Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:51 pm

La geopolitica dopo il coronavirus: scenari e prospettive Intervista al prof. Silvio Labbate, docente di Storia Contemporanea all’Università del Salento ed esperto in Storia delle relazioni internazionali
Raffaello Castellano

http://www.smarknews.it/smark/la-geopol ... azioni-in/

Lo sappiamo, l’altra grande vittima di questo Coronavirus è l’economia mondiale, messa in ginocchio dal lockdown adottato via via da tutti i paesi del mondo in cui si diffondeva il contagio. Alcune industrie ed alcuni settori produttivi, più di altri, hanno risentito del blocco forzato; fra questi ci sono comparti strategici come quello dell’automobile, quello dei trasporti in genere e quello dei voli aerei, che, come conseguenza, hanno affossato ai minimi storici indicatori economici importanti come il petrolio, il cui prezzo è giunto in questi mesi ai minimi storici.

Ma, come spesso succede, come le crisi di portata così epocale, anche questa pandemia ha ridefinito non solo le nostre vite, ma probabilmente gli assetti geopolitici mondiali. Sul palcoscenico della storia si affacciano nuovi attori che sgomitano per rubare la scena alle vecchie star un po’ in affanno. Comprendere queste evoluzioni è non solo importante, ma strategico per cercare in una certa misura di non farsi cogliere impreparati dal futuro prossimo venturo.

Per capire questi riassetti geopolitici mondiali e scoprire il ruolo dell’Italia, noi di Smart Marketing abbiamo rivolto alcune domande al prof. Silvio Labbate, docente di Storia Contemporanea all’Università del Salento, con un dottorato di ricerca in Storia delle relazioni internazionali ed esperto di questioni mediorientali.

Domanda: Prof. Labbate, il nostro Paese, da sempre crocevia geograficamente strategico conteso dalle superpotenze mondiali, si è trovato nei momenti di massima emergenza sanitaria bisognoso di aiuti internazionali di ogni tipo, dai DPI al personale medico. Le prime nazioni a correre in nostro aiuto, quando l’Europa tardava a dare una risposta, sono state la Russia e la Cina. Alcuni osservatori internazionali, come l’americano Edward Luttwak, hanno dichiarato che l’Italia ha fatto male ad accettare questi aiuti e che doveva rifiutarli. Secondo lei sono stati aiuti “interessati”?

Risposta: Partiamo da una certezza spesso volutamente taciuta: nessun governo aiuta un Paese straniero solo per scopi umanitari. Non esiste situazione passata che non abbia generato un qualche vantaggio ai cosiddetti “donatori”. A mio parere, la situazione critica in cui versava l’Italia all’inizio della pandemia non lasciava spazio a decisioni molto diverse. Del resto è in questo genere di scenari (drammatici o quasi) che un Paese interessato propone il proprio aiuto. Analizzando quello offerto da Pechino, possiamo immaginare che ci si aspetti la continuazione degli accordi commerciali recentemente stipulati nel quadro di quella che conosciamo come la “via della seta” – che tanto gli USA hanno provato a contrastare (come nel caso della rete 5G). Sul fronte russo, invece, è probabile che Mosca chiederà un sostegno sulle politiche energetiche in atto; per esempio sul Nord Stream 2, il gasdotto che raddoppierebbe la fornitura di gas in Europa e che viene, anche in questo caso, fortemente osteggiato da Trump e da diversi paesi europei. Ci sarebbe poi anche l’aiuto albanese: sarà difficile per l’Italia non sostenere l’aspirazione dell’Albania a entrare nella UE.

Domanda: Una delle conseguenze economicamente più rilevanti della pandemia e del relativo lockdown è stato il crollo del prezzo del petrolio (dovuto anche all’iniziale decisione dell’Arabia Saudita di aumentare i primi di marzo la propria produzione), arrivato a inizio aprile addirittura a segnare la cifra negativa di – 37 dollari a barile. L’industria automobilistica, i trasporti in genere e l’intero comparto aeromobile escono pesantemente danneggiati da questi due mesi di blocco totale. Secondo lei il coronavirus innescherà nuove strategie energetiche di lungo corso, favorendo le energie rinnovabili e quelle green, oppure in capo a qualche mese torneremo alla situazione pre-coronavirus?

Risposta: Il mercato petrolifero è sempre in continua evoluzione e quasi mai è possibile fare previsioni. Già prima della pandemia esistevano diverse situazioni complesse che si immaginava sarebbero esplose. Il prezzo del greggio, per esempio, veniva volutamente tenuto basso dai principali paesi OPEC per contrastare il cosiddetto shale oil: petrolio estratto attraverso la frammentazione delle rocce con metodi invasivi e onerosi che si ripercuotono sul prezzo finale. Fatta principalmente negli USA, questa produzione si è fermata e difficilmente ripartirà a breve. Esistono poi altre contingenze preesistenti che hanno reso il sistema degli approvvigionamenti assai articolato, come il boicottaggio americano nei riguardi sia del greggio dell’Iran, sia di quello del Venezuela. Il coronavirus rappresenta l’occasione giusta per puntare sulle energie rinnovabili e sulla green economy, ma bisogna davvero volerlo, investendo in maniera massiccia e superando le enormi pressioni delle lobby petrolifere. Personalmente nutro forti dubbi.

Domanda: Il presidente Donald Trump, per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli sbagli della sua amministrazione nel gestire prontamente la pandemia e l’emergenza sanitaria, continua a fare dichiarazioni pesanti sui colpevoli ritardi e sulle responsabilità della Cina in merito alla questione del coronavirus. Il presidente è arrivato ad accusare il paese comunista di aver creato e rilasciato il virus per destabilizzare gli equilibri economici mondiali. Ora, noi sappiamo, grazie alla scienza, che il virus ha un’origine naturale, ma nelle dichiarazioni di Trump, ai minimi storici di consensi elettorali, c’è solo propaganda o qualcosa di più e di diverso?

Risposta: Non è facile rispondere a questa domanda in poche righe, in gioco vi sono diverse questioni. Appare evidente che la campagna presidenziale USA occupi un ruolo importante; già 4 anni fa Trump riuscì a ribaltare ogni pronostico con dichiarazioni altrettanto forti. In questo quadro risulta palese l’obiettivo di identificare nella Cina il nemico da attaccare. Del resto Pechino è divenuta la nuova superpotenza capace di competere in diversi ambiti con Washington. Le difficoltà enormi che gli USA hanno registrato durante il coronavirus hanno messo in forte imbarazzo l’amministrazione Trump, per cui in tempi elettorali bisognava effettivamente “distrarre” l’opinione pubblica americana, da sempre sensibile alle cause concernenti gli “interessi nazionali”. Quello che è difficile accettare è l’esistenza di un Paese – per di più comunista – che minacci la supremazia statunitense dalla fine della guerra fredda. Nella realtà dei fatti, però, l’impero USA appare in continuo declino e in deficit di consensi nello scenario internazionale odierno.

Domanda: Altra domanda, che fa il paio con la precedente. Sappiamo che la lotta fra Stati Uniti e Cina per la supremazia economica e culturale mondiale è in corso da decenni. Negli ultimi tempi sembrava che l’ago della bilancia puntasse decisamente in favore del gigante asiatico. Secondo lei questi due mesi e mezzo di lockdown hanno portato alla ribalta internazionale altri paesi?

Risposta: Noi siamo soliti semplificare ciò che ci circonda. USA e Cina sono certamente le due superpotenze economiche del momento, ma esistono diverse altre realtà che potrebbero emergere – seppur non allo stesso livello. Anche in questo caso, tuttavia, non è facile fare pronostici. La pandemia sta interessando tutti i Paesi del mondo e non sappiamo ad oggi come si evolverà. Nel contesto internazionale, per esempio, l’azione di Putin sembra sempre più orientata a trasformare la Russia in una nuova potenza economica. Esiste poi un progetto di collaborazione relativo ai Paesi anglofoni che accomuna la Gran Bretagna, gli stessi Stati Uniti e l’Australia da tenere sotto attenta osservazione. Infine c’è il caso del Giappone, terza potenza economica del mondo – dietro USA e Cina – che non è stata colpita in modo drammatico dalla pandemia. La grande assente, ahimè, risulta l’Unione europea, ferita gravemente dal coronavirus e ancora troppo divisa su tutto.

Upgrade rappresenta l’ultimo elemento di un racconto che parte a Febbraio 2020. In questi mesi abbiamo raccontato cosa stava succedendo (Virale), ci siamo domandati come la pandemia avrebbe cambiato noi stessi e l’economia (Tutto andrà bene(?)), e abbiamo offerto soluzioni (Reset). Con questo numero abbiamo voluto fare un passo in più: immaginare un domani diverso, anche attraverso esperienze concrete.

Domanda: Che ruolo giocheranno sullo scacchiere internazionale, nell’immediato futuro, paesi come Israele, Turchia e tutti quelli appartenenti alla Lega Araba? Quali sono secondo lei quelli che avranno un ruolo più decisivo?

Risposta: Il Medio Oriente vive un periodo in constante evoluzione. Le situazioni di crisi – malgrado i nostri media si siano concentrati quasi esclusivamente sulla pandemia – sono ancora tante. La guerra in Siria, per esempio, non si è mai fermata, l’Iraq continua e essere instabile, la Libia è sempre divisa tra al-Sarraj e il generale Haftar, Israele non ha mai abbandonato la politica degli insediamenti che infuoca sempre più il rapporto con gli arabi. In questo scenario, il paese che si sta muovendo maggiormente è la Turchia, interessata a recuperare un ruolo di primo piano nello scacchiere mediterraneo; tuttavia ciò avviene ai danni dei Curdi che tanto hanno dato nel combattere l’IS – o ISIS, come continuiamo a chiamarlo erroneamente in Italia – e che vivono oggi momenti difficili un po’ ovunque, chiedendo la tanto desiderata indipendenza. Nell’immediato futuro non intravedo cambiamenti importanti, piuttosto il consolidamento delle posizioni ottenute, con Israele e Arabia Saudita a svolgere ancora un ruolo importante.

Docente a contratto presso il Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’uomo dell’Università del Salento. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia delle relazioni internazionali presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Si è occupato di guerra fredda in Medio Oriente, con particolare riferimento alla questione dei petroldollari, ai problemi energetici nazionali e internazionali, al dialogo euro-arabo e alla politica estera dell’Italia agli inizi degli anni Ottanta. È autore dei volumi Il governo dell’energia. L’Italia dal petrolio al nucleare (1945-1975), Illusioni mediterranee: il dialogo euro-arabo e della curatela Al governo del cambiamento. L’Italia di Craxi tra rinnovamento e obiettivi mancati; ha scritto saggi e recensioni per diverse riviste tra cui «Clio», «Ventunesimo Secolo», «Nuova Rivista Storica», «Storia e problemi contemporanei», «European Review of History», «Journal of European Integration History», «Middle Eastern Studies» e «The International History Review».
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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:52 pm

La Germania riafferma la propria sovranità sull'Unione Europea
Soeren Kern
21 giugno 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/16146 ... 0.facebook

La Corte costituzionale tedesca ha emesso una sentenza senza precedenti che sfida direttamente l'autorità della Banca Centrale Europea e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Nella foto: i giudici della Corte costituzionale tedesca in seduta, il 5 maggio 2020, a Karlsruhe, mentre emettono la sentenza sul programma di acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea. (Foto di Sebastian Gollnow/Pool/AFP via Getty Images)

La Corte costituzionale tedesca ha emesso una sentenza senza precedenti che sfida direttamente l'autorità della Banca Centrale Europea (BCE) e della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (CGUE).

Questa sentenza apparentemente oscura, che cerca di riaffermare la sovranità nazionale sugli acquisti di titoli di Stato da parte della BCE, ha messo in discussione la legittimità dell'ordine giuridico e politico sovranazionale dell'Unione Europea.

L'UE è ora impegnata in una lotta di potere con il suo più grande Stato membro, la Germania. La faida giuridica minaccia la sopravvivenza non solo della moneta unica dell'Unione Europea, l'euro, ma della stessa UE.

Il 5 maggio, la Corte costituzionale tedesca (Bundesverfassungsgericht, BVerfG) ha stabilito che la pratica della Banca Centrale Europea di acquistare ingenti quantità di titoli di Stato, una politica monetaria nota come allentamento quantitativo, è illegale ai sensi della legge tedesca in quanto né il governo tedesco né il Parlamento tedesco approvano tali acquisti.

Da marzo del 2015, la BCE ha acquistato debito pubblico per un valore di 2,7 trilioni di euro. In quello stesso periodo, nel tentativo di stabilizzare l'eurozona durante la crisi del debito sovrano europeo, la Banca Centrale Europea lanciò il suo programma principale di incentivazione, il cosiddetto Programma di Acquisto del Settore Pubblico (PSPP).

La BCE sostiene che gli acquisti su larga scala di titoli di Stato sono uno stimolo monetario necessario per rinvigorire l'economia dell'eurozona. I critici ribattono che gli acquisti di obbligazioni hanno inondato i mercati di denaro a basso costo e hanno incoraggiato l'eccessiva spesa da parte dei governi, soprattutto nell'Europa meridionale indebitata.

In una sentenza di 110 pagine, la Corte costituzionale tedesca ha affermato che la BCE non solo non era riuscita a giustificare i massicci acquisti di obbligazioni, ma altresì che tali acquisti non soddisfacevano il "principio di proporzionalità", come richiesto dall'art. 5 del Trattato sull'Unione Europea.

Questo principio di proporzionalità, che stabilisce che un'azione dell'UE deve essere limitata a quanto è necessario per conseguire un obiettivo, regola l'esercizio dei poteri conferiti dagli Stati membri all'Unione Europea.

Nella sua sentenza, la Corte costituzionale tedesca ha ordinato alla Banca centrale tedesca (Bundesbank) di non partecipare più al programma di acquisto di titoli di Stato a meno che la BCE non dimostri entro tre mesi la "proporzionalità" della sue azioni. Senza la partecipazione tedesca il programma potrebbe essere interrotto.

La Corte tedesca ha inoltre accusato la Corte di Giustizia dell'Unione Europea di "aver superato il limiti del suo mandato giudiziario". Nel dicembre del 2018, la Corte UE si pronunciò a favore del programma di acquisto dei titoli di Stato da parte della BCE. La Corte costituzionale tedesca affermò che la sentenza della Corte UE era ultra vires (al di là dei suoi poteri) e quindi non vincolante. La sentenza della Corte tedesca rappresenta una sfida senza precedenti per la Corte di Giustizia, organo giurisdizionale supremo in materia di legislazione dell'UE.

In base alla progettazione o per impostazione predefinita, la sentenza della Corte tedesca, pronunciata al culmine della pandemia di coronavirus, ha creato una straordinaria incertezza finanziaria, giuridica e politica, in un momento in cui l'Europa sta registrando uno shock economico senza precedenti.

Italia e Spagna, i Paesi dell'eurozona più colpiti dalla pandemia, sono anche quelli che dipendono maggiormente dalla Banca Centrale Europea, che di recente si è impegnata ad acquistare altri 750 miliardi di euro in obbligazioni. Gli economisti avvertono che se la BCE smettesse di acquistare titoli di Stato, la conseguente perdita di liquidità potrebbe spingere Italia e Spagna al default e portare al crollo dell'eurozona.

La sentenza della Corte tedesca segna una nuova fase nel dibattito sull'equilibrio tra la sovranità nazionale e sovranazionale. Considerando ciò che è in gioco, i funzionari dell'UE hanno respinto l'attacco. Il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che la Germania non ha alcun titolo legale a contestare l'UE e ha minacciato l'apertura di una procedura d'infrazione:

"La recente sentenza della Corte costituzionale tedesca ha messo l'accento su due questioni attinenti l'Unione europea: l'eurosistema e il sistema giuridico europeo.

"La Commissione europea difende tre principi di base: la politica monetaria dell'Unione è una competenza esclusiva [dell'UE]; il diritto europeo prevale sul diritto nazionale e le sentenze pronunciate dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea sono vincolanti per tutti i tribunali nazionali.

"L'ultima parola sul diritto dell'UE spetta sempre a Lussemburgo.

"La Commissione europea ha il compito di salvaguardare il corretto funzionamento del sistema dell'euro e del sistema giuridico dell'Unione".

La presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde le ha fatto eco, asserendo di non volere farsi intimidire dalla Corte tedesca:

"Siamo un'istituzione indipendente, rispondiamo al Parlamento europeo, guidati dal nostro mandato. Continueremo a fare tutto ciò che è necessario (...) per onorare il nostro mandato. Imperterriti, continueremo a farlo".

In un comunicato stampa, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha insistito sul fatto che la Germania non ha alcuna giurisdizione:

"In linea generale, si ricorda che, in base a una giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, una sentenza pronunciata in via pregiudiziale da questa Corte vincola il giudice nazionale per la soluzione della controversia dinanzi ad esso pendente. Per garantire un'applicazione uniforme del diritto dell'Unione, solo la Corte di giustizia – che è istituita a tal fine dagli Stati membri – è competente a constatare che un atto di un'istituzione dell'Unione è contrario al diritto dell'Unione. Eventuali divergenze tra i giudici degli Stati membri in merito alla validità di atti del genere potrebbero compromettere l'unità dell'ordinamento giuridico dell'Unione e pregiudicare la certezza del diritto. Al pari di altre autorità degli Stati membri, i giudici nazionali sono obbligati a garantire la piena efficacia del diritto dell'Unione. Solo in questo modo può essere garantita l'uguaglianza degli Stati membri nell'Unione da essi creata".

In un'intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, un membro della Corte costituzionale tedesca, il giudice Peter Michael Huber, che ha contribuito a scrivere la sentenza, ha risposto:

"Ciò che mi sorprende è la faziosità e il tono zelante che qualcuno utilizza qui. È chiaro che da 50 anni la Corte di Giustizia dell'Unione Europea rivendica una priorità illimitata del diritto europeo, ma quasi tutte le Corti costituzionali e supreme si oppongono da un tempo altrettanto lungo. Finché non vivremo in un super-Stato europeo, l'adesione di un Paese è disciplinata dalla sua legge costituzionale".

