Parassitismo economico italico-romano

Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » gio lug 27, 2017 8:16 pm

Il falso lavoro è un furto legalizzato di stato, nuovo parassitismo
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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » gio lug 27, 2017 8:16 pm

Giornata europea delle vittime del nazismo mafioso zigano
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » gio lug 27, 2017 8:21 pm

Migranti irregolari, clandestini, finti profughi, profughi


Accoglienza o ospitalità imposta o forzata è un crimine contro l'umanità
viewtopic.php?f=196&t=2420

Se accogliete indiscriminatamente islamici e africani come vorrebbero le caste irresponsabili e parassitarie, criminali e demenziali, vi farete irreparabilmente del male con le vostre mani e lo farete alle vostre famiglie, ai vostri figli, alla vostra gente.

Non deprediamo e non uccidiamo la nostra gente con l'irresponsabile accoglienza indiscriminata e scriteriata a spese delle scarse risorse pubbliche, dei nostri figli e nipoti e dei nostri compaesani e concittadini
viewtopic.php?f=196&t=2605

Non portarti la morte in casa, non hai colpe né responsabilità
viewtopic.php?f=194&t=2624

Povertà
viewtopic.php?f=161&t=2444
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » gio ago 10, 2017 3:17 am

Camere, salta il tetto agli stipendi d'oro: il barbiere torna ai suoi 136mila euro. I dirigenti guadagneranno più della Merkel
di Thomas Mackinson | 9 agosto 2017

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/08 ... el/3785737

I dipendenti di Camera e Senato torneranno presto a incassare i loro stipendi d’oro, anche superiori al famoso tetto dei 240mila euro riservato ai dipendenti pubblici d’Italia messi a dieta dal governo Renzi: dal primo gennaio 2018 avremo ancora barbieri e uscieri da 136mila euro l’anno, elettricisti da 156mila euro e consiglieri parlamentari da ben 358mila euro l’anno, vale a dire stipendiati più di Mattarella o della Merkel.

Il perché è presto detto: i tagli deliberati dalla Camera a settembre 2014 sono andati a sbattere contro la Commissione giurisdizionale per il personale della stessa Camera che – accogliendo i ricorsi di un sindacato e di diversi dipendenti – ha stabilito che il taglio fosse solo temporaneo, appunto valido per tre anni. Ecco perché il 31 dicembre 2017, senza una proroga, le riduzioni salteranno e si tornerà ai magnifici stipendi di cui sopra. La notizia è stata anticipata dal Messaggero e rimbomba nei palazzi ormai deserti causa vacanze. Si trova giusto un questore della Camera che allarga le braccia: “Spiace ammetterlo, ma è così”.

La restaurazione, ed è un punto centrale della storia, non avviene per mano di un giudice del lavoro ordinario ma di alcuni deputati. L’autodichia della Camera rimette la competenza sulle cause a organi interni come appunto la Commissione giurisdizionale per il personale, organo che in questa legislazione è formato soltanto da deputati Pd. Nello specifico Francesco Bonifazi, Fulvio Bonaviticola ed Ernesto Carbone, sono rispettivamente presidente, relatore e componente effettivo di quel “tribunalino” interno che nel 2015 ha sposato la causa dei dipendenti della Camera mostrandosi sensibili alle loro doglianze finendo per andare contro le decisioni della stessa Camera. Il caso vuole siano tutti del Pd ma che lo sia anche la norma contestata, voluta dalla vice presidente della Camera Marina Sereni (Pd).

Dem contro dem, e non una ma due volte. Quando il tribunalino speciale ha dato ragione ai dipendenti il collegio dei questori della Camera ha fatto ricorso e ancora una volta i deputati l’hanno rigettato, lasciando i tagli temporanei. “Fu l’unica soluzione”, spiega un membro della commissione “perché la delibera di presidenza stabiliva un adeguamento ai tagli del pubblico impiego dove però gli incarichi dirigenziali sono temporanei, mentre i dipendenti della Camera hanno meccanismi di progressione stipendiale non legati all’incarico e disciplinati dal concorso che hanno fatto per l’immissione in ruolo”. Idem per i sottotetti che – a differenza che nella pa – furono imposti al resto del personale non dirigente (falegnami, commessi, assistenti, segretari…) per evitare che arrivassero al livello dei dirigenti decurtati.

“E’ un bel pasticcio”, commenta ora uno dei questori. “Non so come e se si riuscirà a correre ai ripari”. Anche se la Camera prorogasse i tagli, infatti, “i dipendenti faranno ancora ricorso e gli daranno ancora ragione e toccherà dargli indietro tutte le somme con anche gli interessi”. Ora si tratta di capire se esista una via d’uscita. Di sicuro non c’è molto tempo per trovarla. I tempi li detta la formazione del bilancio. Entro il 30 settembre l’amministrazione della Camera deve fornire al Collegio dei questori le previsioni tendenziali di entrata e uscita per ciascuno capitolo ai fini della predisposizioni di quello di previsione per l’anno prossimo. Ma il Parlamento riaprirà il 12 settembre dopo 40 giorni di ferie. Dunque il tempo utile per trovare la via d’uscita si riduce a una ventina di giorni. Sempre che qualcuno davvero la cerchi.

