L'Europa ha ragione a non fidarsi dell'Italia
Giuseppe Conte, l'indiscrezione sul Mes: "Rischiamo di non avere i voti in aula", teme di cadere per colpa del M5S
Andrea Cionci
9 maggio 2020
https://www.liberoquotidiano.it/news/po ... A.facebook Giuseppe Conte è preoccupato dall’alto costo politico che può comportare dire sì al Mes, come già ha fatto il Pd con toni trionfalistici. “Rischiamo di non avere i voti in aula, perché attivare il fondo salva-Stati oggi vorrebbe dire spaccare il M5S”: è questa la considerazione che, secondo La Stampa, il premier avrebbe fatto dopo aver saputo del via libera dell’eurogruppo al Mes light, ovvero senza condizionalità per le spese sanitarie. Gran parte dei grillini temono però che la formula trovata non annulli le condizioni, presenti nei trattati europei, di rientro a un debito sostenibile.
In altri termini, scrive La Stampa, continuano a considerare una probabilità il rischio di ritrovarsi la Troika in casa quando l’emergenza sarà finita, l’Europa tornerà al patto di stabilità e l’Italia avrà un indebitamento molto più elevato. Sarà quindi difficile trattare con il M5S, che ritiene il Mes uno strumento inadeguato: sarà necessario giungere ad un compromesso. Conte guarda già all’appuntamento in Parlamento dei primi di giugno: alla vigilia del consiglio europeo chiederà il voto su una risoluzione di maggioranza che dovrà dare il via libera dell’Italia al pacchetto di strumenti che, oltre al Mes, comprende il fondo Sure e la Banca europea degli investimenti. È un passaggio cruciale, scrive La Stampa, e il premier deve arrivarci con la coalizione compatta per evitare che la fronda sovranista del M5S e l’antieuropeismo di Alessandro Di Battista prendano il sopravvento.
"Viva il Mes, viva la Troika". Intervista a Giancarlo Pagliarini
11 maggio 2020
https://www.huffingtonpost.it/entry/viv ... e_facebook “Lei lo sa come mi chiamava il Berlusconi? Mi chiamava Tagliarini”. Giancarlo Pagliarini, anche detto ‘Paglia’, leghista della prima ora ma non dell’ultima, storico dirigente del Carroccio di Umberto Bossi, ministro del Bilancio nel governo Berlusconi del 1994, la dice alla sua maniera: “Io sono a favore del Mes per lo stesso motivo per cui Salvini è contrario”. E se domani arriva la Troika? “Io vorrei fosse venuta ieri”. C’è il rischio di condizionalità, di vincoli esterni. “Bene: più condizionalità ci sono, più sono a favore”. Milanese, classe 1942, vivacità travolgente, si fa fatica a stargli dietro, a volte parla di sé in terza persona. “Guardi”, racconta all’HuffPost, “per fare certe cose non ci sarebbe nemmeno bisogno della Troika, basterebbe il Paglia. Una volta, quando ero ministro, ci fu una riunione fiume sulla finanziaria dalle 19 di sera alle 6 del mattino. Dissi: c’è questa società pubblica incaricata di studiare la fattibilità del Ponte di Messina, tagliamola, e quando progetteremo di fare il Ponte, studieremo come farlo. Un ministro si buttò letteralmente per terra, disse che grazie a quella società campavano dieci famiglie, Berlusconi lasciò tutto com’era. Fosse dipeso da me, l’avrei chiusa subito. Altro che Troika”.
Uno storico dirigente della Lega a favore del Mes. Singolare, non trova?
Trovo incomprensibile che si possa essere contrari.
Perché?
Se lei vede la nostra spesa per interessi passivi sul debito pubblico lo capisce subito. Noi dal 1980 al 2018 abbiamo speso in media 177 milioni al giorno in interessi. Quante cose avremmo potuto fare con tutti quei soldi?
Tante cose.
Per questo serve il Mes. Conviene.
Ha un tasso di interesse favorevole ma presenta molti rischi.
Appunto, un tasso dello 0,1% e per me il tasso di interesse è il metro di giudizio per tutto. Quando Salvini attaccava l’Europa e lo spread saliva, io andavo a calcolare quanto ci costava in più in termini di tasso sul debito. Lei lo sa quanto ci ha fatto risparmiare il taglio dei vitalizi voluto dai 5 Stelle?
Quanto?
Otto ore di interessi passivi sul debito pubblico.
Ok, ma il Mes presenta diversi rischi. Il primo: le condizionalità non ci sono oggi ma potrebbero esserci in futuro.
Più condizionalità ci sono, più sono a favore.
Addirittura. A favore della Troika, quindi?
Magari venisse la Troika. E magari l’avessimo avuta ai tempi di Paolo Cirino Pomicino. Non avremmo avuto un esercito di dipendenti pubblici in pensione dopo una manciata d’anni di servizio.
