Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:10 pm

Eurogruppo, sì all'accordo: aiuti per 1000 miliardi. Gentiloni: «Pacchetto senza precedenti»
Ivo Caizzi, inviato a Bruxelles
9 aprile 2020

https://www.corriere.it/economia/finanz ... resh_ce-cp

Freno sugli eurobond e 540 miliardi di prestiti con i tre strumenti già previsti, accontentando la Germania e altri Paesi del Nord. Concessioni sulle spese sanitarie e possibili stimoli futuri all’economia per altri 500 miliardi, su richiesta di Francia, Italia e Spagna. È questa l’intesa che ha portato il presidente portoghese dell’Eurogruppo, Mario Centeno, a chiudere rapidamente la videoriunione serale dei ministri finanziari su come affrontare le conseguenze economiche del Covid-19, dopo averla fatta slittare quattro ore e mezzo per consultazioni informali ristrette. I ministri delle Finanze di Francia e Germania, Bruno Le Maire e Olaf Scholz, hanno mediato il compromesso per avvicinare le posizioni opposte del collega olandese Wopke Hoekstra e del responsabile dell’Economia Roberto Gualtieri, punte estreme dei due fronti contrapposti. «Ottimo accordo», ha poi commentato Le Maire, sottolineando i «500 miliardi disponibili immediatamente» e, per il futuro, un «piano di ripresa da 500 miliardi» su cui «resta da dibattere le condizioni» di finanziamento. Gualtieri ha considerato «messi sul tavolo i bond europei» e «tolte le condizionalità del Meccanismo europeo di stabilità (Mes)».

La presidente francese della Bce Christine Lagarde si è detta «rincuorata» nel vedere «un accordo innovativo». Italia, Spagna, Francia e altri Stati sono convinti della necessità di maxi investimenti Ue per allontanare il rischio di una lunga recessione in Europa, finanziati anche con debito comune attraverso emissioni di Eurobond. Olanda, Germania, Austria e Finlandia, che si definiscono «frugali» per la poca disponibilità a spendere per l’Europa, hanno detto no anche se fossero chiamati Recovery bond. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha difeso a distanza il no agli Eurobond e favorito compensazioni di prospettiva all’Italia e agli altri Paesi del Sud. «Non credo che dovremmo avere debito comune a causa della situazione della nostra unione politica ed è per questo che lo respingiamo — aveva detto Merkel, dopo aver parlato con il premier Giuseppe Conte —. Ma ci sono molti modi per dimostrare solidarietà e credo che troveremo una buona soluzione».

Olanda, Germania e altri nordici sono riusciti a limitare i prestiti a 240 miliardi del Mes per i governi, 200 miliardi della banca Bei per le imprese e 100 miliardi del progetto Sure anti-disoccupazione. Gualtieri, la spagnola Nadia Calvino e Le Maire, consci che a Berlino hanno ritenuto necessari 1.100 miliardi per l’emergenza Covid-19 nazionale, hanno insistito per arrivare a oltre 1.000 miliardi, almeno nel tempo, con il Fondo di Le Maire per la ripresa. Ma, sul finanziarlo con Recovery bond a 15-20 anni, ne dovranno parlare i capi di governo. E Scholz ha fatto slittare il Fondo nel bilancio Ue 2021-2027.

L’Olanda ha insistito per i prestiti Mes a 5/10 anni con stringenti condizioni. Ma Scholz lo ha convinto a eliminarle per le spese sanitarie di Italia e Spagna, che preferivano scadenze a 30-50 anni. È rimasto il limite dei prestiti Mes al 2% del Pil (circa 36 miliardi per l’Italia). Ma l’Eurogruppo ha condiviso che nel massimo livello decisionale del prossimo Consiglio dei 27 capi di Stato e di governo ci saranno ulteriori negoziazioni. «Abbiamo avuto ragione ad avere fiducia nell’Europa — ha detto il presidente della Camera Ue David Sassoli —. Le proposte dell’Eurogruppo vanno nella giusta direzione». Il leader della Lega Matteo Salvini ha parlato di «Caporetto» per il no agli «Eurobond» e il ricorso al «Mes», anticipando la richiesta di «dimissioni di un ministro dell’Economia che ha svenduto il nostro Paese».




I 4 pilastri dell’accordo all’Eurogruppo: Mes, Bei, Sure e fondo per ripresa: ecco cosa sono
10 apr 2020

https://www.corriere.it/economia/finanz ... resh_ce-cp


Accordo all'Eurogruppo, i 4 pilastri: Mes, Bei, Sure e fondo per ripresa Mario Centeno, presidente dell’Eurogruppo (Epa)

Quello emerso dall’Eurogruppo giovedì notte è un accordo basato su un pacchetto di misure che si basa su tre reti di sicurezza: per i lavoratori, per le imprese, per i paesi, alle prese con la grave crisi economica scatenata dalla pandemia da coronavirus. A questo si aggiunge l’impegno a lavorare al fondo per la ripresa economica in cui un ruolo centrale sarà svolto dal prossimo Quadro finanziario pluriennale, il bilancio 2021-2027 dell’Unione europea.
Si tratta di un pacchetto di aiuti da 1.000 miliardi di euro. Il commissario europeo agli affari economici Paolo Gentiloni ha sottolineato che si tratta di «un pacchetto di dimensioni senza precedenti per sostenere il sistema sanitario, la cassa integrazione, la liquidità alle imprese» e per evitare una divergenza tra le economie più colpite dal virus.


I 4 pilastri

In pratica, i pilastri dell’accordo tra i ministri europei dell’area economica e finanziaria sono quattro: la Bei, la banca europea degli investimenti, prestatore e garante di fondi e liquidità per le aziende; il Sure, ovvero la nuova formula di cassa integrazione e assicurazione per i lavoratori che possono perdere il lavoro perdono per la grave crisi economica; il Mes, per sfruttare i finanziamenti del fondo per «sostenere l’assistenza sanitaria diretta e indiretta così come i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi provocata dal Covid 19»; infine, è stata accolta la proposta francese di creare un fondo finanziato da obbligazioni comuni per finanziare il rilancio dell’economia: si tratta del fondo per la ripresa economica.


Fondo Bei da 25 miliardi (per 200 miliardi di finanziamenti)

Nel testo che è uscito dai lavori si legge che i ministri accolgono con favore l’iniziativa del gruppo Bei (la Banca europea per gli investimenti) «di creare un fondo di garanzia paneuropeo di 25 miliardi di euro, che potrebbe sostenere finanziamenti di 200 miliardi di euro per le aziende», soprattutto le Pmi, in tutta l’Ue, anche attraverso le banche promozionali nazionali. «Invitiamo la Bei a rendere operativa la sua proposta il più presto possibile e siamo pronti a metterla in atto senza indugio, garantendo al contempo la complementarità con altre iniziative dell’Ue e il futuro programma Invest Ue», si legge ancora nel testo.


Mes: utilizzo fondi «senza condizioni»

Per quanto riguarda il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) si potrà attivare per spese per cure e prevenzione sanitaria, i ministri sottolineano che «è dotato di strumenti che potrebbero essere utilizzati, se necessario, in modo adattato alla natura dello choc simmetrico causato da Covid-19». L’Italia ha sottolineato che non ha chiesto l’attivazione del Meccanismo di stabilità europeo: «L’Italia non ha deciso di fare ricorso al Mes, ma ha solo concorso a definire un rapporto che prevede la possibilità di istituire quattro nuovi strumenti per affrontare la crisi del Covid19», dicono dal ministero dell’Economia. Fonti del Mef, dopo l’Eurogruppo di giovedì notte, hanno aggiunto che la nuova linea di credito per le spese per cure e prevenzione sanitaria legate al Covid-19 è «senza alcuna condizionalità» e attivabile da qualsiasi paese membro che lo voglia».
«Sul Mes è stata eliminata ogni condizionalità, si è introdotto uno strumento facoltativo, una linea di liquidità fino al 2% del pil, che può essere attivato senza condizione», ha detto il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, veerdì mattina in un intervento alla trasmissione tv Uno Mattina.


Il meccanismo (nuovo) del Mes

I ministri propongono di istituire un sostegno basato sull’esistente linea di credito Eccl, il programma di assistenza precauzionale, quale garanzia pertinente per gli Stati membri dell’area dell’euro interessati da questo choc esterno. «Sarebbe disponibile per tutti gli Stati membri dell’area dell’euro durante questi periodi di crisi, con condizioni standardizzate concordate in anticipo dagli organi direttivi del Mes, che riflettano le sfide attuali, sulla base di valutazioni iniziali delle istituzioni europee. L’unico requisito per accedere alla linea di credito sarà che gli Stati membri dell’area dell’euro che richiedono assistenza si impegnino a utilizzare questa linea di credito per sostenere il finanziamento interno dell’assistenza sanitaria diretta e indiretta, i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi Covid 19», si legge nel documento. I ministri hanno concordato sul fatto che l’accesso concesso sarà il 2 per cento del Pil del paese alla fine del 2019, come parametro di riferimento. Questo strumento sara’ resto disponibile entro due settimane, nel rispetto delle procedure nazionali e dei requisiti costituzionali.


Il terzo elemento: il «Sure» per i lavoratori

Terzo elemento, il Sure. «Accogliamo con favore la proposta della Commissione del 2 aprile di istituire uno strumento temporaneo a sostegno degli Stati membri per proteggere l’occupazione nelle specifiche circostanze di emergenza della crisi Covid 19.

Fornirebbe assistenza finanziaria durante il periodo della crisi, sotto forma di prestiti concessi a condizioni favorevoli dall’Ue agli Stati membri, fino a un massimo di 100 miliardi di euro, basandosi il più possibile sul bilancio dell’Ue, garantendo al contempo sufficienti capacità di sostegno alla bilancia dei pagamenti e garanzie fornite dagli Stati membri al bilancio dell’Ue.
Lo strumento potrebbe principalmente sostenere gli sforzi per proteggere i lavoratori e l’occupazione, nel rispetto delle competenze nazionali nel settore dei sistemi di sicurezza sociale e alcune misure connesse alla salute», ha stabilito l’Eurogruppo.


Fondo per la ripresa

Il quarto elemento del pacchetto è l’impegno a lavorare «su un fondo di recupero per preparare e sostenere la ripresa, fornendo finanziamenti attraverso il bilancio dell’Ue a programmi progettati per rilanciare l’economia in linea con le priorità europee e garantire la solidarietà dell’Ue con gli Stati membri più colpiti. Tale fondo per la ripresa sarebbe temporaneo, mirato e commisurato ai costi straordinari dell’attuale crisi».
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:11 pm

Ecco buoni esempi dal Mondo di cosa e di come si può fare per aiutare la propria gente e il proprio paese.

USA e Trump
Durante la discussione nel Senato americano, sullo stanziamento di 2.200 miliardi di dollari per affrontare la crisi pandemica, è stata sollevata la questione della Trump Organization dei suoi alberghi ed altre strutture turistiche per le quali si è chiesta l'esclusione da qualsiasi aiuto.
Trump ha subito concesso il principio ma ha ottenuto che TUTTE le aziende ed ENTI connessi con Senatori Congressisti, figli, cugini ed affini fossero anch'esse escluse.

Un'altra botta alla SWAMP
Uno a zero, palla al centro.
C'e' gente che parla di DJT e che non sa una cippa ma sentenzia.
Dalla bacheca di JMG



Cosa prevede il pacchetto aiuti Usa da 2.200 miliardi di dollari
AGI - Agenzia Giornalistica Italia
27 marzo 2020

https://www.agi.it/economia/news/2020-0 ... e-7933960/

Dopo il Senato e la Casa Bianca, anche la Camera dei Rappresentanti ha approvato il pacchetto di aiuti da 2.200 miliardi di dollari - il più grande nella storia americana - per aiutare individui e aziende a far fronte alla crisi economica causata dall'epidemia di coronavirus e fornire agli ospedali le forniture mediche di cui hanno urgente bisogno.

Il pacchetto, ora alla firma di Donald Trump, prevede tra le altre cose l'invio di un assegno da 1.200 dollari a ciascun cittadino americano con reddito fino a 75.000 dollari, cui si aggiungono 500 dollari per ciascun figlio a carico a prestiti a garanzia statale per oltre 350 miliardi di dollari a favore delle piccole imprese.

Nel pacchetto anche 500 miliardi di dollari per creare un fondo per il sostegno finanziario delle società maggiormente colpite dalla crisi, come le compagnie aeree, mentre uno stanziamento da 100 miliardi di dollari servirà a rafforzare il sistema sanitario.

Ecco in dettaglio le misure previste.

ARRIVA L'HELICOPTER MONEY, FINO A 1.200 PER OGNI AMERICANO
Il governo provvede all'invio di un versamento (non si sa se per assegno o sul conto corrente) fino a 1.200 dollari ciascuno a milioni di americani, con un bonus aggiuntivo di 500 dollari a bambino. I versamenti sono parametrati per coloro che guadagnano più di 75.000 dollari all'anno mentre non sono proprio compresi per coloro che guadagnano più di 99.000 dollari. Costo stimato: 290 miliardi di dollari.

SOSTEGNO AL LAVORO
I sussidi per chi non ha un'occupazione aumenterebbero di 600 dollari a settimana, fino ad un massimo di quattro mesi. I sussidi , che di solito si esauriscono dopo sei mesi nella maggior parte degli Stati, verrebbero estesi per altre 13 settimane, e andranno anche ai lavoratori autonomi, agli indipendenti e a coloro che di solito non ne hanno diritto. Il governo andrebbe a compensare, in parte, anche gli stipendi dei lavoratori le cui ore sono ridotte, nel tentativo di incoraggiare i datori di lavoro ad evitare i licenziamenti. Costo stimato: 260 miliardi di dollari.

Per le imprese che hanno meno di 500 dipendenti potrebbero vedersi sospesi i pagamenti per i prestiti ottenuti in conto capitale se tali soldi vengono utilizzati per gli stipendi dei dipendenti, l'affitto, gli interessi dei mutui e i costi dei servizi pubblici. Il disegno di legge include anche aiuti di emergenza per le piccole imprese. Costo stimato: 377 miliardi di dollari.

AIUTI ALLE COMPAGNIE AEREE E ALLE GRANDI IMPRESE
Al via un fondo per sostenere un nuovo programma della Federal Reserve che offre fino a 4.500 miliardi di dollari in prestiti alle imprese che non possono ottenere finanziamenti con altri mezzi. Non si potrà aumentare lo stipendio dei dirigenti di oltre 425.000 dollari all'anno e coloro che guadagnano più di 3 milioni di dollari all'anno potrebbero vedersi ridurre lo stipendio; il fondo sarebbe supervisionato da un ispettore generale e da un comitato di supervisione del Congresso. Le aziende di proprietà del presidente Donald Trump, di altri funzionari dell'amministrazione o di membri del Congresso, o dei loro familiari, non avrebbero diritto a tale forma di assistenza. I prestiti sono destinati anche alle compagnie aeree e alle "attività importanti per il mantenimento della sicurezza nazionale", come Boeing. Costo totale: 504 miliardi di dollari.

Le compagnie aeree dovrebbero mantenere i livelli di servizio e di personale, e non sarebbero in grado di riacquistare le azioni o di pagare i dividendi. Il governo degli Stati Uniti potrebbe comprare azioni ed entrare cosi' nella compagine azionaria. Costo totale: 32 miliardi di dollari.

RISORSE A OSPEDALI E ISTRUZIONE
Vengono stanziate risorse così ripartite: 150 miliardi di dollari per i governi statali, locali e tribali dei nativi americani; 100 miliardi di dollari per gli ospedali e altri elementi del sistema sanitario; 16 miliardi di dollari per ventilatori, maschere e altre forniture mediche; 11 miliardi di dollari per vaccini e altri preparati medici; 3 miliardi per i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie; 45 miliardi per i soccorsi in caso di calamità; 30 miliardi per l'istruzione; 25 miliardi per i sistemi di trasporto di massa; 10 miliardi per l'autorità preposta al prestito per il servizio postale degli Stati Uniti; 1 miliardo per il servizio ferroviario passeggeri Amtrak e 10 miliardi per gli aeroporti, che stanno subendo un calo dei passeggeri.

TAGLI E AGEVOLAZIONI FISCALI
Arriva un credito d'imposta rimborsabile del 50% per le aziende colpite dal coronavirus e le imprese possono anche differire il pagamento delle tasse. Costo: 67 miliardi di dollari. Vengono inoltre introdotte detrazioni fiscali per interessi e perdite operative (210 miliardi di dollari), sospese le sanzioni per le persone che sfruttano i fondi pensione in anticipo (costo: 5 miliardi di dollari), introdotti ammortamenti fiscali per incoraggiare le deduzioni per beneficenza e incoraggiare i datori di lavoro a contribuire al pagamento dei prestiti per gli studenti. Vi sono poi 42 miliardi di dollari di spesa aggiuntiva per buoni pasto e nutrizione infantile - 12 miliardi di dollari per i programmi di edilizia abitativa - 45 miliardi di dollari per i servizi per l'infanzia e la famiglia.

Nel pacchetto è previsto anche il divieto di pignoramento dei mutui federali fino a metà maggio e quello di sfratto per quattro mesi da parte dei proprietari che si affidano ai programmi federali di edilizia abitativa.



"L'Olanda ha 90 miliardi da parte per la crisi, l'Italia debiti che vuole coprire con i coronabond"
Dario Prestigiacomo
30 marzo 2020 00:42

http://europa.today.it/lavoro/olanda-co ... talia.html

I coronabond possono "minare gli incentivi per una politica ragionevole a livello nazionale". In altre parole, possono spingere gli Stati membri come l'Italia a non affrontare le riforme necessarie per mettere in ordine i conti. Il governo olandese tira dritto nella sua opposizione alla proposta di emettere dei titoli di debito comuni per aiutare i Paesi Ue a corto di liquidità dinanzi alla crisi del coronavirus. E lo fa dall'alto dei suoi "90 miliardi in contanti" risparmiati con "misure impopolari" negli anni passati e che oggi possono consentire ai Paesi bassi di "affrontare la crisi senza chiedere un cent a nessuno", spiega la giornalista Yvonne Hofs.

