Risparmio: cresce la ricchezza degli italiani
(I risparmi derivati da attività finanziarie hanno, invece, raggiunto i 4.374 miliardi di euro in crescita rispetto all'anno precedente conseguenze degli interessi derivati da conti depositi, titoli e azioni)
mentre aumenta il debito pubblico (a gennaio 2020 ammontava a 2.443.483 di euro)
Barbara Massaro
10 maggio 2019
https://www.panorama.it/news/economia/r ... stat-soldi
Nel corso dell'ultimo anno la ricchezza delle famiglie italiane è cresciuta di 98 miliardi di euro raggiungendo la cifra di 9.743 miliardi di euro.
Si tratta di un tesoretto accumulato con costanza nonostante i redditi siano stagnanti e la congiuntura economica non favorevole, ma gli italiani hanno dimostrato - dopo tre anni di costante riduzione - di aver imparato a farsi i conti in tasca e di preferire la tecnica della formica a quella della cicala.
Da dove arrivano i risparmi degli italiani
I dati sono stati elaborati da una recente indagine congiunta di Banca d'Italia e Istat.
Si tratta di una crescita della ricchezza dell'1% rispetto all'anno precedente derivata dalla somma di tutte le attività reali (casa, terreni, eccetera) e di quelle finanziarie (depositi, titoli, azioni) al netto dei vari prestiti a breve, medio e lungo termine che possono essere stati contratti dalle famiglie.
Confrontando la capacità di risparmio degli italiani con i dati mondiali elaborati dall'Ocse si scopre che noi siamo più parsimoniosi persino di francesi, inglesi e canadesi e, a fine 2017, il valore della ricchezza pro capite delle nostre famiglie era superiore a quello delle famiglie tedesche.
Il tutto a fronte di redditi che non crescono e di un clima di stagnazione generalizzata. Nonostante questo secondo l'indagine gli italiani hanno raggiunto, a fine 2017, un livello di ricchezza cumulata pari a 8 volte il loro reddito disponibile.
Chi guadagna meno risparmia di più
Paradossalmente, però, chi guadagna di più risparmia di meno e la vera dose di ricchezza accumulata in più nel 2017 deriva dalle imprese cosiddette famigliari ovvero quelle che hanno un numero di dipendenti inferiore a 10 (le cosiddette imprese non finanziarie). Per questo genere di imprese capannoni, impianti e macchine generano un valore di ricchezza che le famiglie normali non hanno.
Le imprese non finanziarie hanno accumulato nel 2017 una ricchezza netta pari a 1.053 miliardi di euro ricorrendo al finanziamento tramite titoli e prestiti per una quota di 1.233 miliardi di euro ponendo le nostre imprese nella linea di indebitamento europeo medio basso.
Dove investono le famiglie
Per i nuclei famigliari standard (ovvero quelli non rappresentati dalle piccole società con meno di 10 dipendenti) la quota parte di ricchezza calcolata dall'indagine Banca d'Italia Istat deriva dai beni immobili che rappresentano il 49% della ricchezza lorda calcolata (5.246 miliardi di euro) e case ed abitazioni restano il migliore investimento che ogni famiglia possa fare.
I risparmi derivati da attività finanziarie hanno, invece, raggiunto i 4.374 miliardi di euro in crescita rispetto all'anno precedente conseguenze degli interessi derivati da conti depositi, titoli e azioni.
Un aumento che, si legge nel rapporto: "riflette l'aumento delle attività finanziarie pari a 156 miliardi di euro (+3,7%), che ha ampiamente compensato la riduzione di 45 miliardi di euro (-0,7%) delle attività reali, in diminuzione dal 2012, e l'aumento delle passività finanziarie di 13 miliardi di euro (+1,4%)".
Non solo: determinante per far sì che la quota ricchezza sia cresciuta il fatto che il totale delle passività delle famiglie sia stato inferiore in rapporto al reddito.
