I dementi no pandemia no mask no vax e no green pass

I dementi no pandemia no mask no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:25 pm

Le demenzialità dei no pandemia, no mask e no vax e dei no green pass.
Le demenzialità dei minimizzatori negazionisti complottisti del virus e della pandemia, del tenere tutto aperto e della libera circolazione, dei no vax e dei no greenpass

viewtopic.php?f=208&t=2974
https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 7969116621


All'inizio della pandemia i sinistri al governo erano tutti contro la naturale doverosa, sensata e immediata chiusura delle frontiere e tutti contro la quarantena di chi arrivava dalla Cina per non discriminare i poveri cinesi che ci avevano portato in regalo il virus da Wuhan in Cina dove la globalizzazione ha demenzialmente trasferito gran parte della produzione industriale mondiale credendo di fare un affare.
Poi dopo le prime centinaia di morti al giorno e la saturazione delle terapie intensive hanno finalmente deciso la chiusura per contenere la diffusione del contagio o lockdown e allora sono spuntati i primi negazionisti e minimizzatori della pericolosità del virus e della pandemia, contrari alla chiusura e al fermo di buona parte delle attività economiche non necessarie alla sopravvivenza.
Poi parte di questi negazionisti minimizzatori sono divenuti "novax", niente vaccino perché secondo loro non solo è inutile ma anche pericoloso per la salute (perché non sperimentato e più mortale del virus stesso eppoi per via delle sue componenti biochimiche capaci di modificare la genetica umana) e pericoloso per la democrazia (nanocip all'interno del vaccino e grande reset dell'oligarchia mondiale per controllare la gente e i popoli, l'economia e il potere politico).
Dopo i novax si sono trasformati in "no greenpass" e siamo arrivati all'oggi, all'attualità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:26 pm

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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:26 pm

Milioni di morti, collasso della sanità e dell'economia e possibile guerra civile.

Se ieri avessimo seguito i negazionisti del virus e della pandemia e avessimo tenuto tutto aperto come se si fosse trattato di una normale influenza,
se non avessimo adottato le misure di contenimento del virus e della pandemia, tra cui le chiusure generalizzate e continuate, il divieto di assembramento, le mascherine, le pulizia e il distanziamento
e
se poi avessimo continuato seguendo oggi i no vax e non ci fossero i vaccini disponibili e le vaccinazioni obbligatorie con il green pass, avremmo senza ombra di dubbio milioni di morti, il sistema sanitario sarebbe collassato assieme all'economia e con ogni probabilità vi sarebbe la guerra civile.
Sarebbero morti la maggioranza degli anziani, quasi tutti i fragili, sarebbero morti gran parte dei sanitari infermieri e medici e conduttori delle ambulanze e degli apparati medicali, sarebbero morti gran parte degli ammalati di cuore e di tumore che non avrebbero potuto avere le cure adeguate;
sarebbero morti gran parte degli infetti il cui sistema immunitario fosse stato sconfitto e avessero sviluppato forme gravi di infezione, perché non avrebbero avuto i farmaci adeguati e le cure necessarie in terapia intensiva;
sarebbero morti in tanti vecchi e giovani, ammalati di altre malattie e i sani, anche i bambini e le giovani mamme, sarebbero morti oltre ai sanitari anche molti camionisti della rete distributiva, piloti di aerei, tecnici delle manutenzioni delle linee elettriche, delle reti informatiche, molti operai e tecnici delle industrie di base e fondamentali come quelle medicali, alimentari, dei trasporti, dell'energia, delle telecomunicazioni, sarebbe stato un disastro, un collasso generale della società, una tragedia umana dalle proporzioni incalcolabili.




Non esiste il demenziale diritto a infettare il prossimo in nome della libertà, se sei infetto te ne stai a casa in quarantena o all'ospedale in cura o se non sei infetto e puoi vaccinarti ti vaccini o te ne stai a casa e non vai in giro ad infettarti e ad infettare il prossimo.
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Benedetto vaccino, finalmente sei arrivato!
Vaccinarsi è meglio che pregare!
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Questo è il vero miracolo, l'unico miracolo che può esistere e che può farlo solo l'uomo di buona volontà che scopre i segreti della natura, i segreti con cui Dio ha creato il mondo a sua immagine e somiglianza che si rispecchiano e brillano nella scienza umana che fa propria la scienza di Dio il quale ce la regala volentieri.
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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:27 pm

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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:27 pm

Anche i vecchi, gli ammalati, i fragili, coloro che sono privi o che hanno scarse difese immunitarie possono morire di covid (per le complicazioni portate dal covid) senza delle quali sarebbero ancora vivi.



Le demenzialità dei no vax/ no green pass:

Secondo il nuovo rapporto (che non veniva aggiornato da luglio) dell'Istituto superiore di Sanità sulla mortalità per Covid, il virus che ha messo in ginocchio il mondo avrebbe ucciso assai meno di una comune influenza.
Franco Bechis
21 ottobre 2021

https://www.facebook.com/francomatteo.m ... 4986570142

Sembra un'affermazione strampalata e da no vax, ma secondo il campione statistico di cartelle cliniche raccolte dall'istituto solo il 2,9% dei decessi registrati dalla fine del mese di febbraio 2020 sarebbe dovuto al Covid 19. Quindi dei 130.468 decessi registrati dalle statistiche ufficiali al momento della preparazione del nuovo rapporto solo 3.783 sarebbero dovuti alla potenza del virus in sé. Perché tutti gli altri italiani che hanno perso la vita avevano da una a cinque malattie che secondo l'Iss dunque lasciavano già loro poca speranza. Addirittura il 67,7% ne avrebbe avuto insieme più di tre malattie contemporanee, e il 18% almeno due insieme. Ora personalmente conosco tanta gente, ma nessuno che abbia la sfortuna di avere cinque malattie gravi nello stesso tempo. Vorrei fidarmi dei nostri scienziati, poi vado a leggere i malanni elencati che sarebbero ragione non secondaria della perdita di tanti italiani e qualche dubbio da profano comincio a nutrire. Secondo l'Iss il 65,8% degli italiani che non ci sono più dopo essere stati infettati dal Covid era malato di ipertensione arteriosa, e cioè aveva la pressione alta. Il 23,5% era anche demente, il 29,3% aggiungeva ai malanni un po' di diabete, il 24,8% pure fibrillazione atriale. E non basta: il 17,4% aveva già i polmoni ammalati, il 16,3% aveva avuto un cancro negli ultimi 5 anni; il 15,7% soffriva di scompenso cardiaco, il 28% aveva una cardiopatia ischemica, il 24,8% soffriva di fibrillazione atriale, più di uno ogni dieci era anche obeso, più di uno su dieci aveva avuto un ictus, e altri ancora sia pure in percentuale più ridotta aveva problemi gravi al fegato, dialisi e malattie auto-immuni.


Il pasticcio del rapporto ISS sui morti Covid non causati dalla pandemia è solo giornalistico
Redazione Bufale
Ottobre 21, 2021

https://www.bufale.net/finiamola-con-il ... -pandemia/

Bisogna dire basta a determinati titoli articoli di giornali più o meno importanti sul panorama nazionale italiano, come quello che in queste ore ci parla del pasticcio con il rapporto ISS sui morti con il Covid. Al contempo, occorre dire basta anche ad un modo di approcciarsi coi lettori che strizza l’occhio ai NoVax per ottenere facile consenso, perché quando si analizzano studi complessi e delicati, bisogna non lasciarsi andare a conclusioni affrettate che alterno la realtà. Soprattutto nell’ambito di una vera e propria pandemia.

E pensare che questi concetti li portiamo avanti da marzo 2020, come qualcuno forse ricorderà tramite i nostri primi articoli a tema. Attenzione, il concetto che esprimiamo oggi vale per tutti. Sia per chi ha sempre minimizzato il Covid, sia per coloro che in certi momenti hanno accentuato ed enfatizzato la situazione vissuta in ambito sanitario. Fatta questa premessa doverosa, non possiamo non replicare ad un pezzo che oggi 21 ottobre ci parla del presunto pasticcio con il rapporto ISS sui morti Covid.

Nessun pasticcio del rapporto ISS sui morti Covid non causati dalla pandemia

Fondamentalmente, secondo l’interpretazione di alcuni giornalisti, il rapporto ISS sui morti Covid ci dice che la quasi totalità degli oltre 130.000 deceduti con il virus non sarebbe stata causata dalla pandemia. Andiamo per gradi, perché è vero che solo il 2,9% del campione analizzato non ce l’ha fatta senza presentare altre patologie, mentre il grosso (67,7%) presentava tre o più patologie al momento del decesso.

Lo conferma anche Il Corriere della Sera, che tuttavia mette in risalto anche altri aspetti importanti. A differenza di chi specula su questo rapporto ISS, per minimizzare il Covid e le relative misure che sono state introdotte con il trascorrere dei mesi, abbiamo due elementi di riflessione. Il primo è che lo studio verta su un campione poco rappresentativo, vale a dire poco meno di 8.000 pazienti positivi. Ancora, la disinformazione di queste ore nasce da chi parla di persone che sarebbero morte a stretto giro anche senza il Covid.

Abbiamo analizzato in modo approfondito il rapporto ISS sui morti con il Covid e da nessuna parte viene fornita questa informazione. Impossibile determinare le tre o più patologie di quel 67,7% e, di conseguenza, quanto a lungo sarebbero sopravvissute quelle persone senza il Covid. Anche in questi casi, infatti, il virus potrebbe essere stato decisivo per il repentino peggioramento delle condizioni dei pazienti. Nessun pasticcio, dunque, ma solo conclusioni forzate da qualcuno per fare qualche visita in più in questi giorni.



Alberto Pento
Certo il covid uccide sopratutto i deboli, i fragili, coloro che sono affetti da varie malattie e che hanno un sistema immunitario deficitario e compromesso.
Essi sono i primi ad essere uccisi dal virus.



Pazienti fragili: vaccino anti Covid-19 più vicino

https://www.ail.it/tutte-le-news/974-pa ... piu-vicino

Le persone fragili sono finalmente una priorità nel piano vaccinale

In Italia sono 400 mila i pazienti fragili che sono particolarmente a rischio per il Covid-19, di questi 160 mila sono malati onco-ematologici. Questa catergoria è stata inclusa nella fase due del nuovo piano vaccinale, notizia particolarmente importante anche in considerazione dell'incremento di casi di infezione da Covid-19 che si sta registrando in tutto il Paese. AIL, assieme ad altre associazioni, si è impegnata per portare alle istituzioni la voce di questi pazienti, anche sottoscrivendo l’appello della FOCE, Federazione degli Oncologi, Cardiologi ed Ematologi. Un lavoro che oggi inizia a dare i suoi frutti.

I malati più a rischio saranno quindi vaccinati con il farmaco a base di mRNA subito dopo la copertura degli over 80. Ma la velocità nella somministrazione del vaccino a questa platea varia molto da Regione a Regione: per ora solo Lazio e Toscana hanno iniziato a vaccinare i pazienti più fragili a causa dei ritardi accumulati nella copertura della popolazione dei più anziani. AIL, le associazioni di pazienti e le società scientifiche continueranno a vigilare e a collaborare affinché questa fase due inizi e si concluda al più presto in tutta Italia.


Una battaglia di civiltà

“Il nostro lavoro presso le Istituzioni e le Regioni per chiedere a gran voce la vaccinazione prioritaria per i pazienti onco-ematologici – ribadisce Sergio Amadori, Presidente Nazionale AIL – è costante e il recente inserimento di questa platea nella fase 2 del piano vaccinale è un risultato importante della battaglia che stiamo portando avanti assieme ad altre realtà che si occupano di malati fragili. Ora devono seguire impegni concreti perché i malati immunodrepressi rischiano complicazioni gravissime in caso di infezione da Covid-19 e proteggerli è un dovere morale”.

“I pazienti ematologici – spiega sul sito della SIE Paolo Corradini, Presidente della Società Italiana di Ematologia - sono entrati nella seconda coorte di vaccinazioni. È il risultato dello sforzo congiunto e delle numerose sollecitazioni che abbiamo fatto sul Ministero della Salute con i colleghi della Oncologia e della Cardiologia nella FOCE (confederazione delle società scientifiche di AIOM, SIC e SIE) oltre che dell’importantissimo lavoro svolto a favore della vaccinazione dal prof Locatelli, Presidente del CSS e da poco nuovo Presidente della CTS".


Invecchiamento, anziani fragili e Covid: una chiave di lettura
I Luoghi della Cura Rivista Online
20-26 minuti

https://www.luoghicura.it/sistema/cultu ... i-lettura/

L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno che sta caratterizzando il quadro demografico di numerose società, in particolare di quelle occidentali e del Giappone. L’aumento dell’aspettativa di vita, il miglioramento delle condizioni economiche, il progresso tecnologico e medico hanno modificato la struttura anagrafica delle società. Questa nuova condizione demografica costringe gli Stati a ripensare alle garanzie offerte dal sistema di welfare. Oltre alle forme di assistenza economica già in essere, è necessario rivedere il quadro degli interventi sociali: assistenza domiciliare e servizi di socializzazione devono essere integrati con altre nuove tipologie di servizio, rivolti a fasce di cittadini, che sono particolarmente vulnerabili.
I numeri dell’invecchiamento

Secondo Eurostat, nel 2080, la popolazione europea dei 28 stati membri si attesterà poco sotto i 520 milioni di persone e sarà composta quasi al 30% da persone di età superiore ai 65 anni1(circa 10 punti percentuali in più della situazione attuale). Il problema dell’invecchiamento riguarda anche e soprattutto l’Italia (il Paese più vecchio dell’Unione Europea con un tasso percentuale di over 65 che supera il 22% rispetto alla popolazione complessiva), dove gli ultraottantenni sono quasi 7 su 100 (6,8%), conseguenza del fatto che l’aspettativa di vita media per il nostro Paese raggiunge quasi gli 82 anni (la più alta in Europa).

