Cina e virus

Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:17 pm

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Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:17 pm

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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:18 pm

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Nel caso in cui fosse vera l'ipotesi incredibile che il virus sia sfuggito da un laboratorio militare cinese per la guerra biologica, la Cina dovrà essere messa in condizioni di non poter più nuocere,
I cinesi non sono così stupidi.
Se fosse vero il Mondo dovrebbe circondare la Cina con gli eserciti e invaderla per distruggere tutti i laboratori e togliere alla Cina ogni produzione industriale delocalizzata nel suo territorio e farsi risarcire abbondantemente tutti i danni.
Niente più Via della Seta, huawei, 5G, ... e Trump avrebbe perfettamente ragione a considerare la Cina un pericolo per l'umanità.



Clamorosa ipotesi di un biologo: coronavirus creato in laboratorio dai cinesi?
Sara Alonzi
26 gennaio 2020

https://www.newnotizie.it/2020/01/26/cl ... ai-cinesi/


Il coronavirus misterioso creato dai cinesi in laboratorio

Sullo scenario della terribile epidemia partita da Whuan, si fa strada una nuova ipotesi secondo cui il virus sarebbe stato creato in laboratorio.

Con il diffondersi del virus aumentano anche le notizie che lo riguardano. Dopo aver ripreso le teorie di Bill Gates lanciate nel 2018 riguardanti un modello di diffusione relativo a un virus nato in Cina, ora a tenere banco è l’ipotesi che tutto sia nato dai laboratori cinesi.

La teoria parte da Dany Shoham, biologo ed ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana, esperto di armi batteriologiche in Medio Oriente e Asia. In un’intervista al Washington Times, Shoham ha parlato dell’esistenza di un laboratorio a Wuhan dove il governo cinese starebbe portando avanti un programma segreto di sviluppo di armi chimiche.

Secondo il biologo israeliano, gli scienziati cinesi avrebbero potuto sviluppare il virus conosciuto come 2019-nCoV in questo laboratorio, perdendone poi il controllo. La causa sarebbe stata l’infezione accidentale di uno degli scienziati coinvolti.

Nell’intervista, l’ex ufficiale ha dichiarato: “Alcuni laboratori dell’istituto sono stati probabilmente impegnati, in termini di ricerca e sviluppo, in armi biologiche, almeno collateralmente, ma non come struttura principale della politica di Pechino”.
Laboratori già noti grazie all’analisi di una rivista

Nel febbraio del 2017 la rivista Nature aveva parlato di questo laboratorio. Il Center for Immunology and Metabolism del Medical Research Institute era stato descritto con attenzione nell’articolo come detenete del massimo grado al mondo di bio-contenimento. In questa struttura acqua e aria sono filtrate e vengono trattate prima di essere eliminate e chiunque ci lavori deve fare la doccia all’ingresso e all’uscita e indossare, sempre e ovunque, le tute protettive. Misurie necessarie in quanto il laboratorio è stato autorizzato a trattare i patogeni più pericolosi al mondo.


Io non credo all'ipotesi di stampo complottista secondo la quale il coronavirus sarebbe sfuggito inavvertitamente o per errore da un laboratorio militare cinese situato a Wuhan
Io non credo minimamente a questa ipotesi, perché quando si producono certe armi biologiche in concomitanza si producono anche gli antidoti, i vaccini, le cure per difendersi. La Cina è storicamente fonte di epidemie mondiali, queste armi di distruzione di massa non hanno senso perché fanno più male a chi le manipola che ai potenziali nemici.




Emanuel Segre Amar
17 marzo 2020

https://www.facebook.com/emanuel.segrea ... 2194489871

Il mio caro amico Alberto Levy che spesso condivide i miei pensieri (ti ringrazio, sei prezioso, Alberto, perché a te che vivi in Israele nessuno può dire ciò che alcuni dicono a me), mi manda questo interessante messaggio sul Coronavirus che voglio condividere con tutti voi, anche perché in linea con quanto da tempo altri israeliani che lavorano nel settore vanno affermando:

intanto una professoressa ricercatrice dell'universita' di Tel Aviv dice che i ricettori molecolari del virus NON SONO GLI STESSI del virus corona dei pipistrelli, questi ultimi non possono infettare l'uomo, mentre questo sars cov2 (che provoca la polmonite covid19) ha i ricettori adatti a connettersi con le cellule umane per eliminarle. Lei ritiene che siano stati preparati appositamente nei laboratori militari di Wuhan e che poi siano fuggiti al controllo. Altri esperti dicono che si tratti di una mutazione dai pipistrelli all'uomo, ma io protendo per la tesi della professoressa che ha parlato ad un pubblico di 200 studenti di microbiologia.


Loretta Greco
Anche se nessuno si esprime apertamente, penso che tutti siano consapevoli di questa realtà! Chi può essere così ingenuo da pensare che proprio dove è attivo un laboratorio di ricerca militare sia scoppiata una epidemia dai pipistrelli? Sembrano più credibili le ricerche della professoressa di Tel Aviv che le notizie provenienti dal regime cinese! Certo non si saprà mai!


Roberto Razzi
Lo disse un alto ufficiale del Mossad fin da quando il virus si presentò che era stato "un infortunio di laboratorio"...cinese a Wuhan! (Sembra in cooperazione con i francesi!)
(Se non l'hanno tolto -l'articolo con l'intervista all'ufficiale del Mossad che ci mette nome, cognome e faccia- dovrebbe trovarsi sul web)


Emanuel Segre
Amar Roberto Razzi lo lessi, ma non l’ho più. Bisognerebbe ritrovarlo, ma questo documento odierno è già da solo molto importante


Roberto Razzi
Emanuel Segre Amar infatti!
L'ho cercato (perchè già altre volte mi era capitato di dibattere sul tema) ma non l'ho trovato!
A pensar male...si indovina (...diceva Andreotti!)


Roberto Razzi
Che poi l'infamata più grande non è quella di aver causato la cosa ma il fatto di averla tenuta nascosta per più di un mese...e forse di più (si dice che in realtà il virus ha cominciato a girare addirittura da metà ottobre 2019!)

Emanuel Segre Amar
Roberto Razzi io posso assicurarti che parecchi miei amici e parenti già nello scorso estate si erano ammalati di polmonite, e infatti in casa ci eravamo stupiti del numero. Ma allora non si cercava nemmeno, anche se tutti faticarono a guarire.


Roberto Razzi
Emanuel Segre Amar appunto: una testimonianza la tua che conferma il fatto che il virus era già in circolazione da tempo!
Fortunatamente per i tuoi amici e parenti si è risolto tutto bene.
Ma i medici non si sono insospettiti di curare cosi tanti ammalati e con gli stessi sintomi?

Gino Quarelo
Ma sono tutti guariti. Io non credo minimamente a questa ipotesi, perché quando si producono certe armi in concomitanza si producono anche gli antidoti, i vaccini, le cure per difendersi. La Cina è storicamente fonte di epidemie mondiali, queste armi di distruzione di massa non hanno senso perché fanno più male a chi le manipola che ai potenziali nemici.


Roberto Razzi
Gino Quarelo "sono tutti guariti"...chi?


Emanuel Segre Amar
Gino Quarelo io non esprimo ipotesi, mi limito ad osservare che nello scorso estate/autunno tante persone che conosco mi hanno detto di essersi ammalati di polmonite. Mi ero stupito parlandone in casa, come tutti si ricordano. Sono tutti guariti, vero. Hanno faticato, però, e non dimentichiamo che questo virus muta rapidamente. Sono già noti oltre 20 diversi coronavirus.



Coronavirus, dubbi sulle origini
27 Gennaio 2020

https://www.formulapassion.it/worldnews ... 77724.html

Il nuovo coronavirus sta seminando il panico in Cina e non solo. Le autorità cinesi sono al lavoro per cercare di risalire all’origine di questo morbo. L’edizione odierna de Il Corriere della Sera riporta l’ipotesi secondo la quale “il patogeno sia stato un animale selvatico”, parole della Commissione sanitaria centrale di Pechino. Il focolaio dell’epidemia è stato individuato nel mercato del pesce, volatili e animali, più o meno esotici, macellati o in gabbia. Il paziente zero, identificato l’8 dicembre a Wuhan, era stato in quel grande mercato. Anche gli altri contagiati delle prime settimane erano passati di lì. Ci si era illusi che il virus non fosse capace di passare da uomo a uomo, ma solo da animale a uomo. Invece non è così, il virus è mutato. Quale sia stata la specie ‘serbatoio’ ancora non è certo, anche se uno studio ha ipotizzato un serpente, la cui carne si mangia a livello locale. Sembra assurdo che molti mercati, anche a Wuhan che è una metropoli industriale avanzata, vendano ancora questi animali, dopo che la Sars nel 2002 era partita dal bancone di un macellaio di zibetti a Canton. Si scoprì che il coronavirus di allora era passato dai pipistrelli agli zibetti, animali paragonabili per dimensione a dei gatti.

Dany Shoham, biologo ed ex ufficiale dell’intelligence militare israeliana, ha però rilasciato un’altra versione riguardo all’origine del coronavirus. Intervistato dal Washington Times, Shoham ha ha parlato dell’esistenza di un laboratorio a Wuhan dove il governo cinese starebbe portando avanti un programma segreto di sviluppo di armi chimiche. Per l’ex ufficiale israeliano, gli scienziati cinesi avrebbero potuto sviluppare qui il virus conosciuto come 2019-nCoV. Il nuovo coronavirus sarebbe poi sfuggito dal controllo degli scienziati, ipoteticamente, infettando uno di loro, per poi propagarsi nella città di Wuhan. Queste le sue parole: “Alcuni laboratori dell’istituto sono stati probabilmente impegnati, in termini di ricerca e sviluppo, in armi biologiche, almeno collateralmente, ma non come struttura principale della politica di Pechino”. Secondo Mossad, l’intelligence israeliana, gli infettati dal coronavirus ammonterebbero già a 60mila.


Coronavirus figlio di un GoF? La teoria: agente patogeno creato in laboratorio. E sfuggito di mano
Andrea Tempestini
02 marzo 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... iati_.html

È ancora oscura la fonte da cui è nato il coronavirus. Dopo l'ipotesi che l'epidemia cinese si sia sviluppata nel mercato di Wuhan, il Fatto Quotidiano ha dato spazio a un'altra plausibile idea. Alcune pandemie da agenti patogeni sconosciuti provengono da un settore della ricerca scientifica, chiamata Gain-of Function (GoF). Questa crea ad hoc patogeni in laboratorio senza però tenere conto dei veri rischi. Ampliati, a maggior ragione, se si tratta di paesi poco trasparenti come la Cina. Nel 2015, infatti, una ricerca scientifica pubblicata sulla rivista internazionale Nature Medicine riportava i risultati di un esperimento che aveva portato alla creazione di un chimera-virus, non a caso una versione ibrida tra un ceppo di coronavirus originariamente del pipistrello e uno simile a quello che causa la Sars nell'uomo.
Questo virus era in grado di infettare le cellule delle vie respiratorie umane. E, guarda caso, tra gli autori dello studio spuntavano anche ricercatori cinesi di un laboratorio di Biosicurezza e patogeni speciali situato proprio a Wuhan. Per questo oggi come oggi non può che subentrare il dubbio. Sono in molti a chiedersi se lo scoppio dell'attuale virus sia frutto di un incidente in laboratorio, una fuoriuscita del virus chimera da quel laboratorio di Wuhan. Dubbio che alcuni scienziati hanno chiarito definendo "improbabile che l'epidemia abbia avuto origine da una manipolazione in laboratorio", non escludendo però la possibilità.



Coronavirus, Elisa Vicenzi: “Escluso si tratti di un prodotto da laboratorio sfuggito di mano”
13 marzo 2020

https://www.fanpage.it/attualita/corona ... o-di-mano/

"Questo virus è intelligente, si indebolirà col tempo e sarà anche meno contagioso". Parola di Elisa Vicenzi, capo della ricerca del San Raffaele di Milano, esperta di Sars e di altri tipi di virus, dalla Zika all'influenza suina, al momento a capo di una squadra sul nuovo Coronavirus finanziata da Dolce e Gabbana insieme ad Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Humanitas. In una lunga intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, Vicenzi ha spiegato a che punto è il suo studio sul nuovo virus e perché è assolutamente da escludere che sia stato creato in laboratorio, come molti hanno sostenuto. "Non esiste niente di simile da cui partire . ha sottolineato l'esperta -. L’origine più probabile è una delle 1200 specie di pipistrello, quella a ferro di cavallo. Con un probabile ospite intermedio, che secondo il consorzio di ricerca Next strain, ha la stessa sequenza genetica del pangolino, un formichiere utilizzato dalla medicina cinese".

Per evitare il virus, oltre alle misure di contenimento che si stanno osservando in questi giorni, per la ricercatrice bisogna evitare la paura. "La paura – ha affermato – è nemica della salute, perché genera stress e indebolisce il sistema immunitario. Sull’alimentazione le vitamine come la B12 o la D, che viene col sole, sono fondamentali. Una dieta varia e ricca di vitamina C aiuta. Vale la regola delle cinque porzioni di frutta o verdura al giorno". Sull'origine della catena di contagi che si sono verificati anche in Italia, Vicenzi ha spiegato che si sarebbe trattata di una "sfortunata catena d’infezione iniziata da un asintomatico o con sintomi sottovalutati. Sono questi ultimi a preoccuparmi, perché continuano a trasmettere il virus. Bloccare i voli diretti con la Cina non è bastato, anzi potrebbe aver aumentato le persone che hanno fatto scalo e sono arrivate in Italia senza controllo con un effetto boomerang. È una situazione complessa e ancora in evoluzione, ma le cose dovranno andare peggio prima di andare meglio e il caldo non è detto che aiuti". Covid-19 è solo l'ultima di una serie di patologie scoperte negli ultimi anni e che hanno dato vita a vere e proprie epidemie: "Iniziano negli anni ’80 con l’Hiv – ha concluso -, poi c’è una pausa e si intensificano: nel 2003 la Sars, nel 2005 l’Aviaria, nel 2009 la Suina, nel 2016 Zika e ora questa. Tutte di origine animale. Il mondo è più collegato e in Asia o in Africa la sovrappopolazione altera lo spazio della natura con commistioni tra uomo, animali domestici e selvatici. Cambiamenti climatici e sottosviluppo fanno il resto".


Esperto russo: è poco probabile che gli USA abbiano trasportato il Coronavirus in Cina
13.03.2020

https://it.sputniknews.com/mondo/202003 ... s-in-cina/

È poco probabile che i militari americani abbiano intenzionalmente importato il nuovo Coronavirus nella Cina, siccome questa versione contraddice gli sviluppi della situazione con l’epidemia, ritiene il presidente dell’Accademia dei problemi geopolitici (Russia), dottore in scienze militari Konstantin Sivkov.
Questo è stato il suo commento riguardo ad una dichiarazione di uno dei vicedirettori del dipartimento di informazione del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian, secondo cui il COVID-19 sarebbe stato portato a Wuhan, la città dove il virus è stato scoperto per la prima volta, dall’esercito statunitense.
Tuttavia questa ipotesi in seguito non è stata confermata dal rappresentante ufficiale del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang.
“Se il Coronavirus fosse inizialmente apparso in Amercia, il primo focolaio dell’epidemia sarebbe dovuto emergere lì, e poi trasferirsi in Cina. Invece se il virus fosse stato creato in laboratorio per un’operazione militare con l’intenzione di esportarlo in Cina, perchè gli USA hanno lasciato che la malattia fosse arrivata da loro e abbia seminato il panico ora? Non penso che dietro a questo stia Washington”, ha detto Sivkov in un’intervista a Sputnik.
Secondo l’esperto militare, il virus è nato a causa di una combinazione di circostanze, tra cui problemi ambientali e mancato rispetto degli standard sanitari nei luoghi pubblici.



Coronavirus, non è stato creato in laboratorio. Ecco la prova
19 marzo 2020

https://www.repubblica.it/salute/medici ... /?ref=fbpr

IL NUOVO coronavirus (SARS-CoV-2) sarebbe il risultato dell'evoluzione naturale di altri virus della stessa 'famiglia' e non un prodotto di laboratorio o di ingegneria genetica (cioè non fatto dall'uomo manipolando geni virali in provetta), come insinuato più volte dall'inizio dell'epidemia. Lo suggerisce uno studio sui genomi del SARS-CoV-2 e virus affini pubblicato sulla rivista Nature Medicine.

"Confrontando i dati genetici ad oggi disponibili per diversi tipi di coronavirus, possiamo risolutamente determinare che il SARS-CoV-2 si è originato attraverso processi naturali" - afferma Kristian Andersen, dello Scripps Research Institute di La Jolla che ha condotto il lavoro.

Gli esperti hanno in particolare confrontato il gene per una proteina chiave nel processo infettivo, una proteina dell'involucro esterno del virus (chiamata 'spike', da punta o spina) che gli serve per attaccarsi, entrare e infettare le cellule umane. Spike è dotata di un 'uncino molecolare' (chiamato porzione RBD) con cui il virus si lega alle cellule umane incastrandosi alla molecola 'ACE2', (recettore importante nella regolazione della pressione del sangue). Il legame tra RBD e ACE2 è essenziale per iniziare l'infezione. Inoltre spike ha anche una 'forbice molecolare' che aiuta il virus a penetrare nella cellula umana. Il legame tra RBD e ACE2 è talmente perfetto (RBD si incastra a perfezione con ACE2 come una chiave con la sua serratura o due pezzi di un puzzle), spiegano, che non può essere altro che il risultato della selezione naturale e non il prodotto dell'ingegneria genetica.
Questa e altre "caratteristiche del virus, la sequenza genetica di RBD e la 'spina dorsale' del virus - conclude Andersen - ci portano a scartare l'ipotesi della manipolazione di laboratorio come possibile origine del SARS-CoV-2".





Il coronavirus non è stato creato in laboratorio: lo conferma una ricerca
di Andrea Centini
19 marzo 2020

https://scienze.fanpage.it/il-coronavir ... a-ricerca/

Il nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2) responsabile della pandemia che sta sconvolgendo il mondo non è stato creato in laboratorio, ma ha un'origine naturale. A confermarlo è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del prestigioso The Scripps Research Institute di La Jolla (California – Stati Uniti), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Istituto di Biologia Evoluzionistica presso l'Università di Edimburgo (Regno Unito), della Scuola di Salute Pubblica “Mailman” dell'Università Columbia di New York e del Marie Bashir Institute for Infectious Diseases and Biosecurity dell'Università di Sydney, Australia.

Gli scienziati, coordinati dal professor Kristian G. Andersen, docente presso il Dipartimento di Immunologia e Microbiologia dell'istituto statunitense, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato a fondo il profilo genetico del patogeno. “Confrontando i dati disponibili sulla sequenza del genoma per ceppi di coronavirus noti, possiamo stabilire con certezza che il SARS-CoV-2 ha avuto origine attraverso processi naturali”, ha affermato lo scienziato in un comunicato stampa pubblicato dal The Scripps Research Institute.

Dopo l'avvio del primo focolaio epidemico nella città di Wuhan, nel cui mercato del pesce si ritiene che il coronavirus abbia fatto il salto di specie da un animale (non ancora identificato) all'uomo tra il 20 e il 25 novembre dello scorso anno, gli scienziati cinesi si sono immediatamente messi a lavoro per sequenziarne il genoma, e dopo aver raggiunto l'obiettivo hanno condiviso i risultati con la comunità scientifica internazionale. Proprio studiando questi dati il team guidato dal professor Andersen è riuscito a confermare l'origine animale del coronavirus. Allo scoppio dell'epidemia, recentemente divenuta pandemia dopo l'annuncio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, si era infatti parlato della possibile creazione del virus in laboratorio, e ad alimentare questo “sospetto” vi era anche il fatto che nella metropoli da 11 milioni di abitanti dello Hubei si trova una struttura con il massimo livello di biosicurezza (BLS4) per il contenimento di agenti infettivi.

Andersen e colleghi si sono concentrati su una caratteristica specifica del coronavirus, la proteina spike (le spicole) presente sulla sua superficie, che legandosi al recettore ACE-2 delle cellule umane permette di penetrare al loro interno e avviare il processo di replicazione. Il legame tra la sua componente chiamata “dominio legante i recettori” o RBD e ACE-2 è talmente perfetto che secondo gli scienziati può essere emerso solo attraverso la selezione naturale, e non con l'ingegneria genetica. “Se qualcuno avesse voluto ingegnerizzare un nuovo coronavirus come patogeno, lo avrebbe costruito a partire dalla “spina dorsale” di un virus noto per causare malattie”, si legge nel comunicato dell'istituto americano, “ma gli scienziati hanno scoperto che la spike del SARS-CoV-2 differiva sostanzialmente da quella dei coronavirus già noti, e assomigliava per lo più a quella di virus correlati trovati in pipistrelli e pangolini”. “Queste due caratteristiche del virus, le mutazioni nella porzione RBD della proteina spike e la sua distinta ‘spina dorsale', escludono la manipolazione di laboratorio come una potenziale origine per SARS-CoV-2”, ha dichiarato Andersen. “Il virus è il prodotto dell'evoluzione naturale, ciò pone fine a qualsiasi speculazione sull'ingegneria genetica deliberata”, hanno dichiarato gli autori. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Nature Medicine.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:18 pm

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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:19 pm

7 - vedere anche capitolo 9
La Cina dovrà pagare e risarcire
La Cina dovrà pagare e risarcire, dovrà rispondere al mondo e risarcirlo di tutti i danni che ha causato, per le persone morte e la crisi economica e dovrà essere messa in condizione di non nuocere più.

Dovrà pagare almeno 1/24 del PIL di ogni paese per ogni mese di fermo dell'economia e 10milioni di euro per ogni morto da coronavirus.




Perché la Cina dovrebbe essere accusata di crimini contro l’umanità
Franco Londei
24 Marzo, 2020

https://www.rightsreporter.org/perche-c ... o-umanita/

Come ho avuto modo di dire in un’altra occasione, sulla nascita di COVID-19 non credo a strane teorie di complotto o ad altrettanto strane teorie sulla sua creazione in laboratorio. Sono tutte cose che lasciamo agli storici o ai teorici della cospirazione.

Preferisco guardare ai fatti. E i fatti sono impietosi con Pechino perché ci dicono che i cinesi sapevano del Coronavirus da diversi mesi, forse addirittura da novembre dello scorso anno, e non hanno detto nulla a nessuno, non hanno avvertito la comunità internazionale di un pericolo immane nato e cresciuto in Cina.

E non è pensabile che gli scienziati di Pechino non abbiano valutato con attenzione le eventuali conseguenze di una sua possibile diffusione fuori dai confini cinesi. Non è possibile che non abbiano valutato la possibilità che quel tipo particolare di Coronavirus potesse trasformarsi in una pandemia.

Cosa dice il Diritto Internazionale

A meno che non si tratti di un’arma biologica (non permessa), gli Stati hanno precisi obblighi in merito alla segnalazione di potenziali rischi per l’Umanità e più nello specifico essendo la Cina aderente alla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in base a quanto stabilito dalla Costituzione della stessa OMS, Pechino «ha l’obbligo di cooperare in buona fede per favorire il perseguimento degli scopi e degli obiettivi dell’Organizzazione espressi nella sua costituzione».

Tradotto in soldoni, la Cina aveva l’obbligo di segnalare immediatamente il rischio all’OMS.


La storia tra voci e verità

Secondo la storia i primi di dicembre 2019 fu un giovane dottore cinese, Li Wenliang, a scoprire per primo il Coronavirus COVID-19 e a dare l’allarme al suo governo. Sempre secondo la storia, Li Wenliang non solo non venne considerato ma venne “gentilmente” invitato a non insistere e addirittura fu accusato di essere una specie di avvelenatore di pozzi. Qualcuno sostiene che addirittura Li Wenliang scoprì il virus in novembre ma che tutto fu messo a tacere (per la cronaca, Li Wenliang è morto di Coronavirus lo scorso mese di febbraio).

La Cina rese noto il Coronavirus COVID-19 solo nel gennaio 2020 anche se oggi i dati ufficiali della OMS sostengono che l’epidemia nella regione di Wuhan nacque “probabilmente” nel dicembre 2019. Non solo, si venne a sapere del COVID-19 solo perché i cinesi furono costretti a mettere sotto quarantena una città di 6,5 milioni di abitanti. Nel frattempo questo virus mortale aveva girato e infettato per molto tempo, troppo tempo vista la facilità e la velocità con la quale oggi ci si muove in giro per il mondo.

In sostanza la Cina ha omesso deliberatamente di avvisare il mondo dell’esistenza e del pericolo che rappresentava il virus COVID-19.

Secondo la giurisprudenza moderna chi deliberatamente compie atti criminali che possono interessare e danneggiare l’intera umanità (o sono percepiti come tali) commette un crimine contro l’Umanità.

Più di un miliardo di persone rinchiuse in casa, decine di migliaia di morti, economie mondiali allo sbando sono decisamente un crimine contro l’Umanità.

Evitare deliberatamente – per meri interessi economici – di avvisare il mondo del rischio di una devastante pandemia è un crimine contro l’Umanità.