Bankitalia: la ricchezza degli italiani è di 10mila miliardi, meno titoli di Stato in portafoglio
Davide Colombo
7 novembre 2018
https://www.ilsole24ore.com/art/bankita ... --AElZrxcG
Una ricchezza immobilizzata soprattutto nel mattone di casa (4,6 volte il reddito disponibile), in depositi bancari e postali (il 31% della ricchezza finanziaria) e sempre meno in titoli (caduti al 7% del portafoglio dal 30% dei primi anni '90). È la fotografia sulla ricchezza degli italiani, confrontata con quella dei principali paesi di riferimento, offerta da un occasional paper pubblicato da Bankitalia. Nei risparmi dei cittadini/elettori - oggetto di attenzioni particolari da parte dei vertici governativi che li hanno evocati più volte come potenziale salvagente di sicurezza in caso di instabilità finanziaria – non ci sono invece quasi più obbligazioni bancarie, potenziali candidate al bail in in caso di crisi (oggi sono pari al 2%, 0,5% quelle subordinate; in gran parte in scadenza entro il 2020) mentre le azioni sono attorno al 24% della ricchezza.
La ricchezza totale delle famiglie l’anno scorso ammontava a più di 10mila miliardi, con una crescita di quella finanziaria (azioni, bond e depositi per 4.400 miliardi) rispetto a quella reale (abitazioni e terreni appunto, pari a 6.300 miliardi). La ricchezza reale è pari a 5,5 volte il reddito disponibile e quella finanziaria è 3,8 volte. La ricchezza totale al netto dei debiti (pari all’80% del reddito disponibile) è 8,5 volte il reddito. Il dato italiano è simile in Francia e Spagna mentre la finanza prevale in Stati Uniti e Germania.
Lo studio, curato da Diego Caprara, Riccardo De Bonis e Luigi Infante del Servizio Analisi statistiche, Dipartimento di Economia e statistica, analizza l’evoluzione della ricchezza delle famiglie partendo dagli anni '50 per arrivare a oggi. Nella gran parte dei Paesi, ad eccezione di Germania e Giappone, dal 1995 a oggi le variazioni delle attività finanziarie sono il risultato per lo più di una variazioni dei prezzi degli strumenti – guadagni o perdite in conto capitale – piuttosto che da flussi di risparmio. A riprova che la capacità di risparmiare non è cresciuta molto. Negli ultimi venti anni il portafoglio finanziario delle famiglie italiane è invece diventato più simile a quello medio dei Paesi avanzati, mentre il debito rimane il più basso (80% del reddito, appunto, contro medie superiori al 100% nelle altre economie avanzate).
Guardando ancora al portafoglio finanziario degli italiani e la sua trasformazione nel lungo periodo, si apprende dallo studio che la discesa dei tassi d’interesse degli ultimi anni è tra le motivazioni principe della caduta al 7% del peso dei titoli nella ricchezza finanziaria degli italiani, dal 30% del 1990. Oggi la quota dei titoli è al livello minimo da quando sono disponibili statistiche (1950). L’incidenza dei titoli, bassa negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, era successivamente cresciuta, a causa dell’aumento del debito pubblico, passato dal 55% del Pil nel 1980 al 111% nel 1993: i risparmiatori erano così diventati i primi detentori di titoli pubblici, sostituendosi alla detenzione tradizionale da parte delle banche. Oggi la gran parte dei titoli pubblici è detenuta in maniera indiretta tramite fondi pensione e gestioni. In termini assoluti i Bot, Btp CcT eccetera detenuti direttamente (pari a 121 miliardi) sono un terzo di vent’anni fa, quando avevano raggiunto il picco di 363 miliardi, di pari passo con l’aumento del debito.
A causa di un refuso, all’inizio del secondo capoverso, in grassetto, era scritto “poco meno di 10mila miliardi”. In realtà la ricchezza degli italiani è superiore ai 10mila miliardi.
