Corona virus dalla Cina e la nostra paura dei cinesi, però non chiamiamolo razzismo e non demonizziamo chi ha paura.
La paura aiuta me non deve far sragionare, anzi deve stimolare sol ad essere prudenti e attenti.
Jie Yang, da 27 anni in Trentino «Ma ora la gente mi respinge»
1 febbraio 2020
https://www.ladige.it/territori/roveret ... eslmn1ICtA
Occhiatacce. Gente che cambia lato della strada quando la vede. Qualcuno addirittura si copre la bocca, con le mani o la manica del giubbotto. Effetto psicosi da Coronavirus. Succede a Rovereto, in Trentino.
Nella città che Jie Yang, cittadina cinese di 47 anni, nata a Lan Zhou (provincia nordoccidentale del Gansu) ha scelto 27 fa anni come sua nuova casa. Prima un viaggio da Pechino organizzato dall’università, dove studiava la lingua italiana. Poi l’arrivo nella città della Quercia, dove trova l’amore di un italiano, si sposa e decide di rimanere e costruirsi una nuova vita. Oggi è traduttrice e mediatrice interculturale e linguistica. Insomma, è il punto di contatto tra la comunità cinese lagarina (in tutto il Trentino sono circa duemila i cinesi stabilmente residenti) e le istituzioni pubbliche, giuridiche e del mondo dell’economia locali. Per questo le sue parole, nei giorni dell’esplodere dell’allarme per il possibile contagio del “virus cinese”, sono tanto più significative: perché rappresentano idealmente la voce dell’intera comunità cinese. «Non mi sono mai sentita così, emarginata e rifiutata» esclama Yang, nel consegnare alla redazione dell’Adige una lettera aperta indirizzata ai trentini tutti, a quelle persone che fino ad oggi l’hanno fatta sentire benvoluta e a casa.
«Mio amato Trentino, mi chiamo Jie, ho gli occhi a mandorla ed i capelli neri. Ventisette anni fa mi hai accolto fra le tue braccia. Per tutti questi anni, mi hai abbracciato, coccolato ed amato. Mi sento tua figlia come tutte le altre persone che sono nate e cresciute in questa terra meravigliosa. Ma in questi giorni qualcosa è cambiato. In questi giorni, la mia patria natale sta affrontando un periodo di dura prova. Io, assieme ai miei connazionali che si trovano a circa 10mila chilometri di distanza dai propri cari, ci siamo attivati in svariati modi per sostenere il passaggio di tale crisi che ormai non riguarda più solo la Cina, ma il mondo intero. Siamo pronti a sacrificare la nostra vita quotidiana per evitare di danneggiare la terra che ci ospita. Ma non è questo che voglio gridare».
Perché non è tanto l’angoscia, enorme, per i familiari lasciati in Cina a rendere avvilente e triste la situazione di Jie Yang, quanto il repentino cambio di atteggiamento di parte dei trentini nei suoi confronti. «Spero, nel rendere pubbliche queste mie considerazioni, di cambiare qualcosa, di far vedere il mondo dal nostro punto di vista - ci spiega -. Per esempio l’altro giorno sono andata a Trento, in uno degli uffici della Provincia. Dovevo fare il corso di formazione, perché sarò una delle addette del nuovo numero verde istituito dall’Apss per dare informazioni ai cittadini cinesi sul virus. Mentre salivo le scale, ho incontrato quattro uomini. Erano operai, lì per dei lavori, e stavano scendendo. I primi tre si sono fatti da parte, spostandosi per non toccarmi, e il quarto si è messo le mani sulla bocca».
«Ma sono sempre io - continua la lettera - la ragazza con gli occhi a mandorla ed i capelli neri, amo la vita come te e come te voglio proteggere i miei cari ma soffro quando cambi strada o per quegli sguardi che mi lanci. Trovo sgradevole anche che tu ti copri la bocca quando mi vedi. Come ti sentiresti se fossi tu nei miei panni?»
E a rendere tutto particolarmente insopportabile è l’assurdità di questi comportamenti. Come se l’essere di origine cinese esponesse maggiormente Jie Yang al virus. «Sono a rischio esattamente come tutti - esclama -. L’unica differenza è che io ho delle persone care che vivono proprio al centro dell’epidemia ed io non ho nessun modo per stargli vicino!».
