Quella sull'apertura per i servizi all'infanzia, con delle domande con la sola finalità polemica che vanno unicamente a deteriorare l'immagine e la figura e la serietà dello stesso sindaco, medico e oggi anche politico Riccardo Szumiski a cui io sicuramente non darò mai il mio voto.
Vi sono stati vari casi nel Mondo di bambini ammalatisi gravemente e morti per il Covid-19, però il problema della chiusura degli asili, delle scuole, dei centri estivi e di ricreazione per i bambini non era tanto il fatto che si sarebbero potuti ammalare, visto che si ammalano molto meno degli adulti e degli anziani, essendo biologicamente più resistenti a questo virus per la forza del loro sistema immunitario, ma più che altro per il fatto che potevano contagiarsi nella promiscuità sociale di questi luoghi e farsi inconsapevoli vettori asintomatici della diffusione del virus nelle loro famiglie dove vi sono adulti e anziani che avrebbero potuto ammalarsi e morirne.
Adesso che in Veneto il contagio si è fermato e che gli infetti in circolazione paiono avvicinarsi allo zero allora è giusto e più che sensato riaprire questi luoghi per i bambini.
E non si capisce dove stia la sensatezza delle richieste nella lettera di Szumiski.
I bambini sono superdiffusori o neppure contagiosi? Via a un maxi studio per chiarire il loro ruolo
Cristina Marrone
9 maggio 2020
https://www.corriere.it/salute/malattie ... resh_ce-cp
«Pochissimi bambini si sono ammalati di Covid-19 rispetto agli adulti, ma è perché i bambini sono più resistenti alle infezioni causate da Sars-Cov2 o perché si sono infettati, ma non mostrano sintomi?» si è chiesto l’immunologo, membro della task force della Casa Bianca Anthony Fauci. Ora proprio per rispondere a queste domande e capire soprattutto se i bambini sono effettivamente contagiosie quanto siano suscettibili gli Stati Uniti hanno avviato uno studio per analizzare l’incidenza dei contagi da coronavirus sui bambini e la facilità o meno di trasmissione del virus all’interno delle famiglie.
«I bambini non sono superdiffusori»
Su quanto i bambini siano coinvolti nella pandemia e sul loro ruolo nella trasmissione del virus la comunità scientifica è divisa. Un’analisi pubblicata sul British Medical Journal da due ricercatori dell’Università di Southampton , Alasdair Munro e Saul Faust è titolata in modo eloquente : «I bambini non sono super diffusori di Covid-19: è ora di tornare a scuola». I dati indicano che solo il 2% sotto i 18 anni in Cina, Italia e Stati Uniti si è ammalato, ma per molti ricercatori questo non significa che siano meno suscettibili all’infezione e soprattutto meno contagiosi. Perché i bambini abbiano in generale sintomi più leggeri degli adulti resta per ora un mistero ancora da chiarire. Uno studio pubblicato su Lancet Infectious Diseases, condotto a Shenzen ha mostrato che i bambini sotto i 10 anni erano infetti come gli adulti, ma con sintomi meno gravi mentre altri condotti in Corea del Sud, Italia e Islanda hanno mostrato un tasso di infezione minore nei bambini.
La ricerca americana su grandi numeri
Il National Institute of Health in collaborazione con la Venderbil University ha arruolato 6.000 piccoli americani con le loro 2000 famiglie. Lo studio ha diversi scopi: stabilire la percentuale di infezioni tra i bambini, quanti dei contagiati sono asintomatici, se i piccoli che soffrono di allergia o asma sono in qualche modo protetti dallo sviluppare la malattia in forma grave (studi preliminari hanno individuato una sorte di protezione da Sars-Cov-2 proprio nei bambini allergici che avrebbero meno recettori ACE2 nelle loro via respiratorie). Insomma si vuole chiarire una volta per tutte se i bambini trasmettono il virus agli adulti e agli altri bambini e continuano la catena di trasmissione. L’indagine ha implicazioni importanti: conoscere la vera portata dell’infezione nei bambini potrà senza dubbio guidare la scelta delle politiche sanitarie sull’intera popolazione, come decidere se aprire o no la scuola. Gli studi svolti finora sono limitati nei numeri e, come detto, sono discordanti nei risultati. Inoltre moltissimi attendono ancora una revisione fra pari, significa che non sono ancora stati ricontrollati e non sono stati pubblicati ufficialmente. Spesso succede che vangano contestati i metodi di indagine. L’indagine americana su larga scala vorrebbe fare un po’ di chiarezza. Resta però un punto fermo: seppur in generale in modo più lieve, anche i bambini si ammalano e non sono immuni. In alcuni casi, anche se raramente, hanno avuto necessità di supporto respiratorio. E ci sono sospetti che possano sviluppare la rara sindrome di Kawasaki.