Fonti vicine alla Presidenza fanno notare infatti che la Commissione giurisdizionale per il personale ha decretato che la temporaneità delle riduzioni coincidesse con la scadenza della legislatura. Il che significa che “il nuovo eventuale tetto dovrà essere stabilito dall’Ufficio di Presidenza della prossima: l’attuale è impedito a farlo da questa pronuncia”. Circostanza che rende inesatto dire che “la Camera ripristina gli stipendi”, come si è letto. Perché deciderlo spetterà ai prossimi organismi politici che la guideranno. Con immensa gioia dei 2mila dipendenti.
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » mar dic 26, 2017 7:33 pm

LA NATURA CLASSISTA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
di GUGLIELMO PIOMBINI

https://www.miglioverde.eu/la-natura-cl ... e-italiana

In questo libro davvero meritevole di lettura, Costituzione, Stato e crisi. Eresie di libertà per un paese di sudditi,lo studioso padovano Federico Cartelli disseziona con cura la nostra carta costituzionale, rilevando tutti i suoi caratteri illiberali, statalisti, accentratori. Le sue critiche trovano piena conferma nell’inarrestabile processo di espansione dello Stato avvenuto dal dopoguerra a oggi sotto l’egida di una Costituzione che non ha mai frenato l’aumento della tassazione, della spesa pubblica, del debito pubblico, della burocrazia, dell’alluvione legislativa.

A cosa dovrebbe servire, invece, una Costituzione?
A proteggere coloro che sono senza potere da coloro che esercitano il potere pubblico. Storicamente i ceti operosidella società (il “Terzo Stato”) hanno visto nelle costituzioni uno strumento per difendersi dalla spogliazione dei frutti del proprio lavoro da parte delle classi politico-burocratiche parassitarie. Infatti, come testimonia la storia dei regimi socialisti, quando l’esercizio del potere politico non conosce limiti legali, le nomenklature che controllano le leve fiscali e redistributive dello Stato possono procurarsi ogni genere di privilegio sfruttando in maniera illimitata i produttori di ricchezza.

L’esistenza di uno Stato, democratico o meno che sia, divide sempre la società in due grandi classi: quella dei pagatori di tasse che si guadagnano da vivere producendo beni e servizi richiesti dal mercato, e quella dei consumatori di tasse mantenuti dalle imposte. Nella regolazione dei rapporti fra questi due ceti sociali, come ha operato fino a oggi la Costituzione italiana?
Se escludiamo i primi decenni del “miracolo economico”, quando gli apparati fiscali e burocratici non avevano ancora avuto il tempo di ampliarsi e organizzarsi, la Costituzione ha di fatto ha sempre funzionato a vantaggio della classe che vive di trasferimenti statali, e a svantaggio della classe che opera nel settore privato dell’economia.
Questa tendenza ha avuto un’accelerazione negli ultimi decenni, durante i quali si è avuto un colossale travaso di ricchezze dal settore privato al settore statale. Nel 1996 le entrate dello Stato italiano ammontavano a più di 450 miliardi di euro, nel 2003 hanno raggiunto i 600 miliardi, e nel 2013 i 760 miliardi. L’aumento della spesa è stato ancora più rapido di quello delle entrate. La spesa pubblica, che nel 1996 superava di poco i 500 miliardi di euro, ha raggiunto i 600 miliardi nel 2001, ha quasi toccato i 700 miliardi nel 2005, per poi superare gli 800 miliardi nel 2013.

Questi numeri rivelano che nell’arco di una ventina d’anni, caratterizzati da una bassissima crescita economica, i privati sono stati costretti a suon di campagne intimidatorie e denigratorie orchestrate dall’alto (“evasori”, “bottegai”, “parassiti”) a versare nelle mani dei membri dell’apparato statale 300 miliardi aggiuntivi all’anno, oltre ai 500 miliardi che già pagavano!
Se escludiamo le esperienze storiche delle rivoluzioni comuniste, probabilmente non si è mai verificata un’espropriazione di ricchezze private così rapida e imponente. Grazie dunque alla “Costituzione più bella del mondo” il peso fiscale complessivo sulle imprese ha raggiunto, nel corso degli anni, il 70 per cento degli utili: un livello di depredazione che non ha eguali al mondo.
Questo processo è stato favorito dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, la cui linea interpretativa sembra infatti congegnata apposta per favorire, sempre e comunque, gli interessi di coloro di coloro che vivono di spesa pubblica. Le recenti dichiarazioni di incostituzionalità del mancato adeguamento delle pensioni più elevate o degli stipendi dei dipendenti pubblici, ad esempio, seguono una linea che favorisce, per partito preso, le categorie dei consumatori di tasse a danno delle categorie dei pagatori di tasse.

Per la Corte i benefici che il potere politico attribuisce, anche una tantum, ai consumatori di tasse rimangono tali per sempre. Poiché è impossibile trovare nel testo della Costituzione questo principio, la Corte ha dovuto creare una dottrina su misura, quella dei “diritti acquisiti”, che sancisce ufficialmente una pesante discriminazione a danno dei produttori privati di reddito. La Corte infatti non riconosce un analogo diritto in capo ai pagatori di tasse privati, perché se il governo riduce un’imposta o aumenta una detrazione fiscale, questa non diventa mai un “diritto acquisito” in capo al contribuente. Il governo può tranquillamente revocarla in qualsiasi momento, anche retroattivamente, senza incorrere in censure di incostituzionalità.

