Cina e virus

Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:10 pm

Cina e virus. Le responsabilità della Cina e della sua dittatura capital-comunista
viewtopic.php?f=162&t=2905


Cina, le responsabilità della Cina e della sua dittatura capital-comunista in questa pandemia mondiale che sta facendo morti e danni come una guerra mondiale.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... e=3&theate
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:11 pm

Le responsabilità cinesi sulla pandemia. La storia. La propaganda della dittatura cinese. La Cina nega le sue responsabilità. Credere alla dittatura cinese è demenziale è come credere alle dittature teocratiche nazi maomettane. La Cina deve rispondere al Mondo e deve pagare per i danni che ha provocato.
La Cina è la prima responsabile di questa epidemia globale da coronavirus, come lo è stata di molte altre nei secoli, tra cui quella della peste nera nel quattrocento che mietè milioni di morti. La propaganda cinese,
Le misure igeniche e i controlli sanitari sugli animali da cibo di allevamento sono piuttosto deficitarie e quelle sugli animali servatici quasi nulle per cui è molto facile che insorgano epidemie in questo sterminato paese con ancora molte zone da terzo e quarto mondo.
Pare che adesso la Cina, dopo questa drammatica esperienza che la sta mettendo in ginocchio e che l'ha resa comprensibilmente invisa al resto del Mondo per aver causato questa pandemia globale (di cui dovrà certamente rendere conto alla comunità internazionale nelle sedi giuridiche/giudiziarie e politiche), sia corsa ai ripari con provvedimenti legislativi "adeguati" tra cui il divieto di commerciare carni selvatiche non controllate.

Zaia, il governatore del Veneto, nella sua intervista televisiva, ha detto bene in modo civile, pacato e fraterno, come in Cina le norme igenico sanitarie siano alquanto deficitarie e non deve scusarsi per nulla, oltretutto la Cina non ha alcun diritto di indignarsi per le parole di Zaia dato che è la responsabile di tutto, caso mai siamo noi che dobbiamo indignarci con la Cina.
Prima che la Cina prendesse visibili provvedimenti e avvertisse il Mondo dell'esistenza del virus, sono passati da uno a due mesi dalla sua prima apparizione, lunghissimo tempo in cui il virus ha potuto diffondersi nel Mondo attraverso i cinesi e i non cinesi che andavano e venivano dalla Cina.



"IT COMES FROM CHINA"
Niram Ferretti
19 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

Lei, è la giornalista politically correct che, durante la conferenza stampa, con voce indignata chiede "Perchè continua a chiamare il virus, il virus cinese? Ci sono notizie di dozzine di attacchi a cittadini cinesi in questo paese. L'etnia non causa il virus".
Lui è Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti.
Imperturbabile risponde, "Perchè", scandisce "Viene dalla Cina"
Che meraviglia quando la logica è così precisa, stringente, inappellabile.
Sì, il Coronavirus viene dalla Cina come nel passato dalla Cina giunsero in Europa la seta e la polvere da sparo.

"IT COMES FROM CHINA"

Il nostro eroe del momento, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che critichiamo quando non ci piace ciò che fa e lodiamo quando fa cose che ci piacciono, come avrebbe detto l'indimenticabile Catalano di "Quelli della notte", ormai lo sapete tutti, chiama il coronavirus, "Il virus cinese".
Questo non piace ai custodi della Newspeak, il nuovo lessico in cui come nel capolavoro di George Orwell, "1984", sono estromesse tutte le parole che non piacciono al Partito dell'Amore.
Una indignata paladina dell'Amore, gli chiedeva perchè continuava a specificare che il virus è cinese, peccando, in questo modo, di discriminazione nei confronti dei cinesi.
Nella testolina di questa bambolina, evidentemente ogni specificazione che identifichi qualcosa, ogni sostantivo o aggettivo sostantivato dovrebbe essere abolito, soprattutto quando si tratta di cose negative. Quindi, si potrà continuare a dire che la pizza e i mandolini sono specialità italiane, ma non si potrà più dire che lo è anche la mafia.
Il presidente americano, uomo vecchio stampo, a cui è stato insegnato da bambino che è corretto chiamare le cose con il nome che le definiscono, ha risposto alla bambolina dicendole che chiama il coronavirus il virus cinese perchè viene dalla Cina.
E dalla Cina viene anche la propaganda anti-americana secondo cui questo virus con cui il paese del Dragone ha appestato il mondo sarebbe stato importato dai soldati americani, come ha dichiarato Lijian Zhao, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, il quale, creando una certa suspance, ha anche aggiunto che presto giungeranno informazioni molto importanti su come il virus abbia avito origine in America. Probabilmente le informazioni verranno fornite direttamente da Giulietto Chiesa e Diego Fusaro.
Nel frattempo, prima che giungano a noi le schiaccianti prove della colpevolezza americana, prodighiamoci senza sosta nel ringraziare il Partito Comunista cinese per inviarci aiuti sanitari, senza mancare di lodare il modo in cui il suo apparato repressivo avrebbe "risolto" il problema.
Presto, si spera, si potrà di nuovo abbracciare i cinesi, per quanto ha fatto il loro governo per aiutare a debellare il virus che inizialmente ha strenuamente cercato di occultare e per il quale cerca di incolpare gli Stati Uniti.




LA FARSA DEL DRAMMA
Niram Ferretti
19 marzo 2020

https://www.facebook.com/permalink.php? ... 4575318063

In questi nostri tempi poco lieti causa Coronavirus e le sue nefaste conseguenze, dobbiamo prendere atto di una cosa, la bravura con cui la Cina ha saputo riaccreditarsi in fretta presso istutuzioni e mass media.

Va ricordato, giusto di passaggio, che il mirabile partito cinese ha nascosto l'epidemia finchè ha potuto, poi, quando non è stato più possibile farlo ha attivato il suo apparato repressivo da Stato totalitario, blindano la città di Wuhan, facendo sparire le persone, andando a prenderle a casa, sigillandole nelle abitazioni e altre amenità varie.

Ora, in cui sembra che in Cina i contagi siano diminuiti, e che si stia tornando alla normalità, dopo che il suo virus autoctono, ha appestato mezzo mondo, colpendo con particolare intensità l'Italia e in modo particolare il cuore economico del paese, la Lombardia, la Cina è diventato un modello da applaudire e a cui guardare con apprezzamento e invidia.

Gli spin doctors del partito sono stati bravissimi e sono bravissimi dopo la copertura iniziale dell'epidemia, nel marketing del presunto grande successo cinese che l'occidente sta sorbendo come uno tè ghiacciato alla menta in una giornata di calura estiva.

Dobbiamo dunque a Donald Trump e alla sua brutale onestà sentire chiamare il Coronavirus, "Il virus cinese", evidenziando da dove viene, e chi ne ha la responsabilità piena per avere cercato, all'inizio, di nascondere la sua esistenza al mondo.

Ovviamente Trump sta già venendo accusato di razzismo, così come, ve lo ricordate, qui da noi, si era immediatamente razzisti se si osava specificare la specificità cinese di questa nuova specialità mortale.

Il sindaco di Firenze, Dario Nardella, uomo dotato di un immenso altruismo, ai primi di febbraio parlava di “terrorismo psicologico” ai danni della comunità cinese che a suo dire, si trovava a subire lo stigma del coronavirus. Così, in un video che passerà alla storia, sorridente abbracciava un cinese.

Trump, i cinesi non li abbraccia, perchè lui è razzista, naturalmente.
Il Coronavirus invece non è razzista. Abbraccia indiscriminatamente.




I regimi e la menzogna: Coronavirus come Chernobyl
Lorenza Formicola
26 febbraio 2020

https://www.nicolaporro.it/i-regimi-e-l ... ekSgII80eI

Correva l’anno 1986 e l’URSS, la potenza invincibile sfidava ancora le leggi del mondo a Chernobyl. È là che andò in scena il prequel – mistificato a modo nel mentre e dopo – del destino di un popolo che incontra il comunismo. D’altronde cosa poteva capitare con un paio di esplosioni in una centrale nucleare capaci di scoperchiare il tetto e avvelenare l’aria con una radioattività 200 volte superiore alle bombe di Hiroshima e Nagasaki? Il regime comunista ha sempre ragione, non sbaglia, e se sbaglia sotterra.

Così, in Ucraina il regime comunista dimostrò come non si può sbagliare o avere torto sotto la falce e il martello. Alla centrale Lenin i reattori erano gli RBMK-1000, tendenzialmente instabili erano pericolosi perché privi di edifici di contenimento. Strutture obbligatorie in Occidente che sono una barriera fra il reattore e il mondo circostante. A Chernobyl il reattore era completamente “esposto”. E come se non bastasse, allo scopo di produrre anche plutonio ad uso militare – che con l’uranio arricchito serve a produrre testate nucleari -, era stato abbassato il livello della sicurezza.
L’URSS, che aveva costruito la più potente e perfetta pentola a pressione pronta all’omicidio colposo, la affidò a ingegneri meccanici e non a fisici nucleari.

Per un ordine politico preciso coperto da segreto di Stato anche dopo il crollo dell’Unione Sovietica – e che in linea di massima altro non era se non l’ennesimo tentativo di dimostrazione di potenza – venne avviato l’esperimento. Ma fallì. Subito. Le autorità non diedero alcun allarme per “evitare il panico”. Il vento soffiava verso Ovest e verso Nord, così la Bielorussia subì i danni più gravi per prima. Il giorno dopo, il 27 aprile, una centrale nucleare in Svezia costatò un’impennata di radiazioni e diffuse l’allarme al resto d’Europa. Le autorità sovietiche, invece, ancora tacevano con ostentazione. Il 27 aprile stava per finire quando la città di Pryp’jat venne fatta evacuare, ma solo con la scusa di una misura temporanea.

Chi c’è stato racconta che da oltre trent’anni, Pryp’jat, in Ucraina occidentale, a solit tre chilometri dalla centrale nucleare di Chernobyl, è ancora una città fantasma. Tutto è rimasto come allora, nel momento esatto in cui è scattato il piano di evacuazione generale: piatti a tavola e panni stesi, sedie vuote e libri rimasti a quella pagina da leggere.

Il primo passo fu minimizzare, poi teorizzare. Come non potevano esistere, infatti, in una nazione perfetta i ladri o i serial killer – sintomi del degenerato sistema capitalistico – in Unione Sovietica un disastro del genere non poteva succedere. Fu trovato un colpevole e la bugia si fece verità. Perché il problema con le bugie comuniste è che ne furono raccontate così tante, che la verità, allora come oggi, è diventata difficile da riconoscere. È certo, però, che gli strascichi di quella radioattività sono durati oltre vent’anni. “Il disastro di Chernobyl non derivò da un attacco militare, né da un atto terroristico. Fu un errore della dirigenza sovietica, peggiorato dalle bugie che il Partito comunista raccontò alla popolazione sulla gravità dell’accaduto”, racconta oggi Yuriy Scherbak, ex ministro dell’ambiente in Ucraina.

Trent’anni dopo arriva il Coronavirus. Il misterioso virus cinese che si sta diffondendo così velocemente su scala planetaria, da diventare un’epidemia grave. Non c’interessa decretare da queste pagine se ha lo stesso tasso di mortalità o superiore a quello di una semplice influenza stagionale, se è come la Spagnola o peggio o decisamente lontano da una febbre che provocò circa 40 milioni di morti. Non ne abbiamo le competenze. D’altronde non sappiamo come si svilupperà e in cosa muterà – gli esperti litigano nel caos dell’ideologia perenne. Non sappiamo come sia nato il virus, non sappiamo il numero reale dei malati e dei morti in Cina. Perché la verità è che come a Chernobyl, il Partito Comunista cinese ha giocato a sotterrare tutto da quasi tre mesi a questa parte. Per settimane, dopo i primi casi di coronavirus segnalati, hanno preteso ostentatamente che non esistesse. Poi hanno raccontato che si era originato in un mercato all’aperto, successivamente altre fonti hanno ipotizzato che il virus fosse fuggito dal laboratorio di armi batteriologiche dell’Esercito di Liberazione Popolare – a pochi chilometri dall’epicentro dell’epidemia.

In ogni caso, la prima ondata di casi, in dicembre, non è stata riportata. E anche quando il numero di contagiati è diventato troppo grande per mentire ancora, all’inizio di gennaio, i funzionari del regime hanno continuato a minimizzare sia con la loro gente che con la comunità internazionale.
Dal momento che la gente di Wuhan non aveva ricevuto alcuna informazione o ordinanza meramente a scopo precauzionale, ha continuato a contrarre e spargere il virus per settimane. Quando è diventata un’epidemia a Wuhan, è iniziato il Capodanno cinese. Ogni anno, inizia in Cina la più grande migrazione del pianeta. Ecco, quindi l’incubo epidemiologico. Ma quando i funzionari cinesi davano inizio alla più grande quarantena della storia umana, era già troppo tardi, come scrive Steven Mosher – antropologo statunitense, presidente del Population Research Institute (il primo che poté condurre ricerche sul campo in Cina dal 1979).

I video delle cosiddette talpe che continuano ad arrivare dalla Cina non raccontano di una situazione sotto controllo dalle strade deserte alla gente accasciata sui marciapiedi fino alla disinfestazione di massa. Anche se, persino per questi filmati, non si sa né a quando risalgono, né in quale città sono stati girati. Resta il fatto che con l’epidemia diffusa a livello planetario le autorità di Pechino continuano a mentire. E nonostante la censura poliziesca che al 28 gennaio, come riporta ancora Mosher, secondo le direttive emesse dal Ministero della Sicurezza Pubblica che imponevano la quarantena e per mantenere l’ordine sociale promettevano di punire “duramente” chiunque diffondesse notizie dal vivo o online sull’epidemia, le brutte notizie sono venute fuori lo stesso.


Li Zehua aveva tutto per starsene tranquillo quando è scoppiata la pandemia a Wuhan.
Giulio Meotti
20 marzo 2020

Dopo essersi laureato in una delle migliori università cinesi, Li ha iniziato a lavorare per la più importante stazione televisiva statale, la CCTV. Li era una stella nascente. Se fosse rimasto entro i confini tracciati dal regime, Li avrebbe potuto vivere una vita comoda e ricca. Solo che si è domandato cosa era andato storto nella pandemia. E ha raggiunto Wuhan. Li ha iniziato a pubblicare video. Ha intervistato residenti, operai e impiegati delle pompe funebri. Il 26 febbraio, quando stava tornando dall'Istituto di Virologia di Wuhan, Li ha pubblicato un breve video mentre veniva seguito da un veicolo della pubblica sicurezza. “Mi stanno inseguendo. . . . Sono sicuro che vogliono tenermi in isolamento. Aiutatemi per favore!”. Ha paura di fare la fine del dottor Li Weinlang. Li Zehua è tornato nel suo appartamento e si è messo in streaming per lasciare un messaggio. Appena sente bussare alla porta dice in video: “Oggi molti giovani cinesi probabilmente non hanno idea di cosa sia successo nel nostro passato e pensano che la storia che hanno ora sia quella che meritano”. Dopo queste ultime parole, Li apre la porta. La telecamera viene bruscamente spenta e il livestream si ferma. Nessuno ha avuto più notizie di Li da quel giorno. Questa è la Cina.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:12 pm

Indice

1
Prima che la Cina prendesse visibili provvedimenti e avvertisse il Mondo dell'esistenza del virus, sono passati da uno a due mesi dalla sua prima apparizione, lunghissimo tempo in cui il virus ha potuto diffondersi nel Mondo attraverso i cinesi e i non cinesi che andavano e venivano dalla Cina.

