. La Castelnuovese parte dalla costruzione della Casa del Popolo di Castelnuovo dei Sabbioni e dalle abitazioni popolari di Arezzo per poi scolorire il suo rosso, come il partito. Oggi si occupa di rifiuti, grandi opere e costruisce tanti centri commerciali e outlet, a partire da quelli progettati in Valdichiana in una fase precedente per arrivare a Reggello. Mentre il The Mall, ideato con il finanziatore di Matteo Renzi, (e già socio del padre Tiziano) Andrea Bacci; la socia di Tiziano Renzi, Ilaria Niccolai e i Moretti-Lebole di Arezzo, con la consulenza del padre del premier è solo l’ultimo dei business di Rosi.
A fine 2014 la cooperativa contava partecipazioni in più di 40 imprese. “L’aver consolidato negli anni il nostro patrimonio ci ha permesso di finanziare, insieme al sistema bancario, molti interventi immobiliari nel settore commerciale e residenziale”, si legge nella relazione che accompagna l’ultimo bilancio che per il futuro auspica il consolidamento dei rapporti con Prada, Unicoop Firenze e Gucci. Ma anche degli “interventi pubblici nel campo delle infrastrutture”. Al momento, però, “uno degli asset più importanti” è il settore ambientale che ha assunto negli anni rilevanti “dimensioni, giro d’affari e valore strategico”.
Merito della partecipazione in Sei Toscana, il nuovo gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani nelle provincie dell’Ato Toscana Sud (Arezzo, Grosseto e Siena) che ha chiuso il 2014 con 1,8 milioni di utili, ma anche 83,5 milioni di debiti 18,3 dei quali verso il sistema bancario. Del resto il 2014 è stato il primo anno della concessione ventennale da circa 160 milioni l’anno vinta dal consorzio che nel frattempo ha concorso anche per l’affidamento del centro (Firenze, Prato e Pistoia) e della costa (Livorno, Lucca, Massa Carrara e Pisa) della Toscana.
Oltre che socio con l’11 per cento circa delle quote, Castelnuovese è in partita anche come partner tecnico di Sei. Un ruolo chiave, in quest’area di attività, è giocato da Eros Organni, amministratore delegato di Sei, un “tecnico dei servizi pubblici locali”, come lo ha definito il sindaco di Siena Bruno Valentini. Dimenticandone forse le passate vesti di partner dello Studio di commercialisti di Luciano Nataloni, l’ex consigliere di Banca Etruria finito anche lui nel mirino della procura di Arezzo per “omessa comunicazione di conflitto d’interessi”, con cui Organni ha condiviso una lunga lista di attività imprenditoriali. Non secondaria neppure la figura del vicepresidente di Sei, il senese Fabrizio Vigni: da parlamentare, tra il 1994 e il 2006, è stato membro della Commissione ambiente della Camera e ha partecipato alla Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. L’ex consigliere provinciale e comunale di Siena, dal 2009 è anche presidente di un importante socio di Sei, Sienambiente, il gestore del piano provinciale dei rifiuti fondato alla fine degli anni 80 dagli enti locali e da Mps, di cui Rosi è stato consigliere dal 1997 fino al 2002.
Quello che salta di più agli occhi nell’affare dei rifiuti sono gli incroci tra la Coop rossa e la Banca Etruria, entrambe in passato presiedute da Rosi. La Banca infatti partecipa in Società Toscana Ambiente, di cui Rosi è stato presidente dal 2008 all’11 aprile 2013, che a sua volta è socia di Sei. Non solo. La Sta, che è anche l’anello di congiunzione tra la Castelnuovese e Sei, a fine 2014 aveva quasi 15 milioni di debiti con le banche. Parte dei quali riconducibili alle linee di credito fino a 10 milioni concesse da Mps e dalla stessa Banca Etruria. Tra i creditori non bancari, invece, spicca Uch, socio di controllo di Sta a sua volta controllato dalla Castelnuovese e dal suo partner (sempre aderente alla Legacoop) Unieco e, tra il 2008 e il 2013, presieduto ancora una volta da Rosi. Il prestito a fine 2014 ammontava a 5,33 milioni.
Sullo sfondo c’è sempre il vecchio business degli outlet. Quello dell’avventura della Città Sant’Angelo Outlet Village iniziata nel 2007 con l’avvio della costruzione di un “parco commerciale” nel pescarese il cui completamento è atteso nel 2020. E i cui conti stentano a decollare: solo il 2014 era in rosso per 6 milioni. A sostenere la società di cui Rosi è stato consigliere fino al 2014, ha contribuito un pool di banche tra cui Mps e l’Etruria con un finanziamento da 80 milioni da restituire a rate. Peccato che la società, stando al bilancio 2014, abbia versato solo la prima e da dicembre 2012 a giugno 2015 ha saltato tutti i pagamenti. Intanto per tenere in piedi la società i soci Castelnuovese e Unieco hanno messo complessivamente 7,72 milioni tra rinunce a crediti e impegni a ricapitalizzare.