Huber ha avvertito che la minaccia di azioni legali da parte della Commissione europea sarebbe controproducente:

"Una procedura d'infrazione [azione legale] innescherebbe una rilevante escalation, che potrebbe fare precipitare la Germania e altri Stati membri in un conflitto costituzionale difficile da risolvere. A lungo termine, ciò indebolirebbe o metterebbe in pericolo l'Unione Europea".

In un'intervista alla Süddeutsche Zeitung, Huber ha aggiunto:

"La presidente della Commissione europea, von der Leyen, ritiene che il diritto europeo va applicato sempre e comunque, senza alcuna restrizione. Questo è sbagliato. Anche altri Stati membri dell'UE presumono che le costituzioni nazionali prevalgano sul diritto europeo.

"Il messaggio indirizzato alla BCE è in realtà omeopatico. Questa istituzione non dovrebbe considerarsi il 'maestro dell'universo'. Un'istituzione come la Banca Centrale Europea, che gode di una debole legittimazione democratica, è accettabile solo se si attiene con rigore alle competenze che le vengono attribuite".

Friedrich Merz, membro dei conservatori che punta alla leadership della CDU (l'Unione cristiano-democratica) e candidato a succedere alla cancelliera Angela Merkel, ha dichiarato che la sentenza della Corte costituzionale tedesca avrà delle conseguenze di vasta portata:

"Questa sentenza scriverà la storia giuridica europea. In futuro deve essere un compito speciale della politica economica tedesca evidenziare le conseguenze negative dei programmi di acquisto di titoli di Stato da parte della BCE".

Martin Wolf, editorialista pro-UE, ha rilevato nelle pagine del Financial Times:

"In assenza di altri programmi di sostegno dell'eurozona, i rischi di default sono aumentati. In effetti, i differenziali sui titoli di Stato italiani sono aumentati dopo l'annuncio della Corte. Una crisi potrebbe avere degli effetti devastanti e condurre forse a una frattura dell'eurozona.

"Altri Stati membri potrebbero seguire le orme della Germania nel respingere il potere giurisdizionale della Corte di Giustizia dell'UE e dell'Unione Europea. L'Ungheria e la Polonia sono ovvi candidati. Gli storici che in futuro studieranno questo periodo potrebbero considerare ciò come la svolta decisiva verso la disintegrazione dell'Europa...

"Un punto è chiaro: la Corte costituzionale ha decretato che anche la Germania può riprendere il controllo. Di conseguenza, ha creato una crisi forse irrisolvibile".

Sull'influente blog tedesco Tichys Einblick, Klaus-Peter Willsch, deputato del Parlamento tedesco, ha scritto che la sentenza della Corte costituzionale teutonica ha demolito le rivendicazioni assolutiste di potere della Commissione europea, della BCE e della Corte di Giustizia dell'UE:

"Una cosa non va mai dimenticata: l'Europa non è uno Stato federale, ma una comunità giuridica che si è sviluppata sulla base di un nucleo fondante di una comunità economica in aree chiaramente limitate della sovranità nazionale. Qualsiasi sovranità dell'Unione Europea deriva solo dalla sovranità degli Stati membri costituenti. Per questo motivo, l'art. 5, paragrafo 2, del Trattato sull'Unione Europea stabilisce:

'In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri'.

"Ritengo pertanto che la critica mossa alla decisione dei più alti giudici tedeschi non è soltanto inappropriata, ma è altresì totalmente infondata.

"La scorsa settimana, la nostra Corte costituzionale ha difeso gli interessi dei cittadini tedeschi. Ha rammentato alla Banca Centrale Europea e alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea i limiti della legge applicabile. Ora è compito nostro, in politica, accogliere con gratitudine e attuare la decisione della Corte costituzionale federale, invece di screditare i nostri giudici costituzionali come nemici dell'Europa! Lo Stato costituzionale tedesco vive e protegge i suoi cittadini! Dovremmo esserne tutti felici!"

Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.
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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:53 pm

“Italia in bancarotta da settembre”/ Le Monde: “37% aziende fallirà”. Crisi turismo
17.06.2020 - Niccolò Magnani

https://www.ilsussidiario.net/news/ital ... o/2037323/

«Nella seconda metà dell’anno l’Italia rischia la bancarotta»: a dirlo è uno studio di “Le Monde”, autorevole quotidiano francese che cita i dati di Coface (l’assicurazione dei crediti commerciali alle imprese private) sulla crisi economica e produttiva che già sta colpendo mezza Europa dopo l’emergenza sanitaria Covid-19. In Francia i fallimenti aumenteranno del 21% entro la fine del 2021 – scrive ancora Le Monde – colpendo più di 60.000 imprese ed una perdita di quasi 200.000 posti di lavoro: ma in Italia? Ecco, il dato qui peggiora ancora di più e dopo i vari decreti e il nuovo piano “Progettiamo il Rilancio” in discussione agli Stati generali del Governo Conte si attende una risposta immediata alla potenziale crisi “esplosiva” in arrivo da settembre a fine 2020. «Il dato è più o meno lo stesso in Spagna (+22%), significativamente più alto nel Regno Unito (+37%) e in Italia (+37%), nonché nei Paesi Bassi (+36%)», spiega il quotidiano francese citando i dati di Coface del 16 giugno scorso. Va meglio alla Germania che con gli investimenti e il piano immediato di “shock economico” varato dal Governo Merkel dovrebbe perdere “solo” il 12% delle aziende per fallimento: restano comunque dati imponenti, tutti ancora da verificare, ma che gettano una fosca ombra sul destino immediato delle aziende italiane ed europee.


I SETTORI PIÙ COLPITI DALLA CRISI

«Poiché l’apertura di una procedura di fallimento è divenuta di fatto volontaria, solo le imprese più in difficoltà, senza prospettive di ripresa una volta sotto controllo la crisi sanitaria, hanno fatto questa scelta fin dalle prime settimane del confinamento», spiegano gli esperti di Coface nel report che fa tremare la Francia ma che dovrebbe ancor di più far preoccupare il Governo italiano e le propri imprese. Su questa scia da tempo si è messa Confindustria del neopresidente Bonomi – oggi ospite agli Stati generali dopo lo scontro a più riprese con il Premier Conte – che ha allertato il pericolo di fallimenti e produzioni al collasso se non si interviene subito a sostenere le politiche attive del lavoro, gli imprenditori e le stesse aziende colpite dal Covid (proposta di tenere aperte le imprese in agosto arriva proprio da questo timore, ndr). i settori più in crisi, secondo il piano francese, sarebbero le start-up, il turismo, la ristorazione e i trasporti (ma anche il tessile e il consumo della moda non sarebbe da meno). L’entità dei fallimenti sarà legata al calo del PIL osservato e alle prospettive di ripresa nel 2021, spiega la rassegna stampa di Epr sul lungo articolo di Le Monde.
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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:54 pm

L'Europa capitola: il negoziato sul Recovery Fund è il trionfo di Rutte
Andrea Muratore
11 luglio 2020

https://it.insideover.com/economia/rutt ... rende.html

Mark Rutte potrebbe averla vinta di nuovo e spuntare un bilancio europeo alle sue condizioni, che l’Unione Europea e i suoi leader sono pronti a soddisfare pur di avere il semaforo verde del leader dei falchi sul fondo Next Generation Eu. Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, annunciando le linee guida negoziali su cui si baserà la riunione dei capi di Stato e di governo del prossimo fine settimana ha dimostrato di aver già accolto numerose richieste del leader olandese.

In primo luogo, l’Olanda avrà accesso ai cosiddetti “rebate”: rimborsi collegati a quello di cui la Gran Bretagna ha goduto dalla metà degli Anni Ottanta fino alla sua uscita dall’Unione Europea e che rappresentavano il bilanciamento per i Paesi rigoristi (Germania, Olanda, Danimarca, Svezia, Austria) che, Berlino a parte, oggigiorno sono – non a caso – i principali nemici di un bilancio comunitario fondato sul debito condiviso e sulla mutualizzazione dei deficit. Questi Paesi continueranno a conservare i loro privilegi, compreso l’abbattimento dallo 0,3% allo 0,15% del loro contributo Iva all’Unione, anche dopo che la Gran Bretagna si sarà definitivamente staccata dal legame con l’Ue al termine dell’esercizio di bilancio 2020.

Non solo. Rutte ha strappato anche un bilancio settennale comunitario molto simile a quello proposto dai quattro “frugali” prima della pandemia di coronavirus. “Ho proposto un bilancio di 1.074 miliardi di euro per raggiungere gli obiettivi a lungo termine e garantire piena capacità al Recovery plan. La proposta riflette due anni di discussioni tra gli stati”, ha detto Michel: il bilancio è di circa il 20% inferiore alla proposta iniziale del Parlamento Europeo e di 60 miliardi più bassa di quella proposta dalla Commissione di Ursula von der Leyen. I tagli saranno in larga parte esercitati, rispetto alla proposta iniziale, sul programma InvestEu proposto da Jean-Claude Juncker per aumentare la potenza di fuoco dell’Unione sui progetti strategici. Fumo per gli occhi dell’Olanda, che con la sua visione mercantilista e competitiva delle relazioni comunitarie si è posta, assieme ai Paesi della Nuova lega anseatica, a favore di un’architettura mercantilista e liberista.

Rutte chiede meno risorse comuni per gli investimenti ma al contempo strappa un contributo di solidarietà per compensare l’impatto economico della Brexit sull’economia de L’Aja. In sostanza, sottolinea Italia Oggi, “in favore dei paesi frugali e, in particolar modo, dell’Olanda, si dispone la costituzione di un nuovo strumento: una riserva di bilancio di 5 mld di euro per le «conseguenze imprevedibili della Brexit, in favore dei paesi più esposti verso il Regno Unito» a causa delle forti relazioni commerciali in essere. In sostanza, è una specie di do ut des per avere da L’Aia il via libera al pacchetto sul Recovery plan“.

La capacità di giocare le carte giuste al momento appropriato, nell’Unione odierna, paga: e non possiamo fare a meno di notare che per Rutte ciò sia avvenuto a più riprese da marzo in avanti. Partendo da una posizione volutamente radicale con l’opposizione al Recovery Fund, il premier olandese ha strappato diverse concessioni di peso che andranno da lui difese nel corso delle riunioni del Consiglio europeo, ma che consolidano il posizionamento dell’Olanda, a tutto discapito della capacità di reazione complessiva dell’Unione. La sfida è anche di politica interna: Rutte temeva l’assalto della destra nazional-liberista guidata da Gert Wilders e, soprattutto, un regolamento di conti nella sua coalizione interna che portasse al suo avvicendamento con il ministro delle Finanze Wopke Hoekstra ma ha saputo sminare il sentiero. Il premier olandese è per ora riuscito nella mossa di tenere stabilmente la trincea del rigore attivando un flusso di risorse dall’Unione alle casse olandesi. L’Europa ha ceduto su tutta la linea pur di non veder compromessa la sua linea dal falco dei falchi del rigore.




"La recessione da Covid minaccia di distruggere la zona euro"... E lo dice Gentiloni
Musso
13 luglio 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... gentiloni/

Paolo Gentiloni, commissario europeo per gli affari economici e monetari, ha rilasciato a Die Welt una intervista (qui la traduzione) rivolta al pubblico tedesco, per dire la sua sulla trattativa del Recovery Fund.

All’intervistatore tedesco che gli fa notare come, se tutto va bene, “i soldi del fondo giungerebbero al più presto nell’autunno del 2021”, Gentiloni risponde col solito argomento delle aspettative: “Se gli Stati membri concordano su un potente piano di ricostruzione, ciò creerà fiducia in molte economie e tale fiducia da sola può aiutare l’economia europea a riprendersi più rapidamente”. Prosegue, spiegando che tali aspettative si baseranno “sulla rapidità con la quale gli Stati membri che desiderano ottenere soldi dal fondo presenteranno i propri piani di riforma e investimento”. Cioè, sino all’autunno del 2021 se tutto va bene, dei soldi sentiremo l’odore e di riforme ci sfameremo. E lo dice il commissario europeo per gli affari economici e monetari.

Dell’unico programma che egli dice disponibile nell’autunno 2020, il SURE, specifica di non conoscere: la lista completa dei Paesi richiedenti, le somme specifiche richieste, se vi parteciperanno Francia Germania e Paesi Bassi, il criterio per la distribuzione dei fondi. Di fronte allo stupore dell’intervistatore tedesco per la modestia delle cifre a disposizione, risponde serafico che “i 100 miliardi dovrebbero essere sufficienti”.

Naturalmente, egli si dice ottimista che se Merkel “accelera un compromesso, possiamo raggiungere un accordo questo mese”, ma nel dir questo praticamente scarica l’onere sulla cancelliera. Anzi, alla cancelliera egli fa una fretta dannata: “Il tempo è poco. Invito pertanto tutti gli Stati membri ad avviare negoziati nella prossima settimana, pronti a scendere a compromessi”. Dichiara che “le cifre attuali sulla disoccupazione nascondono la vera portata della crisi” e descrive un autunno economico 2020 tragico, in cui “minacciano molti fallimenti nei settori più colpiti, di conseguenza, molte persone possono perdere il lavoro”. Butta lì che “nessuno sa come si svilupperà l’infezione nei prossimi mesi e questo ci preoccupa tutti”, al punto che l’intervistatore gli chiede se egli si riferisca ad una seconda ondata di infezioni, costringendo il nostro alla retromarcia: “Il rischio maggiore sono gravi focolai locali”.

Perché il problema del nostro non è la pandemia. Il problema del nostro non è nemmeno la crescita economica generale, dato che “Danimarca, Polonia, Svezia o Germania sembrano superare meglio la crisi”. E forse nemmeno che, contemporaneamente, “in Italia, Francia e Spagna, l’economia crolla dal 10 all’11 per cento”. No, ciò che lo terrorizza è la divaricazione. Egli è terrorizzato perché “i Paesi dell’Eurozona si stanno sviluppando economicamente ancora più separati l’uno dall’altro di quanto previsto ancora in primavera”.

E uno pensa: sarà terrorizzato per le conseguenze sociali, bancarie, di ordine pubblico, per gli imprenditori italiani che si suicideranno, per i bambini italiani che resteranno senza casa. Ma neanche a parlarne. Gentiloni è terrorizzato perché: “Ciò da cui abbiamo sempre messo in guardia è ora confermato: la recessione da Covid minaccia di distruggere la zona euro”.

Eureka. Siamo stati sepolti, negli scorsi mesi, da dichiarazioni di politici e giornalisti di ogni Paese, che gridavano: ‘il Covid mette a rischio il mercato unico’. Potremmo citare La Stampa (“Il rischio di distruggere il mercato unico”), La Repubblica (“Salvare il mercato comune europeo è interesse di tutti”), Von der Leyen (“Si nous n’agissons pas de manière déterminée, nous verrons des distorsions croissantes sur le marché unique”), Scholz (“Le fondement économique de notre prospérité est le marché intérieur européen”), Merkel (“evitare che il coronavirus disfi il mercato unico”), Prodi (“Oggi l’Europa si presenta come una nuova grande patria in un momento in cui l’operare in un grande mercato domestico è diventato condizione necessaria per la sopravvivenza”), Amendola (“combattiamo una recessione che non deve produrre disparità, pena la disgregazione e la competitività del mercato unico”), Vittorio Grilli (“Ora tutti i Paesi, non solo la Germania, tutelando l’integrità della Ue intendono salvaguardare anche il mercato comune”), Charles Michel (“il buon funzionamento del mercato interno, che garantisce la prosperità, dipende dalla capacità dei 27 Stati membri di rilanciare le loro economie”), Conte (“Noi stiamo lavorando per preservare il mercato interno”) e decine e decine di altre. Sopra tutti, Macron: “Il mercato unico avvantaggia alcuni degli stati o delle regioni più produttivi, perché producono beni che possono vendere ad altre regioni. Se abbandoniamo queste regioni [in difficoltà per il Covid], se lasciamo cadere parte dell’Europa, tutta l’Europa cadrà”.

Ma no, miei cari, la recessione da Covid non minaccia il mercato unico, ce lo ha spiegato Gentiloni: “La recessione da Covid minaccia di distruggere la zona euro”. Che è cosa ben diversa.

Certo, Draghi considera l’Euro necessario a tutelare al massimo grado il mercato unico delle merci, dei servizi e dei capitali: ciò che lo stesso Draghi pretende di considerare come il vero obiettivo della moneta unica; lo ha detto a Lubiana, ripetuto a Francoforte e ripetuto ancora nel suo discorso di congedo a Sintra. Ma sono disposti gli olandesi a trasferire trilioni ai Paesi del Mediterraneo, pur di continuare ad avere insieme l’Euro ed il Mercato Unico? Manifestamente no. Ed i tedeschi, preferirebbero aggiungere ad una propria rivalutazione i contro-dazi italiani? Crediamo proprio di no. Al punto che troviamo Barbara Spinelli preoccuparsi che la situazione attuale venga superata, non dalla parte dell’unione politica che lei sogna, bensì dalla parte della fine della zona euro dentro il mercato unico, con ancora ben vigenti tutte le “regole fissate a partire dagli anni ’80, nella politica industriale e nel mercato del lavoro”, che lei certo non ama.

Barbara Spinelli avrà di che consolarsi: la sopravvivenza del mercato unico garantirebbe la libera circolazione delle persone e delle merci… ma la distruzione della zona euro terminerebbe la libera circolazione dei capitali. Di questo, il commissario europeo per gli affari economici e monetari ha voluto avvertire i tedeschi. Parlando abbastanza chiaro, per una volta. Perciò valeva la pena leggerlo.