2
La Cina è la prima responsabile di questa epidemia globale da coronavirus, come lo è stata di molte altre nei secoli, tra cui quella della peste nera nel quattrocento che mietè milioni di morti. La propaganda cinese,
Le misure igeniche e i controlli sanitari sugli animali da cibo di allevamento sono piuttosto deficitarie e quelle sugli animali servatici quasi nulle per cui è molto facile che insorgano epidemie in questo sterminato paese con ancora molte zone da terzo e quarto mondo.

3
Zaia, il governatore del Veneto, nella sua intervista televisiva, ha detto bene in modo civile, pacato e fraterno, come in Cina le norme igenico sanitarie siano alquanto deficitarie e non deve scusarsi per nulla, oltretutto la Cina non ha alcun diritto di indignarsi per le parole di Zaia dato che è la responsabile di tutto, caso mai siamo noi che dobbiamo indignarci con la Cina.

4
Irresponsabili e criminali difensori della Cina.


5
La Cina cerca di scaricare la sua responsabilità difronte al Mondo accusando gli USA per la produzione e la diffusione del virus, e lo fa con l'ausilio di tutti i demenziali sinistri e complottisti antiamericani.



6
Nel caso in cui fosse vera l'ipotesi incredibile che il virus sia sfuggito da un laboratorio militare cinese per la guerra biologica, la Cina dovrà essere messa in condizioni di non poter più nuocere,
I cinesi non sono così stupidi.
Se fosse vero il Mondo dovrebbe circondare la Cina con gli eserciti e invaderla per distruggere tutti i laboratori e togliere alla Cina ogni produzione industriale delocalizzata nel suo territorio e farsi risarcire abbondantemente tutti i danni.
Niente più Via della Seta, huawei, 5G, ... e Trump avrebbe perfettamente ragione a considerare la Cina un pericolo per l'umanità.



7 - vedere anche capitolo 9
La Cina dovrà pagare e risarcire
La Cina dovrà pagare e risarcire, dovrà rispondere al mondo e risarcirlo di tutti i danni che ha causato, per le persone morte e la crisi economica e dovrà essere messa in condizione di non nuocere più.



8
No alla Via della Seta e dei virus mortali pandemici e totalitari del capital comunismo cinese.
Si ricorda che la Cina destabilizza il Mondo sostenendo la mostruosa dittatura della Corea del Nord, la dittatura nazimaomettana dell'Iran e la dittatura social comunista venezuelana di Maduro.

9- vedere anche capitolo 7
Ma la pandemia in Cina è davavero finita come dicono i cinesi, io non credo, la certificazione della fine
dell'epidemia deve essere certicata dall'OMS e da una delegazione di medici dei maggiori paesi del Mondo,
tale organismo internazionale deve poter accedere a tutte le province cinesi ad esclusione di qualche area militare.

10
Altro e varie


11
Dopo questa vicenda pancemica di cui la Cina deve rispondere politicamente, economicamente, penalmente,
bisognerà cambiare l'assetto mondiale dell'economia globalizzata:
si dovrà far rientrare da noi in Occidente le produzioni più vitali e necessarie, anche per far lavorare la nostra gente.

Poi di ciò che si potrà ancora delocalizzare e che oggi è delocalizzato in Cina bisognerà trasferirlo in parte all'India per far crescere e rafforzare economicamente e militarmente questo paese poverissimo ma densamente popolato, come concorrente della Cina e come argine sia del cinesismo totalitario capital comunista che del nazismo maomettano del Pakistan nucleare e dell'Indonesia;
e altre parti si potranno portare in Vietnam e in aree non islamiche dell'Asia, nell'Africa cristiana e nell'America centro sud.
Bisognerà limitare grandemente la immigrazione dalla Cina e azzerrare quella dai paesi nazi maomettani asiatici e africani.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:13 pm

1
Prima che la Cina prendesse visibili provvedimenti e avvertisse il Mondo dell'esistenza del virus, sono passati da uno a due mesi dalla sua prima apparizione, lunghissimo tempo in cui il virus ha potuto diffondersi nel Mondo attraverso i cinesi e i non cinesi che andavano e venivano dalla Cina.

Giusto per capire cos’è WuHan il centro dell'epidemia cinese
https://www.facebook.com/10001532181394 ... 062733080/

Coronavirus, 60 milioni di cinesi in quarantena: «Xi Jinping sapeva tutto dal 7 gennaio»
17 febbraio 2020

https://www.ilmattino.it/primopiano/est ... 55957.html

Già il 7 gennaio scorso Xi Jinping aveva dato ordine alle autorità della provincia dello Hubei (dove è concentrata la maggior parte dei casi di coronavirus) di fare il massimo sforzo per contenere l'epidemia. La leadership cinese era dunque al corrente della diffusione del morbo almeno due settimane prima dell'annuncio ufficiale della sua trasmissione tra esseri umani. È stato Qiushi (giornale ufficiale del Partito comunista) a rivelarlo, pubblicando un discorso pronunciato negli ultimi giorni da Xi durante una riunione del Comitato permanente dell'Ufficio politico, l'organismo di sette membri che, di fatto, governa la Cina.

«Durante una riunione del Comitato permanente dell'Ufficio politico del 7 gennaio - scrive Xi - ho ordinato di lavorare per contenere il contagio. E il 20 gennaio ho dato istruzioni speciali sul lavoro da svolgere per prevenire e controllare la diffusione, e ho chiarito che avremmo dovuto prestare grande attenzione». Nel suo intervento il segretario generale accusa le autorità locali di non aver attuato le direttive di Pechino (e, infatti, negli ultimi giorni sono stati rimossi il segretario del Partito di Wuhan e dello Hubei).

Il discorso di Xi nell'ambito di una riunione riservata, della quale solitamente non vengono pubblicati che brevi riassunti ufficiali ha ricevuto grande pubblicità sui media di stato. La leadership cinese deve - in patria e nei confronti del mondo - mostrarsi all'altezza della sfida posta dal «Covid-19». Per questo nelle ultime ore anche gli ambasciatori cinesi negli Usa all'Onu e presso l'Organizzazione mondiale della sanità sono intervenuti per difendere l'operato della leadership di Pechino.

Xi ha assicurato che l'obiettivo di creare una «società moderatamente prospera» entro il 2021 resta alla portata del Paese. Ma per il Partito comunista cinese la dimensione assunta dall'epidemia ha trasformato il coronavirus da «semplice» emergenza sanitaria in un vero e proprio stress test per la sua capacità di «mantenimento della stabilità sociale» (wéiwn) e, in ultima analisi, di controllo del potere nella Nuova era proclamata da Xi Jinping al XIX Congresso.

Xi ha aggiunto che «dobbiamo assicurare il controllo della società e della sicurezza assicurando il rispetto della legge, mobilitando le forze dell'ordine. Dobbiamo informare il popolo di ciò che il Partito e il governo stanno facendo e quali saranno i nostri prossimi passi per tranquillizzare l'opinione pubblica».

La situazione a Wuhan e nello Hubei la metropoli di 11 milioni di abitanti capoluogo della provincia del centro del Paese dove è concentrata la stragrande maggioranza dei morti e dei contagiati resta difficilissima. Da ieri giorno in cui il numero dei morti complessivamente ha raggiunto quota 1.700 - a tutti i residenti della provincia (58 milioni di abitanti, incluse 200 mila comunità rurali nelle quali vivono 24 milioni di persone) è stato imposto l'obbligo di non uscire di casa fino a nuovo ordine.

L'incremento del numero di contagiati ha rallentato per il terzo giorno consecutivo, ma un segnale incoraggiante non ferma le misure draconiane: lo Hubei è interamente sigillato. Nella provincia sono concentrati l'80% dei contagiati e il 96% dei decessi. Tutte le comunità rurali sono state isolate, lasciando per l'accesso soltanto un'entrata presidiata da guardiani. Simili restrizioni sono state applicate nelle città ai compound residenziali. Chi vorrà uscire dovrà indossare la mascherina (che continuano a scarseggiare) mostrare un apposito permesso, e mantenersi sempre almeno a 1,5 metri di distanza da altre persone. Sono state sospese tutte le attività di intrattenimento e di gruppo. Potranno circolare solo veicoli della polizia, ambulanze e mezzi autorizzati.

Il Partito combatte la sua battaglia contro il virus non solo all'interno, ma anche nei confronti della comunità internazionale. Nel resoconto di Qiushi Xi afferma la necessità di «coordinarsi e comunicare con altri paesi e regioni, condividere informazioni sulla diffusione del virus e le strategie di contenimento per guadagnarci la comprensione e il sostegno internazionale». La Cina, finora, non ne ha ottenuto tanto. La prima reazione di molti governi è stata quella di chiudersi, per tutelare la salute dei cittadini. Ma per la Cina, che negli ultimi 15 anni è diventata sempre più un attore globale, queste chiusure rischiano di rivelarsi disastrose.


La necessaria quarantena e l'isolamento in Cina
La Cina prova a contenere il contagio: isolate 13 città, 41 milioni di persone
venerdì 24 gennaio 2020

https://www.avvenire.it/mondo/pagine/ci ... -e-contagi

È salito a 26 il numero delle persone morte in Cina a causa del nuovo coronavirus, mentre i contagi sono saliti a 616. Deceduto anche un 36enne senza precedenti malattie. La città di Wuhan, 11 milioni di abitanti, origine ed epicentro dell'epidemia di polmonite anomala, è in isolamento. E da ieri sono in isolamento Huanggang, non lontano da Wuhan, e anche Ezhou, Chibi e altre 9 città dello Hubei, per un totale di 41 milioni di abitanti: sospesi i trasporti pubblici, chiusi i locali pubblici di ritrovo. Questo alla vigilia del Capodanno cinese, per il quale milioni di persone si mettono in viaggio. La capitale Pechino ha annunciato la cancellazione dei festeggiamenti. Stessa decisione per Macao, dove si registrano 2 casi di coronavirus. Un caso anche a Singapore. Un caso sospetto anche a Bari, dove una donna di ritorno dalla Cina è ricoverata in isolamento al Policinico, è poi rientrato: le prime analisi hanno dato esito negativo.

«Le persone sotto osservazione» per un sospetto di contagio con il coronavirus «sono salite di 260 unità», portando il totale dei casi esaminati «a 1.441», ha reso noto la commissione sanitaria di Wuhan nell'ultimo aggiornamento sull'emergenza virus sottolineando che restano sotto osservazione 662 persone mentre 779 sono risultate negative.

L'Organizzazione mondiale della sanità non dichiara per il momento l'emergenza internazionale sulla diffusione del virus 2019-nCoV. Il comitato dell'Oms ha detto ieri sera che "è troppo presto" per dichiarare un'emergenza di salute pubblica di livello internazionale. Sono inoltre ancora pochi i casi del virus confermati al di fuori della Cina.

«Mancano ancora elementi sufficienti per decidere, le evidenze al momento non paiono giustificare pienamente questa misura» commenta Giovanni Maga, direttore del laboratorio di Virologia Molecolare presso l'Istituto di Genetica Molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pavia. «Il virus si trasmette da uomo a uomo, ma con moderata efficienza - spiega -. Può causare sintomi gravi, ma per ora sembra con bassa frequenza». Inoltre «sembra che la maggior parte delle persone guarisca. Però la situazione evolve rapidamente (e potrebbe farlo anche il virus), per cui aspettare un altro giorno potrebbe dare indicazioni più precise, se non altro la crescita del numero di casi cinesi ed eventuali altrove potrebbe farci capire cosa abbiamo davanti».


Gino quarelo
Considerato il momento particolarmente difficile e delicato, la paura e la preoccupazione di tanti per il diffondersi del coronavirus a livello globale, non sarebbe per niente male se tutti coloro che rientrano in Italia dalla Cina e non solo dalle zone di maggior diffusione del virus, oggi parzialmente isolate, siano essi italiani o cinesi facessero un paio di settimane di quarantena, sarebbe un bene per loro stessi, per le loro famiglie, per le aziende per cui lavorano, per tutti noi e per i cinesi presenti in Italia come residenti o con la doppia cittadinanza, fugherebbero ogni dubbio, contribuirebbero a rassicurare e a ridurre la tensione, dimostrerebbero grande rispetto e se fossero cinesi ne guadagnerebbero in considerazione, stima e simpatia.

Provate ad immaginarvi quali reazioni vi sarebbero se capitasse invece la diffusione del virus da parte di qualche cinese che rientrando dalla Cina da aree apparentemente non contaminate e quindi libero di circolare senza un preventivo periodo di quarantena perché ritenuto sano e non infettato?

Io veneto italiano se rientrassi dalla Cina, sia pure da zone apparentemente non contaminate, nel dubbio mi metterei in quarantena per rispetto mio e degli altri, per elementare sicurezza a prescindere da quello che dicono il governo e i suoi specialisti. In questi casi un po' di prudenza in più non farebbe certo male; due settimane passano in fretta.




Partito da una email l’ordine ai medici di tacere sul virus
La Stampa
20 febbraio 2020

https://www.lastampa.it/esteri/2020/02/ ... s5rUM6Fxg4

La mail spedita il 2 gennaio dall’Istituto di Virologia di Wuhan metteva in allarme la comunità scientifica cinese ed era perentoria su un punto: vietato divulgare. Niente. Nulla deve uscire dal Paese, su canali ufficiali e non ufficiali. Il mondo non deve sapere. «Il comitato sanitario nazionale richiede esplicitamente che tutti i dati sperimentali dei test, i risultati e le conclusioni relative a questo virus non siano pubblicati su mezzi di comunicazione autonomi», si legge nella lettera, cioé i social media. E ancora, «non devono essere divulgati ai media, compresi quelli ufficiali e le organizzazioni con cui collaborano». Si chiede di «rispettare rigorosamente quanto richiesto». E poi si fanno gli auguri. La direttrice dell’Istituto, Wang Yan Yi, la manda ai vari dipartimenti di virologia e ricerca dopo gli ordini di Pechino.

Gli auguri, però, sono fatti al mondo intero, visto che ancora oggi il mondo intero è sconvolto dal coronavirus, che nessuno sa come debellare. Le prime avvisaglie saranno di venti giorni dopo, quando l’epidemia arriva fino negli Usa, con un 35enne americano, che aveva fatto visita ai suoi familiari a Wuhan. Torna a casa malato: il 20 gennaio, in una clinica della contea di Snohomish nello Stato di Washington, il sanitari provano a trattare il paziente con metodi tradizionali, ma lui peggiora. Il 27 gennaio, la decisione di somministrargli un nuovo farmaco ancora in via di sperimentazione e non ancora approvato dalla Fda (l’organo federale di controllo americano). Si chiama «Remdesivir», è un antivirale concepito per contrastare il virus dell’ebola. Così, le condizioni del 35enne migliorano, il 30 gennaio i sintomi spariscono. I risultati vengono pubblicati sul New England Journal of Medicine il giorno successivo.

