Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » mer apr 29, 2020 10:18 pm

Nell'Italia politica unitaria non vi è alcuna vera solidarietà sociale, fraterna e civile, non vi è mai stata fin dalla sua costituzione.
In Italia al massimo o tutt'al più ti depredano, ti taglieggiano, ti mandano alla Caritas e ti portano alla disperazione e al suicidio.
Nell'Ottocento quando si è formato lo Stato italiano milioni di italiani sono stati ridotti in miseria alla fame, alla disperazione e all'emigrazione, oggi non si può nemmeno emigrare sia perché non vi è posto al mondo che possa offrire spazi di vita come nell'Ottocento, sia perché la pandemia impedisce di spostarsi dal proprio paese.
L'Italia per molti italiani di buona volontà, responsabili e onesti è sempre stato un inferno in Terra, uno dei paesi più incivili del Mondo, non per nulla gran parte delle imprese ha delocalizzato per fuggire alla mostruosa tassazione o predazione fiscale e burocratica e i giovani tra i più volonterosi e preparati sono costretti a emigrare se vogliono avere un futuro e delle soddisfazioni economiche adeguate ai loro studi, alle loro capacità, al loro impegno e ai loro meriti.



La parrucchiera “Se non lavoro non mangio”e per protesta apre il salone
12 aprile 2020

https://www.lastampa.it/asti/2020/04/13 ... refresh_ce

Seicento euro arriveranno dall’Inps, cinquanta euro di buoni spesa li manderà il Comune. Sostegni che domani saranno importanti. Ma ieri e oggi non ci sono ancora. Quando mangiare diventa un problema più che un’esigenza e gli affitti da pagare moltiplicano gli zeri, la pressione del qui e ora non concede il lusso dell’attesa.

E Francesca Bufalino, parrucchiera astigiana di 55 anni, non può più permettersi di aspettare. Per questo sabato 11 sabato 11 aprile ha alzato la saracinesca del salone di acconciature La Fenice, in segno di protesta. «Ho preso questa decisione dopo che ho sentito che il governo ha deciso di riaprire le librerie. Perchè noi parrucchieri invece non possiamo lavorare? Io da febbraio facevo entrare le clienti una per volta e mi ero dotata di mascherine e gel igienizzanti . Ho fatto un investimento per me sostanzioso che si è tradotto in una spesa inutile in pochi giorni, perchè ci hanno fatto chiudere».

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Divorziata, con due figli di 25 e 33 anni, in due mesi ha perso la sua unica fonte di guadagno e oggi deve fare i conti con i debiti che si accumulano e la spesa quotidiana che arriva grazie agli anziani genitori che le passano i sacchetti dal balcone.

«Questa emergenza mi sta umiliando. Ogni volta che mio padre e mia madre oppure uno dei miei figli mi aiuta portandomi del cibo per me o per i miei animali, mi sento morire. Com’è possibile che dopo 40 anni di lavoro, una vita di sacrifici, ci si possa ridurre così? Sono in ginocchio, ma non voglio inginocchiami davanti allo Stato. Per questo protesto».

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Tra le tante urgenze, i canoni d’affitto hanno un peso rilevante. «Serve un aiuto sia per noi inquilini sia per i proprietari. Anche per loro spesso il mancato incasso degli affitti è un danno grosso, ma se io non lavoro non ho materialmente le possibilità di onorare i debiti».

Il salone che abitualmente conta un massimo di dieci clienti al giorno, potrebbe, secondo Bufalino, riprendere l’attività riducendo il numero ad un minimo di tre clienti. «Sarebbe una boccata d’ossigeno che mi permetterebbe di vivere come ho sempre fatto, con dignità. Ovviamente fornirei tutte le protezioni necessarie per la sicurezza di tutti». —

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I ristoratori dichiarano guerra: sciopero fiscale fino al 31 dicembre
di Massimiliano Lenzi
25 aprile 2020

https://www.iltempo.it/cronache/2020/04 ... e-1320311/

“Una parte del bilancio dello Stato siamo noi e noi, proprio per questo, vogliamo dare una ulteriore scossa ai nostri governanti, purtroppo sordi alle nostre richieste. Per questo il 28 aprile annunceremo lo sciopero fiscale, fino al 31 dicembre 2020 non pagheremo più un euro di tasse. Pagheremo soltanto le bollette”. A parlare, in questa intervista a “Il Tempo” è Lucio Pompili, proprietario di un ristorante nelle Marche, a Cartoceto, (anche se il comune è oggi Colli al Metauro), una attività che esiste da 50 anni. Il Symposium. Lui si definisce cuoco e contadino ma nonostante l’aria bucolica tipica del saper vivere italiano, beh si è rotto le palle.

Pompili, cosa sta succedendo nella ristorazione ai tempi del virus?
“Le dico, ovvio che in primis la salute e noi rispettiamo la questione sanitaria ma poi viene l’economia perché se non si muore di coronavirus accadrà che le nostre aziende moriranno di miseria. Anche aziende come la mia, con 50 anni di attività, di tasse pagate, di interessi passivi pagati. Oggi non vediamo più un ritorno”.

Cosa farete il 28 aprile?
“L’azione che noi vogliamo fare il 28 aprile, è quella di una riapertura finta, chi sta in città accenderà simbolicamente le insegne e le luci delle vetrine, e tirerà su le saracinesche. Ed io ho aderito. Ma serve di più. Perché se noi torniamo al lavoro ci ripiombano addosso i costi al 100% e noi lavoreremo probabilmente al 30 o al 40% e quello che non possiamo permetterci è che accada che nessuno paghi più nessuno nel nostro settore. Sarebbe la fine. Queste 5 milioni di partite iva non possono essere lasciate a se stesse, il bilancio dello Stato siamo noi e noi vogliamo dare una ulteriore scossa e fino al 31 dicembre 2020 non pagheremo più niente. Sciopero fiscale per quel che riguarda tutto, pagheremo solo le bollette”.

Lo Stato vi ha abbandonato?
“Non sono arrivati i 600 euro nella nostra categoria, o meglio sono arrivati a poca gente. La cassa integrazione ancora i dipendenti non la vedono. Di che parliamo? Sul tema liquidità: non può diventare uno strumento salvabanche. Una iniezione di fiducia a queste attività la devono dare perché le ripeto, noi sono 50 anni che paghiamo le tasse, checché se ne dica e che ci siamo indebitati per le nostre visioni di lavoro, di passione. Di un mercato e di un turismo italiani”.

Le banche - checché ne dica Conte e il suo Governo - non scuciono un euro?
“Oggi si va in banca a prendere questi 25mila euro, costano l’1,85%. Mi perdoni, glieli devo ridare in sei anni ma che roba è? Noi siamo nelle Marche in circa 400 e lo hanno avuto in tre il prestito, ad ieri l’altro a mezzogiorno. Noi siamo un paese ad alta vocazione turistica ed abbiamo chiuso il ministero del turismo e poi vedo che in Iran hanno il ministro del caviale e noi perché non possiamo avere il ministro del tartufo? Non si può delegare alle regioni, tante, dove vanno tutti a farsi le vacanze ma non si portano dietro gli imprenditori”.

Sulla ripartenza, cosa vuol dire a Conte?
“Il tema della ripartenza deve essere un tema chiaro, il ristorante vende emozioni. L’ospite che arriva lo fa per una uscita, una socialità, noi vendiamo l’effimero, una esperienza. Altrimenti uno potrebbe mangiare a casa. Ed allora a questa persona che escono se noi gli mettiamo i paraventi di plexiglass, in pratica un ingresso del pronto soccorso nel ristorante. E poi gli devo misurare la febbre, i guanti, la mascherina, il gel sanificante e mi devo indebitare pure per riaprire. Perché solo per riaprire servono almeno 5mila euro. Lei lo deve sapere”.

Quindi? Il suo messaggio al Governo?
“Il tema della riapertura deve essere chiaro, non possono mettere in giro gente ad alto contagio, devono fare i tamponi, le analisi, e deve decidere il ministero ma con efficienza. In Italia abbiamo 250mila laboratori di analisi, ed allora diamoci una mossa. In pochi giorni si potrebbe vedere l’Italia come sta. Se stai bene esci. Se stai male resti a casa”.

In termini di posti di lavoro quanto rischia il vostro settore?
“Nel periodo stagionale arriviamo ad un milione e 200mila operatori, a stagione piena. Beh, circa 500mila resteranno senza lavoro. Proveranno, dal governo, ad usarne una parte nella socialità ma l’Italia è un grande Paese, non può vivere di assistenza”.

Dia un consiglio a Conte?
“Ridistribuire le persone sui territori, sui borghi, nelle campagne, nelle comunità montane perché creano da soli una economia. Pensi soltanto ad un bar in un borgo, riaccenderebbe la vita. Se c’è solamente una banca, in quel borgo, beh alle 5 del pomeriggio si spegne tutto”.



Affitti e Covid: Finiper taglia 2 mesi agli store
Pambianconews notizie e aggiornamenti moda, lusso e made in Italy
Giulia Mauri
28 Aprile 2020


https://www.pambianconews.com/2020/04/2 ... re-291969/

Si crea un “precedente” per la sospensione degli affitti degli store. A generarlo è il protocollo d’intesa tra Confimprese, l’associazione che rappresenta 40mila punti vendita in Italia, e il gruppo Finiper, attivo nella grande distribuzione organizzata (tra i mall figura anche ‘Il Centro’ di Arese), che ha accolto l’allarme lanciato dal settore del commercio, messo a dura prova dalle misure adottate per il contenimento dell’epidemia.

Punto centrale dell’accordo è la rinegoziazione dei canoni d’affitto. “L’assenza di adeguate indicazioni e agevolazioni per il settore del commercio non può lasciare spazio a un’ulteriore fase di stallo e attesa, perché rischia di diventare letale per l’intero sistema”, si legge in una nota. Al fine di sostenere il commercio, che ha perso il 95% del fatturato in due mesi e che continuerà la drammatica discesa fino alla riapertura il 18 maggio nel fashion e il 1 giugno nella ristorazione, il gruppo guidato da Marco Brunelli è sceso in campo per agevolare i retailer associati a Confimprese “rinunciando a due mesi di canone nel corso del 2020” e impegnandosi “ad approntare un significativo contenimento delle voci di spesa afferenti le gestioni dei centri commerciali”.

“L’accordo – afferma Mario Resca, presidente Confimprese – ha l’obiettivo di creare un precedente nel contesto italiano: un modello di riferimento di quella partnership tra imprese capace di guidare un’inevitabile trasformazione socio-economica, non limitandosi a subirla. Tale modello, oltre a essere un esempio per altri contesti commerciali, potrà rappresentare un utile contributo alle istituzioni comunali, regionali e nazionali che hanno la responsabilità di definire regole e strumenti per gestire la fase 2 dell’emergenza Covid-19″.

Inoltre, considerando il contesto di contrazione economica che si presenterà alla riapertura delle attività, Confimprese e Finiper “si impegnano ad applicare anche ulteriori forme di sostegno economico e finanziario laddove le condizioni del mercato alla fine del secondo semestre 2020 risultassero particolarmente penalizzanti”. La decisione di condividere delle iniziative deriva dalla visione che ambedue le parti hanno dei centri commerciali “intesi come luoghi produttivi, di occupazione e di socialità importanti nel contesto attuale”. L’attenzione è puntata soprattutto su ‘Il Centro’ di Arese per l’elevata concentrazione di punti vendita al suo interno, tenendo conto del fatto che nel 2018 è stato eletto miglior centro d’eccellenza dai Confimprese Awards e nel 2016 ha conseguito, per la prima volta in Italia, il titolo di miglior nuovo centro commerciale del mondo ai Mapic Awards.



Sciopero fiscale dei ristoratori fino a dicembre: l’idea parte dalle Marche
Lucio Pompili
29 aprile 2020

https://www.youtvrs.it/sciopero-fiscale ... le-marche/

Pompili, proprietario de Il Symposium non le manda a dire: “Non pagheremo più le tasse”

In un’intervista a “Il Tempo”, Lucio Pompili, proprietario del ristorante Il Symposium a Cartoceto, in provincia di Pesaro e Urbino ha annunciato lo sciopero fiscale dal 28 aprile fino al 31 dicembre di tutto il settore della ristorazione. Parte dalle Marche, dunque, uno sciopero che dovrà smuovere lo Stato.

“Vogliamo dare un’ulteriore scossa ai nostri governanti, purtroppo sordi alle nostre richieste. Non pagheremo più un euro di tasse, soltanto le bollette”. L’attività di Pompili esiste da più di 50 anni e ora il Coronavirus la sta mettendo a rischio. Il 28 aprile, tutti coloro che aderiranno allo sciopero metteranno in atto una riapertura finta: chi sta in città accenderà simbolicamente le insegne e le luci delle vetrine, e tirerà su le saracinesche.

“Non sono arrivati i 600 euro nella nostra categoria, o meglio sono arrivati a poca gente. – racconta il ristoratore – La cassa integrazione ancora i dipendenti non la vedono. Di che parliamo? Sul tema liquidità: non può diventare uno strumento salvabanche. Un’iniezione di fiducia a queste attività la devono dare perché le ripeto, noi sono 50 anni che paghiamo le tasse, checché se ne dica e che ci siamo indebitati per le nostre visioni di lavoro, di passione. Di un mercato e di un turismo italiani”.

A gran voce il ristoratore marchigiano chiede chiarezza ed efficienza a un Governo che sembra aver abbandonato il suo settore. È necessario capire come poter aprire e cosa serve per evitare che i contagi aumentino di nuovo.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » gio apr 30, 2020 8:13 am

Barista sfida il governo: "Io il 4 maggio apro lo stesso. Non manderò i miei figli a chiedere l'elemosina"
https://www.facebook.com/Ricchiuti.Lino ... 970511538/


Veramente certe volte ci vergognamo Io Nicola Bensi e Raffaella Lazzarini di essere una partita IVA e dover dire e spiegare ai dipendenti certe cose
https://www.facebook.com/tonino.sereso/ ... 824774478/
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » gio apr 30, 2020 8:14 am

Patrimoniale


L'economista tedesco: ''gli italiani facciano una patrimoniale da 20% invece di chiedere i soldi a noi
Pasquale De Marte
29 aprile 2020

https://www.dagospia.com/rubrica-4/busi ... 234944.htm

Gli italiani hanno una ricchezza privata sensibilmente superiore a quella dei tedeschi e pertanto con una patrimoniale potrebbero migliorare la situazione economica del Paese. È la tesi con cui l'economista Daniel Stelter risponde alle critiche che, in questi giorni, stanno piovendo nei confronti di Germania e Olanda per la presunta poca solidarietà nei confronti dell'Italia. L'opinione di Stelter è che, invece di cercarlo al di fuori dei propri confini, l'Italia avrebbe la possibilità di trovare sufficiente denaro attraverso una strategia economica interna.

Tesi espressa quando ancora si cerca di capire come si andrà a finanziare il Recovery Fund che sarà la maxi-misura con cui l'Unione Europea proverà a fronteggiare l'emorragia economica delle ultime settimane. Si aggiungerà agli altri interventi già predisposti: Mes senza condizionalità, Bei e Sure.

