Casta: etimoloja e lista caste taleghe

Re: Casta etimoloja e lista caste taleghe

Messaggioda Berto » lun dic 23, 2013 9:05 am

http://www.ilgiornale.it/news/cannonate ... 14266.html

Le cannonate di Bava Beccaris sui milanesi armano la mano di Bresci
Tra il 6 maggio e il 9 maggio 1898 la città fu scossa dalla "protesta degli stomaci", moti popolari contro l'aumento del grano. Il re Umberto I mandò a domare la rivolta il vecchio generale piemontese che usò l'artiglieria, uccidendo almeno 300 persone. E due anni dopo il sovrano fu assassinato a Monza dall'anarchico toscano



Enrico Silvestri - Dom, 05/05/2013 - 18:30

All'inizio fu un aumento del grano da 35 a 60 centesimi al chilo, poco sulla carta, un'enormità per chi di fatto si nutriva di solo pane. E così scoppiarono le prime agitazioni, gli scioperi, le manifestazioni per quella che dovette passare alla storia la «protesta dello stomaco».


Una protesta che si estese rapidamente in tutt'Italia raggiungendo toni particolarmente drammatici tra il 6 e il 9 maggio 1898 a Milano dove Bava Beccaris prese a cannonate la folla. E fu strage. Impossibile ancora adesso a distanza di quasi 120 anni, sapere quanti furono i morti. La prefettura ne accertò 88 ma per le forze d'opposizione furono molti di più: i numeri presero a rimbalzare a 118, poi 300, forse la stima più attendibile, quindi 800 fino a diventare mille in un canzone popolare.

L'unica cosa certa che dopo le «quattro giornate di Milano» del 1898, per l'opinione pubblica, non solo di sinistra, l'anziano ufficiale diventò un brutale sicario e Umberto I il suo mandante. L'odio popolare crebbe nei mesi successivi fino a quando, il 29 luglio 1900, l'anarchico Gaetano Bresci «vendicò» le vittime milanesi con tre colpi di pistola che colpirono il sovrano a spalla, polmone e cuore. Chiudendo una vicenda iniziata nella primavera di due anni prima. Nell'aprile del 1898 infatti l'aumento del costo del grano, causato dagli scarsi raccolti, fece esplodere la proteste in diverse piazze italiane. Le prime agitazioni ebbero luogo in Romagna e Puglia il 26 e 27 aprile, per poi estendersi a macchia d'olio e in forma sempre più accesa, nel resto del Paese, tanto da indurre il governo a decretare lo stato d'assedio per Firenze il 2 maggio e per Napoli, due giorni dopo.

A Milano il malcontento esplose il 6 maggio all'ora di pranzo, quando la polizia fermò in via Galilei alcuni operai della Pirelli sorpresi a distribuire volantini contro il governo presieduto Antonio Starabba, marchese di Rudinì, rappresentante della destra storica. Gli arrestati furono poi rilasciati ma ormai la tensione era salita alle stelle e alle 18.30 una folla di un migliaio di persone prese d'assedio la Questura, allora in via Napo Torriani. Partirono i primi colpi d'arma da fuoco che ferirono mortalmente due manifestanti e un poliziotto. Il 7 maggio fu dichiarato lo sciopero generale che ben presto divenne rivolta aperta e dai cortei si passò alle barricate a Porta Venezia, Porta Vittoria, Porta Romana, Porta Ticinese e Porta Garibaldi. Il governo decretò lo stato d'assedio anche per Milano, nominando al generale Fiorenzo Bava Beccaris Regio commissario straordinario.