Oggi invece vediamo il leader cinese, Xi Jinping, vantarsi di aver sconfitto il virus mortale, usare decine di migliaia di morti per fare una squallida propaganda sulle qualità tecnologiche cinesi quando invece dovrebbe essere portato di fronte a un tribunale internazionale per rendere conto dei sui crimini.

E c’è chi in Italia ringrazia la Cina per averci mandato qualche mascherina e un pugno di “esperti” ed è pronto a tornare sin da subito a commerciare con Pechino.

Ma stiamo scherzando, stiamo scherzando. Potevano evitare tutto questo con un niente e non lo hanno fatto (solo la storia ci dirà se per un disegno preciso o per altro) e noi li ringraziamo pure?

Siamo troppo impegnati a salvarci la vita per pensare a queste cose, ma il sig. Xi Jinping non se la può cavare così a buon mercato, non può passare addirittura per una specie di eroe. Xi Jinping è un criminale che prima o poi (se il mondo ha le palle) dovrà rendere conto di quello che ha provocato scientemente. Altro che via della seta.




Vaticano, il cardinale Charles Bo contro la Cina: "Il regime del Partito comunista responsabile del coronavirus"
Francesco Fredella
2 aprile 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... 0.facebook

In Vaticano c'è chi, sulla questione coronavirus, non si fa molti problemi a puntare il dito contro la Cina. È Charles Bo, arcivescovo di Yangon, in Birmania: "Il regime del Partito comunista cinese è il primo responsabile" della pandemia da coronavirus. "Ciò che ha fatto - riferisce ad Asianews - e ciò che non ha fatto sta producendo danni alle vite in tutto il mondo e il popolo cinese è la prima vittima", come è anche "prima vittima di questo regime repressivo".
Ma l'invettiva non finisce qui, perché il cardinale parla anche del ritardo con cui Pechino ha diffuso l'allarme: "Se la Cina - prosegue - avesse agito in modo responsabile una, due o tre settimane prima, il numero dei contagiati dal virus sarebbe stato minore rispettivamente del 66 per cento, dell’86 e del 95". D'altronde ormai è cosa nota: il presidente Xi Jinping sapeva dell'epidemia dal 7 gennaio, ma ha taciuto fino al 23. Bo per l'appunto definisce "criminale negligenza e repressione" del regime comunista cinese. In sostanza, per l'arcivescovo, "una minaccia per il mondo intero".


Coronavirus, gli Stati del G7 chiedono 3.200 miliardi alla Cina: il prezzo da pagare per l'epidemia
Andrea Morigi
7 aprile 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... detta.html

Presto, prima che termini la pandemia, la Cina sarà sul banco degli imputati per rispondere della diffusione del Covid-19. Che sia chiamato a comparire presso una corte internazionale come quella dell'Aja o a difendersi davanti a un tribunale speciale come a Norimberga, il governo di Pechino dovrà affrontare una richiesta di risarcimento per 350 miliardi di sterline. A tanto ammontano i danni calcolati dalla Henry Jackson Society, un centro studi britannico, nel suo rapporto di 44 pagine dal titolo eloquente: Compensazione da Coronavirus? Stabilire la potenziale colpevolezza della Cina e le vie di un'azione legale pubblicato ieri.

CAUSA PILOTA
Si tratterebbe di una causa pilota, alla quale potrebbero fare seguito quelle relative ad altri Paesi occidentali. Il Regno Unito ha registrato finora oltre 52mila contagi, ma stando ai dati di ieri la Germania supera già i 100mila, la Francia si avvicina con 93mila, la Spagna è oltre quota 135mila e l'Italia ne conta più di 132mila, senza parlare degli Usa, in testa alla triste classifica, che hanno superato i 350mila casi. Una stima prudenziale, anche se la curva epidemiologica scendesse, porta a decuplicare la cifra. O anche a centuplicarla, visto che gli Stati del G7 per affrontare l'emergenza del Covid-19 hanno adottato misure per 4mila miliardi di dollari. Per non dire che si tratta di una tragedia umanitaria dal costo incalcolabile. Qualcuno prima o poi dovrà pagare.

Si annuncia una lunga battaglia, in realtà, poiché la vicepresidente della Corte Internazionale di Giustizia è la giurista cinese Xue Hanqin, per un caso curioso docente di giurisprudenza proprio a Wuhan, il centro della pandemia. La reazione più probabile del potentissimo segretario del Partito Comunista cinese Xi Jinping è un rifiuto della giurisdizione dell'Aja. Occorrerebbe quindi trovare una strategia alternativa, che indichi una violazione dei diritti umani. Numerosi studiosi del diritto, nelle settimane scorse avevano indicato il fondamento giuridico di un'azione legale contro i responsabili di una condotta che ha provocato un enorme numero di morti e il tracollo dell'economia globale.

ACCORDI VIOLATI
Negli Stati Uniti, il ricercatore James Kraska ha preso in esame il Regolamento sanitario internazionale emanato dall'Organizzazione mondiale della Sanità, adottato nel 2005 proprio a causa della censura di Pechino, concludendo che proprio la Cina ha contravvenuto agli obblighi di comunicazione entro 24 ore agli altri Stati membri delle informazioni inerenti la Sars e malattie «provocate da un nuovo sottotipo» del virus». In realtà, a far le spese della censura imposta dietro la Grande Muraglia sono stati per primi i cinesi. È per questo motivo che è partita una campagna internazionale che punta a rinominare il morbo: non più «virus cinese», ma «virus del Partito Comunista Cinese», più preciso e offensivo solo nei confronti di chi lo merita.



L'ira di Trump: "Per l'Oms la pacchia è finita, taglieremo i fondi e avvieremo un'inchiesta" - Secolo d'Italia
Giovanni Trotta
mercoledì 8 aprile 2020

https://www.secoloditalia.it/2020/04/li ... m=facebook

L’ira di Trump. “L’Oms ha veramente sbagliato tutto”. Lo scrive in un tweet il presidente Usa Donald Trump, affermando che l’Organizzazione mondiale della sanità, “per qualche ragione, finanziata largamente dagli Stati Uniti, tuttavia è molto Cina centrica. Faremo chiarezza”. Trump poi afferma che “fortunatamente ho respinto il loro consiglio di mantenere aperti i nostri confini con la Cina. Perché ci hanno dato una raccomandazione così sbagliata?”, chiede il presidente Usa.

Trump: siamo i maggiori finanziatori dell’Oms

Gli Stati Uniti, primo Paese per contributi all’Organizzazione mondiale della sanità, potrebbero congelare i fondi per l’organizzazione. Lo ha detto Trump che ieri – nel mezzo dell’emergenza coronavirus – ha accusato in un tweet l’Oms di aver “veramente sbagliato tutto” e di essere filo-cinese. In un briefing alla Casa Bianca, Trump ha poi accusato l’Oms di aver dato in ritardo l’allarme. “Sospenderemo i soldi spesi per l’Oms”, ha detto inizialmente il tycoon. Gli Usa sono il primo Paese al mondo per numero di casi di coronavirus. Secondo i dati della Johns Hopkins University negli Stati Uniti sono quasi 400.000 i contagi e più di 12.907 i morti con coronavirus.

Avvieremo un’inchiesta sull’operato dell’Oms

Gli Stati Uniti potranno avviare un’inchiesta sulla gestione della pandemia di coronavirus da parte dell’Organizzazione mondiale Sanità, Oms, prima di decidere di sospendere i fondi all’agenzia dell’Onu. Lo ha detto Deborah Brix, coordinatrice della risposta della Casa Bianca al coronavirus. “Lo abbiamo fatto in passato per altre epidemie ed altre questioni che hanno coinvolto l’Oms”, ha aggiunto. Donald Trump ieri ha accusato l’organizzazione internazionale di essersi sbagliata su “ogni aspetto” dell’epidemia ed ha minacciato di congelare i fondi Usa.

“Nella storia degli Stati Uniti e dell’Oms ci sono stati momenti in cui abbiamo fatto un’approfondita analisi di quello che era successo”, ha spiegato l’immunologa. La quale tra il 2014 ed il 2020 è stata la coordinatrice Usa per la lotta globale all’Aids. “Quando il presidente ha detto che avrebbe trattenuto i fondi non ha detto che li avrebbe trattenuti per sempre, ma invece ha detto indaghiamo su quello che è successo – ha proseguito Brix -. Credo che il presidente voglia una completa indagine su quello che è successo durante l’epidemia in corso”. Per quanto riguarda i fondi all’agenzia dell’Onu, della quale gli Usa sono di gran lunga il principale finanziatore, Brix ha spiegato ci sono i contributi obbligatori versati anno per anno e poi quelli “volontari che abbiamo versato durante la storia dell’Oms, compresi negli ultimi anni per l’Hiv, la Tb ed altre malattie”.





Coronavirus: La Cina inonda l'Europa di dispositivi medici difettosi
Soeren Kern
Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York.
8 aprile 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/15863 ... 8.facebook


Un crescente numero di Paesi europei riferisce che milioni di dispositivi medici donati o acquistati dalla Cina per sconfiggere la pandemia di coronavirus sono difettosi e inutilizzabili. Nella foto: Il 25 marzo 2020, lavoratori catalogano in un magazzino di Valencia, in Spagna i dispositivi di protezione personale ricevuti dalla Cina. (Foto di Juan Carlos Cardenas/Pool/AFP via Getty Images)

Mentre l'epidemia di coronavirus infuria in tutta Europa, un crescente numero di Paesi europei riferisce che milioni di dispositivi medici donati o acquistati dalla Cina per sconfiggere la pandemia di coronavirus sono difettosi e inutilizzabili.

Le rivelazioni stanno alimentando la diffidenza verso lo sforzo di pubbliche relazioni compiuto dal presidente cinese Xi Jinping e dal suo Partito comunista e finalizzato a rappresentare la Cina come la nuova superpotenza umanitaria mondiale.

Il 28 marzo, i Paesi Bassi sono stati costretti a ritirare 1,3 milioni di mascherine prodotte in Cina perché non soddisfacevano gli standard minimi di sicurezza per il personale sanitario. Le cosiddette maschere che hanno una certificazione KN95 sono un'alternativa cinese più economica alla mascherina americana certificata con il bollino N95, che attualmente scarseggia in tutto il mondo. La KN95 non si adatta perfettamente al viso come la N95, col rischio di esporre il personale sanitario al coronavirus.

Più di 500 mila mascherine KN95 erano già state distribuite negli ospedali olandesi prima che venissero ritirate. "Quando le mascherine sono state consegnate al nostro ospedale, le ho immediatamente respinte", ha dichiarato un dipendente dell'ospedale all'emittente pubblica olandese NOS. "Se quelle maschere non vengono sigillate correttamente, le particelle di virus possono tranquillamente passare. Non possiamo utilizzarle. Non sono sicure per la nostra popolazione".

In una dichiarazione scritta, il ministero della Salute olandese ha spiegato:

"Una prima spedizione da parte di un fornitore cinese è stata parzialmente consegnata sabato scorso. Si tratta di mascherine con un certificato di qualità KN95. Durante un'ispezione, questa spedizione non è risultata conforme ai nostri standard di qualità. Parte di questa spedizione era già stata consegnata agli operatori sanitari: il resto del carico è stato immediatamente trattenuto e non ulteriormente distribuito.

"Un secondo controllo ha altresì dimostrato che le mascherine non soddisfacevano il nostro standard di qualità. Ora è stato deciso che l'intera spedizione non verrà utilizzata. Le nuove spedizioni saranno sottoposte a ulteriori controlli".

Il 17 marzo, il quotidiano olandese NRC Handelsblad ha riportato che i Paesi Bassi avevano una scorta di mascherine sufficiente per qualche giorno: "Ogni speranza è ora riposta nell'aereo da carico che arriverà dalla Cina mercoledì". La scadente qualità di questi dispositivi medici consegnati dalla Cina ha fortemente danneggiato i Paesi Bassi. Un portavoce di un ospedale della città olandese di Eindhoven ha dichiarato che i fornitori cinesi stanno vendendo "molta spazzatura (...) a prezzi elevati".

Intanto, in Spagna, il 26 marzo, il ministero della Salute ha rivelato che 640 mila test rapidi per il coronavirus acquistati da un fornitore cinese si sono rivelati difettosi e inaffidabili. I test, prodotti dalla Shenzhen Bioeasy Biotechnology Company, con sede nella provincia di Guangdong, hanno una sensibilità inferiore al 30 per cento.

Il 2 aprile, il quotidiano spagnolo El Mundo ha riferito di essere in possesso di documenti trapelati che dimostravano che la Bioeasy aveva mentito al governo spagnolo sull'accuratezza dei test diagnostici. La Bioeasy aveva dichiarato per iscritto che i suoi test avevano un tasso di accuratezza del 92 per cento.

Sempre il 2 aprile, il governo spagnolo ha rivelato che un altro milione di test consegnati alla Spagna il 30 marzo e provenienti dalla Cina erano anch'essi difettosi. I test sembravano richiedere tra i cinque e i sei giorni per rilevare se un paziente sia positivo al Covid-19 ed erano quindi inutili per diagnosticare la malattia in modo tempestivo.

Il 25 marzo, il governo spagnolo ha annunciato di aver acquistato forniture mediche dalla Cina per un importo di 432 milioni di euro e che i venditori cinesi avevano chiesto il pagamento anticipato prima di effettuare le consegne. Il ministro spagnolo della Salute, Salvador Illa, ha spiegato:

"Abbiamo acquistato e pagato 550 milioni di mascherine, che inizieranno ad arrivare ora e continueranno ad arrivare nelle prossime otto settimane. Undici milioni di guanti arriveranno nelle prossime cinque settimane. Per quanto riguarda i test rapidi, ne abbiamo acquistato 5,5 milioni per i mesi di marzo e aprile. Inoltre, da aprile a giugno riceveremo 950 respiratori. Stiamo per acquistare ulteriori dispositivi medici".

Non è affatto chiaro come il governo spagnolo sarà in grado di garantire la qualità di questi nuovi acquisti di massa o come otterrebbe un risarcimento se i prodotti sanitari cinesi fossero di nuovo scadenti.

Il 28 marzo, il governo francese, che pare abbia scorte sufficienti per qualche settimana, ha annunciato di aver ordinato più di un miliardo di mascherine dalla Cina. Non è chiaro se i problemi di controllo di qualità incontrati dagli altri Paesi europei influenzerebbero i piani di acquisto della Francia.

Anche altre nazioni – in Europa e non solo – hanno criticato la qualità delle forniture mediche cinesi:

Slovacchia. Il 1° aprile, il primo ministro Igor Matovič ha dichiarato che più di un milione di test per il coronavirus forniti dalla Cina in cambio di un pagamento in contanti di 15 milioni di euro erano inaccurati e incapaci di rilevare il Covid-19. "Abbiamo un mucchio di test e non ne possiamo fare uso", ha detto il premier. "Dovrebbero essere gettati direttamente nel Danubio". La Cina ha accusato il personale medico slovacco di utilizzare i test in modo errato.
Malesia. Il 28 marzo, la Malesia ha ricevuto una consegna di aiuti sanitari donati dalla Cina, costituiti da kit di test, mascherine mediche, mascherine chirurgiche e da altri dispositivi di protezione individuale. Un alto funzionario del ministero della Salute, Noor Hisham Abdullah, ha dichiarato che i kit di test sarebbero stati controllati dopo che i precedenti kit provenienti dalla Cina erano risultati difettosi. "Questo è un marchio diverso da quello che abbiamo testato in precedenza. Valuteremo il nuovo kit di test che è stato approvato dalla FDA. L'ambasciatore cinese mi ha assicurato che questo kit è più accurato dell'altro che abbiamo testato". Abdullah in precedenza aveva affermato che l'accuratezza dei test cinesi "non era molto buona".
Turchia. Il 27 marzo, il ministro turco della Sanità, Fahrettin Koca ha dichiarato che la Turchia aveva provato alcuni test cinesi per il Covid-19, ma le autorità "non erano soddisfatte dei risultati". Il professor Ateş Kara, membro della task force del ministero della Salute turco, ha aggiunto che i kit di test sono accurati solo del 30-35 per cento. "Li abbiamo provati. Non funzionano. La Spagna ha fatto un grosso errore a usarli".
Repubblica Ceca. Il 23 marzo, il sito d'informazione ceco iRozhlas ha riferito che 300 mila kit di test del Covid-19 forniti dalla Cina avevano un tasso di errore dell'80 per cento. Il ministero dell'Interno ceco ha sborsato 2,1 milioni di dollari per l'acquisto dei kit. Il 15 marzo, i media cechi hanno rivelato che i fornitori cinesi avevano ingannato il governo ceco dopo che aveva pagato in anticipo per la consegna di cinque milioni di mascherine, che avrebbe dovuto ricevere il 16 marzo.

Il 30 marzo, la Cina ha esortato i Paesi europei a non "politicizzare" le preoccupazioni in merito alla qualità delle forniture sanitarie dalla Cina. "I problemi dovrebbero essere adeguatamente risolti sulla base dei fatti, e non delle interpretazioni politiche", ha detto il portavoce del ministero degli Affari Esteri, Hua Chunying.

Il 1° aprile, il governo cinese ha invertito la rotta e ha annunciato di aver rafforzato le misure di supervisione dell'esportazione dei kit di test prodotti in Cina. Gli esportatori cinesi devono ora ottenere una certificazione da parte della National Medical Products Administration (NMPA) per poi essere autorizzati dall'Amministrazione generale delle Dogane della Cina.

Nel frattempo il colosso delle telecomunicazioni cinese Huawei ha annunciato che non avrebbe più donato mascherine ai Paesi europei a seguito di presunti commenti espressi dall'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'UE, Josep Borrell.

Il 24 marzo, Borrell aveva scritto in un post sul blog dell'EEAS che la Cina è impegnata in una "politica di generosità" e in una "battaglia globale di narrazioni".

Il 26 marzo, un funzionario di Hauwei ha detto a Euractiv, il portale d'informazione europea con sede a Bruxelles, che a causa dei commenti espressi da Borrell, l'azienda avrebbe interrotto il programma di donazioni per non essere coinvolta in un gioco di potere geopolitico tra Stati Uniti e Cina.

Il 28 marzo, Huawei ha pagato i contenuti sponsorizzati nella pubblicazione Politico Europe. Il principale rappresentante di Huawei presso le istituzioni dell'Unione Europea, Abraham Liu, ha scritto:

"Consentitemi di essere chiaro: noi non abbiamo mai cercato di ottenere pubblicità o favori in nessun Paese per quello che stiamo facendo. Abbiamo deliberatamente deciso di non pubblicizzare nulla. Il nostro aiuto è incondizionato e non fa parte di alcuna strategia aziendale o geopolitica, come alcuni hanno ipotizzato. Noi siamo un'azienda privata. Cerchiamo di fare del nostro meglio per aiutare le persone. Tutto qui. Non ci sono secondi fini. Non vogliamo nulla in cambio".

Il 30 marzo, la BBC ha riferito che Huawei si stava comportando come se nulla fosse realmente cambiato da quando è iniziata la crisi generata dal coronavirus:

"Ciò può essere ingenuo da parte dell'azienda. Sebbene nulla sia realmente cambiato in fatto di questioni tecniche e di sicurezza relative ai dispositivi Huawei, il clima politico per l'azienda è sicuramente peggiorato.

"Un articolo apparso nel weekend sul Mail on Sunday ha affermato che Downing Street ha avvertito la Cina che doveva 'affrontare la resa dei conti' sulla gestione dell'epidemia di coronavirus.

"E questo probabilmente incoraggerà quei parlamentati che hanno detto al governo che nessuna azienda cinese dovrebbe avere un ruolo nelle infrastrutture vitali del Regno Unito".

Il 29 marzo, il quotidiano britannico Daily Mail ha riferito che il primo ministro Boris Johnson e i suoi alleati in Parlamento si sono "rivoltati" contro la Cina a causa della crisi del coronavirus.

"Ministri e alti funzionari di Downing Street hanno dichiarato che lo Stato comunista ora deve affrontare una 'resa dei conti' sulla gestione dell'epidemia e rischia di diventare uno 'Stato paria'.

"Sono furiosi per la campagna di disinformazione di Pechino, per i tentativi di sfruttare la pandemia finalizzati a conseguire guadagni economici e per le atroci violazioni dei diritti degli animali che secondo gli esperti sono la causa dell'epidemia".

Il 28 gennaio, Johnson aveva concesso a Huawei un ruolo nella rete mobile 5G della Gran Bretagna, vanificando gli sforzi degli Stati Uniti di escludere l'azienda dalla tecnologia di comunicazione di prossima generazione dell'Occidente, che, sembra essere usata anche per le attività di spionaggio. Il Financial Times di Londra ha riferito che il presidente americano Donald J. Trump ha esibito a Johnson una "furia da colpo apoplettico" nel corso di una tesa telefonata. Il premier britannico ora deve affrontare le pressioni esercitate dal suo governo e dai membri del Parlamento perché riveda la sua decisione.

Dopo che le autorità cinesi hanno accusato Stati Uniti e Italia di essere responsabili della diffusione della pandemia, il Daily Mail ha citato una fonte del governo britannico che ha asserito:

"È in corso una ripugnante campagna di disinformazione ed è inaccettabile. [Il governo cinese] sa di aver gravemente sbagliato e piuttosto che assumersi la responsabilità diffonde menzogne".

Il quotidiano ha poi aggiunto:

"I consulenti scientifici hanno avvisato Johnson che le statistiche ufficiali cinesi sul numero dei casi di coronavirus potrebbero essere state minimizzate di un fattore tra 15 e 40 volte. Il numero 10 di Downing Street [la residenza del primo ministro britannico] ritiene che la Cina stia cercando di costruire il proprio potere economico durante la pandemia fornendo 'aiuti predatori' ai Paesi di tutto il mondo.

"Un'importante revisione della politica estera è stata rinviata a causa dell'epidemia di Covid-19 e non avrà luogo fino a quando non sarà possibile valutare l'impatto del virus. Una fonte governativa vicina alla revisione ha dichiarato: 'Dopo questo torneremo all'attività diplomatica in fase embrionale. Ripensare è un eufemismo'.

"Un'altra fonte ha dichiarato: 'Quando tutto questo sarà finito deve esserci una resa dei conti'. E un'altra ancora ha aggiunto: 'La rabbia è arrivata fino in cima'.

"Un eminente ministro del governo ha dichiarato: 'Non possiamo aspettare e consentire al desiderio dello Stato cinese di mantenere la segretezza di rovinare l'economia mondiale e poi tornare come se nulla fosse successo. Stiamo permettendo ad aziende come Huawei di entrare non solo nella nostra economia, ma anche di essere una parte cruciale della nostra infrastruttura".

In un articolo pubblicato il 29 marzo da The Mail on Sunday, l'ex leader del Partito conservatore, Iain Duncan Smith, ha scritto:

"Tutte le questioni possono essere discusse, tranne una, a quanto pare, vale a dire le nostre future relazioni con la Cina.

"Nel momento in cui qualcuno menziona la Cina, le persone si muovono a disagio sulle loro sedie e scuotono la testa. Tuttavia, penso che sia di fondamentale importanza che iniziamo a discutere di quanto siamo diventati dipendenti da questo Stato totalitario.

"Perché questo è un Paese che ignora i diritti umani nel perseguimento dei suoi spietati obiettivi strategici interni ed esterni. Tuttavia, tali fatti sembrano essere stati spazzati via dalla nostra frenesia di fare affari con la Cina.

"Rammentate come George Osborne [cancelliere dello Scacchiere del governo Cameron dal 2010 al 2016] ha fatto sì che le nostre relazioni con la Cina diventassero un caposaldo della politica del governo britannico? I ministri erano così determinati a incrementare gli scambi che erano pronti a fare tutto il necessario.

"In effetti, mi è stato detto che privatamente questo era stato ribattezzato come Progetto Kowtow, un verbo che nel dizionario Collins trova la definizione di 'essere servile od ossequioso'.

"Non eravamo soli. Negli ultimi anni, innumerevoli leader nazionali hanno ignorato il raccapricciante comportamento della Cina nei confronti dei diritti umani nel perseguimento cieco di accordi commerciali con Pechino...

"Grazie al Progetto Kowtow, il deficit commerciale annuale del Regno Unito con la Cina ammonta a 22,1 miliardi di sterline (27,4 miliardi di dollari). Ma noi non eravamo gli unici a essere in debito con Pechino.

"Perché la Cina ha accumulato un surplus commerciale globale di 339 miliardi di sterline (420 miliardi di dollari). Purtroppo, l'Occidente ha visto trasferire in Cina molte importanti aree di produzione....

"La brutale verità è che la Cina sembra infrangere le normali regole di comportamento in ogni ambito di vita – dall'assistenza sanitaria al commercio e dalla manipolazione della valuta alla repressione interna.

"Da troppo tempo, le nazioni hanno ceduto penosamente alla Cina nella disperata speranza di ottenere accordi commerciali.

"Ma quando ci libereremo di questa terribile pandemia sarà indispensabile ripensare quella relazione e metterla su una base molto più bilanciata e onesta".



Farla pagare alla Cina. Covid-19 accende la rabbia negli Usa, ma non solo
Marco Lupis
10/04/2020

https://www.huffingtonpost.it/entry/far ... a159acfb72

Gli Stati del G7 potrebbero chiedere 3.200 miliardi alla Cina per “danni da coronavirus”, mentre in America si preparano colossali azioni legali – vere e proprie “class action” - contro Pechino e mentre la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità finisce nel mirino dei media internazionali, accusata di connivenza e sottomissione agli interessi cinesi, nella gestione della pandemia.