Blog | Meccanismo Europeo di Stabilità: tutto quello che non vi dicono e che dovreste sapere
di Paolo Becchi e Alessandro Bianchi
1 aprile 2014
https://www.ilfattoquotidiano.it/2014/0 ... -i/934479/
In molti si rincorrono oggi a criticare un Trattato internazionale, il cosiddetto Fiscal compact, che avrà i suoi effetti dirompenti e drammatici per il nostro paese dal prossimo anno. A chiedere la rinegoziazione di un accordo che prevede per il nostro paese l’obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio per Costituzione, quello del non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del Pil e una significativa riduzione del debito pubblico al ritmo di un ventesimo (5%) all’anno, fino al rapporto del 60% sul Pil nell’arco di un ventennio, sono, in modo sorprendente e tragicomico, anche quei partiti che l’hanno ratificato in Parlamento nel luglio del 2012 dietro le direttive dell’allora premier Mario Monti.
La campagna elettorale per le elezioni europee di maggio, del resto, è iniziata e il regime del partito unico che governa il paese dall’ex Commissario dell’Unione Europea, Monti, a Renzi, passando per Letta, continua nella sua opera di mistificazione verso una popolazione, della quale non interessa nemmeno più il voto.
Troppo poco, a torto, si sa di un altro Trattato internazionale, quello istitutivo il Meccanismo europeo di stabilità (MES), che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha istituito una nuova governance europea per la gestione della crisi.
Il MES ha già prodotto risultati pratici tangibili e enormi. L’Italia, considerando anche il vecchio Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF) di cui il Mes è stato l’erede, ha già versato 46 miliardi di euro dei 125 miliardi previsti fino al 2017. Soldi che chiaramente potevano essere utilizzati per rilanciare la nostra economia attraverso quei progetti eternamente sospesi per la mancanza di coperture. Al contrario, il MES ha permesso alle banche del Nord Europa di riprendere i crediti contratti nei paesi del Sud, in default a causa delle asimmettrie economiche insostenibili prodotte dalla moneta unica e emerse in maniera drammatica nel 2010. Il tutto è stato venduto all’opinione pubblica come un Fondo salva Stati. Ma è proprio così?
Il MES: la natura del Trattato.
Il meccanismo europeo di stabilità – European Stability Mechanism o ESM – è un Trattato intergovernativo, che, in modo complementare al Fiscal Compact, ha di fatto istituito una nuova governance europea di gestione della crisi, parallela a quella costituita dai Trattati istitutivi dell’Unione Europea.
La creazione del MES è stata decisa nel Consiglio europeo del 16-17 dicembre 2010. In quell’occasione si è raggiunto l’accordo per avviare la procedura di revisione semplificata (ai sensi dell’art. 48 del Trattato dell’Unione Europea) riguardo all’art. 136 del Trattato funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e si è potuto introdurre il nuovo paragrafo 3, con il quale si riconosce in modo esplicito il potere degli Stati membri la cui moneta è l’euro di dar vita ad un’istituzione finanziaria permanente, il MES appunto, con sede a Lussemburgo, non previsto originariamente dai trattati.
Dato che per creare il MES si è modificato appunto il Trattato, bisognava anche consultare il Parlamento, il quale, ahinoi, con una risoluzione tra l’altro velocissima, ha dato il 23 marzo 2011 parere positivo pur sollevando diverse obiezioni. Senza tener modo in alcun modo delle critiche del Parlamento europeo e recependo solo alcune modifiche introdotte dal Consiglio, il Trattato è entrato in vigore il 27 settembre 2012, con l’avvenuto deposito da parte di un certo numero di Stati firmatari degli strumenti di ratifica. Il MES ha istituito un’organizzazione internazionale permanente con un capitale sociale pari a 700 miliardi di euro, di cui solo 500 prestabili, rinnovabile all’infinito attraverso una decisione dell’istituzione stessa. Decisione della quale, a parte la Germania che l’ha escluso attraverso la sentenza del 12 settembre del 2012 della sua Corte costituzionale, i Parlamenti nazionali non potranno più avere voce in capitolo.