Adesso però certe storture non ci sono più.
Il debito però sì.
Appunto, c’è il rischio che il Mes richieda una valutazione di sostenibilità del debito, una procedura che apre le porte alla ristrutturazione. Non è preoccupato?
Guardi, il nostro debito è sostenibile. Se lei guarda la ricchezza degli italiani, escludendo anche le abitazioni, vedrebbe che ammonta a più di 5mila miliardi. Il debito pubblico è coperto dalla nostra ricchezza privata. Basterebbe una patrimoniale.
Poi però si rischia l’insurrezione.
Appunto. Si metta nei panni di chi ci guarda: con una spesa per interessi così alta, rifiutiamo un prestito al tasso di favore del Mes. Da fuori ci prendono per pazzi. Perciò dobbiamo accettarlo.
Torniamo ai rischi legati al Mes. C’è lo stigma finanziario, nel caso fossimo gli unici ad attivarlo. E c’è il fatto che il Mes è un creditore privilegiato: la seniority del credito, dice la Lega, avrebbe un impatto sulla valutazione del debito preesistente.
Quando un debito arriva a scadenza, io lo pago. Senza problemi. Non mi interessa se il mio creditore sia o meno privilegiato. Lo pago. Il fatto che Borghi dica che il prestito del Mes sia senior, mi fa dubitare sulla sua reale volontà di pagarlo.
Secondo le stime più accreditate, il risparmio sarebbe di circa 600 milioni all’anno, solo 6 miliardi in dieci anni rispetto al finanziamento ordinario del Tesoro in asta o sindacato. Non sono pochi, a fronte dei rischi?
Sono sempre sei miliardi. Ieri Salvini dall’Annunziata ha detto che non serve il Mes perché intanto c’è la Bce che ci compra i titoli. Ma perché, non si può prendere in prestito da entrambi?!
Perché poi, col Mes, arriverebbe la Troika a ficcare il naso nelle nostre politiche di bilancio.
Ribadisco: magari. Se l’avessimo avuta prima, non avremmo pagato in deficit Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Non avremmo buttato soldi per Alitalia, con gli stessi soldi ci saremmo comprati tutte le compagnie aeree europee.
Perderemmo la nostra sovranità, un rischio da scongiurare, non crede?
In nome della nostra sovranità abbiamo costruito una montagna di debito pubblico. Per me vale l’equazione “sovranità monetaria=sacrifici al Dio del voto”. Abbiamo acconsentito alle peggiori nefandezze.
Ma adesso non lo facciamo più. L’Europa già ci controlla con regole sempre più stringenti sui nostri bilanci, da Maastricht al Fiscal Compact.
Questo non ci ha evitato di finanziare in deficit Quota 100 e Reddito di cittadinanza.
Erano misure popolari. D’altronde veniamo anche da un ventennio di avanzi primari, di tagli alla spesa e una pressione fiscale asfissiante.
Ma, per citare Marco Vitale, non abbiamo mai risolto le nostre ‘piaghe bibliche’: corruzione, burocrazia, rapporti di lavoro arcaici, lavoro nero, giustizia lenta, criminalità, evasione fiscale.
Problemi complessi, di difficile soluzione.
Appunto. Se viene qualcuno e ci frusta, dovremmo ringraziarlo e pagarlo per il servizio che ci offre. Invece questi del Mes lo fanno anche gratis.
Poi facciamo la fine della Grecia.
In Grecia se una giovane donna illibata arrivava a 40 anni senza sposarsi, aveva diritto a una pensione. Le pare normale?
Questo non giustifica la macelleria sociale fatta in Grecia. Un’intera generazione di ragazzi fuggita all’estero. Un sistema sanitario falcidiato dai tagli.
Noi il sistema sanitario lo abbiamo distrutto anche senza la Troika.
Non la convinco. Per lei vale tutto, purché si riduca la spesa per interessi.
Faccia con me questo calcolo: il Decreto Rilancio che il Governo sta per approvare contro il virus vale 55 miliardi. Ecco: nel ’98, senza Euro, abbiamo speso circa 86 miliardi in interessi passivi, pari a 120 miliardi se attualizziamo la spesa con l’indice dei prezzi al consumo di ora. Nel 2018, con l’euro, abbiamo speso 66 miliardi. Se fa la differenza tra quanto pagato allora e oggi, con quei soldi avrebbe coperto le spese del Decreto Rilancio.
Sul Mes il premier Conte ha preso tempo, i 5 Stelle sembrano contrari.
Io vorrei un Governo serio, credibile, che assicuri di non fare spesa corrente in deficit e che risolva le piaghe bibliche di questo Paese che non funziona. E che dica ai mercati: il debito lo paghiamo ma vogliamo ridurre la spesa per interessi.
Senza Conte premier.
Con Mario Draghi.