Insomma, il Covid-19 rischia di trasformarsi in un grosso grattacapo per la leadership – fino a ieri indiscussa – del presidente-imperatore cinese Xi Jinping, alle prese con numerosi focolai di protesta e problematiche interne alla Cina e messo di fronte a una recrudescenza dello scontro con Donald Trump, spostatosi dal campo di battaglia dei dazi, a quello del virus. E mentre la levata di scudi di molti Paesi nei confronti di Pechino - accusata di avere nascosto l’epidemia (con l’interessata collaborazione appunto dell’Oms, che ormai sarebbe economicamente e politicamente controllata dalla Cina) e di avere “truccato” le cifre ufficiali dei contagiati e addirittura dei morti - fa recuperare consensi negli Usa alla politica anticinese di Donald Trump, gli enormi sforzi della propaganda del Pcc che ha cercato in tutti i modi di ribaltare la “storia scientifica” del virus, arrivando fino ad affermarne una origine “americana”, sembrano non avere ottenuto i risultati sperati.

Secondo un sondaggio condotto online tra il 3 e il 5 aprile scorsi dalla Società di ricerche di mercato, con sede a Chicago, Harris Pool, l’ira degli americani nei confronti di Pechino quando si parla di coronavirus è praticamente bipartisan: quasi il 90 percento dei repubblicani non ha dubbi riguardo l’origine del virus e ritiene che la Cina sia responsabile della sua diffusione; mentre ben due terzi dei democratici intervistati hanno affermato lo stesso. E più della metà degli americani ritiene che Pechino dovrebbe pagare qualche forma di riparazione ad altri paesi.

In questo senso ha creato scalpore lo studio pubblicato sul sito dell’organizzazione britannica Henry Jackson Society (HJS), che ha contabilizzato il danno causato dalla diffusione del virus in Gran Bretagna: la cifra ipotizzata per il risarcimento dalla società inglese si aggira sui 350 miliardi di sterline. Un risarcimento per ora solo ipotetico, ma che potrebbe lievitare moltissimo se si considera che gli Stati del G7 hanno già subito danni economici da coronavirus per una cifra stimata attorno ai 3.200 miliardi, pari alle misure economiche d’emergenza finora varate.

Secondo lo studio della HJS, ci sarebbero i presupposti per portare la Cina sul banco degli imputati del Tribunale dell’Aja, in quanto Pechino avrebbe violato gli articoli 6 e 7 dell’International Health Regulation, il regolamento in materia di sanità internazionale adottato globalmente nel 2005. Il Governo cinese l’avrebbe violato in molti modi: nascondendo i dati reali del contagio tra il 2 e l’11 gennaio e soprattutto non comunicando che si trattava di un nuovo tipo di virus, e impedendo a chiunque, per 3 settimane, di far sapere alla comunità scientifica internazionale che si trattava di un virus trasmissibile da uomo a uomo. Proprio quest’ultima violazione sarebbe quella che ha impedito di prevenire il contagio su larga scala, secondo gli studiosi della Henry Jackson Society. Infatti, applicando le necessarie misure restrittive 3 settimane prima di quanto si è fatto, si sarebbero potuti evitare il 95% dei contagi, afferma lo studio britannico. La strada legale internazionale, però, parte già in salita, visto che l’attuale vicepresidente della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja è una cinese, la giurista Xue Hanqin. Fra l’altro, per una strana coincidenza, docente di giurisprudenza proprio a Wuhan.

Anche l’Oms non esce esattamente bene da questa impennata di rabbia internazionale, almeno leggendo l’editoriale di fuoco pubblicato il 5 aprile scorso sul Wall Street Journal, dove l’organismo sanitario internazionale viene definito ironicamente “World Health Coronavirus Disinformation - Organizzazione Mondiale della Sanità per la disinformazione sul Coronavirus”; editoriale che si apre con questo significativo incipit, che non lascia molto spazio alle interpretazioni: “La pandemia di coronavirus offrirà molte lezioni su cosa fare meglio per salvare più vite e fare meno danni economici la prossima volta. Ma esiste già un modo per garantire che le future pandemie siano meno letali: riformare o chiudere del tutto l’Organizzazione mondiale della sanità”. Un organismo internazionale - bisogna dirlo – già in passato segnato da scandali (fra tutti quello della “falsa epidemia” di aviaria nel 2005), accuse di lobbismo, corruzione, e connivenza con le case farmaceutiche: in una parola, accusato di essere sostanzialmente inutile, se non addirittura dannoso.

In questo clima in cui alcuni analisti internazionali hanno acutamente osservato che “la pandemia dà slancio e nuova autorità alla politica cinese di Trump”, ha trovato terreno fertile il disegno di legge presentato venerdì scorso alla Camera americana dal repubblicano Lance Gooden, rappresentante dello Stato del Texas, mirante a spianare la strada a potenziali contenziosi nei confronti della Cina nei tribunali americani, qualora si dimostrasse – recita la bozza - che il paese ha “fabbricato” – in qualsiasi modo - il virus. Il disegno di legge, chiamato “Stop Covid Act”, andrebbe a modificare il Foreign Sovereign Immunities Act (Fsia), affermando che altri paesi “non devono essere considerati immuni dalla giurisdizione dei tribunali degli Stati Uniti nel caso in cui si dimostrasse che una nazione straniera, indipendentemente dal fatto di avere agito intenzionalmente o non intenzionalmente, avesse introdotto un’agente biologico ... negli Stati Uniti, o nel caso in cui tale introduzione avesse provocato una lesione corporale a [un] cittadino degli Stati Uniti ”.

E alla proposta del repubblicano Gooden ha fatto subito eco l’annuncio di una mega causa legale avviata in Florida per “far pagare la Cina per quello che ha fatto con la malagestione della crisi del coronavirus”. Lo studio legale Berman Law Group, specializzato in risarcimenti per lesioni personali attraverso class-action, con sede a Boca Raton, in Florida, ha infatti annunciato che sta intentando causa alla Cina e a varie agenzie governative cinesi per conto di “persone fisiche e imprenditori negli Stati Uniti e nello Stato della Florida, per i danni subiti a seguito della pandemia di Coronavirus”. Nelle carte si legge che la Cina avrebbe agito “negligentemente nella gestione dell’epidemia di Covid-19″. Gli avvocati affermano che la Cina “sapeva che Covid-19 era pericoloso e in grado di provocare una pandemia, ma si è mossa lentamente, mettendo proverbialmente la testa nella sabbia per cercare di coprire il contagio, al fine di tutelare i propri interessi economici”.

“Questa è una causa contro una superpotenza mondiale che deve rispondere concretamente delle conseguenze delle sue decisioni e delle sue azioni”, ha dichiarato in un’intervista a Fox News Jeremy Alters, portavoce dello studio legale: “Hanno i soldi per pagare per quello che hanno fatto, e dovremmo tutti fare in modo che la Cina paghi”, ha detto.

Il montare di sentimenti anti-Pechino nel mondo occidentale a causa della pandemia “cinese”, insomma, unito ai problemi interni, alle forze ostili al suo strapotere personale, alla corruzione sempre difficile da tenere a freno in Cina, alle spinte autonomiste dello Xinjiang e di Hong Kong, al problema mai risolto di Taiwan, rischiano davvero di procurare seri “dolori” al non più giovane Xi, fino al punto di far crollare il “modello cinese”?

40 anni fa Deng Xiao Ping, aprendo ai mercati occidentali, parlando ai delegati al congresso del PCC espose la sua “ricetta” per il successo della nuova “via cinese”: “osservare con calma, assicurare la nostra posizione, nascondere le nostre capacità, attendere il nostro momento, mantenere un profilo basso, e non rivendicare mai la leadership globale”.

Xi jinping ha contravvenuto a molti degli “ingredienti” della ricetta del vecchio Deng, aggiungendo inediti e aggressivi elementi alla sua personale formula per il successo globale del Dragone, forte di una nuova e straordinaria “potenza di fuoco” economica da buttare sul piatto degli equilibri mondiali. Ora – parafrasando la celebre frase dell’anarchico Bakunin, divenuto slogan degli studenti del “sessantotto” - “un Coronavirus lo seppellirà”?




Che l'OMS sia una succursale della Cina è cosa ormai evidente e solo chi non è in grado di sapere leggere la realtà o è in completa malafede, è in grado di negarlo.
Niram Ferretti
11 aprile 2020

https://www.facebook.com/search/top/?q= ... SEARCH_BOX

Basterebbe vedere come è stata gestita la comunicazione sul COVID-19 per rendersene conto, e saggiare la biografia del presidente dell'organizzazione, l'etiopeTedros Adhanom Ghebreyesus, uno che voleva Robert Mugabe come ambasciatore dell'organizzazione vista l'indisponibilità di Idi Amin e di Bokassa. Ora, anche Mugabe, non è più disponibile.



Il tetro passato di Tedros - chi è davvero il presidente dell'oms Ghebreyesus?
Gian Micalessin per ''il Giornale''
9 aproile 2020

https://m.dagospia.com/il-tetro-passato ... sus-232903

Prendere in giro Donald Trump, anche in Italia, rende molto e non costa nulla. Ma «ciuffo dorato» talvolta racconta quello che nessuno osa ammettere. Come martedì quando uno dei suoi tweet al fulmicotone si è abbattuto sull'Oms (Organizzazione Mondiale della Sanita), l'agenzia dell'Onu finanziata in gran parte grazie ai fondi degli Stati Uniti, ma sempre pronta a prendere ordini dalla Cina. Ordini diventati veri diktat con lo scoppiare del coronavirus.

Per capire cosa intendeva dire l'inquilino della Casa Bianca bisogna tornare al maggio 2017 quando al Palazzo di Vetro si sceglie il nuovo direttore generale dell'Oms. Su indicazione della Cina 50 paesi africani totalmente allineati a Pechino votano per Tedros Adhanom Ghebreyesus, un ex-ministro della sanità e degli esteri etiope. Oltre a esser un microbiologo anziché un medico come tutti i suoi predecessori, Tedros Adhanom è anche sospettato d'aver insabbiato tre epidemie di colera scoppiate durante il suo mandato.

Ma poco importa. A suo favore giocano il ruolo di politico di punta in un'Etiopia conosciuta ormai come la piccola Cina dell'Africa Orientale e la militanza quarantennale nel «Fronte di Liberazione del Popolo del Tigri», un'organizzazione marxista-leninista appoggiata da Pechino sin dagli anni Ottanta. Non a caso uno dei primi atti ufficiali di Tedros Adhanom è proporre come ambasciatore «di buona volontà» dell'Oms per l'Africa Robert Mugabe, il dittatore dello Zimbawe accusato di molteplici violazioni dei diritti umani. Il peggio arriva con lo scoppio del coronavirus.

Il 14 gennaio, a epidemia ormai largamente conclamata, l'Oms non si fa scrupoli a diffondere un tweet in cui ricorda come le indagini preliminari condotte dai cinesi «non dimostrano la diffusione tra umani». Come dire «non c'è contagio». Fedele alla linea l'Oms si guarda bene dallo spendere mezza parola in difesa del medico Li Wenliang messo alla berlina e praticamente condannato a morte - per aver denunciato l'epidemia. Il totale allineamento diventa ancor più evidente il 30 gennaio quando dopo un incontro a Pechino con il presidente cinese Xi Jinping Tedros spiega che «la Cina sta effettivamente definendo nuovi standard per la lotta alle epidemie».

Nel frattempo i comunicati dell'Oms elogiano «la dedizione delle autorità e la trasparenza dimostrata». Il giorno dopo in compenso parte la crociata dell'Oms contro gli Usa accusati di alimentare «paura e stigma» per aver bloccato l'arrivo dei voli dalla Cina. Ma è ancora nulla rispetto alla piaggeria del comunicato di metà febbraio con cui gli «esperti» dell'Oms , reduci da un farsesco sopralluogo in Cina, elogiano Pechino per aver «dispiegato il più ambizioso agile e aggressivo sforzo di contenimento della storia». E fedeli alla linea si guardano bene dal dichiarare la pandemia fino all'11 marzo quando il virus, tanto brillantemente contenuto, sta già facendo strage in Italia e si prepara ad aggredire il resto dell'Europa.


Non solo Trump, anche Parigi, Berlino e Londra chiedono chiarezza alla Cina sul coronavirus
17 aprile 2020

http://europa.today.it/attualita/corona ... cina-.html

Non è più solo il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a puntare il dito contro la Cina per come ha gestito lo scoppio dell'epidemia di coronavirus, e soprattutto per come ha comunicato con il resto del mondo quello che stava accadendo. Critiche stanno arrivando da altre nazioni come Francia, Regno Unito e Germania.

Macron: "Non siamo ingenui"

In una intervista al Finacial Times, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha lasciato intendere di pensare che ci siano zone oscure nella gestione dell'epidemia da parte di Pechino. "Non siamo così ingenui da dire semplicemente che hanno gestito la situazione meglio” degli altri, aggiunngendo che a suo avviso “chiaramente sono successe cose che non sappiamo".


"Domande difficili"

Ieri era stato il ministro degli Esteri britannico, Dominic Raab, e premier de facto durante la convalescenza di Boris Johnson, da poco uscito dall'ospedale dopo un ricovero per coronavirus, che ha avvertito che, dopo la crisi, la Cina di Xi Jinping dovrà rispondere alle "domande difficili" di Londra e dei suoi alleati sulla diffusione del virus. Raab ha anche affermato che la cooperazione con Pechino non potrà "tornare ad essere come prima", non se almeno non si farà chiarezza. "Dobbiamo esaminare tutti gli aspetti, e in modo equilibrato, ma non c'è dubbio che non può continuare tutto come se nulla fosse accaduto e dovremo porre domande difficili riguardanti ogni aspetto del virus e sul perché non si sia potuto fermarlo prima", ha detto Raab.


"Pechino sia trasparente"

Anche il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, ha detto che "ci sono domande alle quali Pechino prima o poi dovrà rispondere". Il commento è arrivato dopo la drastica correzione verso l'alto del bilancio delle vittime a Wuhan da parte delle autorità cinesi. I funzionari del Paese hanno ammesso che c'erano stati errori nel conteggio iniziale dei decessi e hanno rivisto il bilancio delle vittime a 3.869, con un aumento del 50%. In un'intervista alla Bild, il capo della diplomazia del governo di Angela Merkel ha affermato che "ovviamente è molto preoccupante" il nuovo conteggio nella zona in cui per prima era stato riconosciuta la malattia del coronavirus, e ha chiesto che Pechino "sia trasparente su quello che concerne l'origine e la diffusione della pandemia, spero in un ruolo costruttivo da parte della Cina".





'FINALMENTE UN TEDESCO CHE CI PIACE
(Copiato da Riccardo Riva alias Ric Ricky)
https://www.facebook.com/groups/8991042 ... 614531244/

Il direttore del giornale tedesco Bild, Julian Reichelt, ha diramato un clamoroso video di non – scuse rivolto al Presidente cinese e segretario del Partito Comunista Xi Jinping. Il giovane direttore del Bild, uno dei principali quotidiani tedeschi, aveva ricevuto una lettera dall’Ambasciata Cinese, che non aveva gradito il trattamento che il giornale aveva riservato al governo cinese.
https://www.youtube.com/watch?v=dSG2M-rhBSA
17 aprile 2020

Sul Build erano infatti apparse richieste di compensazione del danno economico causato dalla diffusione del Covid-19 e accuse alla mancata sorveglianza e alla mancanza di trasparenza nei sistemi di governo cinese. È consuetudine del governo cinese richiedere video di scuse a seguito di presunte offese, così come avevano fatto gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana, per compensare la diramazione di tre spot ritenuti offensivi.

Al contrario, il giovane direttore del Bild, nel suo video non solo non ha chiesto scusa, ma ha mosso pesanti accuse al governo, dividendole in 5 punti, facendo riferimento alla mancanza di libertà, allo stato di sorveglianza sotto cui vivono i cinesi, alle ipotesi di responsabilità di fuoriuscita del virus di un laboratorio di Wuhan che stava lavorando sui coronavirus dei pipistrelli, come riportato anche dal Washington Post. Reichelt parla anche dei campi di prigionia e delle misure di controllo attuate sui cittadini. Qui di seguito il testo integrale in italiano:

“Gentile presidente Xi Jinping. La sua ambasciata a Berlino mi ha inviato una lettera aperta perché sul nostro giornale abbiamo chiesto se fosse giusto chiedere alla Cina di pagare per l’enorme danno economico che è stato causato dalla diffusione del coronavirus in tutto il mondo. Cortesemente, mi consenta di rispondere. Prima di tutto, lei governa con la sorveglianza e il controllo. Lei non sarebbe presidente senza la sorveglianza. Lei controlla qualunque cosa faccia qualunque cittadino ma si rifiuta di monitorare i wet market infetti del suo Paese.

Ha fatto chiudere tutti i giornali e siti internet che si sono mostrati critici rispetto al suo operato, ma non le bancarelle dove vengono vendute le zuppe al pipistrello. Lei non controlla solo i suoi cittadini, ma li mette in pericolo, e con loro, il resto del mondo. Secondo, la sorveglianza è una violazione della libertà. E una nazione che non è libera non può essere creativa, e una nazione che non è innovativa, non inventa nulla. Ecco perché ha trasformato la Cina nel più grande esperto di furto di proprietà intellettuale. La Cina si arricchisce con le invenzioni degli altri, invece che con le sue invenzioni.

La ragione per cui in Cina non si inventa e non si innova, è perché non permettete ai giovani del vostro paese di pensare liberamente. La cosa più grande che avete esportato, e che comunque nessuno voleva, è il Coronavirus.
Terzo: lei, il suo governo e i vostri scienziati sapevate da tempo che il Coronavirus fosse altamente infettivo, ma avete lasciato il resto del mondo all’oscuro. I suoi esperti non hanno saputo rispondere, quando i ricercatori occidentali chiedevano cosa stesse accadendo a Wuhan, era troppo orgoglioso e nazionalista per ammettere la verità. Pensava si trattasse di una disgrazia nazionale e invece si è trasformata in un disastro globale.

Quarto, il Washington Post riporta che i vostri laboratori a Wuhan hanno fatto ricerche sui Coronavirus nei pipistrelli, ma senza mantenere i livelli di sicurezza elevati che sarebbero necessari. Perché i vostri laboratori tossici non sono così sicuri quanto invece lo sono le vostre carceri per i prigionieri politici? Potrebbe spiegarlo alle vedove in lutto, alle figlie e ai figli, mariti e genitori delle vittime di Coronavirus in tutto il mondo? Quinto, nel suo paese il popolo la sta mettendo in discussione, il suo potere sta crollando. Ha creato una Cina impenetrabile, non trasparente. Prima del Covid, la Cina era conosciuta come uno Stato-Sorvegliante, ora è uno stato sorvegliante che ha infettato il mondo con una malattia mortale. Questa è la sua eredità politica.

La sua ambasciata dice che non sono all’altezza della tradizionale amicizia fra i nostri popoli. Immagino che considera una grande amicizia, quella in cui manda mascherine in giro per il mondo. Questa non è amicizia, la chiamerei imperialismo nascosto dietro un sorriso, un cavallo di Troia. Pianifica di rafforzare la Cina grazie ad una malattia che ha esportato. Non ci riuscirà: il Coronavirus prima o poi sarà la sua fine politica”.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:19 pm

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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:20 pm

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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:22 pm

8
No alla Via della Seta e dei virus mortali pandemici e totalitari del capital comunismo cinese.
Si ricorda che la Cina destabilizza il Mondo sostenendo la mostruosa dittatura della Corea del Nord, la dittatura nazimaomettana dell'Iran e la dittatura social comunista venezuelana di Maduro.



L’America è la nostra salvezza. La Cina un errore da non ripetere
18 marzo 2020

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... -ripetere/

Dopo settimane di propaganda da parte dell’Ambasciata cinese in Italia, molti “falce e martello” nel nostro Paese hanno fin da subito iniziato ad esaltare la Cina, l’unica nazione “buona e brava” che ci sta venendo in soccorso. La verità però non è questa!

Posto che ogni tipo di aiuto è fondamentale per il nostro Paese in questo momento, non dobbiamo dimenticarci che con questa crisi non solo è in gioco la nostra salute, ma anche la supremazia mondiale Occidentale, fortemente minacciata dal dragone d’oriente.

Ovviamente noi ci auguriamo che gli Stati Uniti rimangano la prima potenza mondiale, in quanto l’alternativa è una società maoista nella quale, proprio chi oggi esulta per la Cina, abituato a vivere con soli diritti e nessun dovere, probabilmente finirebbe nei ben noti campi di rieducazione dopo solamente due giorni.

I primi aiuti americani sono arrivati oggi, mercoledì 18 marzo 2020, alle ore 9 a Cremona. L’Esercito italiano infatti allestirà un ospedale provvisorio con 60 posti letto e 8 di rianimazione. Il materiale ed i fondi sono stati donati dalla ONG statunitense Samaritan’s Purse, un’associazione evangelica specializzata nel soccorso medico durante i cosiddetti “disaster” (terremoti, epidemie, carestie ecc..)

A Genova, invece, un paziente Milanese di 79 anni è guarito dopo aver assunto dal 7 marzo il farmaco Remedesivir, prodotto dalla casa farmaceutica americana Gilead (N.B. che fa parte delle “Big Pharma cattive che fanno profitto sulla salute degli uomini !1!1!1!1!1”) . Il direttore del dipartimento malattie infettive dell’Ospedale San Martino, Matteo Bestetti, conferma che il signore 79enne è risultato negativo ai tamponi finali.

Intanto la Cina minaccia Donald Trump perché non vuole che il COVID-19 venga chiamato “The Wuhan Virus” o “The Chinese Virus”, poiché scredita l’immagine della Cina nel mondo.

L’ambasciatore cinese all’ONU, Zhang Jun, ha dichiarato alla Stampa che il suo paese ha già aiutato Giappone, Corea del Sud e Italia, ma se l’America continuerà ad incolpare la Cina per il COVID-19 non solo non saranno più inviate le mascherine ed i respiratori polmonari, ma che non verranno nemmeno spediti i farmaci di ogni genere negli USA.

Insomma, come titola The Hill, “Trump was right about China” (“Trump aveva ragione riguardo alla Cina”). Per troppo tempo molte aziende del settore farmaceutico hanno approfittato della manodopera a basso costo cinese per poi vendere a prezzi più vantaggiosi negli USA. Sebbene questo abbia portato dei benefici nel breve termine al consumatore, ha però consentito al Partito Comunista d’oriente di utilizzare la produzione di qualsiasi bene come un “arma” affinché ci si allineasse a Pechino.

Come ha evidenziato anche l’Harvard Business Review questa crisi è la dimostrazione che abbiamo bisogno di filiere più resilienti, in quanto stiamo pagando la dipendenza da una potenza nemica. Basterebbe guardare la produzione di beni nelle SOLE AREE DI QUARANTENA CINESI e poi confrontarle con altri due STATI colpiti dal COVID19, Italia e Corea del Sud (Grafico alla fine dell’articolo).

L’Occidente deve quindi essere unito nel fronteggiare questa crisi e dovrà essere ancora più unito nel colpire economicamente Pechino a suon di dazi (quelli messi da Trump si sono rivelati efficaci nel far delocalizzare molte aziende in altre aree orientali ma molto più filo-occidentali) con l’obiettivo finale dell’implosione economica del nuovo “Impero del male”.
Il confronto della produzione di beni nelle sole aree quarantenate dai cinesi con Italia e Corea del Sud





Agostino Nobile: CORONAVIRUS, IL FALLIMENTO DELLA GLOBALIZZAZIONE.
Marco Tosatti
19 Marzo 2020

https://www.marcotosatti.com/2020/03/19 ... lizzazione

Carissimi Stilumcuriali, Agostino Nobile ha voluto condividere con noi una riflessione più che condivisibile sulla crisi – sanitaria, ma non solo, anzi – che il nostro mondo sta vivendo. E ne trae conclusioni evidenti, che però naturalmente i corifei del Nuovo Ordine Mondiale, quello della finanza, dei grandi manipolatori di vite mai votati da nessuno e della reale dittatura dei corpi e delle anime si affannano vocianti a cercare di nascondere. Buona lettura.

Il Coronavirus non risveglia la fede, aumenta l’imbecillità.

Da anni non pochi romanzieri, compreso chi scrive, hanno pubblicato storie distopiche dove un virus mortale minaccia di annientare gli abitanti della terra. Nei romanzi, come nei film, un piccolo gruppo di persone lottano nella disperazione, fino a sconfiggere il virus. La realtà che ci troviamo ad affrontare supera la fantascienza, perché col Coronavirus i governi di tutto il mondo navigano nel buio assoluto. Gli unici eroi si trovano negli ospedali italiani dove cercano di salvare il salvabile, nonostante i governi progressisti negli ultimi dieci anni abbiano tagliato 37 miliardi di euro alla sanità pubblica, perdendo 70mila posti letto e chiudendo 359 reparti. L’unica “arma”, come sappiamo, è l’isolamento forzato, il divieto di uscire, di incontrare amici e familiari, la chiusura di tutti i negozi, tranne farmacie e supermercati, dove ci si guarda in cagnesco. Peggio di una prigione.