In Italia il tasso di incidenza della popolazione anziana sulla popolazione in età lavorativa tocca quota 34,8%, permettendoci di raggiungere il primato del Paese con la più alta età mediana dell’intero continente europeo (46,3 vs 43,1). In particolare, (dati ISTAT 2019) su una popolazione complessiva che raggiunge 60.370.283 persone, di cui l’8,7% è il tasso di stranieri (censiti), nell’ultimo anno si sono registrate meno di 500 mila nascite, il dato più basso dall’Unità d’Italia. Di conseguenza, l’aumento della popolazione anziana, l’allungamento dell’aspettativa di vita e la riduzione del numero di nascite ci fotografano come un Paese in via di “pensionamento”.

Questi dati allarmano non poco in relazione alla sostenibilità delle garanzie di protezione sociale2.e ai benefici sociali derivanti dal contratto di cittadinanza3. Nonostante le numerose differenze che caratterizzano le differenti aree del nostro Paese, l’invecchiamento, purtroppo, è uno dei pochi elementi che accomuna i territori, frammentati da livelli di servizi, di risorse, di innovazione, significativamente diseguali tra loro.

Come si vede dalla tabella seguente (Tab. 1), soltanto in Campania, non si raggiunge la quota di 1 over 65 su 5 (18,8%), per il resto la struttura sociale delle regioni è molto simile:
Popolazione over 65 su popolazione totale, Italia
Tabella 1- Popolazione over 65 su popolazione totale, Italia

Nella lettura del quadro demografico del nostro Paese, non va dimenticato che le regioni del Sud stanno subendo un’impoverimento generazionale (desertificazione) dovuto al fatto che negli ultimi anni sono andati via dal Mezzogiorno oltre 2 milioni di persone, di cui il 90% tra i 19 e i 35 anni, con un trend in aumento (Svimez, 2019).
Le risposte del welfare per il sostegno alla popolazione anziana: quadro generale e spese nazionali

Il panorama demografico italiano richiede quindi una significativa attenzione sui servizi e gli interventi sociali allo scopo di garantire un reale sostegno al godimento di una vita buona da parte della popolazione anziana. Sul piano nazionale, la spesa italiana per le politiche sociali nel 2017 è stata pari al 29,1% del Pil contro il 27,9% della media Ue, ma se si escludono le spese derivanti dal sistema pensionistico e da quello sanitario, secondo Istat, il nostro paese si colloca invece tra quelli con i livelli più bassi di spesa per servizi sociali, con un ammontare di risorse pari a 7 miliardi e 234 milioni di €.

Ad oggi, gli interventi di assistenza preminenti nell’ambito dei servizi rivolti alla popolazione sono orientati principalmente nel rispondere a due aree di bisogno: gli interventi finalizzati alla non autosufficienza e quelli orientati alla socializzazione degli anziani autosufficienti (quali ad esempio i centri polivalenti per anziani, le attività legate ai soggiorni climatici). I servizi più significativi ed onerosi per il sistema di welfare riguardano principalmente l’area della non autosufficienza quali a) l’indennità di accompagnamento e b) gli interventi finalizzati ad assicurare forme di cura residenziale e/o domiciliare. Su questa seconda tipologia si registra una forte difformità tra i diversi territori, in ragione di una molteplicità di fattori concomitanti, tra i quali particolare rilevanza assumono la territorializzazione del welfare (legge di riforma costituzionale del 2001), la mancata definizione dei fabbisogni sociali a livello nazionale e le forti sperequazioni in termini di risorse tra le varie regioni italiane e i differenti ambiti territoriali.

La differenziazione territoriale si rende evidente sul numero e sulla qualità dei servizi di carattere residenziale, ma esplode con maggiore forza nell’ambito dei servizi di carattere domiciliare. Proprio nell’ambito delle cure domiciliari e di sostegno al lavoro di cura della famiglia nei confronti dell’anziano emerge una forte differenziazione tra i livelli e l’offerta dei servizi sociali dei vari territori italiani. Questi interventi di “welfare leggero” rappresentano un un nodo sempre più complesso, in quanto, nel sistema di welfare italiano, la cura di un anziano grava direttamente sulla famiglia, non solo in termini di risorse economiche, ma anche in relazione all’incidenza dei carichi di cura sia sui propri stili di vita che sulle risorse di tempo (problema del Long-Term Care).
La fragilità degli anziani: una categoria di lettura

Il fenomeno dell’invecchiamento, oltre al dato quantitativo in crescita sul totale della popolazione, ha portato a riflettere4sui differenti attributi che connotano qualitativamente tale processo e transizione. La vita anziana non appare infatti come un dato in sè omogeneo, ma al contrario si struttura per diversi livelli di indipendenza e dipendenza dei soggetti rispetto alle reti sia primarie familiari, sia secondarie di assistenza e cura.

La concettualizzazione della fragilità si presenta nella letteratura sociologica, come un tentativo di definire tale eterogeneità di condizioni. Dapprima, la fragilità compare in letteratura assumendo un significato spiccatamente bio-medico o clinico, per poi acquisire, nell’ultimo decennio, connotazioni oltre che mediche anche bio-psico-sociali. A partire dalle opere di Gobbens et al. (2010) e Van Campen (2011) si preferisce definire la fragilità come una condizione di vulnerabilità a livello bio-psico-sociale. Essere fragili significa quindi essere maggiormente a rischio di incorrere in una perdita funzionale e/o di autonomia. L’analisi di Van Campen, evidenzia alcuni aspetti peculiari della fragilità sociale, definita come “un deficit nelle relazioni sociali” (mancanza di un partner fidato o confidente, mancanza di sostegno, scarsa partecipazione alle relazioni – familiari, di vicinato associative) che potrebbe portare all’isolamento della persona.

Per sottolineare come non sia un concetto puramente clinico, è possibile definire la fragilità come una condizione posta in un continuum tra l’autonomia e la dipendenza, che implica l’essere a rischio di perdita (o di aver perso) di risorse importanti per soddisfare i bisogni sociali di base durante tutto il corso della vita. Si può quindi parlare di fragilità non solo nelle situazioni in cui il soggetto non è in grado di soddisfare i propri bisogni sociali, ma anche quando non svolge attività sociali e/o quando non è in grado di essere autonomo.

La definizione della condizione di fragilità e vulnerabilità dell’anziano consente di articolare in modo più completo la costituzione di una società a misura di anziano, prevenendo interventi più invasivi sia nell’ambito del benessere del soggetto che nel bilancio dei costi. Si rileva infatti che il focus sulla fragilità consente da un lato, di estendere qualitativamente la nozione di benessere dell’anziano, non più riducibile alla sola componente biomedica o clinica, dall’altro, un’azione – pubblica, privata e del terzo settore – in grado di prevenire, in molti casi, o ritardare i costi estremamente onerosi (sia in termini economici che sociali) di sostegno e cura delle non autosufficienze. È vero, infatti, che la fragilità, arricchendo la semantica del benessere individuale dell’anziano, costituisce un indicatore di intervento per servizi capaci di svolgere una funzione preventiva rispetto alle diverse forme di degenerazione (Cavazza, Malvi, 2014).
Tre periodi comuni di capacità intrinseca in età avanzata
Tabella 2 – Tre periodi comuni di capacità intrinseca in età avanzata

Se gli studi sulla fragilità contribuiscono a definire ulteriori livelli di condizioni e conseguentemente di azioni efficaci nei confroni della popolazione anziana, la vulnerabilità ha assunto negli ultimi anni un’attenzione ancora maggiore, quale indicatore di pre-fragilità e possibile limen rispetto a condizioni più rischiose. Tra gli studi che hanno approfondito il tema della vulnerabilità, con una particolare attenzione verso le reti sociali, si ricorda il lavoro di Peek (et. al, 2012), che ha indagato l’impatto dei fattori di stress sull’aumento della vulnerabilità e l’effetto del supporto sociale come strategia per fronteggiare la fragilità. Dall’analisi emerge che i fattori di stress legati a problemi di salute e difficoltà economiche determinano un aumento della fragilità nel tempo, mentre gli eventi non sanitari non sono significativamente correlati con un aumento della fragilità nel tempo. L’aumento del sostegno sociale si associa longitudinalmente a un minor aumento della fragilità per chi è già moderatamente fragile, mentre per chi si trova già in condizioni di forte fragilità il contributo del sostegno sociale appare poco significativo.
Covid: vecchi bisogni e nuove risposte

L’effetto pandemico ha posto ancor più in risalto alcuni limiti presenti nel nostro sistema dei servizi ed interventi sociali agli anziani. Al di là delle difficoltà strutturali legate alla scarsità di risorse impegnate in termini di assistenza, alle difficoltà di numerose realtà territoriali nel garantire livelli di sevizio adeguati ed efficienti, alcune delle criticità riguardano i modelli di concezione dei bisogni della popolazione anziana.

Il sistema di welfare presenta un modello di lettura dei bisogni fortemente ancorato alle macro-categorie (gli anziani, i minori, le dipendenze ecc): da un lato, tali categorie stanno mutando in maniera significativa (ad esempio sta venendo meno la tradizionale corrispondenza tra condizione di pensionato e condizione di anziano); dall’altro, all’interno delle medesime categorie, stanno emergendo numerose differenziazioni che richiedono quindi una maggiore capacità del sistema di leggere i continui mutamenti legati ai bisogni delle differenti nuove categorie che vanno profilandosi e di organizzare nuove risposte. In assenza di queste ultime, in termini di servizi ed interventi, si vede crescere anche la rinuncia degli individui alla richiesta di prestazioni (fenomeno del non take up of social benefits) favorendo così una “doppia” esclusione sociale.

Uno degli esempi di questa difficoltà del sistema di leggere i bisogni emergenti riguarda proprio la vita anziana. Le politiche e gli interventi per gli anziani sono orientati per la maggior parte a rispondere a categorie di bisogno standardizzate: la non autosufficienza (permanente o temporanea) e la piena autonomia. Per la seconda, gli interventi sono finalizzati alla socializzazione; per la prima, alle residenza di cura e/o agli interventi domiciliari, laddove il ricovero in struttura non è previsto oppure non richiesto.

La diffusione del Covid ha fatto crollare alcune delle certezze: in parte perché le strutture per anziani sono state sottoposte a livelli di rischio significativamente elevati, ma anche perché sono emersi nuovi bisogni sociali della vita anziana (ad esempio la necessità di socializzazione in condizioni di isolamento sociale, anche a fronte delle ricadute psicologiche legate alle norme di distanziamento, i bisogni legati alla mobilità indipendente), che escono dalla classica distinzione legata al concetto di autosufficienza. E’ certo che prima dell’emergenza alcuni bisogni “leggeri” erano soddisfatti dalla rete familiare e/o amicale. La lontananza dai figli, che durante la pandemia è stata una “lontananza obbligata” spesso ha rappresentato motivo di affaticamento della vita anziana, al pari, ad esempio, di alcune situazioni legate a condizioni di malattia che limitano l’autonomia dei soggetti. Questi nuovi bisogni sono correlati, non solo alle condizioni di salute dell’anziano, quanto anche alla sua rete sociale e relazionale, che durante la pandemia si è forzosamente rarefatta.

Esiste quindi una condizione dell’anziano che è quella fragile, intermedia tra l’autosufficienza piena e la non autosufficienza, che quest’anno si è particolarmente evidenziata. Si tratta di una zona grigia non predeterminabile a priori o attraverso un’analisi di natura medica e le cui caratteristiche differiscono in maniera significativa da soggetto a soggetto. Proprio questa diversa fragilità individuale richiede un sistema di osservazione dei bisogni maggiormente orientato al cambiamento graduale e più capace di rispondere al singolo problema più che ad una certa categoria sociale. Lo abbiamo ben compreso durante il lockdown: in un momento storico in cui l’isolamento sociale e il distanziamento hanno rappresentato buone norme di comportamento finalizzate alla riduzione del contagio, la solitudine delle persone anziane può aver rappresentato un rischio significativo da non sottovalutare.

Tale condizione va tenuta di conto soprattutto oggi che le norme che definiscono il distanziamento e la ridotta mobilità sono nuovamente diffuse, seppur a gradi diversi, sull’intero territorio italiano. C’è da chiedersi infatti cosa succede ad un anziano solo in caso di bisogno non sanitario? Se non sono presenti i figli, chi può sostenere le normali pratiche quotidiane, quali l’approvvigionamento alimentare, il pagamento delle bollette, la corretta vigilanza sulla manutenzione della casa, l’acquisto dei farmaci e il suo corretto/regolare utilizzo?

In tal senso, occorre immaginare che, oltre ad interventi più o meno strutturati, è necessario costruire interventi di prossimità che, da un lato, permettano all’anziano di non cadere in un vortice di abbandono e di scoraggiamento, e dall’altro sostengano realmente il carico di cura dei figli, altrimenti assoggettati al rischio di schiacciamento tra la cura dei figli e quella dei genitori (effetto sandwich)5. Si tratta di interventi leggeri, flessibili, a volte saltuari e di breve durata, erogati dal privato sociale e dal volontariato, molto spesso complementari ed integrativi a quelli organizzati dalla rete “standard” dei servizi.

Ad esempio in alcuni comuni d’Italia è stata attivata, tramite le organizzazioni di terzo settore presenti su specifici territori, il servizio di consegna dei farmaci e/o degli alimenti a domicilio: tali servizi, ampiamente presenti in alcune aree metropolitane erano quasi (o del tutto) assenti nei contesti periferici o nei piccoli Comuni (soprattutto del Mezzogiorno). Il potenziamento di reti “sociali di prossimità” ha permesso non solo di affrontare questa specifica situazione legata al contenimento della diffusione del Covid-19 (evitando che siano gli anziani a dover provvedere autonomamente a farmaci ed alimenti), ma ha anche consentito di rappresentare una cerniera tra le persone e i servizi sociali. In tal modo eventuali situazioni di particolare difficoltà possono essere preventivamente conosciute e monitorate soprattutto con riferimento agli anziani soli e/o con i figli “distanti”.

