BANCA ETRURIA - LA BOSCHI È NEI GUAI. HANNO CONFESSATO TUTTO.GUARDATE COSA FACEVANOvenerdì 15 gennaio 2016
http://direttainfo.blogspot.it/2016/01/ ... -guai.html"Seguivamo i clienti in ospedale, nelle case di cura, sotto le scuole mentre aspettavano i figli e alla fine sapevamo che stavamo vendendo prodotti rischiosissimi". A parlare è un direttore di filiale di Banca Etruria che, con garanzia di anonimato, confessa le nefandezze compiute nei confronti dei clienti. Per vendere le rischiosissime obbligazioni subordinate arrivavano a taroccare i questionari Mifid.
Chi parla al quotidiano Repubblica è un direttore di filiale di Banca Etruria del centro Italia ancora dipendente dell'istituto. E quello che confessa fa pensare ad una vera e propria truffa nei confronti dei risparmiatori. "Parliamo di persone che hanno una scolarità finanziaria pari allo zero", dice ancora. E quindi come facevano a superare l'ostacolo del Mifid, il questionario obbligatorio per stabilire il livello di rischio che un investitore può affrontare? "Semplice, nel 95% dei casi lo compilavamo noi e ai clienti chiedevamo solo di firmarlo".
La vendita senza scrupoli di prodotti così rischiosi è proseguita senza sosta anche quando Bankitalia ha acceso un faro su Banca Etruria. "Tra il 2012 e il 2013, nel momento in cui i dirigenti e gli operatori del settore sapevano la situazione critica della Banca, abbiamo venduto la maggior parte delle obbligazioni", dice il direttore. E per superare le richieste di Bankitalia ai clienti è stato fatto rifirmare un documento che li metteva a conoscenza dell'alto rischio dei prodotti nel loro portafoglio. "Peccato che nessuno leggeva quello che gli facevamo firmare".
"Abbiamo fatto delle cose vergognose" - Ma il momento più basso, quello della "vergogna" usando le parole stesse della gola profonda, è arrivato nel giugno 2015. I commissari di Etruria si erano accorti dei Mifid taroccati e hanno fatto arrivare lettere ai clienti invitandoli a tornare in filiale perché nel loro portafoglio investimenti c'erano prodotti non adatti ai loro profili. Il tutto con un linguaggio formale, troppo formale. Tant'è che per i dipendenti di Banca Etruria è stato semplicissimo superare questo ostacolo: "Abbiamo detto che era una pura formalità e facevamo rifirmare lo stesso documento". La gola profonda dice però che lui personalmente aveva invitato i suoi clienti a rivolgersi alle associazioni dei consumatori. Un pentimento, forse tardivo però.
(TgCom24)
Banca Etruria, papà Renzi e Rosi. La coop degli affari adesso è nel mirino dei pmLa coop rossa Castelnuovese è la società più importante coinvolta nelle perquisizioni della Procura di Arezzo. Si occupa di rifiuti in società con l'istituto. Oltre che di outlet, il settore in cui è attivo anche il padre del presidente del consiglio
di Gaia Scacciavillani | 9 gennaio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... pm/2360830La Castelnuovese è la società più importante coinvolta nelle perquisizioni di ieri della Procura di Arezzo. La cooperativa ‘rossa’, aderente alla Legacoop, è stata guidata per quasi vent’anni, nonostante le sue origini democristiane, da Lorenzo Rosi: dal 1995 fino al luglio 2014. Nel contempo Rosi, ora indagato per i prestiti in conflitto di interesse, scalava la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio: consigliere dal 2008, vicepresidente dal 2013 prima di lasciare il posto a papà Pier Luigi Boschi per diventare presidente di Bp nel nel 2014.
Proprio per chiarire i rapporti tra la coop e l’istituto, incluso il conflitto d’interesse non dichiarato, il procuratore capo Rossi ha disposto la perquisizione. La Castelnuovese parte dalla costruzione della Casa del Popolo di Castelnuovo dei Sabbioni e dalle abitazioni popolari di Arezzo per poi scolorire il suo rosso, come il partito. Oggi si occupa di rifiuti, grandi opere e costruisce tanti centri commerciali e outlet, a partire da quelli progettati in Valdichiana in una fase precedente per arrivare a Reggello. Mentre il The Mall, ideato con il finanziatore di Matteo Renzi, (e già socio del padre Tiziano) Andrea Bacci; la socia di Tiziano Renzi, Ilaria Niccolai e i Moretti-Lebole di Arezzo, con la consulenza del padre del premier è solo l’ultimo dei business di Rosi.