Nell’ordinamento italiano, quindi, non c’è nessuna previsione che possa anche solo rallentare la progressiva invadenza del settore pubblico a danno del settore privato. Le imposte, la spesa pubblica, il debito pubblico e la burocrazia possono solo aumentare, mai diminuire, mentre le misure di segno opposto rischiano sempre la bocciatura per incostituzionalità, dato che danneggerebbero questo o quel “diritto acquisito”. Vitalizi, pensioni retributive e stipendi degli statali sembrano dunque diventati variabili indipendenti dall’economia. Se anche il prodotto interno lordo italiano dovesse dimezzarsi, i ceti produttivi dovranno saldare questi impegni fino all’ultimo euro.
In questo modo l’Italia è diventata un inferno fiscale, uno stato di polizia tributaria nel quale fare attività d’impresa è diventato molto pericoloso. Aprire la partita IVA significa diventare un bersaglio dello Stato, che può saltarti addosso con tutto il suo apparato e un po’ alla volta portarti via la tranquillità personale, i risparmi, l’attività, la casa e nei casi più tragici anche la vita.

Sfogliando le pagine economiche dei quotidiani si possono trovare appaiate quasi ogni giorno due generi di notizie: da un lato nuovi privilegi, aumenti e benefit concessi a questa o quella categoria statale; dall’altra nuove tasse, multe, sanzioni e restrizioni imposte alle categorie private. Le pagine di cronaca riportano frequenti casi di sanzioni stratosferiche a imprenditori, professionisti, artigiani o commercianti per questioni formali della minima importanza, e numerosi casi di totale impunità per i dipendenti statali responsabili di mancanze gravissime o addirittura reati: pare che nemmeno chi venga scoperto commettere furti o rapine sul luogo di lavoro possa essere licenziato. Queste misure discriminatorie hanno determinato una situazione fortemente sbilanciata.

Fino a qualche decennio fa, invece, c’era un certo equilibrio tra le condizioni di impiego nel settore privato e nel settore pubblico. Soprattutto nelle regioni del nord il settore privato garantiva gli stipendi più elevati, tanto che, negli anni Sessanta, un operaio della Fiat guadagnava più di un impiegato pubblico. Oggi una situazione del genere è diventata impensabile. In Italia, come ricordava Oscar Giannino in una recente trasmissione radiofonica, la retribuzione lorda è mediamente di € 33.000 nel settore pubblico e di € 23.400 nel settore privato; in Francia è di € 35.000 nel pubblico e di € 34.000 nel privato; in Gran Bretagna è di € 34.000 nel pubblico e di € 38.000 nel privato. Anche per quanto riguarda le pensioni, in Italia quelle degli statali sono del 72 % più alte rispetto a quelle dei privati, malgrado la crescente esosità dei contributi previdenziali imposti a questi ultimi.

Solo in Italia esiste una distinzione di rango così marcata tra chi lavora dentro e chi lavora fuori dal perimetro della pubblica amministrazione. Al vertice della casta statale si trovano circa un milione di persone retribuite mediamente cinque volte di più rispetto agli altri paesi occidentali, con redditi e pensioni superiori dalle 10 alle 30 volte quelle di molti lavoratori privati. Sono queste le persone che nel corso degli ultimi decenni hanno edificato il debito pubblico attraverso sperperi e folli deficit, e che si sono assicurate un flusso crescente di entrate personali per mezzo di metodi fiscali incivili e vessatori sanciti dalla legge a danno dei lavoratori non garantiti: solve et repete,accertamenti induttivi fondati su semplici presunzioni, spesometro, redditometro, tassazione su redditi non conseguiti, ecosì via.

Questa persecuzione fiscale delle attività private ha arricchito notevolmente le categorie che vivono di spesa pubblica, ma ha prodotto delle conseguenze rovinose sull’economia del suo complesso. Negli anni ’50 e ’60, quando le tasse erano basse e i controlli fiscali molto blandi, l’economia cresceva a due cifre e gli italiani sono passati dalla miseria al benessere; negli anni ’70 e ’80 le tasse e la spesa pubblica sono aumentate e la crescita è diminuita; negli anni ’90 e 2000 tasse e spese sono ulteriormente aumentate e la crescita si è arrestata; oggi l’imposizione fiscale e la spesa pubblica sono elevatissime, il paese è in recessione perenne e gli italiani si stanno impoverendo.
Questa guerra scatenata dallo Stato contro l’apparato produttivo del paese, tuttora in pieno svolgimento, non ha alcuna giustificazione razionale, né dal punto di vista politico, né dal punto di vista economico. La spesa pubblica italiana era considerata eccessiva già negli anni Novanta; pochi ne chiedevano l’ulteriore aumento, nessuno chiedeva di raddoppiarla in meno di vent’anni. Nella società italiana non è mai esistita una domanda di “maggior Stato” tale da giustificare quell’elenco interminabile di nuove tasse introdotte negli ultimi anni.