Perché si è deciso di costituire il MES?
Per far fronte alla crisi della zona euro che nel 2010 stava portando al collasso della moneta unica, si è deciso di ricorrere ad un accordo di diritto internazionale, con regole proprie che fuoriescono dal sistema normativo comunitario, e creare un ente finanziario che ha come obiettivo quello di correggere gli squilibri finanziari maturati nell’ambito della zona euro. La finalità del MES non consiste quindi nel “salvataggio” degli Stati, ma, come ha spiegato molto bene Lidia Undiemi, in una conferenza organizzata alla Camera e come dimostrerà in un suo libro di prossima pubblicazione, nella creazione di una governance politica intergovernativa attraverso la quale potere intervenire tutte le volte che l’instabilità – a monte generata da una crisi della “bilancia dei pagamenti” – mette in discussione la sopravvivenza della moneta unica. Cosa prevede il MES?
Sono cinque i punti più importanti del Trattato che devono essere compresi meglio:
– Il MES si baserà su un capitale garantito dagli Stati membri che utilizzerà sui mercati, dai quali attingerà poi le risorse richieste. (art.3 del Trattato istitutivo del MES)
– Il MES “avrà piena personalità giuridica e capacità giuridica”, potrà quindi acquistare e alienare beni immobiliari e mobili o stipulare dei contratti. Tutti i suoi beni, fondi e averi godranno dell’immunità totale da qualunque procedimento giudiziario e saranno esenti da restrizioni, regolamentazioni, controlli e moratorie. (art. 32)
– Per aver accesso all’assistenza del MES, gli Stati dovranno rispettare le regole relative al Patto di stabilità e di crescita, i criteri di convergenza e i Memorandum d’intesa. Prima di ogni erogazione d’aiuti viene fatto firmare un Memorandum. Si tratta di un legame fondamentale e troppo spesso sottovalutato con il cosiddetto Fiscal Compact, che rende i due trattati un unicum politico nella creazione di quella nuova governance europea. (Punto 5 del Preambolo)
– È stata, infine, introdotta una deroga alla regola dell’unanimità e le decisioni più urgenti saranno prese a maggioranza qualificata. (art. 4)
Si tratta di un meccanismo democratico?
Vista l’importanza che il MES ha assunto e assumerà nella gestione della politica interna dei vari Paesi che hanno chiesto e chiederanno il suo aiuto è anzitutto importante osservare che il MES è costruito con soldi pubblici, ma viene gestito senza mai passare attraverso un organo democraticamente eletto. La governance e l’istituzione è infatti tripartita tra il Consiglio dei governatori formato dai ministri delle finanze della zona euro, un Consiglio d’Amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un Direttore generale, che è responsabile dell’intera organizzazione, nominato a maggioranza qualificata dal Consiglio dei Governatori. Il diritto di voto di ogni stato membro non ha eguale valore ma varia al variare della quota versata. È dunque evidente che il MES è saldamente nelle mani dei governi nazionali e poiché la Germania è il maggior contribuente è anche il paese che ha il maggior peso nelle decisioni.
Tre sono i punti che devono essere messi maggiormente sotto i riflettori.
Primo. L’istituzione intergovernativa ed i membri dell’organizzazione – compresi quelli dello staff – sono per Trattato immuni da procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti nell’esercizio delle loro funzioni (art. 32, punto 1). Gli atti scritti e i documenti ufficiali redatti sono inviolabili: non è previsto alcun meccanismo d’accesso. Persino i locali e gli archivi del MES sono inviolabili. Il direttore generale del MES può revocare l’immunità di qualsiasi membro del personale del MES eccetto se stesso (art. 35). Insomma è intoccabile.
