Basta con la propaganda cinese in salsa italiana
Lorenza Formicola
21 marzo 2020
https://www.nicolaporro.it/basta-con-la ... -italiana/ Eccoci, all’alba del 2020 sappiamo che la dittatura del futuro sarà sanitaria. In nome della salute, abbiamo già imparato, è possibile annullare la libertà, sospendere i diritti più elementari, violare la democrazia, trasformare i DPCM – una forzatura costituzionale – in un normale strumento di governo, imporre il coprifuoco, decomporre la società in atomi, far sognare misure più restrittive, diffondere slogan che tutti ripetono per sentirsi a posto, eliminare il culto: lo stato di paura è da sempre l’ingrediente base per l’affermazione di un sistema totalitario.
Di fronte al terrore della morte, al rischio di contaminarsi, non esiste né opinione né libertà che tenga. E ha ragione Nicola Porro quando dice di “provare orrore nel leggere in prima pagina sul Corriere della Sera: “Questo non è il momento di disquisire di libertà personali”.
“Il mondo nuovo” ci raccontò la distopia basata sulla droga, sulla pace perpetua garantita da un mega-stato globale, dove il contatto umano non esiste più e la realtà è sterilizzata. Huxley scrisse a chiare lettere che tutte le innovazioni del suo romanzo, se gestite con assennatezza, potevano essere auspicabili, se non proprio necessarie. Il Mondo Nuovo è l’Italia di queste ore: spacciata come “civile”, modello di convivenza, è la società vittima dei mezzi di propaganda sottili, invasivi, pervasivi che guarda al comunismo cinese come ad un modello. Quello che fa più male, oltre i bollettini funerei, è la propaganda che questo Paese ha iniziato a montare dal primo giorno, senza scrupoli, senza pietà, stracciando ogni codice deontologico, mortificando l’amor proprio, nell’incapacità di assumersi le responsabilità.
Per primi, proprio da queste pagine, vi avevamo denunciato non solo l’analogia di mistificazioni e menzogne che il regime comunista cinese ha costruito come a Chernobyl per non ammettere di essere fallibile, ma soprattutto l’ideologizzazione perenne di una stampa provinciale, che ha dato eco e forza alla classe politica impegnata a denunciare il pericolo di razzismo, con sorrisetti sornioni e meschini invece di raccontare la verità. Eppure nessuno s’è scusato. Anzi oggi assistiamo alla beatificazione del regime comunista cinese.
Quante volte al giorno sentiamo ripetere che “dovevamo fare come la generosa Cina comunista”?
Quella Cina a cui abbiamo regalato le mascherine e che ce le ha rivendute con eccezionale generosità. Mille ventilatori polmonari e centomila mascherine da parte della Cina sono una fornitura con regolare contratto e quindi è pagato anche il dovuto.
Siamo in piena emergenza e mancano i più essenziali dispositivi di tutela personale, dalle mascherine ai guanti ai medici e infermieri – e non è una leggenda, provate ad intervistarne uno! – e tra le vergognose speculazioni di chi rivende a peso d’oro, abbiamo il tempo di ringraziare la Cina dimenticando del tutto con quali standard produce.
La Cina, infatti, è uno dei maggiori produttori al mondo di macchine e prodotti sanitari, come appunto mascherine e respiratori. E forse ha ragione chi con sicumera, ignoranza e mancanza di misericordia punta il dito sulle tasse: con il particolare che la colpa non è di chi non le ha pagate, ma di chi ha messo alle calcagna degli italiani un cerbero come esattore, tra i più esigenti al mondo in termini di cuneo fiscale, che ha costretto la delocalizzazione e la chiusura di chi produceva ciò che siamo costretti a pagare elemosinando contratti.
“Insieme a mascherine e respiratori polmonari” – che non sono aiuti – “arriveranno dalla Cina anche medici specializzati che hanno affrontato per primi il picco dell’emergenza Coronavirus“. È la seconda vittoria della propaganda di Pechino, a cui l’Italia s’è piegata. Tutto gira intorno alla finta benevolenza cinese. E gli italiani si sentono rincuorati: la Cina che sorregge l’Italia, insomma un capolavoro aberrante di comunicazione. “Ci ricorderemo di chi ci ha aiutato come ha fatto la Cina. Noi abbiamo dimostrato solidarietà verso il governo cinese colpito da pregiudizio e razzismo e ora loro ricambiano”, dice Giggino Di Maio. Poverino, che ne sa lui sono i cinesi. E non lo sanno gli italiani che plaudono. Non lo sanno i giornalisti servi di partito. Non lo sanno gli italiani che affacciati al balcone intonano l’inno cinese.
Non lo sanno che Pechino ha mentito sul primo caso che risale al 17 novembre, secondo i documenti governativi visionati dal South China Morning Post: quanti mesi di menzogne! Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America, Robert O’Brien, lo aveva detto: “Se avessimo potuto sequenziare il virus e avere la cooperazione necessaria dalla Cina, se i team dell’Oms e il Cdc Usa fossero stati sul campo, avremmo potuto ridurre drasticamente quello che è successo in Cina e accade nel mondo. La Cina non ha gestito nel modo giusto l’epidemia di Coronavirus, mettendo a tacere i medici coinvolti, con una risposta che “probabilmente è costata alla comunità internazionale due mesi preziosi”.
Da quando ha assunto l’incarico supremo nel 2012, Xi Jinping ha continuato a rafforzare il suo potere personale e la supervisione della popolazione da parte del Partito Comunista, in un ritorno all’autoritarismo maoista. E chi elogia la Cina finge di non sapere il martirio del dottor Li Wenliang che ha profondamente scioccato i cinesi: un giovane medico dell’ospedale di Wuhan, epicentro dell’epidemia, molestato dalla polizia per aver debitamente messo in guardia i suoi colleghi sul pericolo del nuovo virus, è morto in circostanze che la stampa cinese ha cambiato a più riprese e che nel frattempo aveva anche contratto il virus. Forse non conoscono la fine misteriosa di Li Zehua per le sue indagini giornalistiche. E probabilmente non ricordano che la Cina ha anche chiuso il laboratorio del Centro di salute pubblica dove lavoravano i ricercatori coordinati dal professor Zhang Yongzhen, che per primo ha isolato e messo a punto la sequenza del genoma del nuovo coronavirus, il 12 gennaio.
Ren Zhiqiang, magnate a Pechino, ha scritto in un saggio pungente che il leader cinese, Xi Jinping, era un “pagliaccio” assetato di potere, e ha sostenuto che i severi limiti del Partito Comunista al potere sulla libertà di parola hanno esacerbato l’epidemia di Coronavirus: è scomparso pochi giorni fa, improvvisamente. Una scomparsa che arriva in una vasta campagna da parte del partito per reprimere le critiche della sua gente. Se da un lato il governo cinese sta lavorando per rappresentare il signor Xi come un eroe che sta portando il paese alla vittoria in una “guerra popolare” contro il virus con tanto di manuali già in libreria, dall’altro i suoi funzionari sono impegnati nella caccia a chi osa criticare il regime in una nuova polizia di internet, che entra nei device degli 800 milioni di utenti web cinesi per controllarne pensieri, parole e ricordi. Chi è trovato colpevole di poca lealtà al regime viene trascinato in ore di interrogatorio, e costretto a firmare impegni di devozione alla causa del governo e a ritrattazioni.