In un editoriale sul quotidiano Volkskrant, Hofs non usa giri di parole per spiegare le ragioni del suo governo: Il premier Mark Rutte e il linistro delle Finanze Wopke Hoekstra (oggetto di pesanti critiche da parte del premier portoghese Antonio Costa) "sono i falchi in Europa: non vogliono gli eurobond e non vogliono accordi senza vincoli perché temono che Olanda e Germania finiranno per pagare i debiti del governo italiano e spagnolo”, scrive la giornalista. Che si tratti di eurobond o dei prestiti del Mes, L'Aia e Berlino "non hanno bisogno di quei soldi". I miliardi del Mes "affluiranno quasi esclusivamente a Paesi dell’euro deboli”, continua.

In Italia, buona parte della politica se la prende con la Commissione europea, colpevole di non fare adeguate pressioni per controbilanciare le pressioni dei falchi del rigore sulle politiche economiche. Ma anche in Olanda Bruxelles è oggetto di critiche, anche se per ragioni diametralmente opposte. Il ministro Hoekstra, considerato il nuovo 'falco nascente' della politica olandese "ce l’ha con la Commissione europea perché negli anni della crescita, nessuno si sarebbe preoccupato di verificare cosa stessero facendo alcuni Paesi con le loro economie - argomenta sempre Hofs - I Paesi bassi hanno adottato misure impopolari che colpiscono gli elettori, come l’innalzamento dell’età pensionabile e dell’Iva e la riduzione della detrazione degli interessi sui mutui e ora possono affrontare la crisi senza chiedere un cent a nessuno". Quello che la giornalista non sa è che anche gli italiani hanno dovuto accettare misure impopolari negli stessi anni.

"I Paesi bassi sono in grado di combattere da soli la crisi perchè grazie alla disciplina di bilancio, il governo olandese ha 90 miliardi di euro in contanti per sostenere l’economia”, scrive ancora la Hofs. “L’Italia non ha adottato disciplina di bilancio e vuole aiuti finanziari dai Paesi bassi, tra gli altri, perché non ha soldi per risolvere il suo problema". E ancora: “I Paesi bassi sono accusati di tutto ma neanche l’Italia ha motivi altruistici per sostenere gli eurobond”, ritiene la Hofs. “L’Italia ha un interesse nazionale, così “'egoistico' in quella posizione, perché con gli eurobond può finanziare i suoi debiti più a buon mercato”. La giornalista rivela che l'Olanda si era opposta anche al bazooka di 750 miliardi della Bce perché "se l’Italia, la Grecia o la Spagna non ripagheranno il debito sovrano acquistato" da Francoforte, i Paesi Bassi "subiranno delle perdite".

Nel suo editoriale, Hofs ha il merito di spiegare senza giri di parole la visione dell'Olanda, almeno dei partiti liberali di governo e di quelli della destra populista all'opposizione. Già, perché il dato politico dietro la posizione di Rutte e del suo ministro delle Finanze è che i liberali temono che, cedendo alle richieste dell'Italia, possano venire incalzati alle prossime elezioni dal Partito della libertà di Geert Wilders (alleato di Matteo Salvini in Europa) o dal Fvd di Thierry Baudet (legato invece alla famiglia dei conservatori europei, di cui fa parte Fratelli d'Italia).

Solo che, come ha osservato Enrico Letta in una intervista pubblicata sempre su Volkskrant, in questo modo il governo Rutte sta facendo il gioco proprio di quei populisti che teme in Patria. Solo che in questo caso si tratterebbe della Lega di Salvini: "Nessuno sta chiedendo beneficenza ai Paesi bassi. Chiediamo semplicemente una soluzione europea comune", premette Letta. Quella olandese, "è una reazione di pancia, completamente sbagliata. La metà dell'opinione pubblica italiana è antieuropea perché ritiene di essere abbandonata quando qualcosa va storto". "Questo sentimento guadagnerà terreno anche questa volta. Significa fare il gioco degli amici italiani di Wilders. Salvini sta aspettando azioni come questa dai Paesi sassi e dalla Germania, così da poter dire: vedete, l'Ue è inutile", ha concluso l'ex premier italiano.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:13 pm

Io non vado di certo alla guerra contro la UE e la Germania, né con le calunnie e la demonizzazione, nè con le armi, per minacciarla, ricattarla e depredarla per conto dei parassiti, dei ladri, dei corrotti, dei farabutti, dei mafiosi, dei lestofanti, degli irresponsabili italiani.
Assolutamente no!

No ai falsari criminali che creano denaro dal nulla a credito e non a debito.
Gli italiani prima di chiedere la solidarietà agli altri europei debbono mettere mano ai loro immeritati privilegi, ai loro criminali parassitismi e ai loro risparmi.



L'ITALIA? UN MENDICANTE CON L'ANELLO D'ORO
Edward Luttwak
3 aprile 2020
Edward Luttwak, ospite di una trasmissione televisiva usa un'immagine tremendamente efficace, per descrivere la tragica situazione italiana. Non tanto quella determinata dal coronavirus in sé, ma quella determinata dai problemi di liquidità.
"Il funzionario italiano che parla col funzionario olandese è come il mendicante con l'anello d'oro". Dunque, per rendere più chiaro il concetto, sottolinea: "Quando il funzionario italiano parla con quello olandese, quest'ultimo è conscio che viene pagato la metà del funzionario italiano. Quell'anello d'oro sarebbe meglio toglierlo".
Luttwak si riferisce agli stipendi, a sua detta due-tre volte superiori, dei funzionari italiani rispetto a quelli olandesi e tedeschi. Questione di soldi che scatenerebbe una certa ritrosia. Dunque, "quell'anello sarebbe meglio toglierlo", sottolinea il politologo Usa. E, forse, non ha neppure tutti i torti.



Grazie Euro, Grazie GERMANIA
Raffaele Pallotto
3 aprile 2020

https://www.immoderati.it/grazie-euro-grazie-germania/

Sostengo da tempo che indistintamente tutti i personaggi con ruoli primari nella politica di questo Paese dovrebbero sparire dal panorama mondiale. Per questo articolo prendo spunto dalle critiche che ho ricevuto da uno stimato amico il quale, qualche giorno fa, su FB mi ha invitato a studiare meglio la storia economica.

Molto di ciò che segue è preso da uno straordinario thread del Prof. Sandro Brusco via Twitter di domenica scorsa.

Sandro Brusco insegna (ed è attualmente direttore) al Dipartimento di Economia della State University of New York a Stony Brook, USA. Si occupa di teoria dei giochi; teoria delle aste e dei meccanismi di vendita; federalismo fiscale e sistemi elettorali. È laureato cum Laude alla Bocconi e ha un Ph.D. in Economic Analysis and Policy dalla Stanford University.

Non si tratta di un giornalista con preparazione abborracciata e nemmeno un professore che insegna all’Università di Pescaracas (tanto per iniziare ad essere chiari).

“Iniziamo partendo dal periodo che va dal 1992 in avanti ed esaminiamo alcuni fatti che non sono noti come dovrebbero esserlo (chissà perché).

Cerchiamo anzitutto di capire perché la legislatura 2001-2006 fu determinante. L’Italia aveva, per un pelo, scampato la bancarotta nel 1992. La classe politica si era spaventata e aveva iniziato un sentiero di rientro dall’enorme debito accumulato negli anni ’80. Quegli sforzi furono più spostati sull’aumento delle entrate che sulla riduzione della spesa, per i miei gusti, ma produssero ottimi risultati. Ci consentirono di entrare nell’euro e ottenere una drastica riduzione degli interessi pagati sul debito. Veramente drastica.

Ecco la spesa per interessi sul PIL. Passa dal 11,1% nel 1995 al 6,1% nel 2001. 5 punti! Altro che differenza tra 2,4 e 2,04! Questo è il dividendo dell’euro. Che è continuato per tutti gli anni a venire.

In breve all’inizio del secolo ci fu una di quelle rare finestre di opportunità in cui la situazione economica permetteva serie riforme strutturali che avrebbero cambiato la storia del paese.

La Germania usò quella finestra. Vi ricordo che a quei tempi era descritta come il malato d’Europa. Aveva sopportato costi pesantissimi per l’unificazione. Giusto così, ma un cambio di rotta era necessario. La loro risposta fu un programma di riforme strutturali soprattutto nel mercato del lavoro e nel sistema di welfare, il Piano Hartz.

L’occasione gettata al vento

E l’Italia? Nel 2001 va al potere il centrodestra. L’emergenza di finanza pubblica è finita. È il momento delle riforme strutturali. Riformare la pubblica amministrazione, ridurre la spesa corrente e le tasse, mettere in modo definitivo il debito su un sentiero sostenibile.

Non succede niente di tutto questo. Invece, si sfrutta il calo della spesa per interessi per aumentare la spesa corrente. Usciti dall’emergenza si torna alle vecchie abitudini clientelari di comprare voti con spesa pubblica.

La spesa totale passa dal 47,5 al 47,6%. Nessun beneficio dal calo della spesa per interessi, che in quel periodo passò dal 6,1% al 4,4%. La ragione è che il calo della spesa per interessi fu più che compensato dall’aumento della spesa primaria. Passò dal 41,4% al 43,2%.

Di riforme strutturali naturalmente manco a parlarne. Abbiamo dovuto aspettare il governo Monti per un intervento serio sulla spesa pensionistica. Il fisco è rimasto vorace, caotico e vessatorio. Nessun serio intervento su amministrazione pubblica e tanti altri pezzi dello stato e degli enti locali.

La ciliegina sulla torta fu la riforma elettorale di fine 2005, pochi mesi prima delle elezioni politiche. Dicendo l’unica cosa intelligente della sua carriera, Calderoli la chiamò ”una porcata”. Da cui il nome Porcellum. Ha garantito governi deboli da allora in poi.

Il centrosinistra avrebbe fatto meglio? Probabilmente no. Ma la storia non si fa con i se e i ma. Le azioni hanno conseguenze e le responsabilità vanno assegnate a chi quelle azioni ha intrapreso. I governi di centrodestra del 2001-2006 furono un’autentica ignominia.”

Concludo dicendo che:

1) Forse è qualcun’altro che deve dare una ripassatina alla storia economica.
2) È solo grazie all’euro ed anche alla Germania che non siamo ancora falliti.
3) Tutto l’arco politico di ogni colore da 30 anni ad oggi dovrebbe sparire per sempre.
4) Tutto il settore pubblico italiano va completamente riformato e rifondato destinando ad altra occupazione almeno il 40% dello stesso perché non serve a nulla se non a portare voti a chi deve sparire (punto 3).
5) Le associazioni di categoria (parastato) devono subire stesso trattamento di cui al punto 4).
6) La magistratura e la giustizia vedi punto 4).
7) Sistema pensionistico completamente riformato per metterlo in equilibrio attuariale.
8) Nella sanità va iniettata una robusta dose di efficienza con manager a guidare le ASL invece dei servi di partito e i primari nominati per capacita’ e non per fedelta’.
9) Ai sindacati va applicato il metodo Thatcher verso i minatori inglesi nel lontano 1984/1985.
10) Superata la crisi economica scatenata da COVID19 la politica economica italiana dovrà perseguire questa semplice formula: Meno spesa pubblica; Meno debito pubblico; Meno tasse! Conseguentemente vi sarà più crescita e maggiore produttività. Tradotto: più Mercato e meno stato (la s minuscola è voluta).





???
Perché le persone e i territori vivano, durante e dopo l’emergenza coronavirus

https://www.autonomieeambiente.eu/
https://www.autonomieeambiente.eu/news

Le forze sorelle di Autonomie e Ambiente qui sottoscritte, sentono da vicino la sofferenza delle famiglie, delle imprese, delle comunità locali. Siamo ancora in piena emergenza coronavirus, ma occorre agire subito per restituire respiro e serenità a chi soffre. È già il tempo, crediamo, di riflettere tutti insieme su cosa sia la solidarietà tra persone, comunità, territori, oltre che su cosa significhi, in concreto, praticare una effettiva solidarietà europea. Dobbiamo essere tutti coscienti che nulla sarà più come prima. E’ tempo di consapevolezza, riflessione e dialogo, ma anche di una azione - il più possibile unitaria e trasversale agli attuali schieramenti politici - tra coloro che non vogliono scivolare in una società europea impaurita e impoverita, dominata da poteri centralisti e autoritari.

Chiediamo che il trattato MES sia denunciato, non riformato, e che quella banca internazionale sia smantellata. Ha già dimostrato di essere un opaco gestore di risorse pubbliche, ispirata a filosofie economiche astratte che hanno finito per legittimare una sorta di strozzinaggio europeo dei forti nei confronti dei deboli. Per la sua stessa struttura verticistica e tecnocratica, quella istituzione è totalmente incapace di rappresentare e fare gli interessi delle autonomie e dei territori.
Chiediamo che la BCE affronti subito il tema della stampa e della distribuzione diretta del cosiddetto “denaro dagli elicotteri” (#HelicopterMoney). Dalla crisi del 2008 a oggi, sono già stati creati dal nulla non meno di 3.500 miliardi di Euro per tenere in vita il sistema bancario e assicurativo. Crediamo che sia necessario fare almeno altrettanto per tenere in vita le economie territoriali, i servizi pubblici locali, le piccole imprese, le famiglie.
È purtroppo ipotizzabile un crollo storico del PIL della intera Eurozona, insieme con un aumento vertiginoso dei debiti pubblici degli stati membri (inevitabilmente più pesante per coloro che partono da debiti storici pregressi più grandi). Ciascuno può avere le proprie filosofie e convinzioni economiche, ma il tema è politico e deve essere la politica ad affrontarlo. I nostri movimenti territoriali hanno ciascuno le proprie idee sulle possibili riforme della Eurozona, ma sicuramente siamo uniti dalla convinzione che sia impossibile lasciare immensi debiti pubblici in mano a gestori privati, alla mercé dei differenziali (spread) e delle speculazioni. Non abbiamo ricette salvifiche da proporre, ma nemmeno intendiamo lasciare che i territori più deboli continuino a indebolirsi, mentre i più forti continuano a rafforzarsi. Rifiutiamo l’idea che stati e autonomie locali continuino a sacrificarsi in una austerità infinita, solo per pagare interessi (a privati) su debiti che sono pubblici, senza alcuna speranza di rialzarsi, come già si è lasciato accadesse con la Grecia.
Proponiamo che si ponga mano a progetti a lungo termine per azzerare la spesa per gli interessi, come stanno peraltro facendo molte altre autorità monetarie nel mondo. Chiediamo, a questo fine, che sia creata al più presto una commissione tecnico-operativa che metta in campo iniziative ispirate al concetto delle “monete fiscali”, per l’intera Repubblica o, meglio ancora, per destinarle a una circolazione locale. In tale commissione chiediamo siano rappresentati il governo, le regioni e i territori, gli economisti e teorici dei “certificati di credito fiscale”.

Per maggiori informazioni si contatti la Presidenza di Autonomie e Ambiente (info@autonomieeambiente.eu) o ciascuna delle forze sorelle firmatarie.

Membri di Autonomie e Ambiente che sottoscrivono questa presa di posizione:

Patto per l’Autonomia – Friuli V.G. - info@pattoperlautonomia.eu
Patrie Furlane - segreteria.patriefurlane@gmail.com
Patto per l’Autonomia – Veneto - info@pattoautonomiaveneto.eu
ALPE Valle d’Aosta - info@alpevda.eu
Movimento Siciliani Liberi - info@sicilianiliberi.org
Comitato Libertà Toscana - presidenza@comitatolibertatoscana.eu
Aderisce al comunicato anche il gruppo osservatore: Comitato Autonomia Piemont - ccpiemonte@libero.it

Appena ci saranno le condizioni per poterlo fare - al termine dell'emergenza coronavirus - il documento sarà discusso con gli altri membri dell'alleanza.



Alberto Pento
L''Italia prima di chiedere aiuto agli altri, all'Europa e agli altri stati europei più ricchi,

deve ridurre tutte le criminali alte paghe dei dirigenti pubblici e del para stato,
deve ridurre le immonde pensioni d'oro e d'argento,
deve ridurre gli scandalosi compensi dei politici e dei magistrati a cominciare dalla Corte Costituzionale,
deve eliminare le immonde spese per i parassiti cronici delinquenziali,
deve eliminare gli sprechi e il sottobosco della corruzione,
...
poi deve attingere ai risparmi e ai patrimoni dei cittadini a partire da una certa soglia specialmente in quelli che sono stati realizzati alimentando il debito pubblico,
poi deve vendere il vendibile dei suoi patrimoni pubblici e/o darli in garanzia per ulteriori debiti, come se occorre deve dare in garanzia anche i patrimoni dei cittadini italiani.
Solo dopo aver fatto tutto ciò può avere i diritto di chiedere la solidarietà a fondo perduto di chi in Europa ha di più.
I debiti si pagano anche con i sacrifici, con forti sacrifici che debbono essere fatti innanzitutto da chi ha beneficiato dei debiti stessi e non certo da chi ha concesso i prestiti specialmente se prestatori non italiani.
No a chi vuole far saltare il banco per non pagare i debiti e no a chi vuole vivere a spese degli altri!

Salvini e la Lega dovrebbero dare il buon esempio!
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:14 pm

Gli sprechi dello Stato ci costano 200 miliardi all’anno, il doppio dell’evasione
Anna Maria D’Andrea
17 Gennaio 2020

https://www.money.it/Sprechi-inefficien ... ale-Italia


Gli sprechi dello Stato costano agli italiani il doppio dell’evasione fiscale, che non è certo l’unico problema del Paese.

Se il livello enorme di evasione è da sempre considerato uno dei motivi delle difficoltà dello Stato, guardando ai dati ci si accorge che non è certo l’unica criticità da risolvere.