Per Focus.de italiani più ricchi dei tedeschi

L'articolo di Daniel Stelter pone l'accento sulla possibilità che i cittadini vengano coinvolti in sacrifici da fare per aiutare paesi che paiono in difficoltà.

Il dibattito in Europa, secondo quanto evidenziato dalla Merkel, è vivo poiché non si sa ancora se il Recovery Fund prevederà prestiti o sussidi. E' noto come l'Italia, data la sua condizione economica e di debito, punti alla seconda opportunità. Ma il Bel Paese, secondo l'editoriale apparso su Focus.de, non sarebbe così povero come vorrebbe far credere. "Le famiglie italiane - scrive Stelter - secondo tutti i dati disponibili sono significativamente più ricche di noi, ma sono anche meno indebitate".

Patrimoniale al 20% porterebbe Italia a un livello migliore della Germania

La ricchezza privata italiana a fronte di un debito pubblico altissimo è da sempre un punto su cui gli economisti a livello internazionale pongono la propria lente d'ingrandimento. Un esempio arriva dalla proposta di Stelter: "Un prelievo una tantum del 20% - scrive - sarebbe sufficiente per ridurre il debito pubblico italiano a un livello inferiore di quello tedesco. Anche dopo un simile taglio, le famiglie italiane avrebbero più risorse di quelle tedesche".

Stelter regala anche i numeri di ciò che accadrebbe applicando quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata una patrimoniale. L'indotto sarebbe di 1980 miliardi di euro che porterebbero lo stato italia ad un debito al 30% del Pil. Per portarlo, invece, al 60% basterebbe il 14% di tassazione.

La notazione di Stelter viene estesa anche ai patrimoni immobiliari, là dove si configura la vera ricchezza dei cittadini italiani rispetto ai tedeschi e su cui potrebbe concretizzarsi oltre modo la tassazione.

Un'intervista radiofonica di Olaf Scholz, ministro delle Finanze a Berlino, Spd, fa capire in modo chiaro che il Recovery fund, il Fondo Ue per la ripresa di cui hanno parlato i capi di governo nella riunione del 26 aprile, potrà essere attuato soltanto a precise condizioni, che richiederanno tempi non brevissimi, ovvero il contrario di quanto sostiene il premier Giuseppe Conte. «Una cosa mi è assolutamente chiara», ha detto Scholz alla radio pubblica Dlf, «quello che sta accadendo non potrà andare avanti senza un'ulteriore integrazione europea. Farci carico di ulteriori compiti, senza avere prima sviluppato entrate e forme di finanziamento comuni, senza affrontare il dumping fiscale nell'Ue, senza fare in modo che ci siano dei compiti comuni da affrontare insieme, non potrà funzionare».

Vi è dunque perfetta sintonia tra il ministro delle Finanze e la cancelliera Angela Merkel, Cdu, che durante il vertice Ue del 26 aprile, come ha ricostruito Federico Fubini sul Corriere della sera, riferendosi al Recovery plan, aveva detto: «Se stiamo andando, come sembra che stiamo andando, verso la mobilitazione di una quantità di denaro senza precedenti per costruire la necessaria quantità di bilancio, allora dobbiamo avere coerenza nei sistemi di tassazione delle società e ci serve un sentiero di convergenza: non una quantità enorme di idee diverse su come usare i nostri sistemi fiscali».

Il riferimento di Scholz al «dumping fiscale nell'Ue» e quello della Merkel al «sentiero di convergenza dei sistemi di tassazione» mettono sotto schiaffo paesi Ue assai diversi tra loro, comunque tutti in difetto agli occhi di Berlino: lo è l'Olanda, primo paradiso fiscale in Europa per le grandi imprese; e lo è l'Italia, dove il sistema tributario, a giudizio dei tedeschi, non contrasta a dovere l'evasione fiscale ed è troppo tenero nei confronti della ricchezza privata delle famiglie (9.900 miliardi), che è di gran lunga superiore al debito pubblico (2.500 miliardi), addirittura un multiplo.

Dunque, un dito puntato soprattutto contro l'Italia, che prima di chiedere solidarietà agli altri paesi Ue, farebbe bene a completare i famosi «compiti a casa». Con tanti saluti ai tempi brevi sbandierati da Conte per il Recovery fund, l'ennesima fake new autoassolutoria di Giuseppi.

Con queste premesse, si può stare certi che dal Recovery fund non arriverà neppure un euro entro l'anno per sostenere il sistema produttivo dell'Italia dopo il Covid-19. Come è sempre più evidente che l'Italia, per quanto molto aiutata dagli acquisti della Bce, l'unica istituzione Ue che funziona, non bastando i prestiti Bei, né il Sure per la cassa integrazione, sarà costretta quanto prima a «fare da sola» per davvero se vorrà racimolare le risorse necessarie per la ripresa. Il che, con o senza Mes, con o senza Troika, vuol dire una cosa sola: ubbidire a Berlino e aumentare il prelievo fiscale in una precisa direzione, che i politici e i media tedeschi stanno suggerendo da settimane. Ovvero una patrimoniale che colpisca la maggiore ricchezza media delle famiglie italiane rispetto a quelle della Germania.

Su ItaliaOggi del 13 aprile ho ricordato che, secondo un autorevole istituto tedesco di ricerche (Diw), il patrimonio medio (liquidi, risparmi, immobili) delle famiglie è in Germania pari a 60 mila euro, mentre in altri paesi Ue è di 100 mila euro, con Italia e Spagna che hanno più del doppio. Il tutto a causa di una diversa distribuzione del risparmio privato, che in Germania è maggiore per quantità totale che in Italia, ma distribuito male, tanto che il 10% delle famiglie ne possiede il 60%, mentre il 40% ha ne ha poco o nulla. Non solo: da noi l'80% delle famiglie abita in case di proprietà, contro il 44% tedesco. Dati che inducono politici e media tedeschi di centro, destra e sinistra a porre una domanda quasi ovvia, dal loro punto di vista: perché mai le nostre famiglie, che sono più povere, dovrebbero aiutare i ricchi italiani con i Recovery bond, ossia con debito comune?

Facendo proprio questo tema, una prestigiosa rivista tedesca di economia e management, Manager Magazine, con un articolo firmato da Daniel Stelter, rivela senza tanti giri di parole ciò che il governo federale di Berlino ha chiaro in mente da tempo, ma non osa ancora dire ad alta voce: l'Italia, con una patrimoniale monstre del 14% sulla ricchezza privata, che è pari a 9.900 miliardi (sommando conti correnti, risparmi e immobili), potrebbe ridurre il debito pubblico, pari a 2.500 miliardi, ben al di sotto dell'attuale 137% del pil (1.800 miliardi), scendendo fino al 60%: esattamente la quota virtuosa della Germania, in linea con Maastricht.

Che si tratti di una proposta estrema e provocatoria, è evidente: nessuna famiglia può cedere al fisco il 14% del proprio immobile, a meno di svenderlo per avere il cash necessario a pagare una patrimoniale sulla casa, la seconda oltre all'Imu, e su altri beni, come il conto corrente e i risparmi sotto qualsiasi forma, come Bot, Btp, azioni, obbligazioni, fondi comuni e così via, tutti tracciabili.

Ma se questa tassa killer arrivasse per davvero, rendendo inevitabili le svendite di immobili, gli stessi banchieri temono che l'intero sistema finanziario crollerebbe, a cominciare dalle banche. Roba da fare impallidire il caso Grecia. Eppure la rivista tedesca, su questo, non fa neppure un plissé: anzi, in una tabella segnala che il debito privato italiano (imprese più famiglie) è il più basso in Europa (111% del pil), migliore di quello tedesco (114% del pil). Indice di una ricchezza privata cospicua, che dunque può ben servire per abbattere il debito pubblico, vera bestia nera dell'ordoliberismo. Il governo Conte-Gualtieri è avvisato.




Recovery Fund, economista tedesco: 'Italiani più ricchi di noi, prelevino 20% da patrimoni'
Pasquale De Marte
28 aprile 2020

https://it.blastingnews.com/economia/20 ... 26483.html

Gli italiani hanno una ricchezza privata sensibilmente superiore a quella dei tedeschi e pertanto con una patrimoniale potrebbero migliorare la situazione economica del Paese. È la tesi con cui l'economista Daniel Stelter risponde alle critiche che, in questi giorni, stanno piovendo nei confronti di Germania e Olanda per la presunta poca solidarietà nei confronti dell'Italia. L'opinione di Stelter è che, invece di cercarlo al di fuori dei propri confini, l'Italia avrebbe la possibilità di trovare sufficiente denaro attraverso una strategia economica interna.

Tesi espressa quando ancora si cerca di capire come si andrà a finanziare il Recovery Fund che sarà la maxi-misura con cui l'Unione Europea proverà a fronteggiare l'emorragia economica delle ultime settimane. Si aggiungerà agli altri interventi già predisposti: Mes senza condizionalità, Bei e Sure.


Per Focus.de italiani più ricchi dei tedeschi

L'articolo di Daniel Stelter pone l'accento sulla possibilità che i cittadini vengano coinvolti in sacrifici da fare per aiutare paesi che paiono in difficoltà.

Il dibattito in Europa, secondo quanto evidenziato dalla Merkel, è vivo poiché non si sa ancora se il Recovery Fund prevederà prestiti o sussidi. E' noto come l'Italia, data la sua condizione economica e di debito, punti alla seconda opportunità. Ma il Bel Paese, secondo l'editoriale apparso su Focus.de, non sarebbe così povero come vorrebbe far credere. "Le famiglie italiane - scrive Stelter - secondo tutti i dati disponibili sono significativamente più ricche di noi, ma sono anche meno indebitate".

Patrimoniale al 20% porterebbe Italia a un livello migliore della Germania

La ricchezza privata italiana a fronte di un debito pubblico altissimo è da sempre un punto su cui gli economisti a livello internazionale pongono la propria lente d'ingrandimento. Un esempio arriva dalla proposta di Stelter: "Un prelievo una tantum del 20% - scrive - sarebbe sufficiente per ridurre il debito pubblico italiano a un livello inferiore di quello tedesco.

Anche dopo un simile taglio, le famiglie italiane avrebbero più risorse di quelle tedesche".

Stelter regala anche i numeri di ciò che accadrebbe applicando quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata una patrimoniale. L'indotto sarebbe di 1980 miliardi di euro che porterebbero lo stato italia ad un debito al 30% del Pil. Per portarlo, invece, al 60% basterebbe il 14% di tassazione.

La notazione di Stelter viene estesa anche ai patrimoni immobiliari, là dove si configura la vera ricchezza dei cittadini italiani rispetto ai tedeschi e su cui potrebbe concretizzarsi oltre modo la tassazione.



Casini, sono favorevole ad una patrimoniale per far fronte all'emergenza

Agenzia ANSA
2 aprile 2020

https://www.ansa.it/sito/notizie/politi ... de682.html

"Sono d'accordo sul fatto che chi più ha, più deve dare ….. Se a me chiedono di pagare una patrimoniale io lo faccio, credo sia giusto. Chi più ha, più deve dare. Si tratta di un criterio di giusta proporzionalità". Ad affermarlo, durante la trasmissione 'Agorà', è il senatore Pier Ferdinando Casini, ex presidente della Camera, eletto con il Pd e ora iscritto al Gruppo Misto al Senato, parlando su come far fronte all'emergenza coronavirus.


???
Riecco la patrimoniale: chi la propone e perché sarebbe un disastro
Francesco Zanotti
4 aprile 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -disastro/

Usare la crisi per giustificare nuove aree di intervento del governo è, lo sappiamo, uno dei tratti comuni dell’affermarsi di nuovi totalitarismi. La crisi sanitaria ed economica causata dal coronavirus non fa eccezione, anzi sembra che il “bisogno di dare risposte” giustificherà atti arbitrari e coercizione statale fino ad un punto che in pochi, all’inizio di questo dramma, avrebbero potuto immaginare. Uno degli esempi più lampanti è la proposta di una tassa patrimoniale che sarebbe “necessaria” per combattere la crisi: a suggerirci questo “toccasana” è il “moderato” Pier Ferdinando Casini, che si dice addirittura disposto a pagarla in prima persona. Ora, a parte il fatto che, disposta o meno che sia la persona, la tassa le viene estorta dallo Stato proprio come a tutti gli altri, non vediamo perché il fatto che Casini voglia dare più soldi al baraccone statale debba far sì che siano obbligati tutti quanti a fare lo stesso. Questo la dice lunga sul “moderatismo” di certi personaggi: è assolutamente legittimo avere una certa idea su come dovrebbero essere spesi i soldi, non è legittimo però pretendere che tutti siano d’accordo e che tutti vengano obbligati con la coercizione a versare per il proprio capriccio. Queste ventate di statalismo, che nonostante la nota storia centrista di Casini odorano di vetero-marxismo, sono da ritenersi assolutamente pericolose.

Lo Stato nei momenti di crisi tende ad allargare i propri confini, a trovare nuove aree di intervento, e terminata la crisi le cose non tornano quasi mai come prima: o gli uomini di governo non rinunciano al potere acquisito, oppure hanno reso dipendente dall’azione governativa il settore produttivo, tenendo in vita soggetti economici inefficienti che poi nemmeno in tempo di relativa crescita si dimostrano capaci di stare le mercato. Il caso della patrimoniale è proprio quello di un intervento statale che, una volta introdotto, sarebbe troppo difficile rimuovere, e ci deve indignare per un semplice motivo: i sacrifici che lo Stato richiede al settore privato non è in grado di applicarli a se stesso e alla propria classe “digerente” (“dirigente” suonerebbe troppo ottimistico nel nostro Paese) tagliando e rivedendo totalmente la spesa pubblica. Una situazione di crisi come questa richiederebbe una revisione totale delle uscite: verificare cosa c’è di produttivo e cosa è inutile (un’inutilità su tutte è il reddito di cittadinanza) e tagliare seriamente gli sprechi. Solo così si potranno abbassare le tasse senza fare troppo debito condannando governi futuri a mettere le pezze agli errori del passato. Il debito italiano, già fin troppo alto per un Paese che non cresce e che rischia ogni giorno la propria sovranità data la situazione debitoria assurda, rischia di esplodere, e se non si agirà in modo intelligente ne sentiremo le ripercussioni per anni.

Ancora una volta, però, la risposta non può venire dallo Stato, che è tra le cause indirette della crisi economica con il suo interventismo e la sua allocazione arbitraria e inefficiente delle risorse. L’unica cosa che lo Stato può concretamente fare, per affrontare questa emergenza, è farsi da parte: il settore privato con le sue eccellenze, se lasciato libero, sarà il motore della rinascita. Mettere le mani in tasca ai cittadini, che in molti casi a causa della crisi dovranno attingere ai propri risparmi per vivere e che si vedranno questi risparmi ulteriormente tassati, è sicuramente il modo migliore per distruggere la speranza, far montare la rabbia e, in ultima analisi, far durare la crisi più a lungo. Sappiamo che la politica italiana preferisce oggi modelli come quello del regime comunista cinese, ma la patrimoniale non può e non deve essere la nostra risposta al virus: le persone hanno bisogno di speranza, e la speranza nasce con la libertà.