Ufficiale di carriera, 67 anni, reduce delle guerre di Crimea e della seconda e terza d'Indipendenza, mise il suo quartiere generale sul sagrato del Duomo, decidendo di muoversi come in un campo di battaglia. E come in un campo di battaglia misurò le forze in campo, 4mila tra soldati e agenti di polizia per contenere 30/40mila mila manifestanti e passò all'azione. Inizialmente fece intervenire la cavalleria, ma le barricate ostacolavano le cariche e presto l'azione si disperse in mille piccoli scontri. L'8 maggio gli scontri ripresero. A Porta Ticinese venne eretta una barriera che avrebbe respinto qualsiasi attacco, anche per la presenza di centinaia di manifestanti. E Bava Beccaris rispose con i cannoni. I pezzi caricati a mitraglia della 2° batteria a cavallo spazzarono la piazza, provocando un numero imprecisato di morti e feriti, ma soprattutto lo sbandamento dei dimostranti. Tanto che in serata Beccaris potè telegrafare a Roma che la rivolta si poteva considerare domata. Gli scontri invece continuarono anche il 9 maggio, con scariche di fucileria da entrambe le parti. Così il vecchio generale decise di ricorrere nuovamente ai cannoni con i quali venne abbattuto il muro di cinta del convento dei Cappuccini di viale Piave dove si sarebbero rifugiati alcuni rivoltosi.

L'uso spregiudicato dell'artiglieria piegò effettivamente la rivolta, causando però un bagno di sangue mai quantificato. Secondo la Prefettura, le vittime accertate furono 88, 400 i feriti mentre secondo il cronista e politico repubblicano Paolo Valera, sarebbero state almeno 118 e i feriti oltre 400. Alcune fonti fecero salire il numero dei morti prima a 300, forse la stima più probabile, altre addirittura a 800. Per evitare conseguenze infatti molti familiari di morti e feriti non denunciarono i decessi né portarono i parenti all'ospedale. Tra i soldati invece ci sarebbero stati due morti: uno si sparò accidentalmente, l'altro fu fucilato sul posto per essersi rifiutato di aprire il fuoco sulla folla.

La sanguinosa repressione fruttò a Fiorenzo Bava Beccaris, poi passato alla storia come «il macellaio di Milano», la croce di Grande Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia il 5 giugno e la nomina a Senatore il 16. Negli anni Dieci fu un accanito sostenitore dell'entra in guerra dell'Italia quindi, fascista convinto, tra i primi a suggerire a Vittorio Emanuele III la nomina di Benito Mussolini a presidente del Consiglio.

Nel frattempo però i riconoscimenti all'ufficiale avevano scavato un solco tra la monarchia e ampi strati della popolazione che mai avevano particolarmente amato quel sovrano. Umberto I era già scampato a un primo attentato il 17 novembre 1878 a Napoli, quando l'anarchico Giovanni Passannante tento di colpirlo con un coltello al grido «Viva Orsini, viva la repubblica universale». Il re parò il colpo con la spada, rimanendo lievemente ferito. Un'aggressione analoga il 22 aprile 1897 a Roma da parte di un altro anarchico Pietro Acciarito ma ancora una volta Umberto I si accorse in tempo dell'agguato e schivò il colpo. Nulla potè però il 29 luglio 1900 quando un terzo anarchico, Gaetano Bresci, si avvicinò alla carrozza che lo stava trasportando a Monza per cerimonia di chiusura del concorso ginnico della sportiva «Forti e Liberi». Quel giorno infatti faceva un gran caldo e il re aveva rinunciato alla cotta di maglia di ferro, una sorta di giubbetto anti proiettile anti litteram. Bresci gli si parò contro colpendo il monarca con tre proiettili. Umberto I riuscì a mormorare «Avanti, credo di essere ferito» poi svenne e quando arrivò alla villa Reale era ormai privo di vita. I morti della protesta dello stomaco di due anni prima a Milano erano stati vendicati.

Justisia xe sta fata, on gràsie a Gaetano Bresci!
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Re: Casta etimoloja e lista caste taleghe

Messaggioda Berto » mar dic 24, 2013 9:21 pm

La “Maggistratura” è lo specchio dell’italianità, storia di “sinistre carriere”

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http://www.lindipendenza.com/la-maggist ... e-carriere