Quello che stiamo vivendo è un segnale forte che dovrebbe far riflettere, evitando di diffondere slogan imbecilli. Oggi16 marzo 2020 sul TG 1, per esorcizzare la strizza causata dal Coronavirus, mostrano alcuni sprovveduti che sotto una bandiera arcobaleno (simbolo gay) scrivono “andrà tutto bene”. Imbecillità mediatica allo stato puro.

Dovremmo capire che i popoli del mondo senza un’etica comune rispettosa dei diritti umani, che include anche la sperimentazione biologica e l’igiene pubblica, non possono convivere. Il collante finanza-economia che dovrebbe unire e supportare il mondialismo si è dimostrato fatale. Tra il 1918 e il 1920 il virus H1N1 (definito Spagnola perché la Spagna fu il primo paese che rilevò la pandemia che tutti i paesi democratici cercarono di nascondere) ha fatto circa ottanta-cento milioni di morti. Speriamo che le strutture e i farmaci attuali siano capaci di fermare il virus partito dalla Cina, un paese ateo dove i più elementari diritti umani vengono, per usare un eufemismo, ignorati.

La pandemia del Coronavirus insegna che nel mondo globalizzato l’economia non è più importante della salute. Non sappiamo, almeno fino ad oggi, se il virus è causato dalle abitudini culinarie di certi cinesi o da un laboratorio di Wuhan. La pandemia più devastante, la peste nera, che dilagò intorno alla metà del XIV secolo in tutta Europa, fu importata, guarda caso, dalla Cina. Arrivando in Medio Oriente si diffuse in Turchia, in Grecia, Egitto e di seguito in Italia e nel resto d’Europa.

Alla luce di questi antecedenti, i nostri governanti dovrebbero chiedersi se sia il caso di continuare a commerciare con paesi dove i più elementari diritti umani e la difesa dell’igiene sono metodicamente disattesi. Il dramma attuale ci dice che non ha senso arricchirsi se poi, per un virus, crolla l’economia e si spendono miliardi di euro per curarsi dalle malattie importate.

Si mormora che dopo il Coronavirus il mondo non sarà lo stesso. Forse. Dubito, comunque, che questo campanello d’allarme, se non campane a morto, possa cambiare esseri umani che, per esorcizzare il virus, cantano l’inno di Mameli, suonano alla finestra la tromba o fanno scongiuri degni delle tribù precolombiane. Dubito di una società dove i personaggi televisivi sparano squallidi slogan privi di contenuti, mentre ogni giorno negli ospedali e a casa muoiono centinaia di esseri umani tra sofferenze atroci. Come non provare una profonda vergogna e ripulsione per l’imbecillità umana?

Nella Venezia del XIV secolo, oltre a imporre la quarantina, pregavano. Per rispetto alle vittime non suonavano il liuto, né gridavano dalle finestre frasi idiote. La fede in Dio permise al popolo europeo di non arrendersi davanti a una pandemia che eliminò il 30% della popolazione europea e asiatica. L’Europa si risollevò, continuando quello sviluppo che il mondo ancora oggi ci invidia. Noi, se per disgrazia avremo le stesse percentuali di morti, cosa faremo? Continueremo a suonare allegramente sui balconi? E il vescovo di Roma cosa farà, un’altra passeggiatina con le guardie del corpo e i fotografi appresso in via del Corso come un laico vestito di bianco? E Dio, lo abbiamo dimenticato?

La globalizzazione ha fallito nella forma peggiore, e la cosa non può finire a tarullucci e vino. Se coloro che hanno sostenuto le frontiere aperte e il libero commercio non vengono allontanati faranno ancora guai. E la colpa sarà degli italiani che continueranno a sostenerli.








"Più Stato" non è la soluzione: i successi del mercato contro un virus che arriva da uno Stato totalitario Atlantico Quotidiano
19 marzo 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... talitario/

La prima e più grande vittima di questa pandemia sarà il capitalismo, il sistema di libero mercato. In Italia, e non solo, si moltiplicano le voci che vogliono la sua distruzione, quantomeno il suo ridimensionamento. Il mercato “abbandona” il malato se non ha abbastanza soldi di suo, “contagia” la gente tramite il libero scambio, “costringe” i piccoli commercianti a chiudere se gli unici che possono stare sul mercato sono grandi aziende. E quindi, la frase d’ordine è: ci vuole più Stato. Non che prima della pandemia il governo non lo dicesse già, ma ora media e governo paiono convinti di essere arrivati alla resa dei conti finale.

Purtroppo, come nel 1929, il mercato morirà sotto il peso delle calunnie. Perché se c’è qualcosa che questa epidemia sta dimostrando, è semmai il fallimento dello Stato. Mentre l’unica salvezza arriva dal mercato. Esageriamo? Non proprio. Prendiamo, ad esempio, il Paese che finora ha dimostrato di combattere con più successo questo virus, facendo arretrare il numero dei contagi: la Corea del Sud. Ebbene, la sanità sudcoreana è quasi interamente privata, nel senso che lo Stato dà una copertura assicurativa di base ai cittadini, ma gli ospedali sono gestiti da privati o da enti non statuali nel 94 per cento dei casi. Attualmente, la performance di quella sanità privata, quanto a posti letto disponibili, prestazioni mediche e tracciamento delle persone contagiate, sta dando l’esempio al resto del mondo. L’aspetto tecnologico della lotta al virus, in Corea del Sud, ci appare come un’innovazione straordinaria: sapere esattamente dove si diffonde il contagio, chi lo sta diffondendo e informare in tempo reale tutti per permettere loro di evitare i rischi (senza chiudere tutto il Paese come sta facendo il governo Conte). Ed è un prodotto di sviluppatori privati. Il governo ha sviluppato e diffuso la sua app, ma solo successivamente, nel frattempo ha avuto il buon senso di far agire i privati.

In Italia lo scoppio dell’epidemia è avvenuto in Lombardia, la regione dotata di un sistema sanitario misto, sia pubblico che privato. Ebbene, da un quarto a un terzo dei letti messi a disposizione sono di istituti privati. Ciò vuol dire, semplicemente, che è solo grazie alla presenza della sanità privata se il sistema non è già collassato sotto il peso della massa dei contagiati. Il Sistema sanitario nazionale è pagato da tutti i contribuenti con la fiscalità generale. Tuttavia, adesso si lamenta una carenza di posti letto e di personale addestrato. Ma i tagli non ci sono stati: la spesa è continuamente aumentata (salvo flessioni per tre anni) dal 2000 al 2019. Minori prestazioni a fronte di maggiori spese sono il chiaro sintomo della mala-gestione del pubblico. In compenso, nell’emergenza di queste settimane, come ai tempi del Rinascimento, sono soprattutto i grandi donatori che stanno colmando le carenze del pubblico, con i loro capitali privati: Esselunga, Unicredit, i big della moda (Armani, Bulgari, D&G, Etro), oltre ai sempre vituperati Chiara Ferragni e Fedez che hanno lanciato una raccolta fondi milionaria. Per non parlare di tutti i comuni cittadini che, in queste settimane, partecipano alle maratone di raccolta fondi per gli ospedali sotto pressione.

Al trionfo della filantropia, purtroppo, si contrappone il macigno della burocrazia. Gli ultimi esempi? Le mascherine inutilizzabili inviate dalla Protezione Civile al personale medico della Lombardia. E il freno posto da Roma alla costituzione di un nuovo ospedale d’emergenza in zona fiera a Milano. In compenso, stando a fonti di cronaca locale, la stessa Protezione Civile avrebbe bloccato 500 mila mascherine donate alla città di Brescia (una delle più colpite dall’epidemia). Dove sarà reperito tutto il materiale necessario che lo Stato non fornisce e non autorizza neppure? Ovviamente dal mercato libero. Finché sarà possibile. La Consip dichiara di aver seguito procedure molto accelerate per la gestione delle gare d’appalto per l’equipaggiamento medico necessario agli ospedali (e soprattutto alle terapie intensive). Alcuni commentatori non sono altrettanto entusiasti di come si sta comportando l’agenzia per gli acquisti della Pubblica Amministrazione. Il problema, a monte, è capire quanto il monopolio degli acquisti possa rallentare il reperimento rapido di materiale medico, in tempi di emergenza, dove ogni ora è importante per decidere della vita e della morte di centinaia di cittadini.

Quindi non c’è proprio alcun motivo per chiedere “più Stato”. Anche perché poi, chi ha dato inizio all’epidemia? La mala gestione e la noncuranza di uno Stato più Stato di tutti gli altri: il regime totalitario cinese. Anche se adesso sta riscrivendo la storia, con la complicità di fior di giornali italiani, è da Wuhan che è nata l’epidemia e si è diffusa perché, per ragion di Stato e prestigio ideologico, il regime ha soffocato ogni notizia utile a fermarla agli inizi. E alla fine di tutta questa vicenda, se ne usciremo vivi, cosa porrà fine all’epidemia? Un vaccino. E chi lo produrrà? Quasi certamente: qualche “malvagia” multinazionale farmaceutica.



Da Washington siluro al governo italiano che si getta tra le braccia di Pechino: tempo scaduto per Giuseppi? - Atlantico Quotidiano
20 marzo 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -giuseppi/

L’amministrazione Trump sta cominciando a reagire all’offensiva propagandistica di Pechino che, come da giorni su Atlantico cerchiamo di spiegare con i nostri approfondimenti, mira a riabilitare la sua immagine, a presentarsi come modello di successo nella lotta al coronavirus, a differenza delle inefficienti democrazie occidentali, e a sfruttare la pandemia (ex malo bonum) per spostare a proprio vantaggio gli equilibri del potere globale.
Motivo per cui le tensioni tra Pechino e Washington sembrano destinate ad acuirsi nei prossimi mesi, soprattutto se la prima sarà davvero fuori dall’emergenza e proverà ad approfittare delle difficoltà della seconda. “Pechino si sta preparando a usare la crisi per far avanzare la sua strategia economica contro di noi… La Cina sta pianificando di produrre diversi beni in eccesso per inondare i mercati e accrescere la sua quota di mercato” mentre i suoi competitor occidentali sono alle prese con le misure di lockdown, ha scritto Josh Rogin sul Washington Post.

E no, non è nemmeno sfuggito – né è piaciuto – dall’altra parte dell’oceano, vedere che per ingenuità, debolezza, o forse affinità, il governo italiano si è non solo prestato, ma persino fatto megafono di questa operazione. Ci torneremo più avanti.

Ieri è stato il giorno del sorpasso: più decessi da coronavirus in Italia, in meno di un mese, che in Cina in almeno tre mesi di epidemia: realistico? Da quando è iniziata questa emergenza ci chiediamo se siano realistici i numeri dichiarati da Pechino, visto che per almeno un mese dall’inizio dell’epidemia non è stata adottata la minima precauzione e milioni di persone si sono mosse da Wuhan in tutto il Paese (e all’estero) per il Capodanno cinese. Realistico che Xi Jinping abbia rinchiuso 40 milioni di persone e bloccato l’economia, mettendo a rischio almeno due decenni di crescita e le sue quote di export, quando a Wuhan dichiarava, il 23 gennaio, 897 casi e 26 morti?

Per l’Italia ritrovarsi, a emergenza conclusa o attenuta, ad avere più vittime persino del Paese (da 1,5 miliardi di persone) in cui il virus è originato sarà un danno di immagine incalcolabile. Dovrebbe essere una questione di sicurezza nazionale sapere se, o meglio quanto Pechino ha manipolato i suoi numeri, proprio allo scopo di potersi presentare già oggi come modello di successo contro il virus, il Paese che meglio di molte democrazie occidentali lo ha saputo arginare, mostrando quindi la superiorità del suo sistema di potere. Tema a parte – che abbiamo già aperto su Atlantico parlando delle pressioni esercitate da Pechino sull’Oms a gennaio per ritardare la dichiarazione di emergenza, e su cui dovremo tornare – quello del fallimento delle organizzazioni internazionali, come l’Oms appunto, che dovrebbero garantire un controllo terzo e che invece sono condizionate, corrotte e irresponsabili.

Bisogna ricordare poi che l’Italia, e la Lombardia in particolare, ospita una delle più numerose comunità cinesi d’Europa, oltre 300 mila cinesi che lavorano per lo più nel settore tessile e provenienti in larga parte da Wuhan e Wenzhou. Molti di essi, probabilmente migliaia, sono tornati in Cina per le nostre festività o per il Capodanno cinese e sono potuti rientrare in Italia prima che Pechino decretasse il lockdown e che il nostro governo sospendesse i voli. A proposito, qualche domanda politicamente scorretta che sembra nessuno abbia osato fare in questi giorni: dove sono finiti i “nostri” cinesi? Sono i primi ad aver chiuso i loro negozi e ad essersi rinchiusi in casa. Non se n’è ammalato nessuno di coronavirus degli 80 mila residenti in Lombardia? Nemmeno i sintomi per farsi fare un tampone?

Il risarcimento dei danni dovremmo chiedere a Pechino, e invece siamo qui a elogiare il “modello Wuhan”, di cui poco o nulla sappiamo e potremo mai sapere (per esempio quanti zeri vanno aggiunti alle 3 mila vittime dichiarate…), a ringraziare degli “aiuti”, di fatto partecipando come nessun altro Paese occidentale alla campagna propagandistica cinese.

Il problema è che non è solo propaganda, ma anche una partita geopolitica ed economica: la “Via della Seta della salute”, Huawei che si offre di mettere in cloud i nostri ospedali, il blitz sul 5G, il rischio di operazioni predatorie sui nostri asset strategici, sulle nostre imprese indebolite dalla crisi. Un’Opa, insomma, economica e politica, di Xi Jinping sull’Italia. Per debolezza – e complicità dei molti del nostro establishment politico, mediatico ed economico iscritti al “partito cinese” – potremmo scivolare in mani cinesi nell’arco di poche settimane, sia dal punto di vista economico che geopolitico. E Pechino, nonostante non sia ancora fuori dalla sua emergenza sanitaria, sembra crederci.

“La Cina – ha osservato Alberto Forchielli, su Linkiesta – sarà avvantaggiata nel dopo virus nella misura in cui noi coglioni non pensiamo a tutto quello che abbiamo passato. Crediamo alla loro propaganda e nel frattempo accogliamo le 31 tonnellate di materiale medicale che paghiamo comunque a caro prezzo. Paradossalmente sta succedendo proprio questo: prima la Cina ci ha avvelenato e ora ci salva”.

Washington, come dicevamo, sta reagendo già da alcuni giorni all’operazione di Pechino. Di fronte alla faccia tosta con cui esponenti del governo cinese sostengono addirittura la teoria che siano stati gli americani a diffondere il virus a Wuhan, il presidente Trump continua a parlare pubblicamente di “Chinese Virus”. E lo rivendica in conferenza stampa davanti alla giornalista che lo accusa di razzismo:

“It’s not racist at all. No. Not at all. It comes from China. That’s why. It comes from China. I want to be accurate”.

E spiega:

“As you know, China tried to say at one point that it was caused by American soldiers. That can’t happen. It’s not going to happen – not as long as I’m President. It comes from China”.

Da giorni la Casa Bianca ha cominciato a opporsi alla narrazione di Pechino. Il consigliere per la sicurezza nazionale Robert O’Brien ha dichiarato mercoledì scorso che l’iniziale insabbiamento e cattiva gestione da parte delle autorità cinesi “probabilmente è costata alla comunità internazionale due mesi” e aggravato l’epidemia a livello globale. “Se avessimo potuto sequenziare il virus e avere la cooperazione necessaria dalla Cina, se i team dell’Oms e i Cdc Usa fossero stati sul campo, avremmo potuto ridurre drasticamente quello che è successo in Cina e accade nel mondo”. Soprattutto se, come riportato dal South China Morning Post, il primo caso di nuovo coronavirus in Cina risale al 17 novembre scorso.

Ieri il presidente Usa ha parlato di “ripercussioni” contro Pechino: il virus “si sarebbe potuto fermare proprio là da dove è venuto”, ha detto durante una conferenza stampa. “Il mondo sta pagando un prezzo molto alto per quello che hanno fatto”, ha sottolineato riferendosi ai ritardi cinesi nella condivisione delle informazioni sul virus. “Sarebbe stato molto meglio – ha aggiunto – se avessimo conosciuto questa cosa mesi prima”.

Martedì scorso, durante un briefing, in cui tra l’altro ha espresso la sua vicinanza all’Italia, il segretario di Stato Mike Pompeo ha messo in guardia la Cina: arriverà il momento di fare i conti e di valutare come il mondo intero ha risposto, ha detto riferendosi probabilmente non solo al contagio ma anche alla propaganda di Pechino.

“La campagna di disinformazione che stanno conducendo è progettata per scaricare le responsabilità. Ora non è il momento di recriminare. Ora è il momento di risolvere questa pandemia globale e lavorare per ridurre i rischi per gli americani e le persone in tutto il mondo. La mia squadra ha appena parlato al telefono con il nostro ambasciatore in Italia. Il notevole lavoro che il nostro team sta facendo lì per aiutare il popolo italiano renderebbe orgoglioso ogni americano. Lo stiamo facendo in tutto il mondo.

Verrà un giorno in cui andremo a valutare la risposta del mondo intero. Sappiamo che il primo governo a essere a conoscenza del Wuhan Virus è stato il governo cinese. E questo impone una particolare responsabilità di dare l’allarme: ‘Abbiamo un problema, questo è diverso e unico e presenta rischi’. E ci è voluto un tempo incredibilmente lungo perché il mondo fosse informato di questo rischio che stava lì, all’interno della Cina. Faremo i conti quando sarà il momento giusto. Ogni nazione ha la responsabilità di condividere tutti i propri dati, tutte le proprie informazioni in modo tempestivo e preciso… Il Partito Comunista Cinese aveva la responsabilità di farlo non solo per gli americani, gli italiani, i sudcoreani e gli iraniani che ora soffrono, ma anche per il suo stesso popolo”.

La reazione americana però sembra avere come target non solo il governo cinese, ma anche quello italiano. All’Italia il presidente Trump ha espresso solidarietà pubblicando su Twitter un video delle Frecce tricolori, ma al governo italiano stanno arrivando in queste ore segnali dell’irritazione Usa.

Giorni fa Breitbart, un sito che sostiene apertamente Donald Trump, commentando il lancio della “Via della Seta della salute” da un colloquio telefonico tra il premier Conte e il presidente Xi Jinping, aveva letteralmente sfottuto l’Italia credulona, che si beve il “modello Wuhan”.

Ieri, un importante media come Fox News, anch’esso in buoni rapporti con l’amministrazione Trump, ha pubblicato un articolo dal titolo emblematico, “Peggio di una guerra: come il coronavirus si è propagato in Italia fino a un punto di rottura”, in cui tra l’altro sostiene che l’intelligence Usa avrebbe avvertito della pandemia in arrivo dalla Cina il governo italiano, il quale però avrebbe sottovalutato l’allarme. Fox News cita un “esperto di sicurezza di base a Roma, che ha richiesto di mantenere l’anonimato perché non autorizzato a parlare on the record“, secondo cui “rapporti di intelligence allertarono il governo della potenziale pandemia solo pochi giorni dopo che questa si infiltrò in Cina alla fine dello scorso anno. Ma passarono settimane prima che qualsiasi azione seria fosse presa a Roma”. Secondo la fonte, l’idea era che si trattasse di “un problema cinese, che non sarebbe arrivato qui”. Approccio a quanto pare comune a molti Paesi europei, se non tutti.

Fonti dell’intelligence sia italiana sia statunitense contattate ieri pomeriggio dall’agenzia Adnkronos hanno smentito con forza. Ma vero o falso, che attraverso l’Aise il nostro governo era stato allertato, poco importa: il siluro da Washington (o Rome-based?) è stato lanciato e ha colpito il bersaglio.

In serata, la Farnesina ha fatto sapere di un colloquio tra il segretario Pompeo e il ministro Di Maio, senza aggiungere altro. Cordiale Pompeo su Twitter:

“Pleased to speak with Italian Foreign Minister Di Maio today to discuss the strength of our alliance in these trying times. The people of Italy are an example to the world as they face the coronavirus with resolve and resilience”.

Roma è avvertita. A Washington c’è preoccupazione per come la lama cinese affonda nel burro italiano: la propaganda e le forniture di materiale sanitario di Pechino portano con sé tutto il resto, a partire dalla questione 5G per finire con l’adesione al disegno politico.

La guerra mediatica tra Usa e Cina ha registrato un’escalation due giorni fa, quando Pechino ha annunciato che avrebbe ritirato entro dieci giorni le credenziali (in scadenza a fine anno) di alcuni reporter di media Usa come New York Times, Washington Post e Wall Street Journal, alcuni dei quali avevano documento proprio i ritardi della risposta cinese. Dalla Cina arrivano notizie di una lenta ripresa delle attività economiche, il che suggerirebbe che abbiano superato il momento critico, che le restrizioni funzionano e anche l’Occidente in poche settimane può uscirne. Ma quanto c’è di vero? L’espulsione dei giornalisti Usa appare come un segnale di debolezza e ulteriore chiusura. Proprio in questo momento, qualcuno potrebbe supporre che abbia qualcosa da nascondere, o che vuole non sia raccontato. E se non ci fosse alcuna ripresa, né un “modello Wuhan”?




La globalizzazione è morta a Wuhan? Il pensiero di Ocone
Corrado Ocone

https://www.startmag.it/mondo/globalizz ... SMp5YdBJeQ

“Ocone’s corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista, su Wuhan, Coronavirus e dintorni

E se la globalizzazione fosse morta a Wuhan? Se fosse il Coronavirus il fatto tragico che, più della Grande Recessione del 2007-2008, ha messo al tappeto l’ordine globale che era stato pensato, disegnato e in parte attuato dopo il crollo dell’ultima grande teologia politica novecentesca, cioè il comunismo, a partire degli anni Ottanta del secolo scorso?

È una tesi suggestiva, che ha una sua plausibilità, ma che va argomentata, precisata, corretta. Intanto, distinguerei la globalizzazione dal globalismo, cioè il factum dall’ideologia che l’ha promosso e accompagnato.

Il fatto non può essere emendato, né giudicato da un punto di vista storico: c’è stato, e tanto basta. I mercati si sono interconnessi sempre più e quanto mai prima, sia quelli delle merci e della finanza sia quelli delle persone e della comunicazione, e il mondo è diventato sempre più uno, o meglio composto da elementi interdipendenti e non isolabili.

Poi c’è stato qualcuno, anzi in molti, che su questo fatto hanno pensato che si potesse o si stesse costruendo un mondo non dico perfetto ma certo, leibniziamente, il migliore dei mondi possibili. Anche, il migliore di quelli storicamente mai realizzati, giusta l’indicazione di un’ideologia residuale delle vecchie sebbene non esplicitata dalla nuova: quella del Progresso.

Un mondo, sicuramente, a bassa intensità conflittuale, tendenzialmente rappacificato. Un mondo senza storia perché la storia è vita, conflitto, politica. Un mondo di estrema apertura, ove nessuno sarebbe stato discriminato ma anzi le identità (cioè ancora la storia) sarebbero state cancellate e superate in un meticciato fluido che di volta in volta avrebbe preso il buono da ogni parte e avrebbe rigorosamente escluso dalla conversazione civile o dal discorso pubblico coloro i quali avrebbero voluto tornare indietro a qualche vecchia pratica.

Un mondo siffatto non può non vivere di apertura, contatti, abbattimenti di barriere e confini, fisici e mentali. Io sono l’altro e l’altro è me. Non posso isolarmi, separarmi, dialogare a partire da un me stesso tutto sommato con una certa continuità e stabilità (ma può d’altronde esserci vero dialogo senza questa precondizione?).

Ora, il Coronavirus, che è un virus globale, ove gli umani si sono contagiati, e ahimé continuano a contagiarsi, a vicenda, ci impone proprio questo: isolarci per continuare a vivere. Gli esperti concordi ci hanno detto che a Milano, anche nella prossima settimana, è meglio restare a casa. Niente vita sociale e niente commerci, cioè la forza e la vita di una metropoli odierna. Cosa se non il globalismo fa in questo modo tilt? E dice: avrai una possibilità di continuare ad aprirti, se ti chiudi; continuerai ad avere una socialità, se ti isoli; continuerai ad avere una economia florida, se intanto la fermi rischiando la recessione.

Il massimo dei contatti ti porta al nulla di contatti, così come il massimo della ragione (che è per sua natura corrosiva come ci ha ricordato Giovanni Orsina in una bella lectio magistralis tenuta qualche giorno fa alla Fondazione Magna Carta), ci avvicina spaventosamente al nulla, al nulla di senso. La vita vive nella tensione fra i poli estremi che la costituiscono: né il sovranismo né il globalismo possano spiegarla per intero, nessuna teologia.

A chi ha creduto che le teologie del Mercato, del Diritto globale, dell’Etica assoluta, in una parole dell’Apertura totale, fossero la soluzione a tutto, il Coronavirus sta dando in questi giorni il ben servito.




Coronavirus. Il virus dell'epidemia cinese infetta anche la globalizzazione
Pietro Saccò
sabato 8 febbraio 2020


https://www.avvenire.it/mondo/pagine/il ... lizzazione

Mancano i pezzi per le fabbriche. Slittano i dati sul commercio, mentre Trump rassicura Xi: «Vincerete» L’economia mondiale si è troppo sbilanciata sul Dragone.