La «ricetta» non resta entro i confini Usa, ma il caso strano è la tempistica con cui la Cina si interessa al remdesivir. Il 21 gennaio, ovvero sei giorni prima che Washington tenti l’uso del farmaco anti-ebola, l’Istituto di Virologia della dottoressa Wang Yan Yi, avanza una richiesta del brevetto. Il motivo? Trattamento di pazienti malati di «nuovo coronavirus». Una richiesta che il centro scientifico tra i migliori al mondo, che fa parte della Cas (Chinese Academy of Science) ovvero la più grande organizzazione di ricerca del mondo, con 60 mila ricercatori e 114 istituti, pubblicherà solo il 4 febbraio sul suo sito. «Per il farmaco Remdesivir non ancora commercializzato in Cina - dicono - e che presenta barriere alla proprietà intellettuale, abbiamo chiesto un brevetto di invenzione cinese il 21 gennaio in conformità con la pratica internazionale e dal punto di vista della protezione degli interessi nazionali (resistenza al nuovo coronavirus nel 2019)». La Cina offriva, inoltre, di far contribuire le società straniere interessate alla prevenzione e al controllo dell’epidemia cinese (a quel punto uscita allo scoperto in tutto il mondo). «Per il momento non avremo bisogno dell’attuazione dei diritti rivendicati dal brevetto», concedevano i cinesi. «Speriamo di lavorare con società farmaceutiche straniere per ridurre al minimo l’impatto della prevenzione del controllo delle epidemie».

Tante le domande a cui le autorità cinesi dovrebbero rispondere, a partire dall’invio di nascosto della mail. Come ha potuto l’Istituto di Virologia di Wuhan prevedere che un farmaco ancora in fase sperimentale, e non approvato dalla Fda, potesse essere una soluzione a una materia di sicurezza nazionale, quando ancora il 21 gennaio non si erano neppure adottate le misure di sicurezza (quarantena per la città da cui è partito il contagio) necessarie a dichiarare lo stato di emergenza? Nella lettera, proprio nei giorni in cui Li Wenliang denunciava i casi di una nuova Sars, si fa cenno a una «polmonite le cui cause sono ignote». Si trattava del Covid-19? E perché i risultati dei test sul virus avrebbero dovuto non essere divulgati ai media? Tutte questioni a cui Wuhan e il governo di Xi Jinping, nonostante i rumors sempre più insistenti che circolano tra i loro cittadini, si rifiutano di rispondere.



Il coronavirus viene da lontano: non solo il Conte 2, da Pechino all'Oms una lunga catena di omissioni e ritardi Atlantico Quotidiano
27 febbraio 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... POBmI-uV8k

La pandemia in arrivo ci impone una riflessione anche sulla globalizzazione, sulle organizzazioni internazionali e sulla pericolosa utopia di una governance globale

Errori banali eppure cruciali, come abbiamo già osservato, che ci costeranno molto cari, quelli commessi fino ad oggi dal nostro governo, praticamente nei primi minuti di gioco dell’emergenza coronavirus. L’ostinato rifiuto ad adottare la misura più efficace per contenere la diffusione del virus nel nostro Paese, l’isolamento di chiunque rientrasse da qualunque zona della Cina, nonostante fosse stata proposta già alla fine di gennaio non solo dai partiti di opposizione e da alcune istituzioni, ma anche da scienziati. Misura necessaria proprio perché, com’è noto, nella maggior parte dei casi il coronavirus si manifesta con sintomi lievi, che non impediscono alla persona infetta di continuare la sua vita sociale diffondendo il contagio. Poi una gestione schizofrenica della comunicazione, passata da un giorno all’altro dalla sottovalutazione all’allarmismo, come sulle montagne russe. L’unico elemento costante, purtroppo, e proprio nel periodo più delicato, è stata l’ideologia politically correct: la preoccupazione principale era di non alimentare psicosi e discriminazioni, buttarla sul razzismo nella dialettica con le opposizioni, piuttosto che la pericolosità del virus e l’inaffidabilità dei numeri ufficiali provenienti da Pechino e dall’Oms.

Infine, la sconsiderata accusa (poi ritrattata, perché senza fondamento) lanciata in tv dal premier agli ospedali del lodigiano di non aver seguito i protocolli e aver così “contribuito alla diffusione” del virus. Uno scaricabarile irresponsabile, un vero e proprio sciacallaggio, su cui i magistrati della Procura di Lodi – non bastava Conte come primadonna! – hanno pensato bene di aggiungere il carico da undici aprendo un fascicolo di indagine (senza ipotesi di reato né indagati) e mandando i Nas a sequestrare cartelle. Ora, immaginate quel personale sanitario e non, sotto una pressione enorme da giorni, a star dietro pure ai Nas… Un generale che fa sparare ai suoi uomini in prima linea…

Detto questo, non bisogna però dimenticare che la diffusione del coronavirus si deve ad una catena di omissioni, silenzi e ritardi che viene da lontano, da molto lontano. Soprattutto se venisse dimostrato che, come qualcuno ipotizza (la virologa Ilaria Capua), il virus è arrivato in Italia (e in Europa) molto prima di quanto pensiamo, forse prima che il presidente cinese Xi Jinping e l’Oms dichiarassero l’emergenza. Se infatti il virus si è diffuso in Cina a partire dai primi di dicembre, grazie alla velocità dei mezzi di trasporto e al numero di spostamenti non è così assurdo ipotizzare che sia sbarcato già durante la prima metà di gennaio. Ieri, in sole 24 ore, 9 nuovi casi positivi in Germania (tra questi un medico), dopo due settimane in cui il conteggio era rimasto fermo a 16. E solo uno sembra abbia a che fare con il nostro focolaio nel lodigiano. Il ministro della salute tedesco Spahn ha dichiarato che “siamo all’inizio dell’epidemia” di coronavirus in Germania (“molti contatti” e “catene delle infezioni non più ricostruibili”). Se, come sembra, si tratta dei primi focolai tedeschi, insinuazioni e dietrologie stanno a zero, tra noi e gli altri Paesi europei potrebbe essere solo questione di (poco) tempo.

Qui su Atlantico siamo stati tra i pochi e tra i primi a sottolineare l’inaffidabilità dei dati ufficiali di Pechino sull’epidemia in atto in Cina, riportando articoli della stampa internazionale e autorevoli studi scientifici. Inaffidabilità che con il passare dei giorni emergeva sempre più chiaramente, ma proprio su quei dati le autorità nazionali di quasi tutti i Paesi hanno basato l’elaborazione di scenari, misure di prevenzione e contrasto, mentre in Italia trascorrevamo settimane preziose a farci fotografare con involtini primavera in bocca, o abbracciati a un amico cinese, e a discutere se fosse discriminatorio non far tornare a scuola per 14 giorni i bambini di qualunque nazionalità di ritorno dalla Cina, non di quanto fosse pericoloso il virus. Una decina di giorni fa la Cnn calcolava che circa 780 milioni di cinesi, metà della popolazione, sono sottoposti a una qualche forma di restrizione di movimento, con l’impatto economico che possiamo immaginare. Un regime come quello cinese non adotta misure così devastanti per la propria economia per un virus un po’ più aggressivo di una normale influenza.

Pensate solo che nella totale indifferenza dei media – non mi risulta sia stato riportato da agenzie di stampa o giornali – durante la conferenza stampa di aggiornamento quotidiano sull’emergenza del 25 febbraio, ore 18 (andate a risentirvela), al fianco del capo della Protezione civile Borrelli, il direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità Giovanni Rezza ha parlato così, en passant, come se fosse ormai un dato acquisito, di “almeno un milione di persone infette a Wuhan”, quando il dato ufficiale in tutta la Cina non superava gli 80 mila. Per citare solo l’ultimo degli articoli della stampa internazionale, secondo The Epoch Times documenti governativi trapelati rivelerebbero che dal 9 al 23 febbraio le autorità sanitarie della provincia cinese dello Shandong avrebbero riportato nei loro annunci pubblici un numero inferiore di contagi rispetto a quello calcolato dal CDC locale, superiore da 1,36 a 52 volte quello ufficiale. Per esempio, il 25 febbraio sono stati dichiarati 755 contagi, mentre il 23 risultavano già 1.992 positivi.

E resta ancora incerta l’origine del virus. Al mercato del pesce di Wuhan non crede più quasi nessuno, nemmeno Pechino insiste. Un nuovo studio di ricercatori cinesi, citato dal Global Times, un organo del regime, indica che “la trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus potrebbe aver avuto inizio alla fine di novembre da un posto diverso dal mercato del pesce di Wuhan”. “Se gli allarmi avessero ricevuto una più ampia attenzione pubblica – osservano i ricercatori – il numero di casi a livello nazionale e globale nella seconda metà di gennaio sarebbe stato più basso”. Un altro studio, citato dal Caixin Global, ha registrato una concentrazione anomala di morti (19) in un ospizio di Wuhan vicino al mercato del pesce prima dello scoppio dell’epidemia. Ancora non si può del tutto escludere, poi, che il nuovo virus sia sfuggito per errore da un laboratorio di massima sicurezza situato proprio a Wuhan, vicino a quel mercato, ma questa è un’altra storia.

Tornando alle responsabilità dei ritardi nel lanciare l’allarme, nel tentativo di scagionare se stesso e il partito centrale, scaricando ogni colpa sui funzionari locali di Wuhan, “poche mele marce”, il presidente Xi Jinping ha fatto filtrare sugli organi ufficiali un suo discorso del 3 febbraio ai dirigenti del partito, ai quali ha riferito di aver dato il 7 gennaio “ordini verbali e istruzioni sulla prevenzione e il contenimento del nuovo coronavirus“. Questo forse aggrava la posizione dei funzionari di Wuhan, ma dimostra anche che Pechino sapeva del coronavirus e della sua gravità già il 7 gennaio, ma solo dopo 13 giorni, il 20 gennaio, il presidente Xi si sarebbe deciso a parlare alla nazione e al mondo dichiarando l’emergenza. Oltre un mese e mezzo dopo la comparsa della prima “polmonite misteriosa”; 20 giorni dopo l’allarme lanciato via chat dal giovane medico di Wuhan, Li Wenliang, arrestato, poi morto e riabilitato; 10 giorni dopo la condivisione del profilo genetico del nuovo virus con l’Oms. Per almeno 13 giorni, quindi, fino al 20 gennaio appunto, viene negato il contagio da uomo a uomo, non scatta alcuna misura di prevenzione straordinaria, i medici visitano ancora senza protezione, i casi dichiarati sono fermi ad alcune decine, i cittadini di Wuhan e del resto della Cina vengono tenuti all’oscuro, non compare una sola parola sull’epidemia in corso sugli organi di stampa ufficiali del Partito comunista.

Ancora questa settimana, martedì scorso, il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha accusato i governi di Cina e Iran di censurare l’informazione riguardante l’epidemia nei loro Paesi, facendo correre al resto del mondo un rischio ancora più grande: “La censura può avere conseguenze mortali”. Sempre martedì, il segretario alla salute Alex Azar riferendo al Congresso ha detto esplicitamente che “il mondo non sta ottenendo dati affidabili dalla Cina su questioni come il tasso di mortalità”.

L’inaffidabilità dei dati di Pechino, e i suoi gravi ritardi nel dichiarare e affrontare l’emergenza nelle cruciali settimane iniziali, portano inevitabilmente a mettere in discussione l’operato dell’Oms, oggetto di numerose e puntuali critiche che abbiamo già riportato su Atlantico. L’Oms è stata “troppo deferente nei riguardi della Cina nella sua gestione del nuovo virus”, ha titolato giorni fa il Wall Street Journal. Le sue decisioni si sono rivelate tardive e politicamente condizionate. Nel non dichiarare prima del 30 gennaio l’emergenza sanitaria globale, scrive il WSJ, “l’Oms ha dato troppo peso alle preoccupazioni di Pechino che la decisione avrebbe danneggiato la sua economia e l’immagine della sua leadership”. Una decisione in questo senso poteva essere assunta già nella riunione del 22 e 23 gennaio, subito dopo l’intervento pubblico di Xi Jinping del 20 gennaio. Si sarebbe anticipata di una settimana la risposta di quasi tutte le autorità nazionali. Se a questa settimana sommiamo i 13 giorni, nella migliore delle ipotesi, persi da Pechino, arriviamo ad un ritardo della risposta globale a prevenire e contrastare il nuovo coronavirus di almeno 20 giorni.

Come si fa, alla luce di tutto questo – il virus che circola, il nostro governo nel caos, gli scienziati che bisticciano, i dati cinesi inattendibili, le organizzazioni internazionali colluse con Pechino o assenti – a colpevolizzare la “common people”, che – ci pare non così irrazionalmente – mostra un po’ di sana paura?

A questo punto, una riflessione dovrà essere aperta anche sulla globalizzazione, sulle organizzazioni internazionali e sulla pericolosa utopia di una governance globale. Non si tratta di mettere in discussione lo scambio delle merci, la circolazione di beni, capitali e persone, di alzare muri e steccati ai confini. Piuttosto, di correggere un processo che da una parte, in Occidente, è stato dirottato da un’ideologia multiculturalista e universalista completamente distaccata dalla realtà, del tutto ignara del ruolo insostituibile degli stati nazionali (“Imagine there’s no countries”), dall’altra, da potenze come la Cina, sfruttato per perseguire una vera e propria politica di potenza il cui fine, oltre che sfidare la leadership Usa e occidentale, è quello di rimodellare l’ordine liberale sul proprio modello illiberale. Abbiamo concesso troppo spazio e troppa interdipendenza a Pechino: la sua inclusione nel Wto non l’ha portata a mantenere l’impegno di completare la liberalizzazione economica, né ha innescato un processo di apertura democratica come molti speravano. Altro che Trump… oggi è la Cina il problema della globalizzazione: la concorrenza sleale in campo commerciale, la sfida tecnologica e cibernetica, il sistema totalitario, l’aggressività militare, i virus pandemici, sono tutti volti dello stesso problema.

E le organizzazioni internazionali, quando assenti e silenti, o quando colluse, mentre dovrebbero essere “tecniche” (o così pretenderebbero di essere), hanno finito per fare il gioco di Pechino e di altre potenze autoritarie e revisioniste, rivelando quanto sia fallace, una pericolosa illusione, l’idea di una governance globale.