A fine 2014 la cooperativa contava partecipazioni in più di 40 imprese. “L’aver consolidato negli anni il nostro patrimonio ci ha permesso di finanziare, insieme al sistema bancario, molti interventi immobiliari nel settore commerciale e residenziale”, si legge nella relazione che accompagna l’ultimo bilancio che per il futuro auspica il consolidamento dei rapporti con Prada, Unicoop Firenze e Gucci. Ma anche degli “interventi pubblici nel campo delle infrastrutture”. Al momento, però, “uno degli asset più importanti” è il settore ambientale che ha assunto negli anni rilevanti “dimensioni, giro d’affari e valore strategico”.
Merito della partecipazione in Sei Toscana, il nuovo gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani nelle provincie dell’Ato Toscana Sud (Arezzo, Grosseto e Siena) che ha chiuso il 2014 con 1,8 milioni di utili, ma anche 83,5 milioni di debiti 18,3 dei quali verso il sistema bancario. Del resto il 2014 è stato il primo anno della concessione ventennale da circa 160 milioni l’anno vinta dal consorzio che nel frattempo ha concorso anche per l’affidamento del centro (Firenze, Prato e Pistoia) e della costa (Livorno, Lucca, Massa Carrara e Pisa) della Toscana.
Oltre che socio con l’11 per cento circa delle quote, Castelnuovese è in partita anche come partner tecnico di Sei. Un ruolo chiave, in quest’area di attività, è giocato da Eros Organni, amministratore delegato di Sei, un “tecnico dei servizi pubblici locali”, come lo ha definito il sindaco di Siena Bruno Valentini. Dimenticandone forse le passate vesti di partner dello Studio di commercialisti di Luciano Nataloni, l’ex consigliere di Banca Etruria finito anche lui nel mirino della procura di Arezzo per “omessa comunicazione di conflitto d’interessi”, con cui Organni ha condiviso una lunga lista di attività imprenditoriali. Non secondaria neppure la figura del vicepresidente di Sei, il senese Fabrizio Vigni: da parlamentare, tra il 1994 e il 2006, è stato membro della Commissione ambiente della Camera e ha partecipato alla Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. L’ex consigliere provinciale e comunale di Siena, dal 2009 è anche presidente di un importante socio di Sei, Sienambiente, il gestore del piano provinciale dei rifiuti fondato alla fine degli anni 80 dagli enti locali e da Mps, di cui Rosi è stato consigliere dal 1997 fino al 2002.
Quello che salta di più agli occhi nell’affare dei rifiuti sono gli incroci tra la Coop rossa e la Banca Etruria, entrambe in passato presiedute da Rosi. La Banca infatti partecipa in Società Toscana Ambiente, di cui Rosi è stato presidente dal 2008 all’11 aprile 2013, che a sua volta è socia di Sei. Non solo. La Sta, che è anche l’anello di congiunzione tra la Castelnuovese e Sei, a fine 2014 aveva quasi 15 milioni di debiti con le banche. Parte dei quali riconducibili alle linee di credito fino a 10 milioni concesse da Mps e dalla stessa Banca Etruria. Tra i creditori non bancari, invece, spicca Uch, socio di controllo di Sta a sua volta controllato dalla Castelnuovese e dal suo partner (sempre aderente alla Legacoop) Unieco e, tra il 2008 e il 2013, presieduto ancora una volta da Rosi. Il prestito a fine 2014 ammontava a 5,33 milioni.
Sullo sfondo c’è sempre il vecchio business degli outlet. Quello dell’avventura della Città Sant’Angelo Outlet Village iniziata nel 2007 con l’avvio della costruzione di un “parco commerciale” nel pescarese il cui completamento è atteso nel 2020. E i cui conti stentano a decollare: solo il 2014 era in rosso per 6 milioni. A sostenere la società di cui Rosi è stato consigliere fino al 2014, ha contribuito un pool di banche tra cui Mps e l’Etruria con un finanziamento da 80 milioni da restituire a rate. Peccato che la società, stando al bilancio 2014, abbia versato solo la prima e da dicembre 2012 a giugno 2015 ha saltato tutti i pagamenti. Intanto per tenere in piedi la società i soci Castelnuovese e Unieco hanno messo complessivamente 7,72 milioni tra rinunce a crediti e impegni a ricapitalizzare.