E se Draghi non accettasse?
Basterebbe dire: “Paglia, fai tu”.
9700 miliardi nei nostri conti correnti e case sono la garanzia dei debiti fatti da Roma. Se vogliono, è già pronta la Patrimoniale. Come evitarla?
Giancarlo Pagliarini
12 Maggio 2020
https://www.lanuovapadania.it/economia/ ... -evitarla/ Per accedere al prestito Mes è necessario che l’Unione Europea dichiari che il debito pubblico dello Stato che richiede il prestito, sia “sostenibile”.
La Commissione ha dichiarato che “ Anche se la posizione debitoria si è deteriorata come risultato della crisi prodotta dal Covid-19, il rapporto tra debito e pil nello scenario base è previsto su una traiettoria sostenibile e discendente nel medio termine”.
La redazione di Bruxelles di Europatoday l’8 maggio ha pubblicato un articolo col titolo a caratteri di scatola : “Il debito italiano è sostenibile, parola della Commissione UE. La valutazione della sostenibilità redatta per stabilire l’idoneità ad accedere alla linee di credito del Mes promuove il nostro paese”.
Lo scenario base prevede che nel 2020 il pil subirà un crollo del 9,5% e di conseguenza il rapporto debito/pil alla fine di quest’anno toccherà il picco del 159% (ma se i signori di Roma aspettano ancora a pubblicare il Decreto Rilancio e se dentro troveremo oscenità tipo Alitalia temo che questo 159% lo supereremo di almeno 10 punti) . Poi diminuirà progressivamente ed è previsto un livello poco sopra il 140% alla fine del 2030. La media Eurozona prima del Covid-19 era 86%.
Contento come una pasqua , due giorni dopo il presidente Conte ha ricordato anche sul Corriere della Sera di Domenica 10 Maggio che “La Commissione Europea ha certificato che il debito italiano è sostenibile…”
Questi “salti mortali” sono il risultato del faticoso e paziente lavoro di preparazione del Commissario Paolo Gentiloni e del ministro Roberto Gualtieri, che a pagina 17 del Documento di Economia e Finanza deliberato il 24 aprile dal Consiglio dei ministri aveva già scritto che “In primo luogo il debito pubblico dell’Italia è sostenibile, e il rapporto debito/pil verrà ricondotto verso la media dell’area euro nel prossimo decennio, attraverso una strategia di rientro che oltre al conseguimento di un congruo surplus del bilancio primario si baserà nel ritorno degli investimenti, pubblici e privati, grazie anche alla semplificazione delle procedure amministrative. Tanto maggiore sarà la credibilità delle riforme strutturali messe in atto, tanto minore il livello dei rendimenti sui titoli di stato, agevolando il processo di rientro.”
Ma sulla reale sostenibilità del nostro debito pubblico devo ricordare l’intervento del bravissimo e come sempre molto concreto Fulvio Coltorti alla trasmissione “Va pensiero. Parole e futuro” del 27 Aprile (Sky Classica HD, canale 136, condotta da Piero Maranghi) . Ecco le sue parole: “Il nostro debito pubblico adesso è di circa 2.450 miliardi. La ricchezza degli italiani è di circa 9.700 miliardi di Euro. Anche non contando le abitazioni, noi abbiamo una ricchezza finanziaria in capo alle famiglie notevolmente superiore al debito pubblico. Quindi il debito pubblico italiano per definizione è sostenibile …” .
Per essere più chiari, questo significa che se un governo del futuro si accorgesse di non essere in grado di pagare le quote in scadenza del debito pubblico potrà, se deciderà comunque di pagarle, far approvare dal Parlamento e mettere in Gazzetta Ufficiale una tassa straordinaria sulla ricchezza finanziaria della famiglie.
Ovvio che è necessario fare tutto il possibile per evitare questa situazione.
La parola chiave è “credibilità”.
Si parla di spese da tagliare ma voglio ricordare che siamo comunque quasi sempre in avanzo primario, e che i maggiori risparmi si possono fare proprio con la voce “interessi passivi sul debito pubblico”.
Nel 2018 la spesa per gli interessi è stata di 64.626 milioni. Diviso 365 giorni fa 177 milioni al giorno. Questo è il parametro che ho sempre utilizzato per valutare tutte le leggi e le operazioni dei governi. Per esempio il famoso taglio dei vitalizi dei parlamentari ha fatto risparmiare, tra Camera e Senato, 56 milioni all’anno: questo significa che ha fatto risparmiare una cifra uguale a circa 8 ore di interessi passivi sul debito pubblico. A Roma hanno lavorato e litigato per mesi per risparmiare 480 minuti di interessi passivi, ma di come ridurre il debito pubblico non ne hanno nemmeno parlato. A Roma si lavora per il “dio voto”, non certo per il sistema paese.