Nel frattempo Pechino ha da poco annunciato che sta revocando le credenziali di stampa dei giornalisti americani che lavoravano per il New York Times, il Washington Post e il Wall Street Journal, espellendoli dalla Cina. Quindi la narrazione della storia sarà solo dalla parte del regime cinese. Non bastavano le intimidazioni e le bugie. Il 13 marzo 2020, Zhao Lijian, il nuovo portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, aveva osato addirittura sostenere che “l’esercito americano avrebbe potuto portare l’epidemia a Wuhan“, figuriamoci da oggi cosa potranno sostenere.
Chi dice che dovevamo e dobbiamo fare come la Cina, forse non sa neanche del bracconaggio in Africa, della sperimentazione su esseri umani del vaccino ripresa dalle telecamere in una perversa forma di propaganda o del commercio di organi umani espiantati ai condannati a morte. E forse gli italiani non sanno neppure degli ingegneri aerospaziali cinesi, per esempio, che chiedono di prorogare la loro permanenza in Italia per lavoro per stare il più possibile lontani da casa e dal governo di Pechino.
Il grande scrittore e Premio Nobel per la Letteratura, Mario Vargas Llosa, attacca la “Chernobyl cinese” e scrive che se il regime non avesse mentito la pandemia non sarebbe stata così grave. E Pechino cosa fa? Ne censura i romanzi. Un mio articolo sul Foglio.
Giulio Meotti
21 marzo 2020
https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... =3&theater “Il terrore causato da questo virus cinese occupa tutte le notizie”. Bastava questo alla column sul País del grande scrittore peruviano e premio Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa per farne un caso internazionale. Anche senza l’altro affondo: “Nessuno sembra accorgersi che nulla di tutto ciò avrebbe potuto accadere nel mondo se la Cina fosse stata un paese libero e democratico e non la dittatura che è. Un medico prestigioso, forse diversi, hanno scoperto questo virus con largo anticipo, ma invece di prendere le giuste contromisure, il governo ha cercato di nascondere la notizia, ha messo a tacere quella voce e ha cercato di impedire che si diffondesse, come fanno tutte le dittature. Quindi, come a Chernobyl, è stato perso molto tempo”. Poi Vargas Llosa attacca “quegli sciocchi che credono che la Cina, cioè il libero mercato con una dittatura politica, sia un buon modello. Non esiste una cosa del genere: quello che è accaduto con il coronavirus dovrebbe aprire gli occhi al cieco. Il progresso è mutilato finché non accompagnato dalla libertà”.
La reazione del regime di Xi Jinping è stata immediata: “Se il signore Vargas Llosa come figura pubblica non è disposto a collaborare (nella lotta contro l’epidemia, ndr), almeno non diffonda opinioni irresponsabili e piene di pregiudizi che non servono a nulla”. Non solo. Riferisce il País che i libri dello scrittore sono “misteriosamente scomparsi” dalle piattaforme di e-book cinesi. “Gli attacchi del governo di Pechino a Mario Vargas Llosa dovrebbero essere visti per quello che sono: un tentativo di eliminare le giuste critiche sulla loro gestione del coronavirus infangando la critica come diffamazione”, ha detto Suzanne Nossel, a capo del Pen americano. “Ma ora è il momento per dire la verità”. I libri di Vargas Llosa sono scomparsi dalle piattaforme e-book cinesi, come il colosso Taobao. La scrittrice e attivista tibetana Tsering Woeser è stata una delle prime a denunciare il boicottaggio e ha annunciato che si era affrettata a comprare tre romanzi dallo scrittore prima che scomparissero. A proposito di dittatura cinese.
Il dottor Li Wenliang, citato da Vargas Llosa, è il medico di Wuhan che a dicembre aveva lanciato l’allarme sull’epidemia. Avvertì i colleghi, fu convocato dalla polizia, trattenuto e costretto a firmare una sorta di abiura per avere “diffuso false informazioni”. Wenliang è poi rimasto ucciso dal virus. Adesso una commissione del Partito comunista cinese elogia il dottor Wenliang come un medico premuroso che è stato punito in modo improprio per quelli che ora i funzionari cinesi definiscono sforzi ben intenzionati di avvisare gli altri sul virus. La Commissione di vigilanza nazionale ha anche messo in guardia contro i tentativi di celebrare il dottore come un simbolo di resistenza contro il Partito. “Li Wenliang era un membro del Partito comunista, non un personaggio anti establishment”, ha detto la Commissione.
Terrificante. Chi ha letto “Buio a mezzogiorno” di Koestler, i processi di Mosca, le abiure in aula degli imputati, le confessioni firmate alla Lubjanka e poi le “riabilitazioni” post mortem dei Bucharin, dei generali, degli scrittori, dei medici, dei poeti, riconoscerà nell’azione del regime cinese un classico delle peggiori dittature comuniste. “Grazie Cina”? No, grazie.
Chiamiamola polmonite cinese
di Camillo Langone
21 marzo 2020
https://www.ilfoglio.it/preghiera/2020/ ... se-306909/La si chiami polmonite cinese. Le parole sono le cose. Le parole fanno le cose. Se si dicesse polmonite cinese anziché coronavirus o, peggio ancora, Covid-19, nome da laboratorio occidentale, innanzitutto si direbbe la verità che rende liberi: la malattia viene precisamente dalla Cina. Poi si allontanerebbe il rigiro della frittata: adesso, secondo i cinesi, gli untori siamo noi, e fra poco cominceranno a chiamarla polmonite italiana, danneggiando ulteriormente il nostro settore turistico. Poi ci sarebbero meno ministri ammandorlati, sinizzati, grillini che si sdilinquiscono quando la Cina ci manda per propaganda qualche medico, che buoni, e ci vende qualche mascherina dopo che noi, a inizio emergenza, gliele avevamo regalate. Poi ci sarebbero meno statistici improvvisati, tesserati PCC ad honorem, dediti a confrontare i numeri dei morti italiani, tragicamente veri, con quelli dei morti cinesi, del tutto improbabili. Poi ci sarebbero meno amministratori leghisti, fratellisti e sinistri convertiti al maoismo, entusiasti dell’efficienza cinese, della disciplina cinese, del comunismo cinese capace, armi in pugno e spranghe ai portoni, di seppellire la gente nelle case (qualcuno c’è morto dentro). Basterebbe chiamare polmonite cinese la polmonite cinese. Individuando il vero colpevole finirebbe anche il bisogno, da parte dei politici e dei sudditi, di inventarsi colpevoli, capri espiatori, aggredendo cannibalisticamente ciclisti e podisti...
Cos’è la Via della Seta. Perché USA e UE temono l’accordo Italia-Cina
23 marzo 2019
https://www.valigiablu.it/cina-italia-accordo/ Firmati gli accordi Italia Cina
Dopo settimane di discussioni sono stati siglati gli accordi tra Italia e Cina: 29 intese per un valori di almeno 7 miliardi. A firmare le intese principali, per la parte italiana, è stato il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, per la Cina, il presidente della National Development and Reform Commission, He Lifeng.
Tra le intese istituzionali, i settori di protocolli e memorandum tra ministeri e altri enti pubblici sono essenzialmente tre: la tecnologia, con intese per la collaborazione su startup innovative e commercio elettronico, mentre l'Agenzia spaziale italiana lavorerà con quella cinese ad un satellite per la rilevazioni geofisiche; l'agricoltura, con il protocollo sui requisiti fitosanitari per l'esportazione di agrumi freschi dall'Italia alla Cina e gli accordi su carne suina congelata e seme bovino; la cultura, con l'accordo per la prevenzione del traffico di beni archeologici, la restituzione di 796 reperti alla Cina, e la promozione congiunta dei siti Unesco. Inoltre, è stata firmata un'intesa per eliminare le doppie imposizioni.