Infine, l’ultima dichiarazione di amore per il Trentino: «Prima o poi, in un modo o nell’altro, tutto questo passerà. Quanto arriverà il momento, vorrei tanto poter guardarti negli occhi e amarti come sempre, se non di più. Provami che sei amorevole e compassionevole. Per favore, non aggiungermi altra sofferenza».
Lettera dei cinesi agli amici italiani: il Coronavirus non ci divida
Lettera dei cinesi agli amici italiani. A scriverla è la presidente dell’Associazione Silk Council, Lifang Dong, imprenditrice e avvocato di 41 anni conosciuta come Anna a Roma, la città dove vive e lavora.
“L’amicizia tra Italia e Cina messa a repentaglio dal nuovo Coronavirus. Non etichettiamolo come cinese, i virus non hanno nazionalità, né fede religiosa o colore politico, e restiamo uniti”.
31 Gennaio 2020
...
“Care amiche, cari amici italiani, questo è un momento delicato che va affrontato insieme con umanità, solidarietà e buon senso” si rivolge così ai nostri connazionali l’imprenditrice della seta, che dopo aver espresso “solidarietà e vicinanza a tutte le persone colpite dal coronavirus 2019-ncov e ai loro familiari” entra nel merito, offrendo spunti di riflessione per evitare il rischio di fratture tra gli italiani e i 300mila cinesi che vivono nel nostro Paese, di cui 20mila nella sola Capitale.
“Tutta la comunità internazionale si è attivata tempestivamente e con spirito di leale collaborazione per far fronte a questa crisi sanitaria – sottolinea -. Lo stesso Governo Cinese sta mettendo in campo le sue migliori risorse per risolvere tale difficile momento. La situazione è sotto controllo e siamo fiduciosi”.
Nonostante ciò, continua, “ho appreso con rammarico degli episodi di razzismo e discriminazione che si sono verificati verso membri della comunità cinese residente in Italia ed in particolar modo di quelli avvenuti nelle scuole. Sono inoltre molto dispiaciuta per il modo in cui una parte dei mezzi di comunicazione sta influenzando l'opinione pubblica, diffondendo notizie inesatte ed etichettando il Coronavirus come “virus cinese”. Questi appellativi feriscono i sentimenti di tanti cittadini cinesi residenti in Italia, così come di altrettanti cittadini italiani, come me, di origine cinese, che contribuiscono da sempre al ruolo di “ponte” tra l'Italia e la Cina. Purtroppo questi episodi non si sono verificati solo in Italia, ma anche in altri paesi europei. I virus non hanno nazionalità, né colore della pelle, né fede religiosa o credo politico. Tali atteggiamenti discriminatori andrebbero evitati, poiché producono il solo risultato di creare barriere alla lunga amicizia tra l'Italia e la Cina, nonché causare gravi ripercussioni socio-economiche a danno di tutti”.
“In Italia vivono oltre 300.000 cinesi, che studiano e lavorano nel nostro Paese. Anche in Cina si sono stabiliti migliaia di italiani per motivi di studio, lavoro e incluso familiari. I “nuovi italiani” di origine cinese di seconda, terza e quarta generazione sono nati qui e sono ben integrati nel nuovo tessuto multietnico italiano. Il 2020 è l'anno della Cultura e del Turismo Italia-Cina, il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche e il decimo anniversario degli scambi culturali tra i nostri due Paesi. L'amicizia tra Italia e Cina oggi è messa a repentaglio da questa terribile emergenza del Coronavirus, ma proprio nei momenti di difficoltà bisogna restare uniti ed affrontare insieme tale situazione con costruttività e propositività, senza diffondere allarmismi o alimentare la paura di ciò che non si conosce”.
In questo momento difficile, anche Silk Council desidera dare il proprio contributo, così come sta facendo tutta la comunità cinese nel mondo. Visitando il sito ... è possibile fare una donazione, un Vostro piccolo gesto di amore verso chi soffre in Cina. Il ricavato sarà devoluto per l'acquisto di mascherine ed altri materiali sanitari da inviare in Cina a sostegno delle città colpite da questa emergenza, tra cui il mio paese natale, Wenzhou da cui provengono la maggior parte dei cinesi che vivono in Europa.