di GILBERTO ONETO

Si fa un gran discutere attorno al cattivo funzionamento e alla politicizzazione della maggistratura. Gran parte della polemica ruota attorno alle vicende di Berlusconi e soci: un argomento piuttosto ambiguo che non aiuta a fare chiarezza. Alla gente comune poco interessa delle questioni di Ruby e delle tasse della Fininvest. La gente comune un suo giudizio sulla maggistratura se l’è fatto indipendentemente da queste porcherie, se l’è fatto leggendo le cronache giudiziarie e – soprattutto – sulla propria pelle. A chi – anche la persona più tranquilla e onesta – non è capitato almeno una volta nella vita di avere a che fare con un tribbunale italiano, come imputato, testimone o parte lesa? L’esperienza è tale da formare una solida e devastante opinione anche senza le cronache delle grandi vicende politiche. Varcare una soglia di Palazzo di giustizia è come scendere di un paio di paralleli, è come entrare in un film di Totò, è traversare un portale spazio-temporale e vivere una esperienza extracorporea, surreale e da incubo. Lo scandire del tempo si misura su parametri diversi che rasentano la ricerca dell’eternità, vigono regole e rituali che ai comuni mortali sfuggono, per i padani è un viaggio esotico in cui si spera di fare un salvifico incontro con Lawrence d’Arabia.

La prima impressione è proprio di un appiccicoso crogiolo di profonda italianità in cui gli indigeni vivono un imbarazzante senso di estraneità che nessuno degli altri cerca ovviamente di mitigare. Anzi. Nei tribunali si respira l’aria di Little Italy o di Broccolino. Quasi tutti parlano, si muovono e vestono allo stesso modo: toghe appoggiate sulle spalle con nochalance come scialli di Salomè, capelli arricciati sul collo, alitate di caffè e tutto il resto dell’ambaradan antropologico e patriottico che accompagna la più profonda identità italiana. I padani sono una minoranza emarginata fra avvocati e maggistrati, dove sono circa un quarto del totale ma con magre prospettive di carriera: sono praticamente assenti ai piani alti, al Csm, nella Corte costituzionale. I nati sopra la Linea Gotica sono davvero rari fra poliziotti e colpevoli: meritano l’assistenza del WWF. Per mitigare la statistica si ricorre all’imbroglio: sui giornali i rei sono classificati spesso per residenza e non per origine (in questi giorni il Gagliano è rubricato come savonese). Gli autoctoni veri li si trova praticamente solo – tanti – fra le vittime. Sono degli estranei che non meritano alcuna considerazione, dei pirla che si fanno fregare e poi pagano il conto. Chi non è del giro viene stritolato: una ragazzotta americana (non si saprà mai se colpevole o innocente) viene trattata come fosse la reincarnazione del male, Rosa e Olindo sono rinchiusi a vita senza uno straccio di prova. Non si chiamano Ligresti e sicuramente la Cancellieri non perderà tempo a far loro una telefonatina. Ci sarebbe anche un problema di comunicazione linguistica.

Poi c’è la storia della politica. Non basta essere italiani: per contare serve anche essere un po’ comunisti. La “compagneria” è il solo modo sicuro che i nordisti hanno di fare un po’ di carriera: se uno è padano e poco sinistro probabilmente si occuperà di multe per tutta la vita in un sottoscala di cancelleria. Così risulta che se un imputato appartiene a qualche tribù rossa se la cava sempre, trova comprensione, vagonate di garantismo, codicilli ed eccezioni: è pur sempre “un compagno che sbaglia” che diamine! Gli altri no: gli altri portano il marchio lombrosiano della reità nel sangue. Se poi sono leghisti o indipendentisti non hanno vie d’uscita. Sindaci, cittadini che si difendono dai malfattori, gente che esprime opinioni poco ortodosse su strolighi, stranieri o italianissimi incorre nei rapidissimi rigori dello Stato: Dura lex, sed lex. Tradotto: l’è düra per num, per i àlter l’è lèss.
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Re: Casta: etimoloja e lista caste taleghe

Messaggioda Berto » gio feb 06, 2014 10:16 pm

R.Lombardia: bocciata proposta M5S su taglio vitalizi
Per ex consiglieri proposta di rimodulazione su base contributiva

Milano, 6 feb. Il tavolo di lavoro ha respinto la proposta di taglio dei vitalizi agli ex consiglieri di Regione Lombardia.

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http://bastacasta.altervista.org/wp-con ... rdia-3.jpg

Il Movimento 5 Stelle chiedeva, visto la precedente bocciatura alla proposta di abrogazione totale, la rimodulazione del vitalizio su base contributiva esattamente come avviene per qualsiasi cittadino. Ad esempio un ex consigliere, il caso è reale, che oggi riceve un vitalizio di 3985,87 euro al mese riceverebbe mensilmente 229,06 euro esattamente in linea con i contributi effettivamente versati. La spesa per la Regione, che attualmente è di 7 milioni di euro all’anno, si ridurrebbe così a meno di 2 milioni di euro all’anno.