Risparmio: cresce la ricchezza degli italiani
(I risparmi derivati da attività finanziarie hanno, invece, raggiunto i 4.374 miliardi di euro in crescita rispetto all'anno precedente conseguenze degli interessi derivati da conti depositi, titoli e azioni)
mentre aumenta il debito pubblico (a gennaio 2020 ammontava a 2.443.483 di euro)

Barbara Massaro
10 maggio 2019

https://www.panorama.it/news/economia/r ... stat-soldi

Nel corso dell'ultimo anno la ricchezza delle famiglie italiane è cresciuta di 98 miliardi di euro raggiungendo la cifra di 9.743 miliardi di euro.

Si tratta di un tesoretto accumulato con costanza nonostante i redditi siano stagnanti e la congiuntura economica non favorevole, ma gli italiani hanno dimostrato - dopo tre anni di costante riduzione - di aver imparato a farsi i conti in tasca e di preferire la tecnica della formica a quella della cicala.


Da dove arrivano i risparmi degli italiani

I dati sono stati elaborati da una recente indagine congiunta di Banca d'Italia e Istat.

Si tratta di una crescita della ricchezza dell'1% rispetto all'anno precedente derivata dalla somma di tutte le attività reali (casa, terreni, eccetera) e di quelle finanziarie (depositi, titoli, azioni) al netto dei vari prestiti a breve, medio e lungo termine che possono essere stati contratti dalle famiglie.

Confrontando la capacità di risparmio degli italiani con i dati mondiali elaborati dall'Ocse si scopre che noi siamo più parsimoniosi persino di francesi, inglesi e canadesi e, a fine 2017, il valore della ricchezza pro capite delle nostre famiglie era superiore a quello delle famiglie tedesche.

Il tutto a fronte di redditi che non crescono e di un clima di stagnazione generalizzata. Nonostante questo secondo l'indagine gli italiani hanno raggiunto, a fine 2017, un livello di ricchezza cumulata pari a 8 volte il loro reddito disponibile.


Chi guadagna meno risparmia di più

Paradossalmente, però, chi guadagna di più risparmia di meno e la vera dose di ricchezza accumulata in più nel 2017 deriva dalle imprese cosiddette famigliari ovvero quelle che hanno un numero di dipendenti inferiore a 10 (le cosiddette imprese non finanziarie). Per questo genere di imprese capannoni, impianti e macchine generano un valore di ricchezza che le famiglie normali non hanno.

Le imprese non finanziarie hanno accumulato nel 2017 una ricchezza netta pari a 1.053 miliardi di euro ricorrendo al finanziamento tramite titoli e prestiti per una quota di 1.233 miliardi di euro ponendo le nostre imprese nella linea di indebitamento europeo medio basso.


Dove investono le famiglie

Per i nuclei famigliari standard (ovvero quelli non rappresentati dalle piccole società con meno di 10 dipendenti) la quota parte di ricchezza calcolata dall'indagine Banca d'Italia Istat deriva dai beni immobili che rappresentano il 49% della ricchezza lorda calcolata (5.246 miliardi di euro) e case ed abitazioni restano il migliore investimento che ogni famiglia possa fare.

I risparmi derivati da attività finanziarie hanno, invece, raggiunto i 4.374 miliardi di euro in crescita rispetto all'anno precedente conseguenze degli interessi derivati da conti depositi, titoli e azioni.

Un aumento che, si legge nel rapporto: "riflette l'aumento delle attività finanziarie pari a 156 miliardi di euro (+3,7%), che ha ampiamente compensato la riduzione di 45 miliardi di euro (-0,7%) delle attività reali, in diminuzione dal 2012, e l'aumento delle passività finanziarie di 13 miliardi di euro (+1,4%)".

Non solo: determinante per far sì che la quota ricchezza sia cresciuta il fatto che il totale delle passività delle famiglie sia stato inferiore in rapporto al reddito.


Bankitalia: la ricchezza degli italiani è di 10mila miliardi, meno titoli di Stato in portafoglio
Davide Colombo
7 novembre 2018

https://www.ilsole24ore.com/art/bankita ... --AElZrxcG

Una ricchezza immobilizzata soprattutto nel mattone di casa (4,6 volte il reddito disponibile), in depositi bancari e postali (il 31% della ricchezza finanziaria) e sempre meno in titoli (caduti al 7% del portafoglio dal 30% dei primi anni '90). È la fotografia sulla ricchezza degli italiani, confrontata con quella dei principali paesi di riferimento, offerta da un occasional paper pubblicato da Bankitalia. Nei risparmi dei cittadini/elettori - oggetto di attenzioni particolari da parte dei vertici governativi che li hanno evocati più volte come potenziale salvagente di sicurezza in caso di instabilità finanziaria – non ci sono invece quasi più obbligazioni bancarie, potenziali candidate al bail in in caso di crisi (oggi sono pari al 2%, 0,5% quelle subordinate; in gran parte in scadenza entro il 2020) mentre le azioni sono attorno al 24% della ricchezza.

La ricchezza totale delle famiglie l’anno scorso ammontava a più di 10mila miliardi, con una crescita di quella finanziaria (azioni, bond e depositi per 4.400 miliardi) rispetto a quella reale (abitazioni e terreni appunto, pari a 6.300 miliardi). La ricchezza reale è pari a 5,5 volte il reddito disponibile e quella finanziaria è 3,8 volte. La ricchezza totale al netto dei debiti (pari all’80% del reddito disponibile) è 8,5 volte il reddito. Il dato italiano è simile in Francia e Spagna mentre la finanza prevale in Stati Uniti e Germania.

Lo studio, curato da Diego Caprara, Riccardo De Bonis e Luigi Infante del Servizio Analisi statistiche, Dipartimento di Economia e statistica, analizza l’evoluzione della ricchezza delle famiglie partendo dagli anni '50 per arrivare a oggi. Nella gran parte dei Paesi, ad eccezione di Germania e Giappone, dal 1995 a oggi le variazioni delle attività finanziarie sono il risultato per lo più di una variazioni dei prezzi degli strumenti – guadagni o perdite in conto capitale – piuttosto che da flussi di risparmio. A riprova che la capacità di risparmiare non è cresciuta molto. Negli ultimi venti anni il portafoglio finanziario delle famiglie italiane è invece diventato più simile a quello medio dei Paesi avanzati, mentre il debito rimane il più basso (80% del reddito, appunto, contro medie superiori al 100% nelle altre economie avanzate).

Guardando ancora al portafoglio finanziario degli italiani e la sua trasformazione nel lungo periodo, si apprende dallo studio che la discesa dei tassi d’interesse degli ultimi anni è tra le motivazioni principe della caduta al 7% del peso dei titoli nella ricchezza finanziaria degli italiani, dal 30% del 1990. Oggi la quota dei titoli è al livello minimo da quando sono disponibili statistiche (1950). L’incidenza dei titoli, bassa negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, era successivamente cresciuta, a causa dell’aumento del debito pubblico, passato dal 55% del Pil nel 1980 al 111% nel 1993: i risparmiatori erano così diventati i primi detentori di titoli pubblici, sostituendosi alla detenzione tradizionale da parte delle banche. Oggi la gran parte dei titoli pubblici è detenuta in maniera indiretta tramite fondi pensione e gestioni. In termini assoluti i Bot, Btp CcT eccetera detenuti direttamente (pari a 121 miliardi) sono un terzo di vent’anni fa, quando avevano raggiunto il picco di 363 miliardi, di pari passo con l’aumento del debito.

A causa di un refuso, all’inizio del secondo capoverso, in grassetto, era scritto “poco meno di 10mila miliardi”. In realtà la ricchezza degli italiani è superiore ai 10mila miliardi.
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Messaggioda Berto » gio apr 30, 2020 9:24 pm

Una tassa patrimoniale al 14% per tutti e su tutto, ecco cosa propongono i Tedeschi all'Italia
30 aprile 2020

https://va.news-republic.com/a/68214276 ... 5730442246

Come fare per difendersi da una patrimoniale al 14% che potrebbe interessare tutti e colpire sia beni mobili che immobili?

L'idea di una patrimoniale al 14% erga omnes (per tutti) e su tutto arriva dall'economista Daniel Stelter, ed è piaciuta molto in Germania, dove è stato invitato ad approfondire il tema. Ne aveva parlato inizialmente un articolo comparso su Magazine Manager, poi ne è venuto fuori un altro, su Focus.de dove veniva ancora ampliato il discorso.

Su quest'ultimo articolo il tema della patrimoniale al 14% viene affrontato dati alla mano, e si giunge ad una conclusione, quella che anche dopo un salasso del genere "le famiglie italiane avrebbero ancora un patrimonio superiore rispetto a quello delle famiglie tedesche".

Come è facile intuire questo dato non entusiasma la Germania, che quindi vede di buon occhio l'idea di ricorrere alla suddetta patrimoniale. Insomma "l'Italia può benissimo salvarsi da sola, senza alcuna condivisione dei debiti", sarebbe questa la linea che verrà dettata dal Governo di Angela Merkel?

È lo stesso Stelter che a proposito della sua proposta spiega: "in una intervista alla Suddeutsche Zeitung, il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, ha criticato la posizione dei Governi di Germania e Olanda, sostenendo che la loro prospettiva 'ora deve cambiare'. In questa crisi è necessaria la solidarietà europea, ha detto, per questo è arrivato il momento di emettere delle obbligazioni comuni".

Non è una richiesta accettabile, secondo Stelter "per una questione di giustizia. Non solo le famiglie italiane sono significativamente più ricche di quelle tedesche, ma sono anche meno indebitate".

Ma le cose stanno proprio così? Pare proprio di sì. Insomma gli Italiani sono tutt'altro che un popolo di spendaccioni, e se ad amministrare la cosa pubblica non sono mai stati particolarmente virtuosi, lo si dimostrano nell'amministrare i propri averi.

Il patrimonio medio delle famiglie italiane, contando anche contanti, risparmi e immobili è più del doppio di quello delle famiglie tedesche, ma Stelter ci fornisce anche altre informazioni che ci aiutano ad avere un'idea ancora più chiara del concetto.

L'economista mette a confronto l'indebitamento pubblico e quello privato di otto Paesi, che sono: Germania, Italia, Austria, Spagna, Portogallo, Olanda, Belgio e Francia.
Il primo dato lo conosciamo tutti, è quello relativo al debito pubblico italiano, che risulta con il 137,3% del PIL il più alto d'Europa.

Seguono: Portogallo (120,5%), Belgio (102,2%) e Francia (100,4%). Gli altri 4 Paesi presi in esame hanno tutti un debito inferiore al 100%, con la Germania tra i Paesi più "virtuosi" con un debito al 61%, e l'Olanda in testa alla classifica con un debito pubblico al 49,3% del PIL.

Molto più interessanti però si rivelano i dati relativi all'indebitamento privato, che comprende anche i debiti contratti dalle imprese oltre a quelli delle famiglie. Qui la classifica si ribalta con l'Italia al primo posto, avendo il debito privato più basso, pari cioè al 111% del PIL così composto: 69% imprese, 41% famiglie.

La Germania ha un debito privato del 114% del PIL, 59% imprese, 54% famiglie, e ancora "l'Olanda ha il più basso livello di debito pubblico (49,3% del PIL), ma ha un livello molto elevato di debito privato (264%). La Francia è in testa alla classifica del debito totale (317%, di cui 100,4 pubblico e 217 privato), per cui nessuno deve sorprendersi che sia proprio la Francia ad attribuire così tanto valore alle obbligazioni comuni nell'eurozona".

Ma la Francia, con il suo elevatissimo debito privato, non catalizza le attenzioni della Germania, e d'altronde come potrebbe? Si torna quindi a parlare dell'Italia, e Stelter dice: "in nessun altro Paese il settore privato è così poco indebitato come in Italia! In nessun altro Paese le famiglie sono così poco indebitate e soltanto in Germania le imprese hanno meno debiti in rapporto al PIL. Quindi è ovvio chiedersi, come ho fatto io, perché l'Italia non si aiuti da sola".

E ancora "è evidente che non si tratta di un problema di debito eccessivo, ma di una errata distribuzione tra il settore statale e quello privato. Se il Governo italiano trasferisse parte del proprio debito verso il settore privato, questo sarebbe comunque meno indebitato rispetto al settore privato della maggior parte degli altri Paesi".

Insomma il debito che pesa in modo così gravoso sulle spalle degli Italiani ormai da trent'anni, che ci ammorba sotto forma di tasse su tasse che bloccano lo sviluppo del Paese, dovrebbe essere, almeno in parte, trasferito dallo Stato ai privati cittadini con una tassa patrimoniale. Si tratterebbe, secondo il buon Stelter, di una tassa "una tantum" di almeno il 14% sui patrimoni delle famiglie italiane.

"Un prelievo molto facile" lo chiama lui. D'altra parte stando ai dati raccolti dalla Banca d'Italia, nel 2017 la ricchezza privata delle famiglie italiane era stimata in 9.743 miliardi di euro, dei quali: 5.247 miliardi come valore degli immobili, 1.361 in contanti e depositi bancari, 1.038 in azioni, 995 in assicurazioni e fondi pensione, 679 in immobili commerciali, 524 in fondi d'investimento, 314 in obbligazioni.

E approfondendo ancora, Stelter fa notare che "le famiglie italiane detengono direttamente appena 100 miliardi di titoli di Stato" come se ciò dimostrasse la scarsa fiducia dei risparmiatori nei bond del proprio stesso Paese, e questo si ricollegherebbe al discorso dei "bond patriottici" proposti da Lega e FdI, che probabilmente considerata questa tendenza non avrebbero un grande successo.

Qualcuno però ha obiettato che se gli Italiani hanno più immobili che risparmi, molti di loro si troverebbero in difficoltà a dover pagare una tassa patrimoniale così elevata che colpisce appunto tutti i beni, non solo i conti in banca. Ma Stelter trova subito una soluzione "gli Italiani potrebbero facilmente prendere in prestito i soldi necessari per pagare le tasse, visto che il loro debito privato è molto basso".

Cosa fare per difendersi dalla tassa patrimoniale al 14%

Da una tassa patrimoniale erga omnes e su tutto ci si difende male, ma qualcosa si può fare, oltre a sperare che il Governo non applichi nulla di simile. Non solo nell'interesse del risparmiatore che semplicemente non gradisce che lo Stato metta le mani nel suo conto corrente e glie lo alleggerisca, ma nell'interesse della collettività e del Paese stesso, le cui già misere speranze di ripresa verrebbero stroncate da una simile aggressione ai danni delle famiglie.

Cosa fare dunque? Prima di tutto, considerate le limitazioni relative all'uso del contante, prelevare quanto possibile dai propri conti in banca. I limiti di spesa fissati per pagamenti in contanti attualmente sono ancora di fino a 3.000 euro fino al 30 giugno 2020, poi si abbasseranno a 2.000 euro fino al 31 dicembre 2021, per poi scendere a quota 1.000 euro a partire dal gennaio 2022.