La lettera termina con un ringraziamento. “Vi ringrazio di cuore per il prezioso sostegno. Con l’augurio di superare presto questo momento difficile”. Firmato: Avv. Lifang Dong, presidente dell'Associazione Silk Council
Compaiono i cartelli che vietano l 'ingresso ai CINESI.
NON RIPETIAMO GLI ERRORI
DI 80 ANNI FA.
VERGOGNA!
https://www.facebook.com/elena.orlandi. ... 9007893076
Un'infermiera cinese colpita da coronavirus nella provincia di Henan, regala alla figlia in ospedale "un abbraccio d'aria"
https://www.facebook.com/10001055722437 ... 164805281/
Milano, costretto a chiudere il ristorante per psicosi da coronavirus: «La vostra cucina è con o senza virus
Fabio Giuffrida
13 febbraio 2020
https://www.open.online/2020/02/13/mila ... WhafNcPG30
«Due ragazzi ci hanno chiesto se la nostra cucina fosse con o senza virus. Che amarezza, la mia colpa è essere nato in Cina e avere gli occhi a mandorla?», a parlare è Simon Hu, 27 anni, gestore di un ristorante nel cuore di Milano chiuso a partire dagli inizi di febbraio. Il motivo? «Un drastico calo di clienti, siamo passati da 120 coperti il sabato sera a 18. Come facevamo ad andare avanti e a pagare i nostri dipendenti?», si chiede.
«Calo del 70-80%»
Da qui la chiusura temporanea nell’attesa che svanisca la psicosi da coronavirus, la stessa che ha svuotato la Chinatown milanese facendo registrare un importante calo del fatturato per tutte le attività commerciali. «Da noi un -70/80%, nonostante i prodotti usati siano tutti di provenienza italiana».
«Situazione invivibile»
Un clima pesante che si respira in tutta la città, secondo Simon Hu: «Pensate che mi trattengo dal tossire in pubblico perché ho paura di scatenare il panico. Credetemi, una situazione invivibile, sembra quasi che si voglia isolare il cinese e non il virus».
Il cartello
Open | Il cartello fuori dal ristorante
«Siamo rammaricati di quello che sta succedendo nel mondo e sulla triste diffusione di questi falsi miti sui ristoranti cinesi. Nonostante le nostre materie prime siano fresche e acquistate nel Mediterraneo, ci dispiace comunicarvi che purtroppo la situazione generale ci ha fatto risentire molto. Pertanto, dopo un periodo di riflessione, ci addolora annunciare che chiuderemo per un periodo non identificato. Vi assicuriamo che torneremo più ambiziosi che mai a catturare il vostro palato!», si legge sul cartello affisso fuori dal Wheat Restaurant a Milano.
L'Italia e la dipendenza cinese
Settore Medio Oriente
14 Febbraio 2020
http://www.geopoliticalcenter.com/attua ... B0lr2vpeQ8
Dipendenza cinese, una dipendenza quasi assoluta che riguarda non solo i settori produttivi ma anche il commercio ed in parte anche la politica. Una dipendenza che da queste pagine abbiamo più volte sottolineato e più volte stigmatizzato, non tanto per la natura tirannica del regime instaurato dal partito comunista cinese a Pechino, ma per evidenziare quanto sia importante per una nazione mantenere capacità produttiva in campi strategici dell’industria. Ricordate quando parlavamo dell’importanza di mantenere in Italia la filiera dell’industria pensante (acciaio, alluminio, automobili, aerei) e la criticità di avere il controllo assoluto sulle reti di comunicazione (5G), nonché la necessità di garantire alla nazione la più alta possibilità di approvvigionamento di materie prime energetiche (Libia, Mediterraneo, Russia), oppure la componentistica di base per l’industria, oppure l’industria farmaceutica.
Ecco, noi oggi abbiamo oggettivamente rinunciato alla capacità produttiva strategica in molti di questi settori e se la Cina, per propria decisione, oppure costretta da un evento non dipendente dalla sua stessa volontà (così come l’attuale epidemia), decidesse di interrompere le forniture all’Occidente, e di conseguenza all’Italia, ci troveremmo in seria difficoltà su più fronti. La gran parte della produzione farmaceutica di tipo “generico” arriva dall’Oriente e la nostra industria farmaceutica, anche se riuscisse a sopperire alla domanda nazionale, lo farebbe con costi molto più alti di quelli messi a budget dai sistemi sanitari regionali italiani.