L’Agenzia delle Dogane che ogni mese comunica i dati sul commercio della Cina con il resto del mondo ieri avrebbe dovuto pubblicare l’aggiornamento di gennaio. Invece ha pubblicato una nota in cui spiega che i numeri sul primo mese dell’anno saranno resi noti a marzo, insieme a quelli di febbraio, perché tra feste per il Capodanno cinese ed effetti del coronavirus i numeri delle importazioni e delle esportazioni del mese scorso sono troppo «distorti» per essere considerati affidabili. Il rinvio di quelli che sarebbero stati i primi dati economici ufficiali dall’inizio di questa crisi non aiuta a capire quanto davvero l’epidemia stia danneggiando l’economia cinese. In questa situazione di incertezza i pochi elementi sicuri sono le chiusure delle fabbriche e dei negozi e i timori che le aziende sono disposti ad ammettere pubblicamente.

Fca è stato il primo costruttore di auto europeo a dire, senza molti altri dettagli, che il blocco della produzione di un fornitore cinese può interrompere l’attività di una sua fabbrica europea nel giro di due o quattro settimane. Lo studio di S&P sull’impatto del coronavirus sul settore dell’auto pubblicato giovedì mostra però che ci sono aziende che sembrano molto più a rischio del gruppo italo-americano. A partire da Volkswagen, gruppo tedesco i cui affari dipendono ormai più da ciò che succede in estremo oriente che dagli eventi europei: arriva dalla Cina il 40% della produzione e va in Cina il 40% delle auto vendute.

Quello della casa tedesca è un caso limite, ma è tutta l’economia mondiale che nell’ultimo decennio ha spostato il suo baricentro sulla Cina e ora si trova pericolosamente sbilanciata. Secondo i calcoli della società di analisi economica Ihs Markit, la quota cinese nella produzione manifatturiera mondiale è salita dal 6,7 al 30,5% tra il 2002 e il 2019.

La Cina è anche il primo soggetto del commercio internazionale, rappresentando da sola l’11,4% degli scambi. Nessun Paese nella storia ha avuto tanto peso sull’economia del resto del mondo, questo anche perché la fase di globalizzazione intensa che stiamo vivendo è un fenomeno relativamente recente, iniziato attorno al 1990. Per i risk manager che si occupano di proteggere aziende dagli imprevisti sono settimane durissime.

«Ci si affida al Geoaudit, una procedura che identifica i potenziali rischi legati all’esposizione internazionale: in primo luogo, si studiano le dinamiche dei rapporti con l’estero, e la maniera in cui queste possono impattare, sulla catena di fornitura – spiega Mark William Lowe di Anra, l’associazione nazionale dei gestori del rischio –. Il compito del risk manager, a questo punto, è quello di monitorare il rischio di cambiamento, per cercare di anticipare il momento in cui può comparire un problema, ed elaborare non solo un piano B in caso di blocco, ma anche un piano C che garantisca il regolare transito delle merci». Gli Stati non hanno veri e propri risk manager. Sta ai governi fare in modo che l’economia nazionale sia equilibrata, cioè che la crescita del Pil, l’attività delle aziende e i posti di lavoro non dipendano eccessivamente da un singolo fattore, come può essere l’export di automobili (tipo rischio tedesco) oppure la voglia di shopping dei cittadini (rischio americano).

La crisi del coronavirus sta riportando in primo piano lo “sbilanciamento cinese” di molti Paesi. Come l’Australia, che da un decennio è il grande fornitore di materie prime per la Cina: se a causa di uno choc il Pil cinese dovesse crescere di 5 punti in meno del previsto, calcolava l’estate la Reserve Bank of Australia, il Pil australiano potrebbe ridursi di 2,5 punti (mandando il Paese in recessione). In questo senso, il coronavirus può funzionare da sveglia per i governi, chiamati a ragionare su un “riequilibrio” delle proprie economie per costruire una crescita più solida, meno dipendente da fattori esterni. Non nella forma disordinata e aggressiva dell’America First di Donald Trump – che ha avuto una lunga telefonata con Xi Jinping e ha assicurato che il presidente cinese «avrà successo» – ma attraverso una regolazione più intelligente e meno mercatista dei rapporti commerciali con il resto del mondo.



Donald Trump spinge verso la "deglobalizzazione": ecco cosa cambia
Roberto Vivaldelli
15 febbraio 2020

https://it.insideover.com/politica/trum ... bEnLdDon1U


Con il crollo dell’Unione sovietica e la fine della Guerra fredda, a partire dal novembre 1989, le istituzioni economiche, le regole e i principi dell’ordine liberale occidentale vennero di fatto estesi all’interno sistema internazionale, costituendo quel mercato globale che prese il nome di globalizzazione. Dal punto di vista politico, in quel periodo gli Stati Uniti si affacciarono sul mondo con la possibilità di esercitare un potere e un’influenza senza precedenti. Con la sconfitta dell’Unione sovietica e la fine dell’era bipolare, infatti, i politici americani hanno cominciato a sognare di modellare il globo a immagine e somiglianza dell’unica superpotenza rimasta: si trattava della globalizzazione, espressione dell’ordine liberale internazionale. Una visione ottimista del futuro ben espressa da Francis Fukuyama nella riflessione formulata nel saggio The End of History?, pubblicato su The National Interest nell’estate 1989, nel quale il liberalismo, agli occhi dell’illustre politologo, appariva come l’unico possibile vincitore e meta finale dell’evoluzione storica dell’uomo e della società.

L’opinione diffusa era che gli Stati nazionali, a causa di questa interdipendenza economica e del nuovo mercato globale, erano “superati”. Dopotutto, la presenza di un’unica grande superpotenza (gli Stati Uniti) faceva pensare che l’epoca del realismo politico e dei conflitti era destinata al dimenticatoio. Tuttavia, questa concezione del mondo ben presto entrò in crisi. Prima con gli attentati alle Torri gemelle del 2001; poi con la grande crisi economica del 2007-2008. La vittoria di Donald Trump e il referendum sulla Brexit del 2016, fecero crescere la convinzione che si stava delineando una nuova era di “deglobalizzazione”.


Verso la deglobalizzazione

Come riporta Il Foglio, secondo un rapporto della Bank of America, che contiene anche un sondaggio che ha rilevato le decisioni di investimento di 3mila aziende nel mondo, per la prima volta viene ipotizzata la nuova traiettoria della “supply chain” che si sta gradualmente spostando dalla Cina verso il sud est asiatico e l’India e talvolta prende la via del “ritorno” verso il nord America. L’attuale assetto geografico delle catene produttive, che si è formato negli ultimi trent’anni con lo spostamento di impianti e posti di lavoro dai paesi occidentali ai paesi emergenti, si sta, dunque, modificando e questo è anche un effetto della politica estera del presidente americano Donald Trump.

Sarebbe in atto, una netta inversione di rotta, dopo oltre trent’anni. Tant’è che gli economisti americani prevedono “una lunga pausa nella globalizzazione” e, in rottura con il passato, sostengono che il mondo “è entrato in una fase senza precedenti durante la quale le catene di approvvigionamento vengono portate a casa, avvicinate ai consumatori o reindirizzate ad alleati strategici”. Questo potrebbe creare “una miriade di opportunità per le aree geografiche verso le quali viene reindirizzata la produzione”. Secondo il rapporto, “Gli Stati Uniti potrebbero essere un beneficiario significativo di questo processo, mentre le imprese cinesi sono forse maggiormente a rischio”.


Il coronavirus e la deglobalizzazione

Come ha spiegato l’ex ministro delle finanze Giulio Tremonti, il nuovo coronavirus, più che un impatto economico, che sarà più o meno intenso e lungo, avrà un forte “impatto psicologico”. “Per un glorioso trentennio – spiega in un’intervista rilasciata a Italia Oggi – con la globalizzazione, un mondo artificiale, fantasmagorico e felice si è sovrapposto a quello reale. Si è pensato che fosse la fine della storia, il principio di una nuova geografia”. E ora, il nuovo virus, che si sta diffondendo in tutto il mondo, ma che ha il suo epicentro in Cina “segna il ritorno della natura, il passaggio dall’artificiale al reale, come reale è appunto un virus”. Così, la globalizzazione è messa in crisi.

Secondo il Financial Times, la diffusione dell’epidemia equivale a un esperimento di deglobalizzazione. “Si stanno ponendo barriere non per arrestare i flussi commerciali e migratori ma per ostacolare la diffusione dell’infezione” scrive il Ft. Gli effetti economici, tuttavia, sono simili: catene di approvvigionamento in difficoltà, minore fiducia delle imprese e meno commercio internazionale”.





???

Alberto Mingardi e Carlo Stagnaro
Il coronavirus e la globalizzazione
“È colpa della globalizzazione” è una tesi sensata?
25 febbraio 2020

http://www.brunoleoni.it/il-coronavirus ... lizzazione

L’epidemia di coronavirus è colpa della globalizzazione? Nei giorni scorsi alcuni “opinion maker” in rete hanno cominciato ad accusare la circolazione internazionale di merci e persone per la diffusione del corona virus. È proprio così? Quali sono le domande cruciali per capire se si tratta di una tesi sensata?

1. La diffusione dell’epidemia è colpa della globalizzazione?
Il nuovo coronavirus (Sars-Cov-2, che scatena la malattia nota come Covid-19) ha fatto la sua comparsa nel dicembre 2019 nella città cinese di Wuhan. Al momento in cui scriviamo (25 febbraio 2020), la presenza del Covid-19 è documentata in 37 paesi, per un totale di oltre 80 mila casi (di cui quasi 78 mila in Cina), con 2.707 vittime (di cui 2.664 in Cina) e circa 28 mila guarigioni documentate. Al momento (primo pomeriggio del 25 febbraio), con 287 casi documentati, l’Italia è il terzo paese al mondo per la presenza del virus, dopo Cina e Corea del Sud. Da sempre, quando le persone si muovono portano con sé non solo le proprie idee, le proprie competenze, i propri affetti e la propria voglia di lavorare: ma anche eventuali malattie.

Ci sono almeno due aspetti che meritano di essere precisati. In primo luogo, se il coronavirus svilupperà una epidemia, questa non sarò né la prima né l’ultima che il mondo si trova ad affrontare. Rispetto al passato, il virus viaggia più rapidamente. Ciò non significa che sia più letale. Per esempio, l’influenza spagnola impiegò circa due anni (dal 1918 al 1920) a raggiungere la massima estensione e poi sparire, facendo nel frattempo circa 100 milioni di vittime. La cosiddetta peste nera fece la sua comparsa in Cina nel 1346 e colpì il mondo conosciuto nel quinquennio successivo, causando la morte di circa 20 milioni di persone nella sola Europa (pari a circa un terzo della popolazione dell’epoca). Altre ondate di peste si ripresentarono nel corso del secolo, falcidiando ulteriormente la popolazione. Insomma: purtroppo, le malattie con un alto grado di trasmissibilità esistono da sempre.

Oggi però la società è molto più pronta ad affrontare il virus, e lo è tanto di più in quei Paesi “ricchi” e industrializzati dei quali l’Italia tutt’ora fa parte. Abbiamo strumenti diagnostici, terapeutici e piani di intervento che in passato erano semplicemente impensabili, e che consentono di adottare le necessarie misure di prevenzione e mitigazione del rischio. Così come totalmente impensata era la possibilità di condividere pressoché in tempo reale i dati emersi in diversi Paesi e i risultati delle ricerche effettuati in ciascuno di esso. La maggior parte di questi progressi sono riconducibili proprio alla globalizzazione. Sono il libero mercato, l’innovazione tecnologia e la cooperazione economica globale che ci danno gli strumenti per prevenire dove possibile, contrastare dove necessario la diffusione del morbo.

2. La società aperta favorisce la diffusione dell’epidemia?
Nella versione più “estrema” della società chiusa (una versione che nessuno dei suoi sostenitori si azzarda a prendere seriamente), non ci sarebbe contagio possibile: semplicemente perché gli individui vivrebbero in società piccole, dove le interazioni sono limitate ai contatti faccia-a-faccia e le relazioni con altre comunità sono impossibili. Se il lodigiano esistesse senza avere cognizione dell’esistenza di Milano, il contagio sarebbe più limitato: ma è evidente che si tratterebbe di una società ancora molto primitiva, dal momento che non potrebbe ricorrere alla divisione del lavoro “al di fuori dei propri confini”, inclusa la città di Milano.

Il contagio esiste perché esiste la vita associata, perché ci sono grandi conglomerati di esseri umani.

La società aperta garantisce che tutti gli strumenti a disposizione – a partire dalla diffusione di informazione corretta e tempestiva – potranno essere sfruttati per combattere il coronavirus. La conferma dell’efficacia di questi mezzi viene dal numero relativamente basso di casi nei paesi Ocse (e dal numero ancor più basso di vittime, che nella maggior parte dei casi erano peraltro soggetti che già si trovavano in condizioni debilitanti). Al contrario, come dimostra la progressione del contagio, è stata proprio la gestione dirigista cinese a impedire di contenere l’epidemia: prima ignorando gli allarmi e addirittura punendo chi segnalava l’emergere del problema, poi negandone la gravità, il Governo cinese non solo si è reso protagonista di un intervento tardivo, ma ha anche distrutto la fiducia nella sua capacità di affrontare il problema e nell’affidabilità dei dati forniti. Non è un caso se, probabilmente, la figura simbolo di questa vicenda sarà l’oculista Li Wenliang, tra i primi a comprendere cosa stava accadendo e per questo messo a tacere dal regime (e oggi ucciso proprio dal coronavirus).

3. Quanto costerà l’epidemia di coronavirus all’economia mondiale?
Non c’è dubbio che il coronavirus avrà un impatto economico molto significativo. Per il momento è impossibile quantificarlo con precisione, a dispetto di numerosi tentativi. Tutto dipenderà dalla durata del contagio e dal tempo che ci vorrà per rilassare le misure emergenziali che hanno determinato un significativo rallentamento dell’attività economica in Cina e altrove. Al momento, il Fondo monetario internazionale ha rivisto le sue stime di crescita al ribasso dello 0,1 per cento per il mondo intero, e dello 0,4 per cento per quanto riguarda la Cina. Molto probabilmente, si tratta di una stima ottimistica. Altri centri di ricerca privati hanno un atteggiamento più pessimistico: per esempio, Oxford Economics stima un rallentamento dell’economia globale compreso tra lo 0,5 e l’1,3 per cento. È importante considerare che l’effetto sul prodotto sarà tanto più rilevante quanto più debole (quanto meno è cresciuta negli ultimi anni) una economia, il che mette l’Italia in una posizione particolarmente difficile. Una prima stima condotta da Nicola Nobile sempre per Oxford Economics prevede una riduzione del Pil nel primo trimestre 2020 attorno allo 0,1 per cento, se le misure precauzionali adottate nel Nord del paese non si protrarranno oltre la settimana.

Tuttavia, nel riflettere su questo dato, occorre tenere presente che – senza la globalizzazione e l’integrazione delle economie mondiali, inclusa la Cina – il mondo sarebbe immensamente più povero: dal 1989 a oggi, il Pil pro capite globale (misurato a parità di potere d’acquisto) è aumentato di oltre il 77 per cento mentre la quota delle persone in condizioni di povertà è scesa da più di un terzo a meno di un decimo, nonostante nel frattempo la popolazione sia cresciuta da poco più di 5 miliardi a circa 7,7. La globalizzazione è stata un fattore determinante di questo progresso.

4. L’impatto economico del coronavirus sarebbe stato inferiore in un mondo meno globalizzato?
Il costo economico del coronavirus dipende da due ordini di ragioni. In primo luogo, c’è un costo diretto legato alle misure di contenimento adottate nei paesi toccati dal virus: come per quanto riguarda la sospensione delle attività economiche nelle regioni italiane colpite, che determina direttamente una riduzione degli scambi.

Nel lungo termine, ancora più rilevante è il fatto che molte filiere produttive, pienamente internazionalizzate, dipendono per alcuni input o prodotti intermedi da imprese cinesi ovvero di altri Paesi interessati dal virus, le quali hanno dovuto sospendere o rallentare le loro produzioni a causa dell’emergenza.

Inoltre, il rallentamento dei consumi cinesi avrà un impatto negativo su tutte quelle imprese che negli ultimi anni hanno esportato i loro prodotti in Cina: è il caso, per esempio, del settore del lusso. Tuttavia, è probabile che – nel medio termine – le imprese riescano ad adeguare i loro processi produttivi, grazie al trasferimento dei loro fornitori tradizionali (o all’apertura di nuovi fornitori) in altri paesi ritenuti meno a rischio. Sarà in ogni modo un processo complesso e costoso.

5. Di fronte ai repentini aumenti dei prezzi di molti beni, lo Stato dovrebbe intervenire per imporre dei prezzi giusti?
Nei giorni scorsi, visto l’improvviso (e non del tutto anticipato) aumento della domanda di beni quali mascherine e disinfettanti, diversi rivenditori hanno aumentato i prezzi di vendita. Questo ha scatenato proteste e accuse di sciacallaggio. In realtà, si tratta di una normale reazione del mercato a uno shock dal lato della domanda: a fronte di un’offerta limitata nel breve termine, e di una domanda che cresce all’improvviso, i prezzi non posso che aumentare. Questo è un fenomeno positivo, per tre ragioni: i) l’aumento dei prezzi indurrà persone che non hanno un’effettiva urgenza di questi prodotti a rinunciare all’acquisto, lasciando così alcune disponibilità per chi veramente ne ha bisogno; ii) la domanda di alcuni prodotti (come le mascherine) non deriva da una vera necessità di misure igieniche, ma riflette in realtà il panico che si sta diffondendo (le massime istituzioni sanitarie, cioè l’Oms e il Ministero della salute, non raccomandano l’uso della mascherina se non si è infetti o a contatto diretto con persone infette), quindi l’aumento dei prezzi fa sì che quelle risorse non vengano “sprecate” finendo in mano a persone che non ne hanno bisogno; iii) i maggiori prezzi sono un segnale importante attraverso cui il mercato “chiede” maggiori quantitativi di quei prodotti. È ragionevole quindi aspettarsi che, attratti dai maggiori margini, i produttori di disinfettanti, mascherine, ecc. aumenteranno la produzione, soddisfacendo la domanda e riportando i prezzi a un livello “normale”. È importante che la politica non interferisca con questo meccanismo: politiche come il controllo dei prezzi generano infatti scarsità, come aveva capito benissimo Alessandro Manzoni, nel XII capitolo dei Promessi Sposi.
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:22 pm

Basta con la propaganda cinese in salsa italiana
Lorenza Formicola
21 marzo 2020

https://www.nicolaporro.it/basta-con-la ... -italiana/

Eccoci, all’alba del 2020 sappiamo che la dittatura del futuro sarà sanitaria. In nome della salute, abbiamo già imparato, è possibile annullare la libertà, sospendere i diritti più elementari, violare la democrazia, trasformare i DPCM – una forzatura costituzionale – in un normale strumento di governo, imporre il coprifuoco, decomporre la società in atomi, far sognare misure più restrittive, diffondere slogan che tutti ripetono per sentirsi a posto, eliminare il culto: lo stato di paura è da sempre l’ingrediente base per l’affermazione di un sistema totalitario.

Di fronte al terrore della morte, al rischio di contaminarsi, non esiste né opinione né libertà che tenga. E ha ragione Nicola Porro quando dice di “provare orrore nel leggere in prima pagina sul Corriere della Sera: “Questo non è il momento di disquisire di libertà personali”.

“Il mondo nuovo” ci raccontò la distopia basata sulla droga, sulla pace perpetua garantita da un mega-stato globale, dove il contatto umano non esiste più e la realtà è sterilizzata. Huxley scrisse a chiare lettere che tutte le innovazioni del suo romanzo, se gestite con assennatezza, potevano essere auspicabili, se non proprio necessarie. Il Mondo Nuovo è l’Italia di queste ore: spacciata come “civile”, modello di convivenza, è la società vittima dei mezzi di propaganda sottili, invasivi, pervasivi che guarda al comunismo cinese come ad un modello. Quello che fa più male, oltre i bollettini funerei, è la propaganda che questo Paese ha iniziato a montare dal primo giorno, senza scrupoli, senza pietà, stracciando ogni codice deontologico, mortificando l’amor proprio, nell’incapacità di assumersi le responsabilità.

Per primi, proprio da queste pagine, vi avevamo denunciato non solo l’analogia di mistificazioni e menzogne che il regime comunista cinese ha costruito come a Chernobyl per non ammettere di essere fallibile, ma soprattutto l’ideologizzazione perenne di una stampa provinciale, che ha dato eco e forza alla classe politica impegnata a denunciare il pericolo di razzismo, con sorrisetti sornioni e meschini invece di raccontare la verità. Eppure nessuno s’è scusato. Anzi oggi assistiamo alla beatificazione del regime comunista cinese.

Quante volte al giorno sentiamo ripetere che “dovevamo fare come la generosa Cina comunista”?
Quella Cina a cui abbiamo regalato le mascherine e che ce le ha rivendute con eccezionale generosità. Mille ventilatori polmonari e centomila mascherine da parte della Cina sono una fornitura con regolare contratto e quindi è pagato anche il dovuto.
Siamo in piena emergenza e mancano i più essenziali dispositivi di tutela personale, dalle mascherine ai guanti ai medici e infermieri – e non è una leggenda, provate ad intervistarne uno! – e tra le vergognose speculazioni di chi rivende a peso d’oro, abbiamo il tempo di ringraziare la Cina dimenticando del tutto con quali standard produce.

La Cina, infatti, è uno dei maggiori produttori al mondo di macchine e prodotti sanitari, come appunto mascherine e respiratori. E forse ha ragione chi con sicumera, ignoranza e mancanza di misericordia punta il dito sulle tasse: con il particolare che la colpa non è di chi non le ha pagate, ma di chi ha messo alle calcagna degli italiani un cerbero come esattore, tra i più esigenti al mondo in termini di cuneo fiscale, che ha costretto la delocalizzazione e la chiusura di chi produceva ciò che siamo costretti a pagare elemosinando contratti.

“Insieme a mascherine e respiratori polmonari” – che non sono aiuti – “arriveranno dalla Cina anche medici specializzati che hanno affrontato per primi il picco dell’emergenza Coronavirus“. È la seconda vittoria della propaganda di Pechino, a cui l’Italia s’è piegata. Tutto gira intorno alla finta benevolenza cinese. E gli italiani si sentono rincuorati: la Cina che sorregge l’Italia, insomma un capolavoro aberrante di comunicazione. “Ci ricorderemo di chi ci ha aiutato come ha fatto la Cina. Noi abbiamo dimostrato solidarietà verso il governo cinese colpito da pregiudizio e razzismo e ora loro ricambiano”, dice Giggino Di Maio. Poverino, che ne sa lui sono i cinesi. E non lo sanno gli italiani che plaudono. Non lo sanno i giornalisti servi di partito. Non lo sanno gli italiani che affacciati al balcone intonano l’inno cinese.

Non lo sanno che Pechino ha mentito sul primo caso che risale al 17 novembre, secondo i documenti governativi visionati dal South China Morning Post: quanti mesi di menzogne! Il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America, Robert O’Brien, lo aveva detto: “Se avessimo potuto sequenziare il virus e avere la cooperazione necessaria dalla Cina, se i team dell’Oms e il Cdc Usa fossero stati sul campo, avremmo potuto ridurre drasticamente quello che è successo in Cina e accade nel mondo. La Cina non ha gestito nel modo giusto l’epidemia di Coronavirus, mettendo a tacere i medici coinvolti, con una risposta che “probabilmente è costata alla comunità internazionale due mesi preziosi”.

Da quando ha assunto l’incarico supremo nel 2012, Xi Jinping ha continuato a rafforzare il suo potere personale e la supervisione della popolazione da parte del Partito Comunista, in un ritorno all’autoritarismo maoista. E chi elogia la Cina finge di non sapere il martirio del dottor Li Wenliang che ha profondamente scioccato i cinesi: un giovane medico dell’ospedale di Wuhan, epicentro dell’epidemia, molestato dalla polizia per aver debitamente messo in guardia i suoi colleghi sul pericolo del nuovo virus, è morto in circostanze che la stampa cinese ha cambiato a più riprese e che nel frattempo aveva anche contratto il virus. Forse non conoscono la fine misteriosa di Li Zehua per le sue indagini giornalistiche. E probabilmente non ricordano che la Cina ha anche chiuso il laboratorio del Centro di salute pubblica dove lavoravano i ricercatori coordinati dal professor Zhang Yongzhen, che per primo ha isolato e messo a punto la sequenza del genoma del nuovo coronavirus, il 12 gennaio.

Ren Zhiqiang, magnate a Pechino, ha scritto in un saggio pungente che il leader cinese, Xi Jinping, era un “pagliaccio” assetato di potere, e ha sostenuto che i severi limiti del Partito Comunista al potere sulla libertà di parola hanno esacerbato l’epidemia di Coronavirus: è scomparso pochi giorni fa, improvvisamente. Una scomparsa che arriva in una vasta campagna da parte del partito per reprimere le critiche della sua gente. Se da un lato il governo cinese sta lavorando per rappresentare il signor Xi come un eroe che sta portando il paese alla vittoria in una “guerra popolare” contro il virus con tanto di manuali già in libreria, dall’altro i suoi funzionari sono impegnati nella caccia a chi osa criticare il regime in una nuova polizia di internet, che entra nei device degli 800 milioni di utenti web cinesi per controllarne pensieri, parole e ricordi. Chi è trovato colpevole di poca lealtà al regime viene trascinato in ore di interrogatorio, e costretto a firmare impegni di devozione alla causa del governo e a ritrattazioni.