I titoli di Stato corrono meno rischi di essere tassati, quindi eventualmente si potrebbe convertire una parte della propria ricchezza in questi strumenti finanziari. Oppure si può stipulare una polizza assicurativa del ramo Vita con beneficiari eventuali eredi o parenti.

Si dice che le polizze Vita siano impignorabili, ma non è esattamente così, tuttavia rappresentano in questo caso un'ottima soluzione per chi vuole tenere i propri averi più al sicuro possibile da una eventuale tassa patrimoniale. Si tratta infatti di forme di assicurazione che non possono essere tassate in quanto non sono nella disponibilità dell'assicurato.

Ecco quali sono i benefici delle polizze del ramo Vita:

In caso di liquidazione di un capitale a seguito del decesso dell'assicurato questo è esente dall'imposta IRPEF ex art. 34 del DPT 600/73
Il capitale liquidato non è soggetto all'imposta di successione
La polizza non può essere pignorata né sequestrata ex art. 1923 del C.C. (anche se alcune sentenze della Corte di Cassazione mettono comunque in guardia il titolare della polizza circa alcune eccezioni)
Le somme spettanti all'assicurato in caso di riscatto per permanenza in vita oltre il termine stabilito sono soggette solo ad una imposta sostitutiva del 12,5% che si calcola però sulla differenza tra quanto percepito ed i premi pagati, vale a dire sulla plusvalenza ex art.26 del DPR 600/73.
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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:47 pm

SOLO CHIACCHIERE E DISTINTIVO
accademiadegliuniti
Enzo Trentin
1 maggio 20202

https://blogdiet.wordpress.com/2020/05/ ... istintivo/

Il filosofo Hans Jonas [ https://it.wikipedia.org/wiki/Hans_Jonas ] ha redatto molto tempo fa il programma secondo il quale funziona la sua intelligenza artificiale. Nel “Principio di responsabilità” del 1979, Jonas fa sapere che, in materia di sopravvivenza del pianeta, si tratta di smetterla con i ragionamenti illuministi che non hanno prodotto nulla se non delle catastrofi ed ormai bisogna lottare per una “euristica della paura”. Detto in altre parole: bisogna drammatizzare, preoccupare, amplificare, esagerare, fare paura, ovvero tutto il contrario di pensare, esaminare, riflettere, dibattere. Non si pensa più, si recita; non si esamina più, sì asserisce; non si riflette più, si salmodia; non si dibatte più, si insulta, si scomunica, si lanciano anatemi. Si disaggrega… al di là d’essere d’accordo o meno con Hans Jonas sembra l’operatività del Parlamento italiano con la sua pletora di partiti politici inefficienti, perennemente conflittuali e dediti al voto di scambio.

Hans Jonas

E così siamo arrivati a uno scontro generazionale: si tratta di disuguaglianza verticale e non orizzontale tra i diversi ranghi sociali. Una differenza tra padri e figli, che per la prima volta mette a rischio il patto generazionale che ha sorretto lo sviluppo economico di intere epoche storiche. Per usare una terminologia povera sul piano lessicale possiamo dire che i figli stanno e staranno sempre peggio dei padri. Tale difformità, storicamente mai manifestatasi nel passato, vale a dire che i figli godranno di condizioni di vita peggiori di quelle dei padri, può risolversi molto probabilmente con il collasso dello Stato sociale e delle finanze pubbliche.

Non si esamina più

“No taxation without representation” (Nessuna tassazione senza rappresentanza), apparve per la prima volta nel titolo del «London Magazine» del febbraio 1768, a pagina 89. La frase sintetizzava una delle 27 lamentele dei coloni americani nelle Tredici Colonie, che fu una delle principali cause della Rivoluzione americana. In breve, molte di quelle colonie credevano che, poiché non erano direttamente rappresentate nel lontano parlamento britannico, tutte le leggi che colpivano i coloni (come Sugar Act e Stamp Act) erano illegali ai sensi della Bill of Rights 1689. Negavano i loro diritti di inglesi.

Sul fronte opposto, ovvero governare senza mettere fine ad un immane debito pubblico ed emettendo sempre nuove tasse, trova l’economista Maffeo Pantaleoni con la sua giusta considerazione: «Qualunque imbecille può inventare nuove tasse…».In precedenza, nella prima metà dell’800, Frédéric Bastiat https://it.wikipedia.org/wiki/Fr%C3%A9d ... ic_Bastiat aveva sostenuto: «Quando per un gruppo di uomini in una determinata società il saccheggio diventa uno stile di vita, nel corso del tempo creando per se stessi un sistema legale che lo autorizza ed un codice morale che lo glorifica costringerà molte persone ad ammettere ciò che fanno finta di non vedere. Che il paese è, di fatto, un’oligarchia imperiale. Fingere il contrario peggiora solo le cose.»
Frédéric Bastiat



Amplificare, esagerare, fare paura

Con il dissesto pubblico la maggior parte delle persone analizza gli effetti debilitanti sulla società dell’eccesso di debito; tende a considerare il problema da un punto di vista elementare, quello secondo cui la metà più povera della popolazione non ha praticamente altra scelta se non quella di indebitarsi per partecipare all’economia, così com’è costruita. Questo perché il costo dei beni in generale è stato gonfiato ben oltre la capacità della maggior parte delle persone di acquistarli direttamente. In particolare, la crescita dei salari non è riuscita a tenere il passo con i costi sempre crescenti di beni importanti come la casa, l’assistenza sanitaria e l’istruzione superiore.

Molte persone ormai lo hanno capito, ma ciò che è molto meno compreso, anche se potenzialmente più significativo, è come i ricchi usano il debito. L’oligarchia utilizza il debito in modo offensivo (per aumentare la ricchezza e il potere), mentre le masse lo devono usare in modo difensivo (per sopravvivere). Se più persone capissero in che modo il gioco è truccato al livello più alto (il sistema finanziario), potremmo ottenere qualche risultato.

Il debito diventa una leva

Non è sempre stato così, potrebbe chiedersi il lettore? Non è sempre stato avvantaggiato chi disponeva di capitali rispetto a chi non ne aveva? Non è questa la storia del capitalismo fin dagli inizi? La risposta può essere un Sì e un No.

La differenza principale tra i periodi passati della storia e, per esempio, il 21° secolo è stato il grande aumento del potere detenuto dal settore dei servizi finanziari, questo grazie alla volontà della Federal Reserve e della Bce di incoraggiare e favorire l’ingordo e spericolato comportamento della classe degli speculatori. Non è un segreto che la Fed e la Bce abbiano intenzionalmente incrementato le attività in tutto il settore FIRE (finance, insurance, and real estate – finanza, assicurazioni, immobili) dopo la crisi del 2008. Quelli con abbastanza capitale per cavalcare l’onda di questa irresponsabile e antidemocratica pianificazione centrale si erano affrettati ad indebitarsi per acquistare quanti più beni possibile, moltiplicando così il ritorno degli investimenti.

Debito pubblico italiano

I banchieri o i gestori di hedge fund che avevano sfruttato una massiccia leva finanziaria per amplificare tali scommesse hanno potuto accumulare fortune che dureranno intere generazioni, senza creare nulla di valore. La stessa cosa capita nelle aziende, poiché i dirigenti societari, in tutti i settori, hanno utilizzato l’accesso al debito a basso tasso per riacquistare le proprie azioni e prendere ricchi premi, nonostante che, così facendo, non avessero creato nulla di societariamente valido. È pura ingegneria finanziaria. Nessuno dovrebbe arricchirsi in questo modo, ma è proprio quello che sta succedendo. Quindi, si vede bene che il debito non è solo un mezzo per soggiogare la parte più povera e disperata della popolazione, è contemporaneamente un efficace strumento per espandere la ricchezza e il potere ai vertici.

La legge bancaria del 1933, nota come Glass-Steagall Act (dal nome dei suoi promotori, il senatore Carter Glass e il deputato Henry B. Steagall), fu la legge che istituì la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) negli Stati Uniti d’America e introdusse riforme bancarie, alcune delle quali furono progettate per controllare la speculazione finanziaria. Tuttavia, il 12 novembre 1999 il presidente USA Bill Clinton abrogò le disposizioni del Glass-Steagall Act del 1933. L’Ue e l’Italia seguirono a ruota.

Significativamente, questo feudalesimo finanziario non è solo interclasse, è anche intergenerazionale. Il crollo del mercato azionario e immobiliare di oltre un decennio fa era stato il tentativo del mercato di resettare quei settori, in modo che fossero più in linea con i redditi medi, ma le banche centrali non ne avevano voluto sapere. Avevano deciso che i prezzi delle attività dovessero essere gonfiati il più possibile e il più velocemente possibile e i loro tirapiedi bancari non eletti avevano implementato questa importante decisione politica di pianificazione economica centrale senza neanche un dibattito pubblico.

Hans-Hermann Hoppe osserva: «Guardando all’Ue il quadro diventa ancora peggiore. L’Ue è il primo passo sulla strada verso la creazione di un super-Stato europeo, e in ultima analisi di un unico governo mondiale, dominato dagli Stati Uniti e dalla sua banca centrale, la Fed. Fin dai suoi inizi, e nonostante tutti i proclami politici altisonanti in senso contrario, l’Unione europea non è mai stata per il libero commercio e la libera concorrenza. […] quindi, posti sotto pressione per trasferire sempre più grandi parti della sua già limitata sovranità all’Ue e a Bruxelles. […] l’Unione europea è impegnata in una crociata per erodere e distruggere tutte le identità nazionali e tutta la coesione sociale e culturale. L’idea di nazione e di diverse identità nazionali e regionali è ridicolizzata, il multiculturalismo è invece salutato come indiscutibilmente “buono”. Sicché nel promuovere la concessione di privilegi legali e “protezione speciali” a tutti, eccetto agli uomini bianchi eterosessuali e ai padri di famiglia soprattutto sposati (che sono ritratti come storici “oppressori” che necessitano di risarcire tutte le altre loro “vittime”), la politica chiamata eufemisticamente di “anti-discriminazione” o di “affirmative action” mina sistematicamente l’ordine sociale naturale. La normalità è punita, l’anormalità e la devianza vengono premiate.»

Tutto il contrario di pensare

I giovani che entrano a far parte della forza lavoro non hanno risparmi e la crescita dei salari è scarsa, in questo modo una generazione intera è stata rapidamente esclusa dal possesso della prima casa e, allo stesso tempo, gravata da un enorme debito. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La crisi che sta affrontando questo paese cova sotto la cenere e si sta metastatizzando, coperta da un’illusione di dati economici fuorvianti e di mercati azionari da record. Mentre la tentazione è quella di concentrarsi sui sintomi, non si affronta e non si risolve nulla di tutto questo, a meno di non comprendere la struttura e il modo in cui il gioco viene realmente condotto. Il sistema in cui viviamo non è capitalismo o socialismo, è feudalesimo finanziario.

Feudalesimo finanziario

La politica attuale (anche in Italia) con tutte le sue varie manifestazioni di governo non è concepita per produrre e favorire shock endogeni necessari ad un cambio di marcia. Le giovani generazioni dovranno per questo sopportare una fiscalità in continua ascesa per garantire il welfare attuale ed il pagamento delle rendite pensionistiche attuali.

Si lanciano anatemi e si recita

Sono molti i veneti che si considerano indipendentisti (e che nel frattempo – insieme ad altri – hanno dato il via alla Nuova Costituente a difesa dei territori: http://citywi.it/?page_id=212 ) e che hanno incominciato ad inveire contro il Presidente del consiglio dei ministri “Giuseppi” Conte in questo modo: «Ma vattene, non sei niente, sei solo chiacchiere e distintivo!» È l’invettiva del personaggio interpretato da Robert De Niro all’omologo Kevin Costner ne “Gli intoccabili” un film del 1987.

Mentre il Presidente Conte continua a suggerire di affidarsi alle banche, sta emergendo – ma ancora nessuno lo dice – che gli istituti di credito non hanno sufficiente disponibilità di denaro. Di quali ingenti capitali può disporre, ad esempio, la Banca Popolare di Bari che ha subito il commissariamento del Consiglio d’amministrazione? Meglio ancora: domandiamoci quali sono banche in crisi in Italia, a rischio fallimento e bail in? Si veda qui: https://www.money.it/Banche-a-rischio-crisi-Italia . E cercano scappatoie per disattendere la maggior parte delle richieste, senza però dire il vero motivo della lentezza e dei dinieghi che si preannunciano.

Si lanciano anatemi

Di quali credibili rimedi il mondo autonomista-indipendentista si avvantaggerebbe? Non è ancora noto!

Intanto alla Regione Veneto sono ferme e ignorate dal lontano 18 Novembre 2015 alcune petizioni popolari depositate da “Più Democrazia Regione Veneto”

[ https://docs.google.com/document/d/1WR0 ... sp=sharing ] per ricondurre alla corretta interpretazione quella sovranità popolare di cui all’Art. 1, Comma 2 della Costituzione.

Quello che a molti politicanti sfugge, è che il federalismo può essere la soluzione, quando si basa su i due principi fondamentali descritti da Pierre-Joseph Proudhon, considerato il padre del federalismo moderno:

1 – la sovranità che tramite il voto i cittadini conferiscono ai rappresentanti, è inferiore alla sovranità che riservano per se stessi sui fatti.

2 – Gli oneri che il “foedus” implica devono essere inferiori (o quanto meno uguali) ai benefici che se ne ricavano.

Se ci pensa un po’, il primo è il principio cardine della democrazia. Il secondo è una «assicurazione» civica; ovvero sono i cittadini che accettando o rifiutando o proponendo determinati servizi, implicitamente determinano il carico fiscale-impositivo.

È pur vero che alcuni (Movimento Federale https://www.movimentofederale.eu/homepage /) propongono di iniziare dalla riscrittura degli Statuti comunali, almeno in quella parte (vedere la Carta Europea delle Autonomie Locali – https://www.coe.int/it/web/conventions/ ... treaty/122 ) che riguarda gli “Istituti di Partecipazione Popolare”. Infatti, l’ultimo periodo dell’Art. 3 – Concetto di autonomia locale – della predetta Carta Europea sancisce:

“Detta disposizione non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge.“

Attenzione: si parla di referendum, e non si specifica referendum consultivi che sono una invenzione della burocrazia (che mai nessuno vota), a vantaggio della partitocrazia che ne determina la carriera. Si tratta, insomma, di esercitare il princìpio che sta alla base del moderno federalismo, ovvero: attraverso la sovranità il singolo cittadino “delega” alcune funzioni al Comune, che a sua volta ne “delega” altre (poche) al Cantone [Provincia nel caso Italia], che a sua volta ne “delega” pochissime alla federazione, la quale federazione può eventualmente accettare di allearsi (Foedus) in Confederazione con altri soggetti per il raggiungimento di determinati obbiettivi, che non sono però a detrimento della Sovranità Popolare intesa come su indicato. Insomma, dal basso verso l’alto, e non viceversa. Il viceversa c’è già, e non sembra che sia molto soddisfacente.