Si registrano quindi eventi di categoria (quali la vedovanza, il cambio di città dei figli, la riduzione delle proprie risorse economiche, il cambio di residenza) ed eventi che interessano tutti, quali la pandemia, che sommati ad uno o più dei precedenti, gravano significativamente sulla vita degli anziani e rappresentano motivo forte di fragilità.

Interventi mirati al sostegno della vita di queste persone, permettono di ridurre il numero di coloro che possono scivolare verso una condizione di bisogno più significativa e quindi richiedere poi interventi maggiormente strutturati. Non si tratta soltanto di una riduzione del rischio legato ai costi, quanto piuttosto di introdurre interventi locali che possano garantire il più possibile un’autonomia piena dell’anziano, anche a partire dal mantenimento di vita nel proprio domicilio abituale.

In particolare, nelle aree in cui il numero dei servizi, il loro livello qualitativo e di efficacia, incontrano numerose difficoltà, le situazioni meno standardizzate, come la fragilità degli anziani, rappresentano nuovi problemi sociali di ampia portata, talvolta difficilmente compresi dai sistemi di osservazione del welfare locale. Dall’attenzione scientifica verso le diverse condizioni che caratterizzano la condizione anziana, alle possibilità di azione che tale riconoscimento assume a livello locale e di servizi, risulta evidente la necessità di mettere a sistema una rimodulazione dei bisogni. I bisogni si presentano infatti come dati non solo binari (dall’autonomia alla dipendenza) ma dialettici (autonomia – vulnerabilità/fragilità – dipendenza); tale riconfigurazione e rilettura dei bisogni della popolazione anziana consente di garantire un maggiore livello di benessere agli anziani stessi (nonché per le reti familiari), senza appesantire inutilmente i servizi di cura e di assistenza dedicati a situazioni di maggiore gravità e rischio.
Conclusioni

Un cambio di passo nell’osservazione delle varie condizioni della vita anziana, può permettere di costruire interventi di welfare che abbiano la caratteristica dell’elasticità e dell’immediatezza – soprattutto in risposta a necessità fino ad oggi nascoste – da affiancare a quelli tradizionali: si tratta cioè di costruire interventi complementari al welfare tradizionale, in grado contribuire a garantire il godimento di una vita buona a tutte le età.

Note

Il problema della riformulazione e sostenibilità dei welfare sarà ancora più decisivo: gran parte degli interrogativi oggi vertono proprio sulla capacità di resistenza del welfare, comune strumento di protezione sociale.
Tematica sulla quale si continua ad intervenire ciclicamente, a partire dalla riforma Dini (dall’abbandono del sistema retributivo) sino agli ultimi mutamenti avvenuti con la Legge Fornero, in parte poi modificata con l’adozione della nota quota 100.
In questo senso plurali e differenti sono i vari modelli proposti, che seppur nelle differenze sostanziali, muovono dall’idea che sarà impossibile garantire, allo stato attuale delle cose, servizi di welfare di qualità (si vedano ad esempio i lavori sul modello del social investment, quello di Cottam (Cottam 2011), sul relational welfare, nonché l’ultimo lavoro di Pavesi e Cesareo sul welfare responsabile).
Sul concetto di fragilità degli anziani è in essere un progetto di ricerca dal titolo “REDESIGN – FRAIL ELDERLY, INTERGENERATIONAL SOLIDARITY AND AGEING FRIENDLY COMMUNITIES, finanziato da Fondazione Cariplo e coordinato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in collaborazione con l’Università degli studi di Verona e l’Università degli studi del Molise.
Sulla vita dei figli gravano in questo momenti due condizioni: la cura dei genitori (con la premura di ridurne i rischi da contagio) e una nuova forma di cura, legata ai figli che sono “perennemente a casa” in ragione della nuova forma di didattica, quella a distanza.

Bibliografia

Cavazza G., Malvi C., a cura di, (2014), La fragilità degli anziani. Strategie, progetti, strumenti per invecchiare bene, Maggioli Editore.

Cesareo V., Pavesi N., a cura di, (2019), Il welfare responsabile alla prova, Una proposta per la società italiana, Vita e Pensiero.
Cottam H. (2011), Relational welfare, in Soundings, 48, 134-144.

Gobbens R.J.J., Van Assen M.A.L.M., Luijkx K.G, Wijnen-Sponselee M.T., Schols J.M. (2010), Determinants of frailty, in JAMDA, Vol. 11, Issue 5, 356-364, June.

Peek M.K., Howrey B.T., Ternent R.S., Ray L.A., Ottenbacher K.J., (2012), Social support, stressors, and frailty among older Mexican American adults,in The Journals of Gerontology, Series B: Psychological Sciences and Social Sciences, Vol. 67 (6), 755-764, Nov.

Svimez, (2019), Rapporto Svimez 2019. L’economia e la società nel mezzogiorno, Il Mulino.

Van Campen C., (2011), Frail older persons in the Netherlands, The Hague, The Netherlands Institute for Social Research.

WHO, (2015), World report on ageing and health.





CS N°6/2020 - Anziani, in Italia il 19% degli over 65 è a rischio fragilità

https://www.iss.it/coronavirus/-/asset_ ... id/5269020

Il 9 gennaio 2020 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato che le autorità sanitarie cinesi hanno individuato un nuovo ceppo di coronavirus mai identificato prima nell'uomo, provvisoriamente chiamato 2019-nCoV e classificato in seguito ufficialmente con il nome di SARS-CoV-2. Il virus è associato a un focolaio di casi di polmonite registrati a partire dal 31 dicembre 2019 nella città di Wuhan, nella Cina centrale. L'11 febbraio, l'OMS ha annunciato che la malattia respiratoria causata dal nuovo coronavirus è stata chiamata COVID-19. Il 30 gennaio, l'Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha confermato i primi due casi di infezione da COVID-19 in Italia e il 21 febbraio ha confermato il primo caso autoctono in Italia.

L’ISS dal 28 febbraio coordina un sistema di sorveglianza che integra a livello individuale i dati microbiologici ed epidemiologici forniti dalle Regioni e Provincie Autonome (PA) e dal Laboratorio nazionale di riferimento per SARS-CoV-2 dell’ISS. Ogni giorno un’infografica dedicata riporta – con grafici, mappe e tabelle - una descrizione della diffusione nel tempo e nello spazio dell’epidemia di COVID-19 in Italia e una descrizione delle caratteristiche delle persone affette.


ISS, 4 febbraio 2020

Sviluppata una APP per poterli individuare a partire dal livello di attività fisica praticata

Il 19% degli anziani in Italia è a rischio di fragilità, una condizione che si aggrava con l’età, riguarda nello specifico il 12% dei 65-74enni e il 30% fra gli ultra 85enni, è fortemente associata allo svantaggio socio-economico (sale al 28% fra le persone con molte difficoltà economiche e al 24% fra le persone con bassa istruzione) e disegna un chiaro gradiente geografico Nord-Sud (13% nel Nord vs 24% nel Sud Isole).

È quanto emerge dalla sorveglianza di popolazione PASSI d’Argento, 2016-2018, che fornisce una misura in ambito epidemiologico della fragilità fra gli ultra65enni, misurata sulla perdita di autonomia nello svolgimento di alcune attività strumentali della vita quotidiana.

Con la finalità di fornire un contributo alla prevenzione e al contrasto di questo fenomeno, l’Istituto Superiore di Sanità ha sviluppato una APP rivolta agli operatori socio-sanitari allo scopo di identificare gli anziani a maggior rischio di fragilità a causa del loro scarso livello di attività fisica e poterli indirizzare verso percorsi di attività fisica idonei alle loro condizioni. Questa novità tecnologica, insieme ai risultati del progetto in cui è stata sperimentata, vengono presentati oggi 4 febbraio 2020 nel corso del convegno “Prevenzione e contrasto della fragilità nell’anziano”.

Nel contesto di un paese come il nostro, tra i più longevi in Europa e nel mondo, l’invecchiamento della popolazione è al tempo stesso un trionfo e una sfida per la società. “Se da una parte l’allungamento della vita media è il risultato di continui e importanti traguardi in campo diagnostico e terapeutico, dall’altra l’aumento della proporzione di anziani, che diventano gli utenti principali delle risorse sanitarie, impone un’attenzione crescente alla promozione di un invecchiamento sano e attivo e all’ottimizzazione delle opportunità di salute, di accesso equo alla prevenzione e alle cure”, afferma la Dott.ssa Benedetta Contoli dell’ISS, responsabile scientifica del progetto CCM “Supporto e valorizzazione della Joint Action “Frailty Prevention” attraverso la promozione dell’attività fisica degli ultra64enni, finanziato dal Ministero della Salute.

“Pertanto - va avanti la ricercatrice - avere la possibilità di identificare in termini epidemiologici quella parte di popolazione anziana più vulnerabile o a rischio di fragilità diventa cruciale per programmare, sia a livello centrale che locale, politiche mirate ed efficaci che rendano reversibile questa condizione di rischio o ne rallentino la progressione verso la disabilità. E poiché la sedentarietà è uno dei maggiori fattori predittivi della fragilità, come confermano anche i dati della sorveglianza PASSI d’Argento, la prevenzione e il contrasto della fragilità nell’anziano passa anche attraverso la lotta alla sedentarietà e la promozione dell’attività fisica e del movimento”.

La APP si basa sul questionario “Physical Activity Scale for the Elderly” (PASE), validato a livello internazionale per “misurare” l'attività fisica praticata dagli ultra65enni e utilizzato anche in PASSI d’Argento, ed è stata impiegata in alcune realtà regionali come strumento di “screening” di comunità per individuare gli anziani a rischio di fragilità da indirizzare a percorsi di promozione dell’attività fisica.

La valutazione da parte degli operatori che hanno utilizzato lo strumento è stata molto positiva ed è prevista la diffusione della APP in tutte le regioni tra gli operatori sanitari, al termine del progetto. Gli ultra65enni arruolati nel progetto e inseriti in programmi di promozione all’attività fisica sono stati seguiti nel tempo: la compliance allo studio è stata alta, la percezione dello stato di salute e benessere e i sintomi di depressione misurati all’inizio e al termine dello studio sono migliorati significativamente.

La “fragilità”

La sorveglianza PASSI d’Argento fornisce una misura della fragilità, in linea con il paradigma bio-psico-sociale, basata sulla capacità della persona ultra65enne di mantenere o meno piena autonomia nello svolgimento delle attività strumentali e/o fondamentali della vita quotidiana e definisce anziano fragile la persona autonoma in tutte le attività fondamentali della vita quotidiana (ADL - mangiare, vestirsi, lavarsi, spostarsi da una stanza all’altra, essere continenti, usare i servizi per fare i propri bisogni) ma non autonoma nello svolgimento di due o più attività strumentali (IADL - preparare i pasti, effettuare lavori domestici, fare la spesa, assumere farmaci, fare il bucato, utilizzare i mezzi di trasporto, gestirsi economicamente, utilizzare il telefono).



La condizione di salute degli anziani in Italia
7 Luglio 2021
https://www.luoghicura.it/dati-e-tenden ... in-italia/


Se avessimo seguito le indicazioni dei negazionisti e minimizzatori del covid, quelli del tutto aperto e del niente chiusure, niente inutili mascherine e niente assurdi distanziamenti, niente pericolosi vaccini e niente green pass, avremmo potuto avere un contagio di massa con milioni di morti solo tra gli anziani da 65 anni in poi.


OLTRE 7 MILIONI GLI ANZIANI DI 75 ANNI E PIÙ
Sono 7.058.755 gli anziani con 75 anni e più che risiedono in Italia, l’11,7% del totale della popolazione. Il 60% è composto da donne.

https://www.istat.it/it/files/2020/04/s ... NZIANI.pdf

4 ANZIANI SU 10 CON TRE O PIÚ MALATTIE CRONICHE Le donne anziane stanno peggio degli uomini. Il 24,7% ha gravi limitazioni nelle attività quotidiane e il 48,1% ha tre o più malattie croniche (contro il 18% e il 33,7% degli uomini).

7 milioni sono gli anziani sopra i 75 anni, circa un paio di milioni sono quelli dai 65 ai 75 sono circa 6 milioni, per un totale di circa 13 milioni di anziani
se di questi il 19/20% è a rischio di fragilità avremmo circa 2,5 milioni di possibili morti da covid.




Rischio di Coronavirus: chi sono i lavoratori fragili? La Circolare che chiarisce
9 settembre 2020

https://www.disabili.com/lavoro/articol ... -chiarisce

Il solo dato anagrafico non costituisce elemento sufficiente per definire uno stato di fragilità nelle fasce di età lavorative. Indicazioni operative su visite e giudizio medico legale

Il 4 settembre è stata pubblicata dal Ministero del Lavoro e dal Ministero della Salute una circolare congiunta sulla sorveglianza sanitaria nei luoghi di lavoro per il contenimento del rischio di contagio da Covid, in particolare chiarendo chi sono i lavoratori fragili, ovvero a maggior rischio.

La circolare stabilisce innanzitutto che, in relazione al rischio di contagiarsi da Coronavirus, i lavoratori e le lavoratrici devono poter richiedere al datore di lavoro adeguate misure di sorveglianza sanitaria in presenza di patologie con scarso compenso clinico come malattie cardiovascolari, respiratorie e metaboliche, con documentazione medica attestante la relativa patologia.

