Covid, i super-immuni dalle varianti sono i vaccinati (dopo aver superato l'infezione). I risultati dello studio
Mauro Evangelisti
17 ottobre 2021
https://www.ilmessaggero.it/salute/focu ... 63142.html
Qual è la protezione più forte contro Covid-19 e le future varianti? Quella ibrida, vale a dire l’immunità raggiunta da coloro che hanno superato l’infezione, ma sono anche stati vaccinati. Questo emerge da uno studio di cui parla la rivista scientifica Nature. Fa questa sintesi: «Le persone che si sono in precedenza riprese da Covid-19 hanno una risposta immunitaria più forte dopo essere state vaccinate rispetto a quelle vaccinate senza essere mai state infettate».
Chi sono i super-immuni al virus
Tutto parte da una ricerca iniziata un anno fa dai virologi Theodora Hatziioannou e Paul Bieniasz (Rockefeller University di New York) che, si proponevano di creare una versione di una proteina chiave SARS-CoV-2 con la capacità di schivare tutti gli anticorpi che bloccano le infezioni che il nostro corpo produce.
Lo studio
A settembre su Nature è stato spiegato che un mutante spike contenente 20 cambiamenti era «completamente resistente agli anticorpi neutralizzanti prodotti dalla maggior parte delle persone testate che erano state infettate o vaccinate», ma non a tutte.
Le varianti
Chi meglio sapeva rispondere alle varianti? Erano proprio i soggetti che avevano questa doppia caratteristica: superamento dell’infezione naturale e successiva vaccinazione. Secondo gli scienziati, è molto probabile che gli anticorpi prodotti da queste persone siano efficaci anche contro qualsiasi variante possa svilupparsi in futuro. Ora questa super-immunità è oggetto di studio perché ovviamente capire i meccanismi che la originano può servire a migliorare la risposta contro la pandemia.
I risultati
Si ipotizza che questa immunità ibrida sia in parte dovuta alle cellule B di memoria e che una eventuale “terza dose” ai vaccinati possa aiutare questo tipo di risposta. Gli studiosi dell’immunità ibrida lanciano però un avvertimento: l’infezione va comunque evitata. Dice il professor Andrés Finzi, virologo dell’Università di Montreal, nell’articolo pubblicato da Nature: «È sbagliato pensare di farsi infettare per poi vaccinarsi, perché alcune persone potrebbero non farcela».
Covid, lo studio Usa: chi è vaccinato muore meno anche per cause diverse dal virus
La ricerca: con la vaccinazione "minor rischio di mortalità in assoluto"
Claudia Guasco
Sabato 23 Ottobre 2021
https://www.ilmessaggero.it/salute/focu ... 75911.html
Le persone che si sono vaccinate contro il Covid-19 hanno registrato tassi di mortalità per cause diverse dal coronavirus inferiori rispetto alle persone che hanno scelto di non ricorrere alla profilassi. Lo rivelano i risultati di uno studio pubblicato il 22 ottobre nel Centers for disease control and prevention morbidity and mortality weekly report.
SIERI SICURI
«Nonostante numerosi studi dimostrino la sicurezza dei vaccini contro il Covid, alcune persone sono tutt’ora riluttanti a farsi vaccinare», spiega alla Cnn l’autore principale della ricerca, Stanley Xu. È membro del Dipartimento di ricerca e valutazione della California meridionale di Kaiser Permanente, un’organizzazione fondata nel 1945 la cui missione è fornire alla popolazione servizi sanitari di alta qualità a prezzi accessibili.