Prima ancora di Pescara, era stata la volta di Mandò, un centro commerciale di Reggello che i locali definiscono “un tentativo andato male di emulare il The Mall”. Sarà forse per quello che poi Rosi si è unito ai più fortunati costruttori dell’outlet di Gucci. La società Mandò Village, 100% Castelnuovese, intanto però resta aperta: solo il 2014 si è chiuso con una perdita di 3,22 milioni. E così la Castelnuovese ha dovuto rinunciare a un prestito che aveva fatto alla controllata per creare un fondo da 2,7 milioni di copertura delle perdite.
Generosità d’altri tempi. Ma non certo una novità per la cooperativa. Come si vede anche nel caso di Rees, società di sviluppo di progetti immobiliari di cui la Castelnuovese ha il 37,5% mentre il 56,25 è intestato all’altro ex consigliere di Banca Etruria, l’attivissimo Nataloni. Tra i suoi debiti c’è un prestito infruttifero e postergato di 2,44 milioni. Il generoso creditore è sempre la Castelnuovese. Forse anche perché attratta dal promettente business intrapreso dalla controllata di Rees, Innova Re, che è presieduta dallo stesso Nataloni. E che, nel corso del 2013, ha abbandonato la promozione di sviluppi commerciali, per dedicarsi a una nuova tipologia di affari legata alla valorizzazione immobiliare nell’ambito della gestione dei Npl (non performing loans), ovvero i prestiti che le banche dubitano di poter rivedere indietro. Un settore dove serve esperienza. Ma non si può certo dire che Rosi e Nataloni non ce l’avessero.


Le prove: si è servito di un massone. Papà Boschi, l'ultimo enorme guaio
di Giacomo Amadori

http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... ndalo.html

Banca Etruria e dintorni: l'affare, giorno dopo giorno, si ingrossa. La vicenda che coinvolge il padre di Maria Elena Boschi e lambisce il governo si arricchisce con le rivelazioni esclusive di Libero, che nell'articolo che vi proponiamo a firma di Giacomo Amadori spiega come l'allora ex vicepresidente di Banca Etruria, Pier Luigi Boschi, alle spalle del Cda si era servito di un massone indagato per associazione segreta, contrabbando e truffa. Ma non è tutto: su Libero di domani, sabato 16 gennaio, vi proporremo altre rivelazioni esclusive sul caso di Banca Etruria, una vicenda i cui risvolti si fanno sempre più torbidi e complessi. Di seguito, l'articolo di Giacomo Amadori.
C'è un massone misterioso dietro alla vicenda della Banca Popolare dell'Etruria e alle decisioni dell'estate del 2014 dell'ex presidente Lorenzo Rosi e del vicepresidente Pier Luigi Boschi. Un personaggio su cui hanno acceso i fari due diverse procure, quella di Perugia e quella di Arezzo. In Umbria il suo nome è iscritto nel registro degli indagati per associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi, quella contro le associazioni segrete. In un fascicolo collegato è invece sotto inchiesta per contrabbando ed evasione fiscale mediante fatture inesistenti. L’uomo al centro dell’affaire è Valeriano Mureddu, ha 46 anni, origini sarde e padre pastore. La sua famiglia negli anni ’60 è emigrata a Rignano sull’Arno, il paese dei Renzi.
E qui sono iniziate le sue peripezie. Una vicenda personale che si intreccia indissolubilmente con la storia recente del nostro Paese e con i suoi nuovi protagonisti. Ma partiamo dalle indagini giudiziarie. A Perugia nel marzo del 2014 gli uomini dell’Agenzia delle dogane hanno denunciato tre imprenditori, poi saliti a cinque, compreso Mureddu, per una presunta evasione milionaria dell’Iva (si calcola che l’ammanco per le casse dello Stato potrebbe arrivare a 20 milioni di euro) legata a una cosiddetta frode carosello. La società cartiera era in Umbria, le altre due coinvolte in Toscana. I doganieri sequestrarono a Livorno 57 container pieni di polimeri (plastica) provenienti dall’Arabia Saudita e perquisirono Mureddu e i suoi presunti complici.