Come afferma un sincero federalista qual è Giancarlo Pagliarini, ex Ministro del Bilancio: «In un sistema federale la sovranità è degli enti territoriali. Lo stato centrale è al loro servizio e svolge i compiti che gli enti territoriali e i cittadini gli delegano. La parola “servitore dello Stato” non ha senso: avete mai sentito di un servitore che ha dei servitori?


Gino Quarelo
apprezzo l'articolo e mi permetto due appunti critici e criticabili a completamento e a beneficio della buona analisi in esso svolta:

uno sull'uso del termine "feudalesimo" interpretato in senso negativo come si usa fare anche con il termine "medievale". Il periodo feudale fu un periodo storico che svolse egregiamente le sue funzioni e che poi con il mutare delle cose fu cambiato con altro come avvenne in precedenza con l'Impero romano e più tardi con gli antichi regimi antidemocratici tra cui la Serenissima.
l'altro sul "referendo consultivo" che nell'ordinamento costituzionale e legislativo italiano non è un prodotto della burocrazia ma della politica anche se non è stato previsto dalla Costituzione italiana ma solo da una legge integrativa fatta però sempre dai politici e non dai burocrati degli apaprati ministeriali.

https://it.wikipedia.org/wiki/Feudalesimo
Il feudalesimo (detto anche "rete vassalla"), era un sistema politico, economico e sociale che si affermò nell'Europa occidentale con l'Impero carolingio (IX secolo) e con la morte di Carlo Magno, fino all'avvento dell'età moderna. In senso sociale ed economico fu un'evoluzione della società curtense.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:48 pm

Yuval Noah Harari: «Non sprechiamo questa crisi. Può nascere da qui la solidarietà globale»
Luca Mastrantonio
2 maggio 2020

https://www.corriere.it/sette/incontri/ ... ZqO64swzpk


In apparenza la vita dello storico israeliano Yuval Noah Harari non è cambiata molto. Vive a Tel Aviv in un moshav, una comunità agricola simile al kibbutz, con il marito Itzik Yahav (la loro società Sapienship ha donato un milione di dollari all’Organizzazione mondiale della sanità dopo la notizia che Trump ha bloccato i fondi americani all’OMS): «Qui in tanti hanno perso il lavoro, io sono fortunato, posso lavorare da casa». Prima del lockdown, andava a Gerusalemme per l’università. Ora, didattica online: «Utile, ma mi manca il confronto dal vivo».


«Sì, finiremo nei libri di Storia»

Ancora più acuta è l’assenza di contatti fisici con i cari e gli amici: «Parlo con mia madre, facciamo un diario della giornata, ma vorrei abbracciarla». La novità, per il celebre autore di best-seller come Sapiens e Homo Deus (Bompiani), è il boom di interviste: «Prima ne davo una ogni due, tre settimane. Ora anche 4-5 al giorno. Perché?». La risposta, forse, è dentro ognuno di noi: vogliamo sapere se ciò che stiamo vivendo, i lutti, i sacrifici e le sofferenze hanno un senso. In sintesi: finiremo nei libri di Storia? «Sì, perché le decisioni che stiamo prendendo adesso avranno effetti profondi sul nostro futuro», ci risponde Harari, al telefono.

Un mese fa sul Financial Times lei descriveva un bivio: da una parte la crescita di nazionalismi autoritari, dall’altra una globalizzazione più solidale. A che punto e in che direzione siamo?
«L’Europa ha bisogno di più unità ma rispetto a un mese fa i segnali incoraggianti ci sono: c’è meno cinismo, si è capito che non bastano gli aiuti, serve solidarietà. Tra i segnali negativi, il governo americano che ha deciso di cancellare i fondi Usa per l’OMS. Roba da pazzi. Trump sta cercando di deviare l’attenzione dalla sua pessima gestione della crisi, vuole un capro espiatorio, vuole coprire i suoi errori».

Oggi più che mai sentiamo il bisogno di leader con una visione.
«Sono emersi i limiti strutturali del tipico leader populista che ha vinto le elezioni esasperando le divisioni: ha sostenitori che gli danno ragione anche se dice che il sole sorge a ovest e oppositori che lo criticano anche se dice che il sole sorge a est. Così puoi vincere in democrazia, ma non governi la crisi. I leader populisti che fanno? Esasperano le divisioni, fomentando l’odio per gli stranieri e le minoranze. In India accusano gli islamici, i Paesi islamici accusano Israele, Trump accusa i cinesi... Ma il coronavirus ci sbatte in faccia che l’umanità è globale, ha un solo destino. Non abbiamo bisogno di nuove ideologie o religioni per capirlo. Agli occhi del virus fa differenza se sono israeliano o italiano? No. Siamo tutti prede. Le uniche differenze, anagrafiche, valgono in ogni Paese».


«LE AZIENDE DIGITALI STANNO ACCUMULANDO POTERI ENORMI.
LA POLITICA È CHIAMATA A STUDIARE NUOVE REGOLE»

In Italia Harari, pubblicato dalla casa editrice Bompiani, ha venduto complessivamente 250 mila copie. Il long seller è Sapiens, mentre il suo bestseller più recente è «21 lezioni per il XXI secolo»

In una delle sue 21 lezioni per il XXI secolo criticava l’arroganza degli apocalittici, parlano come se sapessero cosa sta succedendo. Serve più l’umiltà per capire ciò che ancora non sappiamo.
«Nessuna apocalisse e non stiamo vivendo la fine del mondo, abbiamo fronteggiato epidemie più violente per tasso di mortalità, nell’ordine dei milioni: la peste nera nel Medioevo e la spagnola a inizio ‘900. Anche l’Aids, se lo prendevi negli Anni 80 eri spacciato, ora non è così, dopo anni di studi e cure sperimentali. Del Covid abbiamo isolato in poche settimane il codice, sappiamo come si trasmette, in 1-2 anni potremmo trovare il vaccino. Il tempo sembra non passare mai perché siamo chiusi in casa».

Com’è la didattica online?
«Semplifica aspetti organizzativi come assegnare i compiti, dividere in gruppi... Schiacci un tasto e via. Però ignoro l’atmosfera della classe, il grado di interesse e il livello di attenzione. Gli studenti seguono ore e ore di lezioni davanti allo stesso schermo, saranno esausti. Spero di tornare presto alla classe fisica, anche se molti insegnamenti resteranno online. Mi manca la vita sociale dell’università e manca agli studenti. L’università non è un solo un insieme di aule, è fatta di incontri, intervalli, appuntamenti».

Da storico, cosa pensa quando si usa la metafora della guerra?
«Chi contrasta il virus non sono soldati che sparano, ma infermieri che cambiano le lenzuola negli ospedali. Se usi la metafora della guerra poi diventa naturale dare poteri speciali a uomini forti, alla polizia e all’esercito, ai generali, come alcuni vorrebbero qui in Israele. Ma quali competenze ci servono? Quelle di chi sa uccidere o di chi sa curare? Di un generale o un primario? Rinunciare alla democrazia perché solo un leader forte può salvare il genere umano? No. Servono leader più umani. Sa qual è il pericolo maggiore?».


«LA GUERRA È UNA PERICOLOSA METAFORA, POI DIVENTA NATURALE DARE SPAZIO AI GENERALI»

«Sapiens. Da animali a dèi» (2014) e «Homo Deus» (2017), tradotti in più di 50 lingue, hanno venduto 19 milioni di copie nel mondo. Nel 2012 Harari ha ricevuto il Polonsky Prize for Creativity and Originality in the Humanistic Disciplines
In termini politici?
«No, in termini assoluti. Il pericolo vero non viene dal virus ma dai demoni interiori del genere umano, come l’odio e la cupidigia. L’odio è frutto di una falsa soluzione: il pericolo sono gli altri. La cupidigia arricchisce pochi, danneggia molti e favorisce il virus».

In molti Paesi certi settori produttivi dicono che il contenimento delle perdite umane non può bloccare l’economia. Diamo un prezzo alla vita umana?
«È difficile da ammettere, ma lo facciamo sempre. Non esistono budget illimitati, van ripartiti: quanto spendo per nuovi farmaci rari e quanto per l’educazione? Quanto per sistemare le strade, e ridurre gli incidenti, e quanto per gli ospedali che curano? Servono priorità. Ora la priorità è sconfiggere il virus, i cui danni sono anche economici, ma non è limitando i danni economici che si sconfigge il virus. Per ora nessun Paese ha sacrificato la salute per l’economia, è un segnale incoraggiante».

La crisi che mette in ginocchio interi Paesi sta arricchendo le grandi aziende digitali come Facebook e Amazon.
«Oggi viviamo un doppio pericolo: che si instauri un regime di controllo giustificato dall’emergenza che resterà in funzione dopo l’emergenza, creando nuovi stati totalitari; e che aziende globali digitali accumulino un potere enorme di cui non devono rispondere a nessuno. Sia chiaro, senza il digitale si sarebbero chiuse le università, niente telelavoro, famiglie in frantumi. Ma c’è un tema politico: come regolamentare chi possiede le infrastrutture tecnologiche che stanno mandando avanti il mondo e invadono le nostre vite? Oggi Zuckerberg è potenzialmente più potente di Trump».

La sua speranza maggiore?
«Che con la crisi la gente capisca l’importanza della solidarietà globale per le sfide comuni: la salute nostra e del pianeta sono connesse; spero che si inverta la crescita delle destre populiste: la crisi ha rivelato che i populisti non sono in grado di difendere il loro popolo. Serve un nazionalismo migliore».

In che senso migliore?
«Molti mi fraintendono: se incoraggio la solidarietà globale non sto attaccando i nazionalismi. Cos’è il nazionalismo? Amare i tuoi compatrioti. Ma per amarli e difenderli oggi devi cooperare: devi condividere i dati del virus, far collaborare i ricercatori, devi mutualizzare i rischi economici e per evitare ondate di ritorno devi aiutare Paesi restati indietro: se vanno al collasso son guai per tutti. La collaborazione globale è buon nazionalismo, perché è fatta nell’interesse della tua nazione e dei tuoi compatrioti».

Cosa farà, finita la quarantena?
«Vorrei rivedere e abbracciare mia madre e le mie due sorelle. Ho bisogno di stare assieme a loro. Non ce la faccio più a vederle solo attraverso uno schermo».
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:48 pm

Der Spiegel fa a pezzi la classe dirigente tedesca riguardo i rapporti con l’Italia

Si tratta di uno degli articoli più importanti scritti ultimamente in cui Thomas Fricke editorialista del Quotidiano, mette a nudo le contraddizioni nei rapporti della Germania con l'Italia. Articolo da leggere assolutamente.

Franco Fazzi

Editoriale sul Der Spiegel di Thomas Fricke

La Germania ha “un’immagine distorta e fatale dell’Italia”, un’immagine che finirà per “fare a pezzi l’Unione europea”.
Lo scrive oggi in un lungo editoriale lo Spiegel, che lo pubblica addirittura in apertura del proprio sito. Un articolo molto duro nei confronti della classe politica tedesca: Thomas Fricke, che firma il pezzo, non esita a parlare di “tutta questa arroganza tedesca che – non solo adesso, ma soprattutto adesso – è particolarmente tragica”.
E non solo perché “la solita lagna tedesca ha a che fare con la realtà della vita degli italiani quanto i crauti hanno a che vedere con le abitudini alimentari dei tedeschi”. A detta dello Spiegel, la lite sull’eventuale partecipazione dei tedeschi agli eurobond “è imbarazzante”, perché si preferisce “fantasticare sul fatto che gli italiani avrebbero dovuto risparmiare prima”, fantasie che “spiegano la mancanza di zelo da parte della Germania nel far partire al vertice Ue di questa settimana una storica azione di salvataggio”.
Ed ecco l’affondo: “L’Europa rischia di sprofondare nel dramma, non perché gli italiani sono fuori strada, ma a causa di una parte predominante della percezione tedesca”. E ancora: “Forse è per colpa dei tanti film sulla mafia”, scrive il settimanale tedesco ironizzando sui rispettivi stereotipi tra i due Paesi, “forse è solo l’invidia per il fatto che l’Italia ha il clima migliore, il cibo migliore, più sole e il mare”.
Secondo Fricke, “se lo Stato italiano in una crisi come questa finisce sotto pressione dal punto di vista finanziario, dipende – se proprio deve dipendere dagli italiani – dal fatto che il Paese ha una quota di vecchi debiti pubblici, ossia dai tempi passati. Solo che questo ha poco a che vedere con la realtà della vita di oggi, ma con una fase di deragliamento degli anni ’80, il che ha a sua volta a che vedere con gli interessi improvvisamente schizzati in alto”.
Lo Spiegel fa anche un paragone storico sempre molto scottante per la Germania: “Se noi tedeschi non avessimo avuto all’estero amici tanto cari che nel 1953 ci abbuonarono una parte dei nostri debiti, staremmo ancora oggi con un pesante fardello in mano. E come va a finire quando le persone devono continuare a pagare debiti nati storicamente, la Germania lo ha dimostrato alla fine della Prima guerra mondiale, quando alla fine il sistema si rovesciò, come da anni rischia di succedere anche in Italia”.
Inoltre, l’editoriale del settimanale ricorda che “da 30 anni lo Stato italiano spende meno per i suoi cittadini di quello che prende loro, con l’unica eccezione dell’anno della crisi finanziaria mondiale 2009. Questo vuol dire risparmi record, non sperperare”. Il giornale cita anche gli investimenti pubblici “tagliati di un terzo dal 2010 al 2015”, così come “si sono rimpicciolite le spese per l’istruzione e la pubblica amministrazione”.
Insomma: “Dolce vita? Stupidaggini. Gli investimenti pubblici dal 2010 in Italia sono calati del 40%. Un vero e proprio collasso”. Questo mentre in Germania, la spesa pubblica “è cresciuta quasi del 20%”, ossia “lo Stato spende a testa un quarto di più di quello che spende in Italia. Il che in queste settimane si percepisce dolorosamente”.
Una situazione che con l’attuale crisi da pandemia del coronavirus si tramuta “in un dramma incredibile”: “In Italia sono mancati i posti letto e sono morte tante persone che oggi forse potrebbero essere ancora in vita. Non è direttamente colpa dei politici tedeschi, ovvio. Ma sarebbe ben giunto il tempo di smettere con folli lezioncine, e di contribuire a far piazza pulita delle cause del disastro, caro signor Schaeuble (già ministro alle Finanze negli anni più caldi dell’eurocrisi, ndr). O di dire “scusateci” almeno una volta”.
E invece “con assoluta serietà” si continua ancora a parlare della “dipendenza da credito” degli italiani, continua lo Spiegel. “Ma anche qui, un piccolo suggerimento fattuale: i debiti privati, commisurati al Pil, in quasi nessun Paese dell’Ue sono così bassi come in Italia”.
Infine: “È giunta finalmente l’ora di mettere fine a questo dramma, e magari proprio con gli eurobond, quali simbolo della comunità del destino della quale comunque facciamo parte sin da quando abbiamo una moneta comune”, conclude Fricke. “Ancora i tedeschi hanno tempo di raddrizzare la curva dopo le contorte settimane scorse: altrimenti l’Unione europea nel giro di qualche anno non sarà più un’unione.
In Italia come in Francia arriveranno al potere delle persone che, come adesso già fanno Donald Trump o Boris Johnson, non hanno nessuna voglia di stare al gioco: quel gioco sul quale la Germania da decenni costruisce il proprio benessere”.
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Re: Solidarietà economica al tempo della crisi da coronaviru

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:49 pm

Cosa fare per riavviare il mercato del lavoro
Immoderati
Elia Dall'Aglio
03/05/2020

https://www.immoderati.it/mercato-del-lavoro-italia/


Qual è ad oggi la situazione del mercato del lavoro post – covid in Italia? Piuttosto drammatica, come è facile immaginare.