“Il ricalcolo su base contributiva evidentemente è una proposta troppo equilibrata e non vale per le enormi cifre versate ai politici sotto forma di vitalizi. Tutti i partiti in Regione sono orientati a una riduzione misera e sopratutto di facciata di queste somme”, spiega Stefano Buffagni, consigliere regionale del Movimento 5 Stelle Lombardia. “Grazie alla bocciatura definitiva alla nostra proposta 10 milioni di lombardi continueranno a mantenere 221 politici, ed ex, che hanno come unico merito quello di essere transitati in Regione Lombardia anche solo per pochi anni. Il privilegio non ha colore politico;
sono tutti coinvolti il Pci, il Pd, Lega, Forza Italia, IdV, Dc.
Noi su questo tema non molliamo, ce lo chiedono i lombardi”, conclude Buffagni.

FONTE:
http://www.ilmondo.it/politica/2014-02- ... 6031.shtml
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Re: Casta: etimoloja e lista caste taleghe

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 12:09 pm

CASTA CALABRA: LO SPECCHIO DI UN’ITALIA SENZA FUTURO

http://www.lindipendenza.com/casta-calabra

Immagine

di FRANCO DE POSSENTIS

I privilegi e le negligenze dei politici. Il trasversalismo di un potere che si ricicla sempre uguale a se stesso. Le colpe imperdonabili di un’intera classe dirigente. “Casta calabra”: il primo libro che racconta il familismo amorale di casa nostra, “Italia-Calabria” un tutt’uno.

Paolo Pollichieni, dopo aver lasciato la direzione del quotidiano “Calabria Ora” s’è messo di buzzo buono ed ha scritto questa inchiesta che la dice lunga sulle condizioni dello Stivale, che trovano nella sua “punta” geografica la sintesi del marciume che impera, dove politica e affari (malaffari) sono saldati dalla corruttela, togliendo ogni spazio alla libera intrapresa.

L’autore del libro, insieme ad altri colleghi, guida il lettore dentro un abisso popolato da politici e politicanti, faccendieri, mafia e antimafia, massondrangheta e borghesia mafiosa, tutta quella “zona grigia in cui affonda il vero capitale della ‘ndrangheta”, ditero il quale c’è una classe dirigente che fa del familismo amorale un modello di comportamento sociale, a scapito di chiunque. In Calabria, in Italia in pratica, succede di tutto: “Leggi sul taglio dei costi della politica che si rivelano fonti di ulteriori sprechi. Consulenze inutili e incarichi esterni assegnati a politici trombati alle elezioni, tra gli sbadigli annoiati del personale interno. Carrozzoni come l’Afor e l’Arssa, aboliti per legge da cinque anni, che continuano ad assumere personale. Società partecipate perennemente in rosso: emblematico il caso della Sogas, la società che gestisce l’Aeroporto dello Stretto e che dalla data della sua costituzione (1986) non ha mai chiuso un bilancio in attivo”.

Si legge su un blog “Messaggi nella bottiglia”, dopo aver assistito alla presentazione del libro: “Nelle pagine di Casta calabra sfilano politici e burocrati, con il relativo codazzo di parenti attaccati alla mammella pubblica, tutti accomunati dal longanesiano “tengo famiglia. Tutti sorridenti dietro al vip di turno portato a sfilare sul corso Garibaldi per promuovere l’immagine di Reggio, mentre nelle periferie manca l’acqua e le buche nelle strade sono voragini. Il tanto sbandierato “modello Reggio”, assurto prima a modello da esportare a livello regionale, quindi declassato a “modello peggio”: scandali, debiti, misteri, il suicidio di Orsola Fallara, la nomina prefettizia della commissione d’accesso antimafia. E nuvoloni neri all’orizzonte”.

Un futuro scuro, dunque, nerissimo, raccontato con ritmo incalzante in questo libro edito dal cosentino ”Falco Editore”. Al termine della lettura non resta che un pensiero al lettore: Siamo di fronte ad una Calabria che sembra non avere futuro… proprio come l’Italia.
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