CHI SONO I LAVORATORI FRAGILI
La circolare fa quindi chiarezza su chi sono considerati lavoratori fragili, anche in vista della riapertura delle scuole, e quindi sul ritorno in aula anche degli insegnanti: categoria dall’età media alta nel nostro Paese.
La circolare segnala che per stabilire gli elementi di maggiore o minore“rischio” ci si è basati sui dati epidemiologici, che hanno mostrato come la maggiore fragilità si sia registrata certamente nelle fasce di età più elevata di popolazione, ma soprattutto se in presenza di alcune malattie cronico degenerative, che possono contribuire ad aggravare l’esito dell’eventuale patologia in caso di infezione.
Dalle analisi dei dati prodotti dal sistema di sorveglianza epidemiologica sui pazienti deceduti, i dati hanno dimostrato che:
- il rischio di contagio da Covid-19 non è molto differente nelle diverse fasce di età lavorativa
- il 96% dei deceduti presentavano una comorbilità. Nello specifico: il 13,9% aveva una patologia, il 20,4% due patologie, il 61,8% tre o più patologie.
-le patologie più frequenti erano malattie cronico degenerative a carico degli apparati cardiovascolare, respiratorio, renale e da malattie dismetaboliche. In presenza di queste patologie, nelle fasce di maggiore età dei lavoratori si è visto un andamento crescente della mortalità
- altre comorbilità di rilievo riscontrate sono quelle a carico del sistema immunitario ed oncologiche, non necessariamente correlabili all’età.

NON BASTA L’ELEMENTO DELL’ETÀ
Da questi dati si evince che il solo dato dell’età non costituisce elemento sufficiente per definire uno stato di fragilità nelle fasce di età lavorative. La circolare sottolinea che non c’è alcun automatismo tra le caratteristiche anagrafiche e di salute del lavoratore e la eventuale condizione di fragilità: tale “maggiore fargilità” nelle fasce più elevate va intesa congiuntamente alla presenza di comorbilità che possono integrare una condizione di maggior rischio.
L’elemento dell’età era stato in particolare messo in luce in questi giorni di ritorno in aula, relativamente alla categorie degli insegnanti: in Italia i docenti hanno una media d’età molto alta. Stando quindi a queste precisazioni, non potranno essere definiti categorie di lavoratori fragili esclusivamente per l’elemento anagrafico.

VISITA PER LA CONDIZIONE DI FRAGILITÀ
E’ riconosciuto il diritto, ai lavoratori e alle lavoratrici, di poter richiedere al datore di lavoro l’attivazione di adeguate misure di sorveglianza sanitaria, in ragione dell’esposizione al rischio da Covid-19, in presenza di patologie con scarso compenso clinico (es. malattie cardiovascolari, respiratorie, metaboliche). Le eventuali richieste vanno presentate con opportuna documentazione medica, relativa alla patologia diagnosticata, a supporto della valutazione del medico competente che deve essere nominato dal datore di lavoro. Nel caso in cui non sia presente il medico per la sorveglianza sanitaria (es nelle scuole), il datore può mandare il lavoratore a visita presso:
- l’INAIL
- Le ASL
- I dipartimenti di medicina legale e di medicina del lavoro delle Università

IL GIUDIZIO MEDICO LEGALE
Per poter effettuare una valutazione della eventuale condizione di fragilità del lavoratore, il datore dovrà fornire al medico incaricato una dettagliata descrizione della mansione svolta dal lavoratore e della sua postazione, oltre alle misure adottate per ridurre il rischio da SARS-CoV-2, in attuazione del Protocollo condiviso del 24 aprile 2020.
L’esito della valutazione potrà essere di idoneità, fornendo indicazioni per soluzioni maggiormente cautelative della salute del lavoratore, o di inidoneità, solo nei casi in cui non siano possibili soluzioni alternative.
Si potrà ripetere periodicamente la visita, anche alla luce dell’andamento epidemiologico e dell’evoluzione delle conoscenze scientifiche in termini di prevenzione, diagnosi e cura.




Michele Serio, lo scrittore napoletano morto a causa del Covid: aveva rifiutato il vaccino
Generoso Picone
5-7 minuti

https://www.ilmessaggero.it/persone/mic ... 79931.html

C'era un tratto di genialità nello sguardo che Michele Serio aveva sulla realtà, un guizzo in grado di produrre lo scarto laterale e di capovolgere l'immagine capovolgendola fino a rivelarne la dimensione inedita e più autentica. Aveva queste capacità e ora che non c'è più, deceduto ieri a 67 anni per le complicazioni polmonari causate dal Covid-19 era ricoverato da giovedì all'ospedale Cotugno dopo aver ostinatamente rifiutato il vaccino - risulta davvero difficile racchiudere la sua personalità in una definizione: narratore e musicista, autore di testi per il teatro e di canzoni pop, attore e sceneggiatore per la tv, giornalista ed esperto di comunicazione. Certamente uno scrittore che della visionarietà aveva fatto il suo canone fondamentale, interpretato con radicale irregolarità.

Mietta positiva al Covid: «Non sono una no vax, mi aspetto delle scuse da chi mi ha messo alla gogna»

Quando nel 1991, trent'anni fa, compare il suo primo romanzo La signora dei lupi, pubblicato da Spirali, lui ha già alle spalle incisioni di dischi e realizzazioni di colonne sonore per il teatro, da commediografo ha affidato i suoi lavori a Rosalia Maggio, Marisa Laurito e Carlo Croccolo, ha scritto sceneggiature cinematografiche. Narra una sorta di fantasy sessuale che pare rivisitare la tradizione dei Cunti di Giambattista Basile e delle novelle di Giovanni Boccaccio per sbeffeggiare il puritanesimo dei fratelli Grimm e di Hans Christian Andersen. Insomma, Michele Serio si presenta sulla scena letteraria con il lucido intento di non farsi catalogare tra gli autori napoletani, di Napoli, da Napoli e per Napoli che si voglia. Lui si mostra come uno scrittore addirittura e ambiziosamente internazionale, che maneggia la questione dell'Identità con l'obiettivo di smontarla.

Eppure aveva iniziato da musicista componendo melodie che sarebbero sono ancora amate, sia pur da un pubblico di nicchia, come «Antonella» compresa nel concept album «Amici». E in teatro aveva messo in scena «Annella a Portacapuana», trasmessa il giorno di Pasqua su Raiuno in un programma condotto da Raffaella Carrà. Ma il racconto di Napoli che Michele Serio ha in mente si connota presto di tinte diverse e il suo Pizzeria Inferno del 1994, edito da Baldini & Castoldi, impone la sua scrittura in maniera indelebile: un horror metropolitano che sviluppa la trama in una Napoli diabolica e comunque angelica attraverso una galleria di personaggi spuntati dal sottosuolo di una città surreale, comici stralunati eroi di un'epica di sangue e sesso, dannati ossessionati dall'eros in una Napoli sulfurea e pulp. Tanto che Serio si merita legittimamente l'egida di caposcuola e riferimento di quella linea narrativa, accredita dai riconoscimenti ammirati di Niccolò Ammaniti, Wu Ming e Valerio Evangelisti, il quale scrive il saggio introduttivo alla riedizione ampliata del 2014 per Homoscrivens.

Colpisce non soltanto l'ambientazione cupa e underground, la crudezza dei comportamenti, l'esposizione del male. Nella pagina piana e ordinaria di Michele Serio risaltano le accelerazioni nella rappresentazione del reale fino a rivelarne i tratti paradossali, deformati e veri, pronta a comparire la battuta straniante e dadaista alla Totò, la capriola dissacrante, l'affondo cinico che rimanda all'agudeza di un Luigi Compagnone postmoderno. Pizzeria Inferno e il successivo Nero metropolitano del 1996 (Dalai) lo proiettano nell'ambito internazionale: nel 2000 pubblica l'antologia Italia odia, che raccoglie il meglio del noir italiano, nel 2001 esce in Francia presso Fleuve Noir nella raccolta Portes d'Italie il racconto La cagnetta che non comparirà in Italia per motivi di censura. Nel 2007 è pubblicato La dote (Flaccovio), che è il tesoro nascosto e inseguito di Maria, la ragazza dei vicoli.

Video

È il corpo a corpo che Michele Serio ingaggia con la città. Scrive testi e interpreta da attore protagonista per Raisat Fiction dieci telefilm dal titolo «Napoli in giallo». Per la Radio suo è il programma «Alla ricerca dell'identità perduta». Reporter di strada del 2002 (L'ancora del Mediterraneo) riunisce i suoi reportage tra finzione e iperrealtà e il suo racconto La casa infestata è nell'antologia di Mondadori 14 colpi al cuore. Napoli corpo a corpo è il titolo del 2006 con la lusinghiera introduzione di Antonio Ghirelli (Marlin). Nel 2004 partecipa all'antologia francese A table. Nel 2009 esordisce nel ruolo di San Gennaro a teatro in «Adriana Carli, i messaggi del sangue». «Niccu Furcedda», di cui firma pure le musiche, interpretato da Tommaso Bianco è al Festival di Benevento.

Nel 2014 esce Così parlò il mostro (Homo scrivens), nel 2015 in San Gennaro made in China (edizioni Cento autori) compare il personaggio di Gennaro Scognamiglio, protagonista anche di Giù le mani dal Vesuvio (Cento autori) nel 2017 e dell'ultimo suo libro E tu di che congiuntivo sei? uscito un anno fa (Cento Autori). Del 2018 è 365 ma non li dimostra, quartine in prosa rimata. I suoi romanzi sono tradotti in Spagna, Francia, Grecia e Germania.

Mancherà la sua ironia, il suo umorismo, lo sguardo disincantato, l'intelligenza tragicomica di un narratore malinconico e allegro.
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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:27 pm

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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:28 pm

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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:28 pm

Le demenzialità e le violenze dei novirus, novax, no green pass.


No Green pass, "il virus non esiste": poi la massacrano a testate. Roma, orrore contro una dottoressa
Luciano Moggi
25 ottobre 2021

https://www.liberoquotidiano.it/news/it ... state.html

La violenza con cui una dottoressa di 37 anni anni è stata presa a testate sulla metro di Roma venerdì scorso ha sconvolto tutti. Ad aggredirla è stato un gruppo di no-green pass. "Erano senza mascherina sul treno, qualcuno li ha invitati a indossarla e loro hanno detto che il virus non esiste, che siamo servi dello Stato e della dittatura sanitaria - ha raccontato la donna al Messaggero -. Mi sono presentata come medico e ho provato a spiegare loro che stavano parlando del Covid ripetendo concetti privi di logica, ma mi hanno subito aggredita e nessuno mi ha difesa. Ora ho paura".
Nel frattempo sono già partite le indagini per capire chi siano gli autori dell'assalto alla dottoressa. E infatti sono al vaglio le immagini di videosorveglianza dei treni e delle stazioni della linea B, da San Paolo a Laurentina, dove è avvenuto l'attacco. La lite era iniziata a bordo di un treno ed è andata avanti sulla banchina della stazione San Paolo, quando una donna ha colpito la dottoressa con una testata e poi è scappata insieme ai suoi compagni, prendendo un treno in transito, diretto al capolinea di Laurentina.
Dalle prime immagini sarebbe emerso che il gruppo violento - prima dell'aggressione alla 37enne - aveva partecipato alla manifestazione al Circo Massimo, indossando gilet gialli e portando bandiere italiane. Gli investigatori, inoltre, hanno a disposizione anche il video girato da una testimone, che però non ha fatto nulla per difendere la vittima: "Non sono intervenuta perché ero terrorizzata".



Palermo, medico no vax muore per Covid: si stava curando a casa con farmaci omeopatici
26 ottobre 2021

https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/1 ... 1635244183

Aveva provato a curarsi con lattoferrina e altri farmaci alternativi, ma è morto per Covid 19 poco dopo il suo arrivo all’ospedale di Palermo. Domenico Giannola, 73 anni, medico omeopata di Cinisi, non era vaccinato e si era sempre mostrato contrario all’immunizzazione.
In paese – scrive Repubblica – erano note a tutti le sue teorie prive di fondamento scientifico sulla “medicina antroposofica e omeopatica“, così come le sue posizioni no vax. Cardiopatico, dopo aver contratto il virus, si trovava in isolamento domiciliare e aveva intrapreso un percorso con cure omeopatiche e naturali. Amici e sanitari lo avevano segnalato da diversi giorni all’Usca, l’unità speciale di continuità assistenziale dell’Asp di Palermo. Le sue condizioni però sono rapidamente peggiorate e l’uomo è morto circa un’ora dopo essere stato trasportato in ambulanza all’ospedale Vincenzo Cervello, nel capoluogo siciliano.
I suoi pazienti, sui gruppi social di Cinisi, lo ricordano come “una persona meravigliosa, un dottore speciale“. Qualcuno difende anche la sua professionalità e la sua scelta terapeutica: “Non è giusto infangarlo, non è vero che si è curato solo con medicinali omeopatici. Era un gran medico che ha aiutato migliaia di persone“.


Il demenziale Giulio Tarro allievo di Sabin che scoprì il vaccino contro la poliomilite
Giulio Filippo Tarro è un medico e virologo italiano. Allievo di Sabin, fino a che questi prese le distanze da lui, sul piano personale e professionale, quando si accorse che i risultati ottenuti da Tarro non erano scientificamente riproducibili, ritirando la sua firma dagli studi che stavano realizzando insieme.
https://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Tarro


Prof. Giulio Tarro all'AD: "Rapporto ISS non è una novità ma la conferma: i morti 'per Covid' sono stati immensamente sovrastimati"
Francesco Santoianni
25 Ottobre 2021

https://www.lantidiplomatico.it/dettnew ... 496_43612/

Ma davvero, oggi in Italia, abbiamo una “Scienza ufficiale” capace di contraddire la sciagurata gestione governativa dell’emergenza Covid? C’è da chiederselo davanti al clamore suscitato sui social da un articolo pubblicato da Il Tempo - titolato “Gran pasticcio nel rapporto sui decessi. Per l'Iss gran parte dei morti non li ha causati il Covid” - che ha illuso qualcuno di chissà quale ravvedimento da parte di blasonate strutture scientifiche.

Su questo e su altro abbiamo intervistato il prof. Giulio Tarro, autore, tra l’altro, del libro (la nuova edizione, settembre, 2021 si sofferma soprattutto sulle follie del green pass) “Emergenza Covid. Dal lockdown alla vaccinazione di massa. Cosa, invece, si sarebbe potuto - e si può ancora – fare”.

L'INTERVISTA

Finora si sono avallate, Professore, le scelte politiche di gestione della pandemia sulla base dell'insindacabilità della scienza ufficiale. Una scienza ufficiale che mostra tutte le sue contraddizioni oggi?