Nel suo intervento del dicembre 2018 al German Marshall Fund, il segretario di Stato americano Pompeo ha ricordato che l’ordine internazionale edificato dopo la Seconda Guerra Mondiale si fonda sul ruolo degli stati nazionali e che è necessario ristabilire tale ruolo, oggi messo in discussione, se vogliamo che l’edificio resti in piedi e continui a svolgere i compiti per i quali era stato concepito. Il ruolo degli stati nazionali non è affatto in contraddizione con l’ordine liberale, cosa che invece oggi si tende a dare quasi per scontata. Al contrario, le “nazioni sovrane” sono gli insostituibili mattoni di questo edificio, perché è in esse che i popoli, riconosciuto il diritto all’autodeterminazione, si riconoscono, mentre l’umanità è un concetto troppo ampio e diverso per dar vita a una identità universale condivisa.

Il problema è che le organizzazioni internazionali hanno cominciato a prendere vita propria, allontanandosi dagli interessi delle nazioni da cui traggono la loro legittimazione e finendo per rendersi strumenti, consapevoli o meno, di regimi autoritari avversari dell’Occidente, che hanno finalità e principi opposti a quelli per i quali erano state concepite. Al contrario dei popoli di questi regimi, che non hanno mai sperimentato cosa sia il controllo democratico, o non ne hanno il ricordo, i cittadini delle democrazie liberali, sia in Europa che negli Stati Uniti, avvertono questo allontanamento, la mancanza di accountability di queste istituzioni, mentre nei confronti dei loro governi nazionali, per quanto impopolari, gli elettori conservano l’arma del voto.

Lo sviluppo economico, ha osservato Pompeo nel suo discorso, non ha portato Pechino ad “abbracciare la democrazia”, né alla “stabilità regionale”, ma “ha portato più repressione politica e provocazioni regionali”. “Abbiamo accolto la Cina nell’ordine liberale, ma mai vigilato sul suo comportamento”. E così “ha puntualmente sfruttato le scappatoie nelle regole del Wto, imposto restrizioni al mercato, forzato trasferimenti di tecnologia, rubato proprietà intellettuale. E sa che l’opinione pubblica mondiale non ha il potere di fermare le sue orwelliane violazioni dei diritti umani”. E oggi, possiamo aggiungere, ha messo la salute e l’economia mondiale a rischio con la diffusione del coronavirus.

Dunque, occorre chiedersi se l’attuale ordine internazionale e le sue organizzazioni siano al servizio dei cittadini, siano in grado di tutelare la nostra sicurezza, la nostra salute e prosperità e, in caso contrario (sembra essere purtroppo il caso di questa pandemia), come possiamo aggiustarlo. C’è il rischio concreto infatti che l’inerzia di oggi sia più funzionale alle potenze autoritarie – Cina e Russia in testa – che ne hanno approfittato per avanzare i loro interessi, elevare il loro status e promuovere il loro modello illiberale.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:13 pm

CINA-VATICANO Sacerdote cinese: Da cristiani nel dramma del virus di Wuhan
AsiaNews.it
Shan Ren Shen Fu (山人神父)
01/02/2020

http://www.asianews.it/notizie-it/Sacer ... PsWn33PJBQ


Preghiera, compassione, solidarietà, mentre gli abitanti di Wuhan giunti nelle altre città sono trattai “come ratti”. Il racconto della prima settimana di emergenza. La preghiera del papa. Intanto, il numero dei morti a causa dell’infezione è salito a 259; gli infetti sono 11.823 in Cina e 129 all’estero.

Pechino (AsiaNews) – “I cristiani devono pregare sinceramente, e il nostro Paese ha bisogno davvero dell’aiuto del Signore”. È l’invito di p. Shanren (il “prete della montagna”), un famoso blogger, a tutti i suoi fedeli e amici, nel suo racconto sulla prima settimana di emergenza virus. Il blocco delle città, la difesa anche armata contro gli infetti, la disperazione dei malati, ma anche i molti gesti di solidarietà verso le persone di Wuhan, ora trattate “come un ratto”. C’è il rischio di forti tensioni sociali, che solo la preghiera e l’amore possono vincere.

Intanto, il numero dei morti a causa dell’infezione è salito a 259; gli infetti sono 11.823 in Cina e 129 all’estero. I casi sospetti in Cina sono saliti a 18mila; almeno 243 pazienti sono guariti dal virus.

Nel pomeriggio della vigilia di Capodanno [il 24 gennaio] ho ricevuto la comunicazione sull’annullamento della messa. Solo due giorni prima avevo inviato una comunicazione scritti ai fedeli circa gli orari delle messe che si sarebbero svolte per la Festa del Capodanno il 24 gennaio, il 25 e la domenica. Avevo programmato di rientrare nel mio paese d’origine dopo la messa domenicale. “Ritornare a casa dopo il Capodanno” è divenuta ormai una consuetudine. Ed ora che persino la messa è stata annullata, ho deciso di ritornare a casa il 25 gennaio, dopo aver finito di cenare con i fedeli la sera del capodanno.

Quest’anno il “ritornare a casa” è divenuto una decisione difficile da prendere. Prima del capodanno avevo più volte parlato coi miei genitori al telefono e mi chiedevano sempre quando sarei rientrato. Ma non eravamo ancora a conoscenza del coronavirus di Wuhan. Quando l’ho saputo, l’epidemia si era ormai diffusa in tutta la Cina. Avevo assicurato ai miei che sarei tornato il 26 gennaio e non avevo mai pensato che avrei anticipato il rientro di un giorno. I miei genitori erano del tutto all’oscuro del mio rientro anticipato. La maggior parte dei fratelli sacerdoti non possono passare il Capodanno nel proprio paese natale; anche loro vi ritornano dopo il giorno della festa. Ci siamo spesso sentiti per consultarci se fosse ancora opportuno rientrare. Tutti pensavano fosse un atto irresponsabile. Ma ho deciso di tornare un po’ prima, e che Dio mi benedica e benedica anche il viaggio. Sono giunto a casa la sera stessa della partenza.

Siamo arrivati al villaggio sotto la pioggia. Erano stati già installati i blocchi stradali, ma per fortuna il nostro villaggio non ha utilizzato la ruspa per scavare trincee, né montagne di terriccio per bloccare le strade. La civiltà non è cosa che si costruisce da un giorno all’altro, ma grazie alla fede le persone hanno fatto qualche progresso, non hanno adottato le “semplici ma violente” maniere che circolano su internet. I festeggiamenti che il villaggio aveva organizzato sono stati annullati. Non ci sono persone che visitano i parenti, né i bambini che giocano di nascosto coi fuochi d’artificio: l’intero villaggio è miracolosamente avvolto nel silenzio. Ognuno a casa sua mangia, guarda la TV, gioca col cellulare, dorme. Ci sono indubbiamente tanti anziani che pregano e recitano silenziosamente il rosario.

La situazione epidemica è sempre più critica e stringe il cuore di tutti. Su internet non solo guardo gli ultimi aggiornamenti circa l’epidemia e le nuove aree epidemiche, ma scopro un po’ di affetto umano che emerge nella società. Il sindaco di Wuhan ha affermato che 5 milioni di persone hanno lasciato la città di Wuhan, ci sono alcuni che rientrano nella propria città d’origine, altri che hanno già da tempo programmato il viaggio e alloggiano negli hotel. Come è ovvio, per il terrore verso la trasmissibilità del virus, le persone hanno espresso paura verso i cittadini provenienti da Wuhan. Questa povera gente è ormai inseguita da tutti come un ratto che corre attraversando la strada! Eppure proprio in questo momento ci sono tante persone che, mediante internet, hanno invitato tutti gli amici provenienti da Wuhan, esclusi e rimasti intrappolati nelle altre città, affermando che i cittadini di Wuhan possono mettersi in contatto con loro e che essi sono disposti ad accoglierli, offrendo loro un alloggio e affrontando insieme questo momento difficile.

Nella vita ci sono sempre due differenti tipi di persone e cosicché emergono spesso due opinioni divergenti: coloro che appartengono all’amore, che abbracciano la vita con cuore aperto e affetto; coloro che appartengono all’odio, che rifiutano il mondo circostante con un cuore freddo. L’auto-protezione e l’auto-isolamento sono indubbiamente un nostro dovere, ma se tutti ignoriamo l’umanità, la morale e persino la legge per prevenire il “virus”, anche le persone sane che vivono in sicurezza diventano pari alle bestie.

L’amore e l’odio verso gli infetti

Attualmente, gli infetti devono auto-isolarsi senza contagiare gli altri. Purtroppo su internet vediamo tante azioni aggressive: vi sono pazienti terrorizzati che strappano le tute protettive e le mascherine degli infermieri, spuntando in faccia ai medici e infermieri dicendo: Perché soltanto voi avete la protezione? Se ci tocca morire, moriamo insieme… Poi, vediamo anche i blocchi stradali: c’è chi che mette le spille rosse; altri che vanno in giro con le spade in mano; c’è chi mette gli striscioni davanti alla casa degli altri; quello che usa addirittura pezzi di legno per bloccare l’ingresso dei vicini. Per tante persone, i pazienti di Wuhan non sono più persone, ma sinonimo di virus. Questa è veramente una notizia sconsolante, perché anche il Signore dice che odia il peccato, ama le persone. Mi piacerebbe sempre abbracciare il peccatore con tanta misericordia, aspettando che egli chieda perdono.

Ma la situazione di oggi è: tutti coloro che sono fuori della città di Wuhan gridano: Forza Wuhan! Ma se hanno qualche amico ritornato da Wuhan, gli dicono: Non solo contagiate gli altri, ma fate male anche a voi stessi! Se a causa dell’epidemia, le relazioni fra persone continuano in questo modo, ci saranno inevitabilmente divergenze sociali sempre maggiori.

Per fortuna dopo la chiusura del villaggio, nessuno può muoversi dalla propria casa, e con le mascherine non si può più cantare né parlare. Nel silenzio, le persone possono almeno meditare. I credenti cominciano a pregare per l’epidemia, i fedeli del villaggio si organizzano per digiunare. Anche mia cognata si è unita a loro, e non fa più la colazione!

Quello che davvero manca a noi cinesi è l’autocritica: tutti piangono e si disperano quando si verifica un disastro, ma appena la catastrofe finisce tutto torna come prima. Nel 2002-2003, 17 anni fa, c’era la Sars, oggi il coronavirus. Tutti e due gli eventi sono in relazione con gli animali selvatici. Il pipistrello fa parte degli animali selvatici, il suo aspetto assomiglia a quello del cavaliere della notte (qualche fedele dice che il pipistrello ha l’aspetto di Satana). Ora, è impensabile che si possa mangiare una cosa del genere! Un mio amico ha visto un video in cui si consuma un pipistrello durante il pasto, e ha subito gettato via la sua ciotola dicendo: che schifo!

Prima dell’epidemia il mio maestro mi ha mandato una sua riflessione. Francamente non voglio pensare che la malattia di oggi sia in relazione con la persecuzione della fede, però pensandoci bene, le parole del mio maestro non sono così fuori posto.

“Pensa soltanto al giorno 24 dicembre, ovvero un mese fa: noi cinesi affermavamo con fermezza che dovevamo boicottare le feste straniere, bisognava vietare il Natale, amare il Paese e sostenere le feste nazionali. Abbiamo dato uno schiaffo pesante sui nostri stessi volti, perché solo un mese dopo, il giorno 24 gennaio è successo un disastro. Vedendo la difficile situazione di oggi, ho veramente mille pensieri: abbiamo rifiutato la pace che Dio ci ha donato gratuitamente, ed ora tutti vogliamo la pace, ma il costo è veramente caro. Dobbiamo avere timore in Dio, preghiamo per i cinesi! Chiediamo l’immensa misericordia di Dio che tutto si risolva presto!”.

All’Angelus del 26 gennaio, papa Francesco ha menzionato l’epidemia cinese, invitando i fedeli di tutto il mondo a pregare per i pazienti della Cina. Gli uomini possono sbagliare e commettere qualche errore, ma il Signore è grande ed è misericordioso. Dio non ignora mai il pentimento e un cuore umile. Oggi, i cristiani devono pregare sinceramente, e il nostro Paese ha bisogno davvero dell’aiuto del Signore.


La guerra della Cina contro il virus e la verità
Laboratori chiusi, medici silenziati, professori arrestati, social network censurati e attacchi ai “nemici del popolo”. Così il Partito comunista ha messo in pericolo la salute internazionale e ora usa l’epidemia per fare propaganda
Giulio Meotti
9 Marzo 2020

https://www.ilfoglio.it/esteri/2020/03/ ... ywall=true
Duemilaventi. La Cina combatte il Coronavirus”. È il titolo del libro appena pubblicato dal Partito comunista cinese per celebrare la vittoria sull’epidemia e su come “il compagno Xi Jinping si è preso cura del popolo”. Fa parte della sua impressionante macchina della propaganda. Il ministero degli Affari esteri cinese in conferenza stampa intanto dichiarava che è una diffamazione parlare di “virus cinese” e che la sua origine è “ignota”. Origine ignota… Il regime ha arruolato anche il dottor Zhong Nanshan,...



In piena pandemia Pechino lancia la sua controffensiva revisionista: il partito ha sconfitto il virus - Atlantico Quotidiano
Enzo Reale Da Barcellona
11 marzo 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... 4I_Pwj3AOQ

Attenzione: a Pechino stanno già riscrivendo la storia e sono gli stessi responsabili del dramma collettivo che ci è toccato in sorte, con la compiaciuta partecipazione di un esercito di volenterosi apologeti sparsi un po’ ovunque

Il partito cinese vanta molti adepti in Italia: in fondo basta sfoggiare i simboli e i colori giusti perché il popolo del “bella ciao” si converta all’epica dell’uomo forte

“La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza“, recitano gli slogan del Socing incisi sulla facciata del Ministero della Verità, nell’Oceania descritta da Orwell in “1984”. Eterna profezia, incubo ricorrente, romanzo che incarna lo spirito di ogni tempo, perché il doublethink non muore mai e si fa forza trainante nelle società confuse. Come la nostra. Nella capitale del Regno di mezzo il Ministero della Verità lavora giorno e notte. E dalla notte al giorno sui suoi muri compare uno slogan di nuovo conio, scolpito a caratteri cubitali, in modo che tutti possano scorgerli e interpretarli anche a distanza: “Il Partito ha sconfitto la malattia“. Il resto del mondo, sempre più malato, dopo un primo momento di sconcerto e di dubbio, sgrana gli occhi per leggere meglio il messaggio. Poi, in men che non si dica, annuisce convinto e, quasi sollevato nonostante le piaghe ancora infette, comincia ad applaudire il nuovo comandamento e a ossequiare i padroni del pensiero che lo hanno concepito.

La capitale in questione è Pechino, il Partito è il regime comunista cinese, la malattia è il coronavirus (o Covid-19, nome da neolingua anch’esso) che la dittatura di Xi Jinping ha regalato al mondo, in un collage letale da superpotenza sottosviluppata, fatto di ritardi, censure, insabbiamenti e troppe morti evitabili. L’allegoria finisce qui e comincia la cronaca. La storia, invece, la stanno già riscrivendo a piacimento gli stessi responsabili del dramma collettivo che ci è toccato in sorte, con la compiaciuta partecipazione di un esercito di volenterosi apologeti sparsi un po’ ovunque. Proprio come il Covid-19.