Stando a quanto pubblicato dalla CGIA di Mestre, sono gli sprechi di Stato a conquistare il primo posto nella classifica delle emergenze che il Governo dovrebbe affrontare.

In un periodo in cui è altissima l’attenzione sul tema dell’evasione e sulle misure necessarie per contrastarla, e con un 2020 iniziato con il “mantra” della lotta al contante e della caccia a chi non paga le tasse, è bene guardare ai dati per capire perché un Paese pieno di risorse ed eccellenze come l’Italia, si trova a fare i conti con una perenne crisi economica.

Pur evitando facili generalizzazioni, la CGIA di Mestre ricorda che oltre alla lotta all’evasione, sarebbe bene concentrarsi anche sullo Stato sprecone che ogni anno porta alla perdita di ben 200 miliardi di euro. Sono 110 i miliardi ai quali l’Italia rinuncia a causa del fenomeno dell’evasione.

Nel complicato rapporto dare-avere tra lo Stato ed i contribuenti, sono i secondo quelli più lesi. Nel proprio studio, la CGIA di Mestre conta ben 71 procedure di infrazione ancora aperte; per citarne alcune, quella sulla qualità dell’aria presente nelle città, sull’arsenico nell’acqua potabile, la questione dell’inquinamento nell’area dell’ex Ilva di Taranto ed il problema dei tempi biblici di pagamento della PA alle imprese.

Se le contestazione dell’UE ancora aperte sono tante, è impressionante il numero di quelle avviate dal 2002 in poi: ben 1.358, un record - così come quello dell’evasione.
Gli sprechi dello Stato ci costano 200 miliardi all’anno, il doppio dell’evasione

La tesi della CGIA di Mestre è chiara: l’evasione fiscale in Italia, sebbene arrivi a livelli elevatissimi, è poco più della metà dei costi a carico di cittadini e imprese relativi a sprechi, sperperi e inefficienze generate dalla Pubblica Amministrazione.

Stiamo parlando di ben 200 miliardi di euro, somma sulla quale tuttavia non si fa tanto rumore come per l’evasione fiscale, piaga dell’Italia che come abbiamo visto non è certo sola.

È lo studio pubblicato lo scorso 14 settembre 2019, ma ancora oggi attualissimo, a portare all’attenzione di tutti il problema degli sprechi e delle inefficienze dello Stato

Se è vero che la legalità deve essere rispettata da tutti, l’Italia non detiene certo la medaglia d’oro in Europa.

Ricorda la CGIA che, attualmente, le procedure di infrazione dell’UE ancora aperte nei confronti del nostro Paese sono 71, suddivise in 64 casi di violazione del diritto dell’Unione e in 7 casi di mancato recepimento delle politiche europee. Dal 2002 ad oggi sono state ben 1.358, record in Europa.
Quanto costano le inefficienze dello Stato ad imprese e cittadini

Se l’evasione è una piaga da combattere, allo stesso modo dovrebbe essere affrontato anche il problema delle inefficienze dello Stato e degli sprechi che caratterizzano la PA italiana.

Lo studio della CGIA di Mestre passa in rassegna diverse analisi effettuate sulla serie di infinite inefficienze della Pubblica Amministrazione italiana:

il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la PA (burocrazia) è pari a 57 miliardi di euro (Fonte: The European House Ambrosetti);
i debiti commerciali della PA nei confronti dei propri fornitori ammontano a 53 miliardi di euro (Fonte: Banca d’Italia);
il deficit logistico-infrastrutturale penalizza il nostro sistema economico per un importo di 40 miliardi di euro all’anno (Fonte: Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti);
se la giustizia civile italiana avesse gli stessi tempi di quella tedesca, il guadagno in termini di Pil sarebbe di 40 miliardi di euro all’anno (Fonte: CER-Eures);
sono 24 i miliardi di euro di spesa pubblica in eccesso che non ci consentono di abbassare la nostra pressione fiscale alla media UE (Fonte: Discussion paper 23 Commissione Europea);
gli sprechi e la corruzione presenti nella sanità costano alla collettività 23,5 miliardi di euro ogni anno (Fonte: ISPE);
gli sprechi e le inefficienze presenti nel settore del trasporto pubblico locale ammontano a 12,5 miliardi di euro all’anno (Fonte: The European House Ambrosetti-Ferrovie dello Stato).

Il costo delle principali inefficienze del sistema Italia
Inefficienze/sprechi economico Stima impatto economico (miliardi di euro)
Burocrazia (costo per le imprese) 57
Debiti commerciali della Pubblica Amministrazione 53
Infrastrutture 40
Giustizia 40
Spesa pubblica 24
Sanità 23,5
Trasporto pubblico locale 12,5



Riecco la patrimoniale: chi la propone e perché sarebbe un disastro
Francesco Zanotti
4 aprile 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -disastro/

Usare la crisi per giustificare nuove aree di intervento del governo è, lo sappiamo, uno dei tratti comuni dell’affermarsi di nuovi totalitarismi. La crisi sanitaria ed economica causata dal coronavirus non fa eccezione, anzi sembra che il “bisogno di dare risposte” giustificherà atti arbitrari e coercizione statale fino ad un punto che in pochi, all’inizio di questo dramma, avrebbero potuto immaginare. Uno degli esempi più lampanti è la proposta di una tassa patrimoniale che sarebbe “necessaria” per combattere la crisi: a suggerirci questo “toccasana” è il “moderato” Pier Ferdinando Casini, che si dice addirittura disposto a pagarla in prima persona. Ora, a parte il fatto che, disposta o meno che sia la persona, la tassa le viene estorta dallo Stato proprio come a tutti gli altri, non vediamo perché il fatto che Casini voglia dare più soldi al baraccone statale debba far sì che siano obbligati tutti quanti a fare lo stesso. Questo la dice lunga sul “moderatismo” di certi personaggi: è assolutamente legittimo avere una certa idea su come dovrebbero essere spesi i soldi, non è legittimo però pretendere che tutti siano d’accordo e che tutti vengano obbligati con la coercizione a versare per il proprio capriccio. Queste ventate di statalismo, che nonostante la nota storia centrista di Casini odorano di vetero-marxismo, sono da ritenersi assolutamente pericolose.

Lo Stato nei momenti di crisi tende ad allargare i propri confini, a trovare nuove aree di intervento, e terminata la crisi le cose non tornano quasi mai come prima: o gli uomini di governo non rinunciano al potere acquisito, oppure hanno reso dipendente dall’azione governativa il settore produttivo, tenendo in vita soggetti economici inefficienti che poi nemmeno in tempo di relativa crescita si dimostrano capaci di stare le mercato. Il caso della patrimoniale è proprio quello di un intervento statale che, una volta introdotto, sarebbe troppo difficile rimuovere, e ci deve indignare per un semplice motivo: i sacrifici che lo Stato richiede al settore privato non è in grado di applicarli a se stesso e alla propria classe “digerente” (“dirigente” suonerebbe troppo ottimistico nel nostro Paese) tagliando e rivedendo totalmente la spesa pubblica. Una situazione di crisi come questa richiederebbe una revisione totale delle uscite: verificare cosa c’è di produttivo e cosa è inutile (un’inutilità su tutte è il reddito di cittadinanza) e tagliare seriamente gli sprechi. Solo così si potranno abbassare le tasse senza fare troppo debito condannando governi futuri a mettere le pezze agli errori del passato. Il debito italiano, già fin troppo alto per un Paese che non cresce e che rischia ogni giorno la propria sovranità data la situazione debitoria assurda, rischia di esplodere, e se non si agirà in modo intelligente ne sentiremo le ripercussioni per anni.

Ancora una volta, però, la risposta non può venire dallo Stato, che è tra le cause indirette della crisi economica con il suo interventismo e la sua allocazione arbitraria e inefficiente delle risorse. L’unica cosa che lo Stato può concretamente fare, per affrontare questa emergenza, è farsi da parte: il settore privato con le sue eccellenze, se lasciato libero, sarà il motore della rinascita. Mettere le mani in tasca ai cittadini, che in molti casi a causa della crisi dovranno attingere ai propri risparmi per vivere e che si vedranno questi risparmi ulteriormente tassati, è sicuramente il modo migliore per distruggere la speranza, far montare la rabbia e, in ultima analisi, far durare la crisi più a lungo. Sappiamo che la politica italiana preferisce oggi modelli come quello del regime comunista cinese, ma la patrimoniale non può e non deve essere la nostra risposta al virus: le persone hanno bisogno di speranza, e la speranza nasce con la libertà.




Volevo fare una considerazione sul MES, perchè mi pare che ci sia molta disinformazione in giro.
Marco Faedo
7 aprile 2020

https://www.facebook.com/marco.faedo.56 ... 8066540332


Oggi l’Europa, per venire incontro alle richieste italiane, ha sospeso il patto di stabilità; cosa vuol dire? Vuol dire che l’Italia oggi è libera di fare debito (oltre i 2500 miliardi che già abbiamo) per potere fare fronte alle emergenze, emette BOT e CCT senza alcun controllo da parte dell’Europa.
Oggi l’affidabilità dell’Italia è stimata molto poco, ed il rating dell’Italia è BBB, in continua discesa, questo,vuole dire che, con un rating BBB, pagheremo interessi MOLTO ALTI.

Il MES è un fondo europeo garantito e finanziato da tutti gli stati europei ed ha oggi una grossa capacità di intervento e, soprattutto, ha un Rating AAA, si parla quindi di interessi BASSI.

È ovvio quindi che l’Italia preferisca farsi dare i soldi dal MES piuttosto che dal mercato, paga molto meno di interessi.
Ma perchè il MES ha un rating alto? Perchè:
a) tutti gli stati lo garantiscono e se i garanti sono forti (Germania, Olanda,...) la affidabilità del debitore è garantita.
b) per prestare i soldi ad uno stato in difficoltà il MES si garantisce che lo stato “usi bene” i soldi che il MES gli presta, ed è comprensibile: io ti do i soldi e devi darmi garanzie del fatto che li userai bene e non te li sputtanerai per osterie.

E proprio questo due punti sono i punti chiave: la Germania dice: io garantisco il tuo debito, vuol dire che se tu vai in fallimento i soldi ce li rimetto io, allora voglio essere sicuro che tu investa bene i soldi che il MES ti presta, se non ho questa garanzia, io i soldi non te li do.

Detto in parole povere, se l’Italia prende i soldi dal MES per l’emergenza Coronavirus, non puó (con quei sold) finanziare il reddito di nullafacenza, Quota 100, 80 euro e tutti gli sperperi clientelari cui i nostri politicanti ci hanno abituato.

Ed è questo che i nostri politici non vogliono, non vogliono essere controllati nelle spese, gli salta il ghiribizzo di nazionalizzare Alitalia? Non vogliono essere controllati dall’Europa che puó dire: NO CARO, TU LI USI PER L’EMERGENZA CORONAVIRUS.

Io, stante il livello di irresponsabilità dei politici italiani (di destra e di sinistra) che da sempre fanno crescere il nostro debito pubblico, preferisco che l’Europa controlli ed impedisca, agli scellerati che ci governano (gialloverdi o giallorossi che siano) di farci saltare a piè pari nel baratro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:16 pm

Germania, i colossi dell'auto a Merkel: "Sostegno a Italia o non riapriamo"
Roberto Vivaldelli - Dom, 05/04/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ge ... 50345.html

I colossi dell'auto in Germania chiedono al governo di Angela Merkel pieno sostegno alle aziende del nostro Paese: senza la componentistica italiana non potranno riaprire

Le nazioni europee alle prese con l'emergenza sanitaria del Covid-19 che hanno sigillato i loro confini ora fanno i conti con un altro problema fondamentale: l'interdipendenza economica che rende difficoltosa - se non impossibile - la produzione di determinati prodotti.

Questo vale anche per la nazione europea più ricca e potente, la Germania, e per il suo florido mercato automobilistico sinonimo di altà qualità: teutonico nel design e italianissimo nell'anima. Come riporta Il Messaggero in edicola, i colossi dell'auto come Volskwagen, Daimler (Mercedes) e Bmw, hanno chiesto alla cancelliera Angela Merkel di lavorare ad un pacchetto di interventi europei per uscire dalla crisi. I rispettivi amministratori delegati hanno ribadito un concetto molto importante: fino a quando le fabbriche italiane e spagnole di componentistica non riapriranno sarà praticamente impossibile assemblare in modo continuativo automobili le automobili tedesche.

Per via dell'interdipendenza economica fra la Germania e Paesi come l'Italia e la Spagna, i tre colossi dell'auto tedeschi hanno sottolineato che le loro catene di rifornimento (supply chain) sono ormai strutturalmente legate a fornitori esteri, in particolare italiani non solo cinesi. Dal punto di vista dell' industria dell'auto germanica, che è la spina dorsale dell' economia tedesca, osserva Il Messaggero, è dunque fondamentale che la ripresa dell' economia e le misure anti-crisi vengano coordinate a livello comunitario. Se l'Italia è lontana dal podio della produzione di autovetture complete, infatti, a livello europeo si ritrova al secondo posto nel mercato della componentistica automotive: come sottolineato da Il Giornale, si parla di circa duemila imprese, 200mila addetti e un fatturato complessivo di 52 miliardi di euro. I colossi dell'auto in Germania lo sanno perfettamente ed è per questo motivo che, secondo quanto riportato dall' agenzia Reuters e da AutonewsEurope.com, hanno sottolineato che gli interventi europei dovrebbero garantire liquidità immediata alle industrie della componentistica italiane per evitare una catena di fallimenti che peserebbe in maniera devastante anche sulla produzione tedesca.

A causa della crisi provocata dalla pandemia, il gruppo automobilistico tedesco Bmw ha annunciato l'arresto della produzione presso i suoi impianti in Europa e a Rosslyn in Sudafrica, dal 22 marzo al 19 aprile prossimo. E come Bmw, anche le altre aziende automobilistiche tedesche Daimler, Volkswagen, Audi e Man hanno interrotto o limitato la produzione a causa del coronavirus. Il covid-19, nel frattempo, secondo quanto riportato dall'agenzia Ansa, ha fatto crollare il mercato dell'auto italiano. Le immatricolazioni a marzo - secondo i dati del ministero dei Trasporti - sono state 28.326 a fronte delle 194.302 dello stesso mese del 2019, pari a un calo dell'85,42%. Nel primo trimestre sono state vendute 347.193 auto, il 35,47% in meno dell'analogo periodo dell'anno scorso.



Le misure anticrisi di Francia, Germania e Spagna inchiodano gli "aiutini" di Conte
Federico Giuliani - Dom, 05/04/2020

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 50219.html

Madrid ha messo sul tavolo 100 miliardi di garanzie, Parigi ha mobilitato 45 miliardi, mentre Berlino ne ha stanziati addirittura 1.100. Di fronte a queste cifre la ricetta anticrisi di Conte evapora come neve al sole

Le misure anticrisi messe in campo da Germania, Francia e perfino Spagna surclassano a occhi chiusi quelle fin qui attivate dal governo Conte.

Basta dare un rapido sguardo ai numeri e il gioco è fatto.

Mentre Parigi ha mobilitato 45 miliardi, Madrid ha messi sul tavolo 100 miliardi di garanzie e Berlino ne ha stanziati addirittura 1.100, nel nostro Paese i lavoratori non hanno ancora visto un centesimo di quelli promessi dall'esecutivo. Eppure, come sottolinea il quotidiano La Verità, la crisi economica provocata dal nuovo coronavirus inizia già a mordere.

A certificare l'inadeguatezza della ricetta di Conte è un paper del Servizio studi del Senato. L'oggetto dello studio è un'analisi comparata delle misure socioeconomiche adottate dai quattro Paesi citati in questi complicatissimi giorni. Risultato: l'Italia esce con le ossa rotte. Vediamo il motivo.

La Francia ha mosso subito il 2% del suo pil, la Spagna lo 0,7%, pari a 8,9 miliardi, ma il governo iberico ha attivato garanzie pubbliche per prestiti a imprese e lavoratori autonomi fino a 100 miliardi. La Germania, come abbiamo visto, fa partita a sé. Oltre alla legge di bilancio già approvata, Berlino ha messo sul tavolo una manovra aggiuntiva che autorizza il governo federale a ricorrere a un indebitamento netto pari a 156 miliardi, ovvero il 4,5% del suo pil.


Un confronto impietoso

Scendendo nel dettaglio, e leggendo sempre quanto scritto nel paper del Senato, notiamo come la Francia non abbia alcun timore ad alzare il suo indebitamento per il 2020 fino al 3,9%, e questo nonostante l'obiettivo di Parigi fosse quello di non sfondare il tetto del 2,2%. In ogni caso le misure attuate da Parigi sono varie: si va dalla spesa sanitaria all'incremento delle coperture assicurative a favore di malati e familiari, dal sostegno ai salari a un cospicuo ombrello di garanzie pubbliche sui crediti concessi dagli istituti bancari.

La Spagna, oltre alle inevitabili e immancabili spese sanitarie, ha pensato bene di incrementare i sussidi di disoccupazione. Madrid ha concesso un bonus agli autonomi e garantito una maxi proroga di 6 mesi ai versamenti erariali di Pmi e agli stessi autonomi. Le garanzie pubbliche sono inoltre state ampliate fino ad arrivare a 100 miliardi.

Capitolo Germania. Berlino ha intenzione di immettere nel settore sanitario 58,5 miliardi, a cui se ne aggiungono 3,5 per materiali di protezione e personale e altri 55 da usare “liberamente”, per un totale di 117 miliardi di euro di incremento della spesa sanitaria. Per quanto riguarda gli autonomi e piccole imprese, sono pronti 50 miliardi di sovvenzioni. Accanto a garanzie per 822 miliardi troviamo poi tante altre misure. Gli argomenti sono i più disparati: si va dal concedere liquidità alle imprese agli assegni per l'infanzia.