Nel frattempo Pechino ha da poco annunciato che sta revocando le credenziali di stampa dei giornalisti americani che lavoravano per il New York Times, il Washington Post e il Wall Street Journal, espellendoli dalla Cina. Quindi la narrazione della storia sarà solo dalla parte del regime cinese. Non bastavano le intimidazioni e le bugie. Il 13 marzo 2020, Zhao Lijian, il nuovo portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese, aveva osato addirittura sostenere che “l’esercito americano avrebbe potuto portare l’epidemia a Wuhan“, figuriamoci da oggi cosa potranno sostenere.

Chi dice che dovevamo e dobbiamo fare come la Cina, forse non sa neanche del bracconaggio in Africa, della sperimentazione su esseri umani del vaccino ripresa dalle telecamere in una perversa forma di propaganda o del commercio di organi umani espiantati ai condannati a morte. E forse gli italiani non sanno neppure degli ingegneri aerospaziali cinesi, per esempio, che chiedono di prorogare la loro permanenza in Italia per lavoro per stare il più possibile lontani da casa e dal governo di Pechino.



Il grande scrittore e Premio Nobel per la Letteratura, Mario Vargas Llosa, attacca la “Chernobyl cinese” e scrive che se il regime non avesse mentito la pandemia non sarebbe stata così grave. E Pechino cosa fa? Ne censura i romanzi. Un mio articolo sul Foglio.
Giulio Meotti
21 marzo 2020

https://www.facebook.com/photo.php?fbid ... =3&theater

“Il terrore causato da questo virus cinese occupa tutte le notizie”. Bastava questo alla column sul País del grande scrittore peruviano e premio Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa per farne un caso internazionale. Anche senza l’altro affondo: “Nessuno sembra accorgersi che nulla di tutto ciò avrebbe potuto accadere nel mondo se la Cina fosse stata un paese libero e democratico e non la dittatura che è. Un medico prestigioso, forse diversi, hanno scoperto questo virus con largo anticipo, ma invece di prendere le giuste contromisure, il governo ha cercato di nascondere la notizia, ha messo a tacere quella voce e ha cercato di impedire che si diffondesse, come fanno tutte le dittature. Quindi, come a Chernobyl, è stato perso molto tempo”. Poi Vargas Llosa attacca “quegli sciocchi che credono che la Cina, cioè il libero mercato con una dittatura politica, sia un buon modello. Non esiste una cosa del genere: quello che è accaduto con il coronavirus dovrebbe aprire gli occhi al cieco. Il progresso è mutilato finché non accompagnato dalla libertà”.
La reazione del regime di Xi Jinping è stata immediata: “Se il signore Vargas Llosa come figura pubblica non è disposto a collaborare (nella lotta contro l’epidemia, ndr), almeno non diffonda opinioni irresponsabili e piene di pregiudizi che non servono a nulla”. Non solo. Riferisce il País che i libri dello scrittore sono “misteriosamente scomparsi” dalle piattaforme di e-book cinesi. “Gli attacchi del governo di Pechino a Mario Vargas Llosa dovrebbero essere visti per quello che sono: un tentativo di eliminare le giuste critiche sulla loro gestione del coronavirus infangando la critica come diffamazione”, ha detto Suzanne Nossel, a capo del Pen americano. “Ma ora è il momento per dire la verità”. I libri di Vargas Llosa sono scomparsi dalle piattaforme e-book cinesi, come il colosso Taobao. La scrittrice e attivista tibetana Tsering Woeser è stata una delle prime a denunciare il boicottaggio e ha annunciato che si era affrettata a comprare tre romanzi dallo scrittore prima che scomparissero. A proposito di dittatura cinese.
Il dottor Li Wenliang, citato da Vargas Llosa, è il medico di Wuhan che a dicembre aveva lanciato l’allarme sull’epidemia. Avvertì i colleghi, fu convocato dalla polizia, trattenuto e costretto a firmare una sorta di abiura per avere “diffuso false informazioni”. Wenliang è poi rimasto ucciso dal virus. Adesso una commissione del Partito comunista cinese elogia il dottor Wenliang come un medico premuroso che è stato punito in modo improprio per quelli che ora i funzionari cinesi definiscono sforzi ben intenzionati di avvisare gli altri sul virus. La Commissione di vigilanza nazionale ha anche messo in guardia contro i tentativi di celebrare il dottore come un simbolo di resistenza contro il Partito. “Li Wenliang era un membro del Partito comunista, non un personaggio anti establishment”, ha detto la Commissione.
Terrificante. Chi ha letto “Buio a mezzogiorno” di Koestler, i processi di Mosca, le abiure in aula degli imputati, le confessioni firmate alla Lubjanka e poi le “riabilitazioni” post mortem dei Bucharin, dei generali, degli scrittori, dei medici, dei poeti, riconoscerà nell’azione del regime cinese un classico delle peggiori dittature comuniste. “Grazie Cina”? No, grazie.




Chiamiamola polmonite cinese
di Camillo Langone
21 marzo 2020

https://www.ilfoglio.it/preghiera/2020/ ... se-306909/

La si chiami polmonite cinese. Le parole sono le cose. Le parole fanno le cose. Se si dicesse polmonite cinese anziché coronavirus o, peggio ancora, Covid-19, nome da laboratorio occidentale, innanzitutto si direbbe la verità che rende liberi: la malattia viene precisamente dalla Cina. Poi si allontanerebbe il rigiro della frittata: adesso, secondo i cinesi, gli untori siamo noi, e fra poco cominceranno a chiamarla polmonite italiana, danneggiando ulteriormente il nostro settore turistico. Poi ci sarebbero meno ministri ammandorlati, sinizzati, grillini che si sdilinquiscono quando la Cina ci manda per propaganda qualche medico, che buoni, e ci vende qualche mascherina dopo che noi, a inizio emergenza, gliele avevamo regalate. Poi ci sarebbero meno statistici improvvisati, tesserati PCC ad honorem, dediti a confrontare i numeri dei morti italiani, tragicamente veri, con quelli dei morti cinesi, del tutto improbabili. Poi ci sarebbero meno amministratori leghisti, fratellisti e sinistri convertiti al maoismo, entusiasti dell’efficienza cinese, della disciplina cinese, del comunismo cinese capace, armi in pugno e spranghe ai portoni, di seppellire la gente nelle case (qualcuno c’è morto dentro). Basterebbe chiamare polmonite cinese la polmonite cinese. Individuando il vero colpevole finirebbe anche il bisogno, da parte dei politici e dei sudditi, di inventarsi colpevoli, capri espiatori, aggredendo cannibalisticamente ciclisti e podisti...



Cos’è la Via della Seta. Perché USA e UE temono l’accordo Italia-Cina
23 marzo 2019

https://www.valigiablu.it/cina-italia-accordo/

Firmati gli accordi Italia Cina

Dopo settimane di discussioni sono stati siglati gli accordi tra Italia e Cina: 29 intese per un valori di almeno 7 miliardi. A firmare le intese principali, per la parte italiana, è stato il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, per la Cina, il presidente della National Development and Reform Commission, He Lifeng.

Tra le intese istituzionali, i settori di protocolli e memorandum tra ministeri e altri enti pubblici sono essenzialmente tre: la tecnologia, con intese per la collaborazione su startup innovative e commercio elettronico, mentre l'Agenzia spaziale italiana lavorerà con quella cinese ad un satellite per la rilevazioni geofisiche; l'agricoltura, con il protocollo sui requisiti fitosanitari per l'esportazione di agrumi freschi dall'Italia alla Cina e gli accordi su carne suina congelata e seme bovino; la cultura, con l'accordo per la prevenzione del traffico di beni archeologici, la restituzione di 796 reperti alla Cina, e la promozione congiunta dei siti Unesco. Inoltre, è stata firmata un'intesa per eliminare le doppie imposizioni.

Gli accordi tra le aziende sono stati firmati dai manager di Eni, Cdp, Snam e altre importanti realtà economiche italiane e cinesi. Per quanto riguarda i porti, la società cinese CCC investirà in quello di Trieste per potenziare i collegamenti per il Centro ed Est Europa, mentre si prevedono progetti concordati per l'ampliamento dei moli del porto di Genova. Tra i punti dell'accordo, Italia e Cina "esprimono il loro interesse a sviluppare sinergie tra l’iniziativa “Belt and Road”, il sistema italiano di trasporti e infrastrutture - quali, ad esempio, strade, ferrovie, ponti, aviazione civile e porti - e le Reti di Trasporto Trans-europee (TEN-T), di cui fa parte anche TAV Torino - Lione. Congelato l'accordo di ricerca tra Huawei e un Politecnico italiano in riferimento al settore delle telecomunicazioni.

In questi giorni il Presidente cinese Xi Jinping è in visita ufficiale in Italia per firmare il Memorandum di Intesa tra Italia e Cina sulla cosiddetta “Via della Seta”. La visita poi farà tappa nel Principato di Monaco e terminerà in Francia il 26 marzo. Sei giorni che potranno far luce sull’evoluzione della Belt and Road Initiative, il progetto di sviluppo commerciale voluto dal governo cinese per una più profonda integrazione della Cina nell'economia mondiale. Gli Stati membri dell'Unione europea stanno, infatti, discutendo come sviluppare un approccio comune agli investimenti cinesi in Europa tra l’esigenza di bilanciare l’influenza della Cina e il bisogno di investimenti esteri da parte dei paesi europei. Un altro incontro con i rappresentanti di Pechino è previsto per il 9 aprile.

La firma del Memorandum da parte dell’Italia ha suscitato reazioni internazionali e un dibattito su posizioni diverse all'interno della maggioranza di governo. In particolare, il vicepremier Matteo Salvini e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Giancarlo Giorgetti, hanno sottolineato come questo accordo non debba portare a «colonizzazioni da parte della Cina». «Il memorandum per l’accordo italo-cinese sulla Via della seta dovrà sicuramente contenere nobili intenti per migliorare relazioni economiche e commerciali tra Italia e Cina, ma non impegni che possano creare interferenze di ordine strategico per il consolidato posizionamento del Paese», ha dichiarato Giorgetti.

«La Via della Seta è una strada a doppio senso e lungo di essa devono transitare non solo commercio ma talenti, idee, conoscenze e progetti di futuro», ha dichiarato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al termine dell'incontro con il Presidente cinese Xi Jinping, che ha aggiunto che l'obiettivo dell'intesa tra i due paesi è «rafforzare le sinergie tra le rispettive strategie di sviluppo nei settori infrastrutturali, portuali e logistici, nonché dei trasporti marittimi» e che «guardando il mondo ci ritroviamo avanti un cambiamento epocale, la Cina e l'Italia sono due importanti forze nel mondo per salvaguardare la pace e promuovere lo sviluppo. La Cina vuole lavorare con l'Italia per rilanciare lo spirito di equità, mutuo rispetto e giustizia».

Più che per i contenuti la firma dell’intesa potrebbe avere un valore simbolico e politico. Qualora firmasse, l’Italia sarebbe il primo paese del G7 a sostenere ufficialmente il piano di investimento globale cinese noto come "Belt and Road Initiative". Finora sono 68 i paesi che hanno firmato accordi bilaterali con la Cina.

L’ipotesi di una firma del memorandum da parte dell’Italia ha suscitato infatti le reazioni di Stati Uniti e Unione europea. Al Financial Times, il portavoce del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Garrett Marquis ha detto che l’adesione di Roma alla nuova via della seta non aiuterà l’Italia a uscire dalla recessione economica e costituirebbe un danneggiamento della sua reputazione internazionale. «Consideriamo la Belt and Road Initiative come un'iniziativa fatta dalla Cina per la Cina», ha aggiunto Marquis, invitando «tutti gli alleati e partner, compresa l'Italia, a fare pressioni sulla Cina per allineare gli sforzi di investimento globale agli standard internazionali».

Per gli USA, scrive Alberto Prina Cerai in un recente articolo su Pandora Rivista, “la principale minaccia – come ribadisce la National Security Strategy del 2017 – proviene da una rinnovata competizione interstatale, in cui la Cina rappresenta il peer competitor per eccellenza”. Secondo un rapporto del Dipartimento della Difesa degli USA, “l’espansione cinese mirerebbe a «escludere gli Stati Uniti dalla regione Indo-Pacifica» tramite il monumentale progetto infrastrutturale della Belt and Road Initiative, volta ad implementare l’obiettivo strategico del Partito Comunista: fare della Cina «la potenza preminente» del continente eurasiatico”.

Anche l’Unione europea si è detta preoccupata per l’eventuale firma del memorandum da parte dell’Italia in quanto potrebbe rappresentare un avvicinamento alla Cina, e ha chiesto a tutti gli Stati membri di essere coerenti con le leggi e le politiche dell’Ue e di rispettarne l’unità nell’implementarle.

Tuttavia non sono ancora chiari i contenuti del testo che Italia e Cina si apprestano a firmare. Per quanto nei giorni scorsi alcune testate abbiano pubblicato una bozza del Memorandum, il testo dell’intesa resta ancora misterioso, scriveva nei giorni scorsi Simone Pieranni sul Manifesto. “Le bozze circolate non hanno chiarito la reale entità di quali accordi si andranno a firmare. La sensazione è che si firmerà un accordo quadro, «cornice» come ha specificato la settimana scorsa il sottosegretario allo sviluppo Michele Geraci, ricco di grandi intenzioni ma dalla valenza per lo più politica”.

In particolare gli Stati Uniti temono le ripercussioni dell’intesa rispetto all’ambito delle telecomunicazioni, consentendo l’ascesa Huawei, “colosso cinese molto avanti per tutto quanto riguarda il 5G, con tanto di progetti pilota già avviati in Italia”, spiega ancora Pieranni. “L’Italia ha basi Nato e Usa a Napoli, Aviano, Sigonella, se la Cina dovesse avere il controllo sulla rete in Italia le comunicazioni riservate ai Paesi Nato potrebbero essere compromesse”, spiega a Formiche l’esperto di tecnologia militare Mauro Gilli, in merito alle preoccupazioni degli Stati Uniti.

«Non metteremo a repentaglio nessun asset strategico», ha dichiarato Conte dopo un vertice di maggioranza. «Si sta facendo molta confusione. Una cosa è la tutela degli asset strategici, una cosa è la sottoscrizione di un accordo programmatico non vincolante», ha aggiunto il presidente del Consiglio, sottolineando anche che l’Italia «è l’unico paese che ha preteso e imposto, rispetto alla versione originaria del memorandum elaborato dalla parte cinese, principi e regole europee. Allo stesso tempo ci cauteliamo e adotteremo misure, per esempio rafforzeremo la golden power [ndr, "la facoltà di dettare specifiche condizioni all’acquisito di partecipazioni, di porre il veto all’adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all’acquisto di partecipazione"] per rafforzare gli interessi nazionali».


Che cos’è la Belt and Road Initiative

Quella che in questi giorni viene chiamata “via della seta cinese” è in realtà la Belt and Road Initiative (BRI), un progetto – noto anche con il nome di One Belt One Road (OBOR) – di cui aveva parlato nel 2013 in un discorso agli studenti della Nazarbayev University di Astana, in Kazakistan il segretario e presidente del Partito Comunista cinese, Xi Jinping. Il leader cinese aveva parlato di un “progetto del secolo”, “una cintura economica lungo la via della seta”.

BRI è un'infrastruttura internazionale e un progetto di sviluppo commerciale guidato dal governo cinese per perseguire una maggiore cooperazione e una più profonda integrazione della Cina nell'economia mondiale. La “Cintura” (Belt) comprende percorsi di trasporto terrestre che collegano Cina, Europa, Russia e Medio Oriente. La “Strada” (Road) si riferisce alle rotte marittime che dall’Asia arrivano all’Europa settentrionale attraverso Sri Lanka, Pakistan, Medio Oriente, Africa orientale, passando infine per il mar Mediterraneo. In questo contesto, scrivono Shivani Pandya e Simone Tagliapietra su Bruegel, nell'ultimo decennio, società cinesi private e di proprietà statale hanno acquisito partecipazioni in otto porti marittimi in Belgio, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Spagna.
Il progetto prevede infatti la realizzazione di ferrovie, autostrade, porti e oleodotti con la finalità di garantire per la Cina (e, conseguentemente, per tutti i paesi coinvolti lungo il tragitto) un migliore accesso alle sue esportazioni e importazioni. Per l’Italia, scrivono Stefano Riela e Alessandro Gili di ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), i tracciati dei collegamenti via terra e via mare potrebbero avere il loro centro nevralgico proprio nella città di Venezia.

Si tratta di un progetto significativo per la sua dimensione economica e geografica con investimenti per mille miliardi di dollari in oltre 70 paesi che, secondo i dati contenuti nello studio del Parlamento europeo “The new Silk Route – opportunities and challenges for EU transport”, pubblicato nel gennaio 2018, rappresentano oltre il 30% del PIL mondiale, il 62% della popolazione e il 75% delle riserve energetiche conosciute.

Dalla “strategia del filo di perle” alla “nuova via della seta”

Anche se il premier cinese Xi Jinping ha parlato per la prima volta della Belt and Road Initiative nel 2013, la strategia di espansione della Cina (in cinese 走出去战略, Zǒu chūqù zhànlüè, andare fuori) è iniziata alcuni anni prima attraverso la realizzazione di infrastrutture lungo tutto il sud-est asiatico, spiegava Isabel Pepe su Pandora Rivista.

Questa rete di opere era stata definita da alcuni studiosi americani la “Strategia del Filo di Perle” (termine mai utilizzato dalla Cina) per indicare la particolare posizione geografica dei paesi verso i quali il governo cinese aveva fatto investimenti diretti. Secondo questo gruppo di studiosi, la Cina aveva in mente di realizzare rotte su strada e su mare alternative a quelle esistenti in modo tale da potersi permettere un’autonomia energetica, creando una rete di collegamenti con basi (anche militari) nei porti.

La crescita esponenziale dell’economia cinese avvenuta in quegli anni aveva incrementato la richiesta di risorse energetiche facendo diventare la Cina un importatore di petrolio e la possibilità di blocchi o limitazioni al transito delle navi allo stretto di Malacca, lo stretto di Hormuz e il Canale di Suez da parte dei paesi che ne detengono la giurisdizione rappresentavano una minaccia per il flusso energetico cinese. Per questo motivo, prosegue Pepe nella sua ricostruzione, a partire dal 2001, con il finanziamento del rinnovamento del porto di Gwadar, in Pakistan, la Cina ha iniziato questa strategia che le garantisse una maggiore stabilità nelle aree di transito delle merci via terra e via mare.

Nel 2002 è stato lanciato, sempre in Pakistan, un progetto per la costruzione di un porto di acque profonde per l’attracco di navi container di dimensioni maggiori che diventasse il punto di approdo per le navi provenienti dallo stretto di Hormuz e lo sbocco diretto al mare delle regioni occidentali cinesi. Successivamente è toccato al porto di Hambantota nello Sri Lanka, mentre con la Birmania, dove la Cina voleva assicurarsi il controllo del Golfo del Bengala, è stato siglato un accordo per la costruzione di una grande oleodotto che unisse il porto di Kyaukpyu alla città di Kunming, nella provincia della Yunnan, dove si trovano le maggiori raffinerie cinesi. Grazie alla realizzazione di questa infrastruttura la Cina avrebbe potuto incrementare l’importazione di petrolio di 22 milioni di tonnellate all’anno.

È in questo contesto che si è inserita la Belt and Road Initiative, attraverso la quale la Cina punta ad abbracciare tutto il mondo in un’unica “cintura”, aumentando la propria presenza nel Mediterraneo fino ad arrivare all’Artico, rotta ritenuta da Pechino indispensabile per poter raggiungere il Centro e Nord Europa. Durante il Forum per la cooperazione internazionale della BRI, svoltosi a Pechino nel maggio 2017, Xi Jinping ha reso noti i dettagli di un progetto che, in quel momento, coinvolgeva 65 paesi interconnessi tra di loro, che rappresentano il 70% della popolazione mondiale, e prevedeva un budget complessivo tra i 1000 e i 1400 miliardi di dollari e un volume di merci scambiate pari a 913 miliardi.

La logica seguita, spiegava Politico in un articolo dello scorso anno, è quella del “divide et impera”. In pratica la Cina stringe accordi bilaterali con quei paesi – soprattutto nell’Est Europa – che hanno forte bisogno di infrastrutture ma non hanno le risorse sufficienti per poterle realizzare acquisendo partecipazioni azionarie nella gestione delle stesse. In particolare ci sono stati forti investimenti in Repubblica Ceca, Grecia e Ungheria.

Nel 2016 COSCO (China Ocean Shopping Company) ha acquisito il 51% della Port Authority del Pireo in Grecia con un investimento di 280,5 milioni di euro (percentuale destinata a crescere fino al 67% se la compagnia cinese investirà altri 88 milioni di euro), ha partecipato alla joint venture Euro-Asia Oceanogate che ha acquisito per 790 milioni di euro il Kumport terminal di Ambarli a Istanbul in Turchia, e per il 20% a quella che gestisce il Suez canal container terminal. Nel giugno 2017 è stato acquisito il 51% della società proprietaria del terminal di Bilbao e Valencia, in Spagna.

Questi importanti investimenti testimoniano che la Cina considera strategiche le regioni dell'Europa meridionale e orientale. Dal 2008, quando è avvenuta l’acquisizione del porto del Pireo, il traffico portuale è cresciuto del 300%, diventando uno dei più importanti d’Europa e finendo con l’attrarre grandi aziende come Hewlett Packard (HP), Hyundai e Sony che hanno deciso di aprire i centri logistici in Grecia e di utilizzare il porto come principale centro di distribuzione per le spedizioni verso l'Europa centrale e orientale e l'Africa settentrionale.

In questo contesto, l’Italia ha una posizione strategica per le navi commerciali che transitano nel Mediterraneo, in particolare per quanto riguarda i porti di Genova, Trieste e Venezia. Proprio il porto di Trieste, spiega ISPI, fa parte del progetto Trihub, nell’ambito di un accordo quadro tra UE e Cina per promuovere reciproci investimenti infrastrutturali. Inoltre, la China Merchants Group potrebbe realizzare nuovi investimenti nel porto triestino, mentre CCCC potrebbe impegnarsi nella realizzazione di una banchina alti fondali a Venezia investendo circa 1,3 miliardi di euro. Altri 10 milioni di euro sono stati investiti dalla China Merchant Group nel porto di Ravenna allo scopo di farne l’hub europeo dell’ingegneria navale.

Accanto alla rete di porti nel mondo il progetto cinese prevede la “Cintura” (la Belt), vale a dire la creazione di corridoi commerciali via terra che, passando per l’Africa, colleghino la Cina all’Europa, collaborando al potenziamento e rifacimento di tratti già esistenti di ferrovie e autostrade.

A est, in Pakistan, è prevista la realizzazione di un’autostrada di 700km e di una linea ferroviaria per il trasporto delle merci su rotaie. Tra India, Bangladesh e Myanmar l’obiettivo è quello di riportare alla luce l’antica Stilwell Road, utilizzata durante la Seconda Guerra Mondiale, dai convogli militari statunitensi e britannici per arrivare in Cina. In Russia è stato siglato un accordo tra Gazprom e il governo per la realizzazione di un gasdotto.

A ovest, il centro degli investimenti sono innanzitutto i Balcani. Nel 2010 Pechino e Belgrado hanno stipulato un accordo per costruire un nuovo ponte autostradale sul Danubio, inaugurato nel 2014, che collega Salonicco a Salisburgo.

Per sostenere una tale quantità di investimenti, alla fine del 2015, è stata creata una banca di investimento – la Asian Infrastructure Investment Bank, con un capitale di 100 miliardi di dollari proveniente da 93 Stati, tra cui anche l’Italia che partecipa con una quota di 2,5 miliardi. Finanziamenti sono stati erogati anche da altre banche come la Industrial and Commercial Bank of China, China Costruction Bank, Agricultural Bank of China, l’Asian Development Bank e la Bank of China. È stato istituito, inoltre, il Fondo della Via della Seta e, nel 2016, la China Development Bank ha fornito 12,6 miliardi di dollari in finanziamenti a progetti BRI.

La proposta dell’Unione europea

A settembre 2018 l’Unione europea ha presentato la sua proposta di collegamento tra Europa e Asia – "Connessione Europa-Asia – Elementi essenziali per una strategia dell'Ue” – approvata dopo neanche un mese dal Consiglio in vista del dodicesimo summit Asia-Europa (ASEM), che si è tenuto il 18 e 19 ottobre dello scorso anno.

Attraverso la realizzazione di una rete trans-europea, l’Ue vuole innanzitutto contrastare questa logica di “divide et impera”, chiedendo ai paesi europei di non stringere accordi bilaterali ma di lasciare all’Unione europea a 27 la negoziazione con partner strategici (tra cui la Cina) per definire congiuntamente quali progetti realizzare e come realizzarli.