Anche dal punto di vista economico questa offensiva fiscale non sembra avere una legittimazione plausibile. La decisione delle classi governanti di dare il via all’escalation di tasse e spesa pubblica non ha migliorato il livello qualitativo di nessun servizio pubblico rispetto a vent’anni fa, ma ha aumentato a dismisura le occasioni di spreco e di corruzione, la corsa ai privilegi odiosi e ingiustificati, ha distrutto una larga fetta del tessuto produttivo privato costringendo alla chiusura centinaia di migliaia di piccole imprese, ha provocato l’aumento della disoccupazione e più in generale l’abbassamento del tenore di vita delle famiglie.

Quando la tassazione supera un certo livello, l’equilibrio pacifico tra la classe dei pagatori di tasse e quella dei consumatori di tasse si rompe, e i ceti produttivi diventano le vittime sacrificali delle caste legate allo Stato. Oggi infatti viviamo in uno Stato classista che perseguita e depreda i lavoratori del settore privato, cioè gli unici che di fatto producono ricchezza e sopportano per intero il carico fiscale, per tutelare e mantenere legioni di statali improduttivi supertutelati, pensionati d’oro o baby, membri privilegiati della casta e altri sprechi colossali. Ma quando il numero dei consumatori di tasse diventa troppo alto rispetto a quello dei produttori, la società muore.

In definitiva, è difficile chiamare “Costituzione”, almeno nel senso classico del termine, una carta che tutela solo i membri dell’apparato statale a scapito del resto della popolazione. Fino ad oggi la Costituzione della Repubblica Italiana non è mai stata intesa dei politici, dei magistrati e dei giuristi come uno strumento di protezione della società civile dal potere, ma come base di partenza ideologica per la sua progressiva espansione. Tutto questo non dipende solo da un’interpretazione deformante del testo costituzionale, ma anche dai difetti genetici del dettato costituzionale, così nitidamente messi in luce da Federico Cartelli.
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » dom gen 21, 2018 10:11 am

«Resto al Sud», fino a 200mila euro per imprese giovani
2018-01-13

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... m=facebook

Aprire una piccola impresa al Mezzogiorno e restare nella propria terra a lavorare. Un sogno che si potrebbe realizzare. A partire dalle 12.00 di lunedì 15 gennaio gli aspiranti imprenditori potranno presentare domanda sul sito di Invitalia per chiedere le agevolazioni di “Resto al Sud”, l'incentivo che sostiene la nascita di nuove attività imprenditoriali da parte dei giovani tra i 18 e i 35 anni residenti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. I giovani non devono avere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non devono essere titolari di altre imprese attive, non devono aver beneficiato di altre agevolazioni negli ultimi tre anni.

Via alla decontribuzione piena per le assunzioni stabili al Sud

Fondi per 1,25 miliardi
Sul piatto ci sono 1,25 miliardi di euro pronti a finanziare le attività più disparate: dal piccolo bar sulla spiaggia ad esempio, alla coltivazione di capperi, fino al “servizio” taxi su asino o l’allevamento di falchi da reintrodurre in natura. Insomma non ci sono limiti alle attività che possono andare dai servizi al turismo, alla ristorazione, piccoli trasporti, agricoltura eccetera. Sono escluse dal finanziamento solo le attività libero professionali e il commercio. Il tutto per un importo che varia da un minimo di 50mila euro (se il richiedente è uno solo) fino a un massimo di 200mila euro. Il 35% inoltre è a fondo perduto mentre il restante 65% (restituibile in 8 anni) è “garantito” dallo Stato. Cioè non occorre presentare particolari garanzie per ottenere il finanziamento.

Detrazione del 36% sui giardini, le mosse per non sbagliare aspettando le istruzioni

Domanda online ma non è un click day
Non si tratta di un “click day”, cioè i fondi non vengono assegnati in base a chi arriva primo a presentare la domanda. Ma ogni proposta - spiega Invitalia - sarà vagliata. Non c’è quindi bisogno di accalcarsi lunedì. La misura, promossa dal ministro per la Coesione territoriale ed il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti, dovrebbe consentire quindi di avviare attività nel Mezzogiorno fungendo anche da traino per i territori coinvolti. «Il Mezzogiorno ha ripreso a crescere, ma c’è bisogna ora di consolidare i risultati raggiunti negli ultimi tre anni. Con Resto al Sud puntiamo a ribaltare la percezione del fare impresa nel Meridione, da chimera o prospettiva impossibile a volano per la crescita - ha spiegato Domenico Arcuri, ad di Invitalia -. Per la prima volta il governo ha messo in campo un incentivo che può coprire fino al 100% dell'investimento proposto dai neoimprenditori. La dotazione finanziaria particolarmente ampia ci consentirà di sostenere un numero molto elevato di nuove imprese».


Gino Quarelo
A spese del nord, delle imprese, dei lavoratori, dei disoccupati, della fiscalità del nord. Mostruosa dicriminazione italica.
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » mar mar 13, 2018 6:48 pm

In Rai il lavoro diventa ereditario: "Se muore un dipendente, assumere il coniuge o il figlio"
13 marzo 2018

http://www.today.it/media/tv/contratto- ... morto.html

Quando un dipendente Rai muore, viale Mazzini si impegna "in situazioni particolari adeguatamente certificate" ad assumere il coniuge o il figlio maggiorenne della persona deceduta.