Insomma, Francia, Germania e Spagna, senza aspettare la “sentenza” dell'Eurogruppo e approfittando della sospensione del Patto di stabilità, hanno agito immediatamente per sostenere i loro sistemi economici e sanitari. L'Italia, invece, è ancora ferma al palo ad attendere il responso di Bruxelles. Come se non bastasse, mentre gli altri Paesi hanno subito aperto il loro ombrello a protezione dei lavoratori, dalle nostre parti nessuno ha ancora visto niente.



Coronavirus, Berlino: "Pronti a fare la nostra parte"
Roberto Vivaldelli - Lun, 06/04/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 50412.html

I ministri degli Esteri e delle Finanze tedeschi Heiko Maas e Olaf Scholz lanciano un messaggio ai Paesi più colpiti dal Covid-19, tra cui l'Italia: "La Germania è pronta a fare la sua parte"

L'Eurogruppo di martedì rappresenta una giornata cruciale non solo per comprendere come reagirà l'Unione europea alla imminente crisi economica provocata dal Covid-19, ma anche per il futuro stesso dell'Ue, forse mai così in bilico come nell'ultimo periodo.

A Berlino lo sanno benissimo e così, anche per ingraziarsi le opinioni pubbliche dei Paesi del sud europa, i ministri degli Esteri e delle Finanze Heiko Maas e Olaf Scholz hanno deciso di pubblicare un editoriale (in edicola domani) su cinque giornali di altrettanti stati membri. Per l'Italia è La Stampa, che ne anticipa anche parte dei contenuti. I ministri del governo di Angela Merkel ammettono che "in un primo momento la risposta europea non è stata convincente" ma che la Germania è pronta a fare la sua parte non solo sostenendo la proposta di allentare i criteri del patto di stabilità, ma estendendo "il programma di acquisto di titoli di Stato e di stanziare somme miliardarie provenienti dai fondi straordinari del bilancio Ue".

Inoltre, aggiungono Maas e Scholz nel loro editoriale, per stabilizzare i Paesi più colpiti dalla crisi "bisogna agire in modo rapido e non complicato". La proposta di Maas e Scholz è dunque quella di provvedere a "sufficiente liquidità in tutti gli Stati Ue" in modo da non far dipendere "la tutela dei posti di lavoro dagli umori degli speculatori". L'importante, spiegano da Berlino, "è che i mezzi finanziari non siano vincolati a condizioni inutili", pena "la ricaduta nella politica dell’austerità" subito dopo la crisi che "porterebbero a una disparità di trattamento di singoli Stati membri". I ministri tedeschi difendono il Mes, il meccanismo europeo di stabilità, che a loro dire "mette a disposizione i mezzi senza bisogno di troika, controllori o commissioni", ma va adeguato "in modo ragionevole".

Insomma, molto fumo e poco arrosto, per ora. Come ammesso anche dal presidente dell'eurogruppo Mario Centeno, intervistato dal quotidiano La Repubblica, a proposito del Fondo salva-stati, "gli strumenti del Mes sono legati a condizioni", ma il Fondo "è pronto a sganciare le sue linee di credito dalla logica della crisi dei debiti sovrani". Non avrebbe senso, osserva l'economista portoghese, "abbinare il sostegno alla crisi da pandemia a un programma di privatizzazioni o a una riforma del mercato del lavoro. Le condizioni devono essere legate al virus e nel lungo periodo i Paesi beneficiari, come gli altri, dovranno tornare in una situazione di sostenibilità dei conti. Disegnato così, chi si rivolgerà al Mes eviterà lo stigma dei mercati". Venerdì Berlino e Parigi hanno trovato l’accordo sul piano dell’Unione europea per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Un accordo che contempla il ricorso al Mes e apre le porte a una linea di credito fino al 2% del Pil del singolo Stato, con un intervento della Banca europea per gli investimenti che garantirà fino all’80% dei prestiti a breve termine delle banche e, infine, il ricorso al fondo dell’Unione europea per la disoccupazione.



Volevo fare una considerazione sul MES, perchè mi pare che ci sia molta disinformazione in giro.
Marco Faedo
7 aprile 2020

https://www.facebook.com/marco.faedo.56 ... 8066540332


Oggi l’Europa, per venire incontro alle richieste italiane, ha sospeso il patto di stabilità; cosa vuol dire? Vuol dire che l’Italia oggi è libera di fare debito (oltre i 2500 miliardi che già abbiamo) per potere fare fronte alle emergenze, emette BOT e CCT senza alcun controllo da parte dell’Europa.
Oggi l’affidabilità dell’Italia è stimata molto poco, ed il rating dell’Italia è BBB, in continua discesa, questo,vuole dire che, con un rating BBB, pagheremo interessi MOLTO ALTI.

Il MES è un fondo europeo garantito e finanziato da tutti gli stati europei ed ha oggi una grossa capacità di intervento e, soprattutto, ha un Rating AAA, si parla quindi di interessi BASSI.

È ovvio quindi che l’Italia preferisca farsi dare i soldi dal MES piuttosto che dal mercato, paga molto meno di interessi.
Ma perchè il MES ha un rating alto? Perchè:
a) tutti gli stati lo garantiscono e se i garanti sono forti (Germania, Olanda,...) la affidabilità del debitore è garantita.
b) per prestare i soldi ad uno stato in difficoltà il MES si garantisce che lo stato “usi bene” i soldi che il MES gli presta, ed è comprensibile: io ti do i soldi e devi darmi garanzie del fatto che li userai bene e non te li sputtanerai per osterie.

E proprio questo due punti sono i punti chiave: la Germania dice: io garantisco il tuo debito, vuol dire che se tu vai in fallimento i soldi ce li rimetto io, allora voglio essere sicuro che tu investa bene i soldi che il MES ti presta, se non ho questa garanzia, io i soldi non te li do.

Detto in parole povere, se l’Italia prende i soldi dal MES per l’emergenza Coronavirus, non puó (con quei sold) finanziare il reddito di nullafacenza, Quota 100, 80 euro e tutti gli sperperi clientelari cui i nostri politicanti ci hanno abituato.

Ed è questo che i nostri politici non vogliono, non vogliono essere controllati nelle spese, gli salta il ghiribizzo di nazionalizzare Alitalia? Non vogliono essere controllati dall’Europa che puó dire: NO CARO, TU LI USI PER L’EMERGENZA CORONAVIRUS.

Io, stante il livello di irresponsabilità dei politici italiani (di destra e di sinistra) che da sempre fanno crescere il nostro debito pubblico, preferisco che l’Europa controlli ed impedisca, agli scellerati che ci governano (gialloverdi o giallorossi che siano) di farci saltare a piè pari nel baratro.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:17 pm

L’Europa è cattiva?
da L'Economia - Corriere della Sera, 6 aprile 2020

http://www.brunoleoni.it/l-europa-e-cattiva

Lo choc è comune, i punti di partenza sono assai diversi. E le risposte fin qui arrivate contemplano la sospensione del patto di stabilità, il bazooka della Bce e misure di pronto intervento. Resta il problema del dopo

Abbiamo imparato a distinguere l'epidemia dalla pandemia. Abbiamo capito la differenza che corre fra ospedalizzati e contagiati. Sintomatici e asintomatici. Ancora non abbiamo capito se possono esserci anche sintomatici non contagiati mentre ci è ormai chiarissimo che i non contagiati asintomatici sono, in questo momento storico, un po' ai margini della società.

Potrebbe essere utile, a questo punto, provare a dedicare qualche minuto della nostra attenzione ad altri concetti – più strettamente economici – non altrettanto importanti ma forse non trascurabili. Nell'intervista rilasciata martedì 31 marzo all'emittente televisiva Ard, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stato chiarissimo: la crisi provocata dalla pandemia di coronavirus è uno choc simmetrico, che coinvolge tutti gli stati membri dell'Unione europea. Per tale motivo, non si può ricorrere al Meccanismo europeo di stabilità (Mes, o Fondo Salva Stati). E di conseguenza sbaglia chi – l'Olanda, la Germania, la Finlandia – pensa che sia quello lo strumento da utilizzare in questo momento con annessi e connessi (e cioè con le condizioni che solitamente accompagnano i prestiti erogati dal Mes che in Italia vengono sbrigativamente etichettate come «un commissariamento»).

L'asimmetria
È proprio così? Uno choc è niente altro che un evento, per lo più non anticipato, che dall'esterno colpisce ed influenza le principali variabili del sistema economico. E che il Covid-19 sia uno choc sembra proprio difficile negarlo.

Ma che tipo di choc? La domanda, ovviamente, non è oziosa perché – come è chiaro dall'affermazione del presidente del Consiglio – a choc diversi si risponde con strumenti diversi. Certo non si tratta di uno choc locale ma, visibilmente, di uno choc comune. Che colpisce tutti i paesi senza fare eccezioni.

Ma uno choc comune non è necessariamente uno choc simmetrico o, in altre parole, con impatto comparabile fra paesi. Lo sarebbe se i diversi paesi colpiti avessero condizioni iniziali o strutture economiche e sociali simili. Se così non fosse dovremmo parlare di choc comune ma asimmetrico (almeno nelle conseguenze).

La differenza non è di poco conto. Choc comuni e simmetrici non richiedono che si mettano in campo strumenti assicurativi in grado di trasferire all'occorrenza risorse fra Stati (lo ha spiegato bene Tommaso Monacelli in «Tre opzioni per sostenere l'economia» sul sito lavoce.info) e i coronabond cui il governo italiano sembrerebbe aver sacrificato ogni altra possibilità fanno esattamente questo. Consentono allo Stato italiano di indebitarsi a tassi più bassi di quelli che altrimenti non sarebbero possibili (e viceversa per altri Stati) con ciò implicitamente trasferendo risorse all'interno dell'area dell’euro e verso l'Italia.

In questo i coronabond non sarebbero poi così diversi dal Mes che consentirebbe, ancora una volta, all'Italia di indebitarsi a condizioni più vantaggiose soprattutto se accettasse una qualche condizionalità. Quindi, l'argomento del presidente del Consiglio vacilla: se lo choc è simmetrico i coronabond non sono la soluzione adeguata.

Il punto è che, in realtà, lo choc che le economie dell'area dell'euro stanno subendo è comune ma non è simmetrico perché diverse sono le condizioni iniziali delle diverse economie. Tralasciamo quegli elementi su cui ancora sappiamo forse troppo poco (perché tanti morti in Italia e Spagna?). Rimaniamo in campo economico. Dei 9 paesi firmatari della lettera di cui l'Italia si è fatta promotrice e con cui si chiedeva l'attivazione dei coronabond, solo 3 presentano livelli di debito pubblico in rapporto al prodotto inferiori alla media Ue (80% nel 2019, post-Brexit): Slovenia, Irlanda e Lussemburgo. Gli altri sei sono al di sopra di quella media e, per la precisione, i loro debiti pubblici sono pari a due terzi del debito pubblico dell'intera Unione. Dei paesi non firmatari, solo uno (Cipro) ha un livello di debito in rapporto al prodotto superiore alla media.

La contrapposizione fra Europa del Nord ed Europa del Sud semplicemente non esiste. Esiste – questa sì – la contrapposizione fra Stati membri molto indebitati e Stati membri poco indebitati. I primi – a causa delle loro pregresse politiche di bilancio – hanno uno spazio fiscale limitato e sono quindi meno (o molto meno) in grado di affrontare lo choc dei secondi. Nel loro caso è quindi lecito immaginare che lo choc avrà un impatto assai più significativo in termini di contrazione dei livelli di attività, di livelli di disoccupazione e di durata della crisi. Condizioni iniziali diverse fanno sì che uno choc comune possa trasformarsi in uno choc asimmetrico. Ciò a sua volta potrebbe giustificare la possibilità di trasferimenti interni all'Unione. Esattamente ciò che è previsto dal Meccanismo europeo di stabilità nella sua attuale configurazione. La cui condizionalità, in questo caso, mirerebbe proprio a modificare quelle condizioni iniziali.

Eurobond, alla fine
La Cancelliera tedesca potrebbe quindi aver ragione e con lei il premier olandese. Il nostro governo potrebbe, invece, aver preso un abbaglio. Quel che più rileva è che, in questo contesto, la risposta dell'Europa è stata e si sta rivelando ogni giorno di più adeguata e corretta. Attivazione della clausola di emergenza del Patto di stabilità per consentire il ricorso al debito, interventi massicci da parte della Bce per garantire la tenuta di singoli paesi più a rischio e dell'intera area dell'euro, strumenti di pronto intervento per gli Stati membri che ne avessero bisogno (una eventualità quest'ultima tutt'altro che remota visto che negli ultimi dieci anni il mondo non ha fatto altro che sommare debiti a debiti). Se a questo si aggiungesse un intervento comunitario in tema di ammortizzatori sociali, l'Europa avrebbe fatto anche più di quanto la sua attuale stringente struttura istituzionale consentirebbe. E l'Italia farebbe bene a prenderne rapidamente atto.

Certo, rimane il tema del dopo, che non potrebbe che essere affrontato rimuovendo in tempi molto stretti alcuni vincoli istituzionali in essere. Completamento dell'unione monetaria e adeguamento della dimensione del bilancio comunitario ai compiti che l'Europa si è data e si darà, sono le priorità. Ho l'impressione che, se si ha a cuore l'Europa, si debba partire dalla constatazione che gli eurobond possono essere la conclusione di un percorso e non il suo inizio. Un percorso condiviso e segnato dalla legittimazione democratica.



Schaeuble, Eurobond contro Costituzione - Ultima Ora
(ANSA) - BERLINO, 7 APR 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/topnew ... dac5e.html

Il presidente del Bundestag tedesco Wolfgang Schaeuble ribadisce che la strada degli Eurobond per la Germania non è percorribile anche per motivi giuridici: "Abbiamo dei trattati europei che mettono dei limiti molto precisi, e abbiamo una corte costituzionale che ha detto in modo molto chiaro cosa è possibile nella nostra costituzione e cosa no.
Tutto ciò che è necessario adesso per la solidarietà possiamo raggiungerlo con gli strumenti che abbiamo. E perciò non dovremmo disperderci in litigi che vengono dal passato", afferma in una intervista alla Welt.



L'ex ministro Varoufakis: "Mes senza condizionalità? Bufala della Merkel"
Alessandra Benignetti - Ven, 10/04/2020

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1586514988

Su Twitter l'ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, mette in guardia il governo italiano: "Mes senza condizionalità? L'anno prossimo Bruxelles richiederà un'austerità gigantesca e catastrofica"

"I prestiti del MES senza condizionalità sono una bufala elaborata e ispirata dalla Merkel: certo, prendi miliardi di nuovi prestiti senza condizioni, ma poi, l'anno prossimo, Bruxelles si accorgerà che il tuo debito/PIL è salito alle stelle e richiederà, ex post, un'austerità gigantesca e catastrofica".

È l’avvertimento dell’ex ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, che all’epoca del primo governo di Alexis Tsipras portò avanti le trattative con la troika (Unione europea, Bce e FMI) per evitare nuovi tagli e austerity.

Si sfiorò la "Grexit", e finì con le dimissioni proprio di Varoufakis che, secondo le indiscrezioni apparse all’epoca sul New York Times, aveva in mente un piano per mettere in circolo una moneta alternativa all’euro. Andò diversamente, con Tsipras che alla fine accettò condizioni ben peggiori di quelle contenute nel primo memorandum. Oggi è lo stesso economista greco che si schierò contro l'establishment europeo a mettere in guardia il nostro Paese sul rischio dell’apertura delle linee di credito del Fondo Salva Stati.

"Eccoci qui: Italia e gli altri piegati – commenta Varoufakis su Twitter - hanno accettato i prestiti del Mes che porteranno a austerità stringente il prossimo anno, pietosi prestiti per le imprese della Bei, uno pseudo schema federale di assicurazione sulla disoccupazione, più qualche pillola di filantropia". "In cambio si sono impegnati ad una depressione permanente", afferma l’economista di Atene. Insomma, altro che "proposta ambiziosa", come l’hanno definita da via XX Settembre.

Più che altro è stata la cronaca di un voltafaccia. "Quelli (ad esempio Conte, Sanchez, Mitsotakis ecc.) che fino a poche ore fa dicevano che senza un eurobond l'Ue è condannata, ora celebrano la morte e la sepoltura degli eurobond, e la loro sostituzione con prestiti tossici dal MES aggiunti a debiti nazionali insostenibili", è la sintesi di Varoufakis. Da festeggiare ci sarebbe ben poco, secondo l’ex ministro greco che con il suo Movimento per la Democrazia in Europa era tra i fautori dell’emissione di eurobond per far fronte allo choc economico causato dalla pandemia di coronavirus.

Per l’ex ministro delle Finanze di Atene un piano per "proteggere i cittadini europei" ed evitare la "depressione economica" sarebbe dovuto passare innanzitutto per l’emissione di mille miliardi sotto forma di strumenti finanziari europei. L’ipotesi dei "coronabond" però sembra essere stata definitivamente accantonata. A trionfare è stata la linea dura del ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra, che nella conferenza stampa a margine della riunione di ieri ha definito le obbligazioni europee strumenti "ingiusti nei confronti del contribuente olandese, che aumenterebbero, anziché diminuire, i rischi per l'Unione Europea nel suo complesso".

"Devono essere evitati", aveva tagliato corto il ministro olandese. E così è stato, con buona pace delle promesse del governo italiano.




Mentre noi aspettiamo la ciotola tutti gli altri stampano moneta - le banche centrali immettono
Fabio Dragoni per “la Verità”
10 aprile 2020

https://www.dagospia.com/rubrica-4/busi ... 233079.htm

Ciò che i lettori della Verità sanno da sempre, ora anche tutti gli altri lo hanno scoperto o possono scoprirlo. Basta gettare lo sguardo oltre la siepe e vedere cosa succede nel Regno Unito. La Banca di Inghilterra stamperà denaro e finanzierà il governo. Anzi, neanche sarà necessario attivare la tipografia. Downing Street ha una linea di credito (Ways and Means Facility) su un conto aperto presso la Banca Centrale di 400 milioni di sterline. Le quali, siccome sono poche, saliranno a quanto necessario.