Secondo. L’esperienza dei Paesi dove ha operato effettivamente il MES. I casi di Grecia, Spagna, Portogallo e Cipro ci forniscono già quattro indizi che fanno più di una prova: attraverso il MES, i creditori internazionali della Troika si sostituiscono di fatto nella gestione della “politica economica” del paese debitore. Lo Stato che chiede un prestito deve, infatti, sottostare ad una “rigorosa condizionalità” nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di progressivo rientro del suo debito pubblico. Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite. Il Paese in difficoltà che ha bisogno del prestito deve in poche parole cedere la propria sovranità nella definizione delle scelte di politica economica. Imporre ad una nazione in difficoltà un’agenda economica per soddisfare le richieste di un’istituzione finanziaria, perlopiù deresponsabilizzata grazie all’immunità, è qualcosa che va aldilà di ogni regola democratica.
Terzo. Il MES è infine un’organizzazione che opera concretamente come tutti gli enti finanziari e quindi eroga prestiti, rivolgendosi al mercato con l’obiettivo ultimo di un profitto. I privati – tra cui rientrano finanziatori come Nomura, Goldman Sachs, Merril Lynch e praticamente tutti i principali istituti di investimento mondiali – sono poi ammessi (punto 12 del Preambolo), in qualità di osservatori, a partecipare alle riunioni che hanno ad oggetto la valutazione della concessione del credito al paese richiedente, nonché la definizione delle rigorose prescrizioni da imporre alla nazione “minacciata”. Questa ingerenza si traduce nel serio rischio che a dettare le disposizioni di politica economica da applicare nel territorio dello Stato debitore siano coloro che concedono i soldi al fondo. La sovranità dei singoli Stati membri rischia quindi di essere sostituita da una governance economica privata in grado di imporsi facilmente sugli organi sovrani dei vari Paesi membri.
Pensioni a rischio, il Mes porterà dei tagli?
12 aprile 2020
https://quifinanza.it/pensioni/pensioni ... es/370914/
Il MES fa paura. Nonostante le rassicurazioni del Premier Conte, infatti, molti italiani temono che alla fine il nostro Paese sarà costretto a far ricorso al fondo salvastati dell’Unione Europea, aprendo così le porte alla famigerata Troika. La preoccupazione è che ciò comporterà tagli allo stato sociale (sanità inclusa), riforma del mercato del lavoro e riforma del sistema pensionistico.
In particolare, alcuni analisti sostengono che un ricorso al Meccanismo Europeo di Stabilità possa portare a una netta sforbiciata agli assegni dei pensionati italiani e rendere ancora più difficoltoso l’accesso alla pensione per le generazioni future. D’altronde, quello che è accaduto in Grecia dopo l’adesione al MES è emblematico: non solo la Troika ha preteso e ottenuto una riforma dell’accesso al mondo pensionistico, ma ha anche ridotto l’assegno di chi era già andato in pensione. Il timore che lo stesso scenario possa ripetersi anche nel nostro Paese è molto forte, anche se il Premier Conte e il ministro Gualtieri giurano che l’adesione al fondo salvastati non è nei piani del Governo.
Condizionalità MES, cosa è successo in Grecia
Il ricorso al Meccanismo Europeo di Stabilità “in stile Grecia” porta con sé alcune condizionalità. Ossia, l’utilizzo dei fondi del MES è soggetto al rispetto di determinate condizioni dettate dai rappresentanti della Commissione Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea (ossia, le tre anime della cosiddetta Troika). Le condizionalità del MES sono discusse di volta in volta con il Paese debitore ma, nella gran parte dei casi, riguardano tagli alla spesa pubblica, con interventi piuttosto marcati sulla spesa sociale e pensionistica.
In Grecia, ad esempio, la Troika ha preteso un taglio del 20% di tutti gli assegni pensionistici superiori ai 1.200 euro mensili, cancellazione della tredicesima mensilità (anche per i dipendenti statali) e una sforbiciata agli assegni di tutti coloro che sono andati in pensione prima dei 55 anni.