I Paesi frugali ricattano l'Italia: "Via quota 100 o niente soldi"
Luca Sablone - Ven, 17/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1594971722

Continua il braccio di ferro sul Recovery Fund. Il pressing dei Paesi del Nord Europa che pretendono l'eliminazione di quota 100

Tutto pronto per il "D-Day" dell'Unione europa: l'ha definito così David Sassoli, il presidente del Parlamento europeo. Un appuntamento importantissimo dove ci si gioca il futuro dell'Italia e dell'Europa: nella giornata di oggi, venerdì 17 luglio, e di domani si terrà il Consiglio europeo con la presenza di tutti i primi ministri e i capi di governo europei per discutere di Next Generation Eu e del Recovery Fund studiato della Commissione europea.

Si tratta di un pacchetto con un'entità di 750 miliardi di euro e una proporzione tra trasferimenti a fondo perduto e prestiti. L'intento dell'incontro non è solo quello di aiutare i Paesi a sollevarsi in seguito ai danni provocati dall'emergenza Coronavirus, ma anche quello di pianificare un futuro tecnologico, verde e sostenibile.

Ovviamente al tavolo non mancheranno momenti di tensione: da una parte ci saranno gli Stati del Sud, guidati da Francia, Italia e Spagna; dall'altra quelli del Nord, in cui figurano Austra, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia. La situazione è chiara: i Paesi frugali si sono dimostrati molto critici nei confronti dei trasferimenti a fondo perduto e pertanto hanno chiesto un ridimensionamento degli aiuti da stanziare. Il premier Giuseppe Conte sa benissimo che sul piatto c'è il destino dell'Italia: ecco perché vuole chiudere in fretta senza compromessi al ribasso. Ma contro il nostro Paese si è alzato il muro olandese, che ha provocato la durissima reazione del presidente del Consiglio contro Mark Rutte: "La richiesta dell'Olanda di far approvare all'unanimità il piano di ciascun Paese che vuole accedere al Next Generation Ue non mi pare in linea con le regole europee".

Lo sgambetto dell'Ue

I disaccordi riguardano principalmente tre questioni: l'entità e la distribuzione delle risorse tra contributi a fondo perduto e prestiti, le condizioni per accedere ai fondi e la governance. La posizione dei Paesi frugali relativamente alle condizioni legate all'accesso ai sussidi o ai prestiti è chiara: chi ne fa uso, dovrà impegnarsi in una serie di riforme strutturali. Come riportato dall'edizione odierna de La Verità, per l'Italia sono finiti nel mirino quota 100 e reddito di cittadinanza: soprattutto la prima riforma è stata da sempre ritenuta del tutto opposta alla direzione intrapresa dall'Ue sui sistemi pensionistici.

A dimostrarsi prudentemente ottimista è stata Christine Lagarde: "Diamo per scontato che il Recovery and Resilience Fund arriverà, e che sarà un forte mix di trasferimenti a fondo perduto e prestiti, i primi in misura maggiore". Ma bisogna sottolineare che anche il presidente della Banca centrale europea ha avvertito che bisognerà impegnarsi in misure strutturali: "Il fondo Rff dovrà essere profondamente ancorato a solide politiche strutturali".




Rutte guida l'offensiva: in Europa nessuno si fida più dell'Italia
Federico Giuliani
18 luglio 2020

https://it.insideover.com/economia/rutt ... talia.html

Giuseppe Conte sperava in un’intesa, o almeno in una tregua tale da consentirgli di dormire sogni tranquilli in attesa di una ipotetica fumata bianca. Il Consiglio europeo si è invece trasformato in una trappola mortale per l’Italia e il suo governo. Un governo, quello giallorosso, privo di una strategia concreta e per questo facilmente messo all’angolo dai Falchi dell’Ue.

Il primo tempo della partita di Bruxelles più che un round di negoziati assomigliava quasi a un processo contro Roma. A guidare l’invettiva c’era il premier olandese Mark Rutte, che ha chiesto, tra le altre cose, di avere il diritto di veto sulle nostre riforme. Prima del summit, infatti, Rutte aveva sottolineato che sarebbe stato necessario uscire dalla riunione con un impegno sulle riforme “per quei Paesi che sono rimasti indietro”.

L’Italia non è stata citata direttamente, ma il messaggio è arrivato forte e chiaro alle orecchie di Conte. Detto altrimenti, il premier italiano, a detta de L’Aia, deve rimettere in ordine i conti italiani, anche dando un segnale forte, come quello di abolire Quota 100. La posizione dell’Olanda ha così preso forma in tutta la sua rigidità: i fondi europei devono essere destinati soltanto a quei governi che saranno capaci di presentare un piano nazionale.

Mancanza di fiducia

Rutte, in prima fila a rappresentare il club dei Paesi frugali, ha proposto che, per poter accedere ai corposi fondi, i Ventisette membri debbano prima elaborare un piano di riforme da sottoporre all’approvazione, all’unanimità, del Consiglio europeo (in altre parole sottoposto al veto degli altri Stati membri). L’Italia, insieme calla Spagna di Pedro Sanchez, è rimasta ferma nella sua posizione: il piano non può essere esaminato dal Consiglio ma deve essere la Commissione, con la sua imparzialità, a valutarlo.

Secondo quanto riferisce Repubblica, è a quel punto che si sarebbero esacerbati gli animi. Al secco no di Conte alla proposta olandese, Rutte avrebbe fatto riferimento al Mes: “Ma se avete bisogno di soldi, perché non chiedete il Mes che abbiamo appena rifatto esattamente come lo volevate voi? Se dobbiamo fare nuovo debito pretendo di sapere a cosa serviranno i fondi”. È evidente come l’Olanda non si fidi più di nessuno: non di Bruxelles, che da “anni non applica il Patto di stabilità”, né tanto meno dell’Italia, giudicata incapace di non sperperare i denari che potrebbe ricevere dall’Europa.

Processo all’Italia

Il riferimento di Rutte è chiaro. L’Italia è stata più volte graziata sul debito, e adesso rischia di ottenere un’ingente quantità di denaro senza avere un piano concreto che attesti come, quando e dove utilizzerà questi aiuti. Il timore dell’Olanda è che Roma possa utilizzare i soldi di Bruxelles in malo modo (per intendersi: sul modello dei vari buoni monopattini e vacanze proposti dai giallorossi nei mesi precedenti).

Il premier Rutte non è l’unico che vorrebbe controllare l’uso degli aiuti Ue. In realtà, sottolinea ancora Repubblica, anche Francia e Germania sarebbero favorevoli a un check. È per questo motivo che sul tavolo delle trattative è spuntato l’emegency brake, una specie di freno di emergenza che ricorda un diritto di veto sulle riforme per accedere al Recovery Fund. L’Italia, insomma, è stretta all’angolo e, almeno per il momento, deve subire il corso degli eventi. Al momento Conte può solo smussare gli spigoli per limitare i danni.


Vittorio Feltri dalla parte dell'Europa: il taglio delle pensioni? Ecco qual è il "peccato originale"
Vittorio Feltri
17 luglio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/co ... s.facebook

Si dice che l'Europa ci possa versare un lauto contributo in denaro a una condizione (non come dicono gli analfabeti condizionalità, termine inesistente nella lingua italiana): che il governo approvi una legge in grado di ridurre le spese dell'Inps, oggi insostenibili. Ancora una volta dobbiamo dare ragione a Bruxelles. Intendiamoci, è ingiusto penalizzare i pensionati riducendo i loro assegni o mandandoli in quiescenza allorché sono vicini alla tomba. Il problema è un altro, molto più grave. La Previdenza sociale nacque e prosperò a lungo grazie ai contributi mensili versati dai lavoratori e dalle aziende. Lo scopo era assicurare a chi aveva cessato di sgobbare per raggiunti limiti di età un reddito dignitoso.

E fin qui tutto bene. Le casse dell'istituto reggevano tranquillamente. Poi è successa una cosa orribile. La politica ha gravato la Previdenza di altri fardelli che con le pensioni non avevano che fare, per esempio la Cassa Integrazione guadagni, il sostentamento minimale di coloro che non hanno mai pagato le cosiddette marchette eppure bisognosi di campare con un piccolo finanziamento mensile, infine il reddito di cittadinanza. Va da sé che gli oneri per l'INPS sono diventati enormi mentre gli introiti sono rimasti quelli sganciati dai dipendenti. I quattrini non bastano più a coprire le uscite poiché le entrate non sono aumentate.

Ovvio che la Ue non vada troppo per il sottile, vede un bilancio che fa venire i brividi e pretende dal nostro esecutivo, in cambio di un sostentamento, la riduzione degli esborsi pensionistici. In pratica chiede che la Previdenza costi complessivamente meno di oggi, e pensa soprattutto a un particolare semplice: abbassare le pensioni e ritardare il momento della collocazione a riposo dei lavoratori. L'errore marchiano commesso dai nostri governanti odierni e da quelli di ieri è il seguente: non aver diviso la previdenza dall'assistenza, cosicché ad andarci di mezzo sono sempre e soltanto le persone anziane, i denari delle quali non rimangono nelle loro tasche ma foraggiano gente che non caccia mai un euro e si limita a incassare. Siamo di fronte a una grave ingiustizia ai danni di coloro che hanno rimpinguato il portafogli della Previdenza non per essere retribuiti una volta abbandonato l'impiego, bensì per mantenere chi si gratta il ventre. Prendersela con i pensionati e come sparare sulla Croce rossa.




Salvini: "Niente soldi dall'Ue. Conte preso in giro a Bruxelles"
Federico Garau - Sab, 18/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1595106889

Il Consiglio europeo è in una fase di stallo e, per stessa ammissione del premier, la trattativa si sta rivelando "più complicata del previsto". Salvini: "Conte a Bruxelles lo stanno prendendo in giro, non arriverà una lira"

Non stanno arrivando buone notizie dal vertice europeo sul Recovery fund: quei soldi tanto ventilanti dal governo stanno diventando sempre più un miraggio e persino il premier Giuseppe Conte, avvilito dopo ore di negoziato, è apparso stanco durante l'irrinunciabile diretta Facebook di oggi.

Stremato dopo ore di trattative (il consiglio europeo ha avuto inzio ieri), il presidente del Consiglio ha infine dovuto ammettere la verità:"Si è rilevato complicato, più complicato del previsto".

Al momento attuale ci troviamo in una condizione di stallo. Come era da aspettarsi, il più acerrimo avversario di Conte si è rivelato essere il primo ministro olandese Mark Rutte, che con i suoi veti continua a rendere più difficoltoso il lavoro al sedicente avvocato del popolo. Nessuna apertura nei confronti dell'Italia. Da poco è inoltre arrivata la notizia di un nuovo documento in cui i cosiddetti "Paesi frugali" chiedono al Consiglio europeo di applicare ai sussidi un ulteriore taglio di 155 miliardi.

Per alcuni rappresentanti della politica italiana quanto sta avvenendo in queste ore a Bruxelles non è affatto una sorpresa. Il leader della Lega Matteo Salvini è stato scettico nei confronti dei fantomatici aiuti elargiti dall'Unione europea sin dal principio. Anche quest'oggi l'ex vicepremier non ha mancato di criticare l'esecutivo e spronarlo ad agire senza chiedere interventi esterni.

"Siamo gli unici in Europa che stanno aspettando questi mille mila miliardi che tanto non arriveranno", ha dichiarato mentre si trovava per un incontro con i cittadini a Grottaglie (Taranto), come riportato da "LaPresse". "Il suggerimento a Conte, come quando hai un compagno più bravo in classe, è: copia. Copia dai francesi, copia dagli spagnoli, dai polacchi, persino dai greci, ma fai qualcosa".

Spostatosi poi a Gallipoli, Salvini ha quindi rimarcato: "Stasera ai telegiornali vedrete che Conte è a Bruxelles, ma dall'Europa non arriverà mai una lira, dobbiamo contare solo sulla forza degli italiani e sui risparmi degli italiani".

"Conte a Bruxelles lo stanno prendendo in giro, perché se qualcuno pensa che dall'Europa arrivi una lira si sbaglia", ha aggiunto, come riportato da "AdnKronos".

Duro anche il commento della presidente di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. "Al Consiglio europeo in corso, i 'nemici' dell'Italia durante le trattative sono soprattutto i 4 'Paesi frugali'", ha scritto stasera sulla propria pagina Facebook."Olanda: governo di coalizione liberali (stesso gruppo europeo di Renzi) e popolari (stesso gruppo della Merkel). Svezia e Danimarca: governo socialista, stesso gruppo del PD. Austria: governo popolari/verdi. Ma per i soliti giornaloni ben informati e per la maggioranza PD-M5S, il problema sono 'le destre'. Se questa gente pensasse più a difendere l’interesse nazionale italiano invece di perdere tempo a provare ad attaccare 'i sovranisti' per compiacere la Merkel e Macron, saremmo già un passo avanti".








"Non torno a casa senza intesa". Adesso per Conte si mette male
Federico Giuliani
19 luglio 2020

https://it.insideover.com/economia/non- ... e_redirect

Più passa il tempo e più l’ottimismo si trasforma in paura di non farcela. Giuseppe Conte è sull’orlo di una crisi di nervi, stanco per i negoziati infiniti, deluso per il muro issato dai Paesi frugali, adirato per l’atteggiamento dell’olandese Mark Rutte. Il Consiglio europeo straordinario, che avrebbe dovuto sancire l’intesa tra i 27 Paesi membri dell’Ue sull’entità degli aiuti economici per il post Covid e sulla loro governance, si è arenato in un nulla di fatto.

Niente fumata bianca, niente compromessi, zero notizie positive. Anche perché, sottolinea il quotidiano La Repubblica, su Conte aleggia lo spettro della sconfitta politica. Già, perché nel caso in cui il premier italiano dovesse tornare a casa a mani vuote, senza qualcosa di conveniente per l’Italia, qualcuno potrebbe metterlo in discussione. E così, improvvisamente il governo giallorosso si ritrova sul filo di un rasoio, dipendente più che mai dal risultato di Bruxelles.

Se Conte dovesse vincere, anche il suo esecutivo tirerebbe un respiro di sollievo; ma se l'(ex) Avvocato del popolo dovesse finire a terra, pure il resto della sua ciurma lo seguirebbe negli inferi della politica. Insomma, l’Italia ha bisogno di trovare un accordo, e anche in fretta. Roma può continuare a negoziare per altri mille pomeriggi, ma è anche il Paese che per primo, viste le sue condizioni economiche, ha bisogno di un accordo senza rinvii.

L’ira di Conte

Ecco da dove nasce l’ira di Conte. Il premier italiano non ne può più delle mezze giravolte di Mark Rutte e dei frugali. Per questo l’Italia potrebbe giocare carte pericolose, tra cui – fa notare Il Corriere della Sera – spingere per un accordo di opting out, cioè un’intesa a 26 che possa escludere la riottosa Olanda dagli aiuti economici e dal meccanismo di controllo. C’è poi un altro jolly: ricorrere alla Corte di giustizia europea.

In entrambi i casi, vada come vada, si sancirebbe una vera e propria frattura con Bruxelles, con l’Europa che potrebbe leggere la posizione italiana come un primo tentativo di uscita dall’Ue. A proposito della via giuridica, qualora l’Olanda dovesse insistere sul meccanismo di controllo sull’erogazione degli aiuti (leggi come: diritto di veto per il singolo Stato membro), allora l’Italia potrebbe dimostrare l’incompatibilità della proposta olandese con i trattati europei.

Conte sa bene che è durissima, e lo ha ripetuto anche a notte fonda, una volta rientrato in hotel. ”Caro Mark capisco che tu abbia in testa solo le elezioni che a primavera ci saranno nel tuo Paese. E capisco pure che ognuno ha il suo Salvini”, avrebbe detto il premier italiano al suo omologo de L’Aia.

La posizione di Rutte

Ma per quale motivo l’Olanda non ha intenzione di cedere? Per capirlo bisogna dare un’occhiata al calendario. A marzo sono previste le elezioni politiche. Mar Rutte, attuale premier, ha tutto da perdere. L’uomo che sta tenendo in scacco l’Europa intera si gioca la riconferma ripresentandosi per il partito popolare. Il problema è che alle sue spalle c’è un populista d’hoc come Geert Wilders, pronto a sfruttare ogni passo falso dell’avversario. Ecco spiegato perché Rutte non può ammorbidirsi: rischierebbe di regalare immense praterie al “Salvini d’Olanda” e perdere la sua partita personale. D’altronde Wilders lo ha avvertito: senza il diritto di veto, è meglio che il premier “resti a Bruxelles”.

Tornando sul tema degli aiuti economici, l’Italia, a dire il vero, ha fatto un passo indietro. Roma sarebbe pronta ad accettare 420 miliardi di sovvenzioni anziché 500, con i prestiti, invece, che salirebbero da 250 a 330. Da un punto di vista strettamente politico, per Conte cambierebbe poco: potrebbe sempre dire che sul piatto ci sono 750 miliardi. Ormai non c’è più tempo ed è per questo che il premier avrebbe inoltre intenzione di puntare sui 37 miliardi del Mes. Anche perché, al di là delle fumate bianche, prima del 2021 l’Italia può contare su appena 3 miliardi. Briciole o quasi.




Adolfo Pellegrini
“Mark Rutte, il primo ministro Olandese, appartiene al Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (VVD), che fa parte dell'ALDE, gruppo Liberale del parlamento UE, che non ha niente a che fare coi gruppi euroscettici ne col Sovranismo e ne col Socialismo. L'ALDE sostiene la UE e anche il primo ministro Mark Rutte sostiene la UE. Mark Rutte e parecchi pezzi grossi del suo partito sono di cultura Calvinista, stiamo quindi parlando di persone che non adorano debiti, consumismo, vita spericolata, clamore, vita mondana, rapine fiscali. Il governo Olandese guidato dal Calvinista Mark Rutte si sta opponendo alle politiche del debito caldeggiate dai partiti e dai governi Socialisti della UE, e il governo Italiano, purtroppo, è Socialista. Non potendo la stampa Italiana, Socialista per eccellenza, definire Populista o Sovranista il governo Olandese, essa si è affrettata a prendersela con la cultura Olandese definendola "frugale", con diverse sfumature che sanno di "razzista" e "intollerante", un po' come se quella Italiana fosse definita una cultura "mafiosa". La stampa Italiana insomma, quando le fa piacere, si permette di usare toni aggressivi e intolleranti con paesi e governi di cultura diversa, per poi dare dell'intollerante e dell'aggressivo a partiti e paesi che non condividono le idee dei governi Socialisti Italiani. Trovo che questi toni da parte della stampa Italiana siano inammissibili come sono da ritenersi inammissibili i toni dei politici che la stampa Italiana stessa difende, foraggia, sostiene. I toni del governo Italiano attuale a guida PD sono Socialisti, tassaroli, criminali, arroganti, prepotenti, farabutti: sono i toni di chi vorrebbe creare ancora più debito sulle spalle delle future generazioni senza rinunciare a spese inutili e "vita esagerata", senza rinunciare al consumo fine a se stesso e "vita che se ne frega", senza rinunciare a spesa pubblica e "vita spericolata". I nodi stanno venendo al pettine, alla faccia del Socialismo, del Keynesismo, del Vaschismo. E bravo il Calvinista Mark Rutte, Liberale, contro la spesa pubblica e contro le tasse, figlio di commercianti per bene, che in Italia non prenderebbe un voto.” R.V.