Gli accordi tra le aziende sono stati firmati dai manager di Eni, Cdp, Snam e altre importanti realtà economiche italiane e cinesi. Per quanto riguarda i porti, la società cinese CCC investirà in quello di Trieste per potenziare i collegamenti per il Centro ed Est Europa, mentre si prevedono progetti concordati per l'ampliamento dei moli del porto di Genova. Tra i punti dell'accordo, Italia e Cina "esprimono il loro interesse a sviluppare sinergie tra l’iniziativa “Belt and Road”, il sistema italiano di trasporti e infrastrutture - quali, ad esempio, strade, ferrovie, ponti, aviazione civile e porti - e le Reti di Trasporto Trans-europee (TEN-T), di cui fa parte anche TAV Torino - Lione. Congelato l'accordo di ricerca tra Huawei e un Politecnico italiano in riferimento al settore delle telecomunicazioni.
In questi giorni il Presidente cinese Xi Jinping è in visita ufficiale in Italia per firmare il Memorandum di Intesa tra Italia e Cina sulla cosiddetta “Via della Seta”. La visita poi farà tappa nel Principato di Monaco e terminerà in Francia il 26 marzo. Sei giorni che potranno far luce sull’evoluzione della Belt and Road Initiative, il progetto di sviluppo commerciale voluto dal governo cinese per una più profonda integrazione della Cina nell'economia mondiale. Gli Stati membri dell'Unione europea stanno, infatti, discutendo come sviluppare un approccio comune agli investimenti cinesi in Europa tra l’esigenza di bilanciare l’influenza della Cina e il bisogno di investimenti esteri da parte dei paesi europei. Un altro incontro con i rappresentanti di Pechino è previsto per il 9 aprile.
La firma del Memorandum da parte dell’Italia ha suscitato reazioni internazionali e un dibattito su posizioni diverse all'interno della maggioranza di governo. In particolare, il vicepremier Matteo Salvini e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Giancarlo Giorgetti, hanno sottolineato come questo accordo non debba portare a «colonizzazioni da parte della Cina». «Il memorandum per l’accordo italo-cinese sulla Via della seta dovrà sicuramente contenere nobili intenti per migliorare relazioni economiche e commerciali tra Italia e Cina, ma non impegni che possano creare interferenze di ordine strategico per il consolidato posizionamento del Paese», ha dichiarato Giorgetti.
«La Via della Seta è una strada a doppio senso e lungo di essa devono transitare non solo commercio ma talenti, idee, conoscenze e progetti di futuro», ha dichiarato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al termine dell'incontro con il Presidente cinese Xi Jinping, che ha aggiunto che l'obiettivo dell'intesa tra i due paesi è «rafforzare le sinergie tra le rispettive strategie di sviluppo nei settori infrastrutturali, portuali e logistici, nonché dei trasporti marittimi» e che «guardando il mondo ci ritroviamo avanti un cambiamento epocale, la Cina e l'Italia sono due importanti forze nel mondo per salvaguardare la pace e promuovere lo sviluppo. La Cina vuole lavorare con l'Italia per rilanciare lo spirito di equità, mutuo rispetto e giustizia».
Più che per i contenuti la firma dell’intesa potrebbe avere un valore simbolico e politico. Qualora firmasse, l’Italia sarebbe il primo paese del G7 a sostenere ufficialmente il piano di investimento globale cinese noto come "Belt and Road Initiative". Finora sono 68 i paesi che hanno firmato accordi bilaterali con la Cina.
L’ipotesi di una firma del memorandum da parte dell’Italia ha suscitato infatti le reazioni di Stati Uniti e Unione europea. Al Financial Times, il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Garrett Marquis ha detto che l’adesione di Roma alla nuova via della seta non aiuterà l’Italia a uscire dalla recessione economica e costituirebbe un danneggiamento della sua reputazione internazionale. «Consideriamo la Belt and Road Initiative come un'iniziativa fatta dalla Cina per la Cina», ha aggiunto Marquis, invitando «tutti gli alleati e partner, compresa l'Italia, a fare pressioni sulla Cina per allineare gli sforzi di investimento globale agli standard internazionali».
Per gli USA, scrive Alberto Prina Cerai in un recente articolo su Pandora Rivista, “la principale minaccia – come ribadisce la National Security Strategy del 2017 – proviene da una rinnovata competizione interstatale, in cui la Cina rappresenta il peer competitor per eccellenza”. Secondo un rapporto del Dipartimento della Difesa degli USA, “l’espansione cinese mirerebbe a «escludere gli Stati Uniti dalla regione Indo-Pacifica» tramite il monumentale progetto infrastrutturale della Belt and Road Initiative, volta ad implementare l’obiettivo strategico del Partito Comunista: fare della Cina «la potenza preminente» del continente eurasiatico”.
Anche l’Unione europea si è detta preoccupata per l’eventuale firma del memorandum da parte dell’Italia in quanto potrebbe rappresentare un avvicinamento alla Cina, e ha chiesto a tutti gli Stati membri di essere coerenti con le leggi e le politiche dell’Ue e di rispettarne l’unità nell’implementarle.
Tuttavia non sono ancora chiari i contenuti del testo che Italia e Cina si apprestano a firmare. Per quanto nei giorni scorsi alcune testate abbiano pubblicato una bozza del Memorandum, il testo dell’intesa resta ancora misterioso, scriveva nei giorni scorsi Simone Pieranni sul Manifesto. “Le bozze circolate non hanno chiarito la reale entità di quali accordi si andranno a firmare. La sensazione è che si firmerà un accordo quadro, «cornice» come ha specificato la settimana scorsa il sottosegretario allo sviluppo Michele Geraci, ricco di grandi intenzioni ma dalla valenza per lo più politica”.
In particolare gli Stati Uniti temono le ripercussioni dell’intesa rispetto all’ambito delle telecomunicazioni, consentendo l’ascesa Huawei, “colosso cinese molto avanti per tutto quanto riguarda il 5G, con tanto di progetti pilota già avviati in Italia”, spiega ancora Pieranni. “L’Italia ha basi Nato e Usa a Napoli, Aviano, Sigonella, se la Cina dovesse avere il controllo sulla rete in Italia le comunicazioni riservate ai Paesi Nato potrebbero essere compromesse”, spiega a Formiche l’esperto di tecnologia militare Mauro Gilli, in merito alle preoccupazioni degli Stati Uniti.
«Non metteremo a repentaglio nessun asset strategico», ha dichiarato Conte dopo un vertice di maggioranza. «Si sta facendo molta confusione. Una cosa è la tutela degli asset strategici, una cosa è la sottoscrizione di un accordo programmatico non vincolante», ha aggiunto il presidente del Consiglio, sottolineando anche che l’Italia «è l’unico paese che ha preteso e imposto, rispetto alla versione originaria del memorandum elaborato dalla parte cinese, principi e regole europee. Allo stesso tempo ci cauteliamo e adotteremo misure, per esempio rafforzeremo la golden power [ndr, "la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisito di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazione"] per rafforzare gli interessi nazionali».