Qui ebbero la prima sorpresa. Infatti presso gli uffici della Geovision srl di Civitella in Val di Chiana (Arezzo) trovarono una stanza con una quarantina di dossier su persone e società varie, un’attività di spionaggio effettuata dalla Sia srl senza licenza e senza incarichi ufficiali dei clienti. Una specie di struttura investigativa parallela che ha suscitato più di un allarme negli inquirenti. Nel computer sequestrato presso l’agenzia è stata trovata una copiosa corrispondenza elettronica con indirizzi di un provider statunitense coperti da misteriose sigle. Il nome del dominio era “Aisii”, lo stesso dei nostri servizi segreti con una “i” in più. All’interno della corrispondenza un coacervo di report decontestualizzati su processi in corso, magistrati da fermare, notizie su movimenti e attività dei militari della Guardia di finanza e altre news apparentemente sensibili attualmente al vaglio degli inquirenti. Nello stesso pc i doganieri hanno trovato anche email indirizzate all’imprenditore sardo Flavio Carboni, attualmente sotto processo come ispiratore della cosiddetta loggia P3, e ai suoi famigliari. Tra i personaggi destinatari dei messaggi di posta anche un imprenditore campano già arrestato dalla procura di Napoli, un Gran maestro dell’ordine dei templari ed esponenti dell’Opus dei.
In Umbria nel frattempo le investigazioni per associazione segreta, avviate a settembre sul conto di diversi indagati (almeno cinque), procedono verso la scadenza del primo termine di sei mesi di indagini. Per verificare il contenuto dei dossier e della posta elettronica sono stati incaricate la Squadra mobile di Perugia e la Polizia postale. Contemporaneamente su Mureddu indaga anche la procura di Arezzo. L’uomo è stato segnalato alla Guardia di finanza per alcune sue intemperanze e per l’abitudine a spacciarsi come agente dei servizi segreti. Una versione che ha attirato l’attenzione sia dei nostri 007 che delle Fiamme gialle. Fatto sta che quando le Dogane hanno inviato nella città dell’oro per competenza territoriale le carte sull’evasione della Geovision, i finanzieri hanno avvertito i colleghi delle Dogane che sul conto di Mureddu erano già in corso indagini. Per questo nell’ottobre scorso il procuratore aretino Roberto Rossi e il comandante del nucleo di polizia tributaria Giuseppe Abbruzzese sono partiti alla volta di Perugia per incontrare gli inquirenti umbri. Nell’ufficio del dottor Giuseppe Petrazzini, titolare del fascicolo su Mureddu & c., si è parlato di questa presunta associazione segreta, senza scoprire troppo le carte. Alla fine i due uffici hanno preferito tenersi ben stretto il proprio fascicolo senza condividere le informazioni più riservate con i colleghi.
LE RELAZIONI
Ad Arezzo ogni domanda su Mureddu agita gli inquirenti e da questo atteggiamento si evince la delicatezza dell’attuale fase d’indagini. Forse per le amicizie altolocate dell’imprenditore di origine sarda o per i suoi vicini vip. Il più noto di questi è Tiziano Renzi, il babbo del premier. La famiglia Mureddu vive nella stessa frazione dei Renzi, località Torri, e anzi le rispettive abitazioni si trovano in fondo alla stessa stradina in mezzo ai campi. In passato Valeriano e Tiziano hanno anche condiviso qualche affare, scambiandosi diversi terreni. Ma Renzi non è il solo personaggio legato alla politica che Mureddu ha frequentato o conosce: l’uomo indagato per associazione segreta ha avuto rapporti pure con Sergio Tulliani, il suocero di Gianfranco Fini e insieme stavano progettando un affare ambizioso in Sardegna legato alle energie rinnovabili che tramontò nel 2010 dopo una pepata indiscrezione giornalistica firmata dal vicedirettore di Libero Franco Bechis. Un paio di anni prima Mureddu a Roma aveva conosciuto un personaggio noto pure a Tulliani, un incontro che gli ha cambiato la vita: in piazza Cola Di Rienzo, un amico comune gli ha presentato Flavio Carboni, sardo come lui, ma con un cognome ben più impegnativo. Quest’ultimo all’epoca è un imprenditore nel settore immobiliare, delle energie rinnovabili e delle materia prime, ma anche gran tessitore di rapporti. A tempo perso organizza convegni di magistrati e si interessa di appalti. Per i pm di Roma la sua attività è illegale e per questo nel 2010 lo arrestano insieme con altri due indagati con l’accusa di associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi (gli stessi reati contestati oggi al suo “figlioccio” Mureddu).