Non è la prima volta che accade. Dopo lo scoppio della grande crisi finanziaria l' esecutivo arrivò a utilizzare il suo fido per quasi venti miliardi di sterline. Nessuno sforzo per la Banca d' Inghilterra. Niente nanetti che estraggono oro o banconote, ma un semplice clic sul computer ed ecco che sul conto del governo si materializzano i miliardi da spendere.

Per quanto incredibile e controintuitivo possa apparire, viviamo in un mondo dove tutte le risorse sono scarse a eccezione del denaro. Mancano le mascherine per proteggere i nostri medici e infermieri mandati al massacro (sebbene Giuseppi avesse dichiarato lo stato di emergenza il 31 gennaio 2020, stanziando la bellezza di cinque milioni di euro e facendo trovare il Paese palesemente impreparato allo scoppio dell' epidemia palesatosi nell' ultima decade di febbraio). Sono scarsi i posti letto in terapia intensiva e gli impianti di ventilazione assistita necessari a inondare di ossigeno i polmoni dei malati di Covid che diventano duri come il legno.

Mancano, e anzi diminuiscono, medici e infermieri, troppi dei quali uccisi dal virus.

Ma non mancano i soldi alle Banche centrali che, in caso di necessità, se li inventano e li danno al governo che può appunto spenderli come meglio crede.

Vabbè, direte voi. È il triste destino degli «eunuchi» dell' eurozona, che si sono monetariamente castrati privandosi della facoltà di emettere moneta. Peccato però che pure il governatore della Banca di Francia Villeroy abbia lanciato la proposta. «Se vi fosse un rischio alla stabilità dei prezzi» (quanto soave e suadente è il linguaggio dei banchieri nel descrivere un mondo in cui tanti negozianti hanno botteghe chiuse e frigoriferi vuoti), sarebbe assolutamente normale che «una banca centrale creasse denaro su base duratura per prestarlo direttamente alle imprese».

DONALD TRUMP JEROME POWELL DONALD TRUMP JEROME POWELL

Che le banche centrali abbiano creato denaro non è ovviamente una novità. Ad esempio, è cresciuto a quasi 6.000 miliardi di dollari il bilancio della Fed, che sta quindi emettendo base monetaria per acquistare principalmente i titoli di stato Usa. Secondo l' analista Robert Perli, l' ammontare di acquisto giornaliero ammonta a circa 50 miliardi di dollari. Di questo passo, in un anno, nel bilancio della Fed vi sarebbero circa 13.000 miliardi di debito pubblico americano; quasi il 60% del totale. La monetizzazione del deficit e del debito sembra quindi essere la strada maestra senza tante paturnie.

Lo stesso bilancio del cosiddetto G4 - vale a dire le quattro banche centrali più importanti del pianeta (Usa, Giappone, Uk ed eurozona) - è arrivato nel complesso a toccare il 40% del Pil, quadruplicando la dimensione che aveva al momento dello scoppio della crisi Lehman Brothers.

Ma la vera novità che caratterizzerà la prossima stagione non sarà tanto la semplice emissione di denaro, quanto la canalizzazione dello stesso all' economia reale (imprese e i lavoratori) in forme diverse rispetto al passato (crediti e sussidi, anziché acquisto di titoli di stato in portafoglio alle banche, che a loro volta reinvestono in bond). La ricetta che l' economista americano Nouriel Roubini ha efficacemente illustrato nei suoi tre passaggi chiave per impedire che la grande recessione si trasformi in depressione: adozione di un' efficace cura farmacologica contro il Covid-19; creazione di nuova base monetaria; finanziamento del deficit dei governi con la nuova moneta stampata.

MARIO DRAGHI E GIUSEPPE CONTE MARIO DRAGHI E GIUSEPPE CONTE

Che è poi la stessa ricetta proposta da Mario Draghi dalle colonne del Financial Times: «Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle società disposte a salvare posti di lavoro. Poiché in questo modo diventano un veicolo di trasmissione delle politiche pubbliche, il capitale necessario per svolgere questo compito deve essere fornito dal governo sotto forma di garanzie statali su tutti gli scoperti di conto o prestiti aggiuntivi. Né regolamentazioni né norme sulle garanzie bancarie dovrebbero ostacolare la creazione nei bilanci delle banche di tutto lo spazio necessario a tale scopo».

In pratica, soldi tanti e burocrazia zero. E Giuseppi che fa? Pubblica un decreto a quasi 48 ore del suo annuncio scrivendoci sopra rimanendo serio - crediamo - che tutti i provvedimenti volti a favorire il credito alle aziende sono di fatto erogabili «previa autorizzazione della Commissione europea». Sostituire il direttore di filiale con l' euroburocrate si può. Giuseppi può.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:17 pm

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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:19 pm

La situazione economico-finanziaria della Germania alla fine della seconda guerra mondiale non è assolutamente confrontabile con quella della Grecia e dell'Italia dei nostri giorni.

Allora la Germania era distrutta interamente e non aveva beni pubblici da vendere, nemmeno i risparmi dei privati che avevano perso i 9/10 del loro valore con l'iperinflazione.
Fu solo per questo che alla Germania furono condonati una parte dei debiti e dei danni di guerra, per poterle permettere di ricostruirsi e di riuscire a pagare almeno la metà dei debiti e dei danni a lei attribuiti dopo la guerra, i paesi creditori condonarono una parte del debito solo perché se non l'avessero fatto la Germania non avrebbe potuto pagare mai nulla perché era distrutta e non aveva più nulla da poter dare.

In Grecia e in Italia la situazione è ben diversa vi sono beni pubblici che possono essere venduti e dati in garanzia e molti beni e risparmi privati di cui buona parte realizzati irresponsabilmente e criminalmente grazie allla finanza allegra dello stato e dei politici che lo hanno gestito alimentando a dismisura il debito pubblico e che andrebbero restituiti come maltolto.



Quelli che demonizzano la Germania e ricordano a sproposito il suo debito di guerra


«La Merkel ha dimenticato quando l’Europa dimezzò i debiti di guerra alla Germania»
Riccardo Barlaam
15 ottobre 2014

https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/ ... d=ABkKN62B

«Scheitert Europa?», «L’Europa fallisce?» si chiede l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer nel suo libro, appena pubblicato, in Germania che è un durissimo atto di accusa contro le «politiche di euroegoismo» attuate dalla Cancelliera Angela Merkel e dal suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, la politica dell’«ognuno per sé», come la definisce l’ex leader dei verdi, politico-maratoneta, voce critica dell’attuale dirigenza tedesca.

Fischer scrive che è «sorprendente» che la Germania abbia dimenticato la storica Conferenza di Londra del 1953, quando l’Europa le cancellò buona parte dei debiti di guerra. «Senza quel regalo - scrive l’ex ministro tedesco nel suo libro - non avremmo riconquistato la credibilità e l’accesso ai mercati. La Germania non si sarebbe ripresa e non avremmo avuto il miracolo economico».

La cura di austerità imposta dalla coppia Merkel-Schaeuble, secondo l’ex ministro tedesco, è stata «devastante» perché ha imposto ai Paesi del Sud Europa «una deflazione dei salari e dei prezzi» impossibile da superare con il peso del rigore; «alla trappola della spirale dei debiti», che condanna questi Paesi a non uscire dalla crisi con il pretesto del risanamento dei conti. Fischer, in definitiva, accusa la Germania della signora Merkel e della sua grande coalizione di «euroegoismo» e di avere la memoria troppo corta. «Se la Bce non avesse seguito le decisioni di Draghi ma le obiezioni dei tedeschi a quest’ora l’euro non esisterebbe più. Il più grande pericolo per l’Europa - conclude il politico tedesco -attualmente è la Germania».

Ma cosa si decise alla Conferenza di Londra del 1953? La prima della classe Germania è andata in default due volte durante il Novecento (nel 1923 e, di fatto, nel secondo dopoguerra). In quella conferenza internazionale le sono stati condonati i debiti di due guerre mondiali per darle la possibilità di ripartire. Tra i Paesi che decisero allora di non esigere il conto c’era l’Italia di De Gasperi, padre fondatore dell’Europa, e anche la povera e malandata Grecia, che pure subì enormi danni durante la seconda guerra mondiale da parte delle truppe tedeschi alle sue infrastrutture stradali, portuali e ai suoi impianti produttivi.

L'ammontare del debito di guerra tedesco dopo il 1945 aveva raggiunto i 23 miliardi di dollari (di allora). Una cifra colossale che era pari al 100% del Pil tedesco. La Germania non avrebbe mai potuto pagare i debiti accumulati in due guerre. Guerre da essa stessa provocate. I sovietici pretesero e ottennero il pagamento dei danni di guerra fino all’ultimo centesimo. Mentre gli altri Paesi, europei e non, decisero di rinunciare a più di metà della somma dovuta da Berlino.

Il 24 agosto 1953 ventuno Paesi (Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia), con un trattato firmato a Londra, le consentirono di dimezzare il debito del 50%, da 23 a 11,5 miliardi di dollari, dilazionato in 30 anni. In questo modo, la Germania poté evitare il default, che c’era di fatto.

L’altro 50% avrebbe dovuto essere rimborsato dopo l'eventuale riunificazione delle due Germanie. Ma nel 1990 l’allora cancelliere Helmut Kohl si oppose alla rinegoziazione dell’accordo che avrebbe procurato un terzo default alla Germania. Anche questa volta Italia e Grecia acconsentirono di non esigere il dovuto. Nell’ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato del 1953 con il pagamento dell'ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. Senza l’accordo di Londra, la Germania avrebbe dovuto rimborsare debiti per altri 50 anni.

Il resto della storia è noto. E’ scritto nei sacrifici imposti dalla rigida posizione tedesca ai Paesi del Sud Europa che da anni combattono con una crisi che sembra senza fine. Fischer non ha dubbi. E punta il dito contro la sua connazionale Merkel: «Né Schmidt e né Kohl avrebbero reagito in modo così indeciso, voltandosi dall’altra parte come ha fatto la cancelliera. Avrebbero anzi approfittato della impasse causata dalla crisi per fare un altro passo avanti verso l’integrazione europea. La Merkel così distrugge l’Europa».



Quando fu l’Italia a condonare i debiti della Germania
Alessandro Fugnoli

https://www.startmag.it/mondo/italia-debiti-germania/

Il 27 febbraio 1953, a conclusione di un anno di lavori della Conferenza di Londra sul debito estero tedesco, l’Italia, insieme a 15 altri paesi, condonò alla Germania la metà dei debiti che questa aveva contratto tra il 1919 e il 1945. L’analisi di Alessandro Fugnoli, strategist dei fondi Kairos

Il 27 febbraio 1953, a conclusione di un anno di lavori della Conferenza di Londra sul debito estero tedesco, l’Italia, insieme a 15 altri paesi, condonò alla Germania la metà dei debiti che questa aveva contratto tra il 1919 e il 1945. Il pagamento dell’altra metà, pari a 16 miliardi di marchi, fu dilazionato nei trent’anni successivi. Per usare un’ulteriore cortesia verso chi aveva pur sempre provocato due guerre mondiali si stabilì che i rimborsi annuali non avrebbero mai superato il 3 per cento dell’export tedesco e sarebbero stati sospesi se la Germania si fosse trovata in passivo commerciale. Queste clausole fornirono ai creditori un forte incentivo a comprare prodotti tedeschi e accelerarono in modo decisivo la ricostruzione della parte occidentale del paese.

Quanto alle riparazioni della seconda guerra mondiale, si stabilì di rinviarne il pagamento all’unificazione tedesca, che nel febbraio 1953, con Stalin ancora in vita, appariva un evento impossibile. Quando l’unificazione si realizzò inaspettatamente nel 1990, il debito fu quasi completamente cancellato. Rimasero 239 milioni di marchi simbolici e pure questi furono dilazionati in vent’anni, tanto che la Germania finì di pagare nel 2010. La memoria storica tedesca, come quella di tutti, è selettiva. Ricorda certe cose e cerca di dimenticarne altre. Tra le cose che la Germania ricorda poco volentieri ne vogliamo citare due.

La prima è che l’atteggiamento della Troika dei creditori Stati Uniti-Gran Bretagna-Francia, che supervisionò l’economia tedesca dal 1919 alla prima fase della guerra fredda (con l’eccezione dei 13 anni del nazismo), fu sempre decisivo, nel bene e nel male, nell’indirizzare le sorti della storia tedesca. Quando la Troika fu dura e vendicativa la Germania cadde puntualmente nel caos e lo esportò nel mondo. Quando fu invece illuminata la Germania rifiorì in un attimo. Si consideri la storia della repubblica di Weimar, che spesso viene ricordata come un unico e che fu invece divisa in tre fasi completamente diverse tra loro. La prima, da Versailles all’iperinflazione (1919-1923), vide una Troika durissima e coincise non a caso con una serie infinita di tentativi di colpi di mano insurrezionali di destra e di estrema sinistra (questi ultimi con il rischio di una saldatura con la Russia rivoluzionaria che avrebbe cambiato la storia d’Europa).

Quando la Reichsbank, seguendo le suggestioni protokeynesiane del cartalismo, provò a lenire le pene della popolazione stremata stampando denaro senza limiti, l’inflazione che ne seguì ridusse ulteriormente la capacità della Germania di servire il suo debito estero. In un soprassalto di intelligenza la Troika prese atto della situazione e ridusse drasticamente le sue richieste di austerità. Insieme alla fine istantanea dell’iperinflazione questo produsse la seconda fase di Weimar (1924-1929), i luminosi Goldene Zwanziger della ripresa frenetica, dell’estrema vivacità politica e intellettuale e del modernismo radicale che ancora oggi ammiriamo. La luce si spense però di nuovo dal 1929 al 1933, quando le banche americane chiusero improvvisamente i rubinetti del credito e la Troika ricominciò a martellare la Germania per cercare di estrarne quello che poteva.

E così, mentre uno alla volta tutti iniziavano a svalutare per uscire dalla Grande Depressione, alla Germania si impose di mantenere la parità con l’oro, in modo da renderla meno competitiva e rubarle quote di mercato. Per rimanere competitiva a cambio fisso la Germania decise allora una svalutazione interna del 20 per cento, tagliando in pari misura le retribuzioni pubbliche e private, le pensioni e i servizi sociali. Poiché nessun partito volle prendere la responsabilità di queste misure, Hindenburg chiamò il tecnico Brüning e formò un governo del presidente che, avendo zero voti al Reichstag, governò esclusivamente per decreto. E qui veniamo al secondo punto che la memoria storica tedesca cerca di dimenticare, l’inflazione male relativo e la deflazione male assoluto.

La Germania ricorda ossessivamente a se stessa e al mondo l’iperinflazione del 1923 e con questa cerca di giustificare il suo sadomasochismo monetario e fiscale di oggi. Fa quasi capire che Hitler arrivò al potere per colpa dell’inflazione, quando i nazisti nelle due elezioni del 1924, con la ricchezza finanziaria completamente distrutta, si fermarono al 3 per cento (mentre i partiti di sistema furono largamente confermati) e scesero addirittura al 2 per cento nel 1928. I nazisti esplosero invece sotto l’austerità di Brüning e si presero il Reichstag nel 1933.

Mentre l’inflazione aveva colpito a morte i creditori ma aveva almeno fatto un enorme favore ai debitori (chi aveva un mutuo si trovò la casa regalata), la deflazione aveva colpito ricchi e poveri, industriali e operai, banche e depositanti. Abbiamo parlato di Germania, naturalmente, per parlare di Italia. Aleggiano nell’aria gli spettri della deflazione greca e dell’inflazione argentina, di una Troika pronta a un governo semicoloniale all’assalto della ricchezza privata o di un salto nel buio fuori dall’euro. Potremo sbagliare, ma al momento la vivacità dello spread da una parte e quello dei progetti di spesa del governo dall’altra sembrano soprattutto un grande flettere di muscoli e agitare di clave per prendere le misure dell’interlocutore. E così lo spread un giorno sale e il giorno dopo scende (facilitato nella volatilità dalla liquidità globale che comincia a dare i primi segni di affaticamento), mentre il governo lancia un ballon d’essai dopo l’altro e alterna toni feroci e toni miti e ragionevoli.

Dietro le quinte immaginiamo però una trattativa durissima già iniziata sul tre e qualcosa di disavanzo su cui, volendo, si potrebbe raggiungere un accordo velocemente se non ci fossero di mezzo facce da perdere o salvare ed elettori da perdere in Germania e guadagnare in Italia e viceversa. Nessuno, se ragionevole, vorrà spingersi fino alla rottura in tempi brevi. Le elezioni europee di marzo potrebbero iniziare a cambiare il volto del continente e dare una robusta minoranza alle forze antisistema. Al governo italiano potrebbe convenire aspettare di avere controparti più morbide in Europa e alle forze di sistema dovrebbe convenire non presentarsi alle e l e z i o n i c o n u n p r o g e t t o continentale al collasso.

Ma anche dopo il marzo 2019 sarà tutto da vedere se negare il 3 per cento all’Italia varrà davvero la fine dell’euro (o un euro a 1.50 in tempo di dazi per chi ci rimane dentro) e se, da parte italiana, accontentarsi di un 2.5 sia peggio che saltare nel vuoto. Dopo tutto, ci sono molte altre cose utili alla crescita che un governo che si dice del cambiamento potrebbe fare, a partire dalla deregulation, di cui però non si sente parlare. In attesa di risultati di trattative europee che potrebbero andare avanti anni, fa piacere vedere il tono positivo delle borse globali.

Non è tutto oro quel che luccica, tuttavia. C’è molta chiusura di posizioni esageratamente corte di bond ed esageratamente lunghe di petrolio che crea un effetto ottico di bond tranquilli e inflazione di nuovo calma. Questo effetto verrà meno tra qualche tempo, ma intanto è perfettamente legittimo goderselo. Con i Treasuries più rilassati la spinta rialzista sul dollaro si affievolisce. A impedire un recupero rilevante dell’euro sarà comunque la questione italiana, che nella nostra ipotesi, non si risolverà in tempi brevi. Proprio per questo la Bce andrà avanti lo stesso con il suo programma di azzeramento del Qe, ma si guarderà bene dall’alzare i tassi ancora a lungo e non proverà nemmeno a smontare il Qe come sta invece facendo la Fed.