Che cos’è la Belt and Road Initiative
Quella che in questi giorni viene chiamata “via della seta cinese” è in realtà la Belt and Road Initiative (BRI), un progetto – noto anche con il nome di One Belt One Road (OBOR) – di cui aveva parlato nel 2013 in un discorso agli studenti della Nazarbayev University di Astana, in Kazakistan il segretario e presidente del Partito Comunista cinese, Xi Jinping. Il leader cinese aveva parlato di un “progetto del secolo”, “una cintura economica lungo la via della seta”.
BRI è un'infrastruttura internazionale e un progetto di sviluppo commerciale guidato dal governo cinese per perseguire una maggiore cooperazione e una più profonda integrazione della Cina nell'economia mondiale. La “Cintura” (Belt) comprende percorsi di trasporto terrestre che collegano Cina, Europa, Russia e Medio Oriente. La “Strada” (Road) si riferisce alle rotte marittime che dall’Asia arrivano all’Europa settentrionale attraverso Sri Lanka, Pakistan, Medio Oriente, Africa orientale, passando infine per il mar Mediterraneo. In questo contesto, scrivono Shivani Pandya e Simone Tagliapietra su Bruegel, nell'ultimo decennio, società cinesi private e di proprietà statale hanno acquisito partecipazioni in otto porti marittimi in Belgio, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Spagna.
Il progetto prevede infatti la realizzazione di ferrovie, autostrade, porti e oleodotti con la finalità di garantire per la Cina (e, conseguentemente, per tutti i paesi coinvolti lungo il tragitto) un migliore accesso alle sue esportazioni e importazioni. Per l’Italia, scrivono Stefano Riela e Alessandro Gili di ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), i tracciati dei collegamenti via terra e via mare potrebbero avere il loro centro nevralgico proprio nella città di Venezia.
Si tratta di un progetto significativo per la sua dimensione economica e geografica con investimenti per mille miliardi di dollari in oltre 70 paesi che, secondo i dati contenuti nello studio del Parlamento europeo “The new Silk Route – opportunities and challenges for EU transport”, pubblicato nel gennaio 2018, rappresentano oltre il 30% del PIL mondiale, il 62% della popolazione e il 75% delle riserve energetiche conosciute.
Dalla “strategia del filo di perle” alla “nuova via della seta”
Anche se il premier cinese Xi Jinping ha parlato per la prima volta della Belt and Road Initiative nel 2013, la strategia di espansione della Cina (in cinese 走出去战略, Zǒu chūqù zhànlüè, andare fuori) è iniziata alcuni anni prima attraverso la realizzazione di infrastrutture lungo tutto il sud-est asiatico, spiegava Isabel Pepe su Pandora Rivista.
Questa rete di opere era stata definita da alcuni studiosi americani la “Strategia del Filo di Perle” (termine mai utilizzato dalla Cina) per indicare la particolare posizione geografica dei paesi verso i quali il governo cinese aveva fatto investimenti diretti. Secondo questo gruppo di studiosi, la Cina aveva in mente di realizzare rotte su strada e su mare alternative a quelle esistenti in modo tale da potersi permettere un’autonomia energetica, creando una rete di collegamenti con basi (anche militari) nei porti.
La crescita esponenziale dell’economia cinese avvenuta in quegli anni aveva incrementato la richiesta di risorse energetiche facendo diventare la Cina un importatore di petrolio e la possibilità di blocchi o limitazioni al transito delle navi allo stretto di Malacca, lo stretto di Hormuz e il Canale di Suez da parte dei paesi che ne detengono la giurisdizione rappresentavano una minaccia per il flusso energetico cinese. Per questo motivo, prosegue Pepe nella sua ricostruzione, a partire dal 2001, con il finanziamento del rinnovamento del porto di Gwadar, in Pakistan, la Cina ha iniziato questa strategia che le garantisse una maggiore stabilità nelle aree di transito delle merci via terra e via mare.
Nel 2002 è stato lanciato, sempre in Pakistan, un progetto per la costruzione di un porto di acque profonde per l’attracco di navi container di dimensioni maggiori che diventasse il punto di approdo per le navi provenienti dallo stretto di Hormuz e lo sbocco diretto al mare delle regioni occidentali cinesi. Successivamente è toccato al porto di Hambantota nello Sri Lanka, mentre con la Birmania, dove la Cina voleva assicurarsi il controllo del Golfo del Bengala, è stato siglato un accordo per la costruzione di una grande oleodotto che unisse il porto di Kyaukpyu alla città di Kunming, nella provincia della Yunnan, dove si trovano le maggiori raffinerie cinesi. Grazie alla realizzazione di questa infrastruttura la Cina avrebbe potuto incrementare l’importazione di petrolio di 22 milioni di tonnellate all’anno.
È in questo contesto che si è inserita la Belt and Road Initiative, attraverso la quale la Cina punta ad abbracciare tutto il mondo in un’unica “cintura”, aumentando la propria presenza nel Mediterraneo fino ad arrivare all’Artico, rotta ritenuta da Pechino indispensabile per poter raggiungere il Centro e Nord Europa. Durante il Forum per la cooperazione internazionale della BRI, svoltosi a Pechino nel maggio 2017, Xi Jinping ha reso noti i dettagli di un progetto che, in quel momento, coinvolgeva 65 paesi interconnessi tra di loro, che rappresentano il 70% della popolazione mondiale, e prevedeva un budget complessivo tra i 1000 e i 1400 miliardi di dollari e un volume di merci scambiate pari a 913 miliardi.
La logica seguita, spiegava Politico in un articolo dello scorso anno, è quella del “divide et impera”. In pratica la Cina stringe accordi bilaterali con quei paesi – soprattutto nell’Est Europa – che hanno forte bisogno di infrastrutture ma non hanno le risorse sufficienti per poterle realizzare acquisendo partecipazioni azionarie nella gestione delle stesse. In particolare ci sono stati forti investimenti in Repubblica Ceca, Grecia e Ungheria.
Nel 2016 COSCO (China Ocean Shopping Company) ha acquisito il 51% della Port Authority del Pireo in Grecia con un investimento di 280,5 milioni di euro (percentuale destinata a crescere fino al 67% se la compagnia cinese investirà altri 88 milioni di euro), ha partecipato alla joint venture Euro-Asia Oceanogate che ha acquisito per 790 milioni di euro il Kumport terminal di Ambarli a Istanbul in Turchia, e per il 20% a quella che gestisce il Suez canal container terminal. Nel giugno 2017 è stato acquisito il 51% della società proprietaria del terminal di Bilbao e Valencia, in Spagna.
Questi importanti investimenti testimoniano che la Cina considera strategiche le regioni dell'Europa meridionale e orientale. Dal 2008, quando è avvenuta l’acquisizione del porto del Pireo, il traffico portuale è cresciuto del 300%, diventando uno dei più importanti d’Europa e finendo con l’attrarre grandi aziende come Hewlett Packard (HP), Hyundai e Sony che hanno deciso di aprire i centri logistici in Grecia e di utilizzare il porto come principale centro di distribuzione per le spedizioni verso l'Europa centrale e orientale e l'Africa settentrionale.
In questo contesto, l’Italia ha una posizione strategica per le navi commerciali che transitano nel Mediterraneo, in particolare per quanto riguarda i porti di Genova, Trieste e Venezia. Proprio il porto di Trieste, spiega ISPI, fa parte del progetto Trihub, nell’ambito di un accordo quadro tra UE e Cina per promuovere reciproci investimenti infrastrutturali. Inoltre, la China Merchants Group potrebbe realizzare nuovi investimenti nel porto triestino, mentre CCCC potrebbe impegnarsi nella realizzazione di una banchina alti fondali a Venezia investendo circa 1,3 miliardi di euro. Altri 10 milioni di euro sono stati investiti dalla China Merchant Group nel porto di Ravenna allo scopo di farne l’hub europeo dell’ingegneria navale.