Stesso ragionamento vale per i semilavorati cinesi funzionali alla produzione italiana in svariati campo della manifattura, un blocco o un forte rallentamento della produzione cinese determinerà una crisi profonda del sistema produttivo italiano, incapace di gestire intere filiere produttive senza aiuti “globali”.
Un discorso diverso va invece fatto per gli Stati Uniti, che per filosofia industriale e grazie ai dazi imposti dal presidente Trump sulle merci fabbricate in Cina, hanno dimostrato di essere tutto sommato indipendenti dalla Cina per la produzione dei beni di consumo, di telecomunicazioni, farmaceutici ed industriali che determinano la prosperità della società americana.
Ed ecco che alla luce di questa nostra dipendenza dalla Cina ci troviamo costretti a giustificarci con Pechino riguardo alla decisione di bloccare i voli diretti tra Italia e Cina, mentre la Cina stessa ha messo in quarantena 60 milioni di persone e prolungato le “vacanze” per il capodanno lunare di giorni e giorni, cancellata la vendita di pacchetti turistici, annullato il Gran Premio di Formula 1 di Shanghai previsto per aprile, chiuso cinema, teatri, scuole, università.
Questa emergenza sanitaria ci faccia prendere coscienza di quanto sia importante per noi ricercare nuovamente autonomia produttiva e autonomia energetica, in un mondo che è sì globale ma che non può essere diretto unicamente dai voleri e dalle necessità di quella enorme fabbrica globale che è, o forse è meglio dire era, la Cina dei nostri giorni.
Pechino nei giorni del coronavirus
Il Post
sabato 15 febbraio 2020
https://www.ilpost.it/2020/02/15/pechin ... ronavirus/
Le autorità cittadine della capitale cinese hanno ordinato a chiunque torni in città di passare 14 giorni in quarantena e le strade sono molto più tranquille del normale
A Pechino, la capitale della Cina, sono state imposte severe regole per cercare di limitare la diffusione del nuovo coronavirus (SARS-CoV-2). Venerdì, le autorità cittadine hanno comunicato che chiunque rientrerà in città dopo un periodo in altre parti della Cina dovrà passare 14 giorni in quarantena, annunciando punizioni per chi si rifiuterà di farlo. Misure simili erano state introdotte informalmente già a inizio febbraio, quando – aveva raccontato il New York Times – diverse organizzazioni di quartiere avevano imposto a chi tornava dopo le vacanze di rimanere due settimane in albergo: ora la regola è stata ufficializzata ed estesa a tutta la città, che in questi giorni sta facendo i conti con il ritorno di milioni di persone dopo la fine delle vacanze per il Capodanno cinese.
Pechino, dove vivono più di venti milioni di persone, è normalmente una città caotica e trafficatissima: da circa un mese, tuttavia, l’atmosfera è molto cambiata. Nonostante la città si trovi a più di 1000 chilometri da Wuhan – dove è avvenuta la maggior parte dei contagi – e nonostante in città siano stati confermati poco più di 200 casi di nuovo coronavirus, per quasi due settimane la maggior parte dei negozi è rimasta chiusa e tantissimi lavoratori hanno preferito lavorare da casa. Il New York Times aveva raccontato che le strade del centro erano semi deserte, così come le principali zone commerciali della città.
Anche i servizi di consegna di cibo a domicilio hanno sofferto della situazione, per via del timore che i fattorini potessero essere portatori del virus. In qualche caso documentato, i ristoranti controllavano la temperatura dei fattorini prima della consegna e allegavano ai pasti una sorta di certificato di buona salute.
Le grosse limitazione agli spostamenti per tutti i cinesi, oltre che la quarantena per decine di città nella regione di Hubei, hanno cominciato ad avere effetti negativi sull’economia, spingendo le autorità ad allentare i controlli. A Pechino, dove si trovano tutte le istituzioni governative più importanti, le regole sono tuttavia rimaste severe.
Insieme all’obbligo di quarantena per chi arriverà in città è stato imposto anche l’obbligo di annunciare il proprio ritorno alle autorità con un certo anticipo. Ai residenti è stato inoltre consigliato di non uscire di casa, di indossare protezioni e di non partecipare ad eventi pubblici affollati (anche se la maggior parte di questi, specialmente durante le feste, erano stati cancellati per precauzione).