L'accordo sui debiti esteri germanici, noto anche come accordo sul debito di Londra (in tedesco rispettivamente Abkommen über deutsche Auslandsschulden e Londoner Schuldenabkommen, in inglese Agreement on German External Debts e London Debt Agreement), è stato un trattato di parziale cancellazione del debito firmato a Londra il 27 febbraio 1953 tra la Repubblica Federale di Germania da una parte e Belgio, Canada, Ceylon, Danimarca, Grecia, Iran, Irlanda, Italia, Liechtenstein, Lussemburgo, Norvegia, Pakistan, Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Repubblica francese, Spagna, Stati Uniti d'America, Svezia, Svizzera, Unione Sudafricana e Jugoslavia dall'altra.

https://it.wikipedia.org/wiki/Accordo_s ... _germanici

I negoziati durarono dal 27 febbraio all'8 agosto 1953[1]. Il trattato, ratificato il 24 agosto 1953, impegnava il governo della Repubblica federale di Germania sotto il cancelliere Konrad Adenauer a rimborsare i debiti esterni contratti dal governo tedesco tra il 1919 e il 1945 ed era accoppiato al concordato sul rimborso parziale dei debiti di guerra alle tre potenze occidentali occupanti. Furono prese in considerazione le esigenze di 70 Stati, 21 dei quali provenienti direttamente dai partecipanti ai negoziati e firmatari del contratto; i Paesi del blocco orientale non vennero coinvolti e le loro richieste furono ignorate.

In fase di negoziazione, il totale ammontava a 16 miliardi di marchi di debiti degli anni 1920 inadempiuti negli anni 1930, ma che la Germania decise di rimborsare per ristabilire la sua reputazione. Questa somma di denaro venne pagata ai governi e alle banche private di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Altri 16 miliardi di marchi erano rappresentati da prestiti del dopoguerra dagli Stati Uniti. Sotto la negoziazione di Hermann Josef Abs, la delegazione tedesca raggiunse un elevato livello di riduzione del debito: con l'accordo di Londra infatti l'importo da rimborsare fu ridotto del 50% a circa 15 miliardi di marchi e dilazionato in più di 30 anni, il che, rispetto alla rapida crescita dell'economia tedesca, ha avuto un minore impatto[2].


Conseguenze economiche e politiche

L'accordo contribuì in modo significativo alla crescita del secondo dopoguerra dell'economia tedesca e al riemergere della Germania come potenza mondiale economica e permise alla Germania di entrare in istituzioni economiche internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale del Commercio.

L'accordo normava anche i debiti delle riparazioni della seconda guerra mondiale e questi furono messi in correlazione con la riunificazione tedesca (evento che nel 1953 sembrava lontano e non certo). Fu stabilito che i debiti sarebbero stati congelati fino alla riunificazione della Germania. Quando nel 1990 questo evento si verificò i suddetti debiti furono quasi del tutto cancellati, questo per permettere al nuovo stato di gestire una costosa e difficile riunificazione. Del totale rimasero operative solo delle obbligazioni per un valore di 239,4 milioni di marchi tedeschi che furono pagati a rate. Il 3 ottobre 2010 la Germania terminò di rimborsare i debiti imposti dal trattato[4] con il pagamento dell'ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro.
Dopo la fine della guerra fredda, tra il 1991 e il 1998 furono firmati degli accordi bilaterali di compensazione - simili a quelli degli anni '60 con i paesi occidentali[6] - con la Polonia, la Russia, l'Ucraina, la Bielorussia, l'Estonia, la Lettonia e la Lituania.
Alle richieste del Governo Tsipras nel 2015, la Germania rispose che considerava la questione dei risarcimenti per l'occupazione nazista nella seconda guerra mondiale politicamente e legalmente risolta, stanziando un contributo di un milione di euro per tre anni per gli scambi (culturali) dei giovani greci. Contestualmente, la Merkel negò il piano di salvataggio da 240 miliardi di euro delle banche e l'iniezione di denaro fresco da parte dell'Europa necessario alla sopravvivenza di breve termine delle finanze pubbliche locali, se non a patto di «riforme strutturali, un bilancio solido e un'amministrazione funzionante» Tsipras tranquillizzò gli investitori tedeschi, affermando che non avrebbe adottato nessuna limitazione dei diritti alla proprietà privata nell'ambito della sovranità nazionale. Ad aprile del 2019, la Grecia ha anticipato nuovamente alla stampa l'intenzione di chiedere 270 miliardi di euro alla Germania , a titolo di riparazione dei danni morali e materiali di guerra e delle opere trafugate oltreconfine.


Il piano Dawes fu un piano di natura economica per la risoluzione del problema delle riparazioni di guerra stabilite dal Trattato di Versailles a carico della Germania: tale piano, che deve il nome al suo ideatore, Charles Gates Dawes, venne approvato nel 1924.

https://it.wikipedia.org/wiki/Piano_Dawes

Il piano Dawes permise alla Germania di riprendere il pagamento delle riparazioni di guerra (della prima guerra mondiale) e di tornare al gold standard nel 1924.
Il Rentenmark, che aveva contribuito a bloccare l'inflazione, venne sostituito da una nuova valuta, legata teoricamente all'oro alla parità del 1870, il Reichsmark. I provvedimenti presi dal governo per il risanamento furono efficaci: la ripresa fu ininterrotta, e già nel 1925 se ne poterono constatare i risultati.
Con la Grande depressione, però, i prestiti statunitensi vennero a mancare, e la Germania ricadde in una crisi ancora peggiore della precedente, tanto che nel 1932 la Conferenza di Losanna ratificò l'impossibilità da parte tedesca di sopperire ai debiti di guerra.[4]
L'impossibilità di fare fronte ai debiti, uniti alla grande crisi e alle umilianti condizioni del Trattato di Versailles rovinarono la Germania nella miseria e nello sconforto, influenzando così il nascere dell'autarchia e del Nazismo, e prepararono il terreno per l'ascesa di Adolf Hitler al potere.








La Germania perse i 9/10 del valore dei risparmi e dei patrimoni monetari privati dei suoi cittadini

Iperinflazione nel secondo dopoguerra in Germania i risparmi privati perserò 9/10 del loro valore.

https://it.wikipedia.org/wiki/Iperinflazione


Al termine della seconda guerra mondiale la Germania era praticamente da ricostruire per intero. Privata delle miniere della Slesia, in quanto la regione era passata sotto la Polonia e privata di gran parte della costa sul Mar Baltico, passata sotto l'URSS (Prussia Orientale) e sotto la Polonia (Pomerania e Prussia Occidentale), la Germania venne ulteriormente divisa in quattro zone di occupazione tra il 1945 ed il 1948. A causa del progressivo peggioramento dei rapporti reciproci tra le potenze vincitrici del conflitto, sorsero due nuovi stati tedeschi, la Repubblica Federale di Germania (BRD) sui territori occupati da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, e la Repubblica Democratica Tedesca (DDR) nella zona d'occupazione sovietica. Mentre nella DDR l'inflazione non si manifestò a causa della collettivizzazione delle terre, del controllo statale sugli istituti bancari e sul mercato dei beni (peraltro a lungo razionati), nella Repubblica Federale Tedesca si procedette alla conversione della moneta nazionale che si era fortemente svalutata nel biennio 1946 - 1948 anche a causa del cosiddetto "mercato nero". Nel giugno 1948 – con la Germania ridotta in rovine e la produzione industriale ritornata ai livelli del 1840 – Ludwig Erhard avviò la riforma monetaria atta a rimuovere l'eccesso di circolante monetario.

Al Reichsmark fu sostituito il Deutsche Mark; la Reichsbank venne privatizzata e divenne la Bundesbank; i depositi bancari, il cui titolo di proprietà era legittimo e certo furono convertiti al tasso 10:1. In pratica, dalla sera alla mattina, il governo non riconobbe più il valore legale del Reichsmark, che doveva essere necessariamente convertito nella nuova unità monetaria, e ridusse di dieci volte il potere di acquisto dei patrimoni monetari. Venne rimossa gran parte del circolante dal territorio nazionale e venne inaugurata una forma di emissione monetaria controllata (si stampava ex novo soltanto l'aliquota di carta moneta ritirata dal mercato in quanto usurata) in modo da mantenere costante l'ammontare del circolante. Ad ogni cittadino furono distribuiti, inoltre, quaranta nuovi marchi, che costituirono la base per l'incremento dei nuovi patrimoni. Il vecchio denaro non valeva più nulla e quello nuovo non poteva esser convertito in altre valute fino al 1958, quando in tutta Europa si ritornò al cambio libero tra le monete in regime di piena convertibilità.


Alla demenziale e farlocca Italia va ricordato che nella Prima guerra mondiale inizialmente l'Italia era alleata, alla Germania e all'Austria poi neutrale e dopo nemica e che nella Seconda guerra mondiale l'Italia era alleata della Germania.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:20 pm

La crisi economico-finanziaria della Grecia, colpa dei greci e non di altri
Ricordiamo a titolo di cronaca finanziaria, il problema della Grecia è la Grecia stessa, con il primo posto in Europa per corruzione, evasione fiscale ed economia sommersa, oltre al sistematico ricorso alla spesa pubblica per clientelismo e malcostume politico.
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =94&t=1590


Altro che colpa della Germania:
https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_eco ... lla_Grecia
La crisi economica della Grecia è parte della crisi del debito sovrano europeo. La crisi inizia ufficialmente nell'autunno del 2009, quando il neo primo ministro George Papandreou rivela pubblicamente che i bilanci economici inviati dai precedenti governi greci all'Unione europea erano stati falsificati con l'obiettivo di garantire l'ingresso della Grecia nella Zona Euro.




La Germania fu costretta ad accettare l'euro in cambio della riunificazione
17 settembre 2009 (MoviSol)
http://movisol.org/09news172.htm

L'11 settembre il Foreign Office britannico ha rilasciato documenti secretati, che confermano che nel 1990 l'allora Primo ministro Margaret Thatcher e il Presidente francese Mitterrand esigettero che la Germania sacrificasse la sovranità nazionale, attraverso l'integrazione europea, come precondizione per la riunificazione dopo la caduta del Muro di Berlino.

Secondo il Süddeutsche Zeitung del 5 settembre, che ha visionato in anticipo le carte, che coprono il periodo che va dall'aprile 1989 al novembre 1990, "l'accettazione di una moneta unica europea da parte della Germania fu il prezzo che Mitterrand esigé, e ottenne, da Kohl per l'unificazione". In quel modo, la Germania perse l'occasione storica di usare la caduta del Muro per lanciare grandi progetti per lo sviluppo industriale sia dell'Europa orientale che occidentale, come propose il movimento di LaRouche a quel tempo (cfr. il "Triangolo Produttivo Parigi-Berlino-Vienna"). Al suo posto, sotto i criteri suicidi del Trattato di Maastricht, la Germania procedette a smantellare la sua economia produttiva, in modo da calmare le paure degli interessi anglo centrici, al pari degli altri membri dell'UE.

Benché gli atti diplomatici britannici siano di solito secretati per 30 anni, il Foreign Office ha deciso di pubblicare le circa 500 pagine dopo soli due decenni. Secondo il Financial Times del 10 settembre, "La decisione del FO di pubblicare le carte, dopo un anno di deliberazioni dei funzionari di Whitehall, viene vista come un tentativo britannico di chiarire le posizioni e mostrare che i diplomatici inglesi erano favorevoli alla riunificazione, a dispetto delle apprensioni personali della signora Thatcher".

In effetti, nelle rivelazioni non c'è nulla di nuovo, ma vengono pubblicate ora per motivi interni all'establishment britannico. Come questa newsletter ha riportato spesso, Francois Mitterrand e il Presidente USA George H.W. Bush si mossero in consonanza con la campagna britannica contro il "Quarto Reich", per contenere la Germania. Helmut Kohl lo ha ammesso, descrivendo il "regno del terrore" imposto sul suo governo.

Naturalmente la signora Thatcher era la più rumorosa del trio, in modo quasi caricaturale. Il SDZ riferisce che in un seminario alla fine di marzo 1990, la Lady di Ferro fece una sfilza di domande, per finire con: "Ma i tedeschi sono veramente cambiati, o sono rimasti gli stessi Unni di una volta?"

Le sue uscite facevano comunque parte di una strategia generale decisa dall'Impero Britannico nei confronti dell'Europa, espressa allora da Robert Cooper, attualmente assistente di "Mister PESC" Javier Solana. L'approccio consisteva nel contenere la Germania sia attraverso l'UE che la NATO, in modo di trasformare l'Europa nell'alfiere del neoimperialismo liberale teorizzato da Cooper. Il processo iniziò con un bagno di sangue nei Balcani, e poi continuò in altre parti del mondo. Oggi non solo la Germania, ma anche paesi europei neutrali partecipano ad avventure militari neocoloniali, che vedono nell'Afghanistan il progetto pilota. Nel frattempo, i britannici si vantano di come l'UE e la NATO abbiano garantito la pace… in Europa.






Riunificazione: Una moneta, una Germania
Der Spiegel
"Niente euro, niente Berlino". Helmut Kohl e François Mitterrand.

http://www.voxeurop.eu/it/content/artic ... a-germania

L'abbandono del marco e l'adesione al progetto dell'euro sono state il prezzo pagato dal governo tedesco per il via libera di Parigi all'annessione dell'Rdt? Alcuni documenti riservati gettano nuova luce sulle trattative tra Kohl e Mitterrand.

Il padre dell'unità tedesca è arrabbiato. Wolfgang Schäuble, ministro dell'interno sotto Helmut Kohl e caponegoziatore del trattato di unificazione, non ha parole per esprimere la sua ira. Ha in mano un libro di Peer Steinbrück, ex capo dell'Spd. Cos'è che ha fatto infuriare Schäuble? Una piccola frase del secondo capitolo, ben nascosta in un lungo studio sul "toro zoppo" d'Europa. "L'abbandono del marco tedesco in cambio di un euro stabile è stata una delle concessioni che hanno aperto la strada alla riunificazione tedesca".

"Non abbiamo mai fatto un accordo del genere", afferma Schäuble, anche se Steinbrück è convinto del contrario. Chiunque sia in contatto con il governo francese potrà confermarlo con certezza, spiega l'ex dirigente Spd. Per esempio Hubert Védrine, all'epoca consigliere del presidente Mitterrand, è convinto che il presidente francese non avrebbe approvato l'ampliamento della Repubblica federale tedesca se i tedeschi non avessero ceduto sull'unione monetaria. "Mitterrand non voleva una riunificazione tedesca senza un progresso nell'integrazione europea", spiega Védrine. "E il solo settore in cui questo era possibile era quello monetario".

Non si tratta solo di una disputa politica, ma di un giudizio storico sui principali progetti del governo federale degli ultimi decenni. E se la versione francese dovesse rivelarsi fondata, l'informazione avrebbe delle ripercussioni sulle celebrazioni nazionali tedesche e anche l'euro potrebbe risentirne, poiché dopo il piano di salvataggio della Grecia la moneta europea non gode di grande popolarità. Alcuni critici, come l'ex cancelliere Gerhard Schröder, avevano già definito l'euro "un bambino prematuro dalla salute cagionevole". E adesso potrebbero dire che la moneta europea è stata imposta ai tedeschi.

I documenti – finora confidenziali – degli archivi del ministero degli esteri mostrano che all'epoca la situazione era molto più complicata di quanto si pensasse. In Europa occidentale stava per formarsi una grande alleanza contro la riunificazione tedesca, e l'asse Roma-Parigi rischiava di rompersi. Mitterrand aveva fatto capire chiaramente al governo di Bonn che avrebbe potuto trovarsi isolato "come nel 1913".

Fino alla rapida evoluzione di fine 1989, il dibattito sulla moneta unica seguiva il solito ritmo di Bruxelles, contrassegnato dalla lentezza. Ogni tentativo si scontrava con gli interessi contrastanti dei paesi inflazionisti del sud e i loro rigorosi partner tedesco e olandese. Nel frattempo i francesi mal soffrivano il dispositivo monetario allora in vigore, che consideravano un sistema a due velocità a loro sfavorevole. "Il marco è per la Germania quello che la bomba atomica è per la Francia, ", si diceva all'epoca nei corridoi dell'Eliseo.

Ma ecco che improvvisamente una questione torna in primo piano a livello internazionale, un'idea che anche i negoziatori dell'epoca giudicavano ancora più utopica della moneta unica europea: la riunificazione tedesca. Alla fine del novembre 1989, Kohl presenta il suo progetto di confederazione tedesca in dieci punti per permettere "al popolo tedesco di scegliere liberamente di ritrovare la sua unità".

I partner occidentali non erano stati informati in precedenza ed è probabile che Kohl abbia voluto forzare la mano per imporre la riunificazione. Quando Mitterrand sente le sue parole ha "un lieve accesso di rabbia che dura alcune ore", ricorda un suo consigliere. Il seguito degli eventi mostra bene come il presidente francese si sia sentito tradito. Il ministro degli esteri tedesco, Hans-Dietrich Genscher, è convocato all'Eliseo. L'incontro è memorabile, e mostra meglio di qualunque documento confidenziale quanto il sostegno di Mitterrand all'unità tedesca fosse legato a una concessione tedesca sull'unione monetaria.

Mitterrand minaccia di opporre il suo veto alla riunificazione della Germania. Bonn non avrebbe avuto contro solo il premier britannico Margaret Thatcher. Il ministro degli esteri tedesco si mostra ragionevole e si assume un impegno non trascurabile. "È necessario prendere una decisione a Strasburgo sulla conferenza intergovernativa per preparare l'unione monetaria ed economica", risponde Genscher.
Una vittoria per tutti

L'8 dicembre 1989, quando Kohl e Genscher entrano nella sala conferenze di Strasburgo, sono accolti da un silenzio glaciale. Solo con grande difficoltà riescono a ottenere il sostegno alla riunificazione tedesca dai loro partner europei. In cambio viene approvato il calendario francese per l'unione monetaria. Impossibile però parlare di un'unione politica.