Accanto alla rete di porti nel mondo il progetto cinese prevede la “Cintura” (la Belt), vale a dire la creazione di corridoi commerciali via terra che, passando per l’Africa, colleghino la Cina all’Europa, collaborando al potenziamento e rifacimento di tratti già esistenti di ferrovie e autostrade.
A est, in Pakistan, è prevista la realizzazione di un’autostrada di 700km e di una linea ferroviaria per il trasporto delle merci su rotaie. Tra India, Bangladesh e Myanmar l’obiettivo è quello di riportare alla luce l’antica Stilwell Road, utilizzata durante la Seconda Guerra Mondiale, dai convogli militari statunitensi e britannici per arrivare in Cina. In Russia è stato siglato un accordo tra Gazprom e il governo per la realizzazione di un gasdotto.
A ovest, il centro degli investimenti sono innanzitutto i Balcani. Nel 2010 Pechino e Belgrado hanno stipulato un accordo per costruire un nuovo ponte autostradale sul Danubio, inaugurato nel 2014, che collega Salonicco a Salisburgo.
Per sostenere una tale quantità di investimenti, alla fine del 2015, è stata creata una banca di investimento – la Asian Infrastructure Investment Bank, con un capitale di 100 miliardi di dollari proveniente da 93 Stati, tra cui anche l’Italia che partecipa con una quota di 2,5 miliardi. Finanziamenti sono stati erogati anche da altre banche come la Industrial and Commercial Bank of China, China Costruction Bank, Agricultural Bank of China, l’Asian Development Bank e la Bank of China. È stato istituito, inoltre, il Fondo della Via della Seta e, nel 2016, la China Development Bank ha fornito 12,6 miliardi di dollari in finanziamenti a progetti BRI.
La proposta dell’Unione europea
A settembre 2018 l’Unione europea ha presentato la sua proposta di collegamento tra Europa e Asia – "Connessione Europa-Asia – Elementi essenziali per una strategia dell'Ue” – approvata dopo neanche un mese dal Consiglio in vista del dodicesimo summit Asia-Europa (ASEM), che si è tenuto il 18 e 19 ottobre dello scorso anno.
Attraverso la realizzazione di una rete trans-europea, l’Ue vuole innanzitutto contrastare questa logica di “divide et impera”, chiedendo ai paesi europei di non stringere accordi bilaterali ma di lasciare all’Unione europea a 27 la negoziazione con partner strategici (tra cui la Cina) per definire congiuntamente quali progetti realizzare e come realizzarli.
Per quanto concettualmente diversi, spiegano Stefano Riela e Alessandro Gili di ISPI, “è difficile pensare che non ci sia una cooperazione tra Ue e Cina”. Un coordinamento tra i due paesi è necessario “per evitare duplicazione di opere e comunque un’integrazione tra BRI e la rete TEN-T con la sua estensione a Oriente per dimensionare i tracciati in maniera tale da evitare colli di bottiglia che potrebbero richiedere anni prima di un loro effettivo potenziamento”.
Nello scontro tra USA e Cina, aggiungono Alessia Amighini, Giulia Sciorati e Alessandro Gili in un approfondimento su ISPI, l’Europa potrebbe limitarsi a un ruolo di osservatore o interlocutore esterno, oppure potrebbe schierarsi apertamente con gli Stati Uniti. Proprio per la sua storica alleanza con Washington, proseguono i tre ricercatori, l’UE potrebbe esercitare un compito di mediazione, mostrando a entrambi i contendenti che le prospettive di uno scontro frontale a lungo termine sono negative. Da questo punto di vista, la cooperatazione tra Italia e Cina “potrebbe porre Roma nella posizione di agire come canale per l’instaurazione di una relazione europea collettiva e unica con Pechino”.
Le relazioni tra Italia e Cina
La visita del Presidente Xi Jinping arriva dopo una serie di incontri bilaterali, accordi informali e gruppi di lavoro tra rappresentanti dei governi italiani e cinesi che hanno contribuito a costruire la cooperazione tra i due paesi. Negli ultimi cinque anni, scrive ISPI, le relazioni tra Italia e Cina hanno registrato una tendenza positiva.
La Cina è il quarto mercato verso il quale l’Italia esporta di più dopo Unione europea (55,5%), Stati Uniti (9,1%) e Svizzera (4,6%): il 3% del totale esportato dall’Italia nel 2018 (pari a circa 13,7 miliardi di euro) è andato infatti verso il paese asiatico. Per quanto riguarda le importazioni, la Cina è seconda solo all’Ue con il 7,1% del totale importato dall’Italia, pari a 30,78 miliardi di euro nel 2018.
In ambito europeo l’Italia è il terzo importatore dopo Germania e Regno Unito e quarto esportatore dopo Germania, Regno Unito e Francia. Tra il 2000 e il 2018, “l’Italia è stata tra i primi Paesi destinatari delle acquisizioni cinesi, insieme a Gran Bretagna e Germania. Mentre in Italia sono stati destinati 15,3 miliardi di euro, in Gran Bretagna e in Germania sono arrivati rispettivamente 22,2 miliardi e 46,9 miliardi”.
Cosa accadrà?
È difficile riuscire a capire quali saranno gli scenari futuri. In Cina si parla anche di una seria riflessione sull’intero progetto a causa del mutato contesto economico cinese, profondamente diverso rispetto al 2013 quando si iniziò a parlare della Belt and Road Initiative. All’epoca, le riserve in valuta estera di Pechino erano quasi quattro trilioni di dollari e l’idea fu di utilizzare quell’eccesso di liquidità in questa mastodontica operazione.
Dopo il lancio di 6 anni fa e l’immediato entusiasmo scaturito in tutto il mondo e non solo in Cina, spiega Simone Pieranni, “cominciano ad affiorare dubbi sulla tenuta del progetto voluto da Xi Jinping. (...) Nel corso degli ultimi tempi gli intoppi del progetto non sono stati pochi e hanno tutti a che vedere con le situazioni politiche di alcuni paesi che – da entusiasti per il progetto – hanno finito per minare la base di alcuni accordi prestabiliti. I casi più eclatanti sono quelli della Malaysia, del Pakistan, del Myanmar, dello Sri Lanka e delle Maldive. In questi paesi il cambiamento al vertice politico, o il mutare di equilibri politici dati, ha portato alla messa in discussione dei progetti cinesi, precedentemente approvati. Secondo alcuni analisti questi sono tutti segnali negativi”.
In un articolo pubblicato su Asia Nikkei Review, Minxin Pei, professore al Claremont McKenna College, scrive che i segnali sembrano portare a un disimpegno della Cina dal mega progetto: “La macchina della propaganda ufficiale, a pieno regime per diffondere i risultati della BRI non molto tempo fa, di recente ha abbassato il volume. (...) Se teniamo traccia delle storie dei Bri nei media ufficiali cinesi nel 2019 e confrontiamo la copertura con gli anni precedenti, dovremmo avere un quadro più chiaro su dove è diretta la BRI. Con ogni probabilità, assisteremo a un significativo declino delle pubblicità ufficiali dei media cinesi a favore della Bri. È anche una scommessa sicura che il finanziamento di Pechino per i Bri diminuirà in modo misurabile quest’anno e nei prossimi anni”.