Long Covid, Silvia racconta i suoi 7 mesi: «Febbriciattola, perdita di gusto e olfatto. Poi è arrivato il crollo»
«Questo studio fornisce rassicurazioni sul fatto che i sieri sono molto sicuri e, in effetti, le persone che si sono vaccinate contro il Covid negli Stati Uniti hanno avuto un tasso di mortalità inferiore rispetto a quelli che non l’hanno fatto, anche per causa diverse dal coronavirus». Il team di esperti è giunto a questa conclusione nell’ambito di uno studio il cui obiettivo è dimostrare che i tre sieri anti Covid autorizzati sono sicuri e affermano che i loro risultati lo dimostrano chiaramente. «I destinatari dei vaccini Pfizer-BioNTech, Moderna o Janssen avevano un rischio di mortalità non Covid inferiore rispetto ai gruppi di confronto non vaccinati», scrivono i ricercatori nella relazione settimanale dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie. «I vaccini autorizzati negli Stati Uniti hanno dimostrato più volte di essere sicuri. Questo studio lo conferma», ribadisce Stanley Xu. Nel periodo dal 14 dicembre 2020 al 31 luglio 2021 il team ha studiato 6,4 milioni di persone che erano state vaccinate contro il Covid-19 e le ha confrontate con 4,6 milioni di persone non vaccinate, con dati demografici e posizioni geografiche simili. Queste ultime si erano sottoposte negli ultimi anni al vaccino anti inflenzale, ma non a quello contro il Covid.
Vaccino Pfizer efficace al 90,7% nei bambini di 5-11 anni: i risultati dei test clinici
STUDI FUTURI
«I destinatari del vaccino Covid hanno avuto tassi di mortalità non Covid inferiori rispetto alle persone non vaccinate», è la conclusione dello studio. Che riporta i numeri. Le persone che hanno ricevuto due dosi di vaccini Pfizer avevano il 34% di probabilità di morire per cause diverse dal coronavirus nei mesi successivi rispetto alle persone non vaccinate. Le persone che hanno ricevuto due dosi di vaccino Moderna avevano il 31% di probabilità di morire rispetto alle persone non vaccinate e quelle che hanno ricevuto il vaccino Janssen di Johnson & Johnson avevano il 54% di probabilità di morire, ha precisato Xu.
Vaccino, il mix è più efficace contro le varianti: la conferma in uno studio
«Il minor rischio di mortalità dopo la vaccinazione Covid suggerisce effetti sostanziali sui vaccinati, che tendono a essere più sani delle persone non vaccinate. Questo risultato sarà il punto di partenza per analisi future», anticipano gli esperti. «Questa scoperta rafforza il profilo di sicurezza dei vaccini Covid attualmente approvati negli Stati Uniti. Tutte le persone di età pari o superiore a dodici anni dovrebbero vaccinarsi», concludono.
Covid: super-resistenti al virus, ecco quelli che non si ammalano
Donatella Zorzetto
28 ottobre 2021
https://www.repubblica.it/salute/2021/1 ... 323884705/
In tutte le epidemie o pandemie c'è sempre qualcuno che esce indenne dal virus. Non viene attaccato, non contrae la malattia, non rischia nemmeno un lievissimo sintomo. Ora sono i "superman" del Covid ad attrarre l'attenzione di équipe di studiosi da tutto il mondo, impegnate in uno studio coordinato dall'Università di Melbourne e dalla Fondazione per la ricerca biomedica dell'Accademia di Atene. Studio che è solo agli inizi, pubblicato sulla rivista scientifica Nature Immunology.
La premessa, spiegano i ricercatori, è questa: "Le infezioni da Sars-Cov-2 mostrano un'enorme variabilità interindividuale, che va da infezioni asintomatiche a malattie potenzialmente letali". E si concentrano su un fatto: mentre sappiamo che sono "variazioni congenite e autoanticorpi diretti contro gli interferoni di tipo I (IFN) a determinare il verificarsi di circa il 20% dei casi critici di Covid-19 tra gli individui con infezione da Sars-Cov-2", al contrario "le cause genetiche e immunologiche della resistenza all'infezione, di per sé sono sconosciuti".