È una delle condizioni previste dal nuovo contratto per operai, impiegati e quadri della tv di Stato firmato dai sindacati lo scorso 28 febbraio e approvato dai dipendenti Rai con un referendum pochi giorni fa (ha votato sì il 58 per cento su un totale di 7500 dipendenti, circa il 72% degli aventi diritto), come rivela Aldo Fontanarosa su Repubblica.

Il posto di lavoro diventa così ereditario, anche se l'assunzione, chiarisce Fontanarosa, avverrà "compatibilimente con le esigenze aziendali e in armonia con il Piano triennale per la Prevenzione della Corruzione".

Il nuovo contratto approvato dai dipendenti Rai pone fine a uno stallo durato ormai quasi cinque anni. "Considerata la rottura della trattativa e la proclamazione di sciopero che ho trovato al mio arrivo lo scorso giugno - aveva dichiarato Mario Orfeo, Direttore generale Rai - quello raggiunto dopo pochi mesi è un risultato importante, che porta flessibilità nei modelli produttivi, introduce una significativa modifica dei profili professionali e disciplina quelli nuovi legati alle attività digital, aumenta il sistema delle tutele e del welfare e ha un'impronta solidaristica. Il tutto realizzato nel rispetto delle compatibilità economiche consentite dall'attuale difficile congiuntura".
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » mer mar 14, 2018 10:07 pm

Mediterraneo: Prodi, “in Europa si fanno tante ‘politichette’, ma mai una grande politica come servirebbe”
2018/3/14

https://www.agensir.it/quotidiano/2018/ ... servirebbe

“In Europa si fanno tante ‘politichette’ per il Mediterraneo e mai una grande politica”.
Lo ha denunciato oggi Romano Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione tra i popoli, a margine del suo intervento al convegno “L’area mediterranea tra disoccupazione, emigrazione e nuove opportunità di sviluppo economico”, promosso a Roma, presso il Cnr, in occasione del dibattito sui risultati presentati nel “Rapporto sulle economie del Mediterraneo 2017”. Una grande politica, ha spiegato Prodi, “vuol dire mezzi, idee e unità di azione. Io ho proposto, ad esempio, Università miste con studenti della sponda Nord e Sud del Mediterraneo o la Banca del Mediterraneo, realizzata insieme da Sud e Nord”.
Ma, ha aggiunto, anche “una grande politica come abbiamo fatto con l’allargamento dell’Unione europea a Est. In quel modo, è cambiato il mondo. Certamente, nessun Paese del Sud farà parte dell’Unione europea come noi non siamo membri dell’Unione africana, ma il rapporto politico stretto forte deve essere fatto tra Nord e Sud, creando un grande mercato”. Per Prodi, “le altre iniziative sono utili, ma il Mediterraneo rimane oggi un mare che ci separa, non che ci unisce, anche perché nel frattempo i Paesi che ci stanno vicini, dal Marocco fino alla Libia, sono diventati una tessera periferica dei grandi conflitti tra sciiti e sunniti, della politica turca”. E questo essere “periferici”, ha sottolineato, “non è nell’interesse dell’Italia e dell’Europa”.
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » lun apr 02, 2018 10:10 am

Banche italiane, ruberie e depredazioni
viewtopic.php?f=165&t=224
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Re: Parassitismo economico italico-romano

Messaggioda Berto » mar mag 04, 2021 6:47 am

La spesa del reddito di cittadinanza a Napoli sfiora quella dell’intero Nord
Osservatorio Inps
In totale le famiglie che hanno goduto di almeno una mensilità del sostegno tra gennaio e marzo di quest’anno sono state 1.484.444
27 aprile 2021

https://www.ilsole24ore.com/art/la-spes ... rd-AEfnAHE

La spesa per il reddito di cittadinanza a marzo a Napoli si avvicina a quella dell'intero Nord. È quanto emerge dalle tabelle dell'Inps sul reddito di cittadinanza. A Napoli a marzo 157.000 famiglie percepivano il reddito o la pensione di cittadinanza per 459.000 persone coinvolte nel complesso. Nello stesso periodo nell'intero Nord 224.872 famiglie percepivano il reddito o la pensione di cittadinanza per poco più di 452.000 famiglie coinvolte. Poiché l'importo medio è più basso al Nord che al Sud a marzo sono stati spesi per il sussidio 109,7 milioni nell'intero Nord e 102,2 solo a Napoli.

Nel primo trimestre a 1,48 milioni di famiglie

Le famiglie che hanno avuto almeno una mensilità del reddito o della pensione di cittadinanza tra gennaio e marzo 2021 sono state 1.484.444 per quasi 3,4 milioni di persone coinvolte. Si legge nell'Osservatorio Inps dedicato, dal quale si evince che l'importo medio è stato di 553 euro a famiglia. I beneficiari del reddito di cittadinanza sono 1.343.624 nuclei per 3.238.931 persone coinvolte e un importo medio di 582 euro. Hanno ricevuto almeno una mensilità della pensione di cittadinanza 140.820 famiglie per 159.672 persone coinvolte e un importo medio di 269 euro. A marzo, i nuclei percettori di reddito sono stati poco più di un milione, mentre i percettori di pensione 92 mila, per un totale di 1,1 milioni di nuclei pari a 2,6 milioni di persone coinvolte (662 mila minorenni).