MES, cosa potrebbe succedere alle pensioni degli italiani
Capire cosa potrebbe accadere alle pensioni italiane, dunque, è ancora troppo presto. In caso di eventuale accesso al MES le condizionalità dovrebbero essere discusse in fase di trattativa con la Troika. Possibile ipotizzare, però, che potrebbe esserci un inasprimento sul fronte dell’accesso alla pensione: Quota 100 potrebbe essere la prima a cadere sotto la scure del MES, mentre le varie riforme del sistema pensionistico avanzate in questi ultimi mesi (Quota 101, Quota 102 e simili) potrebbero presto sparire dall’orizzonte.
Alberto Pento
Certo le pensioni d'oro e d'argento andrebbero ridotte ai livelli europei e quelle false d'invalidità andrebbero tagliate completamente.
Poi bisognerebbe tagliare i vitalizi dei politici e gli stipendi dei dirigenti pubblici portandoli ai livelli massimo medi dell'Europa.
Poi andrebbero ridotti grandemente i compensi dei magistrati a cominciare da quelli della Corte costituzionale e a cascata tutti quelli delle varie magistrature.
Andrebbero ridotti i compensi di tutti i parlamentari e dei consiglieri regionali a cominciare da quelli immondi e immorali della Sicilia.
Poi andrebbero ridotti i compensi dei dirigenti del parastato.
Certamente bisognerebbe riportare al giusto alveo i compensi dei dipendenti delle camere.
Sicuramente andrebbe fatto un prelievo proprozionale nei risparmi di chi ha beneficiato delle baby pensioni, delle pensioni d'oro e d'argento e delle false pensioni d'invalidità.
"La soluzione è stampare denaro". Parola del governatore della Banca Centrale francese
13 Aprile 2020
https://www.ilparagone.it/esteri/franci ... eta-banca/
La pandemia di coronavirus ha certificato la morte dell’Unione Europea. In modo palese, alla luce del sole, gli Stati hanno fatto vedere quanto gli stia a cuore solo il proprio interesse e non quello dell’intera “Unione”. Ma soprattutto si è visto come Europa voglia dire Germania. Anche la Francia, però, ha il suo peso. E mentre i politici dell’UE continuano a litigare su quali azioni comuni intraprendere, con i paesi del nord, Germania e Olanda in testa, che si oppongo a qualsiasi ipotesi di mutualizzazione del debito così come al lancio di eurobond, è proprio dalla Francia che ora arriva una notizia succulenta.
Il governatore della Banca Centrale francese, François Villeroy de Galhau – secondo quanto riporta il Financial Times – ha prospettato l’idea di stampare denaro e darlo direttamente alle aziende, affermando che “tali misure potrebbero essere concepibili se necessario per combattere una grave deflazione”. Stampare denaro? Già, quello che noi ripetiamo dall’inizio di questa pandemia. Perché è quello il solo modo per fronteggiare questa crisi, per aiutare i cittadini e le imprese.
François Villeroy de Galhau, che è anche membro del consiglio direttivo della Banca Centrale Europea, ha dichiarato che se ci fosse “un grave rischio per la stabilità dei prezzi”, sarebbe possibile considerare che una “banca centrale creerebbe denaro su una base duratura per finanziare direttamente le imprese”, realizzando così l’ormai famigerato “helicopter money” (cavallo di battaglia del senatore Gianluigi Paragone) che vari paesi hanno preso in considerazione o stanno per realizzare come Stati Uniti ed Hong Kong.
L’idea del governatore francese certamente non piacerà ai membri più conservatori del consiglio direttivo della BCE, come il capo della Bundesbank tedesca Jens Weidmann, che in precedenza si sono lamentati del fatto che offusca il confine tra politica monetaria e fiscale. Come fa notare lantidiplomatico.it “Villeroy ha affermato che il recente calo dell’inflazione – che recentemente è sceso allo 0,7 per cento nella zona euro, molto al di sotto dell’obiettivo della BCE di quasi il 2 per cento – alimenta un pensiero molto più speculativo e complesso sulla politica monetaria post-crisi”.