Tuttavia, prosegue Pieranni, citando l’articolo di Minxin Pei, non si tratterà di uno stop definitivo al progetto ma di una sua ridefinizione “su scale più abbordabili per la Cina del 2019 rispetto alla Cina del 2013”.
Il dominio cinese sull’Europa mascherato dall’aiuto umanitario
Domenico Letizia
23bmarzo 2020
http://www.opinione.it/politica/2020/03 ... erzi-cctv/ “Siamo venuti per ricambiare gli aiuti ricevuti”, ha dichiaro il presidente della Croce Rossa cinese, Yang Huichuan, che ha guidato il team di medici ed esperti giunto dalla Cina con un carico di “aiuti”. “Con noi abbiamo portato 31 tonnellate di materiali, tra cui macchinari per la respirazione, tute, mascherine e protezioni, oltre ad alcuni medicinali antivirus e campioni di plasma”, hanno ribadito le autorità cinesi giunte nel nostro paese. Impressionante il post pubblicato sul profilo Facebook dell’ambasciata cinese in Italia: “Il Governo cinese è pronto a fare la sua parte in segno di profondo ringraziamento verso l’Italia che ha aiutato il Paese nel momento del bisogno”.
Grazie all’Italia e alla complicità di altri paesi in Europa, uno dei regimi più spietati al mondo, che applica la pena capitale e vende organi umani ai ricchi del pianeta, appare come il salvatore della patria e della salute dei cittadini. La Cina vuole mostrarsi come il campione vittorioso sul Covid-19, mettendo a disposizione “la sua esperienza”, “i suoi materiali sanitari e i suoi dottori” al mondo, mentre in Cina il virus, dichiarano, è oramai debellato. Le organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani continuano a ricevere notizie di alcune province del nord e dell’est del Paese asiatico dove vi sono casi di nuovi contagi, che non appaiono nelle statistiche ufficiali e le autorità cinesi continuano a raccontare la favola di aver sconfitto tutto.
Intanto, le istituzioni italiane, e molti cittadini, dimenticano la gravità di questa epidemia, taciuta già a novembre dalla Cina e fino alla fine di gennaio, minacciando e facendo sparire chiunque osi mettere in guardia dal pericolo imminente. Il caso di Li Zehua, blogger ed ex giornalista cinese della Cctv che ha documentato l’assenza di trasparenza e la propaganda del Partito comunista cinese nella gestione dell’emergenza del Covid-19 e di cui da giorni non si hanno più tracce, riaccende i riflettori sulla manipolazione e sulla falsificazione dell’informazione da parte del governo cinese, ma tali notizie non sono diffuse sulla stampa nazionale e dalla nostra classe politica che continua ad osannare il miracolo e la perfezione cinese. Decisioni che pagheremo care. Dalla Sars in poi la Cina ha nascosto, censurato e truccato i dati sulla sanità pubblica, impedendo di reagire in tempo grazie al suo dominio delle agenzie Onu. “E’ triste, oltre che incredibile, pensare che l’Italia sia stata il primo Paese in Europa ad aprire l’intero continente alla Via della Seta e alla dominazione economica, politica e strategica cinese.
Stupisce, inoltre, che all’indomani di un’immensa crisi sanitaria di origine cinese, nessuno da Roma abbia lontanamente suggerito agli “amici” a Pechino di fornire all’Italia e all’Europa tutti i dati e le informazioni rilevanti per contenere il contagio”, ha scritto in un articolo, pubblicato dalla rivista Formiche, l’ambasciatore Giulio Terzi, già ministro degli Esteri. Appelli che restano inascoltati, per l’emergere della propaganda del regime di Pechino e con il beneplacito e lasciapassare dell’attuale esecutivo in Italia. In un clima di emergenza nazionale come quello che viviamo, sarebbe opportuno non farci prendere in giro da Pechino, ma purtroppo il diritto alla conoscenza viene nuovamente negato ai cittadini. La Cina pretende di investire per acquisire il pieno controllo di reti strategiche nell’energia, trasporti, economia digitale in Europa e in America, ma vieta gli investimenti stranieri nelle stesse reti in Cina; Pechino esige che Huawei entri nel nostro 5G, una dimensione che aumenta di mille volte la potenza di internet, per dominare la gestione e il flusso dei nostri dati, ma blinda rigorosamente tutto il cyberspazio cinese alle società di telecomunicazioni europee e americane.
Un quadro della situazione viene fornito dall’organizzazione non governativa “Freedom House”, nel rapporto annuale sullo stato della libertà di Internet “Freedom on the Net 2018”, che sui 65 paesi valutati ha piazzato la Cina all’ultimo posto. Pechino pretende in ogni campo del mondo “diritti esclusivi” e il Governo italiano, più di ogni altro Governo europeo, si precipita a darli. Il paese modello della violazione dei diritti umani e dello stato di diritto è elogiato dalla nostra oramai barcollante democrazia.
Tentiamo di comprendere il “modello cinese”. Uno dei pilastri su cui poggia il raccapricciante regime comunista cinese è l’espianto forzato e illegale di organi da persone appartenenti a gruppi etnici o religiosi perseguitati. Talvolta al momento dell’espianto i prigionieri sono ancora vivi. Autorevoli voci che hanno denunciato tali soprusi quali David Matas, avvocato per i diritti umani di fama mondiale, autore e ricercatore che vive a Winnipeg, in Canada, David Kilgour, già ministro del governo canadese, parlamentare, pubblico ministero, avvocato, autore, giornalista e difensore dei diritti umani e Antonio Stango, presidente della Federazione italiana diritti umani (Fidu) sono tra coloro che inascoltati descrivono la realtà di tale modello. Il prelievo di organi è pianificato dai militari, le vittime sono per lo più criminali condannati a morte e innocenti praticanti del Falun Gong.
Centinaia di migliaia di praticanti sono stati imprigionati illegalmente nel vasto sistema carcerario cinese, dopo che il regime comunista ha lanciato una campagna persecutoria su scala nazionale contro di loro nel 1999. A quel tempo, il numero dei praticanti era di circa 70-100 milioni e da allora vengono brutalmente perseguitati ancora oggi. Questo è il “modello” che le istituzioni italiane continuano ad elogiare, senza mai richiamare l’attenzione internazionale sulla violazione dei diritti fondamentali e la persecuzione che le minoranze ricevono in Cina. Il virus ha cancellato decenni di battaglie per i diritti umani, ergendo il modello cinese ad esempio per l’intero globo. Ridisegnare la geopolitica dell’Europa, della nostra penisola e del suo rapporto con l’Occidente è l’obiettivo di molti protagonisti dell’attualità. Addio alla liberal-democrazia, addio alla difesa dello stato di diritto, dei diritti umani e del diritto alla conoscenza.
L’attualità geopolitica vuole l’emergere di nuovi legami con i dispotismi, dipingendo il protagonismo cinese come salvezza del mondo. Un disegno geopolitico che sembra aver avuto il suo effetto sperato. Nessuno che osi mettere in discussione la messianica Cina e la voglia del regime di fare affari, anziché beneficenza, avendo a disposizione alcune delle migliori aziende di prodotti sanitari del mondo. L’applicazione concreta e morale della “Via della seta”, dimenticando che i principi democratici si reggono sul rispetto dei diritti del cittadino, della stampa e delle libertà civili, quelle libertà che la Cina soffoca nel sangue, applicando spesso la pena capitale per chi osa dissentire all’autorità imposta.