Recovery Fund: chi vince e chi perde con la nuova intesa Ue
20 luglio 2020

https://www.ansa.it/europa/notizie/rubr ... 88cce.html

Anche se sono entrati venerdì mattina determinati a difendere fino in fondo tutte le loro richieste, un compromesso andava trovato, e quindi tutti sapevano di dover cedere qualcosa. Ma nessuno dei 27 leader europei esce realmente sconfitto dalla maratona negoziale che ha messo in piedi la risposta alla crisi economica più dura dal Dopoguerra. Vincitori invece ce ne sono tanti. Primi fra tutti i mediterranei, con Italia e Spagna in testa, che portano a casa un guadagno netto sui fondi del Recovery e soprattutto sulle sovvenzioni a fondo perduto che, anche se scendono sotto i 400 miliardi, non riducono di molto la parte destinata ai piani di rilancio rispetto alla proposta iniziale. E la parte di prestiti sale addirittura.

Ma vincitori, e sempre nella stessa partita, sono anche i frugali, che hanno costretto Michel, von der Leyen, Merkel, Macron e tutti gli altri a scendere sotto la soglia psicologica dei 400 miliardi di sussidi, venendo peraltro da una proposta iniziale di 500. Inoltre, hanno dimostrato ai loro elettori di aver saputo tenere testa all'asse franco-tedesco, piegandolo, e riuscendo anche ad aumentare i 'rebates', cioè i loro sconti al bilancio. L'Austria in particolare l'ha quasi raddoppiato. Per chiudere la dura battaglia sulla governance si è invece trovato un compromesso che fa cantare vittoria a Rutte, che voleva il controllo sulle riforme degli altri, e non lascia completamente scontenta l'Italia, che si opponeva fermamente a lungaggini e intoppi nel processo di approvazione dei piani di rilancio e nell'esborso dei fondi. Il meccanismo chiamato 'super freno d'emergenza' consente ad un Paese di portare i suoi dubbi sui piani di riforma all'Ecofin, ed eventualmente anche al Consiglio europeo, ma con un processo non automatico.



L'ultimo round sui fondi Ue. Il "ricatto" olandese la spunta
Federico Giuliani - Mar, 21/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1595276400
L'importo complessivo del Recovery Fund dovrebbe restare a quota 750 miliardi. All'italia 127 miliardi di prestiti e 82 di sovvenzioni. L'intesa si avvicina

Si avvicina l'accordo sugli aiuti economici post Covid da assegnare agli Stati membri dell'Unione europea. Secondo quanto filtra da Bruxelles, i Paesi frugali sarebbero pronti ad accettare la bozza del Recovery Fund recapitata dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, alle varie delegazioni nazionali.

La bozza sul Recovery Fund

Scendendo nel dettaglio, l'importo complessivo del Recovery Fund dovrebbe restare a quota 750 miliardi come proposto da Germania e Francia e accettato dalla Commissione Ue. Cambierebbe tuttavia la composizione: 390 miliardi di sovvenzioni (anziché 500) e 360 miliardi in prestiti (invece di 250).

All'Italia toccherebbero 209 miliardi di risorse anziché i 172 miliardi calcolati in un primo momento. Attenzione però, perché l'ammontare dei prestiti passerebbe da 91 miliardi a 127 miliardi, mentre la quota a fondo perduto resterebbe invariata a 82 miliardi. Sempre stando al contenuto dell'ultima bozza, i fondi messi a disposizione da Bruxelles verrebbero utilizzati tra quest'anno e il prossimo.

La vittoria dei frugali

Abbiamo usato il condizionale, perché non c'è ancora alcuna ufficialità e non sono da escludere ulteriori modifiche in corso d'opera. Dovessero terminare in questo modo, i negoziati sancirebbero una discreta vittoria da parte dei Paesi frugali.

Il fronte del Nord, guidato dal battagliero premier olandese Mark Rutte, è riuscito a far crollare le sovvenzioni di un centinaio di miliardi. Di più non è stato possibile, visto che scendere a 390 miliardi avrebbe comportato una revisione del meccanismo dei rebates, cioè dei rimborsi tanto cari ai frugali.

Secondo quanto riferisce Politico.eu, al fine di ammortizzare la nuova proposta del Recovery Fund in formato "light", il presidente Michel avrebbe incluso varie riduzioni agli incrementi inizialmente previsti per i programmi su ricerca, sanità e sviluppo internazionale. Possibili riduzioni in vista anche per Horizon Europe, Just Transition Fund e ReactEu.

Il regalino all'Olanda

All'interno della negobox, come è stata soprannominata la bozza di compromesso, c'è una sorta di regalino all'Olanda. Un contentino, ha spiegato l'agenzia Adnkronos, che consentirebbe al premier olandese Rutte di tornare in patria con un duplice vantaggio da spendere in vista delle elezioni del 2021.

Innanzitutto L'Aia può contare su un rebate alquanto succulento, quantificabile in 1,92 miliardi di euro annui in meno da versare nel bilancio Ue. Dopo di che l'Olanda ha incassato un aumento dei costi di raccolta delle risorse proprie Ue tradizionali, tra le quali troviamo i dazi doganali, dal 20% al 25%.

L'intenzione iniziale era quella di abbassare tali costi al 10%. Basti pensare che consentire a uno Stato di trattenere un quinto del gettito, offre a quello stesso Paese un aggio significativo, a maggior ragione se – proprio come accade all'Olanda - stiamo parlando di una nazione efficiente nell'esazione delle imposte.

Il governo olandese, qualora dovesse essere confermata la bozza, non solo non perderebbe quei ricavi, ma li vedrebbe addirittura aumentare. Rutte rischia quindi di ritrovarsi tra le mani un clamoroso all-in. La ciliegina sulla torta? Un risultato economico da spendere sul piano politico.

Le risorse destinate all'Italia

Se confrontiamo l'ultima proposta di Next generation Ue avanzata da Michelcon con la prima bozza presentata dal Consiglio europeo sabato, notiamo una diminuzione dei sussidi all'Italia di 3,84 miliardi di euro. Se la paragoniamo con il pacchetto messo sul piatto dalla Commissione Ue, gli aiuti restano sostanzialmente inalterati.

Stando invece ai calcoli diffusi da fonti italiane, e riprese da varie agenzie, i prestiti concessi all'Italia sono aumentati di 38,8 miliardi. Nella prima bozza di Michel erano in tutto 173,8 miliardi le risorse da destinare all'Italia; nella nuova bozza aumentano di 34,9 miliardi a 208,8. La prima proposta del consiglio prevedeva 85,2 miliardi di sussidi contro gli 81,4 della seconda; i prestiti erano pari a 88,6 miliardi contro i 127,4 della nuova proposta.

In sintesi, ecco i soldi che dovrebbero essere destinati all'Italia, se il pacchetto dovesse essere confermato. Il Recovery and resilience facility (Rrf) sarebbe composto da 127,44 miliardi di euro in prestiti e 63,5 miliardi in sussidi. Oltre a sussidi per 15,25 miliardi nel programma ReactEu; 0,49 miliardi in Horizon Europe, 0,85 in Rural development; 0,54 in Just transition fund; e 0,24 in RescEu. Per un totale complessivo di 81,12 miliardi di sussidi.

L'approvazione dei piani nazionali

Tornando alla bozza sul Recovery Fund, ha sottolineato l'agenzia Adnkronos, l'iter di approvazione dei piani nazionali di ripresa, necessari ad accedere alla Recovery and Resilience Facility, prevedrebbe l'approvazione del via libera dato dalla Commissione da parte del Consiglio, con un voto a maggioranza qualificata.

Sull'attuazione dei piani stessi, è la Commissione che dovrebbe ritrovarsi a seguire il tutto, chiedendo l'opinione del Comitato economico e finanziario, organo tecnico del Consiglio. Sarebbe inoltre prevista la possibilità di sollevare la questione davanti al Consiglio Europeo, nel caso in cui "uno o più" Stati membri nel Comitato Economico Finanziario ritenessero valido il rischio di una "seria deviazione" dal "soddisfacente raggiungimento" delle "tappe" e degli obiettivi rilevanti.

Sul tema delle restituzioni, infine, bisogna registrare un'altra vittoria dei frugali. Il bilancio europeo 2021-2027, nella nuova proposta messa sul tavolo dal presidente dal solito Michel, resta a 1.074 miliardi. Aumentano i rimborsi per Danimarca (322 milioni), Germania (3,6 miliardi), Olanda (1,9 miliardi), Austria (565 milioni) e Svezia (un miliardo). In ogni caso, nelle prossime ore è attesa la fumata bianca per sancire la fine delle trattative.

Fonti Ue: vertice si concluderà domani

Il vertice sta andando avanti da 85 ore. Il presidente del Consiglio europeo Michel ha sospeso i lavori della plenaria del summit per un "limitato numero di aggiustamenti tecnici". L'intesa, sostengono fonti Ue, è sempre più vicina ma è impossibile sapere se la tanto agognata fumata bianca arriverà a notte fonda o nella giornata di domani.

Secondo le ultime indiscrezioni i lavori potrebbero terminare soltanto dopo l'ennesima nottata di negoziazioni e aggiustamenti. A quanto pare sarebbero state superate tutte le questioni più complesse, cioè quelle relative alla governance del fondo, alle condizionalità legate allo stato di diritto e alla quota di sussidi a fondo perduto.

Sulla governance, spiegano fonti di agenzia, l'ultima proposta presentata da Michel prevede che i piani presentati dagli Stati membri siano approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata in base alle proposte presentate dalla Commissione. La stessa Commissione, inoltre, potrebbe chiedere il parere del comitato economico e finanziario per valutare se sono stati raggiunti in modo soddisfacente i piani indicati nei piani di ripresa nazionali che ogni governo dovrà presentare.

Il comitato economico e finanziario si adopererà, quindi, per raggiungere un consenso. Se uno o più Stati membri dovessero identificare gravi deviazioni rispetto al piano, allora potranno chiedere al presidente del Consiglio europeo di sottoporre la questione nel corso del prossimo vertice previsto fra i capi di Stato e di governo. Questo processo non dovrebbe richiedere più di tre mesi dopo che la Commissione avrà chiesto il parere del comitato economico e finanziario.


Firmato accordo sul Recovery: a Italia 120 miliardi di prestiti
Renato Zuccheri - Mar, 21/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/fi ... 1595307426

Alle 5:30, Charles Michel, ha confermato il via libera. Ultimo duello in nottata tra Conte e Rutte, che la spunta ancora

Dopo una notte di intese trattative, l'accordo sul Recovery Fund è finalmente arrivato. Lo ha annunciato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel.

I leader dell'Unione europea hanno dato il semaforo verde per acclamazione e con un lungo applauso finale al testo che ha concluso un vertice che sembrava destinato al fallimento con lo scontro tra Italia e Paesi Bassi a fare da sfonda alla sfida tra potenze interna all'Unione europea.

Il piano straordinario da 750 miliardi vede dunque la luce dopo mesi di trattative estenuanti. E il risultato è il frutto di una mediazione tra frugali e mediterranei, in cui l'Olanda ha ottenuto, grazie anche ai suoi veti e ricatti, il massimo che avrebbe potuto ottenere. Le sovvenzioni del Recovery scendono a 390 miliardi i prestiti salgono a i 360. I frugali volevano scendere sotto la soglia psicologica dei 400 miliardi di fondi e Macron, sul filo di lana, ha ceduto alle richieste.

Secondo quanto riportato dalle fonti interne dal governo italiano citate da La Stampa, il governo sembra essere certo di ottenere 81,4 miliardi di sovvenzioni. Perché non sarebbero toccate le quote di "grants" né quelle dei fondi per le regioni più colpite dalla pandemia. Crescerebbe invece, e di molto, la quota dei prestiti che l'Italia sarà costretta a prendere: da 91 a 127 miliardi. Una cifra che serviva a frenare le spinte dei falchi, specialmente di Mark Rutte, che ha sempre avuto come obiettivo quello di rendere i fondi per Roma non come sovvenzioni ma come "loans". Questi soldi non arriveranno subito: l'Italia li avrà, forse, nella primavera del 2021 e li dovrà spendere entro il 2023 per le riforme proposte dal governo sulla base delle raccomandazioni della Commissione. Se queste riforme non covincono, i Paesi contrari potranno attivare il cosiddetto freno d'emergenza voluto fortemente da Rutte.

Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel su Twitter ha annunciato l'accordo con un "Deal". Con una battuta, subito dopo, che lascia abbastanza spiazzati: "Ce l'abbiamo fatta, l'Europa è forte ed unita. Un segno concreto che l'Europa è una forza in azione". Parole che lasciano alquanto perplessi visto come si è giunti a questo accordo.

Giuseppe Conte ha commentato l'accordo con: "Abbiamo conseguito questo risultato tutelando la dignità del nostro Paese e l'autonomia delle istituzioni comunitarie". Il premier, dopo la nottata finale a Bruxelles, ha poi aggiunto: "Il governo italiano è forte: la verità è che l'approvazione di questo piano rafforza l'azione del governo italiano. Ora avremo una grande responsabilità: con 209 miliardi abbiamo la possibilità di far ripartire l'Italia con forza e cambiare volto al Paese. Ora dobbiamo correre". Concludendo di essere ancora estremamente contrario all'uso del Mes: "La mia posizione non è mai cambiata. Il Mes non è il nostro obiettivo. L'obiettivo è valutare il quadro di finanza pubblica e utilizzare tutti i piani che sono nell'interesse dell'Italia.Il piano che oggi approviamo ha assoluta priorità. Ci sono prestiti molto vantaggiosi". E sul fronte interno, invece, via subito all'ennesimo task force: "La costruzione di una task force operativa, al di là di uno staff che ha già lavorato al piano di Rilancio, sarà una delle priorità che andremo a definire in questi giorni perchè dovrà partire al più presto".


Wilders attacca Rutte: "Regala soldi agli italiani"
Roberto Vivaldelli - Mar, 21/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/wi ... 1595359617

L'attacco di Wilders a Mark Rutte fa discutere: "Il primo ministro italiano, Giuseppe Conte, molto soddisfatto. Riceve 82 miliardi di regali, dai nostri soldi"

"Il primo ministro italiano, Giuseppe Conte, molto soddisfatto. Riceve 82 miliardi di regali, dai nostri soldi, mentre gli italiani sono tre volte più ricchi degli olandesi.

Perché lì non pagano le tasse". Parola di Geert Wilders, fondatore e leader del Partito per la Libertà olandese. "Ora li paghiamo noi - conclude riferendosi ai fondi del Recovery - grazie alle ginocchia deboli di Rutte". Wilders ha commentato a sua volta un tweet del primo ministro Giuseppe Conte in merito all'accordo raggiunto sul Recovery Fund. Wilders è il leader del partito olandese sovranista, anti europeista e anti immigrazione: al Parlamento europeo fa parte dello stesso gruppo della Lega di Matteo Salvini e della francese Marine Le Pen. La posizione di Wilders, in realtà, non era certo un mistero: soltanto pochi giorni fa esponeva un cartello su cui era scritto "nemmeno un centesimo all'Italia".

La linea politica anti-italiana di Geert Wilders nei confronti del negoziato rappresenta certamente uno sgambetto nei confronti anche della Lega di Matteo Salvini. E naturalmente questo "scivolone" di Wilders viene ampiamente sfruttato politicamente dagli acerrimi nemici del segretario del carroccio, come Più Europa di Emma Bonino che parla su Twitter di "cortocircuito sovranista". Tutto vero, ma ciò che i progressisti-europeisti dimenticano di dire è che gli avversari dell'Italia in questi negoziati europei non erano affatto "sovranisti". Lo stesso premier Giuseppe Conte, dopotutto, se l’era presa con i “sovranisti” per come si erano messe le trattative in Europa, dimenticano però l’appartenenza politica dei premier che guidano i Paesi cosiddetti "frugali": come ha notato Lorenzo Vita su InsideOver, infatti, Mark Rutte, presunto "sovranista", è nel Renew Europe di Macron e ha sconfitto proprio il nazionalista Wilders alle elezioni; Sebastian Kurz, cancelliere austriaco, è saldamente in seno al Partito popolare europeo e attualmente al governo insieme ai Verdi; Mette Frederiksen, premier danese, è socialdemocratica; Stefan Löfven, premier della Svezia, è un socialdemocratico; Sanna Marin, premier finlandese, è socialdemocratica.

A questo si aggiunge il fatto che uno dei pochi leader che ha espresso solidarietà e sostegno alle posizioni dell'Italia è il sovranista per eccellenza: il premier magiaro Viktor Orban. "Per quanto riguarda l’Ungheria noi stiamo dalla parte dell’Italia. La cosa migliore che possiamo fare è dare i fondi a coloro che ne hanno bisogno affinché ne spendano il più possibile e al più presto per stabilizzare le loro economie, piuttosto che avere lunghe e complicate dispute sui programmi” aveva detto Orban nei giorni scorsi. "Se si erogano i fondi al momento giusto, ha proseguito il premier ungherese, è come darli “due volte”. Al di là delle visioni politiche, la vera differenza fra Orban e Wilders è che le rispettive dichiarazioni stanno avendo un eco mediatico molto diverso. Quelle di Orban, infatti, sono pressoché passate sottotraccia, a differenza dell'olandese. Forse perché quelle di Wilders servono ad alimentare una certa narrazione, quelle di Orban no.