Ecco un altro punto da ricordare: la spesa per gli interessi passivi dell’anno 1998 , attualizzata con l’indice dei prezzi al consumo, era stata di 120.498 milioni. Fonte: scenarieconomici.it .
Diviso 365 fa 330 milioni al giorno. Perbacco, in 20 anni, dal 1998 al 2018, la spesa per gli interessi passivi è diminuita da 330 a 177 milioni al giorno. Che bravi! Miracolo? No, non si tratta di un miracolo, si tratta di Euro!
Il debito pubblico alla fine del 2018 era di 2.316.300 milioni. Venti anni prima, alla fine del 1998, erano 1.258.200 nominali e 1.757.152 attualizzati con l’indice dei prezzi al consumo 2018.
La differenza (il nostro risparmio, ovvero la nostra minore spesa per interessi passivi sul debito pubblico) tra i 120,4 miliardi del 1998 e i 64,6 miliardi del 2018 è di 55,8 miliardi. Dunque grazie all’Euro, nel 2018 abbiamo diminuito il costo degli interessi passivi sul debito pubblico di 20 anni prima di una cifra superiore ai 55 miliardi del “Decreto Rilancio”. Vi rendete conto? Il debito era aumentato di poco meno del doppio e la spesa per gli interessi passivi invece di aumentare anche lei si era quasi dimezzata. E parliamo di miliardi di Euro
Guardiamo al futuro. Scendere in 10 anni dal rapporto debito/Pil di 159% al 140% sarà molto difficile e non ce la faremo mai se nei palazzi di Roma si penserà, come purtroppo succede da anni , solo a gestire il potere, ai voti e alle elezioni.
Ecco due considerazioni.
1 – Sul Corriere della sera del 30 marzo Giulio Tremonti raccomanda “Un piano basato sull’emissione di titoli pubblici a lunghissima scadenza con rendimenti moderati ma sicuri e fissi, garantiti dal sottostante patrimonio della Repubblica, titoli assistiti come in un tempo che è stato felice, da questa formula: esenti da ogni imposta presente e futura”. Sul Sole 24 ore del 6 Maggio Tremonti è tornato sull’argomento ed ha parlato di “Titoli patriottici”. Matteo Salvini è d’accordo e parla spesso di questo progetto facendo riferimento anche all’ “Orgoglio italiano”.
Pochi giorni prima, sul Sole 24 Ore del 25 marzo 2020 , Gianni Tognolo auspicava l’emissione di titoli perpetui non rimborsabili ma negoziabili.
Dunque la cosa è nell’aria, e ne parlano in tanti: cito solo
Marco Vitale, che ha intitolato “Raddrizziamo l’azienda Italia come premessa per una politica europea credibile. Liberiamo l’Italia dal ricatto del debito pubblico” un paragrafo del suo recente “Al di la del tunnel”. E poi Giovanni Bazoli, e altri.
Renato Brunetta ha criticato questa idea con considerazioni tecniche e il 9 maggio ha pubblicato su HuffPost l’articolo “Oro alla patria, la pessima idea di Salvini e Tremonti”.
Le mie non sono considerazioni tecniche ma politiche. Sono convinto che finché non cambieremo la Costituzione, finché il potere continuerà ad essere concentrato a Roma con questo centralismo anti-storico, con questa abrogazione di fatto del principio di sussidiarietà, insomma con questa Costituzione e con la conseguente cultura e prassi supercentralistica e ministeriale , purtroppo è davvero difficile fidarsi del nostro Stato.
2 – Oltre alla cultura supercentralistica Marco Vitale ed altri amici elencano spesso le “piaghe bibliche” del nostro paese. Eccone qualcuna:
La corruzione diffusa
La burocrazia
I rapporti di lavoro arcaici
Il lavoro nero
La giustizia e i suoi tempi
La cultura e la ricerca, che sono i veri fattori chiave dello sviluppo ma che da noi sono sempre più umiliati e trascurati
L’evasione fiscale
Le organizzazioni criminali
Le istituzioni che non funzionano
Le pubbliche amministrazioni che a volte si comportano come “nemiche”
L’elenco può continuare. Voglio ricordare un serio intervento di Carlo Scognamiglio a Milano, lo scorso 29 novembre, al convegno “Si sono dimenticati il nord”, al quale partecipavano anche Stefano Parisi, Benedetto Della Vedova, Alberto Mingardi, Elisa Serafini ed altri.
Ricordo che nella circostanza Scognamiglio aveva citato Angelo Panebianco e la “grande cupola romana” .
In effetti il vero potere è in mano ai dirigenti dei ministeri e ai burocrati di Roma. A quelli che in questi giorni scrivono leggi incomprensibili di quasi 500 pagine. A mio modestissimo giudizio è davvero difficile fidarsi di un paese organizzato in questo modo.