Sulle giravolte e i silenzi di una “Scienza ufficiale” che, per il Covid, soprattutto in Italia, si è limitata ad avallare scelte governative, dettate da esigenze meramente politiche, si potrebbe scrivere una enciclopedia. A cominciare dall’imposizione del lockdown nazionale dell’otto marzo 2020 decretato dal Governo (come si è scoperto dalla desecretazione di parte dei verbali del Comitato tecnico scientifico) contro il parere del CTS del sette marzo. Poi ci sarebbe la tarantella sul vaccino Astrazeneca nella quale gli “esperti”, con un occhio a quella che era che una guerra commerciale per favorire il vaccino Pfizer, che, tra l’altro, registrava più numerosi effetti avversi) hanno cambiato otto volte posizione in una settimana. Poi ci sarebbe l’OK degli esperti al cocktail dei vaccini dettato dal marasma seguito al ritiro di Astrazeneca. Poi ci sarebbe il silenzio degli “esperti” sullo sbalorditivo prolungamento della scadenza del vaccino Pfizer. Poi ci sarebbe…

Come commenta il recente Rapporto sulla mortalità per Covid dell'Istituto superiore di Sanità?

Ma quel Rapporto rimanda alle identiche considerazioni del primo Rapporto ISS del marzo di un anno fa e alla piccola schermaglia tra ISS e Dipartimento della protezione civile accusato di non dire che solo il 3,4 dei decessi potevano essere annoverati come “morti per Covid”. Schermaglia che portò la Protezione civile ad apporre sotto la cifra dei suoi “morti per Covid” la farisaica dicitura “in attesa di conferma da parte del ISS”. Scritta, ovviamente, scomparsa dopo una settimana. E così, oggi siamo ancora, ufficialmente, ai 131.826 deceduti per Covid.

Ma allora quanti sono stati i “morti per Covid” in Italia?

Immensamente di meno di quelli ufficiali. E ritengo che anche il 2,9% dei decessi registrati ufficialmente come “morti per Covid” sia una proporzione sovrastimata perché non tiene conto dei tanti pazienti Covid (non anziani e non affetti da gravi patologie) che, invece di essere curati subito a casa, sono andati mandati a morire in ospedali diventati lazzaretti e dove, “normalmente”, ogni anno, già si registrano 40.000 morti per infezioni ospedaliere.

Ma una cosa va detta con forza: nel 2020 si sono verificati quasi 100.000 morti in più di quelli della media degli anni precedenti per il collasso delle strutture sanitarie, dovuto principalmente alla folle gestione politica della pandemia. Sono stati quasi tutti fraudolentemente registrati come “morti per Covid” solo perché, sottoposti a tampone, prima o dopo il decesso, risultavano positivi al virus Sars-Cov-2 che era ed è endemico nella popolazione. È lo stesso trucco che, verosimilmente, useranno in Italia per decretare un nuovo lockdown sulla scia di quello che si prospetta in Austria che riguarderà solo i non vaccinati. I vaccinati saranno liberi di andare dovunque, continuando a “contagiare” la gente ma solo i non vaccinati saranno costretti a periodici tamponi, con la inevitabile scoperta di nuovi “positivi”. E così il governo potrà dire che se l’emergenza Covid continua, la colpa è dei “no vax”. Divide et impera.
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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:29 pm

Bicchio Bicchio
27 ottobre 2021

https://www.facebook.com/alberto.pento/ ... 4451799:65

Chi mi conosce sa che abito all'estero da molti anni,domenica notte ho approfittato di un passaggio per recarmi a Padova a trovare la mia anziana madre(90anni),che non vedevo da 2 anni,prima di arrivare mi sono fermato ad un Despar per prendermi da mangiare e subito ho toccato con mano la situazione,il commesso al banco dei cibi freschi(un mandolone obeso di 1/2età sicuramente vaccinato),mi redarguisce subito di tirarmi su la mascherina sul naso,premetto che ero solo,la distanza tra me e lui dietro il bancone frigorifero sarà stata di 2 metri e mezzo,la mia mascherina col Leon era di stoffa e se l'avessi messa sul naso non ci avrei più visto perchè mi si appannavano gli occhiali,dopo averglielo spiegato l'energumeno con fare perentorio mi invitò di coprirmi il naso,io lo feci per pochi secondi e la tirai giù fin che mi serviva per poi andarmene,arrivai a casa di mia madre e trovai mia sorella che come mi vide si mise la mascherina ed obbligò anche mia madre di mettersela con la scusa che io non sono vaccinato e loro si,io ribadii che se lei000 è vaccinata ed io no quello a rischio ero io non loro,dopo che la kapò se ne andò butammo via le mascherine e potemmo abbracciarci e baciarci come si fa tra madre e figlio che non si vedevano da 2anni e fanculo le restrizioni,questo fu il battesimo del fuoco dei primi momenti taliani il resto il giorno dopo,mi recai da un negoziante del mio quartiere dove un tempo mi servivo per le scarpe,lo vidi attraverso la vetrina lui e la moglie da soli con la mascherina entrai e subito mi chiese della situazione Romena perchè aveva sentito che c'erano morti a pioggia all'Est,quando gli dissi che in Ungheria avevano tolto anche le mascherine come in Inghilterra e optato per le cure domiciliari e si entra dappertutto senza niente, mi guardava con fare beffardo come se raccontassi balle,la Romania gonfiava le morti per avere più soldi dalla UE che gli anziani li ammazzavano in ospedale e che loro non volevano più essere ricoverati e si curavano a casa,tutte le morti venivano classificate Covid gli infartuati erano spariti come i morti per cancro,e lui si vantava che tra poco si sarebbe fatto il 3 vaccino.Mi prese lo sconforto nel vedere la gente a quale punto di lavaggio del cervello erano giunti erano tutti lobotomizzati,la gente per strada in bici con la mascherina sembravo uno che avesse sbagliato pianeta,mi sono reso conto che ormai non c'è più niente da fare la gente è perduta sono tutti terrorizzati,ho provato a parlare con molti ma mi rendevo conto che il pensiero unico aveva vinto cancellando il dubbio,l'analisi critica e la razionalità,ormai non è più una guerra sanitaria ma psicologica,sentirmi rispondere con frasi fatte come"la tua libertà finisce dove impedisce la mia" vorrebbe dire che dovremmo vaccinarci tutti per tornare alla vita di prima quando ormai è risaputo che non servirà a niente, il contagio cammina anche tra i vaccinati idem i malati, le mascherine,le restrizioni,il greenpass sarà definitivo ma l'oracolo rettangolare continua a sputare falsità che tutto questo è per il tuo bene e tu sei diventato schiavo di un sistema che mira al controllo assoluto,mi dispiace non abbiamo solo perso una battaglia ma la guerra,il pastore sembra che protegga il gregge dai lupi mentre li sta portando al macello.


Gabriele Riondato
Grazie del resoconto
Purtroppo sembra di essere finiti in un pianeta alieno
Il raziocinio è sparito sommerso dalla propaganda


Alberto Pento
Io per rispetto degli altri e mio mi metto la mascherina senza tante storie come in auto mi metto la cintura di sicurezza, come quando lavoro mi metto la maschera antipolvere e come quando lavorando sui tetti mi metto la cintura di sicurezza e mi lego alla linea vita.
Il vaccino l'ho fatto per la stessa ragione e mi sento molto più tranquillo, non ho alcun motivo di credere che le case farmaceutiche siano delle mostruosità umane che hanno prodotto un farmaco che fa del male alla gente, come non ho alcun motivo di pensare che il governo italiano sia così demenziale e criminale da imporre ai cittadini italiani un obbligo vaccinale che fa loro del male.

Bicchio Bicchio
Alberto Pento sono sue convinzioni e nessuno gliele contesta,certo che paragonare dei sistemi per la sua sicurezza come la cintura in auto o la cinghia di imbracatura sul tetto con la mascherina ce ne vuole,se lei è convinto e la fa sentire più sicuro essersi vaccinato nessuno glielo nega,ma non può contestare chi ha scelto di non farlo,poi nel avere tutta questa fiducia di un prodotto che lei continua a chiamare vaccino quando non lo è e mostra tutta questa fiducia nei governi in genere che si muovono per la sua salute,mi spieghi perchè per punturarti devi firmare una liberatoria che li esonera dalle responsabilità penali e civili,i medicinali tutti hanno controindicazioni e lo scrivono nei bugiardini tu che li assumi ti prendi la responsabilità,se non lo fanno è palese la loro consapevolezza dei rischi di morte e reazioni avverse anche gravi.

Alberto Pento
A 30 anni mi sono accorto di avere l'epatite c1, il ceppo più resistente e pericoloso, non esistevano cure e la prospettiva era la morte per cirrosi epatica o per tumore al fegato, a 58 anni il fegato ha iniziato a diventare cirrotico, a 60 anni ho provato la sola cura sviluppatasi negli anni che poteva dare qualche risultato ma con molti effetti collaterali avversi, quella con l'interferone che durava 12 mesi ma al primo mese ho dovuto sospendere perché la vita era diventata un inferno, fortunatamente dopo 2/3 anni la scienza farmacologica ha prodotto altri farmaci più efficaci e con minori effetti collaterali, una cura durata 6 mesi potendo condurre una vita normale e alla fine sono perfettamente guarito e mi sono sentito ringiovanito di 20 anni.
Prima di iniziare entrambe le cure contro l'epatite ho firmato il consenso informato, come l'ho firmato anche per il vaccino e sono contento di averlo fatto in entrambi i casi.

Il consenso informato
https://www.tribunaledelmalato.ve.it/co ... informato/

Vaccino Covid e consenso informato: cosa sapere?
https://www.studiolegaleforestieri.it/v ... informato/

Alberto Pento
Non è responsabilità del medico se alcuni farmaci hanno degli effetti collaterali che in rari casi possono anche portare alla morte, se il medico ha fatto tutto quello che doveva fare (quanto prescritto dai protocolli) per accertare le incompatibilità, poiché alla fine la responsabilità resta del cittadino paziente e il medico è solo un mero esecutore.
Il medico risponde solo del dolo e delle colpe e non d'altro a lui non attribuibile.
L'uso di certi farmaci e di certe cure rischiose è responsabilità del solo paziente o di chi ne ha la tutela giuridica che le sceglie come male/rischio minore necessario.


Ma allora ritirate anche l'aspirina
Massimiliano Parente
18 Marzo 2021

https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 31771.html

Dunque, premetto che sono ipocondriaco e farmacodipendente, e giro sempre con diversi farmaci, dagli inibitori della pompa protonica agli inibitori della ricaptazione selettiva della serotonina
Ma allora ritirate anche l'aspirina
Dunque, premetto che sono ipocondriaco e farmacodipendente, e giro sempre con diversi farmaci, dagli inibitori della pompa protonica agli inibitori della ricaptazione selettiva della serotonina (amo inibire tutto), ma sentire persone preoccupate per i possibili effetti collaterali dell'AstraZeneca mi fa sorridere. Trenta casi da verificare su diciassette milioni è infatti una percentuale analoga a quella che si verifica in un normale trial clinico con un placebo. Ma, mi domando, chi è diffidente con un effetto fatale non provato per un vaccino, cosa fa con ogni farmaco, anche il più banale, dove gli effetti indesiderati sono stati verificati? In genere decidiamo di correre il rischio, anche per un banale raffreddore. Prendete il Vicks Sinex: tra i vari effetti collaterali c'è un arresto cardiaco. Una normale aspirina può portare di tutto, dalla perforazione intestinale all'emorragia cerebrale, ma questo non ci dissuade dal prenderla. Un banale Moment per il mal di testa può provocare nausea, vomito, dispepsia e perfino il morbo di Chron. Se prendete una Tachipirina per la febbre sono considerati casi di trombocitopenia, diarrea, dolori addominali, piaghe, ulcere, occhi gialli e chi più ne ha più ne metta. Per non parlare degli antiacidi che prendo regolarmente io, nel foglietto illustrativo vi dicono serenamente che raramente possono portare ictus e infarto (immaginate se preso insieme al Vick Sinex). Ma quante persone conoscete che, assumendo un Pariet, sono morte d'infarto? Fermo restando che i farmaci vi dicono quali sono gli effetti collaterali perché sono stati sperimentati, ma se le mele avessero un foglietto illustrativo questo elencherebbe vari possibili effetti collaterali, dall'orticaria allo shock anafilattico. Eppure paradossalmente, a fronte di centomila morti da Covid solo nel nostro Paese, blocchiamo (e non solo noi italiani) un vaccino con una percentuale irrisoria di presunti effetti fatali. Tra l'altro, vedrete, sarà tra poco riabilitato dopo le opportune verifiche. In ogni caso volevo farvi notare una cosetta: la percentuale di vincere il primo premio della Lotteria Italia è molto più bassa dei supposti effetti collaterali del vaccino AstraZeneca, e cioè lo 0,0000091%. Così come è più alta la possibilità di morire folgorati da un fulmine, nell'arco della vostra vita c'è una possibilità su tremila. Ma non è che, sapendolo, quando piove state chiusi in casa. Anche perché la maggior parte delle morti avvengono per incidenti domestici, il cinquanta per cento in cucina e in bagno. Quindi prenotatevi per il vaccino, state sul divano e prendetevi uno Xanax. Senza leggere il foglietto illustrativo, mi raccomando.


Il vaccino anti-Covid non è un farmaco sperimentale
Di Marcella Ferrari Professionista - Avvocato
15 settembre 2021

https://www.altalex.com/documents/news/ ... erimentale

TAR Friuli: la sperimentazione si è conclusa con l'autorizzazione all’immissione in commercio dopo un rigoroso processo di valutazione scientifica (sentenza 261/2021)
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vaccino anti Covid-19
Il TAR Friuli Venezia Giulia, con la sentenza 10 settembre 2021, n. 261 (testo in calce), rigetta il ricorso proposto da una dottoressa – che aveva rifiutato di vaccinarsi – ed afferma quanto segue. “L’equiparazione dei vaccini a “farmaci sperimentali” […] è frutto di un’interpretazione forzata e ideologicamente condizionata della normativa europea, che deve recisamente respingersi”.