Non sappiamo quanti siano esattamente coloro che hanno perso il lavoro: questo perché il ministero del lavoro non si perita di rendere pubblici i dati in suo possesso. Gli unici dati disponibili sono quelli del Veneto: nel mese di marzo sono stati persi 6000 posti di lavoro a settimana, in particolare per via dei mancati rinnovi di contratti a tempo determinato. Dati equipollenti a quelli della recessione del 2007/2008. Secondo Andrea Garnero, dell’Ocse, la perdita complessiva di posti di lavoro si aggirerebbe, a livello nazionale, intorno ai 25.000 a settimana. Sono calcoli grossolani, ma che da soli rendono l’idea.

Secondo i dati ufficiali, sono 7,7 milioni i lavoratori dipendenti (circa 1/3 del totale) che hanno fatto richiesta della cassa integrazione. Si dirà: perlomeno, per un certo lasso di tempo, costoro avranno uno stipendio garantito dallo Stato. La realtà, purtroppo, è assai meno rosea.

Secondo i consulenti del lavoro, la perdita di reddito si aggira sui 3,5 miliardi di euro, con una decurtazione media di 472 euro (la cassa integrazione, infatti, corrisponde all’80% del reddito).

Non bastasse questo, la stragrande maggioranza dei lavoratori (il 78% di chi ha fatto domanda) non ha ancora ricevuto alcunché: per questo molti datori di lavori si sono fatti carico di anticipare gli stipendi ai lavoratori. Come gli altri sussidi di disoccupazione, la cassa integrazione (solo in Italia ne esistono tre tipi!) è in capo alle regioni, il ché rende il meccanismo assai farraginoso, comportando tempi troppo lunghi per molti lavoratori.

Vi sono poi altre criticità: il divieto di cumulo, ovvero l’impossibilità per il lavoratore in cassa integrazione di cumulare due redditi, quindi di cercare ed espletare un altro lavoro nel momento in cui si è fermi (Perotti e Boeri, in un editoriale su Repubblica, ne hanno reclamaato l’abolizione – finora inascoltati) o il fatto che il lavoratore rimane legato, “cristallizzato”, ad un’azienda dal futuro incerto o in procinto di fallire. In sostanza, la cassa integrazione se da una parte consente al lavoratore di mantenere il posto di lavoro, dall’altra rappresenta spesso un forte disincentivo alla mobilità del lavoro (oltre a prestarsi ad abusi frequenti da parte delle aziende, di cui tanto si è detto in passato).

A differenza dei lavoratori dipendenti, autonomi e partite Iva hanno ricevuto tutti, indistintamente, un bonus di 600 euro (che dovrebbero diventare 800 a partire da questo mese), la sospensione (non cancellazione, si badi bene) delle tasse future, una linea di credito agevolata per poter ricevere finanziamenti e liquidità.

Misure insufficienti; sarebbe stato preferibile elargire a tutte le partite Iva una somma corrispondente a un dodicesimo del fatturato registrato l’anno scorso – stabilendo un tetto massimo – così da premiarle e/o penalizzarle in base alla “fedeltà fiscale”. In Germania, tanto per fare un paragone, lo Stato, attraverso i Land, sussidia le aziende, da subito, e con procedure semplicificate, con versamenti che variano da 2500 a 10.000 euro al mese.

A seconda di quanto durerà il lockdown, maggiore sarà il numero di piccoli esercenti costretti a chiudere i battenti, e di riflesso di lavoratori che perderanno il lavoro. Per questo, a mio parere, è d’uopo riaprire al più presto, in sicurezza (se la Gdo, uno dei pochi comparti che ha beneficiato della situazione di crisi generale, si è adattata in pochi giorni, non si capisce perché non dovrebbero essere in grado di farlo anche le altre aziende).

Il Presidente del Consiglio, agli albori del lockdown, introdusse per legge una clausola temporanea volta a impedire alle aziende di effettuare licenziamenti dichiarando che nessuno avrebbe perso il lavoro a causa della pandemia. “Una pietosa bugia”, come ebbe a commentare De Bortoli sul Corriere della Sera. D’altronde lo stesso governo nel def stima – per difetto – in 500.000 il numero di posti di lavori persi questo anno.

Che fare, dunque, per rivilitazzire un mercato del lavoro in stato agonizzante?

Alcune scelte si possono implementare da subito, e sono a costo zero: cancellare il decreto dignità quantomeno nella parte relativa alle causali, che sono il più formidabile disincentivo alle assunzioni nei contratti a termine; reintrodurre i voucher limitatamente ad alcune professioni (agricoltura, baby sitter badanti ecc) – chi scrive, ai tempi del governo Gentiloni, era favorevole alla loro abolizione poiché erano stati stravolti rispetto alla loro funzione originaria, divenendo un modo per le imprese di comprimere il costo del lavoro, e un simbolo del “precariato”.

Altre riforme sono indifferibili, riorientando il nostro sistema di welfare secondo il principio “più welfare meno pensioni”: cancellare una selva di bonus inutili (bonus cultura, bonus IRPEF), alcuni tipi di detrazioni fiscali (ad esempio gli incentivi alle imprese), abbandonare ogni sconsiderata idea di prepensionamento, riformare il reddito di cittadinanza, riducendo gli importi e differenziandoli in base al costo della vita e alla numerosità del nucleo famigliare (assegnando molto di più alle famiglie e meno ai single); aumentare la spesa in istruzione e ricerca, sanità; ridurre il cuneo contributivo che grava sulle aziende, nella consapevolezza che sono loro a creare lavoro. Se non ora quando?, verrebbe da dire.

A questo proposito, sarebbe meglio servirsi del reddito di cittadinanza allargandone le maglie per un breve periodo piuttosto che introdurre un nuovo strumento (il cosidetto rem, reddito di emergenza) destinato a precari, lavoratori intermittenti, casalinghe, chi lavorava in nero (oltre tre milioni secondo l’Istat), insomma a tutte quelle persone che non possono accedere ai normali sussidi di disoccupazione.

Che ruolo deve avere lo Stato, in questo contesto? Non certo lo Stato Imprenditore, anelato da Mazzucato e i vari dirigisti che imperversano tra gli intellettuali e la classe dirigente – con la conseguente statalizzazione dell’economia (le idee circolanti sulla nazionalizzazioneddi Alitalia o di una nuova Iri ne sono i prodromi).

Anziché far indebitare le imprese, Lo Stato dovrebbe far tutto il possibile per ripagare i debiti arretrati spettanti alle imprese; oltre a questo, foraggiarle con finanziamenti a fondo perduto.

La crisi economica che si preannuncia avrà un effetto asimmetrico, acuirà cioè ulteriormente le disuguaglianze sociali e il dualismo del mercato del lavoro (tra chi è fortemente garantito o tutelato, pensate ai dipendenti pubblici o a chi, pur suscettibile a ipotetici fallimenti di mercato, ha un contratto a tempo indeterminato rispetto a un precario). Questa recessione renderà tutti o quasi, per un periodo circoscritto di tempo, relativamente più “poveri”; ma chi lo era già ne risentirà di più.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:49 pm

I morti indiretti del lockdown saranno maggiori di quelli diretti del coronavirus.
4 maggio 2020

https://www.facebook.com/groups/8991042 ... 857714686/

Si stima che ogni punto percentuale di aumento della disoccupazione provochi 40.000 morti in più.
La disoccupazione è stata a lungo associata a un rischio significativamente maggiore di morte in generale, in particolare per i lavoratori poco qualificati negli Stati Uniti . Il rischio di malattie cardiache, la principale causa di morte negli Stati Uniti a quasi 650.000 decessi ogni anno, ha dimostrato di aumentare del 15 - 30 per cento negli uomini disoccupati per più di 90 giorni . Tra i lavoratori più anziani, la perdita involontaria di posti di lavoro può più che raddoppiare il rischio di ictus , che provoca già 150.000 vittime negli Stati Uniti all'anno , oltre ad aumentare la probabilità di sintomi depressiviche poi persistono per anni. Tali danni sono probabilmente esacerbati dal concomitante isolamento sociale a più lungo termine, che di per sé è associato ad un aumento del 30% del rischio di mortalità . La solitudine e l'isolamento sociale sono stati associati ad un aumento del 29% del rischio di malattia coronarica incidente e ad un aumento del 32% del rischio di ictus . La portata di questi elevati rischi per la salute è significativa, paragonabile a quella causata dall'abitudine al fumo leggero o all'obesità.

Il reddito stesso, ovviamente, è fortemente associato a una salute peggiore in tutta la distribuzione del reddito, misurata in base all'aspettativa di vita, allo stato di salute o alla mortalità infantile . Il divario nell'aspettativa di vita tra l'1% degli individui più ricchi e più poveri negli Stati Uniti è di circa 14 anni , un divario che, a differenza di altri paesi ad alto reddito, ha continuato a crescere negli ultimi anni.

La perdita di guadagno associata all'essere su una curva economica recessiva dopo la laurea porta anche a risultati sanitari negativi e duraturi . La laurea in una recessione è associata a circa un aumento del 6% del tasso di mortalità di quella coorte , adattandosi all'età. Un aumento dell'1% del livello di disoccupazione statale quando è entrato per la prima volta nel mercato del lavoro è stato associato ad un aumento del 6,7% dei sintomi depressivi tra gli uomini all'età di 40 anni.

Anche il bilancio della salute mentale a livello di popolazione sarà probabilmente sostanziale, tenendo presente la combinazione di isolamento sociale; perdita di posti di lavoro e di reddito; e paure giustificate riguardo a COVID-19. Ricerche precedenti hanno dimostrato che una grave recessione economica è associata ad una maggiore prevalenza di disagio psicologico, disturbi mentali comuni, disturbi da abuso di sostanze e suicidio .

Disoccupati, debitori o in difficoltà finanziarie, persone con problemi di salute mentale preesistenti e famiglie con bambini particolarmente colpite. La recessione economica è di per sé un evento traumatico, in particolare se combinato con una pandemia e misure di allontanamento sociale. A seguito di altri disastri naturali o causati dall'uomo, la prevalenza del disturbo da stress post-traumatico è stata segnalata come 30-40 percento tra quelli immediatamente colpiti, 10-20 percento tra i soccorritori e 5-10 percento nel grande pubblico . Quasi il 10% dei newyorkesi ha aumentato i tassi di fumo e quasi il 25% ha aumentato l'assunzione di alcol a seguito degli attacchi terroristici dell'11 settembre.



Isolamento e crisi economica, ondata mondiale di «suicidi da coronavirus»
Enrico Marro
12 Maggio 2020

http://amp.ilsole24ore.com/pagina/ADPf7lP

L’esercito di oltre 280mila vittime ufficiali del coronavirus è solo la punta dell’iceberg. Non solo perché ci sono anche quelle “ufficiose”, un secondo esercito dai contorni incerti ma comunque enorme, sconosciuto alle statistiche del virus perché nel caos dell’emergenza non ha ottenuto né tamponi né diagnosi. In queste settimane, nei prossimi mesi e probabilmente nei prossimi anni, purtroppo, ai primi due eserciti di vittime se ne aggiungerà un terzo: quello dei suicidi. Dovuti alla disperazione per quarantene e lockdown, ma anche ai contraccolpi dela peggior crisi economica degli ultimi settant’anni. Che in Paesi particolarmente fragili, come l’Italia, rischia di avere tempi lunghi e dolorosi.

Negli Usa si stimano 75mila suicidi
Negli Stati Uniti uno studio fresco di stampa, redatto dal Well Being Trust e dai ricercatori dell'American Academy of Family Physicians, stima per il prossimo decennio ben 75mila vittime legate alla crisi del coronavirus, classificate come “morti per disperazione”. Comprendono sia i suicidi che i decessi per abusi di sostanze stupefacenti. E' una cifra enorme, vicina alle 80mila vittime ufficiali statunitensi del Covid-19. Forse esagerata? «Ci auguriamo tra dieci anni di guardare indietro e dire che abbiamo sbagliato», sospira John Westfall, direttore del Robert Graham Center for Policy Studies in Family Medicine and Primary Care, uno degli autori del report. Certo, guardando i disoccupati statunitensi schizzare oltre quota 33 milioni, il triplo della Grande Depressione, qualche brivido inizia a correre anche sulla schiena degli ottimisti, in quest’America che segna allo stesso tempo il record di decessi mondiali per coronavirus e il formidabile rimbalzo dell’indice tecnologico Nasdaq a Wall Street.

L’isolamento, killer silenzioso
Il problema vero, negli Stati Uniti, è l'isolamento. «E' un paradosso: il distanziamento sociale che ci protegge dal contagio del virus allo stesso tempo ci espone ai più grandi killer degli Stati Uniti, ovvero suicidi, overdose di stupefacenti e malattie legate all'alcolismo», spiega Jeffrey Reynolds, presidente dell’associazione no profit di servizi sociali the Family and Children’s Association. Le prime cifre del disagio sono impressionanti. Nel solo marzo le telefonate di americani disperati ai numeri di assistenza psicologica si sono impennate dell’891% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, segnala Substance Abuse and Mental Health Services Administration. E mentre il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, lancia l’allarme sul boom di alcol, droga e violenza domestica, la Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health segnala un aumento significativo di manifestazioni di disagio psicologico in particolare in California, a Washington, a New York e nel Massachusetts.

Ricchi e poveri
Una variabile fondamentale della disperazione è il livello di reddito, soprattutto in quei Paesi - come gli Stati Uniti - dove la forbice tra ricchezza e povertà continua ad allargarsi da decenni. Mentre a Wall Street il mondo della finanza brinda ai nuovi record dei suoi colossi tecnologici, a Main Street centinaia di milioni di americani perdono il loro posto di lavoro. Il risultato è quello mostrato da uno studio della Kaiser Family Foundation: nella fascia di reddito inferiore ai 40mila dollari, un cittadino su quattro segnala problemi psicologici legati alla pandemia, ma per chi guadagna oltre 90mila dollari la percentuale del disagio si dimezza al 14%.