Le logge più o meno segrete devono affascinare anche Valeriano che negli anni scorsi ha aderito all’Unione massonica di stretta osservanza iniziatica, una piccola obbedienza ben radicata in Sardegna. Da quel loro incontro romano il non ancora quarantenne Valeriano e il settantacinquenne Flavio instaurano un rapporto molto stretto e condividono anche qualche idea imprenditoriale, tra cui un business in Albania. Nelle mail sequestrate dai doganieri ci sono tracce di questi rapporti di lavoro, ma anche di un’affettuosa amicizia. Per esempio Mureddu spedisce via posta elettronica a casa Carboni una foto goliardica in cui è circondato da bellezze albanesi e in altri casi comunica con i famigliari di Carboni. Tra un affare e l’altro si arriva all’estate del 2014.
A maggio Lorenzo Rosi diventa presidente dell’Etruria e Pier Luigi Boschi vicepresidente. La figlia di quest’ultimo, Maria Elena, tre mesi prima è stata cooptata tra la sorpresa generale nel governo dell’amico Matteo Renzi diventandone ministro delle Riforme. Rosi e Boschi come prima mossa, per dare una svolta alla loro gestione, decidono di nominare un nuovo direttore generale per la banca che sostiuisca Luca Bronchi, inviso alla Banca d’Italia. In cuor loro sperano di trovare anche un qualche partner finanziario in grado di rimpinguare le casse asfittiche dell’istituto.
L’AIUTINO
Per portare a termine questo piano Boschi si rivolge a Mureddu che a sua volta chiede aiuto a Carboni. Questa ricostruzione è frutto di un’approfondita inchiesta giornalistica ed è stata confermata a Libero dagli stessi Mureddu e Carboni. Entrambi hanno ammesso di conoscere Boschi e di averlo aiutato in quel frangente, sebbene negli ultimi mesi, dopo il commissariamento della banca, i rapporti tra i tre si siano raffreddati. Però, nell’estate del 2014, il presunto fondatore della P3 si mette all’opera, anche se non può esporsi in prima persona vista la pesante condanna per il crac del Banco Ambrosiano. Per questo telefona all’amico Gianmario Ferramonti, imprenditore sessantaduenne e politico dalle mille vite con la passione per l’esoterismo e la massoneria.
Inizialmente Ferramonti suggerisce la candidatura del suo amico Fabio Arpe, fratello del più noto Matteo. Un nome che nel cda dell’Etruria suscita qualche levata di sopracciglio viste le numerose inchieste in cui è stato invischiato, uscendone, però, sempre assolto. La premiata ditta Carboni-Ferramonti per individuare il nome giusto si affida pure alla consulenza di Mauro Cervini e Riccardo Starace. Il primo è fondatore e amministratore di una società di servizi per piccole e medie imprese e consuente finanziario, il secondo è un imprenditore romano nel settore dei centri di riabilitazione. Carboni mette a disposizione il proprio ufficio di via Ludovisi, a due passi dall’ambasciata americana, per far incontrare Cervini, Starace, Mureddu, Boschi, Rosi e i candidati al posto di direttore generale, tra cui Gaetano Sannolo. Quest’ultimo, sponsorizzato da Starace, all’epoca è vicedirettore generale della Popolare di Frosinone e, negli stessi giorni, viene inserito nel cda della Sampdoria dal presidente Massimo Ferrero (altro conoscente di Carboni).
Durante la selezione due distinte fughe di notizie sui giornali economici bruciano sia il nome di Sannolo che quello di Arpe: «Boschi insisteva molto sul nome di Fabio, sosteneva che glielo avessero suggerito a Roma, ma io pensavo si riferisse alla Banca d’Italia. Non è mai stato chiaro sui nomi delle persone che incontrava nella Capitale. Ora ne capisco il motivo» ricorda una fonte di Libero, allora membro del cda dell’Etruria. Rosi e Boschi propongono al consiglio anche l’ingresso nella compagine sociale di alcuni fondi degli Emirati arabi, in particolare il qatarino Qvs e un altro di Dubai, tutte offerte concordate in via Ludovisi: «In un caso Rosi e Boschi dissero che avevano già fatto fare la due diligence e la cosa mi fece arrabbiare» ricorda il testimone di Libero, «Dopo aver approvato la trasformazione in spa vennero selezionati altri aspiranti partner, ma il presidente e Boschi tenevano nascosti i nomi al resto del cda con la scusa delle fughe di notizie». Nessuno poteva sospettare che quelle candidature nascessero, in parte, nell’ufficio romano del presunto fondatore della P3. Ora queste rivelazioni e le inchieste giudiziarie in corso potrebbero creare più di un imbarazzo al governo del duo Renzi-Boschi, i figli degli amici del massone dei misteri.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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