Poi le cose procedono molto rapidamente. Nell'estate 1990 la Repubblica federale e la Repubblica democratica tedesca firmano l'accordo di riunificazione e il 3 ottobre l'Europa accoglie la nuova Repubblica federale tedesca. In dicembre i capi di stato e di governo europei si riuniscono a Roma per lanciare la conferenza intergovernativa sull'unione monetaria. E quando nel febbraio 1992 gli stati membri firmano il trattato di Maastricht, che prevede l'introduzione dell'euro, Genscher esprime tutta la sua soddisfazione: "Per me questa decisione rappresenta la concretizzazione della promessa fatta durante i negoziati sulla riunificazione".

L'abbandono del marco era quindi il prezzo da pagare per la riunificazione? Non c'è dubbio che il crollo del potere nella Ddr ha affrettato l'entrata del progetto europeo in una fase decisivaa. "Forse l'unione monetaria europea non sarebbe stata mai realizzata senza la riunificazione tedesca", sostiene l'ex capo della Bundesbank, Karl Otto Pöhl.

Di fatto questa concessione ha finito per favorire entrambi i capi di stato: lasciando alla Germania ovest la possibilità di riunirsi con l'est, Mitterrand ha aiutato Kohl a diventare il cancelliere della riunificazione; in cambio Kohl ha promesso di abbandonare il marco tedesco, una delle più grandi vittorie della presidenza Mitterrand. (traduzione di Andrea De Ritis)



L’Ue e l’Euro, nati per fermare l’egemonia tedesca, potrebbero trasformarsi nel Quarto Reich?
24/06/2012

https://candidonews.wordpress.com/2012/ ... arto-reich


In tempo di crisi dell’Euro, molti osservano con criticità il ‘rigorismo’ tedesco e non pochi accusano la Germania di tentare una egemonia sull’Europa, non piu fatta con i carri armati ma attuata a suon di ‘spread’, ‘deficit’ e fiscal compact.

Eppure dovremmo analizzare meglio le ragioni della nascita dell’Euro per capire i contrasti odierni tra mezza Europa ed i tedeschi. Il progetto di Moneta Unica, nato nella seconda metà del secolo scorso, fu portato ad attuazione proprio ‘a causa’ della Germania, o meglio a causa della riunificazione tedesca.

Quando, nel 1989, cadde il Muro di Berlino e fu avviato il processo politico verso l’unificazione della Repubblica Federale e la DDR, i principali cancellierati europei vivevano con preoccupazione lo svolgersi degli eventi. Se i leader europei, in pubblico, diffondevano parole di approvazione per il progetto della Germania unita, nei colloqui privati avanzavano forti dubbi se non piena ostilità al piano di Kohl.

In un incontro ufficiale tra il Presidente francese Francois Mitterand ed il Primo ministro britannico Margaret Thatcher, svoltosi sul finire del 1989, i due affrontarono lo spinoso ‘affaire tedesco’ e le loro riflessioni furono alquanto critiche. Si temeva una nuova ‘Grande Germania’ , sulla falsa riga del terzo reich di Hitler:

«Prenderanno più terra di Hitler», dice Francois Mitterrand. «Cantano Deutschland über alles, che orrore», dice Margaret Thatcher.

Era noto che Gran Bretagna e Francia si opposero e poi accettarono con diffidenza la riunificazione della Germania, dopo la caduta del muro di Berlino.

Dicembre 1989. Il muro è caduto da un mese. Il premier britannico e il presidente francese si incontrano a Strasburgo. Mitterrand parla male di Kohl, dice che il cancelliere non capisce la sensibilità di altre nazioni rispetto al passato nazista e alle ambizioni della Germania, lo accusa di strumentalizzare sentimenti «nazionalisti». Gennaio 1990. I due leader pranzano all’ Eliseo. Mitterrand dice che la riunificazione farà riemergere i tedeschi «cattivi» che un tempo dominavano l’ Europa. Se Kohl farà quel che vuole, aggiunge, la Germania potrebbe conquistare «più territorio di quello preso da Hitler, e l’ Europa ne pagherà le conseguenze». La Thatcher, per parte sua, reagisce con «orrore» alla notizia che i deputati del parlamento di Bonn, appresa la caduta del muro, hanno cantato in coro Deutschland über alles; e si dice «allarmata» che l’ ambasciatore britannico a Bonn giudichi con favore la riunificazione.

L’ex Presidente dell’URSS Gorbaciov ha dichiarato che Francia e Gran Bretagna, ai tempi del crollo del muro, gli chiesero di invadere la DDR pur di impedire la riunificazione tedesca.

Il presidente francese François Mitterrand e la premier britannica Margaret Thathcer chiesero a Mikhail Gorbaciov di impedire con la forza la riunificazione della Germania, occupando militarmente Berlino e dispiegando le divisioni corazzate dell’Armata Rossa nella allora Repubblica Democratica Tedesca, guidata da Erich Honecker.


Francia e Inghilterra, rivela l’ex leader dell’Urss, volevano che Mosca impiegasse la forza militare contro la Germania. «Vennero tutti da me, uno dopo l’altro, a chiederlo apertamente». Pretendevano l’impiego dell’esercito sovietico in Germania, delle «truppe di Gorbaciov». L’ultimo incontro, con Mitterrand, a Kiev. Il capo del Cremlino resistette: «Voleva dire far scorrere molto sangue», vedere «i carri armati fuori dalle caserme, in marcia su Berlino», assistere allo spettacolo dell’Europa «in mano ai militari da oriente a occidente, armati fino ai denti, due milioni per parte».

Alla fine però prevalse il buonsenso ed anzi la Francia, da ‘nemica’ della riunificazione divenne il principale alleato della Repubblica tedesca unificata:

Mitterrand, osserva il quotidiano finanziario, fu più abile: divenne il migliore amico di Kohl, rinsaldò l’ alleanza franco-tedesca e usò l’ appoggio francese alla riunificazione per ottenere la rinuncia della Germania al marco e l’ accettazione dell’ euro. Che, senza la Germania unita, forse non sarebbe mai nato.

Quindi l’Euro è nato proprio per ‘impedire’ alla Germania, nuovamente unita, di dare il via ad una nuova politica espansionistica. Un ‘baratto’ , il Marco in cambio dell’Euro. I tedeschi però ci guadagnano eccome. Alcuni ipotizzano che gli alti costi della riunificazione siano stati pagati proprio da noi cittadini europei, grazie all’Euro. Come? Leggete qui:

Il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino e il potente cancelliere tedesco Helmut Kohl si trova ad affrontare un difficile e costoso processo di riunificazione fra la più moderna Germania Federale e l’arretrata Germania Democratica. Gli squilibri fra questi due paesi sono enormi: basta citare un solo dato per avere un’idea, la disoccupazione nella DDR è al 20% e la sua industria è praticamente ferma in termini di sviluppo e innovazione ai primi anni del dopoguerra. Ci sono città intere da ricostruire da zero come la stessa Berlino Est, Dresda, Lipsia. Secondo alcune stime recenti i costi totali della riunificazione tedesca sono stati circa 1.500 miliardi di euro. Un’enormità
….
La Germania Federale può contare su un ottimo tessuto industriale, basato sulla chimica, l’industria pesante, l’automotive, ma malgrado l’indubbia caratteristica di affidabilità e resistenza i prodotti tedeschi risultano ancora molto costosi rispetto ad analoghi prodotti delle industrie italiane, francesi, spagnole, che potendo appoggiare le vendite su una moneta più debole del marco, sono sicuramente più avvantaggiate nelle esportazioni. Italia e Spagna soprattutto, considerati dai tedeschi dei veri e propri stati canaglia per la loro aggressività competitiva, hanno ancora una loro piena sovranità monetaria e possono agire liberamente (tramite il supporto tecnico della propria banca centrale di emissione) sulla leva delle svalutazioni competitive esterne della moneta nei confronti del marco per migliorare il livello delle esportazioni e riequilibrare eventuali squilibri della bilancia dei pagamenti.
….

Il cancelliere Kohl stringe un patto di ferro con il presidente francese Mitterand e il processo di unificazione monetaria europea subisce un’accelerazione impressionante: già nel 1992 vengono firmati a Maastricht i Trattati di Funzionamento dell’Unione Europea. Il proposito del cancelliere Kohl è abbastanza chiaro a chiunque tranne che ai governanti dei paesi coinvolti nell’accordo, spalmare gli enormi costi dell’unificazione tedesca sui paesi della periferia dell’Europa, che a causa delle loro beghe interne politiche (ingovernabilità, corruzione) e di bilancio (elevati debiti pubblici) o per paura di rimanere isolati sono costretti loro malgrado o per interessi particolari ad aderire al progetto franco-tedesco di unificazione monetaria. Paesi più stabili economicamente e politicamente come Gran Bretagna, Svezia e Norvegia non pensano neanche per un attimo ad unirsi a questa grande ammucchiata, in cui era molto prevedibile che prima o dopo la grande Germania avrebbe fatto un massacro.

Quindi la politica espansionistica della Germania, che la Francia ha cercato di fermare tramite la creazione dell’Euro, è stata solo rimandanta. Dopo anni passati a ‘risanarsi’ ed a potenziare la propria economia sfruttando la parziale debolezza dell’Euro, ora forse si è passati alla fase 2, ovvero ‘uccidere’ uno per uno le economie gli stati ad alto debito, quei PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) che hanno consentito alla Germania di rafforzarsi perche con le loro debolezze strutturali non permettavano all’Euro di poter intralciare le esportazioni tedesche. La Germania ‘campione’ del rigore, tornata ad essere la Locomotiva d’Europa, sta quindi tornando alla sua ‘storica’ politica di espansione. Senza carri armati ma a colpi di ‘spread’.

La storia ci insegna che la Germania ha alternato periodi di forza a momenti di debolezza o comunque di frammentazione politica. Alla fine del Sacro Romano Impero (il Primo Reich) durato quasi mille anni (962-1806) e che aveva visto il popolo tedesco, seppur diviso in centinaia di principati e staterelli, protagonista nell’egemonia del Continente era seguita una fase di divisioni, ovvero la Confederazione Germanica creata dal Congresso di Vienna nel 1815, dopo le rivoluzioni napoleoniche e che riuniva 39 piccoli stati sovrani tedeschi.

Ben presto però si arrivò alla creazione dell’Impero tedesco, (il Secondo Reich), nato nel 1871. Un impero forte e combattivo, la cui espansione fu la principale causa dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, poi persa. Alla fine della guerra la Germania visse un periodo di forte debolezza con la Repubblica di Weimar (1919-1933), nata sulle ceneri del Secondo Reich e che portò il paese alla crisi finanziaria.

Dalle ceneri di Weimar nacque il Terzo Reich di Adolf Hitler con tutta la follìa che ne è seguita, Seconda Guerra Mondiale compresa. Il resto è storia recente, i quarantanni di divisione tedesca terminati nel 1990 con la riunificazione. Poi l’Euro, il ‘rigorismo’ e l’intrasigenza di Angela Merkel nell’impedire il pieno soccorso alle economie europee in difficoltà.

Dopo il Primo Reich del Sacro romano impero, il Secondo Reich di Gugliemo II ed il Terzo Reich di Hitler, l’Unione Europea può diventare il Quarto Reich della Germania? Al momento non è proprio così, anche se le premesse ci sono tutte. E purtroppo il ciclo di espansione tedesca si è sempre concluso con una sanguinosa Guerra.




Ecco come l’Europa cancellò il debito della Germania
10 marzo 2015 in Economia, Europa, Storia

https://keynesblog.com/2015/03/10/europ ... nia-grecia



Gli accordi sul debito di Londra (1953) dimostrano che i governi europei sanno come risolvere una crisi da debito coniugando giustizia e ripresa economica. Ecco quattro lezioni esemplari, utili nell’attuale crisi del debito greco.

Il 27 febbraio 1953 fu siglato a Londra un accordo che cancellava la metà del debito della Germania (all’epoca la Germania Ovest). 15 miliardi su un totale di 30 miliardi di Deutschmarks*.

Fra i paesi che accordarono la cancellazione c’erano gli Stati Uniti, l’Inghilterra e la Francia, assieme a Grecia, Spagna e Pakistan (paesi che sono oggi fra i più importanti debitori). L’accordo copriva anche il debito di privati e società. Dopo il 1953, altri paesi firmarono l’accordo per cancellare il debito tedesco: l’Egitto, l’Argentina, il Congo Belga (oggi Repubblica Democratica del Congo), la Cambogia, il Cameroun, la Nuova Guinea, la Federazione di Rodesia e il Nyasaland (oggi Malawi, Zambia e Zimbabwe). (1)
Il debito Tedesco risaliva a due periodi storici: gli anni precedenti la prima guerra mondiale e quelli immediatamente successivi alla seconda. Circa la metà derivava da prestiti che la Germania aveva contratto durante gli anni ’20 e i primi anni ’30 (prima dell’ascesa dei nazisti al potere), e che furono usati per pagare i danni di guerra imposti nel 1919 dal trattato di Versailles. Si trattava del lascito delle colossali riparazioni dei danni di guerra imposte al paese dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale.
L’altra metà del debito era legata alle spese di ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale.

Nel 1952, il debito della Germania detenuto da paesi esteri ammontava al 25% circa del reddito nazionale. Si tratta di un debito relativamente contenuto rispetto alle cifre di oggi: Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo hanno tutte un debito verso creditori esteri superiore all’80% del PIL. La Germania Ovest doveva affrontare enormi spese per la ricostruzione, ma le riserve di valuta estera erano scarse. La delegazione tedesca alla conferenza sostenne con successo la tesi che i rimborsi del debito sarebbero cresciuti vertiginosamente nell’immediato futuro, e che ciò avrebbe gravemente ostacolato la ricostruzione. In seguito all’annullamento del debito, la Germania Ovest visse un ‘miracolo economico’ trainato da una vasta opera di ricostruzione, e forti incrementi del reddito e delle esportazioni. Questa stabilità contribuì alla pace e alla prosperità in Europa.
I creditori della Germania Ovest erano ben disposti a stabilizzare il quadro politico ed economico del paese, per rafforzare un ‘bastione contro il comunismo’. Questo sottinteso politico spinse i creditori ad affrontare con un approccio illuminato la questione del debito; approccio purtroppo assente nelle crisi di debito degli ultimi trent’anni – America Latina e Africa (anni ’80 e anni ’90); estremo oriente (metà anni ’90); Russia e l’Argentina (alla soglia del millennio) e oggi l’Europa. In tutte queste crisi, la Germania si è trovata fra i creditori, com’è crudamente emerso nel corso della crisi europea del debito.
Oltre all’entità del debito cancellato, molti altri aspetti degli accordi sul debito di Londra furono di sicuro vantaggio per la Germania; i principî che li ispirarono potrebbero essere applicati al caso degli attuali paesi debitori.

1) Imposizione di limiti espliciti al rimborso del debito
Innanzitutto fu abilmente richiesto (e ottenuto) che il rimborso del debito della Germania Ovest procedesse solo in caso di eccedenza commerciale. In caso di deficit commerciale, non sarebbe stato effettuato nessun pagamento. In altre parole, il governo avrebbe rimborsato il debito unicamente con risorse effettivamente disponibili, invece di ricorrere a nuovi prestiti o utilizzando riserve di valuta estera. Questo meccanismo evitò una nuova recessione o una lunga stagnazione. Inoltre, nell’ipotesi di una bilancia commerciale in passivo, la Germania Ovest era autorizzata a limitare le importazioni.
Se i paesi creditori volevano recuperare i loro prestiti, erano quindi indotti ad importare merci dalla Germania. Il meccanismo che permise di procedere in questo senso fu la rivalutazione contro il marco delle divise dei paesi creditori: con un marco ‘debole’ le merci prodotte in Germania erano più convenienti sui mercati esteri. L’effetto fu una rapida crescita delle esportazioni tedesche, che permise al paese di ripagare il debito residuo. D’altra parte, i paesi creditori riorientarono di fatto le loro politiche economiche interne, spingendo verso maggiori importazioni (e quindi sostenendo i consumi), invece di costringere i debitori ad applicare politiche di austerità. [Quest’ultima è la via scelta dalla Germania attuale, che parallelamente insiste sul mercantilismo e deprime i consumi interni, n.d.t.]

Deficit, surplus e debito
Se un paese esporta più di quello che importa, ha un eccedenza commerciale (o surplus). Ciò comporta un reddito in eccesso, che non è speso in beni importati. Quest’eccesso servirà a riassorbire debito, oppure si trasformerà in credito verso altri paesi, che a loro volta s’indebiteranno.
Se un paese è in deficit commerciale, importa più di quanto esporta. È quindi costretto a contrarre dei debiti con altri paesi, o a mettere in vendita il suo patrimonio.
I debiti tra paesi sono insomma causati da (o causano a loro volta) deficit e surplus nelle bilance commerciali. Perché un paese possa essere in surplus, deve esisterne un altro con un deficit. Più le bilance commerciali sono in equilibrio, più stabile è l’economia mondiale.
Perché un debito possa essere rimborsato, i paesi debitori devono essere in surplus, e i paesi creditori devono trovarsi in deficit commerciale. È molto difficile per i paesi debitori raggiungere un eccedenza di bilancia commerciale, se i creditori non sono disposti ad accettare disavanzi.
Non è teoricamente possibile che tutti i paesi siano in surplus, a meno che il pianeta Terra non si metta a commerciare con un altro pianeta.