Coronavirus: La campagna di propaganda della Cina in Europa
Soeren Kern
24 marzo 2020
https://it.gatestoneinstitute.org/15794 ... c.facebookNon è ancora chiaro se l'opinione pubblica europea, che deve sopportare il peso delle sofferenze causate dall'epidemia, sarà altrettanto facilmente disposta a trascurare la cattiva condotta delle autorità cinesi.
"Questa è un'operazione di propaganda che nasconde varie verità. La prima, e la più importante, è che il colpevole di questa pandemia è il regime cinese. Non occorre nessuna teoria cospirazionista per evidenziarlo." – Emilio Campmany, Libertad Digital, 3 marzo, 2020.
"La Cina vuole trarre vantaggio da questa calamità per strappare la leadership globale agli Stati Uniti. Sarà il Paese comunista che fornirà i farmaci più efficaci per combattere il virus. Scoprirà il vaccino prima di chiunque altro e lo distribuirà in tutto il mondo in tempi record. Acquisterà i nostri beni e investirà nei nostri Paesi per salvare le economie. E alla fine, affermerà di essere stato il nostro salvatore." – Emilio Campmany, Libertad Digital, 3 marzo, 2020.
Il 12 marzo, la Cina ha inviato in Italia un team di nove medici cinesi insieme a circa 30 tonnellate di materiale sanitario con un volo organizzato dalla Croce Rossa cinese. Nella foto: Il 14 marzo, a Roma, Francesco Vaia, direttore sanitario dell'ospedale Spallanzani (a destra) parla accanto ai membri della delegazione di medici cinesi. (Photo by Andreas Solaro/AFP via Getty Images)
Il governo cinese ha accelerato la fornitura di aiuti sanitari all'Europa, che è diventata l'epicentro della pandemia di coronavirus scoppiata nella città cinese di Wuhan. La generosità sembra essere parte di una campagna di pubbliche relazioni voluta dal presidente cinese Xi Jinping e dal suo Partito comunista per sviare le critiche mosse alla loro responsabilità per l'epidemia letale.
La campagna di Pechino come benefattore globale potrebbe sortire risultati in Europa, dove leader politici compiacenti da tempo hanno notoriamente paura di inimicarsi il secondo partner commerciale dell'Unione Europea. Non è ancora chiaro se l'opinione pubblica europea, che deve sopportare il peso delle sofferenze causate dall'epidemia, sarà altrettanto facilmente disposta a trascurare la cattiva condotta delle autorità cinesi.
In quella che può essere considerata un'umiliazione geopolitica, Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, il braccio amministrativo dell'Unione Europea, che si autodefinisce come "l'economia più grande del mondo", ha elogiato la Cina comunista per aver donato al blocco una quantità insignificante di attrezzature mediche. Il 18 marzo la Von der Leyen ha twittato:
"Ho parlato con il primo ministro cinese Li Kequiang, il quale ha annunciato che la Cina fornirà due milioni di mascherine chirurgiche, 200 mila mascherine N95 e 50 mila kit per i test. A gennaio, l'UE ha aiutato la Cina donando 50 tonnellate di materiale. Oggi siamo grati per il sostegno della Cina. Abbiamo bisogno di sostenerci a vicenda nei momenti di bisogno".
L'Unione Europea non è stata in grado di fornire una valida assistenza all'Italia, il terzo membro più grande del blocco, che è stato particolarmente colpito dal virus. Dopo che la Germania, il più potente Paese membro dell'UE, aveva vietato l'esportazione di dispositivi di protezione medica al fine di evitare la propria carenza di scorte di mascherine, di guanti e di tute, è intervenuta la Cina.
Il 12 marzo, Pechino ha inviato in Italia un team di nove medici cinesi insieme a circa 30 tonnellate di materiale sanitario con un volo organizzato dalla Croce Rossa cinese. Il presidente nazionale della Croce Rossa italiana, Francesco Rocca, ha dichiarato che la fornitura "ha mostrato il potere della solidarietà internazionale". E ha aggiunto:
"In questo momento di grande tensione e di grande difficoltà, siamo sollevati dall'arrivo di queste forniture. È vero che saranno solo un aiuto temporaneo, ma sono importanti. Abbiamo un disperato bisogno di queste mascherine in questo momento. Abbiamo bisogno di respiratori che la Croce Rossa donerà al governo. Si tratta sicuramente di un'importante donazione per il nostro Paese".
Negli ultimi giorni, la Cina ha inoltre inviato aiuti a:
Grecia. Il 21 marzo, un aereo dell'Air China che trasportava 8 tonnellate di attrezzature mediche – tra cui 550 mila mascherine chirurgiche e altro materiale come dispositivi di protezione, occhiali, guanti e copriscarpe – sono arrivate all'aeroporto internazionale di Atene. L'ambasciatore cinese in Grecia, Zhang Qiyue, ha parafrasato Aristotele dicendo: "Cos'è un amico? Una singola anima che vive in due corpi". E ha asserito che "i momenti difficili rivelano i veri amici" e che la Cina e la Grecia "lavorano a stretto contatto nella lotta contro il coronavirus". E questo "conferma ancora una volta gli eccellenti rapporti e l'amicizia tra i due popoli".
Serbia. Il 21 marzo, la Cina ha inviato a Belgrado sei medici specializzati, ventilatori e mascherine mediche per aiutare il Paese balcanico ad arginare la diffusione dell'infezione da Covid-19. "Un sentito ringraziamento al presidente Xi Jinping, al Partico comunista cinese e al popolo cinese", ha detto il presidente serbo Aleksandar Vucic. L'ambasciatore cinese a Belgrado, Chen Bo, ha dichiarato che gli aiuti sono un segno dell'"amicizia di ferro" tra i due Paesi. L'agenzia di stampa cinese Xinhua ha riportato che ""il presidente Xi attribuisce grande importanza allo sviluppo delle relazioni tra la Cina e la Serbia, e ritiene che attraverso la lotta congiunta contro l'epidemia la comprovata amicizia tradizionale tra i due Paesi otterrà un maggiore sostegno da parte della loro popolazione, e la partnership strategica globale si rafforzerà e raggiungerà un livello più elevato.
Spagna. Il 21 marzo, il fondatore e il presidente del colosso tecnologico cinese Huawei, Ren Zhengfei, ha donato un milione di mascherine. Sono arrivate all'aeroporto di Saragozza, nella parte nordorientale della Spagna, e saranno conservate in un magazzino di proprietà del gigante del tessile spagnolo, Zara. La catena di abbigliamento metterà a disposizione del governo spagnolo la sua capacità logistica. Questa fornitura potrebbe essere la prima di molte altre, dal momento che decine di fornitori cinesi che lavorano da anni con Zara si sono detti disposti a inviare materiale. Gli Stati Uniti hanno avvertito la Spagna in merito al rischio per la sicurezza insito nell'apertura delle sue reti di comunicazione di quinta generazione ai fornitori cinesi di tecnologia mobile, tra cui Huawei.
Repubblica Ceca. Il 21 marzo, un aereo cargo cinese che trasportava 100 tonnellate di forniture mediche dalla Cina è atterrato all'aeroporto di Pardubice, una città situata a 100 km ad est di Praga. Il 20 marzo, un aereo cinese con un milione di mascherine è arrivato nel Paese, che pare abbia ordinato a Pechino altri 5 milioni di respiratori insieme a 30 milioni di mascherine e 250 mila set di indumenti di protezione.