Come procederà lo studio
Lo studio, intitolato Human Epidemiology and Response to Sars-CoV 2 (Heros) che includerà bambini sani e allergici, durerà sei mesi e verrà condotto totalmente a distanza. Ogni due settimane un familiare adulto farà un tampone ai bambini e a ogni altro membro della famiglia e spedirà i campioni ai laboratori. Inoltre dovrà essere compilato un questionario in cui si elencano possibili sintomi, pratiche di allontanamento sociale, attività fuori casa. Se un membro della famiglia svilupperà sintomi sarà anche raccolto un campione fecale. Saranno raccolti anche campioni di sangue con un metodo semplice e indolore ogni due, 18 e 24 settimane per lo screening agli anticorpi, quando sarà individuato un test appropriato.
Le ricerche che suggeriscono cautela per l’apertura delle scuole
Aprire le scuole è considerato da molti epidemiologi molto rischioso, soprattutto nei paesi in cui l’R0 (il numero di nuove infezioni da un singolo caso) è ancora elevato. Uno studio pubblicato la settimana scorsa su Science da un team cinese ha analizzato i dati provenienti da Wuhan e Shangai scoprendo che i bambini erano suscettibili di appena un terzo rispetto agli adulti. Ma quando le scuole sono state riaperte hanno scoperto che i bambini avevamo il triplo dei contatti rispetto agli adulti e quindi tre volte in più la possibilità di infettarsi. Sulla base di questi dati i ricercatori hanno stimato che la chiusura della scuola non è sufficiente a fermare un focolaio ma può ridurre l’aumento di circa il 40-60% e rallentare il decorso della malattia. Uno studio tedesco condotto da Christian Drosten, virologo della Charitè di Berlino e consigliere del governo tedesco per la pandemia ha analizzato la quantità di virus nella gola di 47 pazienti infetti tra 1 e 11 anni. Quindici di loro erano asintomatici ma presentavano cariche virali sovrapponibili a quelle degli adulti. «Alcuni di questi bambini avevano una concentrazione di virus elevatissima, per questo sono riluttante a suggerire l’apertura delle scuole in Germania» ha commentato Drosten. La ricerca è stata pubblicata solo sul sito web del suo laboratorio in attesa della revisione fra pari. Da questi risultati sembrerebbe comunque che i bambini pur ammalandosi poco trasmettono la malattia. Un altro studio svolto dall’Università di Ginevra sui bambini è arrivato più o meno alle stesse conclusioni ma i ricercatori hanno fatto crescere in laboratorio il virus presente nei soggetti studiati riuscendoci nel 50% dei casi, con una percentuale simile osservata negli adulti confermando, seppur in modo indiretto, che il virus nella gola e nel naso dei bambini può infettare. La ricerca svolta in Lombardia dall’ospedale Buzzi di Milano sospetta invece che l’epidemia sia proprio partita dai bambini.
I bambini sono davvero diffusori?
Al contrario in Islanda, dove sono stati fatti screening di massa, i ricercatori non hanno trovato infezioni in bambini sotto i 10 anni a meno che non avessero sintomi significativi i. A Vo, in Veneto, l’86% della popolazione è stata sottoposta a screening ma nessun bambino sotto i 10 anni è risultato positivo rispetto al 2,6% della popolazione generale. Questo nonostante molti di questi bambini vivessero con adulti infetti. Un’altra analisi condotta negli Usa su quasi 150.000 persone positive, ha rilevato che solo l’1,7% aveva meno di 18 anni. Ancora meno si sa sui rischi dai bambini asintomatici. Un’indagine dell’Istituto nazionale olandese di salute pubblica su 54 famiglie, con 123 adulti e 116 bambini fino ai 16 anni, non ha trovato un solo caso in cui il bambino sia stato il primo paziente. E dei 43 contatti di bambini positivi seguiti, nessuno è stato contagiato. Si tratta di piccoli numeri, ma secondo l’istituto olandese, combinati con i dati di altri studi, indicano tutti che non c’è molta trasmissione dai bambini. Pertanto sembrerebbe che i bambini abbiano meno probabilità di contrarre l’infezione essendo risultati i responsabili del 10% delle infezioni e del 5% in uno studio su Guangzhou. Un’altra domanda chiave è se i bambini infetti sono in grado di diffondere il virus. Una raccolta di dati internazionali ha scoperto che i bambini non sono stati probabilmente il caso indice nelle famiglie. C’è anche la storia di quel bambino risultato infetto sulle Alpi francesi che non è riuscito a trasmettere il virus a nessuno nonostante essere venuto in contatto con un centinaio di persone tra scuole, hotel e piste da sci (ese era su questa evidenza che la Francia avrebbe voluto aprire le scuole). In Australia nessuno dei 735 studenti e 128 dipendenti hanno contratto il virus portato da nove bambini e nove adulti positivi con cui c’era stato contatto.