Come ha detto di recente anche Piero Bassetti, un maestro a cui tutti vogliamo bene (videoconferenza Sabato 2 maggio di Alleanza Civica) : “…dopo la pandemia…nulla-o molto poco- sarà più come prima all’uscita dal tunnel: ci troveremo comunque in un’altra valle rispetto a quella da cui siamo partiti…E anche la nostra Costituzione è quasi tutta da rivedere…”.
Come ho detto la parola chiave è “credibilità”: per essere credibili, per sanare le “piaghe bibliche” del nostro paese e anche per adeguarci alle novità che ci impone il Covid-19, dobbiamo cambiare l’organizzazione del sistema paese. Servono più concorrenza, più competenze e meno concentrazione di potere a Roma: il mio modello continua ad essere la Costituzione della vicina Svizzera.
Cancelliere austriaco Kurz: "Debito italiano ingestibile"
12/05/2020
https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/ ... jAoxL.html Il debito pubblico italiano è così pesante che l'unica possibilità per il Paese è ottenere aiuti dall'Unione europea. È quanto afferma il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che ancora una volta sbarra la strada all'ipotesi di una condivisione del debito a livello europeo. "Non saranno in grado di gestire la situazione senza l'aiuto della Ue e di Paesi come l'Austria", afferma Kurtz in un'intervista a Bloomberg Tv. "Ma non credo che l'idea di un debito condiviso sia la risposta giusta", aggiunge il cancelliere austriaco.
Secondo Kurz, la soluzione per Paesi come l'Italia o la Spagna è nel pacchetto di aiuti Ue da 500 miliardi di euro che, afferma, se necessario potrebbe essere ampliato. "È chiaro che vogliamo sostenerli e mostrarci solidali", afferma ancora il cancelliere austriaco riguardo ai Paesi più colpiti dalla pandemia di coronavirus.
Recovery fund, la controproposta dei "frugali": "Niente debito in comune, solo prestiti". Amendola: "Documento difensivo e inadatto" - Il Fatto Quotidiano
23 maggio 2020
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... e/5811220/ Un Recovery Fund basato su “un approccio prestiti per prestiti” e di natura “temporanea, una tantum” con due anni di durata. A chiederlo sono i Paesi ‘frugali‘, in una bozza che dettaglia quanto anticipato pochi giorni fa dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz riguardo al prossimo Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027. Sono due i punti cruciali della controproposta alternativa a quella franco-tedesca di un fondo per la ripresa da 500 miliardi che distribuirebbe soldi a titolo di trasferimenti e verrebbe finanziato anche con l’emissione di debito da parte della Commissione Ue: i “frugali” dicono no a contributi a fondo perduto commisurati ai danni del Covid 19 e no a “mutualizzazione del debito e significativi incrementi del bilancio Ue“. Solo altri prestiti “a condizioni favorevoli”, dunque. Il documento è stato preparato in vista del collegio dei commissari europei di mercoledì prossimo, che dovrebbe approvare la proposta della Commissione sul Recovery Plan. Ed è stato immediatamente bocciato dal ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola: “Una recessione così dura richiede proposte ambiziose e innovative come il Recovery Fund. A rischio ci sono mercato interno e i suoi benefici per tutti gli europei. Il documento dei paesi ‘frugali’ è difensivo e inadatto. Serve più coraggio il 27 maggio dalla Commissione europea”, si legge in un tweet.
Il non-paper, di due pagine, ribadisce le posizioni tradizionali dei frugali, Olanda e Austria in testa: “Ciò su cui non possiamo concordare sono strumenti o misure che portino alla mutualizzazione del debito, né a significativi incrementi del bilancio Ue”, scrivono. Mentre Francia e Germania hanno aperto a 500 miliardi di trasferimenti, i Frugali citano solo “prestiti”, in linea con le posizioni che hanno espresso più volte. Non è una chiusura completa, ma una presa di posizione in vista del negoziato, come aveva già fatto capire il premier olandese Mark Rutte: il documento premette che “la crisi della Covid-19 colpisce duramente tutti gli Stati membri, socialmente e finanziariamente. E’ nell’interesse di tutti riportare la crescita in tutti gli Stati membri il più presto possibile. Ciò richiede solidarietà europea e una strategia comune di ripresa”.
Il Fondo d’emergenza, si legge ancora nel non-paper, dovrà essere legato a un bilancio Ue “modernizzato” e farà da “supplemento al pacchetto senza precedenti da 540 miliardi euro già concordati dal Consiglio europeo” con Sure, Bei e prestiti del Mes. Le spese relative al Covid-19 potranno essere coperte dagli Stati membri attraverso “risparmi nel quadro finanziario pluriennale Ue, riprogrammando” le risorse “nelle aree che hanno meno probabilità di contribuire alla ripresa” economica. I quattro insistono quindi sulla necessità di “riforme” che permettano agli Stati membri di essere “meglio preparati per la prossima crisi”. E fissano altri paletti per il Fondo d’emergenza sottolineando tra l’altro che dovrà essere uno strumento ‘una tantum’ con durata massima di due anni.