Per quanto concettualmente diversi, spiegano Stefano Riela e Alessandro Gili di ISPI, “è difficile pensare che non ci sia una cooperazione tra Ue e Cina”. Un coordinamento tra i due paesi è necessario “per evitare duplicazione di opere e comunque un’integrazione tra BRI e la rete TEN-T con la sua estensione a Oriente per dimensionare i tracciati in maniera tale da evitare colli di bottiglia che potrebbero richiedere anni prima di un loro effettivo potenziamento”.

Nello scontro tra USA e Cina, aggiungono Alessia Amighini, Giulia Sciorati e Alessandro Gili in un approfondimento su ISPI, l’Europa potrebbe limitarsi a un ruolo di osservatore o interlocutore esterno, oppure potrebbe schierarsi apertamente con gli Stati Uniti. Proprio per la sua storica alleanza con Washington, proseguono i tre ricercatori, l’UE potrebbe esercitare un compito di mediazione, mostrando a entrambi i contendenti che le prospettive di uno scontro frontale a lungo termine sono negative. Da questo punto di vista, la cooperatazione tra Italia e Cina “potrebbe porre Roma nella posizione di agire come canale per l’instaurazione di una relazione europea collettiva e unica con Pechino”.
Le relazioni tra Italia e Cina

La visita del Presidente Xi Jinping arriva dopo una serie di incontri bilaterali, accordi informali e gruppi di lavoro tra rappresentanti dei governi italiani e cinesi che hanno contribuito a costruire la cooperazione tra i due paesi. Negli ultimi cinque anni, scrive ISPI, le relazioni tra Italia e Cina hanno registrato una tendenza positiva.

La Cina è il quarto mercato verso il quale l’Italia esporta di più dopo Unione europea (55,5%), Stati Uniti (9,1%) e Svizzera (4,6%): il 3% del totale esportato dall’Italia nel 2018 (pari a circa 13,7 miliardi di euro) è andato infatti verso il paese asiatico. Per quanto riguarda le importazioni, la Cina è seconda solo all’Ue con il 7,1% del totale importato dall’Italia, pari a 30,78 miliardi di euro nel 2018.

In ambito europeo l’Italia è il terzo importatore dopo Germania e Regno Unito e quarto esportatore dopo Germania, Regno Unito e Francia. Tra il 2000 e il 2018, “l’Italia è stata tra i primi Paesi destinatari delle acquisizioni cinesi, insieme a Gran Bretagna e Germania. Mentre in Italia sono stati destinati 15,3 miliardi di euro, in Gran Bretagna e in Germania sono arrivati rispettivamente 22,2 miliardi e 46,9 miliardi”.

Cosa accadrà?

È difficile riuscire a capire quali saranno gli scenari futuri. In Cina si parla anche di una seria riflessione sull’intero progetto a causa del mutato contesto economico cinese, profondamente diverso rispetto al 2013 quando si iniziò a parlare della Belt and Road Initiative. All’epoca, le riserve in valuta estera di Pechino erano quasi quattro trilioni di dollari e l’idea fu di utilizzare quell’eccesso di liquidità in questa mastodontica operazione.

Dopo il lancio di 6 anni fa e l’immediato entusiasmo scaturito in tutto il mondo e non solo in Cina, spiega Simone Pieranni, “cominciano ad affiorare dubbi sulla tenuta del progetto voluto da Xi Jinping. (...) Nel corso degli ultimi tempi gli intoppi del progetto non sono stati pochi e hanno tutti a che vedere con le situazioni politiche di alcuni paesi che – da entusiasti per il progetto – hanno finito per minare la base di alcuni accordi prestabiliti. I casi più eclatanti sono quelli della Malaysia, del Pakistan, del Myanmar, dello Sri Lanka e delle Maldive. In questi paesi il cambiamento al vertice politico, o il mutare di equilibri politici dati, ha portato alla messa in discussione dei progetti cinesi, precedentemente approvati. Secondo alcuni analisti questi sono tutti segnali negativi”.

In un articolo pubblicato su Asia Nikkei Review, Minxin Pei, professore al Claremont McKenna College, scrive che i segnali sembrano portare a un disimpegno della Cina dal mega progetto: “La macchina della propaganda ufficiale, a pieno regime per diffondere i risultati della BRI non molto tempo fa, di recente ha abbassato il volume. (...) Se teniamo traccia delle storie dei Bri nei media ufficiali cinesi nel 2019 e confrontiamo la copertura con gli anni precedenti, dovremmo avere un quadro più chiaro su dove è diretta la BRI. Con ogni probabilità, assisteremo a un significativo declino delle pubblicità ufficiali dei media cinesi a favore della Bri. È anche una scommessa sicura che il finanziamento di Pechino per i Bri diminuirà in modo misurabile quest’anno e nei prossimi anni”.

Tuttavia, prosegue Pieranni, citando l’articolo di Minxin Pei, non si tratterà di uno stop definitivo al progetto ma di una sua ridefinizione “su scale più abbordabili per la Cina del 2019 rispetto alla Cina del 2013”.



Il dominio cinese sull’Europa mascherato dall’aiuto umanitario
Domenico Letizia
23bmarzo 2020

http://www.opinione.it/politica/2020/03 ... erzi-cctv/

“Siamo venuti per ricambiare gli aiuti ricevuti”, ha dichiaro il presidente della Croce Rossa cinese, Yang Huichuan, che ha guidato il team di medici ed esperti giunto dalla Cina con un carico di “aiuti”. “Con noi abbiamo portato 31 tonnellate di materiali, tra cui macchinari per la respirazione, tute, mascherine e protezioni, oltre ad alcuni medicinali antivirus e campioni di plasma”, hanno ribadito le autorità cinesi giunte nel nostro paese. Impressionante il post pubblicato sul profilo Facebook dell’ambasciata cinese in Italia: “Il Governo cinese è pronto a fare la sua parte in segno di profondo ringraziamento verso l’Italia che ha aiutato il Paese nel momento del bisogno”.

Grazie all’Italia e alla complicità di altri paesi in Europa, uno dei regimi più spietati al mondo, che applica la pena capitale e vende organi umani ai ricchi del pianeta, appare come il salvatore della patria e della salute dei cittadini. La Cina vuole mostrarsi come il campione vittorioso sul Covid-19, mettendo a disposizione “la sua esperienza”, “i suoi materiali sanitari e i suoi dottori” al mondo, mentre in Cina il virus, dichiarano, è oramai debellato. Le organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani continuano a ricevere notizie di alcune province del nord e dell’est del Paese asiatico dove vi sono casi di nuovi contagi, che non appaiono nelle statistiche ufficiali e le autorità cinesi continuano a raccontare la favola di aver sconfitto tutto.

Intanto, le istituzioni italiane, e molti cittadini, dimenticano la gravità di questa epidemia, taciuta già a novembre dalla Cina e fino alla fine di gennaio, minacciando e facendo sparire chiunque osi mettere in guardia dal pericolo imminente. Il caso di Li Zehua, blogger ed ex giornalista cinese della Cctv che ha documentato l’assenza di trasparenza e la propaganda del Partito comunista cinese nella gestione dell’emergenza del Covid-19 e di cui da giorni non si hanno più tracce, riaccende i riflettori sulla manipolazione e sulla falsificazione dell’informazione da parte del governo cinese, ma tali notizie non sono diffuse sulla stampa nazionale e dalla nostra classe politica che continua ad osannare il miracolo e la perfezione cinese. Decisioni che pagheremo care. Dalla Sars in poi la Cina ha nascosto, censurato e truccato i dati sulla sanità pubblica, impedendo di reagire in tempo grazie al suo dominio delle agenzie Onu. “E’ triste, oltre che incredibile, pensare che l’Italia sia stata il primo Paese in Europa ad aprire l’intero continente alla Via della Seta e alla dominazione economica, politica e strategica cinese.

Stupisce, inoltre, che all’indomani di un’immensa crisi sanitaria di origine cinese, nessuno da Roma abbia lontanamente suggerito agli “amici” a Pechino di fornire all’Italia e all’Europa tutti i dati e le informazioni rilevanti per contenere il contagio”, ha scritto in un articolo, pubblicato dalla rivista Formiche, l’ambasciatore Giulio Terzi, già ministro degli Esteri. Appelli che restano inascoltati, per l’emergere della propaganda del regime di Pechino e con il beneplacito e lasciapassare dell’attuale esecutivo in Italia. In un clima di emergenza nazionale come quello che viviamo, sarebbe opportuno non farci prendere in giro da Pechino, ma purtroppo il diritto alla conoscenza viene nuovamente negato ai cittadini. La Cina pretende di investire per acquisire il pieno controllo di reti strategiche nell’energia, trasporti, economia digitale in Europa e in America, ma vieta gli investimenti stranieri nelle stesse reti in Cina; Pechino esige che Huawei entri nel nostro 5G, una dimensione che aumenta di mille volte la potenza di internet, per dominare la gestione e il flusso dei nostri dati, ma blinda rigorosamente tutto il cyberspazio cinese alle società di telecomunicazioni europee e americane.

Un quadro della situazione viene fornito dall’organizzazione non governativa “Freedom House”, nel rapporto annuale sullo stato della libertà di Internet “Freedom on the Net 2018”, che sui 65 paesi valutati ha piazzato la Cina all’ultimo posto. Pechino pretende in ogni campo del mondo “diritti esclusivi” e il Governo italiano, più di ogni altro Governo europeo, si precipita a darli. Il paese modello della violazione dei diritti umani e dello stato di diritto è elogiato dalla nostra oramai barcollante democrazia.

Tentiamo di comprendere il “modello cinese”. Uno dei pilastri su cui poggia il raccapricciante regime comunista cinese è l’espianto forzato e illegale di organi da persone appartenenti a gruppi etnici o religiosi perseguitati. Talvolta al momento dell’espianto i prigionieri sono ancora vivi. Autorevoli voci che hanno denunciato tali soprusi quali David Matas, avvocato per i diritti umani di fama mondiale, autore e ricercatore che vive a Winnipeg, in Canada, David Kilgour, già ministro del governo canadese, parlamentare, pubblico ministero, avvocato, autore, giornalista e difensore dei diritti umani e Antonio Stango, presidente della Federazione italiana diritti umani (Fidu) sono tra coloro che inascoltati descrivono la realtà di tale modello. Il prelievo di organi è pianificato dai militari, le vittime sono per lo più criminali condannati a morte e innocenti praticanti del Falun Gong.

Centinaia di migliaia di praticanti sono stati imprigionati illegalmente nel vasto sistema carcerario cinese, dopo che il regime comunista ha lanciato una campagna persecutoria su scala nazionale contro di loro nel 1999. A quel tempo, il numero dei praticanti era di circa 70-100 milioni e da allora vengono brutalmente perseguitati ancora oggi. Questo è il “modello” che le istituzioni italiane continuano ad elogiare, senza mai richiamare l’attenzione internazionale sulla violazione dei diritti fondamentali e la persecuzione che le minoranze ricevono in Cina. Il virus ha cancellato decenni di battaglie per i diritti umani, ergendo il modello cinese ad esempio per l’intero globo. Ridisegnare la geopolitica dell’Europa, della nostra penisola e del suo rapporto con l’Occidente è l’obiettivo di molti protagonisti dell’attualità. Addio alla liberal-democrazia, addio alla difesa dello stato di diritto, dei diritti umani e del diritto alla conoscenza.

L’attualità geopolitica vuole l’emergere di nuovi legami con i dispotismi, dipingendo il protagonismo cinese come salvezza del mondo. Un disegno geopolitico che sembra aver avuto il suo effetto sperato. Nessuno che osi mettere in discussione la messianica Cina e la voglia del regime di fare affari, anziché beneficenza, avendo a disposizione alcune delle migliori aziende di prodotti sanitari del mondo. L’applicazione concreta e morale della “Via della seta”, dimenticando che i principi democratici si reggono sul rispetto dei diritti del cittadino, della stampa e delle libertà civili, quelle libertà che la Cina soffoca nel sangue, applicando spesso la pena capitale per chi osa dissentire all’autorità imposta.


Coronavirus: La campagna di propaganda della Cina in Europa
Soeren Kern
24 marzo 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/15794 ... c.facebook

Non è ancora chiaro se l'opinione pubblica europea, che deve sopportare il peso delle sofferenze causate dall'epidemia, sarà altrettanto facilmente disposta a trascurare la cattiva condotta delle autorità cinesi.

"Questa è un'operazione di propaganda che nasconde varie verità. La prima, e la più importante, è che il colpevole di questa pandemia è il regime cinese. Non occorre nessuna teoria cospirazionista per evidenziarlo." – Emilio Campmany, Libertad Digital, 3 marzo, 2020.

"La Cina vuole trarre vantaggio da questa calamità per strappare la leadership globale agli Stati Uniti. Sarà il Paese comunista che fornirà i farmaci più efficaci per combattere il virus. Scoprirà il vaccino prima di chiunque altro e lo distribuirà in tutto il mondo in tempi record. Acquisterà i nostri beni e investirà nei nostri Paesi per salvare le economie. E alla fine, affermerà di essere stato il nostro salvatore." – Emilio Campmany, Libertad Digital, 3 marzo, 2020.

Il 12 marzo, la Cina ha inviato in Italia un team di nove medici cinesi insieme a circa 30 tonnellate di materiale sanitario con un volo organizzato dalla Croce Rossa cinese. Nella foto: Il 14 marzo, a Roma, Francesco Vaia, direttore sanitario dell'ospedale Spallanzani (a destra) parla accanto ai membri della delegazione di medici cinesi. (Photo by Andreas Solaro/AFP via Getty Images)

Il governo cinese ha accelerato la fornitura di aiuti sanitari all'Europa, che è diventata l'epicentro della pandemia di coronavirus scoppiata nella città cinese di Wuhan. La generosità sembra essere parte di una campagna di pubbliche relazioni voluta dal presidente cinese Xi Jinping e dal suo Partito comunista per sviare le critiche mosse alla loro responsabilità per l'epidemia letale.

La campagna di Pechino come benefattore globale potrebbe sortire risultati in Europa, dove leader politici compiacenti da tempo hanno notoriamente paura di inimicarsi il secondo partner commerciale dell'Unione Europea. Non è ancora chiaro se l'opinione pubblica europea, che deve sopportare il peso delle sofferenze causate dall'epidemia, sarà altrettanto facilmente disposta a trascurare la cattiva condotta delle autorità cinesi.

In quella che può essere considerata un'umiliazione geopolitica, Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, il braccio amministrativo dell'Unione Europea, che si autodefinisce come "l'economia più grande del mondo", ha elogiato la Cina comunista per aver donato al blocco una quantità insignificante di attrezzature mediche. Il 18 marzo la Von der Leyen ha twittato:

"Ho parlato con il primo ministro cinese Li Kequiang, il quale ha annunciato che la Cina fornirà due milioni di mascherine chirurgiche, 200 mila mascherine N95 e 50 mila kit per i test. A gennaio, l'UE ha aiutato la Cina donando 50 tonnellate di materiale. Oggi siamo grati per il sostegno della Cina. Abbiamo bisogno di sostenerci a vicenda nei momenti di bisogno".

L'Unione Europea non è stata in grado di fornire una valida assistenza all'Italia, il terzo membro più grande del blocco, che è stato particolarmente colpito dal virus. Dopo che la Germania, il più potente Paese membro dell'UE, aveva vietato l'esportazione di dispositivi di protezione medica al fine di evitare la propria carenza di scorte di mascherine, di guanti e di tute, è intervenuta la Cina.

Il 12 marzo, Pechino ha inviato in Italia un team di nove medici cinesi insieme a circa 30 tonnellate di materiale sanitario con un volo organizzato dalla Croce Rossa cinese. Il presidente nazionale della Croce Rossa italiana, Francesco Rocca, ha dichiarato che la fornitura "ha mostrato il potere della solidarietà internazionale". E ha aggiunto:

"In questo momento di grande tensione e di grande difficoltà, siamo sollevati dall'arrivo di queste forniture. È vero che saranno solo un aiuto temporaneo, ma sono importanti. Abbiamo un disperato bisogno di queste mascherine in questo momento. Abbiamo bisogno di respiratori che la Croce Rossa donerà al governo. Si tratta sicuramente di un'importante donazione per il nostro Paese".

Negli ultimi giorni, la Cina ha inoltre inviato aiuti a:

Grecia. Il 21 marzo, un aereo dell'Air China che trasportava 8 tonnellate di attrezzature mediche – tra cui 550 mila mascherine chirurgiche e altro materiale come dispositivi di protezione, occhiali, guanti e copriscarpe – sono arrivate all'aeroporto internazionale di Atene. L'ambasciatore cinese in Grecia, Zhang Qiyue, ha parafrasato Aristotele dicendo: "Cos'è un amico? Una singola anima che vive in due corpi". E ha asserito che "i momenti difficili rivelano i veri amici" e che la Cina e la Grecia "lavorano a stretto contatto nella lotta contro il coronavirus". E questo "conferma ancora una volta gli eccellenti rapporti e l'amicizia tra i due popoli".
Serbia. Il 21 marzo, la Cina ha inviato a Belgrado sei medici specializzati, ventilatori e mascherine mediche per aiutare il Paese balcanico ad arginare la diffusione dell'infezione da Covid-19. "Un sentito ringraziamento al presidente Xi Jinping, al Partico comunista cinese e al popolo cinese", ha detto il presidente serbo Aleksandar Vucic. L'ambasciatore cinese a Belgrado, Chen Bo, ha dichiarato che gli aiuti sono un segno dell'"amicizia di ferro" tra i due Paesi. L'agenzia di stampa cinese Xinhua ha riportato che ""il presidente Xi attribuisce grande importanza allo sviluppo delle relazioni tra la Cina e la Serbia, e ritiene che attraverso la lotta congiunta contro l'epidemia la comprovata amicizia tradizionale tra i due Paesi otterrà un maggiore sostegno da parte della loro popolazione, e la partnership strategica globale si rafforzerà e raggiungerà un livello più elevato.
Spagna. Il 21 marzo, il fondatore e il presidente del colosso tecnologico cinese Huawei, Ren Zhengfei, ha donato un milione di mascherine. Sono arrivate all'aeroporto di Saragozza, nella parte nordorientale della Spagna, e saranno conservate in un magazzino di proprietà del gigante del tessile spagnolo, Zara. La catena di abbigliamento metterà a disposizione del governo spagnolo la sua capacità logistica. Questa fornitura potrebbe essere la prima di molte altre, dal momento che decine di fornitori cinesi che lavorano da anni con Zara si sono detti disposti a inviare materiale. Gli Stati Uniti hanno avvertito la Spagna in merito al rischio per la sicurezza insito nell'apertura delle sue reti di comunicazione di quinta generazione ai fornitori cinesi di tecnologia mobile, tra cui Huawei.
Repubblica Ceca. Il 21 marzo, un aereo cargo cinese che trasportava 100 tonnellate di forniture mediche dalla Cina è atterrato all'aeroporto di Pardubice, una città situata a 100 km ad est di Praga. Il 20 marzo, un aereo cinese con un milione di mascherine è arrivato nel Paese, che pare abbia ordinato a Pechino altri 5 milioni di respiratori insieme a 30 milioni di mascherine e 250 mila set di indumenti di protezione.
Francia. Il 18 marzo, la Cina ha inviato in Francia, un lotto di forniture mediche, tra cui maschere protettive, mascherine chirurgiche e guanti medici. L'ambasciata cinese in Francia ha twittato: "Uniti vinceremo!" Il giorno seguente, la Cina ha inviato un secondo lotto di forniture. In un tweet dell'ambasciata cinese si legge: "Il popolo cinese è vicino al popolo francese. La solidarietà e la cooperazione ci consentiranno di superare questa pandemia".
Paesi Bassi. Il 18 marzo, China Eastern Airlines, China Southern Airlines e Xiamen Airlines, partner in codeshare di KLM Royal Dutch Airlines, hanno donato 20 mila mascherine e 50 mila paia di guanti. La fornitura è arrivata all'aeroporto Schiphol di Amsterdam su un volo della Xiamen Airlines. "Questi sono tempi estremamente difficili per il nostro Paese e la nostra azienda, pertanto siamo molto felici di questo aiuto offerto a KLM e ai Paesi Bassi", ha dichiarato il Ceo di KLM, Pieter Elbers. "Meno di due mesi fa, KLM aveva fatto una donazione alla Cina e ora venimao aiutati in modo così meraviglioso e generoso".
Polonia. Il 18 marzo, il governo cinese si è impegnato a inviare in Polonia decine di migliaia di dispositivi di protezione e 10 mila kit per i test. Il 13 marzo, l'ambasciata cinese a Varsavia ha patrocinato una videoconferenza durante la quale esperti cinesi e dell'Europa centrale hanno condiviso le loro conoscenze sulla lotta contro il coronavirus. Il ministro degli Esteri polacco Jacek Czaputowicz ha ringraziato la Cina per il sostegno e ha rilevato la necessità di condividere le esperienze nella lotta contro la pandemia.
Belgio. Il 18 marzo, un aereo cargo cinese che trasportava 1,5 milioni di mascherine è atterrato all'aeroporto di Liegi. Le mascherine, da distribuire in Belgio, Francia e Slovenia, sono state donate da Jack Ma, fondatore di Alibaba, un colosso cinese dell'e-commerce, conosciuto come "Amazon della Cina".
Repubblica Ceca. Il 18 marzo, un aereo che trasportava 150 mila kit per i test è atterrato a Praga. Il Ministero della Salute ha sborsato circa 14 milioni di corone ceche per 100 mila kit per i test, mentre altri 50 mila kit sono stati acquistati dal Ministero dell'Interno. Il trasporto è stato fornito dal Ministero della Difesa.
Spagna. Il 17 marzo, un aereo cinese che trasportava 500 mila mascherine è atterrato all'aeroporto di Saragozza. "Il sole sorge sempre dopo la pioggia", ha detto il presidente cinese Xi Jinping al primo ministro spagnolo Pedro Sánchez, affermando altresì che l'amicizia tra Cina e Spagna sarà più forte e i rapporti bilaterali avranno un futuro più luminoso dopo la lotta comune contro il virus. Xi ha affermato che dopo la pandemia entrambi i Paesi dovrebbero intensificare gli scambi e la cooperazione in una vasta gamma di settori.
Belgio. Il 16 marzo, un'altra fornitura di aiuti sanitari donati dalla Jack Ma Foundation e dalla Alibaba Foundation per la prevenzione dell'epidemia in Europa è arrivata all'aeroporto di Liegi.

La rivista Fortune ha spiegato i motivi che si celano dietro l'iniziativa della propaganda cinese:

"Per la Cina, gli aiuti all'Europa fanno parte di un tentativo di riconquistare un ruolo di leadership internazionale dopo una politica di dissimulazione che ha contribuito alla propagazione del virus ben al di là dei confini cinesi. Il governo del presidente Xi Jinping ha cercato di mettere a tacere i critici, compresi i giornalisti e i commentatori online, e altresì di diffondere teorie cospirazioniste sull'origine del virus.

"A livello geopolitico, la Cina tenta di farsi passare per il salvatore dell'Europa al fine di migliorare la sua posizione sulla scena mondiale nonché a litigare con l'amministrazione Trump. La Cina e gli Stati Uniti conducono una lotta per conquistare un'influenza mondiale – questa settimana, Pechino ha espulso più di una dozzina di giornalisti americani – nel tentativo di distogliere l'attenzione dalla gestione dell'epidemia".

In un'intervista al quotidiano britannico Guardian, Natasha Kassam, un'ex diplomatica australiana, ha detto:

"Ora vediamo i dirigenti e i media di Stato cinesi affermare che la Cina ha dato il tempo al resto del mondo di prepararsi a questa pandemia. Sappiamo che la macchina di propaganda cinese è in grado di riscrivere la storia, ma ora constatiamo che ciò sta accadendo anche all'estero. La vittoria della Cina sul Covid-19 è già stata scritta e le autorità stanno lavorando sodo per diffondere questo messaggio all'estero".

In un saggio per la pubblicazione spagnola Libertad Digital, il commentatore Emilio Campmany ha astutamente spiegato:

"L'enorme apparato di propaganda cinese è stato attivato. L'Italia, che, a giusto titolo, si sente abbandonata dall'Unione Europea, è grata per l'aiuto che il paese asiatico le sta dando. Ciò è stato adeguatamente amplificato dai media italiani.

Questa è un'operazione di propaganda che nasconde varie verità. La prima, e la più importante, è che il colpevole di questa pandemia è il regime cinese. Non occorre nessuna teoria cospirazionista per evidenziarlo. È ampiamente riconosciuto che i mercati cinesi di animali vivi rappresentano un pericolo epidemico molto grave. Il regime comunista della Repubblica popolare, che controlla rigidamente ogni aspetto della vita dei cinesi per il loro benessere, non è stato capace di mettere fine all'epidemia. Quando si sono verificati i primi casi, c'è voluto del tempo prima che il Partito comunista così altamente efficiente reagisse e nel frattempo ha mobilitato le sue innumerevoli risorse per insabbiare la verità. Quando non gli è stato più possibile nascondere quello che stava accadendo, il regime è intervenuto duramente e solo in questo modo è riuscito a fermare l'epidemia, non senza prima permettere al virus di diffondersi nel mondo intero.