Il vaccino anti-Covid non è un farmaco sperimentale
Di Marcella Ferrari Professionista - Avvocato
15 settembre 2021

https://www.altalex.com/documents/news/ ... erimentale

TAR Friuli: la sperimentazione si è conclusa con l'autorizzazione all’immissione in commercio dopo un rigoroso processo di valutazione scientifica (sentenza 261/2021)

Provincia: SAVONA

Avvocato del Foro di Savona.

Titolare dello studio legale Ferrari ad Alassio (SV).

Si occupa sia di diritto civile che di diritto penale; in particolare, l'attività prevalentemente svolta è nel settore privatistico ed abbraccia il diritto successorio, la proprietà, il condominio, le comunioni, le locazioni, la responsabilità civile, il risarcimento del danno da sinist… continua a leggere

Pubblicato il 15/09/2021

vaccino anti Covid-19
Il TAR Friuli Venezia Giulia, con la sentenza 10 settembre 2021, n. 261 (testo in calce), rigetta il ricorso proposto da una dottoressa – che aveva rifiutato di vaccinarsi – ed afferma quanto segue. “L’equiparazione dei vaccini a “farmaci sperimentali” […] è frutto di un’interpretazione forzata e ideologicamente condizionata della normativa europea, che deve recisamente respingersi”.

La pronuncia è degna di nota non solo per l’affermazione secondo cui la sperimentazione è cessata con la commercializzazione, ma perché affronta molteplici argomenti. Ad esempio, il giudice amministrativo – tramite il richiamo dei dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) – afferma che profilassi vaccinale ha efficacia preventiva anche della trasmissione dell’infezione e non solo dei sintomi. Quindi, l’interesse a prevenire la malattia è pubblicistico, anche sotto il profilo di limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale, circa l’occupazione delle terapie intensive e dei ricoveri. Inoltre, lo “scudo penale” per i sanitari somministranti non attiene alla sicurezza dei vaccini; si tratta di una disposizione che va letta in chiave simbolica, giacché diretta ad evitare atteggiamenti di medicina difensiva che potrebbero ostacolare la campagna vaccinale. Infine, a fronte dei dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalla ricorrente, il TAR sottolinea come la legge impositiva dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario (art. 4 d.l. 44/2021) integra le tre condizioni necessarie elencate dalla Consulta per essere compatibile con l’art. 32 Cost.

Sommario

La vicenda
La base normativa dell’obbligo vaccinale
Le informazioni ufficiali sono quelle provenienti da AIFA e ISS
Il vaccino ha efficacia preventiva anche circa la trasmissione dell’infezione
Per il TAR il vaccino non è in fase di sperimentazione
Lo scudo penale non riguarda la sicurezza del vaccino
La compressione del diritto al lavoro è ragionevole e proporzionata
I presupposti necessari per imporre con legge un trattamento sanitario
La legge sull’obbligo vaccinale integra le condizioni per essere compatibile con l’art. 32 Cost.
I dati dell’AIFA
Conclusioni

La vicenda

Una dottoressa, libera professionista, ha proposto ricorso contro il provvedimento di accertamento di elusione dell’obbligo vaccinale (e contro ogni altro provvedimento connesso), assunto dall’Azienda Sanitaria, chiedendone l’annullamento previa sospensione cautelare dell’efficacia. Il TAR, nella camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare, ha dato avviso alle parti dell’intenzione di trattenere il giudizio per la decisione nel merito, ricorrendone i presupposti ex art. 60 Codice del Processo Amministrativo ed ha respinto tutti i motivi di ricorso sollevati dalla dottoressa. Prima di analizzare il decisum, ricordiamo brevemente la normativa che viene in rilievo.
La base normativa dell’obbligo vaccinale

L’obbligo vaccinale per il personale sanitario è stato introdotto dal decreto legge 44/2021 (convertito con modificazioni dalla legge 76/2021). In particolare:

l’art. 4 c. 1 dispone che gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2. La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l'esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati.
l’art. 4 c. 6 dispone che l'azienda sanitaria locale competente accerta l'inosservanza dell'obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all'interessato, al datore di lavoro e all'Ordine professionale di appartenenza. L'adozione dell'atto di accertamento da parte dell'azienda sanitaria locale comporta per l’interessato la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2.

Le informazioni ufficiali sono quelle provenienti da AIFA e ISS

Il TAR dà atto della mole di documentazione prodotta dalla ricorrente, tuttavia, afferma che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione qualsiasi documento; infatti, egli non ha l’obbligo di valutare “ogni singola opinione o fonte informativa” – in quanto non ha il potere e la competenza per farlo – ma deve fondare la propria decisione sulle informazioni ufficiali provenienti dalle autorità pubbliche competenti in materia come l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e l’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Vengono poi riportate le percentuali e le statistiche ricavabili dai siti Internet di tali organismi[1].
Il vaccino ha efficacia preventiva anche circa la trasmissione dell’infezione

La dottoressa sostiene che il vaccino non sia efficace contro l’infezione, pertanto, la finalità dell’obbligo vaccinale – ossia evitare l’infezione – non viene perseguita. Da ciò discende la carenza di un interesse pubblicistico a supporto della misura adottata dal Governo.

Secondo il TAR, è scorretto affermare che i prodotti usati nella campagna vaccinale siano inefficaci contro l’infezione e che agiscano solo sui sintomi. Il giudice amministrativo giustifica tale affermazione richiamando i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), indicando anche il link a cui essi sono consultabili. Ebbene, in base alle risultanze dell’ISS, l’efficacia della vaccinazione completa (ossia due dosi) nel prevenire l’infezione è pari a circa il 78%. Quindi, per un vaccinato, il rischio di contrarre la malattia si riduce del 78%. In conclusione, il Tar afferma che “la profilassi vaccinale ha efficacia preventiva, oltre che dei sintomi della malattia, anche della trasmissione dell’infezione”.

La dottoressa ritiene che la scelta del sanitario di vaccinarsi sia individuale e non coercibile, mentre, ad avviso del giudice amministrativo, l’interesse a prevenire la malattia è pubblicistico, anche sotto il profilo di limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale, circa l’occupazione delle terapie intensive e dei ricoveri.
Per il TAR il vaccino non è in fase di sperimentazione

La dottoressa sostiene, altresì, che l’obbligo vaccinale (ex art. 4 d. l. 44/2021) abbia ad oggetto un trattamento sanitario sperimentale e che sia contrario alla Costituzione, oltre a violare varie norme sovranazionali che tutelano la dignità della persona e il diritto ad esprimere un consenso informato. Secondo il TAR, è errato sostenere che i vaccini attualmente disponibili si trovino in fase di sperimentazione. Infatti, i vaccini sono stati:

“approvati” dalla Commissione attraverso un’autorizzazione condizionata,
previa raccomandazione dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).

Il procedimento (ex art. 14 bis Reg. CE 726/2004 e Reg. CE 507/2006) prevede che l’autorizzazione possa essere rilasciata anche in assenza di dati clinici completi “a condizione che i benefici derivanti dalla disponibilità immediata sul mercato del medicinale in questione superino il rischio dovuto al fatto che sono tuttora necessari dati supplementari”.

Il giudice prosegue sostenendo che il carattere condizionato dell’autorizzazione non incide sulla sicurezza del farmaco, richiamando quanto emerge dal sito dell’Istituto Superiore di Sanità che, a sua volta, richiama quello dell’Agenzia Europea per i Medicinali. Questa tipologia di autorizzazione non rappresenta un minus rispetto a quella ordinaria, ma impone al titolare di completare gli studi per confermare che il rapporto rischi/benefici sia favorevole. Il TAR prosegue spiegando che il provvedimento autorizzativo interviene a valle della fase di sperimentazione clinica, fase che si verifica prima dell’immissione in commercio del farmaco. “La “sperimentazione” dei vaccini si è dunque conclusa con la loro autorizzazione all’immissione in commercio, all’esito di un rigoroso processo di valutazione scientifica e non è corretto affermare che la sperimentazione sia ancora in corso solo perché l’autorizzazione è stata concessa in forma condizionata”. Per completezza, si precisa che l’autorizzazione condizionata (CMA) è uno strumento già usato in altri contesti emergenziali; infatti, negli ultimi anni (dal 2006 al 2016), sono state concesse 30 autorizzazioni in forma condizionata, nessuna delle quali è stata successivamente revocata per motivi di sicurezza.

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Lo scudo penale non riguarda la sicurezza del vaccino

La ricorrente, nelle proprie argomentazioni, afferma che l’insicurezza del vaccino emergerebbe anche dallo scudo penale adottato dal Governo a favore dei soggetti che procedono alla somministrazione del farmaco. Si ricorda che l’art. 3 d. l. 44/2021 dispone quanto segue:

Per i fatti di cui agli articoli 589 c.p. (omicidio colposo) e 590 c.p. (lesioni personali colpose) verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino anti-Covid, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria, la punibilità è esclusa “quando l'uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”.

Ciò premesso, torniamo alla decisione.

Il TAR boccia anche questa censura, infatti, la ratio della disposizione di cui sopra consiste nel rassicurare i sanitari e di evitare che la prospettiva di un’eventuale responsabilità penale possa creare allarme. Quindi, si tratta di un intervento legislativo – cito testualmente – “in chiave simbolica” volta a scongiurare atteggiamenti di medicina difensiva che potrebbero ostacolare la campagna vaccinale. Pertanto, dall’introduzione dello scudo penale non può inferirsi la natura sperimentale del vaccino né la sua pericolosità.
La compressione del diritto al lavoro è ragionevole e proporzionata

La dottoressa sostiene che la disposizione di legge (art. 4 c. 8 d.l. 44/2021) sia irragionevole laddove prevede la sospensione dall’esercizio della professione con la conseguente impossibilità di ottenere un reddito. La norma, infatti, dispone che il datore di lavoro:

se possibile, adibisce il lavoratore a mansioni, anche inferiori, che non implicano rischi di diffusione del contagio;
se non è possibile, sospende il lavoratore senza retribuzione, altro compenso o emolumento.

Il TAR precisa che la norma riguarda i lavoratori dipendenti e, quindi, non è applicabile alla ricorrente, che è una libera professionista. Anche il richiamo all’art. 36 Cost. ad avviso del giudice è inconferente atteso che i principi sanciti nel citato articolo riguardano il lavoro subordinato e non le prestazioni di lavoro autonomo “ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell'ambito di un rapporto di collaborazione” (Cass. Sez. Lav. 4667/2021).

In ogni caso, l’art. 4 d.l. cit. è ragionevole dal momento che i soggetti indicati, ossia i sanitari, entrano in contatto con una collettività indeterminata, formata anche da persone fragili. La norma è frutto di un bilanciamento degli interessi e prevede una compressione del diritto al lavoro del singolo che non voglia sottostare all’obbligo vaccinale a tutela della salute collettiva. Infatti, “ogni libertà individuale trova un limite nell’adempimento dei doveri solidaristici, imposti a ciascuno per il bene della comunità cui appartiene (art. 2 Cost.)”.

Secondo i giudici, la misura oltre che ragionevole è anche proporzionata atteso che:

prevede l’esenzione dall’obbligo vaccinale in caso di accertato pericolo per la salute,
la sospensione ha natura temporanea, giacché permane sino al completamento del piano vaccinale e non oltre il 31.12.2021.

I presupposti necessari per imporre con legge un trattamento sanitario

La dottoressa sostiene che manchino i presupposti per imporre con legge un trattamento sanitario come la vaccinazione. Ella afferma che, in tal modo, si sacrifica il diritto alla salute del singolo senza, con ciò, tutelare la collettività, dal momento che il vaccino è uno strumento inidoneo a prevenire i contagi.
Il TAR rigetta anche tale argomentazione elencando i presupposti in virtù dei quali è stato disposto l’obbligo vaccinale. Le condizioni necessarie per imporre una profilassi vaccinale obbligatoria sono state elencate dalla Consulta (C. Cost. 5/2018) con riferimento ai 10 vaccini imposti ai minori di sedici anni. La legge impositiva di un obbligo vaccinale è compatibile con l’art. 32 Cost:

“se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato disalute degli altri;
se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili;
se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990)”.

La legge sull’obbligo vaccinale integra le condizioni per essere compatibile con l’art. 32 Cost.

Il giudice amministrativo ritiene sussistenti tutti e tre i presupposti di cui sopra. In estrema sintesi, si riassume il percorso argomentativo del TAR:

il vaccino previene il contagio e la vaccinazione ha una valenza pubblicistica di tutela della salute collettiva;
il vaccino non è esente da controindicazioni o da rischi come ogni farmaco; l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) raccoglie tutte le segnalazioni di eventi avversi e, secondo le risultanze statistiche – consultabili sul sito dell’AIFA – v’è un bilanciamento rischi/benefici accettabile;
il meccanismo indennitario è previsto dalla legge 210/1992, la quale riconosce il diritto alla corresponsione di indennizzo da parte dello Stato a fronte di ogni “menomazione permanente della integrità psico-fisica” conseguente ad una vaccinazione obbligatoria, come quella prevista per i sanitari (ex art. 4 d.l. 44/2021). Inoltre, l’indennizzo opera anche relativamente alle vaccinazioni “raccomandate” e non obbligatorie (C. Cost. 118/2020).

Il giudice amministrativo richiama quanto affermato dalla Consulta relativamente alle 10 vaccinazioni obbligatorie per i soggetti minori di sedici anni. Nella citata pronuncia (C. Cost. 5/2018) si afferma che “il ricorso alla dimensione dell’obbligo è costituzionalmente legittimo quando lo strumento persuasivo appaia carente sul piano dell’efficacia rispetto alla situazione da fronteggiare in concreto”[2].
I dati dell’AIFA

In relazione al secondo presupposto, relativo al bilanciamento tra rischi e benefici, il giudice amministrativo elenca i dati aggiornati al 26.07.2021 e rinvenibili sul sito dell’AIFA.