La distribuzione per macro-aree geografiche vede 1,8 milioni di percettori nelle regioni del Sud, 452 mila al Nord e 334 mila al Centro: la regione in testa è la Campania con il 22% delle prestazioni erogate, seguita dalla Sicilia con il 20%, dal Lazio con il 10% e dalla Puglia con il 9%, in queste regioni risiede il 61% dei nuclei beneficiari. Prevalgono i nuclei composti da una o due persone (62%), il numero medio di persone per nucleo è 2,3 e l'età media di 35,8 anni. I nuclei con minori sono 386 mila, e costituiscono il 34% dei nuclei beneficiari, il 56% delle persone interessate, mentre i nuclei con disabili sono 194 mila, il 17% del totale pari al 18% delle persone interessate. L'importo medio erogato a livello nazionale è di 559 euro (584 euro per il reddito e 273 per la pensione), con il 60% dei nuclei che percepisce un importo inferiore a 600 euro e l'1% un importo superiore a 1.200 euro. L'importo medio varia sensibilmente con il numero dei componenti il nucleo familiare, e passa da un minimo di 453 euro per i monocomponenti a un massimo di 721 euro per cinque componenti. L'86% delle prestazioni è erogato a cittadini italiani, il 9% a extra comunitari con permesso di soggiorno, il 4% a cittadini europei e l'1% a familiari di tutti i casi precedenti.

In due anni spesi quasi 13 miliardi

Tra aprile 2019 e marzo 2021 sono stati spesi per il reddito e la pensione di cittadinanza quasi 13 miliardi di euro (12.947 milioni). Per l'Inps nel mese di marzo 2021 sono stati spesi oltre 633 milioni. Il mese nel quale si è speso di più per il sussidio è gennaio 2021 con quasi 700 milioni (692.878.066 euro).




Nel Salernitano perdono il reddito di cittadinanza quasi 4mila persone
21 aprile 2020

https://www.ilgiornaledisalerno.it/nel- ... a-persone/

Quasi 4mila persone (3992) a Salerno e provincia perdono il sussidio al reddito di cittadinanza. E’ quanto emerge dall’ultima pubblicazione dell’osservatorio statistico dell’Inps che traccia un bilancio delle erogazioni delle misure di sostegno al reddito tra aprile dello scorso anno e marzo di quest’anno. Complessivamente sono 28mila e 342 le famiglie salernitane, pari a 71.568 persone, che al 31 marzo scorso, percepiscono il reddito o la pensione di cittadinanza con un importo medio di 522,09 euro. L’anno scorso erano oltre 32mila.


I dati aggiornati sul Reddito di Cittadinanza
20 novembre 2019

https://www.agi.it/blog-italia/youtrend ... 019-11-20/

Il 6 novembre 2019 l’INPS ha pubblicato nuovi dati relativi al reddito di cittadinanza, la misura proposta dal M5S, che alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 aveva contribuito a fargli raggiungere il 32,7% dei voti. In un precedente articolo avevamo mostrato come nel Mezzogiorno, dove i tassi di disoccupazione (e di consenso verso i 5 Stelle) sono più elevati rispetto al resto d’Italia, ci fosse stato anche il boom delle richieste del reddito di cittadinanza.

Nel suo comunicato l’INPS ha annunciato il raggiungimento di un milione di richieste accolte al 31 ottobre, considerando sia il reddito che le pensioni di cittadinanza, per un totale di 1.027.412 richieste accolte su 1.558.898 presentate, con un tasso di approvazione del 65,9%. Le regioni del Sud si aggiudicano le prime tre posizioni per richieste accolte, con la Campania (RdC 177.194, PdC 17.731), la Sicilia (RdC 158.675, PdC 17.997) e la Puglia (RdC 84.315, PdC 9.474).

Reddito di cittadinanza: le richieste in termini assoluti

Come era già emerso precedentemente, le province più popolose sono quelle in cui risulta anche più elevato il numero di richieste, con quelle ad alto tasso di disoccupazione che scalano la classifica. In testa troviamo Napoli (162.519), Roma (97.698) e Palermo (70.492), seguite da Milano (59.637), Catania (57.063), Torino (53.994) e Caserta (47.895).

Invece, le province meno abitate e situate in zone montuose, soprattutto al Nord, si confermano essere quelli con minori richieste. Scendendo verso il fondo della classifica troviamo Gorizia (2.873), Verbano-Cusio-Ossola (2.214), Isernia (2.027), Aosta (2.018), Sondrio (1.657), Belluno (1.520), fino a Bolzano (795).

Guardando all'evoluzione nell'arco dell'anno, si nota una lieve tendenza del Nord a recuperare rispetto al numero di richieste del Sud. Rispetto ai dati di aprile, infatti, l’aumento maggiore si riscontra proprio nelle province settentrionali, dove le richieste degli ultimi 6 mesi sono state il 52,7% di quelle totali, significativamente di più che al Centro (48,7%) e al Sud (46,2%).