"La seconda verità è che la brutalità comunista non è necessaria per combattere efficacemente il virus. Risultati infinitamente migliori si possono ottenere con l'intelligenza capitalista, come è stato dimostrato dalla Corea del Sud, che è stata molto più capace della Cina. Per giorni, questo Paese ha dimostrato quanto possa essere prezioso eseguire test di massa. Questo è il modo migliore per ora, ed è incredibile che gli italiani e gli spagnoli ci abbiano messo del tempo a capirlo. Tuttavia, questo ritardo non è una conseguenza del non essere benedetti da due regimi comunisti, ma di essere governati da incompetenti che, nel nostro caso, sono: socialisti e comunisti.

"La Cina vuole trarre vantaggio da questa calamità per strappare la leadership globale agli Stati Uniti. Sarà il Paese comunista che fornirà i farmaci più efficaci per combattere il virus. Scoprirà il vaccino prima di chiunque altro e lo distribuirà in tutto il mondo in tempi record. Acquisterà i nostri beni e investirà nei nostri Paesi per salvare le economie. E alla fine, affermerà di essere stato il nostro salvatore
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Re: Cina e virus

Messaggioda Berto » mar apr 28, 2020 10:23 pm

L'Occidente deve svegliarsi davanti alla duplicità della Cina
Giulio Meotti
31 marzo 2020

https://it.gatestoneinstitute.org/15829 ... Y.facebook

La Cina sta conducendo una duplice guerra d'informazione: una all'estero e un'altra per i propri cittadini, entrambe guidate dalle autorità con in testa il presidente Xi Jinping. Evidentemente, considerano l'Occidente debole e sottomesso. E anche noi.

Il Partito comunista cinese rappresenta la "principale minaccia della nostra epoca", ha detto astutamente a gennaio il segretario di Stato americano Mike Pompeo. In quel momento, il coronavirus si era già diffuso in Cina e nel mondo; il tentativo del Partito comunista cinese di nascondere l'epidemia ha dimostrato che Pompeo aveva più che ragione. "La mia preoccupazione è che questo insabbiamento, questa disinformazione in cui è impegnato il Partito comunista cinese, stia ancora negando al mondo le informazioni di cui ha bisogno in modo che si possano prevenire ulteriori casi o qualcosa del genere", ha aggiunto la scorsa settimana Pompeo.

Secondo uno studio dell'Università di Southampton, se la Cina avesse risposto all'epidemia tre settimane prima, i casi di coronavirus avrebbero potuto ridursi del 95 per cento. In quelle tre settimane, il governo di Pechino era troppo occupato a nascondere la verità. Secondo Steve Tsang, direttore del SOAS China Institute dell'Università di Londra, "è la dissimulazione messa in atto dal Partito comunista cinese nei primi due mesi ad aver creato le condizioni per una pandemia globale".

I leader cinesi, tuttavia, sembravano ossessionati solo dalla sostenibilità del loro regime totalitario, e impazienti di mettere a tacere ogni critica, come hanno fatto in passato. Da gennaio, le prove del deliberato insabbiamento da parte della Cina del Covid-19 a Wuhan sono diventate una questione di dominio pubblico. Il governo cinese ha censurato e arrestato medici e informatori coraggiosi che hanno tentato di dare l'allarme. Uno degli imprenditori più ricchi della Cina, Jack Ma, ha di recente rivelato che Pechino ha nascosto almeno un terzo dei casi di coronavirus.

La Cina è stata in grado di diventare una superpotenza perché ha adottato pratiche economiche dall'Occidente. Nessun altro Paese ha mai conseguito un progresso sociale ed economico così rapido per un periodo di tempo così prolungato. Tuttavia, le speranze riposte dall'Occidente nel mercato cinese hanno altresì alimentato un pericoloso miraggio. Noi in Occidente pensavamo che una Cina modernizzata con un PIL in aumento si sarebbe anche democratizzata e avrebbe imparato a rispettare la trasparenza, il pluralismo e i diritti umani. Invece, il miraggio si è trasformato in un disastro mentre guardavamo la Cina diventare ancor più uno "Stato totalitario".

La natura del regime cinese – il divieto di esercitare la libertà di stampa e di espressione; l'assoluto dominio del Partico comunista sugli attori sociali, religiosi ed economici; le minoranze perseguitate e imprigionate, la libertà di coscienza calpestata – sta contribuendo all'insorgenza di questo disastro sanitario. Il costo, in termini di vite umane e di PIL mondiale, è immenso.

La complicità del governo cinese nella pandemia offre ora un'opportunità all'Occidente per rivalutare i suoi legami con Pechino. Secondo Guy Sorman, un esperto franco-americano di Cina:

"Come utili idioti, non solo abbiamo aiutato il Partito Comunista Cinese a prosperare, ma, peggio ancora, abbiamo rinunciato ai nostri valori umanitari, democratici e spirituali nel farlo".

"È tempo", ha dichiarato l'editorialista americano, Marc A. Thiessen, "di immunizzare la nostra economia e la sicurezza nazionale dalla nostra dipendenza da un regime subdolo".

La Cina sta conducendo una duplice guerra d'informazione: una all'estero e un'altra per i propri cittadini, entrambe guidate dalle autorità con in testa il presidente Xi Jinping. Evidentemente, considerano l'Occidente debole e sottomesso. E anche noi.

La Cina sembra credere di essere in ascesa mentre l'Occidente è in declino. "Ci troviamo in quello che i tedeschi chiamano Systemwettbewerb, una competizione di sistemi tra le democrazie liberali e il capitalismo della Cina, che sta proiettando sempre più la sua pretesa assoluta di potere oltre i suoi confini", ha detto Thorsten Benner, co-fondatore e direttore del Global Public Policy Institute a Berlino. La guerra Fredda con la Russia era più chiara.

"Noi avevamo un antagonista ideologico e della sicurezza che non era un concorrente economico. C'era un muro cinese tra le economie dell'Occidente e dell'Unione Sovietica. Oggi, ci troviamo di fronte a un avversario che è un potente concorrente economico e implicato in maniera complessa nell'economia politica dell'Occidente. Allo stesso tempo, dipendiamo altresì dalla cooperazione con la Cina su questioni transnazionali come i cambiamenti climatici e le pandemie. Il sistema capitalistico autoritario cinese con le sue ambizioni egemoniche è di gran lunga la sfida strategica più difficile che l'Occidente ha dovuto affrontare sinora".

Secondo lo storico Niall Ferguson, "oggi, la Cina rappresenta una sfida economica più grande di quella posta dalla Russia". L'Unione Sovietica non potrebbe mai fare affidamento su un settore privato dinamico, come sta facendo la Cina. In alcuni mercati – come quello della tecnologia – la Cina è già in vantaggio rispetto agli Stati Uniti. E non solo questo: l'economia cinese, la seconda più grande al mondo, è più integrata con l'Occidente di quanto non sia mai stata l'economia sovietica. Il governo monopartitico e totalitario cinese consente maggiori libertà personali, almeno al momento, rispetto all'Unione Sovietica. L'epidemia di coronavirus è, in effetti, in parte una conseguenza della libertà di movimento di cui godono i cittadini cinesi.

La Cina è stata anche in grado di convincere gran parte dell'Occidente che non è un nemico. L'obiettivo di Pechino sembra essere quello di cercare di attirare l'Occidente – e il resto del mondo – nell'orbita economica e ideologica. La Cina ha aperto mercati in Occidente mentre ha offerto alla propria popolazione una sorta di patto col diavolo: rinunciate alle vostre idee e ai vostri principi e godrete di un miglioramento materiale e della sicurezza sociale. Intanto, la Cina è diventata un colosso industriale e tecnologico, un'impresa che l'Unione Sovietica poteva solo sognare.

Consideriamo, ad esempio, il settore farmaceutico. Secondo Yanzhong Huang, senior fellow per la salute globale presso il Council on Foreign Relations, le aziende cinesi forniscono agli Stati Uniti più del 90 per cento dei loro antibiotici, di vitamina C e di ibrufene, oltre al 70 per cento di paracetamolo e al 40-45 per cento di eparina. Gli Stati Uniti non sono mai stati dipendenti dall'Unione Sovietica per questo tipo di prodotti.

In un articolo pubblicato dall'agenzia di stampa Xinhua, uno dei portavoce del Partito comunista cinese, Pechino ha minacciato di bloccare l'esportazione dei prodotti farmaceutici dopo che gli Stati Uniti sarebbero "precipitati nel potente mare del coronavirus". Il pezzo era in realtà titolato "Abbiate coraggio: il mondo deve un ringraziamento alla Cina".

Il conduttore della Fox News, Tucker Carlson, aveva ragione a criticare alcuni membri dell'élite americana accusandoli di aver venduto il loro Paese agli interessi economici cinesi.

I leader cinesi sperano probabilmente che non si possa sfidare una potenza che sta vendendo la maggior parte dei farmaci vitali che consumiamo.

L'Italia, un Paese colpito duramente dalla pandemia di coronavirus della Cina, è ora al centro di una strategica campagna di propaganda cinese. Pechino ha inviato medici e forniture in Italia e in Europa. In Italia, si possono vedere manifesti con su scritto "Forza Cina!" La Cina sta cercando di comprare il nostro silenzio e la nostra complicità. Purtroppo, ciò è già in atto. A febbraio, mentre alcuni esponenti politici italiani (di destra) hanno esortato il primo ministro Giuseppe Conte a mettere in quarantena gli alunni del nord Italia di ritorno dalla vacanze in Cina, le massime autorità politiche italiane erano occupate a cercare di compiacere Pechino. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, e il ministro degli Affari Esteri, Luigi Di Maio, hanno presenziato a un concerto a Roma per "l'amicizia italo-cinese". Il presidente cinese Xi Jinping li ha calorosamente ringraziati.

La Cina non offre il suo aiuto per "solidarietà". Il regime cinese sta cercando di rappresentare se stesso come il salvatore del mondo. All'inizio della pandemia, al governo di Pechino non importava nemmeno della vita della propria popolazione: era troppo occupato a censurare l'informazione.

"Dietro le sue dichiarazioni di solidarietà, la Cina intende acquistare le nostre aziende e infrastrutture in difficoltà", afferma Bild, il principale quotidiano tedesco. L'Italia è stato il primo Paese del G7 a firmare il programma di investimenti globali della Cina, un accordo che a giusto titolo ha destato preoccupazioni negli Stati Uniti. La Cina sembra essere pronta a continuare la propria espansione nell'economia e negli interessi strategici dell'Italia.

Il Partito comunista cinese sembra anche essere in guerra con la libera circolazione delle informazioni a livello internazionale. La recente espulsione di giornalisti americani ha rappresentato la più grave violazione alla libertà di informazione dopo la morte di Mao Zedong. Pechino ha inoltre cercato di addossare la colpa della pandemia agli Stati Uniti, accusando i militari americani presenti a Wuhan di essere all'origine dell'epidemia. Lijian Zhao, portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha postato dichiarazioni in tal senso sui social media cinesi e su Twitter. La crisi del coronavirus è ormai un campo di battaglia per la propaganda cinese.

Il paradosso è che Global Times, un media del Partito comunista cinese, diffonde su Twitter una falsa propaganda anti-americana, che è vietata in Cina. Quanto a Twitter, ha bandito il sito web Zero Hedge per aver pubblicato un articolo che collega uno scienziato cinese alla pandemia di Covid-19. Purtroppo, Twitter ha anche stabilito che la Cina non viola le regole dei social media, diffondendo bugie contro gli Stati Uniti.

Già qualche anno fa, nel 2013, una direttiva segreta del Partito comunista cinese conosciuta sotto il nome di Documento n. 9 chiedeva il rifiuto di sette idee occidentali come "la democrazia costituzionale occidentale", "i valori universali" dei diritti umani, e ancora, le nozioni di ispirazione occidentale per l'indipendenza dei media, la partecipazione civica, il "neoliberismo" favorevole a un mercato privo di regolamentazione e di autorità pubblica e le critiche "nichiliste" in merito al discutibile passato del Partito comunista. Tra gli obiettivi da combattere vi erano le "ambasciate occidentali, i consolati, le attività mediatiche e le organizzazioni non governative". Huang Kunming, capo della propaganda del Partito comunista cinese, attacca "alcuni Paesi occidentali che utilizzano i loro vantaggi tecnologici e le posizioni mediatiche dominanti per spacciare i cosiddetti valori universali". Il ministro cinese dell'Educazione; Yuan Guiren, ex presidente della Normal University di Pechino, ha aggiunto: "Non lasciate mai che nelle nostre classi appaiano libri di testo che promuovono i valori occidentali".

In discorsi e documenti ufficiali, il presidente Xi parla di una lotta tra il "socialismo con caratteristiche cinesi" e le "forze occidentali ostili alla Cina", con le loro idee "estremamente malevoli" di libertà, democrazia e diritti umani. L'Occidente sembra essere diventato un obiettivo. Secondo un nuovo studio dell'International Republican Institute:

"Il Partito comunista cinese (...) utilizza, nel settore economico e in quello dell'informazione, una serie di tattiche che minano le istituzioni democratiche e la prosperità futura di numerosi Paesi in via di sviluppo man mano che cresce la loro dipendenza dalla Cina".

La Cina sa come usare i media occidentali per la propria propaganda. "Il Vaticano e le élite economiche occidentali", ha scritto Michael Brendan Dougherty, "che hanno giocato un ruolo determinante nella vittoria dell'Occidente durante la guerra Fredda, sono stati costretti all'obbedienza dal Partito comunista cinese". Il regime cinese è riuscito là dove il regime sovietico ha fallito. Nel dicembre scorso, una bambina di sei anni a Londra nel preparare i biglietti di auguri di Natale ha trovato all'interno di una di queste cartoline il seguente messaggio: "Siamo stranieri detenuti nella prigione cinese di Shanghai Qingpu, costretti a lavorare contro la nostra volontà. Aiutateci e informate le organizzazioni dei diritti umani". Il capitalismo occidentale è diventato perfino complice della schiavitù cinese.

I marchi occidentali non sono gli unici a temere di "offendere" il Partito comunista. La cultura occidentale si sottopone con zelo all'auto-censura sulla Cina. "L'Occidente è talmente tollerante, passivo, accomodante e ingenuo nei confronti di Pechino", ha dichiarato Liao Yiwu, uno scrittore cinese esiliato a Berlino.

"Gli occidentali guardano la Cina con occhi increduli, sono sedotti come un vecchio davanti a una ragazza. Tutti tremano di fronte agli onnipotenti cinesi. L'Europa mostra tutta la sua debolezza. Non si rende conto che l'offensiva cinese minaccia la sua libertà e i suoi valori".

L'ambasciata della Cina nella Repubblica Ceca finanzia attualmente un corso di studi presso la Charles University, la più prestigiosa del Paese. Numerose università britanniche dipendono in gran parte dagli studenti cinesi; secondo stime prudenti, le loro tasse universitarie ammontano a circa 1,75 miliardi di dollari. L'Australia è ancora più dipendente dai suoi 200 mila studenti cinesi. Se essi tornassero in Cina o se le donazioni cinesi smettessero di affluire, tali atenei perderebbero circa 4 miliardi di dollari.

Le 1.500 filiali dell'Istituto Confucio che il regime cinese ha istituito in 140 Paesi offrono programmi linguistici e "culturali". Tuttavia, secondo Matt Schrader, un analista esperto di Cina che lavora presso l'Alliance for Securing Democracy, questi istituti sono "strumenti di propaganda". Lo scorso mese di ottobre, il Belgio ha espulso il direttore dell'Istituto Confucio di Brussels, Xinning Song, dopo che i servizi di sicurezza lo avevano accusato di spionaggio a favore di Pechino.

Nel 2013, quando l'Università di Sydney ha annullato una conferenza del Dalai Lama nel campus, molti hanno ravvisato in questa decisione dei legami esistenti tra l'università e gli interessi cinesi coinvolti negli sforzi compiuti per vanificare questo evento precedentemente approvato. Il Tibet, l'indipendenza di Taiwan o il dissidente premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo sono argomenti tabù.

Secondo un articolo di Bloomberg, la Cina si sta inoltre infiltrando nella classe politica europea finanziando i partiti politici e invitando dei politici in Cina. Il presidente Xi, portando la sua battaglia ideologica all'estero, ha perfino donato una statua di Karl Marx, in occasione del 200mo anniversario della sua nascita, alla città tedesca di Treviri, luogo di nascita del teorico del materialismo storico e del comunismo.

Non sorprende affatto che Pechino abbia utilizzato le istituzioni multilaterali occidentali a proprio vantaggio. Come ha spiegato Michael Collins del Council on Foreign Relations, il regime cinese ha ampliato la sua presenza nell'Organizzazione Mondiale della Sanità. "I contributi offerti dalla Cina all'OMS sono aumentati del 52 per cento dal 2014 per attestarsi intorno agli 86 milioni di dollari", afferma Collins.

"Ciò è in gran parte dovuto a un incremento da parte della Cina dei contributi fissati che sono basati sulla crescita economica e sulla popolazione di un paese. Tuttavia, la Cina ha altresì aumentato leggermente i contributi volontari, facendoli passare da 8,7 milioni di dollari nel 2014 a circa 10,2 milioni di dollari nel 2019".

Come l'ex Unione Sovietica, la Cina tenta di costruire un enorme apparato di controllo. Lo chiamano la "polizia di Internet". Provate a immaginare la Stasi, la polizia segreta della ex Germania dell'Est, che utilizza i più avanzati sistemi di sorveglianza del mondo: questa è la Cina del 2020.

Le dittature comuniste finiscono sempre per seguire lo stesso copione. Lo scrittore sovietico Boris Pasternak era stato insignito del premio Nobel per Letteratura, ma il regime comunista gli ha impedito di riceverlo. In Cina, il critico letterario, scrittore, poeta e attivista per i diritti umani Liu Xiaobo non ha potuto partecipare alla cerimonia di assegnazione del premio Nobel per la Pace poiché è morto sotto sorveglianza in un ospedale cinese. L'Unione Sovietica aveva dei campi di lavoro forzato proprio come la Cina. Il dissidente cinese Harry Wu, condannato a 19 anni di prigione, ha paragonato i campi cinesi (laogai) ai gulag sovietici e ai campi di concentramento nazisti.

Nell'Unione Sovietica, scrittori, esponenti politici, generali e medici che vennero messi a tacere e giustiziati sotto Stalin, furono in seguito "riabilitati" dopo la sua morte. Il Partito comunista cinese ha appena "scagionato" il dottor Li Wenliang che aveva cercato di lanciare il primo avvertimento sull'epidemia. Li era stato accusato di aver "diffuso notizie false e turbato l'ordine sociale", per poi essere costretto a ritrattare, e poco dopo, è deceduto a causa del Covid-19, all'età di 33 anni. È un vergognoso tentativo da parte delle autorità cinesi di ripulire la loro immagine.

In un editoriale pubblicato dal quotidiano spagnolo El Pais, il premio Nobel Mario Vargas Llosa ha scritto riguardo al coronavirus:

"Nessuno sembra accorgersi che nulla di tutto ciò sarebbe potuto accadere nel mondo se la Cina fosse stata un Paese libero e democratico e non la dittature che è".

Vargas Losa ha poi paragonato la pandemia al disastro di Chernobyl nella Russia sovietica. Entrambe le dittature hanno censurato e messo a tacere le informazioni sulla catastrofe. In risposta, il regime di Pechino non solo ha definito "irresponsabile" lo scrittore peruviano, ma ha anche bandito i suoi libri dalle piattaforme cinesi di vendita on line. Vargas Llosa ha ammonito gli "sciocchi" occidentali a non credere nella Cina, cioè "il libero mercato con una dittatura politica" e che "ciò che è accaduto con il coronavirus dovrebbe aprire gli occhi al cieco".

Ma se la catastrofe di Chernobyl ha portato in parte alla caduta dell'Unione Sovietica, il regime comunista cinese invece potrebbe uscirne rafforzato dalla crisi – soprattutto se, a causa della pandemia di coronavirus, il popolo americano a novembre non potrà sostenere il primo presidente che negli ultimi quarant'anni ha apertamente sfidato la Cina.

Il sogno occidentale di un "rinascimento della nazione cinese" si è trasformato in un incubo globalizzato. Centinaia di milioni di persone nel mondo sono in lockdown; migliaia sono morte; le economie dei Paesi occidentali sono paralizzate, e alcune sull'orlo del collasso. I negozi e le strade vuote sono all'ordine del giorno.

Questo potrebbe essere ciò che gli analisti chiamano "la fine dell'ordine liberale". Oggi, i comunisti cinesi sono più capitalisti che marxisti, almeno a livello dello Stato. Il presidente Xi ha adottato il "leninismo di mercato" – mescolando un'economia gestita dallo Stato con una "forma terrificante di totalitarismo". L'Occidente deve prendere coscienza della duplicità della Cina

Alberto Pento
No, tutto non lo risolverà certamente Salvini, però qualcosa sì, anche se non condivido per nulla con Salvini la sua critica all'Europa, alla Germania e ai paesi nordici e la sua demenziale sovranità monetaria, cavalcata più per propaganda che per fede.
Lucio Chiavegato con cui condivido buona parte delle critiche qui espresse, e il suo PdV risolveranno ancora meno.

Non è certo facile districare il groviglio italiano e anche in Veneto i veneti non sono capaci di dare vita ad una Unità Veneta maggioritaria e compatta, per cui al momento io appoggio quello che mi sembra il male minore necessario che è Zaia e la Lega.



La profezia di Luttwak sul "futuro" della Cina
Roberto Vivaldelli - Lun, 30/03/2020 - 12:19

https://www.ilgiornale.it/news/mondo/ed ... 47700.html

Il politologo statunitense critica l'Italia: "Assurdo lo spettacolo di persone in Europa che abbracciano la Cina, quando i cinesi la rifiutano". E sottolinea: "Il regime cinese cadrà"

Analisti e commentatori si stanno chiedendo in queste settimane quali ripercussioni avrà il coronavirus sul piano geopolitico e sull'ordine mondiale.

Quale potenza ne uscirà più forte? Gli Stati Uniti o la Cina? Secondo il docente di Harvard Stephen M. Walt, oltre a un "arretramento della globalizzazione", il Covid-19 "determinerà lo spostamento del potere da ovest verso est", anche se ciò che non cambierà sarà la natura "natura fondamentalmente conflittuale della politica mondiale". Secondo Foreign Affairs, la Cina sta approffittando degli errori commessi nelle prime settimane dagli Stati Uniti e si presenta come "leader globale nella risposta alla pandemia". Di parere opposto il politologo statunitense, Edward Luttwak, secondo il quale il Covid-19 rappresenta è la "Chernobyl di Pechino" e a uscirne più forti saranno gli Stati Uniti.


Luttwak: "Questa è la Chernobyl del regime cinese"

Come spiega in un'intervista a La Verità, "il regime cinese si è messo molto a rischio. Ha causato l' esplosione della pandemia, non solo mettendo a tacere il medico (Li Wenliang) ma anche insistendo nel procedere con la merenda di 40.000 persone il 19 gennaio a Wuhan: decisioni che sono state prese dal Partito comunista cinese. Il risultato è che - se anche in Italia e nel mondo se ne sono tutti dimenticati - nel mondo cinese (non solo Taiwan, Singapore e Hong Kong, ma anche dentro la Cina) c' è stata - nonostante la censura - una specie di reazione massiccia di disgusto contro il regime" afferma Luttwak. Inoltre, prosegue nell'intervista, poiché il presidente Xi Jinping "ha voluto personalizzare questo regime (invece di fare come il suo predecessore Hu Jintao, che era primus inter pares), è lui che viene condannato. Nonostante la censura automatizzata, si usano caratteri atipici e linguaggio esopico, per dire essenzialmente che Xi Jinping è una figura che deve andar via. Alcuni vogliono farla finita con lui, altri più o meno con il partito. Questa è la Chernobyl del regime cinese".


"La politica americana ha iniziato uno scontro che finirà con la caduta del regime"

Sugli aiuti di Pechino al nostro Paese, Edward Luttwak osserva come i cinesi "mandino i loro aiuti e trovino qualche sciuscià che è disposto a pulir loro le scarpe. Hong Kong, Singapore e Taiwan hanno invece deciso che vogliono avere rapporti magari con il Paraguay, ma non con la Cina se non molto, molto profittevoli. Di unificazione politica non se ne parla, ma anche i rapporti culturali sono malvisti. È assurdo quindi lo spettacolo di persone in Europa che abbracciano la Cina, quando i cinesi la rifiutano". La politica americana, afferma il politologo, "ha iniziato uno scontro politico che finirà con la caduta del regime cinese. Questa è la scelta dei democratici e di tutti, l'amministrazione Trump quindi gode di un consenso totale nella nuova lotta contro la dittatura cinese". Insomma, secondo Luttwak il futuro è a stelle e strisce: il coronavirus frenerà la crescita di Pechino, alimenterà il malcontento interno fino a portare a un probabile cambio di regime. Sarà davvero così?


Gino Quarelo
Magari, bisogna riportare indietro varie attività delocalizzate in Cina e altre rilocalizzarle in India che ha bisogno di aiuto e di crescere. Far crescere l'India significa avere un alleato di oltre un miliardi di persone da contrapporre alla Cina capital comunista e al Pakistan nazimaomettano come pure all'Indonesia nazi islamica.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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