Francia. Il 18 marzo, la Cina ha inviato in Francia, un lotto di forniture mediche, tra cui maschere protettive, mascherine chirurgiche e guanti medici. L'ambasciata cinese in Francia ha twittato: "Uniti vinceremo!" Il giorno seguente, la Cina ha inviato un secondo lotto di forniture. In un tweet dell'ambasciata cinese si legge: "Il popolo cinese è vicino al popolo francese. La solidarietà e la cooperazione ci consentiranno di superare questa pandemia".
Paesi Bassi. Il 18 marzo, China Eastern Airlines, China Southern Airlines e Xiamen Airlines, partner in codeshare di KLM Royal Dutch Airlines, hanno donato 20 mila mascherine e 50 mila paia di guanti. La fornitura è arrivata all'aeroporto Schiphol di Amsterdam su un volo della Xiamen Airlines. "Questi sono tempi estremamente difficili per il nostro Paese e la nostra azienda, pertanto siamo molto felici di questo aiuto offerto a KLM e ai Paesi Bassi", ha dichiarato il Ceo di KLM, Pieter Elbers. "Meno di due mesi fa, KLM aveva fatto una donazione alla Cina e ora venimao aiutati in modo così meraviglioso e generoso".
Polonia. Il 18 marzo, il governo cinese si è impegnato a inviare in Polonia decine di migliaia di dispositivi di protezione e 10 mila kit per i test. Il 13 marzo, l'ambasciata cinese a Varsavia ha patrocinato una videoconferenza durante la quale esperti cinesi e dell'Europa centrale hanno condiviso le loro conoscenze sulla lotta contro il coronavirus. Il ministro degli Esteri polacco Jacek Czaputowicz ha ringraziato la Cina per il sostegno e ha rilevato la necessità di condividere le esperienze nella lotta contro la pandemia.
Belgio. Il 18 marzo, un aereo cargo cinese che trasportava 1,5 milioni di mascherine è atterrato all'aeroporto di Liegi. Le mascherine, da distribuire in Belgio, Francia e Slovenia, sono state donate da Jack Ma, fondatore di Alibaba, un colosso cinese dell'e-commerce, conosciuto come "Amazon della Cina".
Repubblica Ceca. Il 18 marzo, un aereo che trasportava 150 mila kit per i test è atterrato a Praga. Il Ministero della Salute ha sborsato circa 14 milioni di corone ceche per 100 mila kit per i test, mentre altri 50 mila kit sono stati acquistati dal Ministero dell'Interno. Il trasporto è stato fornito dal Ministero della Difesa.
Spagna. Il 17 marzo, un aereo cinese che trasportava 500 mila mascherine è atterrato all'aeroporto di Saragozza. "Il sole sorge sempre dopo la pioggia", ha detto il presidente cinese Xi Jinping al primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, affermando altresì che l'amicizia tra Cina e Spagna sarà più forte e i rapporti bilaterali avranno un futuro più luminoso dopo la lotta comune contro il virus. Xi ha affermato che dopo la pandemia entrambi i Paesi dovrebbero intensificare gli scambi e la cooperazione in una vasta gamma di settori.
Belgio. Il 16 marzo, un'altra fornitura di aiuti sanitari donati dalla Jack Ma Foundation e dalla Alibaba Foundation per la prevenzione dell'epidemia in Europa è arrivata all'aeroporto di Liegi.
La rivista Fortune ha spiegato i motivi che si celano dietro l'iniziativa della propaganda cinese:
"Per la Cina, gli aiuti all'Europa fanno parte di un tentativo di riconquistare un ruolo di leadership internazionale dopo una politica di dissimulazione che ha contribuito alla propagazione del virus ben al di là dei confini cinesi. Il governo del presidente Xi Jinping ha cercato di mettere a tacere i critici, compresi i giornalisti e i commentatori online, e altresì di diffondere teorie cospirazioniste sull'origine del virus.
"A livello geopolitico, la Cina tenta di farsi passare per il salvatore dell'Europa al fine di migliorare la sua posizione sulla scena mondiale nonché a litigare con l'amministrazione Trump. La Cina e gli Stati Uniti conducono una lotta per conquistare un'influenza mondiale – questa settimana, Pechino ha espulso più di una dozzina di giornalisti americani – nel tentativo di distogliere l'attenzione dalla gestione dell'epidemia".
In un'intervista al quotidiano britannico Guardian, Natasha Kassam, un'ex diplomatica australiana, ha detto:
"Ora vediamo i dirigenti e i media di Stato cinesi affermare che la Cina ha dato il tempo al resto del mondo di prepararsi a questa pandemia. Sappiamo che la macchina di propaganda cinese è in grado di riscrivere la storia, ma ora constatiamo che ciò sta accadendo anche all'estero. La vittoria della Cina sul Covid-19 è già stata scritta e le autorità stanno lavorando sodo per diffondere questo messaggio all'estero".
In un saggio per la pubblicazione spagnola Libertad Digital, il commentatore Emilio Campmany ha astutamente spiegato:
"L'enorme apparato di propaganda cinese è stato attivato. L'Italia, che, a giusto titolo, si sente abbandonata dall'Unione Europea, è grata per l'aiuto che il paese asiatico le sta dando. Ciò è stato adeguatamente amplificato dai media italiani.
Questa è un'operazione di propaganda che nasconde varie verità. La prima, e la più importante, è che il colpevole di questa pandemia è il regime cinese. Non occorre nessuna teoria cospirazionista per evidenziarlo. È ampiamente riconosciuto che i mercati cinesi di animali vivi rappresentano un pericolo epidemico molto grave. Il regime comunista della Repubblica popolare, che controlla rigidamente ogni aspetto della vita dei cinesi per il loro benessere, non è stato capace di mettere fine all'epidemia. Quando si sono verificati i primi casi, c'è voluto del tempo prima che il Partito comunista così altamente efficiente reagisse e nel frattempo ha mobilitato le sue innumerevoli risorse per insabbiare la verità. Quando non gli è stato più possibile nascondere quello che stava accadendo, il regime è intervenuto duramente e solo in questo modo è riuscito a fermare l'epidemia, non senza prima permettere al virus di diffondersi nel mondo intero.
"La seconda verità è che la brutalità comunista non è necessaria per combattere efficacemente il virus. Risultati infinitamente migliori si possono ottenere con l'intelligenza capitalista, come è stato dimostrato dalla Corea del Sud, che è stata molto più capace della Cina. Per giorni, questo Paese ha dimostrato quanto possa essere prezioso eseguire test di massa. Questo è il modo migliore per ora, ed è incredibile che gli italiani e gli spagnoli ci abbiano messo del tempo a capirlo. Tuttavia, questo ritardo non è una conseguenza del non essere benedetti da due regimi comunisti, ma di essere governati da incompetenti che, nel nostro caso, sono: socialisti e comunisti.
"La Cina vuole trarre vantaggio da questa calamità per strappare la leadership globale agli Stati Uniti. Sarà il Paese comunista che fornirà i farmaci più efficaci per combattere il virus. Scoprirà il vaccino prima di chiunque altro e lo distribuirà in tutto il mondo in tempi record. Acquisterà i nostri beni e investirà nei nostri Paesi per salvare le economie. E alla fine, affermerà di essere stato il nostro salvatore