Prima di continuare, una premessa necessaria: l’esperienza cinese dimostra che, in certa misura, il contenimento del virus è possibile e funziona. Pur con tutte le cautele del caso sulle cifre ufficiali, i provvedimenti di natura totalitaria messi in atto nel Paese una volta esplosa l’emergenza (isolamento di intere province unito a un sistema di sorveglianza sociale senza precedenti) sembrano aver prodotto finora risultati positivi. Le prossime settimane diranno se si tratta di una tendenza consolidata. Ma l’onda lunga della propaganda e dell’ideologia è già all’opera da tempo per trasformare una crisi sanitaria di dimensioni planetarie originatasi a Wuhan (Hubei, Cina) in una storia di successo, in cui le gravi responsabilità del governo cinese sono destinate ad essere dimenticate per far spazio a una narrativa alternativa, finalizzata a promuovere su scala globale il presunto modello di sviluppo che la Cina pretende di incarnare. Un tentativo che, se scontato dal punto di vista del Partito Comunista, per avere successo ha bisogno della complicità implicita o esplicita proprio di quelle società democratiche che, dopo i cittadini cinesi, sono le vittime principali del suo operato. Il paradosso epocale che stiamo vivendo, non da oggi, si fonda su un meccanismo perverso di inversione dei ruoli e delle responsabilità, una curiosa sindrome cinese per cui non tarderemo molto a identificare la dittatura rossa di Xi Jinping non come la causa del problema ma come la sua soluzione. La Cina, segnatevelo, uscirà dall’epidemia di coronavirus come vincitrice morale, mentre il resto del mondo continuerà a snocciolare le cifre di nuovi contagi.

L’offensiva propagandistica è cominciata con un dispaccio dell’agenzia statale di notizie Xinhua che annunciava la pubblicazione di “A Battle Against Epidemic: China Combatting Covid-19 in 2020″, un libro in cui si esaltano i meriti del presidente Xi Jinping e dei vertici del regime nell’affrontare l’emergenza. Grazie alla guida del suo leader, il Partito avrebbe dato prova di grande lungimiranza ed efficienza, tanto da poter dichiarare la battaglia già vinta. Sono due i principali problemi di immagine che il governo cinese prova in questo modo a ribaltare: da una parte il colpo inferto alla propria reputazione internazionale dalla propagazione dell’epidemia e dai ritardi decisivi delle prime settimane; dall’altra l’ondata di critiche e di insoddisfazione interna che per giorni, prima che la censura mettesse tutto a tacere, era esplosa in rete. La strategia di Pechino ruota attorno ai seguenti punti: enfatizzare la risposta all’emergenza mettendo in luce l’efficacia delle misure adottate: “Il mondo dovrebbe ringraziarci – fa sapere ancora Xinhua in un editoriale – per il nostro grande sacrificio nella lotta contro il virus“; insinuare che la provenienza della malattia potrebbe non essere cinese, contro ogni evidenza scientifica; attribuire a focolai esterni gran parte dei contagi che si stanno ancora producendo sul suo territorio.

In quest’opera di marketing politico bisogna dire che il regime non ha camminato solo. Bruce Aylward, direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità, in missione nel Paese alla guida di un gruppo di esperti, ha elogiato senza mezzi termini nella conferenza stampa finale gli sforzi di Pechino nel contenimento dell’infezione, sottolineandone l’approccio aggressivo adottato anche grazie a “metodi di vecchio stampo“, invitando gli altri stati a prendere esempio e rammaricandosi che non tutti fossero pronti a intraprendere gli stessi passi. La rivista scientifica The Lancet, riprendendone le dichiarazioni, ha così definito la natura del regime cinese:

“Il successo della Cina si basa in gran parte su un forte sistema amministrativo che può mobilitare in tempi di minaccia, combinato con la volontà del popolo di obbedire a rigorose procedure di sanità pubblica. Sebbene ad altre nazioni manchi la politica di comando e controllo della Cina, ci sono importanti lezioni che i presidenti e i primi ministri possono imparare dall’esperienza cinese. I segni sono che quelle lezioni non sono state apprese”.

Le parole sono importanti: in entrambi i casi, la constatazione dei risultati sul campo è direttamente associata alla struttura politica del Paese, ovvero, senza mai nominarla apertamente, alla dittatura. Il pensiero sotteso ad ogni ragionamento sulla risposta cinese al coronavirus è che l’illiberalità del suo sistema politico rappresenti un vantaggio pratico nei confronti delle democrazie, incapaci di reagire con la stessa prontezza di fronte alle emergenze. Per giungere a questa conclusione, largamente diffusa ormai anche tra l’opinione pubblica occidentale, basta rimuovere dalla fotografia ogni responsabilità del regime nell’origine e nella propagazione del virus. Che si tratti di febbre suina, che nel semi-segreto ufficiale ha ucciso nell’ultimo anno e mezzo milioni di maiali, o di coronavirus, la nuova narrativa è già pronta, secondo le regole immutabili del doublespeak.

Anche in Italia, in pieno contagio, c’è chi sembra più preoccupato di vendere la versione cinese che di denunciarne le manipolazioni. In un articolo che ricalca nei toni e nei contenuti l’ufficialità del Quotidiano del Popolo, Simone Pieranni sul Manifesto verga un’apologia del Partito Comunista Cinese degna di altri tempi:

“Un allenatore italiano, tra i tanti al di là della muraglia, ha spiegato che il governo cinese pensa davvero alla sua popolazione. La Cina ammalia e incanta, si sa. (…) Il PCC ha gestito al meglio la crisi del coronavirus perché uno Stato paternalista è in grado di fare breccia su una popolazione pronta a mobilitarsi in massa, a eseguire gli ordini se li ritiene giusti, corretti, volti a un’armonia, a una forma di stabilità economica e sociale. (…) Il PCC è l’ago della bilancia sociale in Cina, unica istituzione ad ora in grado di mantenere la stabilità”.

Per Il Manifesto non è Pechino ad aver nascosto la verità ma gli Stati Uniti:

“Il fallimento dei test messi a disposizione dalle autorità sanitarie americane, insieme al sospetto che il governo stia nascondendo i reali numeri del contagio di coronavirus negli Usa, ha portato a una rivalutazione di quanto fatto, invece, dal governo cinese”.

Ma non c’è bisogno di aggirarsi tra le pagine del quotidiano comunista per rendersi conto dei consensi che il modello politico cinese riscuote dalle nostre parti. Per restare al mondo dell’informazione, Corrado Formigli, conduttore di Piazza Pulita, osservava nel corso della sua trasmissione che “in Cina hanno il vantaggio della dittatura, che non è un vantaggio da poco“. Sarebbe difficile ascoltare un’affermazione simile riferita a un regime di segno ideologico opposto. E ancora, Otto e mezzo, Alessandro de Angelis dell’Huffington Post: “La Cina non è una dittatura, è una tecnocrazia illuminata, c’è bisogno di competenze“. Il partito cinese, a quanto pare, vanta molti adepti nel nostro Paese e in fondo basta sfoggiare i simboli e i colori giusti perché il popolo del bella ciao si converta all’epica dell’uomo forte.

Al di là del folklore nazionale c’è un problema di fondo piuttosto serio in tutto questo: sia l’Oms che gran parte dei governi e della stampa internazionale si fanno messaggeri della narrativa cinese senza metterla in discussione, come se provenisse da un governo trasparente e rispettoso della libertà di informazione. L’Australia è stata l’unica a sottolineare “le intense pressioni” esercitate dalla Cina sull’Organizzazione mentre gli Stati Uniti, per bocca di Mike Pompeo, hanno messo in discussione l’operato e le cifre di Pechino. Già a fine gennaio due articoli di altrettante pubblicazioni scientifiche americane segnalavano come nella sola Wuhan il numero reale di contagiati fosse fino a 11 volte superiore a quella dichiarata. Inoltre, è stato denunciato da diversi attivisti all’interno del Paese che non tutte le vittime mortali del virus vengono conteggiate nelle liste ufficiali e il Caixin Global, in un articolo poi eliminato dal suo sito web, ha parlato senza mezzi termini dell’esistenza di “cifre reali al di fuori dalle statistiche”.

Intanto, mentre il coronavirus si diffonde esponenzialmente in un centinaio di Paesi e obbliga l’Italia a chiudere per malattia, la Cina utilizza la crisi sanitaria per accreditare la propria leadership globale a livello di istituzioni. Un think tank governativo sta tastando il polso della comunità internazionale su un’eventuale alternativa cinese alla stessa Oms, evidentemente considerata ancora non sufficientemente malleabile. Vedremo che successo avrà l’iniziativa ma è la dimostrazione di una strategia di lungo termine che, paradossalmente, ha ricevuto dalla vicenda coronavirus un impulso espansivo. Riuscirà il Partito Comunista Cinese a trasformare una tragedia di dimensioni planetarie in un’arma propagandistica per accreditarsi come vincitore morale e punto di riferimento a livello globale? Vista l’inazione di chi dovrebbe opporvisi e la complicità delle sue quinte colonne in seno alle democrazie occidentali, corriamo il rischio che il virus totalitario si espanda come quello sanitario.
Nelle parole di Yan Lianke, scrittore cinese censurato in patria, un auspicio destinato a rimanere inascoltato:

“Tra non molto tempo, com’è facilmente immaginabile, il Paese canterà vittoria con sonori squilli di trombe e roboanti rulli di tamburi. Spero che noi non contribuiremo a comporre futili melodie altisonanti. Limitiamoci a essere persone autentiche dotate di memoria individuale”.


Nuove accuse puntuali contro la Cina: il 95% dei casi del Coronavirus poteva essere evitato.
13 marzo 2020

https://www.globes.co.il/news/article.a ... n=facebook

Un gruppo di ricercatori ha scoperto che se la Cina avesse lavorato per sradicare il virus Corona 3 settimane prima e avesse applicato le sue severe misure in materia di isolamento e divieti di viaggio, il numero di casi sarebbe stato ridotto del 95%.
La diffusione del virus Corona avrebbe potuto essere molto più moderata se la Cina avesse affrontato il problema in precedenza, secondo uno studio pubblicato sui media. In uno studio che non è stato ancora sottoposto a peer review, hanno preso parte ricercatori di alcune università in Inghilterra, Stati Uniti e Cina: Southampton, John Hopkins e della Harvard University Sun Yat-San University di Shenzhen.


BASTA ELOGIARE LA CINA. UN AEREO DI AIUTI ALL’ITALIA NON PUÒ CANCELLARE LE COLPE DEL GOVERNO COMUNISTA CINESE NELLA DIFFUSIONE DEL CORONAVIRUS
Francesco Giubilei
L’Italia rischia di finire di male in peggio, di fronte a un’Unione europea incapace di aiutare il nostro paese in un momento di estrema difficoltà, nell’isteria collettiva che è purtroppo una delle conseguenze di questa emergenza, assistiamo a un elogio generalizzato verso la Cina per l’invio di un aereo con dotazioni sanitarie e nove medici. Ma cerchiamo di essere razionali e vedere come stanno davvero le cose. Anzitutto la Cina non ha donato mille ventilatori polmonari all’Italia ma sono stati acquistati dal governo italiano con un regolare contratto. Bisognerebbe poi smettere di elogiare una dittatura che ha gravi colpe nella diffusione del virus, che ha silenziato e arrestato i medici di Wuhan che per primi hanno denunciato il pericolo del Coronavirus e non rispetta i diritti umani. È di oggi la notizia diffusa
dal South China Morning Post, in base a documenti governativi consultati, che il primo caso di coronavirus in Cina risalirebbe addirittura al 17 novembre. Il Partito comunista per quasi due mesi ha nascosto la verità riconoscendo solo il 12 gennaio pubblicamente l'epidemia, nonostante da novembre ogni giorno venissero rilevati da 1 a 5 nuovi casi: “Il 27 dicembre, Zhang Jixian, un dottore dell'Hubei Provincial Hospital of Integrated Chinese and Western Medicine, comunicò alle autorità che la malattia era causata da un nuovo coronavirus. A quella data, più di 180 persone erano contagiate e alla fine del 2019 i casi erano 266, saliti a 381 al primo giorno del 2020”.
Incredibile poi l’accusa lanciata dal presidente Xi Jinping che, senza nessuna prova, sostiene il virus sia stato portato dagli americani nel mondo. Un attacco che guarda caso arriva dopo il discorso di Trump e dopo le parole del Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Robert O’Brien, secondo cui la Cina avrebbe agito con lentezza nell’affrontare l’epidemia e, se avesse “seguito i protocolli”, il mondo avrebbe avuto due mesi di tempo in più per organizzarsi.
Il gesto di solidarietà della Cina con l’invio di medici e materiale sanitario all’Italia, non può però cancellare queste evidenze e un elogio del modello cinese è oggi quanto meno fuori luogo.


???
Il mistero del virus
Marcello Veneziani
18 marzo 2020

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... del-virus/

Ma poi si è capito come è nato e chi lo ha propagato il coronavirus? Fatalità, errore, incoscienza, bestialità? Io non l’ho ancora capito, ho una serie di informazioni, anche troppe, ho un mucchio di sensazionali rivelazioni e una valanga di interpretazioni contrastanti ma alla fine non so niente di preciso. Nulla più di quanto sapessimo all’inizio. E non per curiosità, sete di conoscenza, per farne storia o solo per risalire a eventuali colpe di singoli o di gruppi, di istituzioni o di stati. Ma perché il miglior modo per evitare che si ripeta, è capire come nasce, da dove nasce e come si riproduce. E chi, cosa dobbiamo temere, oltre i contagi animali.

Non abbiamo ancora capito se i cinesi sono stati solo vittime o responsabili, se è un incidente in laboratorio o nella vita corrente, se è stato tardivo o tempestivo il loro reagire, fino a che punto risale il loro eventuale grado di colposità. E non si comprende se tutto è coperto da segreto militare, se ci sono cose che non si possono divulgare, guerre fredde sommerse. Non ci è ancora chiaro perché in Italia è esploso prima e più di ogni altro luogo d’Occidente con una mortalità che in percentuale ci rende tristemente primi al mondo. Perché abbiamo questo primato: sfiga, scarsità di strutture, colpe politiche, leggerezza, o che? Perché un morbo cinese attacca proprio l’Italia, c’è una spiegazione più razionale del fatto che Marco Polo fu il primo ad arrivare in Cina sette secoli fa? Né abbiamo capito come è meglio affrontarlo, se con metodo british-brexit, o con metodo latino-mediterraneo, barricandoci tra le calde pareti materne della casa. Non è possibile fare previsioni di durata e di estensione, c’è chi parla di giorni e chi di mesi per il coprifuoco, c’è chi dice che sarà infettata più della metà della popolazione e chi dà numeri ristretti ad alcune decine di migliaia.