Prima ancora di Pescara, era stata la volta di Mandò, un centro commerciale di Reggello che i locali definiscono “un tentativo andato male di emulare il The Mall”. Sarà forse per quello che poi Rosi si è unito ai più fortunati costruttori dell’outlet di Gucci. La società Mandò Village, 100% Castelnuovese, intanto però resta aperta: solo il 2014 si è chiuso con una perdita di 3,22 milioni. E così la Castelnuovese ha dovuto rinunciare a un prestito che aveva fatto alla controllata per creare un fondo da 2,7 milioni di copertura delle perdite.
Generosità d’altri tempi. Ma non certo una novità per la cooperativa. Come si vede anche nel caso di Rees, società di sviluppo di progetti immobiliari di cui la Castelnuovese ha il 37,5% mentre il 56,25 è intestato all’altro ex consigliere di Banca Etruria, l’attivissimo Nataloni. Tra i suoi debiti c’è un prestito infruttifero e postergato di 2,44 milioni. Il generoso creditore è sempre la Castelnuovese. Forse anche perché attratta dal promettente business intrapreso dalla controllata di Rees, Innova Re, che è presieduta dallo stesso Nataloni. E che, nel corso del 2013, ha abbandonato la promozione di sviluppi commerciali, per dedicarsi a una nuova tipologia di affari legata alla valorizzazione immobiliare nell’ambito della gestione dei Npl (non performing loans), ovvero i prestiti che le banche dubitano di poter rivedere indietro. Un settore dove serve esperienza. Ma non si può certo dire che Rosi e Nataloni non ce l’avessero.
Le prove: si è servito di un massone. Papà Boschi, l'ultimo enorme guaiodi Giacomo Amadori
http://www.liberoquotidiano.it/news/eco ... ndalo.html Banca Etruria e dintorni: l'affare, giorno dopo giorno, si ingrossa. La vicenda che coinvolge il padre di Maria Elena Boschi e lambisce il governo si arricchisce con le rivelazioni esclusive di Libero, che nell'articolo che vi proponiamo a firma di Giacomo Amadori spiega come l'allora ex vicepresidente di Banca Etruria, Pier Luigi Boschi, alle spalle del Cda si era servito di un massone indagato per associazione segreta, contrabbando e truffa. Ma non è tutto: su Libero di domani, sabato 16 gennaio, vi proporremo altre rivelazioni esclusive sul caso di Banca Etruria, una vicenda i cui risvolti si fanno sempre più torbidi e complessi. Di seguito, l'articolo di Giacomo Amadori.
C'è un massone misterioso dietro alla vicenda della Banca Popolare dell'Etruria e alle decisioni dell'estate del 2014 dell'ex presidente Lorenzo Rosi e del vicepresidente Pier Luigi Boschi. Un personaggio su cui hanno acceso i fari due diverse procure, quella di Perugia e quella di Arezzo. In Umbria il suo nome è iscritto nel registro degli indagati per associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi, quella contro le associazioni segrete. In un fascicolo collegato è invece sotto inchiesta per contrabbando ed evasione fiscale mediante fatture inesistenti. L’uomo al centro dell’affaire è Valeriano Mureddu, ha 46 anni, origini sarde e padre pastore. La sua famiglia negli anni ’60 è emigrata a Rignano sull’Arno, il paese dei Renzi.
E qui sono iniziate le sue peripezie. Una vicenda personale che si intreccia indissolubilmente con la storia recente del nostro Paese e con i suoi nuovi protagonisti. Ma partiamo dalle indagini giudiziarie. A Perugia nel marzo del 2014 gli uomini dell’Agenzia delle dogane hanno denunciato tre imprenditori, poi saliti a cinque, compreso Mureddu, per una presunta evasione milionaria dell’Iva (si calcola che l’ammanco per le casse dello Stato potrebbe arrivare a 20 milioni di euro) legata a una cosiddetta frode carosello. La società cartiera era in Umbria, le altre due coinvolte in Toscana. I doganieri sequestrarono a Livorno 57 container pieni di polimeri (plastica) provenienti dall’Arabia Saudita e perquisirono Mureddu e i suoi presunti complici.