Le province con la maggiore accelerazione rispetto all’inizio dell’anno sono state Trento (il 62,4% negli ultimi 6 mesi), Lodi (57,7%), Imperia (57,1%) e Verona (56,9%). Al contrario, una frenata rispetto a inizio anno c’è stata a Cagliari (solo il 37% delle richieste totali è arrivato dopo aprile), Nuoro (37,7%), Potenza (37,8%) e Massa Carrara (37,8%).


Le richieste comune per comune

Se tali dati confermano sostanzialmente quanto già si sapeva, diventa ora più interessante un’osservazione più nel dettaglio. La tabella pubblicata sul nostro sito mostra la lista di tutti i comuni, con il numero delle domande presentate (il reddito e le pensioni di cittadinanza sono qui considerati aggregati), quelle accettate e la proporzione tra le due.

Un caveat importante: dai dati dell’INPS sono emerse delle incongruenze. Per alcuni comuni (206 comuni su 7787 dove è stata presentata almeno una domanda), infatti, le domande accolte risultano essere in numero maggiore rispetto a quelle presentate. Questo dato risulta particolarmente rilevante in Piemonte (85 comuni), Lombardia (39) e Trentino-Alto Adige (21). Nella nostra analisi successiva, comunque, il dato comunale non è stato utilizzato nei calcoli.

Come già nel precedente articolo, abbiamo cercato di spiegare le richieste di reddito di cittadinanza con il voto al M5S e la disoccupazione. Replichiamo l’analisi con i dati più aggiornati, inserendo all’interno del modello di regressione multivariata il numero di richieste ogni 100 abitanti, il tasso di disoccupazione e il voto al M5S alle elezioni europee 2019 per provincia. Anche in questo caso, per rendere più robusti i risultati, abbiamo controllato gli effetti fissi regionali e il modello è stato calcolato con errori standard robusti.


Reddito di cittadinanza: le previsioni del nostro modello

A seguito dei nuovi dati pubblicati dall’INPS, possiamo confermare il trend già emerso. Anche in questo modello il voto al M5S e la disoccupazione sono significativi, quindi hanno un ruolo nella spiegazione delle domande del reddito di cittadinanza. Inoltre, l’R2 del modello è di 0,97, indice che il modello riesce a spiegare quasi totalmente il fenomeno. Infatti, come si evince dal grafico, la scarsa dispersione dei punti rispetto alla linea indica che il modello predice molto bene il fenomeno. In parole semplici, più aumentano la disoccupazione e il voto al Movimento 5 stelle, più crescono le richieste del reddito e della pensione di cittadinanza.


Quanto vale il reddito di cittadinanza?

Come anticipato nelle prime righe, quello sulle domande accolte non è l'unico dato interessante pubblicato dall’INPS: il 7 novembre ha anche reso disponibile il documento con l’importo medio mensile sia del reddito che della pensione di cittadinanza per provincia.

Per quanto concerne il reddito di cittadinanza, l’importo medio è 519,12 euro mensili. Al di sopra di questo valore troviamo esclusivamente province del Sud, e in particolare della Sicilia (8 province su 9 sopra la media, con Ragusa subito sotto), della Campania (3 su 5) e della Puglia (4 su 6), con l’unica eccezione di Imperia (€525,06). Il primato assoluto va a Palermo (€613,06) e Napoli (€610,00) con a seguire Caserta (570,41€) e Catania (€565,69).

Il fenomeno di importi maggiori al Sud si rileva anche tra i dati riguardanti la pensione di cittadinanza. Infatti, le province sopra la media (€216,38) sono concentrate dal Lazio in giù, con l’aggiunta di Genova (€226,13), Perugia (€218,22), Imperia (€218,18), Massa Carrara (€217,89) e Reggio Emilia (217,58€). Addirittura, sono sopra la media tutte le province di Puglia, Campania e Calabria. Le province del Sud sono anche quelle dove viene percepita la PdC media mensile più alta, in primis Lecce (€258,45) e Napoli (€257,85), con più indietro Cosenza (€239,72) e Isernia (€235,14). Vicina alla testa della classifica anche Roma, con oltre 232 euro. Ad eccezione di Napoli, dunque, le province aventi il reddito e pensione di cittadinanza medi mensili più alti non sono le stesse.

Reddito e pensione di cittadinanza: importi medi mensili per province

Ma insomma, quanto valgono in tutto il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza? Moltiplicando il numero di richieste accolte per l'importo medio in ogni provincia, possiamo arrivare a una stima dell'importo complessivo mensile. Stando ai dati aggiornati al 7 novembre, quindi ancora passibili di crescita, la pensione di cittadinanza vale circa 26,1 milioni di euro al mese, mentre il reddito di cittadinanza arriva a 444,3 milioni di euro mensili.



Nuovi dati sul Reddito di Cittadinanza: i nuclei beneficiari sono più di 1 milione
Celestina Valeria De Tommaso
20 marzo 2021

https://www.secondowelfare.it/povert-e- ... lione.html

L’INPS ha diffuso i numeri di febbraio 2021 sull’erogazione del Reddito di Cittadinanza, della Pensione di Cittadinanza e del Reddito di Emergenza. Le nuove richieste fanno presumere un ulteriore aumento dei percettori.