Il picco, anche agli occhi di scienziati e virologi si sposta come un cursore impazzito, ogni giorno e a ogni notizia, e così le aspettative di contagio, il boom annunciato al sud e a Roma oppure no, resta inarrivabile il primato tragico della Lombardia. Il bla-bla intorno al covid-19 non dà più informazione, semmai più confusione e apprensione, i pareri degli esperti oscillano tra le ovvie ripetizioni dei mantra igienici di massa a previsioni diametralmente opposte; certo, tiene alto il livello d’allarme e sollecita comportamenti prudenti, un tempo si sarebbe detto “da timorati di Dio”. Solo chi è in prima linea, negli ospedali più assaltati, per esempio tra Bergamo e Brescia, non fa previsioni, ci racconta solo l’inferno dal vivo e a volte dal morto. Senza dire del mistero su come lascerà stremati l’Italia, l’Europa e il mondo; ma questo rientra già nelle incognite di ogni futuro.

Insomma, è strano: viviamo nella società globale dominata dalla scienza, dalla programmazione tecnologica, dall’informazione e dai social, dai business plane e dalla democrazia elettronica eppure navighiamo a fari spenti nella notte, è incomprensibile quel che è accaduto, perché è accaduto, che trafila segue il contagio, se non i misteriosi capricci del caso. Ed è incomprensibile e incontrollabile quel che accade e come rimediare, oltre la profilassi certa, antica e puerile, come lavarsi le mani o isolarsi tutti da tutti, in casa o nei confini.

Tutto è avvolto nel Mistero. Esattamente come davanti alla peste e al colera dei secoli scorsi, esattamente come i terrori dell’Anno Mille, e di qualche altra annunciata fine del mondo. Di fronte al Mistero, alla Paura e alla Restrizione, pur vivendo in una società sofisticata reagiamo come bambini, anzi veniamo incoraggiati a comportarci come bambini: cantiamo la canzone dal balcone, sventoliamo la bandiera, facciamo il meritato applauso al personale sanitario. Battiam battiam le mani evviva il Direttor. O ci mandiamo video, vignette e battute per giocare col Mostro, per esorcizzare il Mammone.

Certo ogni tanto ti arriva il video di Quello-che-ha-Capito-Tutto, quello che sa ciò che tutti gli altri ignorano, o che dice la Verità perché lui è libero, non è pagato da nessuno, non dipende da una struttura sanitaria, da un potere, dalla stampa. Quindi può sparare profezie (o chiamatele in altro modo) all’impazzata. Lui sa, lui ha intuìto, e te lo spiega. E di solito niente è come appare. In tanti abbiamo fame di ascoltare favole, qualcuno anche di narrarle.

La realtà è che brancoliamo nel Mistero né più né meno che nell’antichità. Non sappiamo nulla più di quanto sapessero i nostri antenati, quelli che si rivolgevano ai santi e alle madonne, o peggio agli stregoni e alle megere, per proteggersi dal male. A quelli che compivano riti per scacciare il male. Lo facciamo anche noi, per esempio, col rito scaramantico Tutto andrà bene. Ma sì, facciamo tutto quel che serve a farci stare meglio, anche il corno e il ferro di cavallo.

Ma non eravamo una società ad alta tecnologia che derideva il ricorso alla religione e al fato, che programmava tutto e si affidava solo alla scienza e al calcolo? Stiamo da un mese a litigare sulle mascherine, il tampone e l’amuchina; ammazza l’industrializzazione, la velocizzazione, la stampante 3d, il mercato… Di fronte al pericolo torniamo nelle caverne. Siamo primitivi in case accessoriate, aborigeni con lo smartphone. Siamo iper-dotati sul piano sanitario e iper-cablati ma disarmati quando passiamo a chiederci perché accade, come rispondere, in che modo evitare, arginare. Vince il caso, più la strana sensazione di vivere nella trama di un fanta-romanzo. Vediamo tutto quel che succede nel mondo in diretta a casa nostra, ma non abbiamo il senso degli avvenimenti esattamente come cento, mille, diecimila anni fa. Mistero batte Progresso e noi dentro un film da incubo.




Cronologia di una pandemia criminale. Le responsabilità del regime cinese
Franco Londei
13 aprile 2020

https://www.rightsreporter.org/cronolog ... me-cinese/

Quali responsabilità ha il regime cinese sulla pandemia del Coronavirus? Ne abbiamo già parlato diverse volte, ma due esperti canadesi di Diritti Umani, Irwin Cotler e Judit Abitan, hanno ricostruito con dovizia di particolari l’intera cronologia delle malefatte del regime di Xi Jinping partendo da uno studio della University of Southampton che certifica come se il regime cinese fosse intervenuto prima si sarebbe potuto ridurre l’epidemia fino al 95%.

Scrive l’università di Southampton: «se in Cina si fossero condotti gli INP (interventi non farmaceutici basati sul tempestivo isolamento degli infetti e delle aree infette) una settimana, due settimane o tre settimane prima, i casi avrebbero potuto essere ridotti rispettivamente del 66%, 86% e 95%, insieme a una riduzione significativa del numero di aree colpite».

Bastava quindi che Pechino intervenisse con l’isolamento delle aree infette solo tre settimane prima per ridurre la pandemia del 95%.

Invece per oltre 40 giorni (ma sicuramente di più) non solo il regime cinese ha nascosto l’epidemia al mondo, ma ha addirittura represso i medici che per primi avevano trovato e denunciato il virus COVID-19.

La prima a scoprire il COVID-19 fu la dottoressa Ai Fen, direttrice del dipartimento di emergenza presso l’Ospedale Centrale di Wuhan, la quale ne denunciò la scoperta e la diffusione da uomo a uomo verso la fine di dicembre 2019. Ai Fen è scomparsa nel nulla, probabilmente incarcerata o fatta fuori dal criminale regime cinese. Subito dopo la sua scomparsa anche otto medici del suo staff vennero arrestati per impedire che diffondessero quanto scoperto dalla dottoressa Ai Fen.

Il 1° gennaio del 2020 è la volta del dott. Li Wenliang (che morirà di Coronavirus nel febbraio 2020) il quale denuncia che diversi uomini sono stati contagiati dal COVID-19 ma viene subito “convocato” dalle autorità cinesi e accusato di diffondere notizie false e di generare allarme.

Il 4 gennaio 2020, il Dr. Ho Pak Leung, presidente del Centro per le infezioni dell’Università di Hong Kong, ha indicato che era altamente probabile che il COVID-19 si diffondesse da uomo a uomo e ha sollecitato l’implementazione di un rigoroso sistema di monitoraggio. Anche lui completamente ignorato dal regime cinese, più interessato a nascondere le informazione che a diffonderle.

Nel frattempo la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan continua ad affermare che non c’era nessuna prova che il COVID-19 si potesse trasmettere da uomo a uomo.

Il 14 gennaio 2020, l’OMS ha confermato e quindi rafforzato la posizione della Cina e il 22 gennaio 2020 il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha addiritura elogiato la gestione dell’epidemia da parte del CPC, elogiando il ministro cinese della Salute per la sua collaborazione e il presidente Xi e il premier Li per la loro leadership e per il loro «inestimabile intervento».

Il 23 gennaio 2020 le autorità cinesi annunciano i loro primi passi per mettere in quarantena Wuhan. A quel punto era troppo tardi. Milioni di persone avevano già visitato Wuhan e se ne erano andati durante il capodanno cinese e un numero significativo di cittadini cinesi aveva viaggiato all’estero come vettori asintomatici del COVID-19.

Quaranta giorni di silenzio e repressione delle informazioni sul COVID-19 da parte del criminale regime cinese sono costati all’Italia, epicentro della pandemia europea, un bilancio delle vittime del 12%, più del doppio di quello cinese, seguito dalla Spagna con un tasso di mortalità del 9% (in forte aumento in queste ore). E adesso tocca a New York e all’intera America.

Scrivono Irwin Cotler e Judit Abitan: «mentre le infezioni globali continuano a salire senza sosta verso l’alto, la Cina – ironicamente – è ora considerata più sicura della maggior parte dei paesi colpiti dalla pandemia».

I due esperti di Diritti Umani canadesi pongono l’accento sulle responsabilità riconducibili al regime cinese in merito alla pandemia di Coronavirus, soprattutto per aver nascosto per un lungo periodo informazioni che avrebbero potuto evitarla o ridurla fino al 95%.

Dimenticano però le responsabilità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il sottoscritto non è notoriamente un estimatore del Presidente Trump, ma quando attacca l’OMS ha ragioni da vendere. E ci si meraviglia che il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, non abbia almeno la decenza di dimettersi dal suo ruolo dopo essere stato complice dei crimini contro l’umanità commessi dal regime cinese.

Perché, parliamoci chiaro, il voluto occultamento delle informazioni sul Coronavirus, addirittura la repressione di chi voleva denunciare l’epidemia, hanno contribuito in maniera schiacciante alla diffusione della pandemia globale. È come se il regime cinese avesse voluto che l’epidemia si diffondesse fino a diventare una pandemia. E questi sono crimini contro l’umanità.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:13 pm

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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:14 pm

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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:14 pm

CINA-VATICANO Sacerdote cinese: Da cristiani nel dramma del virus di Wuhan
AsiaNews.it
Shan Ren Shen Fu (山人神父)
01/02/2020

http://www.asianews.it/notizie-it/Sacer ... PsWn33PJBQ


Preghiera, compassione, solidarietà, mentre gli abitanti di Wuhan giunti nelle altre città sono trattai “come ratti”. Il racconto della prima settimana di emergenza. La preghiera del papa. Intanto, il numero dei morti a causa dell’infezione è salito a 259; gli infetti sono 11.823 in Cina e 129 all’estero.

Pechino (AsiaNews) – “I cristiani devono pregare sinceramente, e il nostro Paese ha bisogno davvero dell’aiuto del Signore”. È l’invito di p. Shanren (il “prete della montagna”), un famoso blogger, a tutti i suoi fedeli e amici, nel suo racconto sulla prima settimana di emergenza virus. Il blocco delle città, la difesa anche armata contro gli infetti, la disperazione dei malati, ma anche i molti gesti di solidarietà verso le persone di Wuhan, ora trattate “come un ratto”. C’è il rischio di forti tensioni sociali, che solo la preghiera e l’amore possono vincere.

Intanto, il numero dei morti a causa dell’infezione è salito a 259; gli infetti sono 11.823 in Cina e 129 all’estero. I casi sospetti in Cina sono saliti a 18mila; almeno 243 pazienti sono guariti dal virus.

Nel pomeriggio della vigilia di Capodanno [il 24 gennaio] ho ricevuto la comunicazione sull’annullamento della messa. Solo due giorni prima avevo inviato una comunicazione scritti ai fedeli circa gli orari delle messe che si sarebbero svolte per la Festa del Capodanno il 24 gennaio, il 25 e la domenica. Avevo programmato di rientrare nel mio paese d’origine dopo la messa domenicale. “Ritornare a casa dopo il Capodanno” è divenuta ormai una consuetudine. Ed ora che persino la messa è stata annullata, ho deciso di ritornare a casa il 25 gennaio, dopo aver finito di cenare con i fedeli la sera del capodanno.

Quest’anno il “ritornare a casa” è divenuto una decisione difficile da prendere. Prima del capodanno avevo più volte parlato coi miei genitori al telefono e mi chiedevano sempre quando sarei rientrato. Ma non eravamo ancora a conoscenza del coronavirus di Wuhan. Quando l’ho saputo, l’epidemia si era ormai diffusa in tutta la Cina. Avevo assicurato ai miei che sarei tornato il 26 gennaio e non avevo mai pensato che avrei anticipato il rientro di un giorno. I miei genitori erano del tutto all’oscuro del mio rientro anticipato. La maggior parte dei fratelli sacerdoti non possono passare il Capodanno nel proprio paese natale; anche loro vi ritornano dopo il giorno della festa. Ci siamo spesso sentiti per consultarci se fosse ancora opportuno rientrare. Tutti pensavano fosse un atto irresponsabile. Ma ho deciso di tornare un po’ prima, e che Dio mi benedica e benedica anche il viaggio. Sono giunto a casa la sera stessa della partenza.

Siamo arrivati al villaggio sotto la pioggia. Erano stati già installati i blocchi stradali, ma per fortuna il nostro villaggio non ha utilizzato la ruspa per scavare trincee, né montagne di terriccio per bloccare le strade. La civiltà non è cosa che si costruisce da un giorno all’altro, ma grazie alla fede le persone hanno fatto qualche progresso, non hanno adottato le “semplici ma violente” maniere che circolano su internet. I festeggiamenti che il villaggio aveva organizzato sono stati annullati. Non ci sono persone che visitano i parenti, né i bambini che giocano di nascosto coi fuochi d’artificio: l’intero villaggio è miracolosamente avvolto nel silenzio. Ognuno a casa sua mangia, guarda la TV, gioca col cellulare, dorme. Ci sono indubbiamente tanti anziani che pregano e recitano silenziosamente il rosario.

La situazione epidemica è sempre più critica e stringe il cuore di tutti. Su internet non solo guardo gli ultimi aggiornamenti circa l’epidemia e le nuove aree epidemiche, ma scopro un po’ di affetto umano che emerge nella società. Il sindaco di Wuhan ha affermato che 5 milioni di persone hanno lasciato la città di Wuhan, ci sono alcuni che rientrano nella propria città d’origine, altri che hanno già da tempo programmato il viaggio e alloggiano negli hotel. Come è ovvio, per il terrore verso la trasmissibilità del virus, le persone hanno espresso paura verso i cittadini provenienti da Wuhan. Questa povera gente è ormai inseguita da tutti come un ratto che corre attraversando la strada! Eppure proprio in questo momento ci sono tante persone che, mediante internet, hanno invitato tutti gli amici provenienti da Wuhan, esclusi e rimasti intrappolati nelle altre città, affermando che i cittadini di Wuhan possono mettersi in contatto con loro e che essi sono disposti ad accoglierli, offrendo loro un alloggio e affrontando insieme questo momento difficile.

Nella vita ci sono sempre due differenti tipi di persone e cosicché emergono spesso due opinioni divergenti: coloro che appartengono all’amore, che abbracciano la vita con cuore aperto e affetto; coloro che appartengono all’odio, che rifiutano il mondo circostante con un cuore freddo. L’auto-protezione e l’auto-isolamento sono indubbiamente un nostro dovere, ma se tutti ignoriamo l’umanità, la morale e persino la legge per prevenire il “virus”, anche le persone sane che vivono in sicurezza diventano pari alle bestie.

L’amore e l’odio verso gli infetti

Attualmente, gli infetti devono auto-isolarsi senza contagiare gli altri. Purtroppo su internet vediamo tante azioni aggressive: vi sono pazienti terrorizzati che strappano le tute protettive e le mascherine degli infermieri, spuntando in faccia ai medici e infermieri dicendo: Perché soltanto voi avete la protezione? Se ci tocca morire, moriamo insieme… Poi, vediamo anche i blocchi stradali: c’è chi che mette le spille rosse; altri che vanno in giro con le spade in mano; c’è chi mette gli striscioni davanti alla casa degli altri; quello che usa addirittura pezzi di legno per bloccare l’ingresso dei vicini. Per tante persone, i pazienti di Wuhan non sono più persone, ma sinonimo di virus. Questa è veramente una notizia sconsolante, perché anche il Signore dice che odia il peccato, ama le persone. Mi piacerebbe sempre abbracciare il peccatore con tanta misericordia, aspettando che egli chieda perdono.