In tutto, ad oggi, ci sono stati più di 66.000 casi confermati di nuovo coronavirus e più di 1.500 morti. Tutte le morti sono avvenute in Cina, per lo più nella zona di Wuhan, salvo tre: una persona è morta nelle Filippine, una in Giappone e una in Francia.
Coronavirus, la Cina ha mentito al mondo: Xi Jinping sapeva del contagio almeno dal 7 gennaio
16 Febbraio 2020
https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... vjKZKwU0L4
Ora non è più soltanto un sospetto. La Cina sapeva del coronavirus ben prima di dare l'allarme e avvertire il mondo del rischio-contagio. Emergono ora infatti le parole del presidente Xi Jinping dello scorso 3 febbraio in un discorso ai dirigenti del partito comunista, a cui - come riporta Corriere.it - aveva detto: "Il 7 gennaio, ho dato ordini verbali e istruzioni sulla prevenzione e il contenimento del coronavirus". Le parole sono state pubblicate sulla rivista del partito, Qiushi, che curiosamente significa "cercare la verità". Un clamoroso autogol del regime, che conferma il sospetto che covava tutto il mondo: la Cina ha taciuto perdendo tempo prezioso agli inizi dell'emergenza. Per inciso, il primo caso sospetto di "polmonite misteriosa" era stato registrato a Wuhan all'inizio di dicembre. Un silenzio, dunque, che potrebbe essere ancor più lungo rispetto al 7 gennaio di cui parla Xi Jinping.
La Cina, fino al 20 gennaio, riferiva di 45 casi accertati e di "infezione misteriosa". Il 18 gennaio gli epidemiologi dell’Imperial College di Londra spiegarono che i conti non tornavano: i contagi non potevano essere meno di 1.700, cifra ottenuta da semplici calcoli statistici. Soltanto il 20 gennaio la Cina ammise che la situazione era grave: il coronavirus era già una epidemia, il conteggio ufficiale dava conto di 4 morti e oltre 200 contagiati (cifre da sempre messe in discussione). Eppure, ancora il 20 gennaio la Commissione sanitaria nazionale sosteneva che il coronavirus fosse "prevenibile e contenibile". Per certo, ora, sappiamo che già il 7 gennaio Xi Jinping diede le prime istruzioni per gestire l'emergenza, ben 13 giorni prima dell'allarme generale
ASIA Pechino ed Asean annunciano il primo vertice sul coronavirus
AsiaNews.it
17/02/2020
http://www.asianews.it/notizie-it/Pechi ... 9Gue8-6L-8
Le parti si incontreranno fra tre giorni in Laos. In Thailandia si registrano 35 casi d’infezione, in Giappone 518 e a Singapore 75. L’epidemia di Covid-19 imporrà una contrazione al Pil della città-Stato. La Chiesa singaporiana annuncia la sospensione di tutte le funzioni pubbliche a tempo indefinito. Analisti attendono di capire se le relazioni della Cina con i suoi vicini saranno influenzate dalle limitazioni a collegamenti e scambi.
Singapore (AsiaNews/Agenzie) – Al di fuori della Cina, il bilancio aggiornato dell’epidemia del nuovo coronavirus Covid-19 è 694 casi di contagio confermati e tre morti in 25 Paesi. Il ministero cinese degli Esteri e le controparti dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (Asean) hanno annunciato stamane che s’incontreranno fra tre giorni in Laos, dove discuteranno le misure adottate da Pechino per contenere l’emergenza: sarà il primo grande vertice multilaterale dall’inizio della crisi.
La Thailandia, dove si registrano 35 casi d’infezione, ha deciso di aumentare i controlli sui visitatori provenienti da Giappone e Singapore. D’ora in poi, Tokyo limiterà i raduni pubblici per impedire un'ulteriore diffusione del virus, cancellando le celebrazioni per il compleanno dell'imperatore e riservando la maratona del mese prossimo nella capitale ai soli corridori professionisti. Nel Paese del Sol levante le persone infette sono 518, 454 solo sulla nave da crociera Diamond Princess. Ieri, le autorità di Singapore hanno annunciato tre nuovi casi di contagio, che portano a 75 il numero totale.