I fondi, si sottolinea ancora nel documento, dovranno essere usati per sviluppare “ricerca e innovazione”, garantire “maggiore resilienza al settore sanitario” e attuare la “transizione verde” e “digitale” al centro anche del Green Deal Ue. Per tutelare i prestiti da possibili frodi, i quattro Paesi del Nord chiedono un “forte coinvolgimento della Corte dei conti europea, dell’Ufficio Ue anti-frode (Olaf) e della Procura europea (Eppo)”. “Il nostro obiettivo – conclude il documento – è fornire attraverso il bilancio pluriennale Ue finanziamenti temporanei e mirati nonché offrire prestiti a condizioni favorevoli a chi è stato colpito più duramente dalla crisi”.
Trucchi e inganni del Recovery Fund, su cui si infrangono le ultime illusioni italiane
Atlantico Quotidiano
Musso
“Among the key questions are not only the size of the Recovery Fund and balance between grants and loans, but also how the money will be distribuited, and how it gets repaid”
Financial Times, 19 maggio 2020
http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -italiane/Il 23 aprile una veloce videoconferenza ha ratificato le linee di massima dei tre programmi di prestito ai quali potrebbe accedere l’Italia (Bei, Sure, Mes), eppoi “convenuto di lavorare per la creazione di un fondo per la ripresa, che è necessario e urgente”. Di quest’ultimo sono ancora ignoti tempi-natura-volume-beneficiari, durata nemmeno menzionata, le risposte demandate alla Commissione europea. Passa un intero mese e, il 18 maggio, Macron e Merkel se ne escono con una proposta grande 1/3 le iniziali richieste francesi ed italiane: 500 miliardi, gettati sul tavolo di un ulteriore round di trattative.
I tempi. Conte aveva detto di voler far approvare tutto a giugno ed anticipare i fondi a luglio, addirittura “immediatamente”, ciò che la stampa amica definiva “vitale per l’Italia”. È riuscito solamente a far cambiare al Consiglio europeo la frase “we agree to explore a recovery fund”, in “we agree to work to establish a recovery fund that is urgent and needed”. Talmente “urgente”, da venire rinviato a data sconosciuta, “il prima possibile”. Chiosò Charles Michel: “Non ho mai indicato un accordo nel mese di giugno”… non ha indicato nemmeno l’anno, se è per quello. Più precisa la vicepresidente della Commissione Vera Jourova: “Il primo gennaio 2021 è una data molto ambiziosa”.
Il volume. I 500 miliardi della proposta franco-tedesca verrebbero finanziati da un “Recovery Instrument”: una obbligazione emessa dalla Ue e collocata sul mercato. L’idea è che tali 500 miliardi vengano impiegati insieme a somme eguali finanziate dagli Stati che li ricevono (cofinanziamento), ovvero insieme a prestiti raccolti altrove, per importi complessivi 2-3 volte maggiori: da qui la pretesa di Scholz e della Von der Leyen, che il Recovery Fund possa mobilitare “almeno 1.000 miliardi di euro” (secondo Gentiloni 1.500 miliardi, addirittura).
La data dell’emissione. Non si sa su quanti anni verrà distribuita l’emissione dei 500 miliardi, la Commissione inizialmente pensava a tre anni. Merkel, al Bundestag, aveva fatto cenno ai primi due anni. Lars Feld, più vagamente, ai “primi anni”.
La durata. Francia e Germania propongono che l’obbligazione emessa dalla Ue venga rimborsata “beyond the current MFF on the EU budget”, oltre il prossimo Bilancio Ue 2021-2027. Non sappiamo se un giorno o un lustro dopo.
La natura dell’esborso. Apparentemente, Macron e Merkel propongono che gli esborsi avvengano a titolo di trasferimento dal bilancio Ue agli Stati membri. All’opposto, Austria Olanda Svezia Danimarca vogliono che gli esborsi avvengano interamente a titolo di prestito e secondo l’art. 122 del Trattato (che prevede “condizioni”). L’ultima proposta di mediazione della Commissione proponeva circa 1/3 a trasferimento e 2/3 a prestito.
Chi paga. Gli esborsi a titolo di prestito verrebbero rimborsati dai Paesi che li ricevono, semplicemente. Più complesso il caso degli esborsi a titolo di trasferimento, che verrebbero rimborsati da tutti i Paesi, in base alla propria quota di contribuzione al Bilancio Ue. Nel 2018 i contributi degli Stati membri furono circa 142 miliardi (al netto delle poche risorse proprie), dei quali 29 dalla Germania, 17 dall’Italia. Si fa un gran parlare di una riduzione della quota di contribuzione dell’Italia, ma ciò pare meno probabile dopo che, lunedì, Merkel ha detto di non prevedere un innalzamento della quota della Germania. Senza dimenticare che le trattative sul nuovo bilancio Ue fallirono già lo scorso febbraio sulla base di una proposta all’1,06 per cento: figurarsi oggi che la richiesta è quasi doppia.