La bilancia commerciale della Germania Ovest fu ampiamente in attivo durante il periodo di rimborso del debito, e così la clausola limitativa non venne mai applicata. Ma la sua sola esistenza permise di ricostruire l’economia tedesca e sostenere le esportazioni, creando un potente incentivo ad acquistare merci provenienti dalla RFT, e permettendo la svalutazione del marco rispetto alle altre divise.
La competitività della Germania e la svalutazione del marco segnarono tutto il periodo del rimborso del debito, e finirono per vincolare gli altri paesi dell’Eurozona con la creazione dell’euro negli anni ’90. Negli anni ’50 e ’60, le eccedenze commerciali della Germania Ovest permisero il rimborso del debito; negli anni più recenti, hanno invece contribuito ad aumentare il debito di altri paesi, come la Grecia, l’Irlanda, la Spagna ed il Portogallo.
Grazie alla cancellazione del debito e alla riduzione dei tassi d’interesse, i pagamenti assorbiti dal rimborso costituivano il 2,9% delle esportazioni nel 1958 (il primo anno del risarcimento) e si ridussero con la crescita del surplus. A titolo di confronto, l’FMI e la Banca Mondiale considerano ‘sostenibili’ per i paesi più poveri rimborsi del debito dell’ordine del 15%-25% del valore delle esportazioni.
Nel 2015, l’FMI prevede che la Germania avrà un’eccedenza commerciale pari al 5,8% del PIL, quando invece potrebbe importare merci dai paesi creditori, per aiutarli ad uscire dalla crisi. [Il surplus commerciale tedesca ha violato ripetutamente i criteri della Macroeconomic Imbalance Procedures — MIP. Ma per ora le sanzioni non sono state applicate alla Germania, n.d.t.]
Inoltre, come prima ricordato, i rimborsi attuali del debito sono molto più elevati (in termini di percentuale rispetto al valore delle esportazioni) di quanto pagato dalla Germania Ovest al ritmo massimo dei pagamenti. Attualmente, i rimborsi del governo greco sono dell’ordine del 30% delle sue esportazioni (2).
Situazioni simili si presentano per i paesi più indebitati del sud del mondo: il Pakistan, le Filippine, El Salvador e la Jamaica spendono fra il 10% e il 20% per cento delle loro esportazioni per ripianare i loro debiti esteri (3). Questi valori non comprendono i rimborsi dei debiti privati.

2) Coinvolgimento di tutti i tipi di creditori
Tutti i creditori furono coinvolti nel programma di ristrutturazione, sia gli stati, sia i privati, ai quali furono applicati gli stessi criteri. Questo per limitare gli effetti dei contenziosi eventualmente aperti dai privati per disparità di trattamento.
Ben diverso è stato l’approccio delle ristrutturazioni del debito più recenti. Il programma di normalizzazione del debito dei paesi poveri (Heavily Indebted Poor Countries initiative, HIPC), che ha cancellato 130 miliardi di dollari di debiti a 35 paesi fra i più poveri del mondo (anni 2000), ha riguardato unicamente i debiti verso istituzioni internazionali o paesi terzi. I soggetti privati non sono stati coinvolti nell’accordo. Di conseguenza, paesi fra i più poveri al mondo, come Sierra Leone, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, sono stati citati in giudizio presso tibunali occidentali dai ‘Vulture funds’ (fondi speculativi ‘avvoltoio’), per montanti colossali, che non sono in grado di rimborsare.
Alla fine del 2001, l’Argentina si dichiarò insolvente sul proprio debito, semplicemente perché era troppo elevato da rimborsare. Molti dei creditori privati sottoscrissero un nuovo accordo, che prevedeva uno sconto del 70% sul debito nominale. Alcuni creditori, fra i quali ‘fondi avvoltoio’ che avevano riacquistato parti del debito nel pieno della crisi, e a condizioni molto convenienti, esigono oggi -in sede legale- il rimborso totale del debito all’Argentina, oggi non più insolvente.
Nel giugno 2014, la corte suprema USA confermò il giudizio del tribunale di New York in favore di due fondi speculativi (NML Capital e Aurelius Capital) che esigevano 1,3 miliardi di dollari di debiti contratti dall’Argentina durante la crisi del 2001. Il giudizio stabiliva che l’Argentina avrebbe dovuto dapprima rimborsare i debiti verso i due fondi prima di procedere a qualsiasi altro indennizzo. Il rifiuto di ottemperare dell’Argentina comportò un nuovo default sul debito e a uno stallo che dura ancora oggi.
In Grecia sono avvenute nel 2011 due ristrutturazioni, che hanno portato ad una riduzione del debito nominale di più del 50% per 9 creditori privati su 10. Malgrado questa ‘riduzione’ il valore del capitale da recuperare restava comunque superiore al prezzo di vendita dei diritti creditorî sul mercato. E i creditori insittetero perché il nuovo debito fosse sottoposto – nella maggior parte dei casi – al diritto britannico. Con limiti evidenti sul controllo futuro del proprio debito da parte del governo greco.
Per di più, i creditori che detenevano il ‘vecchio’ debito sotto legislazione non greca (britannica o elvetica) sono rimasti fuori dall’accordo, e sono attualmente in grado di esigere il pagamento completo della somma originaria, più del doppio dei creditori ‘ristrutturati’. Molti di questi debiti sono detenuti da fondi speculativi che hanno comprato il debito a prezzi stracciati, e che stanno quindi speculando, con vasti profitti, a danno del popolo greco. Inoltre, i prestiti accordati alla Grecia per ricoprire il suo debito negli ultimi due anni lo hanno di fatto trasferito da creditori privati verso soggetti istituzionali, l’FMI e i governi dell’UE. Questa parte non ha subito alcuna riduzione, e quindi il debito detenuto da creditori esteri è oggi ben al di là del 100% del PIL.

3) Applicare la ristrutturazione a tutti i debiti, non solo quelli verso i governi.
Gli accordi sul debito di Londra furono applicati a tutti i debiti contratti dalla Germania Ovest: verso privati, governi e società estere. Comprendeva quindi i debiti dei privati e delle società tedeschi, oltre al debito pubblico.
La maggior parte della crisi del debito odierna è scaturita da debiti inizialmente a carico di società private, soprattutto banche. Per esempio, i prestiti contratti dal settore privato in Irlanda hanno spinto nel 2007 il debito totale del paese al 1000% del PIL. Il governo irlandese, invece, ha potuto approfittare di un avanzo di bilancio in quegli stessi anni, e il suo debito totale (detenuto sia da risparmiatori irlandesi, sia da creditori esteri) era ‘appena’ l’11% del PIL nel 2007. Perché un’economia esca dalla stagnazione causata da debito eccessivo, devono essere ristrutturati tanto il debito detenuto dai privati quanto quello detenuto dai governi.

4) Negoziati piuttosto che sanzioni
Se la Germania Ovest non avesse voluto, o non fosse stata in grado di rimborsare il debito, l’accordo prevedeva consultazioni fra il debitore e i creditori, sotto la supervisione di un organismo internazionale terzo. Un approccio del tutto diverso da quello che ha ispirato i ‘negoziati’ più recenti sul debito, nei quali i governi e le istituzioni creditrici (il Club di Parigi, l’FMI, la BCE) hanno imposto i termini dell’accordo ai paesi debitori, obbligandoli a instaurare politiche di austerità e liberalizzazioni sui mercati. Come ci si poteva aspettare, la Germania Ovest non ebbe ulteriori problemi di debito, e anche questa clausola non venne mai applicata.

Il caso Grecia: spezzare le catene
Ispirandosi all’antica idea del Giubileo, in occasione del quale i debiti erano annullati, gli schiavi erano liberati, e la terra ridistribuita, la Jubilee Debt Campaign lancia un appello per un nuovo ‘Giubileo del debito’ per risolvere l’attuale crisi economica globale. Quest’iniziativa costituirebbe il quadro per rompere l’attuale spirale della crisi debitoria e bancaria in Europa, e alleggerire il fardello perpetuo che grava sui paesi del sud del mondo.
In altre parole:
– Cancellare i debiti ingiusti dei paesi più indebitati;
– Promuovere una tassazione giusta e progressiva, piuttosto che ricorrere a nuovi prestiti;
– Uscire dalla logica di nuovi prestiti che spingono i paesi poveri nella voragine del debito
La Grecia è indiscutibilmente fra i paesi che più hanno bisogno di una cancellazione del debito. Dopo più di quattro anni di austerità, il debito greco è salito dal 133% al 174% del PIL. Il salario minimo è caduto del 25%, la disoccupazione giovanile è oltre il 50%. E più del 20% della popolazione è sotto la soglia di povertà. È necessario che i creditori di Atene capiscano la lezione dell’accordo sul debito tedesco del 1953, e spezzino le catene del debito che attanagliano oggi la Grecia.

Traduzione: Faber Fabbris

Fonte: jubileedebt.org.uk

___________

Note
* La cancellazione del debito riguardò la Germania Ovest, che aveva ereditato la totalità del debito tedesco verso i paesi occidentali dopo la seconda guerra mondiale. Si trattò quindi dell’annullamento del debito della Germania pre-bellica, anche se le trattative furono fatte con la sola Germania Ovest.
1. Questa, e molte altre informazioni utilizzate nell’articolo, sono tratte da: Kaiser, J. (2003). Debts are not destiny! On the fiftieth anniversary of the London Debt Agreement. Erlassjahr.de (Jubilee Germany), ed altri due testi da Erlassjahr.de : Double standards applied e About the London Debt Accord for Germany, 1953.
2. IMF, World Economic Outlook database.
3. World Bank, World Development Indicators database.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 8:20 pm

Crisi greca di Eugenio Benetazzo
http://www.eugeniobenetazzo.com/grexit- ... nze-rischi

Sto provando a pensare a quante volte ho menzionato lo scenario greco in altri precedenti post o nei report che periodicamente vengono redatti. Questa nazione sta diventando una storia infinita che si trascina ormai da quel primo trimestre 2010 che fece da apripista alla crisi del debito sovrano in Europa, nel frattempo da allora sono passati altri cinque anni.
Ad inizio di quest’anno siamo stati tutti alla finestra per le ennesime nuove elezioni di Atene nella consapevolezza che questa volta, visto il malcontento popolare e la capacità di trascinamento di Tsipras si potesse arrivare ad una situazione di rottura.
Ed invece dopo i proclami delle prime 48 ore dall’insediamento in cui sembrava che il nuovo governo comunista dovesse rinnegare il passato e mettere in ginocchio la Troika e l’Europa, il tutto si è risolto in una grande pantomima.
Giorno dopo giorno, Alessio Tsipras, spavaldo e smargiasso allo stesso tempo, ha ridimensionato il suo ego, le sue pretese ed il suo sogno di fare il nuovo Leonida che affronta le armate barbariche della Troika.
Dopo un mese dalle elezioni hanno capito che fare a cazzotti con i mercati finanziari e le autorità monetarie sovranazionali non è per niente conveniente. Soprattutto per loro che grazie ai programmi di ELA (Emergency Liquidity Assistance) di Mario Draghi stanno continuando a ricevere ossigeno pur essendo ormai in uno stato comatoso da cui non si prevede il risveglio.

Ricordiamo a titolo di cronaca finanziaria, il problema della Grecia è la Grecia stessa, con il primo posto in Europa per corruzione, evasione fiscale ed economia sommersa, oltre al sistematico ricorso alla spesa pubblica per clientelismo e malcostume politico.
Proprio come l’Italia, che in quella graduatoria si trova al terzo posto in Europa dietro alla Romania.

Facile prendersela con la BCE, con la Troika, con la Merkel o con gli speculatori finanziari quando in 5 anni di strutturalmente rilevante non si è fatto niente per la razionalizzazione della spesa pubblica. Noi italiani vivremo una situazione ibrida della tragedia greca entro i prossimi due anni grazie a Renzi & Company. Ma torniamo ai conterranei di Aristotele e Platone che presuppongo stiano inoriddendo al solo pensiero di cosa fossero per loro il concetto di logica e politica. Anche il tanto osannato Varoufakis è stato estromesso per ritenuta incompetenza e cialtroneria proprio dai suoi stessi colleghi, tanto da spingere Tsipras a destituirlo, segno questo che nemmeno il Primo Ministro greco aveva ben chiaro che cosa fare al momento della sua nomina. Si trattava di recitare una parte, quella del giocatore che prova a bluffare: per un pò di tempo può riuscire ma nel lungo termine non dura molto e rischia pure di essere controproducente.

Così infatti oggi sta accadendo, i greci hanno fatto finta di fare i guerrieri spartani, ora devono mettere da parte l’irruenza per far spazio alla ragione dei filosofi ateniesi. Questa Grexit allora rischia di realizzarsi oppure no ? Fino a qualche mese fa ero abbastanza fiducioso che questa eventualità avesse una probabilità modesta di verificarsi, tuttavia oggi ho modificato il mio sentiment al pari di altri colleghi. A tal fine quali potrebbero essere gli scenari negativi che abbiamo davanti: la Germania ci sta lavorando da un mese e nelle sale operative gira da svariati giorni il tema del default selettivo; sostanzialmente per ossigenare l’economia greca e dargli qualche speranza di sopravvivenza in seno all’Europa, sarebbe necessario intervenire sul fronte degli oneri finanziari che gravano sul debito pubblico greco la cui esposizione ha raggiunto i 323 MLD di euro. Di questo importo, 246 MLD rappresentano fondi erogati nei precedenti anni in qualità di bail-out funds ossia prestiti di emergenza che sono stati effettuati nelle diverse epoche in cui la Grecia si è trovata in temporanea difficoltà finanziaria. Tra i soggetti istituzionali che hanno messo a disposizione fondi per tamponare la situazione di potenziale insolvenza abbiamo anche paesi europei come l’Italia, la Spagna, la Germania e la Francia con in tutto 160 MLD. Oltre a queste nazioni vi sono stati in aggiunta anche le autorità sovranazionali come il FMI e la BCE che hanno a loro volta prestato 52 MLD di euro.

Il default selettivo presuppone il mancato pagamento di bond a scadenza non in termini totalitari ma appunto selettivi, quindi si dovrebbe decidere chi si può permettere di subire la perdita e chi invece non può andare incontro a questa eventualità viste le già deboli finanze nazionali tipo Italia o Francia. Una ulteriore variante potrebbe essere individuata anche nel congelamento degli interessi o in un loro taglio parziale oltre alla ristrutturazione della scadenza del debito. Sono operazioni che servono comunque ancora una volta a comperare tempo nella speranza che si possa manifestare entro tre o cinque anni l’ondata di inflazione invocata dalla BCE. Questo infatti produrrebbe un sensibile giovamento proprio ai governi con massive esposizioni di debito governativo. L’estate che abbiamo davanti potrebbe rivelarsi molto calda, per questo motivo sul fronte della allocazione tattica del proprio portafoglio sarebbe opportuno al momento liberarsi del debito europeo, qualunque esso sia, anche perchè ormai i prezzi attuali scontano già il QE dei prossimi trimestri. Oltre al debito governativo prestate attenzione ed evitate assolutamente anche i fondi obbligazionari a gestione unidirezionale, i quali saranno i primi subire profonde contrazioni di valore in caso di Grexit o sue possibili varianti, date invece preferenza come sottolineato in altre occasioni alle gestioni di ritorno assoluto o market neutral.










Non è vero che la Germania e la Cina si siano comperate gli areoporti e i porti greci, ma talune società a maggioranza tedesca e cinese hanno solo preso in concessione per un certo periodo la loro gestione.




La Germania si compra tutti gli aeroporti greci alla vigilia dell’estate
31 Maggio 2017

http://amp.ilsole24ore.com/pagina/AEUEXZWB


Sarà un caso ma ora tutti gli aeroporti maggiori della Grecia sono in mano a società della Germania, il creditore più severo con Atene a cui chiede austerità e privatizzazioni.

La società aeroportuale tedesca AviAlliance, che possiede al 49% l’aeroporto di Amburgo e il 30% di quello di Dusseldorf in Germania, ha vinto il rinnovo della concessione per 20 anni fino al 2046 dell’aeroporto di Atene per una somma pari a 600 milioni di euro. Nel terzo piano di aiuti da 86 miliardi di euro la Grecia aveva promesso nel 2015 alla Ue e al Fmi di rinnovare la concessione per l’aeroporto della capitale greca, il maggiore del Paese, alla sua scadenza naturale.

Come promesso il governo di sinistra guidato da Alexis Tsipras ha mantenuto fede all’impegno e ieri il Fondo per le privatizzazioni greco (Hradf) ha confermato il rinnovo della concessione alla Aia, l’Athens International Airport, la società che gestisce l’aeroporto di Atene dal 1995.

Più in dettaglio la società aeroportuale tedesca AviAlliance (al 40%) e il gruppo greco Copelouzos (al 5%) hanno una quota complessiva del 45 per cento nella società aeroportulae di Atene ( AIA). Il fondo greco per le privatizzazioni HRADF detiene una quota del 30% e il governo greco del 25%. Il completamento dell’intesa è soggetto all’approvazione delle autorità europee e del Parlamento greco.

I 600 milioni di euro sono ossigeno per le esauste casse dello stato greco che a luglio deve ripagare 7 miliardi di euro di crediti e che aspetta da un anno la tranche per la seconda revsione del terzo piano. Atene ha approvato circa 100 delle 140 azioni prioritarie richieste dai creditori.

Nel dicembre 2015 il direttore dell'agenzia per le privatizzazioni greche annunciò che il gestore aeroportuale tedesco pubblico Fraport (quello che gestisce l'aeroporto di Francoforte) aveva firmato l'accordo del valore di 1,2 miliardi di euro per la locazione e gestione di 14 aeroporti greci regionali greci, fra cui molti collocati strategicamente nelle maggiori isole turistiche. La Fraport ha vinto il diritto di gestire e sviluppare gli aeroporti per un periodo di 40 anni. Fra gli scali compresi nell'accordo ci sono quelli di Salonicco, seconda città del paese, e delle isole di Creta, Corfù e Rodi.

Insomma dopo gli aeroporti regionali, anche quello di Atene resta nelle mani di investitori tedeschi, il creditore più duro con Atene sempre in prima fila a chiedere austerità e privatizzazioni per ridurre il debito.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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