L’epidemia di Covid-19 avrà un forte impatto sull’economia della città-Stato: il ministero del Commercio e dell’Industria rivede al ribasso le previsioni sul Pil per il 2020. Secondo le stime, la crescita si attesterà intorno allo 0,5% – punto mediano di un intervallo tra -0,5% e +1,5%. Lo scorso novembre, il governo singaporiano prevedeva una crescita tra lo 0,5% ed il 2,5%.
Nel frattempo, le comunità religiose di Singapore adottano misure per contrastare i contagi. Alcuni templi e chiese stanno riducendo, o sospendendo del tutto, i servizi ed invitano i fedeli a seguire quest’ultimi su internet. Organizzazioni religiose buddiste e sikh scelgono invece di attuare misure precauzionali più rigorose nei luoghi di culto, esortando quanti non si sentono bene a rimanere a casa e invocando una maggiore pulizia nelle aree comuni.
Lo scorso 14 febbraio, la Chiesa cattolica ha annunciato la sospensione di tutte le funzioni pubbliche a tempo indefinito. Uno degli ultimi casi di contagio individuati dal ministero della Salute riguarda un cattolico che aveva partecipato ad una messa nella parrocchia di Cristo Re a Ang Mo Kio. Nella sua ultima lettera pastorale mons. William Goh, arcivescovo di Singapore, sottolinea che la misurazione della temperatura corporea “non è uno strumento di controllo infallibile”: anche le persone asintomatiche possono essere portatrici dell'infezione.
Membro del blocco Asean, il prossimo 20 febbraio a Vientiane una delegazione del governo di Singapore prenderà parte al vertice che vedrà protagonista anche Wang Yi, ministro cinese degli Esteri. La riunione segue lo sforzo concertato dei diplomatici cinesi per respingere critiche secondo cui Pechino ha nascosto informazioni al mondo ed ha reagito in modo lento all'emergenza sanitaria. Nei giorni scorsi, il governo cinese ha biasimato alcune nazioni per “aver esagerato in reazioni” che hanno innescato “panico non necessario”.
Analisti attendono di capire se le relazioni della Cina con i suoi vicini saranno influenzate dalle limitazioni a collegamenti e scambi, che alcuni Paesi hanno imposto per impedire che il virus si diffonda nei propri confini. Giappone, Singapore, Filippine, Indonesia e Australia sono tra quelli che hanno disposto misure più stringenti, di fatto impedendo l’ingresso di cittadini cinesi. Nazioni come Pakistan e Cambogia, che hanno stretti legami con Pechino, si sono astenute da applicare limitazioni dure ai visitatori provenienti dalla Cina. La Malaysia si è guadagnata i ringraziamenti cinese per essersi limitata ad imporre un divieto di viaggio solo sui residenti in territori cinesi sottoposti a quarantena.
Singapore ha più volte professato solidarietà nei confronti di Pechino, sebbene il Paese abbia imposto restrizioni severe come quelle decise dagli Stati Uniti. La città-Stato non ha ricevuto critiche pubbliche da funzionari cinesi, ma la scorsa settimana media statunitensi hanno riferito che il ministero cinese degli Esteri ha convocato l'ambasciatore di Singapore a Pechino per spiegare le nuove misure. Il Wall Street Journal sostiene che il governo cinese abbia interpellato i diplomatici di “un certo numero di ambasciate asiatiche e occidentali” per ragioni simili.
Coronavirus, la Russia di Vladimir Putin vieta l'ingresso ai cittadini cinesi: una scelta drastica
18 Febbraio 2020
https://www.liberoquotidiano.it/news/es ... Q_VG4IiJQc
La Russia di Vladimir Putin non si perde in chiacchiere e vara una soluzione estrema per difendersi dal coronavirus. A partire da giovedì 20 febbraio sarà vietato l'ingresso di cittadini cinesi nel territorio russo per fermare la diffusione dell'epidemia di Covid-19. A renderlo noto è stata Tatiana Golikova, vice primo ministro responsabile della Salute: il timore del coronavirus è tale da vietare viaggi privati, nonché per lavoro, studio e turismo, nell'intero territorio. Lo stop all'ingresso in Russia di tutti i cittadini di nazionalità cinese sarà valido a tempo indeterminato, ovvero fino a quando non sarà del tutto chiara la situazione del coronavirus a livello globale. Nel dubbio di una pandemia, la Russia ha quindi deciso di chiudersi a riccio.