Alberto Pento
Ha più che ragione!
Infatti gli italiani hanno risparmi e ricchezza privata superiore agli olandesi e in parte realizzata a spese del debito pubblico e dei beni comuni; al contrario gli olandesi come tutti i paesi nordici e frugali hanno un basso debito pubblico e un alto debito privato, e non non si arricchiscono a spese dei beni e delle risorse comuni o pubbliche.
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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:55 pm

La plastic tax per finanziarie gli aiuti Ue: a gennaio è pronto il salasso
Federico Giuliani - Mar, 21/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1595335110


La plastic tax scatterà il 1 gennaio 2021. Si tratta di un "contributo nazionale calcolato sul peso dei rifiuti di imballaggi in plastica non riciclata". Ammonterà a 0,80 euro per chilogrammo

Il negoziato sugli aiuti economici post Covid per i Paesi membri dell'Ue si è chiuso con un Recovery Fund da 750 miliardi, 390 dei quali sovvenzioni a fondo perduto e i restanti 360 prestiti.

Nelle tasche dell'Italia finiranno 127 miliardi di prestiti e 80 di grants. Il problema principale, al netto della quantità delle risorse, è che questi soldi non arriveranno nel breve periodo. Non solo: prima di poter maneggiare i fondi, gli Stati dovranno fare i conti con l'impatto di varie tasse, tra cui la plastic tax europea.

Anche perché il Consiglio è stato costretto a trovare un compromesso sull'aumento delle risorse proprie per far fronte ai vari fondi da distribuire nell'Eurozona. In altre parole, l'Europa ha dovuto mettere i puntini sulle i per trovare nuove entrate con cui finanziare il debito.

Che cos'è e come funziona la plastic tax

Tra queste entrate troviamo anche la tassa sulla plastica (plastic tax), che entrerà in vigore a partire dal prossimo primo gennaio 2021. Tutto è stato messo nero su bianco da Bruxelles nelle conclusioni del Consiglio europeo straordinario andato in scena dal 17 al 21 luglio.

Alla voce "New Own Resources" viene spiegato in che cosa consiste la plastic tax. Si tratta di una "nuova risorsa propria" formata da una "quota delle entrate" proveniente da un "contributo nazionale calcolato sul peso dei rifiuti di imballaggi in plastica non riciclata". Da un punto di vista economico la tassa ammonterà a 0,80 euro per chilogrammo, "con un meccanismo per evitare un impatto eccessivamente regressivo sui contributi nazionali".

Nello stesso documento si legge qual è il piano dell'Europa. Nel primo semestre del 2021 la Commissione presenterà altre proposte sul meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio, prelievo digitale e sul sistema ETS (Sistema Europeo di Scambio di Quote di Emissione) rivisto, con una sua eventuale estensione anche al trasporto aereo e marittimo.

Ombre sull'Italia

Il Recovery Fund, in termini di risorse, è "sufficiente" ma "siamo molto preoccupati per le tempistiche di erogazione", "per le condizionalità" e "per le nuove tasse". A parlare è Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d'Italia al Parlamento europeo.

A tutto questo, ha aggiunto lo stesso Fidanza, "si aggiunge l'impatto della plastic tax europea che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2021 e sarà un salasso per un settore già penalizzato dalle scelte del governo Conte".

Durissimo anche Matteo Salvini, che alla Camera ha disegnato un quadro ancora più cupo. "La realtà prevede che l'intesa prevede un prestito a precise condizioni imposte dall'Europa. Noi vigileremo che queste condizioni non significhino nuove tasse, come la plastic tasse che mette a rischio 20mila posti di lavoro", ha dichiarato il leader del Carroccio. In mezzo a tutto questo il tempo scorre, gli aiuti ancora non ci sono e all'orizzonte si iniziano a intravedere nuove tasse.



Recovery Fund, l'accordo ai raggi X: perché vince Mark Rutte, il cavillo con cui tiene sotto schiaffo l'Italia
Francesco Specchia
21 luglio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... 8.facebook

La vittoria segreta di Mark Rutte e dei "piccoli frugali". Il premier olandese, quello austriaco Sebastian Kurz e i socialisti ultrà del rigore di Danimarca, Finlandia e Svezia hanno sì "concesso" a Germania e Francia di non tagliare il budget totale del Recovery Fund, ma partendo da una posizione minoritaria hanno forse strappato il massimo possibile. Innanzitutto, di quei 750 miliardi è aumentata la fetta degli aiuti sotto forma di prestiti, sbilanciando il rapporto con quelli a fondo perduto. E per salvare gli aiuti già "promessi" agli Stati Ue più in difficoltà (come Italia e Spagna), hanno costretto il presidente del Consiglio Ue Charles Michel e la Commissione Ue a eliminare alcuni programmi. Una prova di forza politica clamorosa, in grado di ridisegnare i rapporti dei prossimi mesi perché mai come in questo weekend Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno visto messo in discussione il proprio potere. La grancassa mediatica che vuole dunque Conte vincitore del braccio di ferro insieme a Berlino e Parigi contribuisce a oscurare il disturbante scricchiolio dell'imbarcazione Ue.

Anche perché Rutte non avrà ottenuto il categorico diritto di veto, ma il super-freno d'emergenza concesso a ogni singolo Paese in Consiglio Ue, che consentirà ai falchi del rigore di contestare le riforme messe in atto dai partner europei in cambio del Recovery Fund e congelare così l'erogazione degli aiuti, assomiglia tanto a una spada di Damocle sul collo dei Paesi del Sud. Ultimo punto, non marginale, l'Olanda e i frugali hanno ottenuto uno sconto su "rebates", lo sconto sui contributi al bilancio dell'Ue. Mentre, per dire, quelli della Germania restano invariati.



Il retroscena sul Consiglio europeo: una battaglia tra egoismi nazionali
Altro che negoziazioni in nome della solidarietà dell'Ue. Nel Consiglio europeo straordinario è andato in scena lo spettacolo degli egoismi nazionali
Federico Giuliani - Mar, 21/07/2020 - 09:21

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1595363664

Estenuante, durissimo, intenso. Questi sono soltanto alcuni degli aggettivi usati dai protagonisti per descrivere il Consiglio europeo straordinario andato in scena a Bruxelles per trovare un'intesa sugli aiuti economici post Covid.

L'accordo tra i 27 leader dei Paesi membri dell'Eurozona è arrivato alle prime luci dell'alba dopo 92 ore di negoziati, intervallati da tensioni, trattative a oltranza e scontri frontali. Non è stato semplice raggiungere l'intesa sul Recovery Fund, visto che si erano creati più schieramenti specchio di opposti modi di vedere l'Europa.

L'analisi di Macron

Altro che negoziazioni in nome della solidarietà dell'Ue. Nel cuore di Bruxelles è andato in scena lo spettacolo degli egoismi nazionali. Non poteva spiegarlo meglio Emmanuel Macron, il quale ha sottolineato il "cambiamento storico" portato nella storia del continente dal fresco piano di ripresa.

"È la prima volta che mettiamo in atto questa capacità di bilancio comune", ha dichiarato in videoconferenza il leader francese, facendo tuttavia notare che "questa trattativa è stata caratterizzata da visioni diverse dell'Europa, opposizioni e difficoltà".

La soddisfazione di Merkel

Angela Merkel, che insieme a Macron ha coordinato la creazione del Recovery Fund, poi approvato dopo vari aggiustamenti, si è detta "sollevata" e "molto contenta" dell'accordo raggiunto. La fumata bianca, a detta della Cancelliera tedesca, è un "buon segnale" all'Europa intera.

"Non è stato facile, ma alla fine ci siamo trovati", ha aggiunto. "Il multilateralismo è attualmente sottoposto a forti pressioni" ma "l'Europa ha dimostrato in questa situazione di essere in grado di agire", ha continuato Merkel nella conferenza stampa con il presidente francese Macron.


L'avvertimento di Von der Leyen

Per Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, quello ottenuto è un "passo storico" di cui "tutti possiamo essere orgogliosi" anche se adesso "restano altri passi importanti", primo fra tutti quello del Parlamento europeo.

"Il Recovery and Resilience Facility è stabilito in una maniera molto chiara: è volontario, ma chi vi accede deve allinearsi con il Semestre europeo e le raccomandazioni ai Paesi", ha spiegato Von der Leyen, in conclusione del summit Ue. "Finora dipendeva solo dai Paesi rispettarle o meno - ha aggiunto - ma ora le raccomandazioni sono legate a sussidi e potenziali prestiti".


Le parole di Michel e Gentiloni

Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e il commissario Ue per l'Economia, Paolo Gentiloni, hanno entrambi fatto capire che l'Ue è più forte di ogni divisione. Per Michel l'Europa è "è solida, è unita" mentre per Gentiloni, l'intesa raggiunta è "la più importante decisione economica dall'introduzione dell'euro".

Al netto degli entusiasmi, questo Consiglio europeo ci ha consegnato l'istantanea di una Unione europea caratterizzata da egoismi e interessi nazionali. Per maggiori informazioni chiedere ai Paesi frugali.


Alberto Pento
L'unico egoismo nazionale è quello di chi vuole vivere alla grande a spese degli altri come l'Italia e gli italiani che hanno un alto debito pubblico e un basso debito privato con un alto risparmo privato in buona parte realizzato a spese del debito pubblico, del bene e delle risorse comuni.



???
LA FRATELLANZA DELL’UNIONE EPOPEA: UNA FIABA DA RACCONTARE AI PARGOLI PRIMA DI DORMIRE

1.I 750 miliardi del Recovery Fund sono composti da 360 miliardi di prestiti e 390 di sussidi;

2.Per l’Italia le quote dei circa 209 miliardi sono:
a.Circa 127 miliardi in prestiti secchi e utilizzabili solo dopo aver usato i sussidi;
b.Circa 82 miliardi di sussidi (il range è tra i 65 e gli 82, ma prendiamo per buona la quota massima) erogabili dal 2021 al 2024 e da restituire nel periodo 2026-2058.

3.L’Italia contribuisce al bilancio UE per il 13% circa, cioè per 52 miliardi: sottratti questi agli 82 rimangono sui 30 miliardi utilizzabili in tre anni, cioè 10 miliardi all'anno, ovvero l’1,7% del PIL ogni anno;

4.Tutti sono legati a condizionalità, quindi: austerità e riforme alla Monti (vedi punto 6);

5.Tutti i 209 sono da restituire perché prodotti con titoli di emissione europea, quindi non saranno venduti esclusivamente ad italiani, pertanto usciranno certamente dal sistema paese;

6.Tutti e 750 andranno restituiti a partire dal 2028. Come?
a.Verranno create tasse ad hoc, come quella sulla plastica, per reperire risorse in favore del bilancio UE;
b.Oppure la Commissione può ricorrere al budget comunitario, finanziato da tutti gli Stati e che verrà implementato con aumenti di tasse negli Stati membri;

7.I Paesi potranno avere un diritto con cui imporre l’analisi dell’utilizzo di questi pseudo-fondi da parte degli altri Paesi: è la vittoria politica dei paesi germanofoni e franco-germanonfoni (i frugali);

8.Alcuni Paesi avranno diritto ad un taglio della quota con cui partecipano al bilancio del 2021-27:
a.Germania un taglio di 3,7 miliardi;
b.Olanda di 1,9 miliardi;
c.Svezia di circa 1 miliardo;
d.Austria di circa 0,3 miliardi;
e.Svezia di circa 0,3 miliardi

Evidentemente, per i media mainstream e per l'europeista medio, "vittoria" significa "sconfitta".
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:55 pm

Per ripartire non servono Recovery Fund o Mes, ma federalismo, self-government e impresa
Daniele Meloni
16 Ott 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... e-impresa/

Nel bel mezzo della seconda ondata della pandemia ci accorgiamo che l’Italia contiana non è quel “modello” che ci hanno raccontato e che le cose si potevano fare meglio. Ma c’è una cosa che lascia attoniti e riguarda il futuro del nostro Paese. Avrete sicuramente notato come a ogni domanda sui problemi che l’Italia porta con sé, ahinoi, da anni, la risposta del presidente del Consiglio e dei suoi ministri è la seguente: “Lo faremo con i soldi del Recovery Fund”. Detto che l’erogazione del RF è ancora in forse – e che se tutto andrà bene riceveremo il 6 per cento del totale a nostra disposizione nella primavera del 2021 – lascia interdetti vedere un grande Paese del G7 trovarsi nelle condizioni di mendicare a Bruxelles dei fondi per tenersi in vita. Ricordiamo, purtroppo, quelle popolazioni colpite da guerre e calamità che attendono come il Messia l’arrivo dei Marines in elicottero per il lancio delle derrate alimentari.

Naturalmente i soldi del RF possono farci comodo, ma è da noi italiani che deve partire il rilancio. Tutti sappiamo che nel nostro Paese ci sono sprechi, sperequazioni e ingiustizie che fanno gridare allo scandalo. La spending review è ferma. Peggio, nelle mani del viceministro grillino Castelli. L’economia anche, duramente colpita dal Covid-19 – e si è fatta ormai ampiamente strada l’idea che in Italia sia meglio un lavoro sicuro e ben remunerato nel pubblico che non dovere lottare contro la burocrazia e uno Stato nemico della libera intrapresa.

Aldilà della vuota retorica del Covid come di “una opportunità per il rilancio” (sic), è davvero giunta l’ora di riformare questo Paese e fornire un quadro politico e istituzionale chiaro a cittadini e investitori. Gli stessi 5 Stelle, felici di avere limitato la rappresentanza con la vittoria del “Sì” al referendum dello scorso mese di settembre sul taglio dei parlamentari, hanno parlato di una stagione di riforme, anche se dubito siano quelle di cui l’Italia avrebbe davvero necessità.

La crisi del Paese nasce con la crisi dei suoi corpi intermedi, le cosiddette “piccole patrie” di cui parlava Robert Nisbet, e della sua economia, avvitata su se stessa e vittima di un clamoroso parastatalismo di ritorno. Ecco perché uno Stato che vuole definirsi davvero liberale in senso classico non può più procrastinare la riforma federale e il più ampio decentramento da Roma, implementando quel self-government che ha fatto la fortuna di tutti gli Stati meglio governati al mondo. Nel programma elettorale della Lega e del centro-destra per le elezioni del 2018 la riforma federale c’era, ed era considerata uno dei pilastri del programma.

Visto che la cultura federalista del governo giallo-rosso-rosa latita, si potrebbe comunque agire concedendo maggiore autonomia agli enti territoriali. Il Veneto e la Lombardia hanno espresso ormai quasi tre anni fa la loro intenzione in questo senso, e anche la Liguria e due regioni governate dalla sinistra, la Campania e l’Emilia-Romagna hanno manifestato la medesima volontà. Eppure, di fronte a questa forte spinta dai territori – che in Veneto assume quasi la connotazione di un plebiscito – il governo continua a rinviare la palla in tribuna, come il peggior Riccardo Ferri.

Il ministro Boccia formula elaborate super-cazzole, affermando che “serve una cornice costituzionale” perché l’autonomia non si traduca in una secessione dei ricchi. La cornice costituzionale in realtà c’è, il Titolo V della nostra legge fondamentale – e, in particolare, l’art.116 terzo comma – riformato proprio dal centrosinistra nel 2001. Vale la pena di ricordare a Boccia, e ai tanti pentastellati che giudicano l’autonomia delle regioni come una iattura, che i referendum del 2017 in Lombardia e Veneto seguirono il dettato costituzionale e le leggi della Repubblica, e furono il frutto dell’accordo tra le regioni e lo Stato, rappresentato dal Viminale e dalle prefetture. Nel testo del quesito lombardo si specificava peraltro che la richiesta di maggiore autonomia rientrava “nel quadro dell’unità nazionale”.

Purtroppo la crisi del Covid-19 è stato il pretesto per ricentralizzare il potere da parte del governo accusando le regioni di tutte le manchevolezze di un apparato statale elefantiaco e inefficiente. Di federalismo e autonomia non si parla più, anche se la recente tornata elettorale delle amministrative ha mandato un messaggio opposto: i governatori delle regioni che hanno meglio gestito la pandemia sono stati premiati dagli elettori, dimostrando che il giudizio positivo nei confronti di chi concretamente affronta i problemi quotidiani dei cittadini da vicino dà benefici poi anche politicamente. Per fare ripartire l’Italia quindi non serve andare a Bruxelles con il cappello in mano, né accedere al Mes (specialmente quando dalla collocazione dei nostri titoli di Stato riusciamo a ricavare 7,5 miliardi di euro al giorno): serve uno Stato più snello, più amico delle imprese e che non veda nel coronavirus l’alleato per mettere le mani sulle aziende in difficoltà. Lo Stato è diventato gelataio (Sammontana) e salumiere (Ferrarini) in questi ultimi mesi: settori tutt’altro che strategici. Altro che Golden Share! Se questi vanno avanti così rischiamo di avere pure le bibite di Stato. Chissà cosa ne pensano alla Farnesina…







Le opposizioni ci cascano: stampella al governo Conte, scattata la trappola della "svolta moderata"
Atlantico Quotidiano
Federico Punzi
27 Nov 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -moderata/


Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega votano lo scostamento di bilancio insieme alla maggioranza: “Miseramente fallito il tentativo di dividerci… Ci siamo consegnati”. Centrodestra coalizione fantasma. Senza senso offrire una stampella al governo che ha gestito l’emergenza violando la Costituzione e massacrando l’economia. Il problema della sudditanza culturale e l’inganno della “svolta moderata” ed europeista: la conventio ad excludendum cadrà, forse, ma se la Lega ci casca, non ce ne sarà più nemmeno bisogno, perché non avrà i voti, sarà neutralizzata

Ieri i partiti di opposizione – Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia – hanno votato insieme alla maggioranza l’autorizzazione al nuovo scostamento di bilancio richiesta dal Governo Conte al Parlamento. In mattinata, Berlusconi aveva annunciato ai propri gruppi parlamentari la decisione di votare sì (“il governo ha accolto le nostre richieste”), a prescindere da ciò che avrebbero fatto gli alleati.