Ma la situazione di oggi è: tutti coloro che sono fuori della città di Wuhan gridano: Forza Wuhan! Ma se hanno qualche amico ritornato da Wuhan, gli dicono: Non solo contagiate gli altri, ma fate male anche a voi stessi! Se a causa dell’epidemia, le relazioni fra persone continuano in questo modo, ci saranno inevitabilmente divergenze sociali sempre maggiori.

Per fortuna dopo la chiusura del villaggio, nessuno può muoversi dalla propria casa, e con le mascherine non si può più cantare né parlare. Nel silenzio, le persone possono almeno meditare. I credenti cominciano a pregare per l’epidemia, i fedeli del villaggio si organizzano per digiunare. Anche mia cognata si è unita a loro, e non fa più la colazione!

Quello che davvero manca a noi cinesi è l’autocritica: tutti piangono e si disperano quando si verifica un disastro, ma appena la catastrofe finisce tutto torna come prima. Nel 2002-2003, 17 anni fa, c’era la Sars, oggi il coronavirus. Tutti e due gli eventi sono in relazione con gli animali selvatici. Il pipistrello fa parte degli animali selvatici, il suo aspetto assomiglia a quello del cavaliere della notte (qualche fedele dice che il pipistrello ha l’aspetto di Satana). Ora, è impensabile che si possa mangiare una cosa del genere! Un mio amico ha visto un video in cui si consuma un pipistrello durante il pasto, e ha subito gettato via la sua ciotola dicendo: che schifo!

Prima dell’epidemia il mio maestro mi ha mandato una sua riflessione. Francamente non voglio pensare che la malattia di oggi sia in relazione con la persecuzione della fede, però pensandoci bene, le parole del mio maestro non sono così fuori posto.

“Pensa soltanto al giorno 24 dicembre, ovvero un mese fa: noi cinesi affermavamo con fermezza che dovevamo boicottare le feste straniere, bisognava vietare il Natale, amare il Paese e sostenere le feste nazionali. Abbiamo dato uno schiaffo pesante sui nostri stessi volti, perché solo un mese dopo, il giorno 24 gennaio è successo un disastro. Vedendo la difficile situazione di oggi, ho veramente mille pensieri: abbiamo rifiutato la pace che Dio ci ha donato gratuitamente, ed ora tutti vogliamo la pace, ma il costo è veramente caro. Dobbiamo avere timore in Dio, preghiamo per i cinesi! Chiediamo l’immensa misericordia di Dio che tutto si risolva presto!”.

All’Angelus del 26 gennaio, papa Francesco ha menzionato l’epidemia cinese, invitando i fedeli di tutto il mondo a pregare per i pazienti della Cina. Gli uomini possono sbagliare e commettere qualche errore, ma il Signore è grande ed è misericordioso. Dio non ignora mai il pentimento e un cuore umile. Oggi, i cristiani devono pregare sinceramente, e il nostro Paese ha bisogno davvero dell’aiuto del Signore.


La guerra della Cina contro il virus e la verità
Laboratori chiusi, medici silenziati, professori arrestati, social network censurati e attacchi ai “nemici del popolo”. Così il Partito comunista ha messo in pericolo la salute internazionale e ora usa l’epidemia per fare propaganda
Giulio Meotti
9 Marzo 2020

https://www.ilfoglio.it/esteri/2020/03/ ... ywall=true
Duemilaventi. La Cina combatte il Coronavirus”. È il titolo del libro appena pubblicato dal Partito comunista cinese per celebrare la vittoria sull’epidemia e su come “il compagno Xi Jinping si è preso cura del popolo”. Fa parte della sua impressionante macchina della propaganda. Il ministero degli Affari esteri cinese in conferenza stampa intanto dichiarava che è una diffamazione parlare di “virus cinese” e che la sua origine è “ignota”. Origine ignota… Il regime ha arruolato anche il dottor Zhong Nanshan,...



In piena pandemia Pechino lancia la sua controffensiva revisionista: il partito ha sconfitto il virus - Atlantico Quotidiano
Enzo Reale Da Barcellona
11 marzo 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... 4I_Pwj3AOQ

Attenzione: a Pechino stanno già riscrivendo la storia e sono gli stessi responsabili del dramma collettivo che ci è toccato in sorte, con la compiaciuta partecipazione di un esercito di volenterosi apologeti sparsi un po’ ovunque

Il partito cinese vanta molti adepti in Italia: in fondo basta sfoggiare i simboli e i colori giusti perché il popolo del “bella ciao” si converta all’epica dell’uomo forte

“La guerra è pace”, “La libertà è schiavitù”, “L’ignoranza è forza“, recitano gli slogan del Socing incisi sulla facciata del Ministero della Verità, nell’Oceania descritta da Orwell in “1984”. Eterna profezia, incubo ricorrente, romanzo che incarna lo spirito di ogni tempo, perché il doublethink non muore mai e si fa forza trainante nelle società confuse. Come la nostra. Nella capitale del Regno di mezzo il Ministero della Verità lavora giorno e notte. E dalla notte al giorno sui suoi muri compare uno slogan di nuovo conio, scolpito a caratteri cubitali, in modo che tutti possano scorgerli e interpretarli anche a distanza: “Il Partito ha sconfitto la malattia“. Il resto del mondo, sempre più malato, dopo un primo momento di sconcerto e di dubbio, sgrana gli occhi per leggere meglio il messaggio. Poi, in men che non si dica, annuisce convinto e, quasi sollevato nonostante le piaghe ancora infette, comincia ad applaudire il nuovo comandamento e a ossequiare i padroni del pensiero che lo hanno concepito.

La capitale in questione è Pechino, il Partito è il regime comunista cinese, la malattia è il coronavirus (o Covid-19, nome da neolingua anch’esso) che la dittatura di Xi Jinping ha regalato al mondo, in un collage letale da superpotenza sottosviluppata, fatto di ritardi, censure, insabbiamenti e troppe morti evitabili. L’allegoria finisce qui e comincia la cronaca. La storia, invece, la stanno già riscrivendo a piacimento gli stessi responsabili del dramma collettivo che ci è toccato in sorte, con la compiaciuta partecipazione di un esercito di volenterosi apologeti sparsi un po’ ovunque. Proprio come il Covid-19.

Prima di continuare, una premessa necessaria: l’esperienza cinese dimostra che, in certa misura, il contenimento del virus è possibile e funziona. Pur con tutte le cautele del caso sulle cifre ufficiali, i provvedimenti di natura totalitaria messi in atto nel Paese una volta esplosa l’emergenza (isolamento di intere province unito a un sistema di sorveglianza sociale senza precedenti) sembrano aver prodotto finora risultati positivi. Le prossime settimane diranno se si tratta di una tendenza consolidata. Ma l’onda lunga della propaganda e dell’ideologia è già all’opera da tempo per trasformare una crisi sanitaria di dimensioni planetarie originatasi a Wuhan (Hubei, Cina) in una storia di successo, in cui le gravi responsabilità del governo cinese sono destinate ad essere dimenticate per far spazio a una narrativa alternativa, finalizzata a promuovere su scala globale il presunto modello di sviluppo che la Cina pretende di incarnare. Un tentativo che, se scontato dal punto di vista del Partito Comunista, per avere successo ha bisogno della complicità implicita o esplicita proprio di quelle società democratiche che, dopo i cittadini cinesi, sono le vittime principali del suo operato. Il paradosso epocale che stiamo vivendo, non da oggi, si fonda su un meccanismo perverso di inversione dei ruoli e delle responsabilità, una curiosa sindrome cinese per cui non tarderemo molto a identificare la dittatura rossa di Xi Jinping non come la causa del problema ma come la sua soluzione. La Cina, segnatevelo, uscirà dall’epidemia di coronavirus come vincitrice morale, mentre il resto del mondo continuerà a snocciolare le cifre di nuovi contagi.

L’offensiva propagandistica è cominciata con un dispaccio dell’agenzia statale di notizie Xinhua che annunciava la pubblicazione di “A Battle Against Epidemic: China Combatting Covid-19 in 2020″, un libro in cui si esaltano i meriti del presidente Xi Jinping e dei vertici del regime nell’affrontare l’emergenza. Grazie alla guida del suo leader, il Partito avrebbe dato prova di grande lungimiranza ed efficienza, tanto da poter dichiarare la battaglia già vinta. Sono due i principali problemi di immagine che il governo cinese prova in questo modo a ribaltare: da una parte il colpo inferto alla propria reputazione internazionale dalla propagazione dell’epidemia e dai ritardi decisivi delle prime settimane; dall’altra l’ondata di critiche e di insoddisfazione interna che per giorni, prima che la censura mettesse tutto a tacere, era esplosa in rete. La strategia di Pechino ruota attorno ai seguenti punti: enfatizzare la risposta all’emergenza mettendo in luce l’efficacia delle misure adottate: “Il mondo dovrebbe ringraziarci – fa sapere ancora Xinhua in un editoriale – per il nostro grande sacrificio nella lotta contro il virus“; insinuare che la provenienza della malattia potrebbe non essere cinese, contro ogni evidenza scientifica; attribuire a focolai esterni gran parte dei contagi che si stanno ancora producendo sul suo territorio.

In quest’opera di marketing politico bisogna dire che il regime non ha camminato solo. Bruce Aylward, direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità, in missione nel Paese alla guida di un gruppo di esperti, ha elogiato senza mezzi termini nella conferenza stampa finale gli sforzi di Pechino nel contenimento dell’infezione, sottolineandone l’approccio aggressivo adottato anche grazie a “metodi di vecchio stampo“, invitando gli altri stati a prendere esempio e rammaricandosi che non tutti fossero pronti a intraprendere gli stessi passi. La rivista scientifica The Lancet, riprendendone le dichiarazioni, ha così definito la natura del regime cinese:

“Il successo della Cina si basa in gran parte su un forte sistema amministrativo che può mobilitare in tempi di minaccia, combinato con la volontà del popolo di obbedire a rigorose procedure di sanità pubblica. Sebbene ad altre nazioni manchi la politica di comando e controllo della Cina, ci sono importanti lezioni che i presidenti e i primi ministri possono imparare dall’esperienza cinese. I segni sono che quelle lezioni non sono state apprese”.

Le parole sono importanti: in entrambi i casi, la constatazione dei risultati sul campo è direttamente associata alla struttura politica del Paese, ovvero, senza mai nominarla apertamente, alla dittatura. Il pensiero sotteso ad ogni ragionamento sulla risposta cinese al coronavirus è che l’illiberalità del suo sistema politico rappresenti un vantaggio pratico nei confronti delle democrazie, incapaci di reagire con la stessa prontezza di fronte alle emergenze. Per giungere a questa conclusione, largamente diffusa ormai anche tra l’opinione pubblica occidentale, basta rimuovere dalla fotografia ogni responsabilità del regime nell’origine e nella propagazione del virus. Che si tratti di febbre suina, che nel semi-segreto ufficiale ha ucciso nell’ultimo anno e mezzo milioni di maiali, o di coronavirus, la nuova narrativa è già pronta, secondo le regole immutabili del doublespeak.

Anche in Italia, in pieno contagio, c’è chi sembra più preoccupato di vendere la versione cinese che di denunciarne le manipolazioni. In un articolo che ricalca nei toni e nei contenuti l’ufficialità del Quotidiano del Popolo, Simone Pieranni sul Manifesto verga un’apologia del Partito Comunista Cinese degna di altri tempi:

“Un allenatore italiano, tra i tanti al di là della muraglia, ha spiegato che il governo cinese pensa davvero alla sua popolazione. La Cina ammalia e incanta, si sa. (…) Il PCC ha gestito al meglio la crisi del coronavirus perché uno Stato paternalista è in grado di fare breccia su una popolazione pronta a mobilitarsi in massa, a eseguire gli ordini se li ritiene giusti, corretti, volti a un’armonia, a una forma di stabilità economica e sociale. (…) Il PCC è l’ago della bilancia sociale in Cina, unica istituzione ad ora in grado di mantenere la stabilità”.

Per Il Manifesto non è Pechino ad aver nascosto la verità ma gli Stati Uniti:

“Il fallimento dei test messi a disposizione dalle autorità sanitarie americane, insieme al sospetto che il governo stia nascondendo i reali numeri del contagio di coronavirus negli Usa, ha portato a una rivalutazione di quanto fatto, invece, dal governo cinese”.

Ma non c’è bisogno di aggirarsi tra le pagine del quotidiano comunista per rendersi conto dei consensi che il modello politico cinese riscuote dalle nostre parti. Per restare al mondo dell’informazione, Corrado Formigli, conduttore di Piazza Pulita, osservava nel corso della sua trasmissione che “in Cina hanno il vantaggio della dittatura, che non è un vantaggio da poco“. Sarebbe difficile ascoltare un’affermazione simile riferita a un regime di segno ideologico opposto. E ancora, Otto e mezzo, Alessandro de Angelis dell’Huffington Post: “La Cina non è una dittatura, è una tecnocrazia illuminata, c’è bisogno di competenze“. Il partito cinese, a quanto pare, vanta molti adepti nel nostro Paese e in fondo basta sfoggiare i simboli e i colori giusti perché il popolo del bella ciao si converta all’epica dell’uomo forte.

Al di là del folklore nazionale c’è un problema di fondo piuttosto serio in tutto questo: sia l’Oms che gran parte dei governi e della stampa internazionale si fanno messaggeri della narrativa cinese senza metterla in discussione, come se provenisse da un governo trasparente e rispettoso della libertà di informazione. L’Australia è stata l’unica a sottolineare “le intense pressioni” esercitate dalla Cina sull’Organizzazione mentre gli Stati Uniti, per bocca di Mike Pompeo, hanno messo in discussione l’operato e le cifre di Pechino. Già a fine gennaio due articoli di altrettante pubblicazioni scientifiche americane segnalavano come nella sola Wuhan il numero reale di contagiati fosse fino a 11 volte superiore a quella dichiarata. Inoltre, è stato denunciato da diversi attivisti all’interno del Paese che non tutte le vittime mortali del virus vengono conteggiate nelle liste ufficiali e il Caixin Global, in un articolo poi eliminato dal suo sito web, ha parlato senza mezzi termini dell’esistenza di “cifre reali al di fuori dalle statistiche”.

Intanto, mentre il coronavirus si diffonde esponenzialmente in un centinaio di Paesi e obbliga l’Italia a chiudere per malattia, la Cina utilizza la crisi sanitaria per accreditare la propria leadership globale a livello di istituzioni. Un think tank governativo sta tastando il polso della comunità internazionale su un’eventuale alternativa cinese alla stessa Oms, evidentemente considerata ancora non sufficientemente malleabile. Vedremo che successo avrà l’iniziativa ma è la dimostrazione di una strategia di lungo termine che, paradossalmente, ha ricevuto dalla vicenda coronavirus un impulso espansivo. Riuscirà il Partito Comunista Cinese a trasformare una tragedia di dimensioni planetarie in un’arma propagandistica per accreditarsi come vincitore morale e punto di riferimento a livello globale? Vista l’inazione di chi dovrebbe opporvisi e la complicità delle sue quinte colonne in seno alle democrazie occidentali, corriamo il rischio che il virus totalitario si espanda come quello sanitario.
Nelle parole di Yan Lianke, scrittore cinese censurato in patria, un auspicio destinato a rimanere inascoltato:

“Tra non molto tempo, com’è facilmente immaginabile, il Paese canterà vittoria con sonori squilli di trombe e roboanti rulli di tamburi. Spero che noi non contribuiremo a comporre futili melodie altisonanti. Limitiamoci a essere persone autentiche dotate di memoria individuale”.