Male anche l’Italia
E il nostro Paese? Unica grande nazione occidentale a non essersi ancora ripresa dalle crisi del 2008 e del 2012, l’Italia travolta dal coronavirus ha davanti a sé un periodo molto difficile. Uno studio della Link Campus University di Roma segnala tra il 2012 e il 2018 quasi mille suicidi legati a motivazioni economiche. Nei primi anni si trattava prevalentemente di imprenditori, poi soprattutto di disoccupati. Quest’anno l’Osservatorio suicidi per motivazioni economiche della Link Campus riporta 42 decessi, di cui 25 nelle settimane del lockdown forzato e 16 nel solo mese di aprile, ai quali si aggiungono 36 tentati suicidi, 21 dei quali nelle settimane di isolamento forzato. Più della metà delle vittime è costituita da imprenditori. «Questa impennata risulta ancora più preoccupante se confrontiamo il dato 2020 con quello rilevato appena un anno fa - sottolinea Nicola Ferrigno, direttore dell’Osservatorio - : nei mesi di marzo-aprile 2019 il numero delle vittime si assestava a 14, e il fenomeno dei suicidi registrava la prima battuta d'arresto dopo anni di costante crescita». Oggi gli imprenditori e i lavoratori sono di nuovo tornati all’anno zero.

Gino Quarelo
E in Italia anche per la demenzialità politica, la depredazione fiscale e burocratica, la corruzione amministrativa e l'inefficienza a volte corrotta della magistratura e in certe aree anche per il ricatto mafioso, la delinquenza dei clandestini e dei migranti in particolare nazi maomettani, la concorrenza sleale della Cina e di altre aree del Mondo.
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Solidarietà economica al tempo della crisi da coronavirus

Messaggioda Berto » sab mar 27, 2021 9:50 pm

L'Europa ha ragione a non fidarsi dell'Italia



Giuseppe Conte, l'indiscrezione sul Mes: "Rischiamo di non avere i voti in aula", teme di cadere per colpa del M5S
Andrea Cionci
9 maggio 2020

https://www.liberoquotidiano.it/news/po ... A.facebook

Giuseppe Conte è preoccupato dall’alto costo politico che può comportare dire sì al Mes, come già ha fatto il Pd con toni trionfalistici. “Rischiamo di non avere i voti in aula, perché attivare il fondo salva-Stati oggi vorrebbe dire spaccare il M5S”: è questa la considerazione che, secondo La Stampa, il premier avrebbe fatto dopo aver saputo del via libera dell’eurogruppo al Mes light, ovvero senza condizionalità per le spese sanitarie. Gran parte dei grillini temono però che la formula trovata non annulli le condizioni, presenti nei trattati europei, di rientro a un debito sostenibile.

In altri termini, scrive La Stampa, continuano a considerare una probabilità il rischio di ritrovarsi la Troika in casa quando l’emergenza sarà finita, l’Europa tornerà al patto di stabilità e l’Italia avrà un indebitamento molto più elevato. Sarà quindi difficile trattare con il M5S, che ritiene il Mes uno strumento inadeguato: sarà necessario giungere ad un compromesso. Conte guarda già all’appuntamento in Parlamento dei primi di giugno: alla vigilia del consiglio europeo chiederà il voto su una risoluzione di maggioranza che dovrà dare il via libera dell’Italia al pacchetto di strumenti che, oltre al Mes, comprende il fondo Sure e la Banca europea degli investimenti. È un passaggio cruciale, scrive La Stampa, e il premier deve arrivarci con la coalizione compatta per evitare che la fronda sovranista del M5S e l’antieuropeismo di Alessandro Di Battista prendano il sopravvento.




"Viva il Mes, viva la Troika". Intervista a Giancarlo Pagliarini
11 maggio 2020

https://www.huffingtonpost.it/entry/viv ... e_facebook

“Lei lo sa come mi chiamava il Berlusconi? Mi chiamava Tagliarini”. Giancarlo Pagliarini, anche detto ‘Paglia’, leghista della prima ora ma non dell’ultima, storico dirigente del Carroccio di Umberto Bossi, ministro del Bilancio nel governo Berlusconi del 1994, la dice alla sua maniera: “Io sono a favore del Mes per lo stesso motivo per cui Salvini è contrario”. E se domani arriva la Troika? “Io vorrei fosse venuta ieri”. C’è il rischio di condizionalità, di vincoli esterni. “Bene: più condizionalità ci sono, più sono a favore”. Milanese, classe 1942, vivacità travolgente, si fa fatica a stargli dietro, a volte parla di sé in terza persona. “Guardi”, racconta all’HuffPost, “per fare certe cose non ci sarebbe nemmeno bisogno della Troika, basterebbe il Paglia. Una volta, quando ero ministro, ci fu una riunione fiume sulla finanziaria dalle 19 di sera alle 6 del mattino. Dissi: c’è questa società pubblica incaricata di studiare la fattibilità del Ponte di Messina, tagliamola, e quando progetteremo di fare il Ponte, studieremo come farlo. Un ministro si buttò letteralmente per terra, disse che grazie a quella società campavano dieci famiglie, Berlusconi lasciò tutto com’era. Fosse dipeso da me, l’avrei chiusa subito. Altro che Troika”.

Uno storico dirigente della Lega a favore del Mes. Singolare, non trova?

Trovo incomprensibile che si possa essere contrari.

Perché?

Se lei vede la nostra spesa per interessi passivi sul debito pubblico lo capisce subito. Noi dal 1980 al 2018 abbiamo speso in media 177 milioni al giorno in interessi. Quante cose avremmo potuto fare con tutti quei soldi?

Tante cose.

Per questo serve il Mes. Conviene.

Ha un tasso di interesse favorevole ma presenta molti rischi.

Appunto, un tasso dello 0,1% e per me il tasso di interesse è il metro di giudizio per tutto. Quando Salvini attaccava l’Europa e lo spread saliva, io andavo a calcolare quanto ci costava in più in termini di tasso sul debito. Lei lo sa quanto ci ha fatto risparmiare il taglio dei vitalizi voluto dai 5 Stelle?

Quanto?

Otto ore di interessi passivi sul debito pubblico.

Ok, ma il Mes presenta diversi rischi. Il primo: le condizionalità non ci sono oggi ma potrebbero esserci in futuro.

Più condizionalità ci sono, più sono a favore.

Addirittura. A favore della Troika, quindi?

Magari venisse la Troika. E magari l’avessimo avuta ai tempi di Paolo Cirino Pomicino. Non avremmo avuto un esercito di dipendenti pubblici in pensione dopo una manciata d’anni di servizio.

Adesso però certe storture non ci sono più.

Il debito però sì.

Appunto, c’è il rischio che il Mes richieda una valutazione di sostenibilità del debito, una procedura che apre le porte alla ristrutturazione. Non è preoccupato?

Guardi, il nostro debito è sostenibile. Se lei guarda la ricchezza degli italiani, escludendo anche le abitazioni, vedrebbe che ammonta a più di 5mila miliardi. Il debito pubblico è coperto dalla nostra ricchezza privata. Basterebbe una patrimoniale.

Poi però si rischia l’insurrezione.

Appunto. Si metta nei panni di chi ci guarda: con una spesa per interessi così alta, rifiutiamo un prestito al tasso di favore del Mes. Da fuori ci prendono per pazzi. Perciò dobbiamo accettarlo.

Torniamo ai rischi legati al Mes. C’è lo stigma finanziario, nel caso fossimo gli unici ad attivarlo. E c’è il fatto che il Mes è un creditore privilegiato: la seniority del credito, dice la Lega, avrebbe un impatto sulla valutazione del debito preesistente.

Quando un debito arriva a scadenza, io lo pago. Senza problemi. Non mi interessa se il mio creditore sia o meno privilegiato. Lo pago. Il fatto che Borghi dica che il prestito del Mes sia senior, mi fa dubitare sulla sua reale volontà di pagarlo.

Secondo le stime più accreditate, il risparmio sarebbe di circa 600 milioni all’anno, solo 6 miliardi in dieci anni rispetto al finanziamento ordinario del Tesoro in asta o sindacato. Non sono pochi, a fronte dei rischi?

Sono sempre sei miliardi. Ieri Salvini dall’Annunziata ha detto che non serve il Mes perché intanto c’è la Bce che ci compra i titoli. Ma perché, non si può prendere in prestito da entrambi?!

Perché poi, col Mes, arriverebbe la Troika a ficcare il naso nelle nostre politiche di bilancio.

Ribadisco: magari. Se l’avessimo avuta prima, non avremmo pagato in deficit Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Non avremmo buttato soldi per Alitalia, con gli stessi soldi ci saremmo comprati tutte le compagnie aeree europee.

Perderemmo la nostra sovranità, un rischio da scongiurare, non crede?

In nome della nostra sovranità abbiamo costruito una montagna di debito pubblico. Per me vale l’equazione “sovranità monetaria=sacrifici al Dio del voto”. Abbiamo acconsentito alle peggiori nefandezze.

Ma adesso non lo facciamo più. L’Europa già ci controlla con regole sempre più stringenti sui nostri bilanci, da Maastricht al Fiscal Compact.

Questo non ci ha evitato di finanziare in deficit Quota 100 e Reddito di cittadinanza.

Erano misure popolari. D’altronde veniamo anche da un ventennio di avanzi primari, di tagli alla spesa e una pressione fiscale asfissiante.

Ma, per citare Marco Vitale, non abbiamo mai risolto le nostre ‘piaghe bibliche’: corruzione, burocrazia, rapporti di lavoro arcaici, lavoro nero, giustizia lenta, criminalità, evasione fiscale.

Problemi complessi, di difficile soluzione.

Appunto. Se viene qualcuno e ci frusta, dovremmo ringraziarlo e pagarlo per il servizio che ci offre. Invece questi del Mes lo fanno anche gratis.

Poi facciamo la fine della Grecia.

In Grecia se una giovane donna illibata arrivava a 40 anni senza sposarsi, aveva diritto a una pensione. Le pare normale?

Questo non giustifica la macelleria sociale fatta in Grecia. Un’intera generazione di ragazzi fuggita all’estero. Un sistema sanitario falcidiato dai tagli.

Noi il sistema sanitario lo abbiamo distrutto anche senza la Troika.

Non la convinco. Per lei vale tutto, purché si riduca la spesa per interessi.

Faccia con me questo calcolo: il Decreto Rilancio che il Governo sta per approvare contro il virus vale 55 miliardi. Ecco: nel ’98, senza Euro, abbiamo speso circa 86 miliardi in interessi passivi, pari a 120 miliardi se attualizziamo la spesa con l’indice dei prezzi al consumo di ora. Nel 2018, con l’euro, abbiamo speso 66 miliardi. Se fa la differenza tra quanto pagato allora e oggi, con quei soldi avrebbe coperto le spese del Decreto Rilancio.

Sul Mes il premier Conte ha preso tempo, i 5 Stelle sembrano contrari.

Io vorrei un Governo serio, credibile, che assicuri di non fare spesa corrente in deficit e che risolva le piaghe bibliche di questo Paese che non funziona. E che dica ai mercati: il debito lo paghiamo ma vogliamo ridurre la spesa per interessi.

Senza Conte premier.

Con Mario Draghi.

E se Draghi non accettasse?

Basterebbe dire: “Paglia, fai tu”.



9700 miliardi nei nostri conti correnti e case sono la garanzia dei debiti fatti da Roma. Se vogliono, è già pronta la Patrimoniale. Come evitarla?
Giancarlo Pagliarini
12 Maggio 2020

https://www.lanuovapadania.it/economia/ ... -evitarla/

Per accedere al prestito Mes è necessario che l’Unione Europea dichiari che il debito pubblico dello Stato che richiede il prestito, sia “sostenibile”.
La Commissione ha dichiarato che “ Anche se la posizione debitoria si è deteriorata come risultato della crisi prodotta dal Covid-19, il rapporto tra debito e pil nello scenario base è previsto su una traiettoria sostenibile e discendente nel medio termine”.

La redazione di Bruxelles di Europatoday l’8 maggio ha pubblicato un articolo col titolo a caratteri di scatola : “Il debito italiano è sostenibile, parola della Commissione UE. La valutazione della sostenibilità redatta per stabilire l’idoneità ad accedere alla linee di credito del Mes promuove il nostro paese”.

Lo scenario base prevede che nel 2020 il pil subirà un crollo del 9,5% e di conseguenza il rapporto debito/pil alla fine di quest’anno toccherà il picco del 159% (ma se i signori di Roma aspettano ancora a pubblicare il Decreto Rilancio e se dentro troveremo oscenità tipo Alitalia temo che questo 159% lo supereremo di almeno 10 punti) . Poi diminuirà progressivamente ed è previsto un livello poco sopra il 140% alla fine del 2030. La media Eurozona prima del Covid-19 era 86%.

Contento come una pasqua , due giorni dopo il presidente Conte ha ricordato anche sul Corriere della Sera di Domenica 10 Maggio che “La Commissione Europea ha certificato che il debito italiano è sostenibile…”

Questi “salti mortali” sono il risultato del faticoso e paziente lavoro di preparazione del Commissario Paolo Gentiloni e del ministro Roberto Gualtieri, che a pagina 17 del Documento di Economia e Finanza deliberato il 24 aprile dal Consiglio dei ministri aveva già scritto che “In primo luogo il debito pubblico dell’Italia è sostenibile, e il rapporto debito/pil verrà ricondotto verso la media dell’area euro nel prossimo decennio, attraverso una strategia di rientro che oltre al conseguimento di un congruo surplus del bilancio primario si baserà nel ritorno degli investimenti, pubblici e privati, grazie anche alla semplificazione delle procedure amministrative. Tanto maggiore sarà la credibilità delle riforme strutturali messe in atto, tanto minore il livello dei rendimenti sui titoli di stato, agevolando il processo di rientro.”

Ma sulla reale sostenibilità del nostro debito pubblico devo ricordare l’intervento del bravissimo e come sempre molto concreto Fulvio Coltorti alla trasmissione “Va pensiero. Parole e futuro” del 27 Aprile (Sky Classica HD, canale 136, condotta da Piero Maranghi) . Ecco le sue parole: “Il nostro debito pubblico adesso è di circa 2.450 miliardi. La ricchezza degli italiani è di circa 9.700 miliardi di Euro. Anche non contando le abitazioni, noi abbiamo una ricchezza finanziaria in capo alle famiglie notevolmente superiore al debito pubblico. Quindi il debito pubblico italiano per definizione è sostenibile …” .


Per essere più chiari, questo significa che se un governo del futuro si accorgesse di non essere in grado di pagare le quote in scadenza del debito pubblico potrà, se deciderà comunque di pagarle, far approvare dal Parlamento e mettere in Gazzetta Ufficiale una tassa straordinaria sulla ricchezza finanziaria della famiglie.
Ovvio che è necessario fare tutto il possibile per evitare questa situazione.

La parola chiave è “credibilità”.
Si parla di spese da tagliare ma voglio ricordare che siamo comunque quasi sempre in avanzo primario, e che i maggiori risparmi si possono fare proprio con la voce “interessi passivi sul debito pubblico”.

Nel 2018 la spesa per gli interessi è stata di 64.626 milioni. Diviso 365 giorni fa 177 milioni al giorno. Questo è il parametro che ho sempre utilizzato per valutare tutte le leggi e le operazioni dei governi. Per esempio il famoso taglio dei vitalizi dei parlamentari ha fatto risparmiare, tra Camera e Senato, 56 milioni all’anno: questo significa che ha fatto risparmiare una cifra uguale a circa 8 ore di interessi passivi sul debito pubblico. A Roma hanno lavorato e litigato per mesi per risparmiare 480 minuti di interessi passivi, ma di come ridurre il debito pubblico non ne hanno nemmeno parlato. A Roma si lavora per il “dio voto”, non certo per il sistema paese.