La sintesi perfetta è di Dario Franceschini (Pd): “Una scelta di responsabilità di Berlusconi che ha politicamente costretto le altre forze di centrodestra a cambiare linea e ad adeguarsi. Chapeau“.

Soddisfatti Zingaretti e Conte, anche se per il premier l’apertura di una nuova fase politica rischia sempre di rivoltarglisi contro, mutando quelle particolarissime congiunzioni astrali che lo hanno aiutato a restare a Palazzo Chigi. Ma conta sulla propria abilità di farsi concavo e convesso all’occorrenza.

Masticano giustamente amaro Salvini e Meloni: il primo, respinta dagli alleati la provocazione della “federazione”, cerca di autoconsolarsi con la disponibilità, che offre praticamente a se stesso, “ad aprire due tavoli, uno sulla scuola, uno sulle tasse”. Vedremo…

“Miseramente fallito il tentativo di spaccare il centrodestra”, esulta la leader di Fratelli d’Italia. Fallito un corno. Primo, a che prezzo? Quello di votare compatti con la maggioranza dopo mesi di emergenza gestita a colpi di Dpcm, dopo essere stati marginalizzati e demonizzati (“con la destra al governo avremmo avuto le fosse comuni nelle spiagge”, Zingaretti, 28 agosto 2020). Quindi, è un po’ come dire: “Miseramente fallito il tentativo di rapirci. Ci siamo consegnati noi”. Secondo, non è nemmeno vero che sia fallito. Salvate le apparenze, il centrodestra è più diviso oggi che ieri, perché come osservato da Franceschini, Lega e FdI sono state “costrette” a seguire Berlusconi, che ha deciso unilateralmente di votare lo scostamento, quindi la diffidenza reciproca e le contraddizioni interne sono destinate ad acuirsi.

Il succo è che Mattarella ha avuto la sua “unità nazionale”, ovviamente nella sua versione, cioè non un governo di unità nazionale, ma unità della sinistra al governo e disunità del centrodestra all’opposizione, il timone sempre saldamente nelle mani del Pd, con 5 Stelle e ora anche le opposizioni che ci mettono la faccia. Da ieri il Governo Conte somiglia un po’ di più al Governo Monti.

È evidente che il voto di ieri apre una nuova fase politica. Con l’arrivo dei vaccini (attenzione: ci vorrà una grande campagna di vaccinazione a partire dai soggetti più a rischio, comunque milioni di persone, e il governo sarà capace di fare pasticci anche su questo) si intravede anche la fine dell’emergenza sanitaria in senso stretto, che politicamente ha fatto da collante della maggioranza. Nonostante tutti i disastri nella gestione dell’emergenza, era impensabile cambiare guidatore in corsa. Ma ora che si intravede la luce in fondo al tunnel, invece di aspettare e vedere se la drammatica crisi economica, che continuerà a mordere per mesi e forse anni, il venire al pettine delle bugie sui 200 miliardi dall’Ue e le contraddizioni interne faranno collassare il Governo Conte, ecco che arriva in soccorso il centrodestra.

Nel merito, vedremo se la maggioranza manterrà fede, e in che misura, agli impegni presi. Temiamo il classico parto del topolino, le briciole, ma resta in ogni caso una scelta che politicamente – e, sì, moralmente – ha poco senso: non si offre una stampella al governo che si è preso “pieni poteri” violando la Costituzione e che ha letteralmente massacrato la base elettorale del centrodestra. Perché, dunque? Perché pensano, questo lo scenario a cui si erano preparati, che la sconfitta di Trump chiuda la stagione di quello che chiamano sovranismo (anche se la sconfitta è ancora da certificare e molti elementi suggeriscono di aspettare a dare per morto il “trumpismo”), e che sia il momento di provare a rientrare in partite politiche quali la gestione del fantomatico Recovery Fund (semmai vedrà la luce), la nuova legge elettorale e, soprattutto, l’elezione del presidente della Repubblica.

Ovviamente, lezioni dal recente passato nemmeno a parlarne. In particolare sulla scelta del nome per il Colle più alto, quando il centrodestra si è illuso di essere in gioco, si è sempre scottato, scoprendo a fine partita di non essere nemmeno sceso in campo. Nemmeno aver consentito la nascita del Governo Letta nel 2013, e poi il Nazareno con Renzi, sono serviti a Berlusconi ad avere voce in capitolo e ha dovuto ingoiare la scelta di Mattarella, antiberlusconiano viscerale come tutta la sinistra ex Dc. Anche stavolta, si illuderanno di dire la loro e si ritroveranno il peggio.

A questo punto, però, un discorso sul cosiddetto “centrodestra” tocca farlo. Governa in 15 regioni su 20, quindi la coalizione è premiata da molti milioni di italiani. A livello nazionale, i sondaggi le attribuiscono consensi variabili tra il 45 e il 50 per cento, quindi più che favorita per aggiudicarsi le prossime elezioni politiche. Eppure… Eppure parliamo di una coalizione praticamente fantasma.

I problemi sono molteplici, di natura molto materiale, diciamo “la roba”, e culturale. Forza Italia appare ormai un partito che non ha alcuna ambizione politica, serve al suo leader come rendita di posizione per contrattare con il governo di turno una legislazione di favore e dei paracadute per le sue aziende. È davvero singolare come Berlusconi, da premier, venisse crocifisso dai suoi avversari per il conflitto di interessi, quando nella vastità dell’azione di governo ci scappava qualche norma ad aziendam o ad personam, di solito per difendersi dalla persecuzione giudiziaria, mentre oggi che è praticamente l’unico ruolo del suo partito – contrattare vantaggi per le sue aziende – ebbene il tema sia completamente scomparso dai radar. Ti credo, la sinistra ora ci va a nozze, perché in questo modo può tenere Berlusconi, e tutta l’opposizione al seguito, al guinzaglio. Occorre dirselo: il primo conflitto di interessi serviva agli interessi politici del centrodestra, del suo elettorato, e spesso del Paese; questo secondo, è una dannazione per tutti e tre.

Forza Italia, a cui i sondaggi attribuiscono un 6 per cento dei consensi (ma noi crediamo che la percentuale sia inferiore), riesce quindi a condizionare i due partiti maggiori della coalizione su scelte strategiche, sostanzialmente per due motivi: primo, occorre salvare la finzione di un centrodestra per tenere in piedi le giunte regionali (e questo politicamente ha senso); poi, c’è la salvaguardia delle apparizioni, e dei temi più redditizi in termini di consenso, sulle reti Mediaset. Si tratta di uno scambio, però chiaramente in questo modo Berlusconi conserva un potere contrattuale nella coalizione che va ben oltre la forza specifica elettorale del suo partitino.

E veniamo alla seconda categoria di problemi: la sudditanza culturale dei partiti di centrodestra.

Ricorderete “Inception”, lo straordinario film di Christopher Nolan in cui i protagonisti devono innestare nella mente della vittima, addormentata, un’idea ben precisa, facendole credere che è sua.

È quello che è accaduto alla Lega negli ultimi mesi con l’idea della necessità di una “svolta moderata”. Surreale come il film di Nolan.

Ci chiediamo come sia stato possibile che un partito maggioritario e in salute come la Lega, uscito dalle Europee del 2019 con un record del 34 per cento, per mesi comunque vicino al 30 secondo i sondaggi, che con i suoi candidati ha conteso alla sinistra roccaforti storiche come l’Emilia Romagna e la Toscana, possa farsi impantanare in un dibattito interno riguardo la cosiddetta “svolta moderata”.

Il problema dei partiti di centrodestra con il “moderatismo” è atavico ed esiziale, ma si tratta di un complesso. In sostanza, quello che succede puntualmente è che si fanno dettare dai propri avversari, dalla sinistra politica, mediatica e culturale, ciò che è “moderato”, se ne convincono, imboccano quella strada. Ed è chiaramente la strada sbagliata. Quando un centrodestra vincente appare nel panorama politico, viene puntualmente bollato come impresentabile, estremista, pericoloso, incompatibile con le istituzioni democratiche e le coordinate di fondo del nostro Paese. Che succede? Che di fronte alle difficoltà nel “Palazzo” e nei circoli che contano, settori sempre più ampi di quel centrodestra se ne convincono. Il tema della “svolta moderata” viene introdotto da editoriali, dichiarazioni, talk show, persino da sondaggi, ed entra nel dibattito interno dei partiti. Come in “Inception”, appunto, solo che in questo caso le vittime non sono addormentate (in teoria).

Se in quel momento il centrodestra è al governo, come durante gli anni di Berlusconi, comincia a perdere la sua spinta propulsiva e a deludere le aspettative dei propri elettori, a scansare le sfide, preferendo durare a colpi di compromessi sempre più al ribasso. Addio “rivoluzione liberale”. Se è all’opposizione, com’è oggi, abbandona la strada che l’ha portato a percentuali record nella speranza (che chiaramente verrà delusa) che l’establishment europeo e quello casalingo facciano cadere quella sorta di conventio ad excludendum nei suoi confronti.

Nella Lega è Giancarlo Giorgetti che sembra recitare con Salvini la parte di Gianni Letta con Berlusconi. Se la Lega vuole avere speranze di governare in futuro, pensa Giorgetti, deve fare pace con l’establishment, restare all’interno di certi confini, avvicinarsi ma non oltrepassarli, non sfidare alcuni tabù, mostrarsi una destra “presentabile”.

Il problema è che quel perimetro viene tracciato dai suoi avversari, dalla sinistra, e negli anni si fa sempre più ristretto. Sono loro a decidere cosa è presentabile e, guarda caso, la destra presentabile è sempre quella minoritaria (o defunta).

Oggi spaventa il centrodestra di Salvini e Berlusconi è uno statista; ieri spaventava Berlusconi e gli statisti erano Fini, Casini…

Berlusconi si definiva liberale, “moderato”, è sempre stato nel Ppe, non ha mai messo in discussione l’euro. Eppure, gli è stato fatto di tutto per impedirgli di governare e appena ha sgarrato, nel 2011, dal Consensus franco-tedesco (Libia, Fondo salva-stati) l’hanno fatto fuori.

La domanda è: una destra “moderata” e più “istituzionale”, come la vorrebbe la sinistra, sarà in grado di raccogliere altrettanti consensi? Ciò che si chiede alla Lega per diventare “presentabile” è in sostanza l’atto di fede europeista (per questo è stato introdotto il tema dell’adesione al Ppe). Chiaro che dopo una simile svolta, Matteo Salvini, colui che l’ha portata al 30 per cento, non potrebbe restarne il leader. Lo abbiamo visto già in difficoltà a gestire questi mesi di emergenza Covid, in cui la contrapposizione viene bollata come irresponsabilità, e lo sarà ancor di più nella nuova fase della “collaborazione”. Paolo Mieli gli ha generosamente offerto la candidatura a sindaco di Milano. Come a dire: se ti fai da parte, un buen retiro te lo concediamo.

Ma queste sono cose che non si possono nascondere, gli elettori non sono stupidi. La conventio ad excludendum, a quel punto, cadrà forse, ma se la Lega si muove nella direzione che le indicano, non ce ne sarà più nemmeno bisogno, perché non avrà più i voti per andare al governo. Insomma, la cosiddetta “svolta moderata”, europeista, non è finalizzata ad aprire alla Lega le porte di Palazzo Chigi, ma a neutralizzarla come è stato fatto con il Movimento 5 Stelle.

“Quando il populismo va al governo, può governare veramente? Credo di no”. Giorgetti l’aveva spiegato non molto tempo fa, un mese prima delle presidenziali Usa, alla presentazione del nuovo libro su Donald Trump di Andrew Spannaus, “L’America post-globale”, insieme a Massimo D’Alema e Germano Dottori. Nel suo intervento, oltre a pronosticare – correttamente, a meno di sorprese – la vittoria di Biden, spiegava che “il populista che viene eletto senza avere alle spalle gli apparati e le istituzioni che gli siano funzionali è in estrema difficoltà, qui nasce buona parte dei problemi di Trump”. In altre parole, “il populismo è impossibilitato a governare se non ha al suo servizio l’apparato”.

Che Trump abbia avuto dei problemi a farsi seguire dagli “apparati”, il cosiddetto Deep State, è un eufemismo, dato che hanno cercato di defenestrarlo e comunque delegittimarlo. Ma Giorgetti sbaglia, quando afferma che “la resistenza della struttura ha impedito il dispiegamento delle politiche che Trump aveva in testa”. Nonostante la “Resistenza”, ha fatto più Trump in quattro anni che il centrodestra da cui proviene Giorgetti in venti, dalla deregulation e dal taglio di tasse più consistente dell’epoca della globalizzazione alla piena occupazione, dall’indipendenza energetica al nuovo approccio in Medio Oriente. In questo aiutato, comunque, dal diverso sistema di governo.

Il problema di avere al proprio servizio gli “apparati” si risolve cambiandoli, portandosi dietro una classe dirigente pronta a seguire l’indirizzo politico scelto dai cittadini, non piegandosi alle burocrazie che si trovano quando si viene eletti. Se non è possibile, allora c’è un grave problema di democrazia.

Il consiglio di Giorgetti a Salvini, che l’uscita di Trump dalla Casa Bianca rischia di rafforzare (per questo tifava Biden), è di riporre l’ascia di guerra contro l’establishment, europeo e domestico, e trovare un compromesso, senza il quale non si entra a Palazzo Chigi. Ma il vicolo è cieco, perché rassicurare l’establishment può – forse, noi non ci scommetteremmo un centesimo – far venir meno una (comunque illegittima) conventio ad excludendum, ma al prezzo di perdere voti e, quindi, ridurre le chance di vincere le elezioni. E dai sondaggi, dei quali comunque diffidiamo, sembra che stia già accadendo. Con il supposto venir meno della conventio ad excludendum non ci fai niente, se comunque nel frattempo sei stato neutralizzato dal punto di vista della forza elettorale.

Quindi, la cosiddetta “svolta moderata” è uno scenario win-win per i fautori dello status quo e lose-lose per la Lega.

Verissimo che è difficile governare senza buoni rapporti con le cancellerie dei Paesi partner dell’Italia, ma le capitali da guardare sono Washington, Londra e Gerusalemme. La scommessa di Salvini su Trump, fino a indossare la mascherina “Trump2020” durante gli ultimi giorni della campagna, era corretta, ma è stata tardiva. Avrebbe dovuto farla quando è entrato al governo, ma in quel momento pagava negli ambienti repubblicani e nel Dipartimento di Stato l’ambiguità con la Russia. L’intervista al Wall Street Journal del settembre scorso è stata perfetta, solo arrivata con 2-3 anni di ritardo.

Chiudiamo con un tweet fulminante, uno dei molti, di @nonexpedit:

“Il problema della destra non è il populismo, ma che ormai non esiste più una élite di destra. È scomparsa, né si capisce dove potrebbe mai formarsi, crescere e prosperare in un mondo egemonizzato culturalmente dalla sinistra”.

Ma questo è un altro articolo.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:56 pm

La Corte Costituzionale tedesca ha bloccato la ratifica del Recovery fund
Redazione Agi.it
26 marzo 2021

https://www.agi.it/estero/news/2021-03- ... -11942614/

AGI - Un nuovo ostacolo al Recovery Fund è arrivato dalla Corte Costituzionale tedesca. I giudici di Karlsruhe hanno indicato al presidente Frank-Walter Steinmeier che non potrà procedere alla ratifica del fondo da 750 miliardi di euro varato dall’Ue per la ripresa dell’Europa devastata economicamente dall’uragano del coronavirus finché non arriverà un pronunciamento in merito della stessa corte.

Il paradosso è che lo stop arriva proprio nel giorno in cui il Bundesrat – la camera dei Laender - ha dato, peraltro all’unanimità, il suo via libera all’imponente pacchetto d’aiuti post-pandemia, che ha già avuto luce verde dal Bundestag con una maggioranza schiacciante. Un iter parlamentare concluso, insomma, a cui mancava solo la firma del capo dello Stato.

A quanto si spiega a Karlsruhe, la decisione di sospendere la ratifica è legata alla presentazione di vari ricorsi, in particolare quello dell’associazione “Buergerwille” (ossia “volontà dei cittadini”) legata a Bernd Lucke - l’economista anti-euro e fondatore, poi dimessosi, dell’Afd, il partito dell’ultradestra – secondo il quale la possibilità che il Recovery venga finanziato con mezzi propri rappresenta una forma di condivisione del debito “inammissibile” in Germania, la quale affronterebbe “rischi finanziari incalcolabili” nel lungo periodo.

A quanto afferma l’alleanza di Lucke sul proprio sito internet, il ricorso è firmato da 2281 cittadini tedeschi: preoccupati, a quanto pare, che altri Stati membri dell’Unione europea – più deboli finanziariamente della Germania – alla fine dei giochi possano non essere in grado di ripagare la propria quota del pacchetto di bond comuni, con l’effetto che i Paesi più robusti economicamente si vedano costretti ad essere loro a sborsare quanto dovuto ai creditori.

La questione non è di poco conto: la Commissione Ue può dare il via all’ammissione dei crediti e dei pagamenti solo quando tutti e 27 i Paesi membri avranno a loro volta ratificato l’accordo sul Recovery fund.

La conseguenza immediata è che la ratifica da parte di Steinmeier viene bloccata fino al giudizio di Karlsruhe. In teoria non esiste uno spazio temporale prefissato entro il quale la Corte costituzionale tedesca debba esprimersi, ma in seguito alla presentazione di un ricorso d’urgenza la procedura in generale non va oltre i tre mesi.

Da parte sua, il ministro alle Finanze Olaf Scholz ha cercato di gettare acqua sul fuoco, affermando che il governo “è ben attrezzato” per sostenere ricorsi alla Corte costituzionale: “L’esperienza con altre denunce analoghe mi rendono fiducioso circa il fatto che la ratifica possa essere conclusa in tempi brevi”.