Nuove accuse puntuali contro la Cina: il 95% dei casi del Coronavirus poteva essere evitato.
13 marzo 2020

https://www.globes.co.il/news/article.a ... n=facebook

Un gruppo di ricercatori ha scoperto che se la Cina avesse lavorato per sradicare il virus Corona 3 settimane prima e avesse applicato le sue severe misure in materia di isolamento e divieti di viaggio, il numero di casi sarebbe stato ridotto del 95%.
La diffusione del virus Corona avrebbe potuto essere molto più moderata se la Cina avesse affrontato il problema in precedenza, secondo uno studio pubblicato sui media. In uno studio che non è stato ancora sottoposto a peer review, hanno preso parte ricercatori di alcune università in Inghilterra, Stati Uniti e Cina: Southampton, John Hopkins e della Harvard University Sun Yat-San University di Shenzhen.


BASTA ELOGIARE LA CINA. UN AEREO DI AIUTI ALL’ITALIA NON PUÒ CANCELLARE LE COLPE DEL GOVERNO COMUNISTA CINESE NELLA DIFFUSIONE DEL CORONAVIRUS
Francesco Giubilei
L’Italia rischia di finire di male in peggio, di fronte a un’Unione europea incapace di aiutare il nostro paese in un momento di estrema difficoltà, nell’isteria collettiva che è purtroppo una delle conseguenze di questa emergenza, assistiamo a un elogio generalizzato verso la Cina per l’invio di un aereo con dotazioni sanitarie e nove medici. Ma cerchiamo di essere razionali e vedere come stanno davvero le cose. Anzitutto la Cina non ha donato mille ventilatori polmonari all’Italia ma sono stati acquistati dal governo italiano con un regolare contratto. Bisognerebbe poi smettere di elogiare una dittatura che ha gravi colpe nella diffusione del virus, che ha silenziato e arrestato i medici di Wuhan che per primi hanno denunciato il pericolo del Coronavirus e non rispetta i diritti umani. È di oggi la notizia diffusa
dal South China Morning Post, in base a documenti governativi consultati, che il primo caso di coronavirus in Cina risalirebbe addirittura al 17 novembre. Il Partito comunista per quasi due mesi ha nascosto la verità riconoscendo solo il 12 gennaio pubblicamente l'epidemia, nonostante da novembre ogni giorno venissero rilevati da 1 a 5 nuovi casi: “Il 27 dicembre, Zhang Jixian, un dottore dell'Hubei Provincial Hospital of Integrated Chinese and Western Medicine, comunicò alle autorità che la malattia era causata da un nuovo coronavirus. A quella data, più di 180 persone erano contagiate e alla fine del 2019 i casi erano 266, saliti a 381 al primo giorno del 2020”.
Incredibile poi l’accusa lanciata dal presidente Xi Jinping che, senza nessuna prova, sostiene il virus sia stato portato dagli americani nel mondo. Un attacco che guarda caso arriva dopo il discorso di Trump e dopo le parole del Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Robert O’Brien, secondo cui la Cina avrebbe agito con lentezza nell’affrontare l’epidemia e, se avesse “seguito i protocolli”, il mondo avrebbe avuto due mesi di tempo in più per organizzarsi.
Il gesto di solidarietà della Cina con l’invio di medici e materiale sanitario all’Italia, non può però cancellare queste evidenze e un elogio del modello cinese è oggi quanto meno fuori luogo.


???
Il mistero del virus
Marcello Veneziani
18 marzo 2020

http://www.marcelloveneziani.com/artico ... del-virus/

Ma poi si è capito come è nato e chi lo ha propagato il coronavirus? Fatalità, errore, incoscienza, bestialità? Io non l’ho ancora capito, ho una serie di informazioni, anche troppe, ho un mucchio di sensazionali rivelazioni e una valanga di interpretazioni contrastanti ma alla fine non so niente di preciso. Nulla più di quanto sapessimo all’inizio. E non per curiosità, sete di conoscenza, per farne storia o solo per risalire a eventuali colpe di singoli o di gruppi, di istituzioni o di stati. Ma perché il miglior modo per evitare che si ripeta, è capire come nasce, da dove nasce e come si riproduce. E chi, cosa dobbiamo temere, oltre i contagi animali.

Non abbiamo ancora capito se i cinesi sono stati solo vittime o responsabili, se è un incidente in laboratorio o nella vita corrente, se è stato tardivo o tempestivo il loro reagire, fino a che punto risale il loro eventuale grado di colposità. E non si comprende se tutto è coperto da segreto militare, se ci sono cose che non si possono divulgare, guerre fredde sommerse. Non ci è ancora chiaro perché in Italia è esploso prima e più di ogni altro luogo d’Occidente con una mortalità che in percentuale ci rende tristemente primi al mondo. Perché abbiamo questo primato: sfiga, scarsità di strutture, colpe politiche, leggerezza, o che? Perché un morbo cinese attacca proprio l’Italia, c’è una spiegazione più razionale del fatto che Marco Polo fu il primo ad arrivare in Cina sette secoli fa? Né abbiamo capito come è meglio affrontarlo, se con metodo british-brexit, o con metodo latino-mediterraneo, barricandoci tra le calde pareti materne della casa. Non è possibile fare previsioni di durata e di estensione, c’è chi parla di giorni e chi di mesi per il coprifuoco, c’è chi dice che sarà infettata più della metà della popolazione e chi dà numeri ristretti ad alcune decine di migliaia.

Il picco, anche agli occhi di scienziati e virologi si sposta come un cursore impazzito, ogni giorno e a ogni notizia, e così le aspettative di contagio, il boom annunciato al sud e a Roma oppure no, resta inarrivabile il primato tragico della Lombardia. Il bla-bla intorno al covid-19 non dà più informazione, semmai più confusione e apprensione, i pareri degli esperti oscillano tra le ovvie ripetizioni dei mantra igienici di massa a previsioni diametralmente opposte; certo, tiene alto il livello d’allarme e sollecita comportamenti prudenti, un tempo si sarebbe detto “da timorati di Dio”. Solo chi è in prima linea, negli ospedali più assaltati, per esempio tra Bergamo e Brescia, non fa previsioni, ci racconta solo l’inferno dal vivo e a volte dal morto. Senza dire del mistero su come lascerà stremati l’Italia, l’Europa e il mondo; ma questo rientra già nelle incognite di ogni futuro.

Insomma, è strano: viviamo nella società globale dominata dalla scienza, dalla programmazione tecnologica, dall’informazione e dai social, dai business plane e dalla democrazia elettronica eppure navighiamo a fari spenti nella notte, è incomprensibile quel che è accaduto, perché è accaduto, che trafila segue il contagio, se non i misteriosi capricci del caso. Ed è incomprensibile e incontrollabile quel che accade e come rimediare, oltre la profilassi certa, antica e puerile, come lavarsi le mani o isolarsi tutti da tutti, in casa o nei confini.

Tutto è avvolto nel Mistero. Esattamente come davanti alla peste e al colera dei secoli scorsi, esattamente come i terrori dell’Anno Mille, e di qualche altra annunciata fine del mondo. Di fronte al Mistero, alla Paura e alla Restrizione, pur vivendo in una società sofisticata reagiamo come bambini, anzi veniamo incoraggiati a comportarci come bambini: cantiamo la canzone dal balcone, sventoliamo la bandiera, facciamo il meritato applauso al personale sanitario. Battiam battiam le mani evviva il Direttor. O ci mandiamo video, vignette e battute per giocare col Mostro, per esorcizzare il Mammone.

Certo ogni tanto ti arriva il video di Quello-che-ha-Capito-Tutto, quello che sa ciò che tutti gli altri ignorano, o che dice la Verità perché lui è libero, non è pagato da nessuno, non dipende da una struttura sanitaria, da un potere, dalla stampa. Quindi può sparare profezie (o chiamatele in altro modo) all’impazzata. Lui sa, lui ha intuìto, e te lo spiega. E di solito niente è come appare. In tanti abbiamo fame di ascoltare favole, qualcuno anche di narrarle.

La realtà è che brancoliamo nel Mistero né più né meno che nell’antichità. Non sappiamo nulla più di quanto sapessero i nostri antenati, quelli che si rivolgevano ai santi e alle madonne, o peggio agli stregoni e alle megere, per proteggersi dal male. A quelli che compivano riti per scacciare il male. Lo facciamo anche noi, per esempio, col rito scaramantico Tutto andrà bene. Ma sì, facciamo tutto quel che serve a farci stare meglio, anche il corno e il ferro di cavallo.

Ma non eravamo una società ad alta tecnologia che derideva il ricorso alla religione e al fato, che programmava tutto e si affidava solo alla scienza e al calcolo? Stiamo da un mese a litigare sulle mascherine, il tampone e l’amuchina; ammazza l’industrializzazione, la velocizzazione, la stampante 3d, il mercato… Di fronte al pericolo torniamo nelle caverne. Siamo primitivi in case accessoriate, aborigeni con lo smartphone. Siamo iper-dotati sul piano sanitario e iper-cablati ma disarmati quando passiamo a chiederci perché accade, come rispondere, in che modo evitare, arginare. Vince il caso, più la strana sensazione di vivere nella trama di un fanta-romanzo. Vediamo tutto quel che succede nel mondo in diretta a casa nostra, ma non abbiamo il senso degli avvenimenti esattamente come cento, mille, diecimila anni fa. Mistero batte Progresso e noi dentro un film da incubo.




Cronologia di una pandemia criminale. Le responsabilità del regime cinese
Franco Londei
13 aprile 2020

https://www.rightsreporter.org/cronolog ... me-cinese/

Quali responsabilità ha il regime cinese sulla pandemia del Coronavirus? Ne abbiamo già parlato diverse volte, ma due esperti canadesi di Diritti Umani, Irwin Cotler e Judit Abitan, hanno ricostruito con dovizia di particolari l’intera cronologia delle malefatte del regime di Xi Jinping partendo da uno studio della University of Southampton che certifica come se il regime cinese fosse intervenuto prima si sarebbe potuto ridurre l’epidemia fino al 95%.

Scrive l’università di Southampton: «se in Cina si fossero condotti gli INP (interventi non farmaceutici basati sul tempestivo isolamento degli infetti e delle aree infette) una settimana, due settimane o tre settimane prima, i casi avrebbero potuto essere ridotti rispettivamente del 66%, 86% e 95%, insieme a una riduzione significativa del numero di aree colpite».

Bastava quindi che Pechino intervenisse con l’isolamento delle aree infette solo tre settimane prima per ridurre la pandemia del 95%.

Invece per oltre 40 giorni (ma sicuramente di più) non solo il regime cinese ha nascosto l’epidemia al mondo, ma ha addirittura represso i medici che per primi avevano trovato e denunciato il virus COVID-19.

La prima a scoprire il COVID-19 fu la dottoressa Ai Fen, direttrice del dipartimento di emergenza presso l’Ospedale Centrale di Wuhan, la quale ne denunciò la scoperta e la diffusione da uomo a uomo verso la fine di dicembre 2019. Ai Fen è scomparsa nel nulla, probabilmente incarcerata o fatta fuori dal criminale regime cinese. Subito dopo la sua scomparsa anche otto medici del suo staff vennero arrestati per impedire che diffondessero quanto scoperto dalla dottoressa Ai Fen.

Il 1° gennaio del 2020 è la volta del dott. Li Wenliang (che morirà di Coronavirus nel febbraio 2020) il quale denuncia che diversi uomini sono stati contagiati dal COVID-19 ma viene subito “convocato” dalle autorità cinesi e accusato di diffondere notizie false e di generare allarme.

Il 4 gennaio 2020, il Dr. Ho Pak Leung, presidente del Centro per le infezioni dell’Università di Hong Kong, ha indicato che era altamente probabile che il COVID-19 si diffondesse da uomo a uomo e ha sollecitato l’implementazione di un rigoroso sistema di monitoraggio. Anche lui completamente ignorato dal regime cinese, più interessato a nascondere le informazione che a diffonderle.

Nel frattempo la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan continua ad affermare che non c’era nessuna prova che il COVID-19 si potesse trasmettere da uomo a uomo.

Il 14 gennaio 2020, l’OMS ha confermato e quindi rafforzato la posizione della Cina e il 22 gennaio 2020 il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha addiritura elogiato la gestione dell’epidemia da parte del CPC, elogiando il ministro cinese della Salute per la sua collaborazione e il presidente Xi e il premier Li per la loro leadership e per il loro «inestimabile intervento».

Il 23 gennaio 2020 le autorità cinesi annunciano i loro primi passi per mettere in quarantena Wuhan. A quel punto era troppo tardi. Milioni di persone avevano già visitato Wuhan e se ne erano andati durante il capodanno cinese e un numero significativo di cittadini cinesi aveva viaggiato all’estero come vettori asintomatici del COVID-19.

Quaranta giorni di silenzio e repressione delle informazioni sul COVID-19 da parte del criminale regime cinese sono costati all’Italia, epicentro della pandemia europea, un bilancio delle vittime del 12%, più del doppio di quello cinese, seguito dalla Spagna con un tasso di mortalità del 9% (in forte aumento in queste ore). E adesso tocca a New York e all’intera America.

Scrivono Irwin Cotler e Judit Abitan: «mentre le infezioni globali continuano a salire senza sosta verso l’alto, la Cina – ironicamente – è ora considerata più sicura della maggior parte dei paesi colpiti dalla pandemia».

I due esperti di Diritti Umani canadesi pongono l’accento sulle responsabilità riconducibili al regime cinese in merito alla pandemia di Coronavirus, soprattutto per aver nascosto per un lungo periodo informazioni che avrebbero potuto evitarla o ridurla fino al 95%.

Dimenticano però le responsabilità dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il sottoscritto non è notoriamente un estimatore del Presidente Trump, ma quando attacca l’OMS ha ragioni da vendere. E ci si meraviglia che il direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus, non abbia almeno la decenza di dimettersi dal suo ruolo dopo essere stato complice dei crimini contro l’umanità commessi dal regime cinese.

Perché, parliamoci chiaro, il voluto occultamento delle informazioni sul Coronavirus, addirittura la repressione di chi voleva denunciare l’epidemia, hanno contribuito in maniera schiacciante alla diffusione della pandemia globale. È come se il regime cinese avesse voluto che l’epidemia si diffondesse fino a diventare una pandemia. E questi sono crimini contro l’umanità.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:14 pm

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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:15 pm

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