Qui ebbero la prima sorpresa. Infatti presso gli uffici della Geovision srl di Civitella in Val di Chiana (Arezzo) trovarono una stanza con una quarantina di dossier su persone e società varie, un’attività di spionaggio effettuata dalla Sia srl senza licenza e senza incarichi ufficiali dei clienti. Una specie di struttura investigativa parallela che ha suscitato più di un allarme negli inquirenti. Nel computer sequestrato presso l’agenzia è stata trovata una copiosa corrispondenza elettronica con indirizzi di un provider statunitense coperti da misteriose sigle. Il nome del dominio era “Aisii”, lo stesso dei nostri servizi segreti con una “i” in più. All’interno della corrispondenza un coacervo di report decontestualizzati su processi in corso, magistrati da fermare, notizie su movimenti e attività dei militari della Guardia di finanza e altre news apparentemente sensibili attualmente al vaglio degli inquirenti. Nello stesso pc i doganieri hanno trovato anche email indirizzate all’imprenditore sardo Flavio Carboni, attualmente sotto processo come ispiratore della cosiddetta loggia P3, e ai suoi famigliari. Tra i personaggi destinatari dei messaggi di posta anche un imprenditore campano già arrestato dalla procura di Napoli, un Gran maestro dell’ordine dei templari ed esponenti dell’Opus dei.
In Umbria nel frattempo le investigazioni per associazione segreta, avviate a settembre sul conto di diversi indagati (almeno cinque), procedono verso la scadenza del primo termine di sei mesi di indagini. Per verificare il contenuto dei dossier e della posta elettronica sono stati incaricate la Squadra mobile di Perugia e la Polizia postale. Contemporaneamente su Mureddu indaga anche la procura di Arezzo. L’uomo è stato segnalato alla Guardia di finanza per alcune sue intemperanze e per l’abitudine a spacciarsi come agente dei servizi segreti. Una versione che ha attirato l’attenzione sia dei nostri 007 che delle Fiamme gialle. Fatto sta che quando le Dogane hanno inviato nella città dell’oro per competenza territoriale le carte sull’evasione della Geovision, i finanzieri hanno avvertito i colleghi delle Dogane che sul conto di Mureddu erano già in corso indagini. Per questo nell’ottobre scorso il procuratore aretino Roberto Rossi e il comandante del nucleo di polizia tributaria Giuseppe Abbruzzese sono partiti alla volta di Perugia per incontrare gli inquirenti umbri. Nell’ufficio del dottor Giuseppe Petrazzini, titolare del fascicolo su Mureddu & c., si è parlato di questa presunta associazione segreta, senza scoprire troppo le carte. Alla fine i due uffici hanno preferito tenersi ben stretto il proprio fascicolo senza condividere le informazioni più riservate con i colleghi.
LE RELAZIONI
Ad Arezzo ogni domanda su Mureddu agita gli inquirenti e da questo atteggiamento si evince la delicatezza dell’attuale fase d’indagini. Forse per le amicizie altolocate dell’imprenditore di origine sarda o per i suoi vicini vip. Il più noto di questi è Tiziano Renzi, il babbo del premier. La famiglia Mureddu vive nella stessa frazione dei Renzi, località Torri, e anzi le rispettive abitazioni si trovano in fondo alla stessa stradina in mezzo ai campi. In passato Valeriano e Tiziano hanno anche condiviso qualche affare, scambiandosi diversi terreni. Ma Renzi non è il solo personaggio legato alla politica che Mureddu ha frequentato o conosce: l’uomo indagato per associazione segreta ha avuto rapporti pure con Sergio Tulliani, il suocero di Gianfranco Fini e insieme stavano progettando un affare ambizioso in Sardegna legato alle energie rinnovabili che tramontò nel 2010 dopo una pepata indiscrezione giornalistica firmata dal vicedirettore di Libero Franco Bechis. Un paio di anni prima Mureddu a Roma aveva conosciuto un personaggio noto pure a Tulliani, un incontro che gli ha cambiato la vita: in piazza Cola Di Rienzo, un amico comune gli ha presentato Flavio Carboni, sardo come lui, ma con un cognome ben più impegnativo. Quest’ultimo all’epoca è un imprenditore nel settore immobiliare, delle energie rinnovabili e delle materia prime, ma anche gran tessitore di rapporti. A tempo perso organizza convegni di magistrati e si interessa di appalti. Per i pm di Roma la sua attività è illegale e per questo nel 2010 lo arrestano insieme con altri due indagati con l’accusa di associazione per delinquere e violazione della legge Anselmi (gli stessi reati contestati oggi al suo “figlioccio” Mureddu).