I dati derivano dalla:

somministrazione di 65.692.591 dosi di vaccino;
sono stati 84.322 gli eventi avversi avvenuti dopo la somministrazione (a prescindere dalla riconducibilità causale alla vaccinazione).

Il tasso di segnalazione, ossia il rapporto fra il numero di segnalazioni inserite nel sistema di Farmacovigilanza e il numero di dosi somministrate, è pari a 128 ogni 100.000 dosi. Il giudice prosegue affermando che “di queste, solo il 12,8% ha avuto riguardo ad eventi gravi (con la precisazione che ricadono in tale categoria, definita in base a criteri standard, conseguenze talvolta non coincidenti con la reale gravità clinica dell’evento). Di tutte le segnalazioni gravi (16 ogni 100.000 dosi somministrate), solo il 43% di quelle esaminate finora è risultata correlabile alla vaccinazione”.
Conclusioni

Le argomentazioni svolte dal giudice amministrativo possono così riassumersi:

il vaccino non è in fase di sperimentazione, atteso che l’autorizzazione condizionata con l’immissione in commercio postula comunque la fine della fase di sperimentazione;
la profilassi vaccinale ha efficacia preventiva, oltre che dei sintomi della malattia, anche della trasmissione dell’infezione, quindi, l’interesse a prevenire la malattia è pubblicistico, anche sotto il profilo di limitare l’impatto sul sistema sanitario nazionale, circa l’occupazione delle terapie intensive e dei ricoveri;
lo “scudo penale” per i sanitari somministranti non attiene alla sicurezza dei vaccini; si tratta di una disposizione che va letta in chiave simbolica, in quanto diretta ad evitare atteggiamenti di medicina difensiva che potrebbero ostacolare la campagna vaccinale,
la norma che prevede la sospensione dall’esercizio della professione a seguito della mancata sottoposizione al vaccino (art. 4 d.l. 44/2021) è ragionevole e proporzionata; ragionevole perché costituisce il frutto di un bilanciamento degli interessi, prevedendo una compressione del diritto al lavoro del singolo che non voglia sottostare all’obbligo vaccinale a tutela della salute collettiva; proporzionata, poiché è previsto un meccanismo di esenzione dalla vaccinazione (ad esempio, per accertato pericolo per la salute) e la sospensione ha durata temporanea;
la legge che impone l’obbligo vaccinale integra i tre presupposti necessari indicati dalla Corte Costituzionale (sent. 5/2018) per essere compatibile con l’art. 32 Cost.

Il TAR confuta le argomentazioni svolte dalla dottoressa e respinge il ricorso per l’infondatezza di tutte le censure sollevate. Inoltre, condanna la ricorrente a rifondere all’amministrazione resistente le spese del giudizio (circa 2 mila euro oltre spese generali e accessori).

TAR FRIULI VENEZIA GIULIA, SENTENZA N. 261/2021 >> SCARICA IL PDF

Quotidiano Giuridico pubblica lo Speciale Emergenza Coronavirus, la rubrica per approfondire gli impatti che il diffondersi della pandemia ha generato in tema di giustizia civile, penale e amministrativa, contratti, previdenza e lavoro, compliance ex 231/2001, privacy, ordinamento penitenziario, fisco e molto altro.

[1] Sempre secondo il TAR, il livello di conoscenze acquisite relativamente ai vaccini anti-Covid rende la vicenda “per nulla sovrapponibile a quella relativa all’uso terapeutico dell’idrossiclorochina” (Cons. Stato 7097/2020), ove il giudice aveva ritenuto di non poter applicare in modo rigoroso i principi della cosiddetta “evidence based medicine” (EBM), ossia l’uso della medicina in base alle migliori evidenze scientifiche del momento. Nel caso dei vaccini anti-Covid, infatti, è disponibile una grande quantità di dati statistici stante la sottoposizione al vaccino di gran parte della popolazione nazionale. Per completezza, si ricorda che in quel caso il Consiglio di Stato aveva sospeso in via cautelare il provvedimento dell’AIFA di sospensione dell’utilizzo dell'idrossiclorichina, utilizzata per contrastare il Covid.

[2] Il TAR fa riferimento anche alla CEDU ricordando che è stata sancita “la compatibilità con l’art. 8 della Convenzione dell’obbligo vaccinale infantile (contro nove malattie, tra cui poliomielite, tetano ed epatite B) previsto dall’ordinamento della Repubblica Ceca quale condizione per l’ammissione al sistema educativo prescolare. La Corte afferma che l’ingerenza nella vita privata, che l’obbligo vaccinale sicuramente realizza, può giustificarsi ove – oltre ad essere previsto per legge – persegua un obiettivo legittimo (Legitimate aim) ai sensi della Convenzione, senz’altro rinvenibile nella protezione della salute collettiva e in particolare di quella di chi si trovi in stato di particolare vulnerabilità”. Per un approfondimento, si rinvia alla lettura integrale della sentenza.


Fabrizio Pizzo
Alberto Pento Le rispondo andando per ordine di pubblicazione.Mi dispiace leggere che ha avuto problemi seri di salute così giovane,ma non riesco a cogliere le affinità con il problema Covid,lei ha avuto una malattia autoimmune che con virus non ha niente a che fare,è vero che ha dovuto prendere dei farmaci con molti effetti collaterali ma credo non avesse scelta in quel momento,ignorarli lo avrebbe portato a morte certa,non è il caso in questione,poi che i farmaci abbiano molti effetti collaterali è risaputo e chi li prende assume anche i rischi,ma tutto questo non ha legami coi cosiddetti vaccini,anche se non sono obbligatori(e qui si aprirebbe una lunga discussione)si fa di tutto perché lo diventi come l'imposizione del greenpass che non serve a bloccare lactrasmissione ma solo ad obbligare a iniettarsi il siero genico,per me con motivi chuari e mirati ad altri scopi,per lei per non so quali motivi ma di certo non sanitari.


Alberto Pento
L'epatite c è una infezione virale e non una malattia autoimmune anche se a volte la prima produce anche la seconda.
Le affinità sono molteplici tra cui:
-infezioni virali sia l'epatite c che il covid sono virus,
-farmaci (e anche il vaccino è un farmaco anche se diverso da un antivirale);
-un'altra analogia è la libera scelta di usare i farmaci disponibili (tra cui i vaccini) per combattere e se possibile eliminare l'infezione, con la consapevolezza dei possibili effetti collaterali;
e ve ne sono altre, ma mi fermo.
Io mi sono vaccinato contro il covid con lo stesso spirito con cui ho preso i farmaci antivirali contro il virus dell'epatite c.

Alberto Pento
Milioni di morti, collasso della sanità e dell'economia e possibile guerra civile.
Se ieri avessimo seguito i negazionisti del virus e della pandemia e avessimo tenuto tutto aperto come se si fosse trattato di una normale influenza,
se non avessimo adottato le misure di contenimento del virus e della pandemia, tra cui le chiusure generalizzate e continuate, il divieto di assembramento, le mascherine, le pulizia e il distanziamento
e
se poi avessimo continuato seguendo oggi i no vax e non ci fossero i vaccini disponibili e le vaccinazioni obbligatorie con il green pass, avremmo senza ombra di dubbio milioni di morti, il sistema sanitario sarebbe collassato assieme all'economia e con ogni probabilità vi sarebbe la guerra civile.
Sarebbero morti la maggioranza degli anziani, quasi tutti i fragili, sarebbero morti gran parte dei sanitari infermieri e medici e conduttori delle ambulanze e degli apparati medicali, sarebbero morti gran parte degli ammalati di cuore e di tumore che non avrebbero potuto avere le cure adeguate;
sarebbero morti gran parte degli infetti il cui sistema immunitario fosse stato sconfitto e avessero sviluppato forme gravi di infezione, perché non avrebbero avuto i farmaci adeguati e le cure necessarie in terapia intensiva;
sarebbero morti in tanti vecchi e giovani, ammalati di altre malattie e i sani, anche i bambini e le giovani mamme, sarebbero morti oltre ai sanitari anche molti camionisti della rete distributiva, piloti di aerei, tecnici delle manutenzioni delle linee elettriche, delle reti informatiche, molti operai e tecnici delle industrie di base e fondamentali come quelle medicali, alimentari, dei trasporti, dell'energia, delle telecomunicazioni, sarebbe stato un disastro, un collasso generale della società, una tragedia umana dalle proporzioni incalcolabili.


Giovanni Dalla-Valle
Alberto Pento che tu sia ignorantissimo in materia, TV-dipendente e senza basi scientifiche l'ho capito alla prima riga. Una sola domanda: hai descritto più o meno quello che hanno fatto in Svezia. Ti pare che siano morti tutti?

Alberto Pento
Io non guardo quasi mai la televisione, forse 15 minuti al giorno e non sempre.
Il caso Svezia non è stato quello di una semplice influenza stagionale e quello di un paese senza alcuna restrizione, senza alcuna misura di prevenzione e senza alcuna cura farmacologica e senza alcun morto.
Ed inoltre i paesi non sono tutti uguali come casi in sé per una molteplicità di fattori, come non lo sono gli individui che hanno reazioni diverse all'infezione: c'è chi è morto e c'è chi ha avuto pochi sintomi come una semplice influenza.
In Svezia poi usano il vaccino, non è che non lo adoperino ci mancherebbe.
Quindi quanto da me paventato non corrisponde affatto al caso della Svezia.


Covid in Svezia, il modello Tegnell con poche restrizioni ha funzionato?
Irene Soave
1 settembre 2021

https://www.corriere.it/esteri/21_sette ... ba6d.shtml

Tra i Paesi industrializzati, la Svezia ha introdotto il minor numero di restrizioni. Ma è stato davvero un «liberi tutti»? Più morti e contagi che nel resto della Scandinavia (e un Pil non meno abbattuto) ma anche una fiducia perdurante nelle autorità. Com’è andata in Svezia?

«È presto per giudicare». Anders Tegnell - l’epidemiologo che ha guidato la Svezia attraverso la pandemia - ha ripetuto questa frase ad aprile 2020, a giugno 2020, a settembre, a dicembre e poi di nuovo ad aprile in ogni intervista, conferenza stampa, comunicato. «Giudicatemi tra almeno un anno».

Il tempo passa, ma il giudizio sul «modello svedese» rimane, in larga parte, indecidibile. Tra quelli dei Paesi industrializzati, il protocollo con cui Stoccolma ha affrontato il Covid-19 è stato il più discusso e strumentalizzato. Mentre le autorità sanitarie di quasi tutta Europa, degli Stati Uniti e di gran parte dell’Asia chiudevano negozi, scuole e attività produttive, Tegnell insisteva sull’inefficacia dei lockdown. «È come cercare di uccidere una zanzara con un martello» è un’altra delle sue frasi più ripetute. A lungo le autorità svedesi hanno esitato a introdurre l’obbligo di mascherina: «Non ci sono prove che funzioni», ha sostenuto sempre Tegnell, e quando poi si è deciso, o piegato, a introdurla sui mezzi pubblici almeno nelle ore di punta, lo ha fatto con una «raccomandazione». Le scuole sono rimaste aperte, e così bar e ristoranti.

La sostanza della strategia non è cambiata nemmeno quando, a dicembre, re Carl XVI Gustaf ha rotto la tradizionale ritrosia a commentare gli affari correnti per andare in tv a scusarsi coi suoi sudditi: «Sul Covid-19», ha detto, «abbiamo sbagliato». Eppure nemmeno allora Tegnell ha intrapreso un’inversione a U. Il mantra è stato sempre lo stesso: «È presto per giudicare». A giugno l’epidemiologo ha poi ammesso soltanto che «se si ripresentasse la pandemia, con le cose che sappiamo ora, ci comporteremmo a metà tra quanto fatto e quanto ha fatto il resto del mondo». A oggi la Svezia ha registrato 1.122.139 casi di Covid-19 e 14.682 morti causate dalla malattia. È un successo? Una disfatta?


I dati

Solo questa settimana, ad esempio, il quotidiano britannico Telegraph elogia l’«esperimento svedese» — «Ha salvato Pil e salute mentale» — mentre il magazine Business Insider lo stronca titolando «Troppi morti, non ha funzionato». Opinioni così polarizzate si alternano sulla stampa internazionale da 16 mesi. Sono però fondate sui medesimi dati.
I casi registrati, un milione e centomila su circa 10 milioni di abitanti, indicano che ha avuto il Covid-19 circa l’11 per cento della popolazione. A confronto coi vicini, un record: ha avuto il Covid solo il 2,9% dei 5,3 milioni di norvegesi, ad esempio, e il 2,2% dei 5,5 milioni di finlandesi. Insieme alla capillarità della campagna vaccinale — a oggi l’81,5% degli svedesi ha ricevuto almeno una dose e il 65,8% le ha ricevute entrambe — questo dato può forse contribuire a spiegare come mai, in questa settimana in cui le curve di diffusione del contagio tornano a salire in molti Paesi industrializzati e soprattutto nelle vicine Norvegia e Danimarca, la curva svedese va invece ancora verso il basso.
È l’effetto a lungo termine a cui puntava Anders Tegnell quando, circa un anno fa, in un’intervista al Financial Times parlava di «sostenibilità» della risposta al Covid-19. Si era sul finire di un’estate in cui la pandemia sembrava recedere, e il «modello svedese» tornava d’interesse: proprio in quei giorni il premier britannico Boris Johnson aveva invitato Tegnell per un’audizione che gli sarebbe servita a pianificare le riaperture. Pur smentendo la possibilità di puntare a un’«immunità di gregge», Tegnell citava l’alto tasso di svedesi immunizzati perché guariti dal Covid-19, chiedendosi anche: «Cosa proteggerà, per esempio, i danesi? Nuovi lockdown?». Sarebbe facile pensare che Tegnell abbia avuto ragione. Nella stessa intervista, però, pronosticava che per la Svezia il peggio fosse passato: «Non mi pare possibile che avremo nuovi picchi». La settimana seguente ripartiva in Svezia un’ondata di nuovi casi che non si sarebbe spenta fino alla primavera 2021, in un autunno nero che sarebbe culminato, a dicembre, con le scuse in televisione del re.