Ne segue che, nella proposta franco-tedesca (ancorché espressa con “deliberata vaghezza”, come nota persino Fubini), i 500 miliardi verrebbero versati: 102 dalla Germania, 60 dall’Italia, probabilmente scaglionati lungo l’intera durata dell’obbligazione. Con buona pace della viceministro Castelli che parla di fondi “senza necessità di rimborso”.
I beneficiari. A fronte dei 60 miliardi da versare, la Castelli immagina di ricevere 100 miliardi mentre Conte, più modestamente, parla di 80. Naturalmente, gli altri Paesi dovrebbero versare la differenza; il che appare estremamente improbabile, tanto se in forma di maggiori contributi netti percentuali, quanto se in forma di nuove tasse “federali” (tassa Ue sulla plastica, sul digitale, sulle emissioni, addizionale Iva Ue…).
Alternativamente, si era pensato ad una riallocazione dei fondi nel Bilancio Ue già presenti a titolo “politica di coesione”, dunque sostanzialmente a carico dei Paesi dell’est Europa, che stanno provvedendo ad impedirlo.
Ne segue che, delle due l’una: o una quota assai rilevante degli esborsi avverrà a titolo di prestito; ovvero beneficiari del Fondo saranno tutti i Paesi membri. Questa seconda è la proposta franco-tedesca la quale, infatti, parla di un Fondo “mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpiti” e che “sosterrà gli investimenti in particolare nella transizione digitale e verde”. “È importante guardare settore per settore, il turismo è molto colpito”, ci informa Charles Michel: pure il turismo dell’Isole di Helgoland, aggiungiamo noi. Senza dimenticare l’industria automobilistica francese e tedesca, un settore certamente molto colpito dal coronavirus ed apparentemente impegnato in una “transizione verde”. Ricaricano i Paesi dell’est: “Siamo stati risparmiati dalla pandemia, ma colpiti dalle sue conseguenze economiche”. Chiosa il Lussemburgo: “il coronavirus ha colpito pure noi”.
Non si può escludere una componente di ridistribuzione, forse. Ma minore ed a favore dei Paesi membri già beneficiari netti. Fra i quali non è l’Italia, né lo sarebbe se pure la crisi del coronavirus ne riducesse il contributo netto sino ad azzerarlo: alla meglio, riceveremmo dal Fondo esattamente quanto vi verseremmo.
Il vantaggio per l’Italia. Se prevalesse l’ipotesi franco-tedesca, tutto ciò che l’Italia porterebbe a casa sarebbe evitare di contabilizzare un prestito diretto nel debito pubblico (come sarebbe, invece, col MES). Sostituendolo con un canone annuo, a deficit ma non a debito pubblico. Alla maniera di come fanno le imprese che rifinanziano un mutuo (a bilancio) con un debito leasing (fuori bilancio). Non di “federalismo” si tratterebbe, quindi, ma di ottimizzazione contabile.
Tale vantaggio verrebbe interamente meno se prevalesse l’ipotesi di Austria Olanda Svezia Danimarca, dunque se gli esborsi a titolo avvenissero interamente a titolo di prestito.
Il danno per l’Italia. V’è costante cenno ad un “chiaro impegno dello Stato membro a politiche economiche sane ed un ambizioso programma di riforme”, che però sarà tanto più blando, quanto più di esborsi del fondo saranno distribuiti fra tutti i Paesi.
Per converso, pure nella più favorevole ipotesi Macron-Merkel, i fondi dall’Italia versati, sarebbero dalla Ue all’Italia ritornati già pre-assegnati a particolari capitoli di spesa, pre-determinati da Bruxelles e non necessariamente aderenti alle priorità di spese italiane. Nel caso peggiore, tali fondi verrebbero fatti transitare dal neonato capitolo di spesa detto BICC (Budgetary Instrument for Convergence and Competitiveness) ovvero da un ancora misterioso capitolo “Ripresa e resilienza”, dai quali i versamenti uscirebbero subordinati a “contratti di riforma” da determinarsi: una nuova riforma delle pensioni, il taglio lineare degli stipendi pubblici, chi può dire?
Qualora l’Italia non volesse sottomettersi, ovvero non potesse a causa della probabile presenza di un obbligo di cofinanziamento, allora i fondi verrebbero semplicemente dirottati su altri Stati membri. Ed al danno si aggiungerebbe la beffa.