Ne è convinta anche la Commissione Ue: siamo “fiduciosi che la Corte costituzionale tedesca deciderà rapidamente sul caso delle misure provvisorie”, ha commentato un portavoce. Non solo: la Commissione “è convinta della legittimità della decisione sulle risorse proprie”, ha aggiunto il portavoce, secondo il quale questa “non è stata messa in discussione dal tribunale”.

In generale, a detta di Bruxelles “è fondamentale che la decisione per il Recovery fund sia approvata rapidamente da tutti gli Stati membri, in particolare alla luce delle sfide dovute alla pandemia Covid-19”. E ancora: “L’obiettivo dell’Ue resta quello di garantire il completamento del processo di ratifica in tutti gli Stati membri entro la fine del secondo trimestre di quest’anno”.

A Berlino prevale un certo ottimismo circa un verdetto positivo da parte dei togati di Karlsruhe: difficile andare contro una sovranità parlamentare così schiacciante, con un Bundestag che si è espresso per due terzi a favore del Recovery fund ed un Bundesrat che ha votato all’unanimità.

Nell’approvare il sistema di finanziamento dell’Ue fino al 2027, la camera che riunisce i Laender ha anche approvato lo schema del fondo per la ricostruzione post-pandemica, dove parte del fondo fluirà ai Paesi beneficiari in forma di sovvenzioni, parte come prestiti, attraverso un sistema di bond comuni.

Tuttavia, la Commissione europea può iniziare a prendere i prestiti ed effettuare i pagamenti solo quando tutti i 27 stati dell’Unione europea avranno ratificato la decisione. Nel governo tedesco c’è soddisfazione per questo passaggio.

Lo stesso Scholz, che è anche vice cancelliere, ha parlato di “un chiaro segnale della solidarietà e della forza dell’Ue”, sottolineando che “in Germania vi è una ampia maggioranza a favore di un’Europa solidale e capace d’azione. Insieme ci impegniamo perché tutto il continente esca bene dalla crisi e venga messo in grado di affrontare un futuro digitale e attento al clima”.

Ma intanto l’attenzione è tutta rivolta verso Karlsruhe: e non è la prima volta che la Corte costituzionale tedesca sottopone l’Europa a docce fredde, per esempio affermando il rischio che la sovranità della Germania (e della Bundesbank) sia limitata dalle decisioni della Bce: l’ultima volta è stato l’anno scorso, quando i giudici costituzionale hanno ritenuto di affermare che il ‘quantitative easing’ varato da Mario Draghi nel 2015 potesse violare il mandato dello stesso Eurotower non rispettando il principio di proporzionalità.

In più, Karlsruhe stabilì che la stessa Banca centrale europea dovesse spiegare in modo convincente ed entro tre mesi la presenza della Bundesbank nel programma. A questo giro, si ritiene che i giudici costituzionali siano sensibili al fatto che c’è in ballo il voto dei parlamenti nazionali di numerosi Paesi membri: fatto sta che ancora una volta al Vecchio Continente tocca rimanere col fiato sospeso.




Recovery Fund sotto attacco/1: ecco perché è contrario ai Trattati Ue
Atlantico Quotidiano
Musso
3 aprile 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... attati-ue/

Abbiamo lasciato un Draghi molto scettico. Possibilista su una sola via di uscita federale: la via di mezzo del Recovery Fund. Eppure non ne è confortato. E perché?

Direttamente a Draghi risponde un articolo del corrispondente da Roma di Handelsblatt: l’Eurobond sarebbe contrario ai Trattati, in virtù del divieto all’assistenza reciproca fra gli Stati (125 Tfeu, clausola di non salvataggio). Una argomentazione ben più approfondita la troviamo, sullo stesso giornale, in una intervista al professor Matthias Herdegen: egli dice il Recovery Fund contrario al Trattato e ne invoca quattro articoli: 311, 122, 125 e 126. Procediamo in tale ordine.

L’articolo 311 – Il Recovery Fund (Ngeu – Next generation EU) è figlio della decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie. A sua volta basata sul 311 Tfeu, che recita:

“Il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, all’unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell’Unione”.

Che ad essere in gioco sia il bilancio dell’Unione è reso chiaro dal coinvolgimento del Parlamento (289 Tfeu).

Herdegen sostiene che l‘espressione risorse proprie escluda il debito. Infatti, il Trattato recita: “il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie” (311 Tfeu); ma lo stesso articolo definisce pure le risorse proprie come i “mezzi necessari” all’Unione “per conseguire i suoi obiettivi e per portare a compimento le sue politiche”, dunque pure un finanziamento; anzi, altrove si parla espressamente di “mezzi finanziari” (323 Tfeu). Un altro possibile vincolo è che “nel bilancio, entrate e spese devono risultare in pareggio” (310 Tfeu) ma, pure qui, per entrate si può ben intendere un finanziamento, non necessariamente un ricavo. Il terzo è che l’Unione “deve assicurare che le spese possano essere finanziate nel rispetto del quadro finanziario pluriennale” (310 Tfeu), ma quest’ultimo “mira ad assicurare l’ordinato andamento delle spese dell’Unione entro i limiti delle sue risorse proprie” (312 Tfeu) e, dunque, ancora una volta bastano i finanziamenti.

La sfortuna di Herdegen, è che il 311 continua dando a Consiglio e Parlamento il potere di “istituire nuove categorie di risorse proprie o sopprimere una categoria esistente”. Ciò che fa di questo articolo un’arma atomica. Perciò, “tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali”. Il che è normale, in quanto un voto all’unanimità ratificato dai Parlamenti nazionali è equivalente ad una modifica del Trattato. Infatti, la nostra decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie, crea il nuovo potere della Commissione, “alla Commissione è conferito il potere di contrarre sui mercati dei capitali prestiti per conto dell’Unione“. Un potere che prima non esisteva e che ora è stato creato grazie all’attivazione della clausola atomica.

Così, non ha alcun senso chiedersi perché il potere della commissione sia “eccezionale e temporaneo”, perché il fondo sia costituito “in via eccezionale e temporanea”, perché gli Stati siano sottoposti ad “un incremento straordinario e temporaneo” dei propri contributi, perché questi ultimi siano limitati nel tempo al “periodo immediatamente successivo alla crisi”, perché le concessioni di prestiti debbano terminare “al più tardi alla fine del 2026”, perché i rimborsi debbano essere completati “al più tardi entro il 31 dicembre 2058”. La risposta non è, perché lo prevedono i Trattati … bensì, perché così si sono accordati gli Stati Membri all’unanimità.

Perciò, nemmeno ha alcun senso chiedersi (come fanno i tedeschi) se il Trattato conceda all’Unione il potere di indebitarsi. Allo stesso modo, non ha alcun senso chiedersi come mai l’Unione sinora non si è mai indebitata: se non lo avevano fatto, è solo perché non avevano voluto farlo.

L’articolo 122 – Il secondo punto di attacco tedesco, è collegato al 122 Tfeu, che consente al Consiglio dell’Ue (cioè agli Stati Membri) di “decidere le misure adeguate alla situazione economica”, nonché di “concedere un’assistenza finanziaria dell’Unione allo Stato membro interessato in difficoltà a causa di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo”. L’articolo continua chiarendo che si tratta di quattrini degli Stati Membri: “il presidente del Consiglio informa il Parlamento europeo in merito alla decisione presa”, laddove, se ad essere in gioco fosse il bilancio dell’Unione, il Parlamento non verrebbe solamente informato.

Ai sensi di quest’articolo è stato costituito il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency). Infatti, il regolamento 2020/672 che lo istituisce, continuamente ripete che lo strumento è “temporaneo” e a disposizione solo finché dura il Covid e ciò “coerentemente con la base giuridica per l’adozione del presente regolamento”. Eppoi chiarisce come, se pure è vero che è la Commissione ad indebitarsi ed a concedere i prestiti, essa lo fa a fronte di “controgaranzie” ad essa concesse dagli Stati Membri, come si trattasse di un conduit. Garanzie, peraltro, di importo complessivo non esorbitante (25 miliardi in totale, 6,3 dalla Germania) e di tre quarti inferiori al valore massimo dell’esposizione (100 miliardi).

Orbene, per le finalità di propaganda politica interna che vedremo, la CDU/CSU tedesca ha interesse a far credere che pure il Ngeu sia costituito in base al 122 Tfeu, ad imitazione del SURE: così facendo, sottolinea che si tratta di strumento eccezionale e legato esclusivamente al Covid. Ci sono cascati in molti: una possibile spiegazione è che anch’essi preferiscano il modello SURE. Comunque, è un errore da matita blu. È a loro che Herdegen parla, quando spiega: “la clausola di assistenza nell’articolo 122 del Trattato non è una base a disposizione dell’Ue per essere in grado di ottenere denaro al di fuori del bilancio” e tanto gli basta.

L’articolo 125 – Un terzo punto di attacco tedesco, è collegato alla clausola di non salvataggio: “l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni … di qualsiasi Stato membro … gli Stati membri non sono responsabili né subentrano agli impegni dell’amministrazione … di un altro Stato membro” (125.1 Tfeu). Coerentemente, la decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie esclude che il Ngeu possa finanziare “spese operative”, mentre il regolamento 2021/241 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza, è basato sul potere dell’Unione di agire anche “attraverso fondi a finalità strutturale” (175 Tfeu) e parla di “contributo sui generis” volto a finanziare “gli obiettivi delle riforme e degli investimenti stabiliti nei loro piani per la ripresa e la resilienza”, dunque approvati dall’Unione. E se poi non c’entrano alcunché col Covid, pazienza. Insomma, l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni di qualsiasi Stato membro, esattamente come prescrive il Trattato.

Ma le cose non sono così semplici. Herdegen si chiede: “se un Paese non riesce ad effettuare i propri versamenti al bilancio Ue, gli altri dovrebbero intervenire con versamenti aggiuntivi. Tale obbligo è incompatibile con la clausola di non salvataggio, ovvero la sola responsabilità degli Stati membri per i loro debiti”. Di ciò, egli “è particolarmente infastidito”. E non a torto.

Infatti, dei 750 miliardi del Ngeu, fino 360 miliardi possono essere usati per erogare crediti e, dunque, vengono rimborsati dallo Stato Membro che li ha presi in prestito … ma può darsi che quest’ultimo non paghi. Parimenti, i restanti 390 possono essere destinati a trasferimenti a fondo perduto agli Stati Membri (nel bilancio dell’Ue vengono registrati come “spese”) e, dunque, devono essere coperti dagli stessi Stati Membri … ma può darsi che uno o più di questi ultimi non paghino. In entrambi i casi, il mancato pagamento viene coperto dai restanti Stati Membri: in proporzione al proprio Pil, nonché sino al massimo addizionale annuo … ma per ognuno degli anni sino al 2058. E senza dover rinnovare il proprio consenso, cioè a prima richiesta.

In termini giuridici, gli Stati membri offrono una garanzia solidale con diritto di regresso (joint and several liability), con il beneficio della divisione ed escutibile a prima richiesta: ogni Stato membro è obbligato alla parte da esso dovuta. Ma, se uno degli Stati membri non paga, ciascuno dei rimanenti è obbligato, per tale mancato pagamento, in proporzione della propria quota. E ciò è effettivamente contrario alla clausola di non salvataggio.

Alla obiezione di Herdegen, taluni rispondono con l’argomento praticone che tanto tutti gli Stati membri pagano sempre la loro quota alla Ue. A costoro un tedesco risponderebbe con la seguente osservazione. Gli Stati hanno accettato di impegnarsi a versare al bilancio dell’Unione, ogni anno sino al 2058, un massimo addizionale annuo pari allo 0,6 per cento del proprio Pil: moltiplicato per i 37 anni che dura l’impegno, fa in totale circa 3.000 miliardi di euro (il 22,2 per cento del Pil, essendo il Pil della Ue 13.500 miliardi di euro; tenendo conto dell’inflazione, la Corte dei Conti tedesca calcola più di 4.000 miliardi) … a fronte di un volume massimo del Ngeu pari a soli 750 miliardi. Tale differenza abnorme, è definita dall’Unione come “un margine sufficiente tra i pagamenti e il massimale delle risorse proprie per garantire che l’Unione sia in grado – in qualsiasi circostanza – di ottemperare ai suoi obblighi finanziari, anche in periodi di recessione economica”. La sola Germania, si è impegnata a versare un massimo addizionale pari a 789 miliardi … cioè, più dell’intero volume massimo del Ngeu.

Insomma, se è vero che tanto tutti pagano, allora perché alla Germania è stato chiesto di garantire, lei da sola, l’intero Ngeu? Sul 125 Tfeu, Herdegen ha ragione.

L’argomento di Herdegen è talmente buono, da aver attirato l’attenzione di Mario Draghi. Vediamo come. L’unica alternativa alla joint and several liability con il beneficio della divisione, sarebbero le tass€ unionali. E la decisione 2020/2053 relativa al sistema delle risorse proprie prevede, infatti, “una nuova categoria di risorse proprie basata su contributi nazionali calcolati sulla base dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclati”. Ma il ricavato non basta. Così, continua la decisione, “la Commissione presenterà proposte relative a un meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera e a un prelievo sul digitale … il Consiglio europeo ha invitato la Commissione a presentare una proposta riveduta sul sistema di scambio delle quote di emissione dell’Ue, eventualmente estendendolo ai settori del trasporto aereo e marittimo … l’Unione lavorerà all’introduzione di altre risorse proprie, che potrebbero comprendere un’imposta sulle transazioni finanziarie“. Parole al vento perché, tutte queste nuove tass€ verrebbero considerate dagli Stati Uniti alla stregua di nuovi dazi commerciali e scatenerebbero una ritorsione. Qui è intervenuto Draghi, quando, al Senato ed alla Camera, ha annunciato che la presidenza Biden avrebbe mostrato “una certa quale apertura, una certa quale disponibilità” verso “una soluzione globale e consensuale sulla tassazione digitale internazionale”; per poi aggiungere, in conferenza stampa dopo il Consiglio europeo, che questa è “una cosa … molto importante… un grosso cambiamento”. Cioè, del Ngeu ne riparliamo quando avremo capito come finanziarlo. Egli non pecca di mancato realismo.
L’articolo 126 – Dice Herdegen che “le regole di Maastricht vengono infrante dal fondo per la ricostruzione. I debiti dei singoli Stati non vengono più conteggiati nel loro rapporto debito/Pil, anzi questo è uno degli obiettivi dell’intero esercizio“. Invocando, implicitamente, la violazione del 126 Tfeu: “se il rapporto tra il disavanzo pubblico e il prodotto interno lordo superi un valore di riferimento … se il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento … la Commissione prepara una relazione … etc”.

Già spiegammo su Atlantico in aprile che, dall’inizio, il vero scopo di Roma è evitare di contabilizzare un prestito diretto (come sarebbe quello del Mes) nel debito pubblico. Sostituendolo con un canone annuo, a deficit ma non a debito pubblico. Alla maniera di come fanno le imprese che rifinanziano un mutuo (a bilancio) con un debito leasing (fuori bilancio). Non di federalismo si tratta, quindi, ma di ottimizzazione contabile.

Aggiungevamo come fosse facile, per i tedeschi, rispondere che le ottimizzazioni contabili hanno le gambe corte: Eurostat potrebbe comunque riqualificare il leasing come debito e riconsolidarlo nel gran libro del debito pubblico italiano. Infatti, lo hanno chiesto in dicembre Bundesbank ed in marzo il Bundesrechnungshof.

Pure sul 126 Tfeu, Herdegen ha ragione. Ed il suo argomento è destinato a sicuro successo in Germania dove, da anni, l’Unione è accusata di colpevole lassismo nell’applicazione delle regole fiscali.

E non è finita – Su tutto questo, è calata la Corte Costituzionale federale di Karlsruhe (una nostra vecchia conoscenza), il 26 marzo, con una ordinanza di sospensione. Ricordando a tutti che, se pure il Ngeu fosse in regola con i Trattati (il che non è), esso dovrebbe pure essere in regola con la Legge Fondamentale tedesca. E, lì, per Bruxelles le cose vanno anche peggio. Come vedremo nel prossimo articolo.



Recovery Fund sotto attacco/2: ecco perché è contrario alla Costituzione tedesca. E Karlsruhe accende la campagna elettorale
Atlantico Quotidiano
Musso
6 aprile 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... lettorale/

Abbiamo presentato le ragioni per le quali il Recovery Fund (Ngeu – Next generation EU) potrebbe non essere in regola con i Trattati europei. Non è finita, perché ancora occorre presentare le ragioni per le quali esso potrebbe non essere in regola con la Legge Fondamentale tedesca.

La Corte di Karlsruhe – Il 26 marzo, la Corte Costituzionale federale di Karlsruhe (una nostra vecchia conoscenza) ha emesso una ordinanza di sospensione (Hängebeschluss) o, più precisamente, una ordinanza di protezione provvisoria anticipata per casi particolarmente urgenti, nei quali non si può attendere nemmeno fino alla decisione sull’istanza cautelare per un’ingiunzione temporanea, che si applica fino a quando il Tribunale non avrà reso una decisione sulla detta istanza cautelare. Con essa, letteralmente ordinava al presidente della Repubblica di non emanare la Legge di Ratifica della Decisione sulle Risorse Proprie dell’Ue (Eigenmittelbeschluss-Ratisierungsgesetz – Eratg), “sino a decisione della Corte sulla domanda di emissione di un provvedimento provvisorio”. Per decidere sulla conferma della sospensiva, Bloomberg dice impiegherà pochi giorni, Reuters non più di tre mesi, Lagarde ha auspicato faccia “in un tempo breve”. Oltre alla sospensiva, sono stati depositati pure cinque ricorsi e, se la sospensiva venisse concessa, poi potrebbero volerci anni.