Anders Tegnell, il timoniere dell’agenzia di salute pubblica

Che sia sempre Anders Tegnell a enunciare, difendere, spiegare — «ripeto volentieri le cose cento volte a chiunque me le chieda» — la strategia svedese di contenimento della pandemia non è un caso di protagonismo. Dirigente della Folkhälsomyndigheten, l’agenzia di salute pubblica di Stoccolma, sarebbe dovuto partire per una missione in Somalia all’inizio del 2020, ma le cose sono andate diversamente. La Folkhälsomyndigheten fa parte di una serie di agenzie pubbliche su materie tecniche che sono, secondo la costituzione, totalmente indipendenti dal governo. Questa estraneità alla politica e la natura «tecnica» della Folkhälsomyndigheten sono state spesso citate da Tegnell come spiegazione della sua maggiore libertà di movimento e con essa dell’eccezione svedese. «Se non fossero paralizzati dalle istituzioni», dice in un’intervista della scorsa primavera, «molti altri ufficiali di salute pubblica, in altri Paesi, avrebbero seguito policy come le nostre».
Salvo che da parte dell’estrema destra parlamentare, che ne chiede regolarmente le dimissioni, Tegnell gode di un diffuso appoggio da parte della popolazione anche dopo 16 mesi di pandemia: un «Anders Tegnell fan club» su Facebook ha 32 mila iscritti e viene regolarmente aggiornato, e il 34enne Gustav Lloyd Agerblad, che la scorsa estate si è fatto tatuare la faccia di Tegnell sull’avambraccio, ha lanciato una piccola moda hipster. Il rapper svedese Shazaam gli ha dedicato un brano, «Anders Tegnell», che ne loda l’equilibrio. «Non sono un uomo solo contro il mondo», ripete spesso Tegnell — che ha però sospeso per il momento le interviste con la stampa internazionale, e si esprime solo per conferenze stampa — e cita il sostegno dei più di 500 colleghi che lavorano con lui alla Folkhälsomyndigheten. È innegabile, comunque, che sia il volto della lotta al Covid-19 nel Paese.


La strategia e i (pochi) cambi di rotta

A inizio 2019 un report globale della Johns Hopkins University classificava la Svezia come uno dei Paesi «più pronti» ad affrontare una pandemia.
Il primo caso di coronavirus in Svezia si manifesta il 31 gennaio 2o20: è una donna di Jönköping, tornata una settimana prima da un viaggio a Wuhan. Sentendosi male, con sintomi respiratori, e avendo sentito parlare in Cina di una nuova influenza in circolo, la donna si chiude intuitivamente, volontariamente in casa. Non contagia nessuno.
Facendo affidamento su un simile senso civico il governo svedese non obbliga i cittadini a restringere i movimenti, ma «raccomanda» di limitare gli spostamenti nelle città e fuori al minimo necessario. Gli esercizi commerciali, i bar e i ristoranti restano aperti. Funzionerà: uno studio sulle celle telefoniche citato dal «New Yorker» mostra che gli spostamenti degli svedesi si sono massicciamente ridotti sin dai primi giorni della pandemia, nonostante non sia mai stato indetto un lockdown.
Già a gennaio 2020, con le prime allerte internazionali, Tegnell avverte in alcuni scambi privati (pubblicati poi dal «New Yorker») che le sole misure da prendere saranno quelle basate sull’evidenza scientifica; questa linea prevarrà nei primi mesi di pandemia, quando in mezzo all’Europa che chiude Tegnell nega che vi siano evidenze sull’efficacia del lockdown, inventando il famoso slogan che «è come uccidere una zanzara con un martello». «Non ci sono epidemiologi che ne sostengano l’utilità a lungo termine», è da sempre la sua difesa.


L’immunità di gregge

Nei mesi che seguiranno, Tegnell e l’intera agenzia di salute pubblica negheranno che lo scopo sia mai stato quello di perseguire una «immunità di gregge», cioè uno stato in cui una maggioranza della popolazione sia immune al virus, per averlo già contratto, e quindi il virus cessi di circolare. Anche perché è ben presto chiaro che l’obiettivo sarebbe irrealistico. Eppure alcune inchieste giornalistiche mostrano uno scambio di mail — datato 14 e 15 marzo — tra la Folkhälsomyndigheten e l’omologa agenzia finlandese in cui Tegnell resiste a indire la chiusura delle scuole, spiegando che tenendole aperte «i giovani si sarebbero immunizzati più presto». I finlandesi rispondono che con le scuole chiuse la proiezione è che i contagi tra gli anziani possano diminuire anche del 10%. La risposta di Tegnell è lapidaria: ne vale la pena? «Siamo di fronte a una malattia che è qui per restare», ha sempre detto l’epidemiologo, «ed è necessario costruire sistemi che possano farvi fronte in maniera duratura».
Il «modello svedese» affascina da subito il Regno Unito di Boris Johnson, e i contatti tra gli ufficiali di salute pubblica sono sistematici. Nelle prime settimane della primavera 2020, la risposta alla pandemia segue nei due Paesi simili traiettorie di volontarietà e libertà. Poi in Regno Unito i casi schizzano: anche per la densità demografica: gli svedesi sono sono 10 milioni e il 20% vive a Stoccolma, non a caso infatti i casi in Svezia sono sei volte tanto che nel resto del Paese, mentre il Regno Unito è assai più densamente urbanizzato. Già il 23 marzo il Regno Unito chiude le scuole. Poi a Pasqua Boris Johnson si ammala e rischia di morire e la sua strada si separa fatalmente da quella di Tegnell.


I primi segni di sfiducia e il commissariamento dell’Agenzia

Ad aprile 2020 in Svezia — dove le scuole restano aperte fino ai 16 anni e i presidi minacciano i genitori di ricorrere agli assistenti sociali se i figli vengono tenuti a casa — si verifica una prima crepa nella fiducia che la collettività accorda a Tegnell. Un articolo scientifico dell’università di Uppsala raggiunge gli organi di stampa prima di essere approvato. Contiene proiezioni per i mesi a seguire: se la strategia continua così, il 50% degli svedesi si infetterà entro un mese e 80 mila moriranno.
È panico generale. Non andrà così; ma il tasso di morti su 100 mila abitanti diventa ben presto tra i più alti d’Europa, con una vera e propria strage nelle case di riposo. Questo dato, più delle pressioni sempre più insistenti dell’opposizione parlamentare e dei cittadini, spinge il governo a aggiungere due misure restrittive: chiudere al pubblico tutte le case di riposo e vietare i raduni di più di cinquanta persone. Tegnell compare spesso in pubblico a discutere della strategia adottata. Il mantra è sempre: «È presto per giudicare».
In estate i casi declinano e la situazione sembra migliorare, tanto che a settembre Tegnell e i suoi incontrano Boris Johnson per un’audizione sul loro modello, che il premier britannico (guarito a Pasqua) studia con attenzione. Il protocollo svedese, dopo una primavera di sfinenti lockdown in tutto il mondo, sembra tornare in auge; a luglio 2020 una lettera di 25 scienziati svedesi lancia un appello, «Non fate come la Svezia, non ha funzionato». È di quei giorni l’intervista al Financial Times in cui Tegnell prevede, disinvoltamente, che «difficilmente la Svezia vedrà nuovi picchi». Due mesi dopo, a novembre 2020, le terapie intensive di Stoccolma e Malmo sono piene.
Escono i primi sondaggi preoccupanti: la fiducia generale nelle istituzioni a ottobre è del 68%, a dicembre del 52%. Il governo crea una commissione di vigilanza sulla risposta al Covid. La commissione emette un giudizio severo, particolarmente sulla gestione del Covid negli anziani . «La strategia per proteggere gli anziani è stata fallimentare». Il 17 dicembre il discorso del re. «Abbiamo sbagliato».


La schermaglia sulle mascherine

È in quei giorni che una legge introduce un’eccezione alla costituzione: lo stato potrà, se necessario, ordinare la chiusura delle attività produttive. Il 18 dicembre la Folkhälsomyndigheten di Tegnell diffonde una raccomandazione di indossare mascherine almeno nell’ora di punta sui mezzi - comunque ribadendo che il distanziamento è il vero antidoto alla trasmissione.
Lo scetticismo sull’uso delle mascherine, all’inizio della pandemia addirittura vietate in certi ospedali, è diventato uno dei simboli dell’eccezione svedese. La Folkhälsomyndigheten, all’inizio, ne scoraggia addirittura l’uso: non solo, è la spiegazione ufficiale, non ci sono sufficienti evidenze scientifiche che serva. Ma spesso le mascherine sono usate in modo scorretto, o addirittura sembrano una misura di protezione sufficiente che fa sì che ad esempio chi le indossa non tenga le distanze. La linea anti-mascherine è più forte soprattutto nei primi stadi della pandemia, quando le certezze della loro utilità, tra gli scienziati, erano poche - e c’erano poche certezze al riguardo. Ad aprile 2020 Tegnell scrive all’European Center for Disease Control chiedendo di sospendere le raccomandazioni in tema, dicendo che «gli argomenti contro sono almeno altrettanti che quelli a favore». Tegnell insiste sempre sul distanziamento.


Il confronto con gli altri Paesi

Per valutare l’efficacia delle misure adottate da Stoccolma, con quali Paesi ha senso confrontarle? L’orientamento della comunità scientifica internazionale è più spesso quello di confrontarli con quelli degli altri Paesi scandinavi, comparabili per diversi fattori chiave — dalle strutture del sistema sanitario al contesto socioeconomico — ma più rigidi nel limitare spostamenti, assembramenti e attività produttive. In questo caso i contagi per milione di abitanti e la mortalità sono peggiori in Svezia che nei Paesi vicini. A oggi i morti complessivi di Covid-19 sono 14.682. I casi totali sono 1.122.139. Ha avuto il Covid-19 l’11% degli svedesi. In Norvegia: 152.714 casi totali, 814 morti. I norvegesi sono 5,3 milioni: lo ha avuto il 2,9% dei norvegesi. Finlandia: 124.285 casi, 1.019 morti. I finlandesi sono 5,5 milioni e lo ha avuto il 2,2% dei finlandesi Danimarca: 342.861, 2.575 morti. I danesi sono 5,8 milioni. E così via.
Anders Tegnell ha sempre sostenuto però che la Svezia vada confrontata — per la maggiore densità abitativa, avendo il doppio degli abitanti della Norvegia — con il resto d’Europa. Anche per quanto riguarda la percentuale di stranieri sul territorio, la Svezia somiglia più a un Paese Ue che ai suoi vicini scandinavi. Eppure non ci sono evidenze epidemiologiche di una maggiore incidenza del Covid-19 tra gli stranieri in alcun altro Paese d’Europa. L’Italia e la Danimarca hanno una simile percentuale di stranieri residenti (il 10% circa) ma statistiche Covid-19 ben diverse. In senso ancora contrario va invece una ricerca del dipartimento di salute pubblica pubblicata a primavera 2021: nella popolazione di migranti ci sono molti più ospedalizzati per Covid-19 e meno vaccinati. Insomma, i migranti pesano o no? Anche qui, «è presto per giudicare».
L’impatto sul Pil, viceversa, non è stato tanto più clemente: la Svezia nel 2020 ha perso circa il 3 per cento, meglio della media europea ma non della media scandinava.
Quel che ha funzionato

Anche confrontando la Svezia con i vicini scandinavi più rigoristi, comunque, la pandemia a oggi non è stata una catastrofe. Non si sono avverate, per esempio, le proiezioni tragiche del paper dell’università di Uppsala. Perché? La risposta sanitaria, con ospedali di alto livello, è stata all’altezza.
Ma soprattutto le restrizioni, forse, non sono state davvero così lassiste come sono parse nel resto del mondo. Gli svedesi, già inclini a isolarsi — come la paziente zero — si sono davvero mossi assai meno che in tempi normali. Le scuole sono sì rimaste aperte, ma le superiori e le università hanno trasferito online tutte le attività, e la didattica a distanza ha preso piede sopra i 16 anni in modo capillare. Queste misure sono forse state sufficienti, di per sé, ad arginare il propagarsi incontrollato dei contagi. E mentre le curve di tutta Europa, comprese Danimarca e Norvegia, continuano a salire verso l’alto, quella svedese resta meno ripida. È possibile che dopo 16 mesi di pandemia si stiano davvero mietendo i frutti di una politica che a molti è parsa controcorrente? Anche in questo caso, «è presto per giudicare».

Epatite c1 = genotipo 1
https://it.wikipedia.org/wiki/Epatite_C

L'agente eziologico dell'epatite C è l'hepatitis C virus (HCV), un virus dal diametro di 55-65 nm dotato di un pericapside a composizione prevalentemente lipidica e di un capside icosaedrico contenente un singolo filamento di RNA con polarità positiva, lungo 9 100 nucleotidi.[3] Si tratta di un appartenente al genere hepacivirus nella famiglia Flaviviridae.[16] Sebbene sia noto che esistono diversi genotipi del virus, non esiste una classificazione universalmente accettata; quella più utilizzata, recepita dall'OMS, ne prevede undici,[17] mentre altre ne identificano tra i quattro e i sette.[18][19] Negli Stati Uniti, circa il 70% dei casi sono relativi al genotipo 1, il 20% dal genotipo 2 e circa l'1% in ciascuno degli altri genotipi.[20] Il genotipo 1 è anche il più comune in Sud America e in Europa.[3] In tutto sono stati identificati circa un centinaio di ceppi virali.[17]

Epatite C1
http://www.sosfegato.it/forumhcv/viewtopic.php?t=6806
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: I dementi no pandemia no vax e no green pass

Messaggioda Berto » gio ott 28, 2021 6:29 pm

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