Coronavirus, morto il regista Chang Kai e tutta la sua famiglia: erano in quarantena, in casa
FILIPPO SANTELLI
19 febbraio 2020
https://www.repubblica.it/esteri/2020/0 ... 5qujHsxVIU
Il primo ad ammalarsi è stato il padre del regista ma negli ospedali non c'erano letti disponibili. Sono deceduti in 4 e ora anche la moglie è grave. La decisione iniziale delle autorità di isolare i malati nelle proprie abitazioni ha moltiplicato il contagio causando più di un decesso nello stesso nucleo
PECHINO - "Addio a quelli che amo e a quelli che mi hanno amato". Poco prima di morire, il regista Chang Kai ha lasciato questo messaggio. Agli amici, ma soprattutto al figlio che vive a Londra, tutto quello che resta della sua famiglia. Si sono trasmessi il coronavirus tra loro, mentre stavano chiusi in casa in isolamento, e la polmonite li ha portati via uno dopo l'altro. Prima l'anziano padre di Chang Kai, poi la madre. Poi lo stesso regista, noto in città per il suo lavoro agli Hubei Film Studios, poi la sorella. Ora anche la moglie è malata, in condizioni critiche.
Una vicenda drammatica che racconta di come gli ospedali di Wuhan, presi d'assalto da migliaia di persone con sintomi più o meno gravi, fossero impreparati ad affrontare l'epidemia, e di come la scelta delle autorità di dirottare i malati verso la quarantena domestica possa aver favorito la trasmissione, anziché contrastarla.
Quando suo padre ha mostrato i primi sintomi, a metà gennaio, il 55enne Chang Kai ha disperatamente cercato di farlo ricoverare in uno degli ospedali della città, senza successo. Non c'erano più letti disponibili. Ha dovuto riportarlo a casa, secondo quanto previsto dalle norme in vigore, prendendosi cura di lui in prima persona, ma esponendo tutta la famiglia al contagio. Il giorno della morte del padre, il 28 gennaio, la madre era già malata. Il giorno della morte della madre, il 2 febbraio, erano già malati lui e la sorella.
Quel giorno le autorità di Wuhan hanno finalmente deciso di cambiare la strategia di contrasto al virus, dividendo le persone in casi confermati, sospetti e sotto osservazione, e isolando ogni categoria di conseguenza. I cittadini sono stati indirizzati verso i nuovi centri di quarantena allestiti in tutta fretta dal governo, costruendo nuove strutture o requisendo alberghi e edifici pubblici. Non proprio in condizioni ideali, ma almeno non a stretto contatto con i parenti, in spazi ristretti.
La politica introdotta dai nuovi leader, mandati dal gran capo Xi Jinping a risolvere la questione, prevede che tutti i sospetti siano testati e messi in quarantena, e che tutti i malati abbiano un letto d'ospedale.
Solo che per Chang Kai il cambio di rotta è arrivato troppo tardi. Venerdì scorso il regista è deceduto, lasciando agli affetti quell'ultimo messaggio scritto nello stile dei poemi classici cinesi. Qualche ora dopo è morta sua sorella maggiore, ora è la moglie a lottare per la vita. Una tragedia familiare che non sembra isolata. Molte storie raccolte in questi giorni dai media presenti a Wuhan suggeriscono che la decisione iniziale di isolare i malati in casa abbia moltiplicato il contagio all'interno delle famiglie, causando spesso più di un decesso nello stesso nucleo. Molte di quelle persone potrebbero non essere neppure mai arrivate in ospedale, neppure testate e registrate come contagiate. La loro morte, non compare nelle statistiche ufficiali delle prime settimane di coronavirus.
Coronavirus: in Iran 5 morti e 28 casi
Agenzia ANSA
22 febbraio 2020
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/m ... tGRujKb-14
(ANSA) - TEHERAN, 22 FEB - Sale a cinque il bilancio delle vittime in Iran provocate dal coronavirus: una persona che aveva contratto il virus tra 10 nuovi casi di contagio non ce l'ha fatta, ha annunciato oggi il ministero della Sanità del Paese.
E' salito così a 28 il numero dei contagiati.
"Abbiamo dieci nuovi casi confermati di COVID-19", ha detto il portavoce del ministero, Kianoush Jahanpour: "Uno dei nuovi casi sfortunatamente è deceduto".