Si parte dalle scoperte Hiv
La base di partenza per scoprire i meccanismi che fanno di alcuni individui dei "superman del Covid" è ciò che si è fatto e scoperto a proposito dell'Hiv-1. Anche in quel caso il problema da risolvere era: perché alcuni contraggono il virus Hiv, sindrome da immunodeficienza acquisita? I ricercatori hanno scoperto questo meccanismo: la diminuzioni dei recettori delle chemochine DARC (immunideficienza genetica) conferisce resistenza al Plasmodium vivax (parassita unicellulare, che è il più frequente e diffuso responsabile di malaria ricorrente). E hanno dimostrato che chi ha una densità di recettore 5 delle chemiochine (proteine) e dell'enzima FUT2 (responsabile della sintesi dell'antigene H nei fluidi corporei e sulla mucosa intestinale) ha una resistenza all'Hiv-1 e ai norovirus (causa più comune di gastroenterite). "Sulla stessa linea - sottolineano gli autori dello studio - proponiamo una strategia per identificare, reclutare e analizzare geneticamente individui che sono naturalmente resistenti all'infezione da Sars-Cov-2".
Radiografia della pandemia
La pandemia Covid ha ricordato a chiunque che le infezioni sono uniche tra le malattie nel loro potenziale di causare rapidamente malattia e mortalità in tutto il mondo. "Nel corso della storia, le malattie infettive hanno imposto agli esseri umani forti pressioni selettive - sottolineano gli studiosi - in particolare le pandemie virali, comprese quelle causate dai Coronavirus, si sono verificate ripetutamente nell'ultimo secolo e probabilmente nel corso della storia umana. La variabilità clinica in risposta all'infezione, virale o meno, può essere spiegata, almeno in alcuni individui, da fattori genetici umani".
"L'introduzione di Sars-Cov-2 in una popolazione su scala globale, ha fornito l'ennesima dimostrazione della notevole variabilità clinica tra individui in corso di infezione: si va dalle infezioni asintomatiche alle malattie potenzialmente letali - proseguono - la nostra comprensione della fisiopatologia del Covid-19 potenzialmente letale è progredita considerevolmente da quando la malattia è stata descritta per la prima volta nel dicembre 2019, ma sappiamo ancora molto poco sulle basi genetiche e immunologiche umane della resistenza congenita al virus in questione".
In famiglia tutti infetti, tranne uno
Così capita che ci siano intere famiglie infette, tranne una persona. Che potrebbe anche non vaccinarsi, tanto risulterebbe irraggiungibile dal virus. "I tassi medi di attacco secondario per le infezioni da Sars-Cov-2 possono toccare il 70% in alcune famiglie e sono stati segnalati numerosi nuclei famigliari in cui tutti i membri tranne uno dei coniugi erano stati contagiati - conferma la ricerca - suggerendo che alcuni individui altamente esposti possano essere resistente all'infezione con questo virus. Perciò abbiamo esaminato alcuni esempi di suscettibilità geneticamente determinata a esiti gravi di due malattie infettive: la tubercolosi e il Covid-19, coprendo in modo più approfondito i tre casi noti di resistenza congenita alle infezioni. Abbiamo considerato, quindi, i geni candidati direttamente rilevanti per la resistenza all'infezione da Sars-Cov-2. E abbiamo proposto una strategia per il reclutamento e l'analisi genetica di individui che sono naturalmente resistenti all'infezione del virus. Ora riteniamo fondamentale sostenere ulteriori studi per sviluppare la nostra comprensione dei meccanismi che causano la resistenza congenita all'infezione e può fornire un quadro per l'uso di queste conoscenze a fini terapeutici".
C'è chi resiste a vaiolo ed ebola
"In tutte malattie infettive c'è sempre una quota di persone che sono naturalmente resistenti all'infezione - conferma Fausto Baldanti, che da mesi analizza le varianti Covid nel Laboratorio di Virologia Molecolare del policlinico San Matteo di Pavia - ma chi sono? Molti report riguardano individui che, avendo strettissimi contatti con persone infette, non si infettano a loro volta. Parlo di nuclei familiari in cui uno su tanti viene risparmiato dal virus, nel senso che non ce n'è proprio evidenza, non che si trattino di asintomatici. Quindi per tutte le malattie infettive c'è una quota di resistenti. Anche quelle più terribili non uccidono il 100% delle persone counvolte: il vaiolo, ad esempio, ha una mortalità dell'80%, l'ebola del 90%".