Infine, il Fondo verrà negoziato insieme al resto del Bilancio Ue 2021-2027. La cui composizione non è neutrale: si può immaginare che Austria Olanda Svezia Danimarca proporranno di scambiare una quota minore di prestiti nella parte Fondo, in cambio di una politica di spesa (agricola, industriale…) più favorevole alle proprie produzioni nel resto del Bilancio. Chi chiede ha sempre torto.
Logica tedesca. Il Bilancio Ue riguarda tutti e 27 i Paesi, non la sola area dell’Euro. Il Recovery Fund, in altre parole, si configura come moltiplicatore del drenaggio di fondi, dai Paesi contribuenti netti membri dell’Euro ad occidente, verso i Paesi beneficiari netti membri del solo Mercato Comune ad oriente. Il destino del detto Fondo non sarà in alcun modo legato all’incerto destino dell’Euro, né sarebbe possibile fosse altrimenti, dopo la sentenza di Karlsruhe. Chi presenta la proposta franco-tedesca come “l’inverso” di Karlsruhe (Libération), come il modo di “stabilizzare l’area euro” (Fubini) è evidentemente accecato dai propri desideri. La Germania investe sì, un pochino, ma nel Mercato Comune.
I falchi Ue tagliano il Recovery fund
Antonio Signorini - Lun, 13/07/2020
https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1594677799 Berlino e i frugali per un plafond di 500 miliardi. L'Italia cerca la soluzione ponte
All'Italia serve una soluzione ponte. Prestiti erogati prima del 2021, quando arriveranno le risorse del Recovery fund, che consentano di evitare il ricorso alla nuova linea di credito del Mes.
Sarà questo uno dei temi che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte affronterà oggi durante la bilaterale con la cancelliera tedesca Angela Merkel, in vista del Consiglio europeo sul «Next generation Ue» e sul bilancio pluriennale dell'Unione che si terrà venerdì e sabato.
A rendere necessaria un finanziamento su tempi brevi, oltre a quelli già in agenda della Bei e dello Sure, lo stato dei conti pubblici e la necessità di limitare il ricorso ai mercati finanziari, anche alla luce dei risultati dell'ultima emissione dei Btp Futura, che non sono stati brillanti.
Altro grande tema, è l'entità del Recovery fund. L'Italia ufficialmente ha scelto come linea del Piave la proposta della Commissione Europea, un piano da 750 miliardi tra prestiti e aiuti. Ma è noto che la Germania intende sfruttare il semestre di guida dell'Ue da un lato per accelerare e trovare un accordo entro luglio, dall'altro per riportare il piano alle cifre contenute nella proposta franco tedesca: 500 miliardi di finanziamenti a fondo perduto. Niente 250 miliardi di prestiti anticipati dall'esecutivo Ue e girati agli Stati bisognosi. Proposta che può creare qualche problema al governo italiano, perché renderebbe ancora più necessario il ricorso alla nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità, legata alle spese sanitarie dirette e indirette.
Sul fronte opposto della trattativa ci sono ancora i cosiddetti Paesi «frugali», capeggiati da Olanda e Austria. Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz anche ieri si è espresso per una soluzione che non porti in nessun modo a una mutualizzazione del debito. Ma anche per una riduzione dell'entità del piano, in linea su questo con Berlino. «Non dobbiamo tirare fuori cifre sempre più alte, ma accertarci che gli aiuti vengano investiti nel modo giusto», ha detto al Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Secondo Kurz, il problema «non è tanto il denaro» visto che «anche i Paesi particolarmente colpiti» dalla crisi del coronavirus «possono finanziarsi ai mercati a buone condizioni. L'Italia non paga per i suoi titoli di Stato neanche l'1,1% di interessi, la metà dell'Austria ai tempi della crisi finanziaria».
È importante il controllo su come verranno spesi gli aiuti. Kurz si dice favorevole a investire in «ecologia, digitalizzazione e nel sostegno alle riforme». Il controllo deve essere fatto da una struttura «snella, efficiente e non burocratica».
Il premier di Vienna non ha risparmiato frecciate all'Italia. Ha auspicato che il governo di Roma adotti scelte precise: «Bisogna andare nella direzione del programma di riforme dell'Italia: abbattimento della burocrazia, lotta contro l'evasione fiscale, sistemi economici competitivi». In altri Paesi, «in Spagna, Portogallo o Irlanda abbiamo vissuto riforme intense sotto la pressione dei programmi d'aiuto». In Grecia «non dovremmo neanche parlare a lungo di condizioni: il nuovo premier Kyriakos Mitsotakis le riforme le fa da solo».
Per quanto riguarda l'Italia, «i vicini si conoscono bene» e «in passato i programmi di stimolo promossi dall'Europa non hanno prodotto i risultati sperati. Il Paese adesso ha l'esigenza primaria di contrastare l'economia illegale e lamenta sistemi non competitivi, dalle pensioni al lavoro».