Purtroppissimo, e come insegna il presidente Barra Caracciolo, la Corte tedesca nega recisamente la presunta superiorità del diritto europeo su quello costituzionale, in quanto non prevista dai Trattati, bensì frutto di una elaborazione della Corte di Giustizia Europea in rem propriam, cioè a vantaggio della propria stessa affermazione unilaterale di supremazia. La nega specialmente quando essa va a ledere interessi fondamentali degli Stati, che non sono per essa giuridicamente disponibili. Su tale base dottrinale, il nostro Herdegen ha scritto un cospicuo articolo per la FAZ, che ha ispirato un articolo di fondo della FAZ intitolato, più o meno: “e la Germania paga”. Interessante pure l’altro articolo di Benedikt Riedl. Molto ascoltato, a Karlsruhe, sarà il motivato parere espresso dalla Corte federale dei Conti (Bundesrechnungshof).

Gli argomenti dei ricorsi – In estrema sintesi, i problemi aperti sono cinque:

(1) La natura giuridica “ultra-vires“, cioè tirannica: l’eventualità che la Ue abbia ecceduto, in misura sufficiente ed in modo qualificato e strutturalmente significativo, i poteri attribuiti ad essa dal Trattato. E ne abbiamo parlato nel precedente articolo.

(2) La “identità costituzionale” (Verfassungsidentität): attiene alla difesa del “principio di democrazia”, che viene violato se la Ue solleva il Bundestag (presente o futuro, il Ngeu dura sino all’anno 2058) dalla sua responsabilità di bilancio. Ciò include anche il divieto di rispondere per decisioni prese da terzi in misura difficilmente calcolabile (negli importi e/o nei tempi). Principio peraltro coperto da una clausola di eternità (Ewigkeitsgarantie): per superarlo sarebbe necessario la cessazione della Legge Fondamentale via referendum e la possibilità che il popolo tedesco lo approvi è zero al quoto. Secondo Riedl, “la questione decisiva è se la Germania, se necessario, sarebbe da sola responsabile per 750 miliardi. Se non ci sono garanzie adeguate nel sistema delle risorse proprie dell’Ue, una violazione della responsabilità di bilancio e dell’identità costituzionale è un problema concreto”. Conseguentemente, “la denuncia costituzionale ha buone possibilità di successo”, ai sensi della Legge Fondamentale tedesca.

(3) La “sovra-garanzia”, problema speculare al precedente: anche ammesso che la Ue non abbia chiesto impegni per 789 miliardi di euro alla Germania al fine di escuterglieli tutti, allora perché glieli ha chiesti? Più in generale, che se ne fa Bruxelles di impegni per 3.000 miliardi di euro? Non è che, per caso, ha intenzione di diventare “il distributore di spesa in Europa”? Questione non di lana caprina, visto che lo stesso Mario Draghi ha ammesso: “la Commissione, oggi, ha visto ampliarsi i suoi mezzi finanziari, quindi è probabile che questo tipo di finanziamento venga utilizzato anche per altre cose”. Categorico il Bundesrechnungshof: “il massimo addizionale annuo deve essere significativamente ridotto”.

(4) Il “freno all’indebitamento costituzionale” (115 Legge Fondamentale) impone che le entrate e le spese siano bilanciate. Ma come fare con il debito fuori bilancio federale ma dentro il bilancio Ue? E come fare con gli impegni e le garanzie di esborso futuri verso la Ue?

(5) V’è poi la mancanza di trasparenza finanziaria: “dove e come l’Ue accenderà un debito di 750 miliardi di euro? Quali istituzioni erogano i prestiti? La Commissione ha mano libera in questo?”. Domande mirate, immaginiamo, a farsi garantire che non sarà Bce a comprare il debito della Ue … sennò tornerebbe in gioco il divieto al “finanziamento monetario” (123 Tfeu). E saremmo da capo. Tanto più che è pendente un giudizio sul PEPP. E tanto più che la vecchia sentenza del 5 maggio, sul PSPP, è sempre in attesa di esecuzione e può colpire ancora.

Un solo problema è stato risolto, quello del consenso del Parlamento con maggioranza sopra i due terzi: la legge di ratifica è stata approvata dal Bundestag a grandissima maggioranza e dal Bundesrat all’unanimità. Non è poco, ma non è nemmeno abbastanza.

Le elezioni tedesche – La questione sarà al centro della campagna elettorale tedesca, da qui alle elezioni di settembre. Grande entusiasmo a sinistra, con Scholz (suggerisce di passare dal voto all’unanimità a quello a maggioranza “in materia di politica estera, finanziaria e fiscale”), Roth (ha definito il sistema delle risorse proprie “un passo verso l’unione fiscale”) ed i Verdi (che vogliono non solo sviluppare l’Eurobond del Ngeu, ma pure quello della unione bancaria e quello del Mes addirittura).

Il centro CDU/CSU, imbalsamato dalla prosecuzione del lockdown, ha obbedito disciplinatamente a Merkel; ma è agitato dalla paura di aver fatto un regalo alla destra di AfD (l’unico partito apertamente contrario), dunque si sbraccia a definire l’operazione una misura “una tantum, limitata nel tempo e nello scopo” e “con la sola ed esclusiva finalità di far fronte alle conseguenze della crisi del Covid“. Infatti, si è mostrato furibondo al solo sentire nominare l’unione fiscale. Intanto, la FAZ lo canzona scrivendo che non crede nemmeno a sé stesso e lo sfida a far campagna per la modifica dei Trattati.

Abbastanza per farsi venire il sospetto che sia tutta una farsa. Messa in scena al fine di tenere in vita l’Euro almeno finché dura il Covid. Tanto, Karlsruhe avrebbe provveduto a riportare tutti alla realtà, ad un costo politico minimo per la partitocrazia tedesca. Altrimenti, ci avrebbero pensato polacchi e ungheresi, parallelamente alle prese con un ricorso contro il Regolamento sullo stato di diritto, quest’ultimo fortemente voluto dagli Stati clientes della Germania, ma che taglia fuori polacchi e ungheresi dal Ngeu.

Conseguenze possibili – In Italia, si minimizza. Ex-multis, Nielsen di UniCredit (parzialmente smentito dai propri ricercatori) inspiegabilmente nega che il Ngeu sia garantito dagli Stati membri. Zagari ci vede una forma di pressione su Draghi, perché faccia le riform€. Secondo Fabbri (uno convinto che non possiamo uscire dall’Euro), l’ordinanza sarebbe stata scritta “aderendo a norme dettate dagli Stati Uniti”, ad opera di una Corte creata “per conservare i limiti alla potenza tedesca comandati da Washington”, con l’esito inevitabile di “autorizzare il Recovery Fund come misura unica, impossibile da tramutare in unione fiscale tra gli Stati membri”. Sic.

Molto preoccupato il Financial Times: “Dopo il fiasco dei vaccini, l’Ue non può permettersi una pausa nel Ngeu“; ma ancora più preoccupato perché si rende conto che “il problema non può essere facilmente risolto, vista la difficoltà di cambiare la Legge Fondamentale”, sicché occorrerebbe “un dibattito profondo e vigoroso nell’establishment giudiziario tedesco” su come interpretarla … campa cavallo. Così pure Münchau: “per la Ue, sarebbe una buona idea preparare un piano B”. Si chiedeva Quadrio Curzio, dopo gli interventi di Draghi: “basterà il binomio Draghi-Macron per convincere i rigoristi della Eurozona? Lo speriamo davvero perché la crisi attuale potrebbe essere irrecuperabile se passa troppo tempo prima della ripresa”. Ecco, no: non basterà. Quindi, la crisi attuale dell’Euro è irrecuperabile. Ma nessun timore, ciò non minaccia di distruggere il mercato unico, lo aveva spiegato Gentiloni: “la recessione da Covid minaccia di distruggere la zona euro”. Amen e così sia.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » dom nov 14, 2021 8:09 pm

Covid e chiusure, la protesta dei ristoratori e delle partite iva
Massimo Gramellini
7 aprile 2021

https://www.corriere.it/caffe-gramellin ... 7d6a.shtml

Non sarà troppo riduttivo e un po’ cinico bollare le proteste di ristoratori e ambulanti impoveriti dalla pandemia come la rivolta egoista di una piccola borghesia di «bottegai» che non pagano le tasse? Nessuno intende avallare blocchi stradali e danneggiamenti assortiti. Sbraitare l’uno sopra l’altro senza mascherina non è il modo ideale di garantire riaperture in sicurezza e forse continua a non esistere risposta migliore a questa tragedia che chiudere tutto il chiudibile per vaccinare il più in fretta possibile, magari partendo dai fragili e non dai raccomandati. Ma ascoltare le ragioni della disperazione è un esercizio minimo di umanità. Tra chi ieri ha fatto esplodere la sua rabbia per le strade c’erano agitatori politici di basso conio, ma anche commercianti che non vedono un euro da oltre un anno e piccoli imprenditori che per pagare gli stipendi sono ormai costretti a rivolgersi agli strozzini. Eppure, bastava scorrere le piazze virtuali dei social per accorgersi di una spaccatura drammatica che riecheggia nelle conversazioni private. La fine di ogni forma di empatia. I commentatori più feroci affermavano di non provare alcuna pietà per chi pratica «il nero». E i più miti, si fa per dire, sostenevano che chi si dedica all’iniziativa privata dovrebbe sapere che il rischio del fallimento fa parte del mestiere: insomma, un inno impietoso al darwinismo sociale, fatto da gente che spesso sui diritti civili si proclama orgogliosamente di sinistra.

La pandemia ha esasperato la spaccatura, trasformando i garantiti in tifosi acritici del lockdown - conta solo la salute, il resto seguirà - e gli autonomi in negazionisti o quantomeno in minimizzatori. Una guerra tra poveri - anzi, tra ex benestanti - combattuta a colpi di stereotipi: «fannulloni» contro «evasori», stipendiati contro autonomi, garantiti contro abbandonati a sé stessi. Funziona così: se un pensionato o un dipendente pubblico si lamenta per una disparità di trattamento ai suoi danni, il «popolo delle partita Iva» gli sbraita addosso, trattandolo da privilegiato. Quando invece, come ieri, sono le partite Iva a protestare, è dai tinelli a stipendio fisso e pensione assicurata che si levano sfottò contro una categoria accusata di voler attingere alla cassa comune dello Stato senza contribuirvi con il pagamento delle imposte.

Qui nessuno vuole negare che il «nero» sia un elemento funesto della nostra economia, né che tra gli ipergarantiti esista un manipolo di fancazzisti che se ne approfitta. Ma etichettare le intere comunità degli autonomi e degli statali con il marchio dei loro esponenti peggiori è esattamente l’opposto di quella che un tempo si sarebbe chiamata «coscienza di popolo», se non di classe. Chi è in ansia per il futuro dei suoi figli dovrebbe solidarizzare istintivamente con chi quell’ansia la sta già vivendo nel presente. Non sbertucciarlo, insultarlo o addirittura mettere in dubbio la verità dei suoi sentimenti. Nulla può mandare ai pazzi chi soffre come il non essere creduto.

Ho guardato e riguardato la foto di Ermes, quel ristoratore modenese che a cinquant’anni suonati si è presentato a Montecitorio con in testa un’imitazione del copricapo cornuto sfoggiato da Jake Angeli a Capitol Hill: non riusciamo più a essere originali neanche nelle arrabbiature. A qualcuno farà pena, a qualcuno paura, ad altri provocherà soltanto un sorriso. Ma a tutti dovrebbe essere chiaro che non ascoltare l’urlo di dolore di quelli come Ermes, che sui social vengono sprezzantemente definiti «bottegai», avrà l’unico effetto di farli sentire sempre più soli, innaffiando di rancore il loro vittimismo. Distruggere gli anticorpi sociali della solidarietà (che è fatta anzitutto di comprensione e ascolto senza giudizio) li renderà disponibili ad abbracciare qualsiasi soluzione spiccia e reazionaria venisse prospettata loro da personaggi senza scrupoli. È una storia che nella Storia abbiamo già visto dipanarsi fin troppe volte per non chiedere una moratoria immediata.
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Re: Solidarietà economica al tempo della crisi da coronaviru

Messaggioda Berto » dom nov 14, 2021 8:10 pm

L'Austria in trincea a difesa dell'austerità rallenterà la riforma dei Trattati?
Andrea Muratore
12 novembre 2021

https://it.insideover.com/economia/laus ... ttati.html

L’Austria è oggigiorno assieme alla solita Olanda la nazione che in Europa è disposta a combattere con maggior foga per fermare la possibilità di un superamento delle regole su deficit e debito pubblico dopo la fine della pandemia di Covid-19. Gli “ultimi giapponesi” dell’austerità non demordono nonostante i dogmi economici scolpiti nelle “tavole della legge” dei Trattati europei si siano dimostrati vani di fronte alla crisi pandemica e anche la Germania di Angela Merkel ha capito che dal rigorismo più estremo bisognava deviare per evitare un nuovo tracollo economico continentale.

E se l’opposizione dell’Olanda di Mark Rutte è da dare più o meno per scontata, nell’anno e mezzo di pandemia quello dell’Austria è stato un climax ascendente che ha avuto nel 2021 il suo apice. Uscito di scena Jens Weidmann, il governatore “falco” della Bundesbank e dimessosi Sebastian Kurz, il cancelliere che ha schierato Vienna a favore del rigore, l’Austria non ha però cambiato linea. Tanto da far parlare molti analisti del fatto che Kurz sia rimasto “cancelliere-ombra” anche dopo l’ascesa a capo del governo dell’ex ministro degli Esteri del suo compagno di partito nel conservatore Ovp, Alexander Schallenberg.

La continuità austeritaria a Vienna è stata sancita, più che dall’influenza profonda di Kurz, dal mantenimento al ruolo di ministro delle Finanze dello Schauble austriaco, il super-rigorista Gernot Bluemel. All’ultimo Eurogruppo di inizio novembre Blumel ha preso posizione sull’ipotesi di un avvio della procedura di modifica dei trattati europei nel 2022 e sottolineato che l’Austria è “contraria” a “ulteriori eccezioni” nelle regole sui conti pubblici Ue “per poter contrarre ulteriori debiti”. “Durante l’estate – ha detto – abbiamo lanciato una cosiddetta alleanza della responsabilità che ha l’obiettivo di abbassare gradualmente i livelli di indebitamento degli Stati. Questo è importante per avere un margine sufficiente per la prossima crisi”.

Il “Metternich dell’austerità” durante tutti i mesi estivi ha preso collegamento con le cancellerie della Nuova lega anseatica, Olanda in testa, e con i rigoristi del Nord per contrapporre ai principali paladini del cambio delle regole, Mario Draghi, Pedro Sanchez e Emmanuel Macron, e anche al futuro cancelliere tedesco (con ogni probabilità Olaf Scholz, tutt’altro che un falco austeritario) una coalizione coesa. Finalizzata ad evitare che la svolta post-Covid, l’introduzione del fondo Next Generation Eu, la monetizzazione del deficit, la svolta sempre più interventista della Banca centrale europea e il nuovo vento keynesiano di cui Mario Draghi in Italia si è fatto interprete diventino regole strutturali, cambiando il terreno di gioco per i Paesi che difendono un’Europa mercantilista, apertamente liberista e scarsamente solidale.

“L’Europa non scivolerà in un’Unione del debito”, ha avvertito a luglio Blumel, nelle stesse settimane in cui, come riportato da Politico, provava a mettere in piedi la sua “coalizione dei volenterosi” pro-austerità, formando un’antemurale per evitare che il Patto di stabilità, il 3% nel rapporto deficit/Pil e il rigore sui conti finissero nel dibattito sul futuro dell’Europa.

Nell’anno e mezzo del Covid-19 Vienna ha dovuto fare i conti con una situazione problematica legata alla pandemia ma è riuscita a scampare alle più dure conseguenze sanitarie, economiche e sociali del contagio. E ora gioca da paladina del rigore temendo di poter pagare eccessivamente in termini di debito proprio la ripresa del Vecchio Continente. Il vento del cambiamento è forte e tocca punti apparentemente irraggiungibili nei mesi scorsi. “Qualche settimana fa, persino il direttore del Meccanismo Europeo di Stabilità Klauss Regling ha detto che il tetto del 60 per cento del debito sul pil va ripensato”, ha scritto l’Huffington Post parlando della conversione sulla via di Damasco del capo dell’organizzazione che più di tutte rappresenta l’austerità. “Segno che la spinta alla revisione della governance economica europea c’è e ha attraversato steccati prima impensabili”, e che la prova di forza del Recovery Fund, della transizione energetica e della svolta sulla digitalizzazione, dopo la pandemia, si stanno imponendo come motori di cambiamento sistemici anche per molti dei più ostinati difensori del rigorismo.

La mossa di Paesi come l’Austria è chiara: sfruttare il 2022 per fare “melina” e far prolungare su un binario morto le discussioni sulla riforma delle regole, nella consapevolezza che, ad oggi, la sospensione del Patto di Stabilità e delle restrizioni più dure sul bilancio è prevista terminare con il 2023 e che, senza modifiche, anche i fondi europei per quell’anno saranno allocati secondo le regole pre-Covid. A Bloomberg ai margini dell’Eurogruppo Blumel si è detto fiducioso e affermato che “la strada è una sola, quella di ridurre il rapporto debito/Pil soprattutto per i Paesi con livelli elevati di questo rapporto che, altrimenti, rischiano di trovarsi in difficoltà di fronte al mercato che potrebbe richiedere tassi più alti per il maggior rischio”. In una fase in cui il supporto Bce dovrebbe diminuire sin dalla primavera 2022 per terminare alla fine dell’anno prossimo, Blumel sa bene che il tempo può giocare dalla sua dato che il problema del debito potrebbe esser fatto ritornare, strumentalmente o meno, all’ordine del giorno. E non è un caso che anche la bozza di manovra del governo italiano di Mario Draghi immagini uno scenario di calo del debito in linea con la possibilità, ad oggi non fugata, del rientro al sistema delle regole europee dopo il 2022. La partita sarà lunga e complessa, e assieme alla solita Olanda ora Paesi come l’Italia hanno un rivale in più. Deciso a giocare fino in fondo questa partita che ritiene cruciale. A costo di paralizzare l’Europa.
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