I fattori naturali che azzerano il contagio
Ma quali sono i meccanismi che danno protezione naturale contro i virus, Covid compreso? "Sono due - risponde Baldanti - la prima è la presenza di un'immunità preesistente, crociata da infezioni similari. Alcune persone, ad esempio, hanno resistito al Covid perché avevano contratto una precedente infezione dovuta ad altri Coronavirus. Mi spiego: ci sono quattro ceppi di Corona che provocano infezione Beta Coronavirus nell'uomo: di questi, due danno una risposta crociata nei confronti della Sars. In pratica, l'aver contratto qualcosa di simile al Covid conferisce una protezione perché ha generato una risposta crociata. Io ne sono l'esempio, perché da un campione di sangue che avevo prelevato tre anni fa e poi conservato, ho scoperto di aver prodotto una risposta immunitaria contro il Covid. In pratica avevo contratto un Beta Coronavirus umano che si chiama HKU1. Si stima che il 25-30% delle persone che non prendono il Covid abbia una risposta T-Cellulare residuale provocata da un'infezione con un virus parente del Covid stesso. Dunque questo può proteggere dalla nuova infezione o determinarne di lievi o asintomatiche".
La variazione genetica alla base dello studio
E qual è il secondo meccanismo di protezione naturale dal virus che conosciamo dal 2020? "Di questo parla il lavoro coordinato da Università di Melbourne e dalla Fondazione per la ricerca biomedica dell'Accademia di Atene - prosegue Baldanti - ne parla proprio perché è dovuto a qualche tratto genetico che risulta essere poi favorevole nei confronti della nuova infezione. Ad esempio individui che hanno una densità di recettori Ace2 e Trmpss (proteine) più bassa risulterebbero meno infettabili. Oppure può accadere che alcuni soggetti abbiano sia una variazione genetica che protegge dal Covid, ma hanno pure contratto una precedente infezione con un virus parente. E questo li rende praticamente intangibili".
Il virologo fa un altro esempio che prende in esame la malaria, distribuita nel bacino sub tropicale. "Nel mediterraneo insiste la talassemia, che in pratica è una anemia (ridotta quantità di globuli rossi). Si è scoperto che le persone che ne soffrono si infettano meno di malaria. Questo è un caso citato espressamente dallo studio in questione. Chiamiamole alterazioni genetiche che possono proteggere dalle infezioni".
Come ci si accorge di essere resistenti al Covid?
Difficile, se non impossibile, prima del contatto diretto con la malattia, accorgersi di essere resistenti al Covid. A confermarlo, per esperienza diretta, è lo stesso Baldanti, che solo tre anni dopo si è reso conto di aver già incontrato un Coronavirus che lo ha reso praticamente impermeabile al Covid. "Ci si accorge del proprio stato di super-protetti solo nell'evidenza di non essersi contagiati - conclude - gli interessati non sanno di esserlo. Io stesso, solo ora ho scoperto che in un campione del mio sangue conservato nel congelatore da tre anni c'era una risposta T-cellulare contro il Covid. Sarà un caso, ma non ho avuto mai un tampone positivo". Quanti sono i super-protetti, ossia le persone che hanno varianti genetiche che consentono loro di resistere maggiormente al virus? Secondo una stima poco meno del 10%.
L'importante studio sulla pandemia è stato condotto dai ricercatori del National Centre of Disease Control e dall'Institute of Genomics and Integrative Biology (India)
Covid, la variante Delta e la sfida dell'immunità di gregge
Maria Girardi
29 Ottobre 2021
https://www.ilgiornale.it/news/salute/c ... 1635496169
Il grave focolaio di Covid a Delhi nel 2021 ha dimostrato non solo che la variante Delta è estremamente trasmissibile, ma che è altresì in grado di infettare individui già venuti in precedenza a contatto con un'altra variante. A questa conclusione è giunto uno studio condotto dai ricercatori del National Centre of Disease Control e dal CSIR Institute of Genomics and Integrative Biology (India) e pubblicato su "Science".