Le logge più o meno segrete devono affascinare anche Valeriano che negli anni scorsi ha aderito all’Unione massonica di stretta osservanza iniziatica, una piccola obbedienza ben radicata in Sardegna. Da quel loro incontro romano il non ancora quarantenne Valeriano e il settantacinquenne Flavio instaurano un rapporto molto stretto e condividono anche qualche idea imprenditoriale, tra cui un business in Albania. Nelle mail sequestrate dai doganieri ci sono tracce di questi rapporti di lavoro, ma anche di un’affettuosa amicizia. Per esempio Mureddu spedisce via posta elettronica a casa Carboni una foto goliardica in cui è circondato da bellezze albanesi e in altri casi comunica con i famigliari di Carboni. Tra un affare e l’altro si arriva all’estate del 2014.
A maggio Lorenzo Rosi diventa presidente dell’Etruria e Pier Luigi Boschi vicepresidente. La figlia di quest’ultimo, Maria Elena, tre mesi prima è stata cooptata tra la sorpresa generale nel governo dell’amico Matteo Renzi diventandone ministro delle Riforme. Rosi e Boschi come prima mossa, per dare una svolta alla loro gestione, decidono di nominare un nuovo direttore generale per la banca che sostiuisca Luca Bronchi, inviso alla Banca d’Italia. In cuor loro sperano di trovare anche un qualche partner finanziario in grado di rimpinguare le casse asfittiche dell’istituto.
L’AIUTINO
Per portare a termine questo piano Boschi si rivolge a Mureddu che a sua volta chiede aiuto a Carboni. Questa ricostruzione è frutto di un’approfondita inchiesta giornalistica ed è stata confermata a Libero dagli stessi Mureddu e Carboni. Entrambi hanno ammesso di conoscere Boschi e di averlo aiutato in quel frangente, sebbene negli ultimi mesi, dopo il commissariamento della banca, i rapporti tra i tre si siano raffreddati. Però, nell’estate del 2014, il presunto fondatore della P3 si mette all’opera, anche se non può esporsi in prima persona vista la pesante condanna per il crac del Banco Ambrosiano. Per questo telefona all’amico Gianmario Ferramonti, imprenditore sessantaduenne e politico dalle mille vite con la passione per l’esoterismo e la massoneria.
Inizialmente Ferramonti suggerisce la candidatura del suo amico Fabio Arpe, fratello del più noto Matteo. Un nome che nel cda dell’Etruria suscita qualche levata di sopracciglio viste le numerose inchieste in cui è stato invischiato, uscendone, però, sempre assolto. La premiata ditta Carboni-Ferramonti per individuare il nome giusto si affida pure alla consulenza di Mauro Cervini e Riccardo Starace. Il primo è fondatore e amministratore di una società di servizi per piccole e medie imprese e consuente finanziario, il secondo è un imprenditore romano nel settore dei centri di riabilitazione. Carboni mette a disposizione il proprio ufficio di via Ludovisi, a due passi dall’ambasciata americana, per far incontrare Cervini, Starace, Mureddu, Boschi, Rosi e i candidati al posto di direttore generale, tra cui Gaetano Sannolo. Quest’ultimo, sponsorizzato da Starace, all’epoca è vicedirettore generale della Popolare di Frosinone e, negli stessi giorni, viene inserito nel cda della Sampdoria dal presidente Massimo Ferrero (altro conoscente di Carboni).
Durante la selezione due distinte fughe di notizie sui giornali economici bruciano sia il nome di Sannolo che quello di Arpe: «Boschi insisteva molto sul nome di Fabio, sosteneva che glielo avessero suggerito a Roma, ma io pensavo si riferisse alla Banca d’Italia. Non è mai stato chiaro sui nomi delle persone che incontrava nella Capitale. Ora ne capisco il motivo» ricorda una fonte di Libero, allora membro del cda dell’Etruria. Rosi e Boschi propongono al consiglio anche l’ingresso nella compagine sociale di alcuni fondi degli Emirati arabi, in particolare il qatarino Qvs e un altro di Dubai, tutte offerte concordate in via Ludovisi: «In un caso Rosi e Boschi dissero che avevano già fatto fare la due diligence e la cosa mi fece arrabbiare» ricorda il testimone di Libero, «Dopo aver approvato la trasformazione in spa vennero selezionati altri aspiranti partner, ma il presidente e Boschi tenevano nascosti i nomi al resto del cda con la scusa delle fughe di notizie». Nessuno poteva sospettare che quelle candidature nascessero, in parte, nell’ufficio romano del presunto fondatore della P3. Ora queste rivelazioni e le inchieste giudiziarie in corso potrebbero creare più di un imbarazzo al governo del duo Renzi-Boschi, i figli degli amici del massone dei misteri.