L’Osservatorio Reddito e Pensione di Cittadinanza dell’INPS ha pubblicato i dati aggiornati sui beneficiari del Reddito di Cittadinanza (RdC), della Pensione di Cittadinanza (PdC) e del Reddito di Emergenza (REM). Di seguito riportiamo brevemente i dati principali.


Oltre 1 milione di nuclei beneficiari, nel 2021 già 379 mila nuove richieste

A febbraio 2021 In Italia si contano 1.009.958 nuclei familiari beneficiari di PdC o RdC, per un totale di 2.314.854 individui.

Con riferimento al solo Reddito di Cittadinanza, l’importo medio mensile erogato nel mese di febbraio è stato pari a 591,01 euro, e ha registrato un incremento del 3% rispetto al mese precedente. I nuclei percettori del RdC sono stati 924.421 - il 18,9% in meno rispetto a gennaio - per un totale di 2.216.625 individui coinvolti - anch’essi in calo del 20% rispetto al mese precedente. Tale flessione si è verificata anche lo scorso anno, ed è dovuta al mancato o tardivo aggiornamento della Dichiarazione Sostitutiva Unica, indispensabile per poter rinnovare o proseguire con l’erogazione del beneficio. Gli andamenti sono analoghi per la Pensione di Cittadinanza. In questo caso, a febbraio 2021 i nuclei beneficiari della PdC sono stati 85.537, contro i 114.599 di gennaio.

A fronte del calo degli attuali beneficiari, si registra un numero consistente di richieste effettuate tra gennaio e febbraio 2021: le domande per l’erogazione del Reddito di Cittadinanza o della Pensione di Cittadinanza sono state infatti 379.081.


Il Mezzogiorno riconferma il primato

I percettori di RdC o di PdC, come per le rilevazioni precedenti, si concentrano maggiormente al Sud e nelle Isole, dove a febbraio i nuclei beneficiari di almeno una mensilità di una delle due misure sono stati 624.423 e hanno ricevuto mediamente 618,34 euro. A tal proposito, si osserva un decremento del 14% dei beneficiari rispetto al mese di gennaio 2021, quando i nuclei percettori dei benefici in queste zone erano 725.257.

Napoli si conferma la provincia con il maggior numero di nuclei percettori di RdC (133.085) e PdC (9.774) e con l'importo medio mensile più alto per il RdC, pari a 679,95 euro. Al contrario, la provincia di Lecce registra il dato più alto sull’importo medio mensile della PdC, pari a 314,67 euro. Le province di Roma e Palermo si piazzano al secondo e terzo posto per numero di beneficiari, per un totale di 68 mila e 63 mila nuclei percettori di PdC o RdC.

Al Nord e al Centro i nuclei percettori di RdC invece erano, rispettivamente 170.445 e 129.553. Entrambi i dati registrano un decremento - del 32,4% e del 26% - rispetto ai valori relativi a gennaio 2021.


Il profilo dei nuclei percettori

A febbraio i nuclei beneficiari con minori a carico erano il 34% (343.870) del totale dei percettori (1.009.958) di RdC e PdC; le famiglie con un disabile a carico erano circa il 17,4% (175.717) del totale. L’importo medio mensile era, rispettivamente, 679,87 euro per i primi e 562,78 euro per i secondi. Per quanto riguarda la cittadinanza dei richiedenti del RdC e PdC, a febbraio gli italiani beneficiari erano circa l’86,3% del totale dei percettori (1.009.958), con una importo medio mensile pari a 570,61 euro. Tra i beneficiari circa un terzo erano stranieri: 42.358 di essi europei e 87.641 extracomunitari con permesso di soggiorno UE.


Reddito di Emergenza: qual è la situazione

Il Reddito di Emergenza è stato introdotto nel maggio 2020 con il Decreto Rilancio (dl 34/2020), al fine di contenere le conseguenze economiche della crisi da Covid-19. La misura è stata poi prorogata grazie al Decreto Agosto (dl 104/2020 ) e al Decreto Ristori (dl 137/2020). A seguito del Decreto Rilancio (maggio 2020) 292.134 nuclei hanno beneficiato di almeno una mensilità della prestazione, ricevendo mediamente 559 euro al mese. In seguito, con il Decreto Agosto e il Decreto Ristori (ottobre 2020), 254.688 famiglie hanno percepito il REM, ricevendo mediamente 550 euro mensili.

Il Decreto Ristori ha previsto l’erogazione delle due mensilità di novembre e dicembre anche ai nuclei che – causa mancata presentazione della domanda o per mancato riconoscimento dei requisiti minimi - non avevano mai beneficiato del REM. I nuclei coinvolti in quest’ultimo intervento sono stati circa 81 mila e hanno ricevuto mediamente 520 euro al mese. L'importo medio mensile previsto per quest’ultima categoria di beneficiari ha subito un calo del 6,4% rispetto agli importi medi mensili erogati nelle mensilità precedenti.

Con riferimento alla distribuzione geografica, anche il REM è più diffuso al Sud e nelle Isole, con un totale di 341.753 nuclei beneficiari dall’introduzione della misura contro 161.076 nuclei al Nord e 125.413 al Centro.
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