I dati dell'Indian Council of Medical Research parlano chiaro. Il virus si era diffuso ampiamente nel continente durante la prima ondata, quando risultava positivo un adulto su cinque (21%) e un adolescente su quattro (25%) di età compresa fra i 10 e i 17 anni. Le cifre erano molto più alte nelle megalopoli indiane: qui, a febbraio 2021, oltre la metà degli abitanti (56%) aveva contratto il coronavirus.
Dal momento in cui il primo caso di Covid è stato rilevato a Delhi nel marzo 2020, la città ha dovuto fare i conti con diversi focolai, a giugno, a settembre e a novembre dello stesso anno. Dopo aver raggiunto un massimo di quasi 9mila contagi giornalieri a novembre 2020, l'incidenza è diminuita in maniera costante, con poche infezioni tra dicembre 2020 e marzo 2021. La situazione si è invertita drasticamente ad aprile 2021, mese in cui si sono raggiunti i 20mila casi al giorno con conseguente aumento dei ricoveri in terapia intensiva e pressione sul sistema sanitario.
Nella ricerca in questione gli scienziati hanno studiato l'epidemia avvalendosi di dati genomici, epidemiologici e modelli matematici. Per determinare se le varianti di Covid fossero responsabili dei contagi di aprile 2021 a Delhi, il team ha sequenziato e analizzato campioni virali della città riferiti al precedente focolaio del novembre 2020 fino a giugno 2021. Si è scoperto che i focolai del 2020 non erano correlati a nessuna variante preoccupante. La variante Alpha è stata identificata solo in maniera occasionale e principalmente nei viaggiatori stranieri fino a gennaio 2021. La stessa variante è aumentata a Delhi di circa il 40% (marzo 2021) prima di essere sostituita da un rapido incremento della variante Delta (aprile 2021).
Applicando la modellizzazione matematica ai dati epidemiologici e genomici, gli studiosi hanno scoperto che la variante Delta era fra il 30-70% più trasmissibile rispetto ai precedenti lignaggi del Covid a Delhi. Inoltre la stessa variante era in grado di infettare persone che in precedenza erano già entrate in contatto con il virus. Per cercare prove effettive di reinfezione gli scienziati hanno esaminato una coorte di soggetti reclutati dal Consiglio della ricerca scientifica e industriale indiano. A febbraio il 42,1% dei partecipanti non vaccinati era risultato positivo agli anticorpi contro il coronavirus. A giugno il numero corrispondente era dell'88,5%. Ciò suggeriva tassi di infezione molto elevati durante la seconda ondata.
Tra i 91 individui con precedente infezione (prima dell'avvento della variante Delta), circa un quarto (27,5%) ha mostrato un aumento dei livelli anticorpali e quindi un'evidente reinfezione. Quando i ricercatori hanno sequenziato tutti i campioni di casi di vaccinazione in un singolo centro durante il periodo dell'indagine, hanno scoperto che tra le 24 infezioni segnalate, la variante Delta aveva sette volte più probabilità di contagiare nonostante il vaccino. Secondo gli scienziati il concetto di immunità di gregge è fondamentale per porre fine alle epidemie. Tuttavia la situazione a Delhi mostra che l'infezione con precedenti varianti di Covid sarà insufficiente per raggiungere l'immunità di gregge contro la variante Delta.
«L'unico modo per porre fine o prevenire le epidemie di Delta - ha concluso il professor Ravi Gupta del Cambridge Institute of Therapeutic Immunology and Infectious Disease -è l'uso di richiami vaccinali che aumentano i livelli di anticorpi in maniera tale da superare la capacità della variante di eludere la neutralizzazione anticorpale».