Gino Quarelo
Prima di stampare denaro a debito e non a credito come i falsari, bisogna razionare le risorse e poi attingere ai risparmi pubblici e privati e ai patrimoni pubblici e privati, e solo dopo si può indebitarsi stampando moneta a debito e non a credito come i falsari.
Solo il lavoro e la libertà economica e politica creano ricchezza, stampare denaro a credito è solo una diversa modalità per rubare ricchezza eistente a chi la possiede e non per produrne altra.
Ai tedeschi non è stato concesso di dimenticare nulla, affinchè noi potessimo dimenticare tutto.
Goethe scriveva:
L'Italia è come la lasciai, polvere sulle strade,
truffe al forestiero, si presenti come vuole.
L’onestà tedesca ovunque cercherai invano,
c'è vita e animazione qui, ma non ordine e disciplina;
ognuno pensa per sé, è vano, dell'altro diffida,
e i capi dello stato, pure loro, pensano solo per sé.
L’Italia odierna, per i tedeschi, nasce con gli “Italienische Reise” di Goethe, un memorabile viaggio durato anni alla scoperta di un mondo meraviglioso quanto cencioso.
In quanto a noi, abbiamo aderito subito a quel modello con disprezzo, orgoglio ed un malinteso senso d’appartenenza al “paese più bello del mondo”.
Italia come paradiso del sesso mercenario, come aveva già scritto un altro tedesco pochi decenni prima, Johann Georg Keyßler, che diceva di Messina un luogo di “polveri, pulci e puttane” e di Venezia dove c’era una “scialare di signorine e mezzane”.
Questa l’Italia di Goethe, cenciosa e malandrina:“È un paese che induce alla trascuratezza ed al vivere comodo”.
Il cattivo tedesco e il bravo italiano
Guido Vitiello
11 aprile 2020
https://www.ilfoglio.it/il-bi-e-il-ba/2 ... no-312419/
Quei nazisti dei tedeschi hanno pregiudizi antitaliani, ma quei mafiosi degli italiani hanno pregiudizi antitedeschi. E allora, dov’è la differenza? Ve lo dico io: la differenza è che noi siamo buoni, loro no. Lo abbiamo stabilito settantasette anni fa, nel 1943, e da allora non abbiamo trovato ragione di cambiare disco. Lo storico Filippo Focardi ha ripercorso la vicenda in un libro del 2013, “Il cattivo tedesco e il bravo italiano” (Laterza). Alla fine della guerra la propaganda alleata, la monarchia, l’esercito, i partigiani e – va da sé – i fascisti passati al qualunquismo trovarono utile, ciascuno per le sue ragioni più o meno commendevoli, fare da levatrici al parto dei due stereotipi siamesi: di qua l’umanità cordiale dell’italiano, troppo amante del bel vivere per desiderare la guerra, troppo disorganizzato per un colonialismo a regola d’arte; di là l’inumanità del tedesco, collocato in un punto indistinto e perturbante tra l’automa, il demone e la belva. Nei decenni successivi molti strati si sono aggiunti alla lasagna della memoria e dell’oblio, e il cinema ci ha messo del suo, fino ai coloni pasticcioni di “Mediterraneo” e all’ufficiale in amore del “Mandolino del capitano Corelli”. Per essere una nazione, disse Ernest Renan nel 1882, non bastano i ricordi condivisi, servono anche le comuni dimenticanze. Purché, aggiungerei, la distribuzione non sia troppo diseguale. E in fondo la differenza, nelle scaramucce tra i due pregiudizi gemelli, è tutta qui: ai tedeschi non è stato concesso di dimenticare nulla perché noi potessimo dimenticare tutto.