Ecco un altro punto da ricordare: la spesa per gli interessi passivi dell’anno 1998 , attualizzata con l’indice dei prezzi al consumo, era stata di 120.498 milioni. Fonte: scenarieconomici.it .
Diviso 365 fa 330 milioni al giorno. Perbacco, in 20 anni, dal 1998 al 2018, la spesa per gli interessi passivi è diminuita da 330 a 177 milioni al giorno. Che bravi! Miracolo? No, non si tratta di un miracolo, si tratta di Euro!

Il debito pubblico alla fine del 2018 era di 2.316.300 milioni. Venti anni prima, alla fine del 1998, erano 1.258.200 nominali e 1.757.152 attualizzati con l’indice dei prezzi al consumo 2018.
La differenza (il nostro risparmio, ovvero la nostra minore spesa per interessi passivi sul debito pubblico) tra i 120,4 miliardi del 1998 e i 64,6 miliardi del 2018 è di 55,8 miliardi. Dunque grazie all’Euro, nel 2018 abbiamo diminuito il costo degli interessi passivi sul debito pubblico di 20 anni prima di una cifra superiore ai 55 miliardi del “Decreto Rilancio”. Vi rendete conto? Il debito era aumentato di poco meno del doppio e la spesa per gli interessi passivi invece di aumentare anche lei si era quasi dimezzata. E parliamo di miliardi di Euro

Guardiamo al futuro. Scendere in 10 anni dal rapporto debito/Pil di 159% al 140% sarà molto difficile e non ce la faremo mai se nei palazzi di Roma si penserà, come purtroppo succede da anni , solo a gestire il potere, ai voti e alle elezioni.

Ecco due considerazioni.
1 – Sul Corriere della sera del 30 marzo Giulio Tremonti raccomanda “Un piano basato sull’emissione di titoli pubblici a lunghissima scadenza con rendimenti moderati ma sicuri e fissi, garantiti dal sottostante patrimonio della Repubblica, titoli assistiti come in un tempo che è stato felice, da questa formula: esenti da ogni imposta presente e futura”. Sul Sole 24 ore del 6 Maggio Tremonti è tornato sull’argomento ed ha parlato di “Titoli patriottici”. Matteo Salvini è d’accordo e parla spesso di questo progetto facendo riferimento anche all’ “Orgoglio italiano”.


Pochi giorni prima, sul Sole 24 Ore del 25 marzo 2020 , Gianni Tognolo auspicava l’emissione di titoli perpetui non rimborsabili ma negoziabili.
Dunque la cosa è nell’aria, e ne parlano in tanti: cito solo

Marco Vitale, che ha intitolato “Raddrizziamo l’azienda Italia come premessa per una politica europea credibile. Liberiamo l’Italia dal ricatto del debito pubblico” un paragrafo del suo recente “Al di la del tunnel”. E poi Giovanni Bazoli, e altri.
Renato Brunetta ha criticato questa idea con considerazioni tecniche e il 9 maggio ha pubblicato su HuffPost l’articolo “Oro alla patria, la pessima idea di Salvini e Tremonti”.


Le mie non sono considerazioni tecniche ma politiche. Sono convinto che finché non cambieremo la Costituzione, finché il potere continuerà ad essere concentrato a Roma con questo centralismo anti-storico, con questa abrogazione di fatto del principio di sussidiarietà, insomma con questa Costituzione e con la conseguente cultura e prassi supercentralistica e ministeriale , purtroppo è davvero difficile fidarsi del nostro Stato.

2 – Oltre alla cultura supercentralistica Marco Vitale ed altri amici elencano spesso le “piaghe bibliche” del nostro paese. Eccone qualcuna:
La corruzione diffusa
La burocrazia
I rapporti di lavoro arcaici
Il lavoro nero
La giustizia e i suoi tempi
La cultura e la ricerca, che sono i veri fattori chiave dello sviluppo ma che da noi sono sempre più umiliati e trascurati
L’evasione fiscale
Le organizzazioni criminali
Le istituzioni che non funzionano
Le pubbliche amministrazioni che a volte si comportano come “nemiche”

L’elenco può continuare. Voglio ricordare un serio intervento di Carlo Scognamiglio a Milano, lo scorso 29 novembre, al convegno “Si sono dimenticati il nord”, al quale partecipavano anche Stefano Parisi, Benedetto Della Vedova, Alberto Mingardi, Elisa Serafini ed altri.
Ricordo che nella circostanza Scognamiglio aveva citato Angelo Panebianco e la “grande cupola romana” .

In effetti il vero potere è in mano ai dirigenti dei ministeri e ai burocrati di Roma. A quelli che in questi giorni scrivono leggi incomprensibili di quasi 500 pagine. A mio modestissimo giudizio è davvero difficile fidarsi di un paese organizzato in questo modo.


Come ha detto di recente anche Piero Bassetti, un maestro a cui tutti vogliamo bene (videoconferenza Sabato 2 maggio di Alleanza Civica) : “…dopo la pandemia…nulla-o molto poco- sarà più come prima all’uscita dal tunnel: ci troveremo comunque in un’altra valle rispetto a quella da cui siamo partiti…E anche la nostra Costituzione è quasi tutta da rivedere…”.


Come ho detto la parola chiave è “credibilità”: per essere credibili, per sanare le “piaghe bibliche” del nostro paese e anche per adeguarci alle novità che ci impone il Covid-19, dobbiamo cambiare l’organizzazione del sistema paese. Servono più concorrenza, più competenze e meno concentrazione di potere a Roma: il mio modello continua ad essere la Costituzione della vicina Svizzera.


Cancelliere austriaco Kurz: "Debito italiano ingestibile"
12/05/2020

https://www.adnkronos.com/fatti/esteri/ ... jAoxL.html

Il debito pubblico italiano è così pesante che l'unica possibilità per il Paese è ottenere aiuti dall'Unione europea. È quanto afferma il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, che ancora una volta sbarra la strada all'ipotesi di una condivisione del debito a livello europeo. "Non saranno in grado di gestire la situazione senza l'aiuto della Ue e di Paesi come l'Austria", afferma Kurtz in un'intervista a Bloomberg Tv. "Ma non credo che l'idea di un debito condiviso sia la risposta giusta", aggiunge il cancelliere austriaco.
Secondo Kurz, la soluzione per Paesi come l'Italia o la Spagna è nel pacchetto di aiuti Ue da 500 miliardi di euro che, afferma, se necessario potrebbe essere ampliato. "È chiaro che vogliamo sostenerli e mostrarci solidali", afferma ancora il cancelliere austriaco riguardo ai Paesi più colpiti dalla pandemia di coronavirus.



Recovery fund, la controproposta dei "frugali": "Niente debito in comune, solo prestiti". Amendola: "Documento difensivo e inadatto" - Il Fatto Quotidiano
23 maggio 2020

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/0 ... e/5811220/

Un Recovery Fund basato su “un approccio prestiti per prestiti” e di natura “temporanea, una tantum” con due anni di durata. A chiederlo sono i Paesi ‘frugali‘, in una bozza che dettaglia quanto anticipato pochi giorni fa dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz riguardo al prossimo Quadro finanziario pluriennale Ue 2021-2027. Sono due i punti cruciali della controproposta alternativa a quella franco-tedesca di un fondo per la ripresa da 500 miliardi che distribuirebbe soldi a titolo di trasferimenti e verrebbe finanziato anche con l’emissione di debito da parte della Commissione Ue: i “frugali” dicono no a contributi a fondo perduto commisurati ai danni del Covid 19 e no a “mutualizzazione del debito e significativi incrementi del bilancio Ue“. Solo altri prestiti “a condizioni favorevoli”, dunque. Il documento è stato preparato in vista del collegio dei commissari europei di mercoledì prossimo, che dovrebbe approvare la proposta della Commissione sul Recovery Plan. Ed è stato immediatamente bocciato dal ministro per gli Affari europei, Enzo Amendola: “Una recessione così dura richiede proposte ambiziose e innovative come il Recovery Fund. A rischio ci sono mercato interno e i suoi benefici per tutti gli europei. Il documento dei paesi ‘frugali’ è difensivo e inadatto. Serve più coraggio il 27 maggio dalla Commissione europea”, si legge in un tweet.

Il non-paper, di due pagine, ribadisce le posizioni tradizionali dei frugali, Olanda e Austria in testa: “Ciò su cui non possiamo concordare sono strumenti o misure che portino alla mutualizzazione del debito, né a significativi incrementi del bilancio Ue”, scrivono. Mentre Francia e Germania hanno aperto a 500 miliardi di trasferimenti, i Frugali citano solo “prestiti”, in linea con le posizioni che hanno espresso più volte. Non è una chiusura completa, ma una presa di posizione in vista del negoziato, come aveva già fatto capire il premier olandese Mark Rutte: il documento premette che “la crisi della Covid-19 colpisce duramente tutti gli Stati membri, socialmente e finanziariamente. E’ nell’interesse di tutti riportare la crescita in tutti gli Stati membri il più presto possibile. Ciò richiede solidarietà europea e una strategia comune di ripresa”.

Il Fondo d’emergenza, si legge ancora nel non-paper, dovrà essere legato a un bilancio Ue “modernizzato” e farà da “supplemento al pacchetto senza precedenti da 540 miliardi euro già concordati dal Consiglio europeo” con Sure, Bei e prestiti del Mes. Le spese relative al Covid-19 potranno essere coperte dagli Stati membri attraverso “risparmi nel quadro finanziario pluriennale Ue, riprogrammando” le risorse “nelle aree che hanno meno probabilità di contribuire alla ripresa” economica. I quattro insistono quindi sulla necessità di “riforme” che permettano agli Stati membri di essere “meglio preparati per la prossima crisi”. E fissano altri paletti per il Fondo d’emergenza sottolineando tra l’altro che dovrà essere uno strumento ‘una tantum’ con durata massima di due anni.

I fondi, si sottolinea ancora nel documento, dovranno essere usati per sviluppare “ricerca e innovazione”, garantire “maggiore resilienza al settore sanitario” e attuare la “transizione verde” e “digitale” al centro anche del Green Deal Ue. Per tutelare i prestiti da possibili frodi, i quattro Paesi del Nord chiedono un “forte coinvolgimento della Corte dei conti europea, dell’Ufficio Ue anti-frode (Olaf) e della Procura europea (Eppo)”. “Il nostro obiettivo – conclude il documento – è fornire attraverso il bilancio pluriennale Ue finanziamenti temporanei e mirati nonché offrire prestiti a condizioni favorevoli a chi è stato colpito più duramente dalla crisi”.


Trucchi e inganni del Recovery Fund, su cui si infrangono le ultime illusioni italiane
Atlantico Quotidiano
Musso
“Among the key questions are not only the size of the Recovery Fund and balance between grants and loans, but also how the money will be distribuited, and how it gets repaid”
Financial Times, 19 maggio 2020

http://www.atlanticoquotidiano.it/quoti ... -italiane/

Il 23 aprile una veloce videoconferenza ha ratificato le linee di massima dei tre programmi di prestito ai quali potrebbe accedere l’Italia (Bei, Sure, Mes), eppoi “convenuto di lavorare per la creazione di un fondo per la ripresa, che è necessario e urgente”. Di quest’ultimo sono ancora ignoti tempi-natura-volume-beneficiari, durata nemmeno menzionata, le risposte demandate alla Commissione europea. Passa un intero mese e, il 18 maggio, Macron e Merkel se ne escono con una proposta grande 1/3 le iniziali richieste francesi ed italiane: 500 miliardi, gettati sul tavolo di un ulteriore round di trattative.

I tempi. Conte aveva detto di voler far approvare tutto a giugno ed anticipare i fondi a luglio, addirittura “immediatamente”, ciò che la stampa amica definiva “vitale per l’Italia”. È riuscito solamente a far cambiare al Consiglio europeo la frase “we agree to explore a recovery fund”, in “we agree to work to establish a recovery fund that is urgent and needed”. Talmente “urgente”, da venire rinviato a data sconosciuta, “il prima possibile”. Chiosò Charles Michel: “Non ho mai indicato un accordo nel mese di giugno”… non ha indicato nemmeno l’anno, se è per quello. Più precisa la vicepresidente della Commissione Vera Jourova: “Il primo gennaio 2021 è una data molto ambiziosa”.

Il volume. I 500 miliardi della proposta franco-tedesca verrebbero finanziati da un “Recovery Instrument”: una obbligazione emessa dalla Ue e collocata sul mercato. L’idea è che tali 500 miliardi vengano impiegati insieme a somme eguali finanziate dagli Stati che li ricevono (cofinanziamento), ovvero insieme a prestiti raccolti altrove, per importi complessivi 2-3 volte maggiori: da qui la pretesa di Scholz e della Von der Leyen, che il Recovery Fund possa mobilitare “almeno 1.000 miliardi di euro” (secondo Gentiloni 1.500 miliardi, addirittura).

La data dell’emissione. Non si sa su quanti anni verrà distribuita l’emissione dei 500 miliardi, la Commissione inizialmente pensava a tre anni. Merkel, al Bundestag, aveva fatto cenno ai primi due anni. Lars Feld, più vagamente, ai “primi anni”.

La durata. Francia e Germania propongono che l’obbligazione emessa dalla Ue venga rimborsata “beyond the current MFF on the EU budget”, oltre il prossimo Bilancio Ue 2021-2027. Non sappiamo se un giorno o un lustro dopo.

La natura dell’esborso. Apparentemente, Macron e Merkel propongono che gli esborsi avvengano a titolo di trasferimento dal bilancio Ue agli Stati membri. All’opposto, Austria Olanda Svezia Danimarca vogliono che gli esborsi avvengano interamente a titolo di prestito e secondo l’art. 122 del Trattato (che prevede “condizioni”). L’ultima proposta di mediazione della Commissione proponeva circa 1/3 a trasferimento e 2/3 a prestito.

Chi paga. Gli esborsi a titolo di prestito verrebbero rimborsati dai Paesi che li ricevono, semplicemente. Più complesso il caso degli esborsi a titolo di trasferimento, che verrebbero rimborsati da tutti i Paesi, in base alla propria quota di contribuzione al Bilancio Ue. Nel 2018 i contributi degli Stati membri furono circa 142 miliardi (al netto delle poche risorse proprie), dei quali 29 dalla Germania, 17 dall’Italia. Si fa un gran parlare di una riduzione della quota di contribuzione dell’Italia, ma ciò pare meno probabile dopo che, lunedì, Merkel ha detto di non prevedere un innalzamento della quota della Germania. Senza dimenticare che le trattative sul nuovo bilancio Ue fallirono già lo scorso febbraio sulla base di una proposta all’1,06 per cento: figurarsi oggi che la richiesta è quasi doppia.

Ne segue che, nella proposta franco-tedesca (ancorché espressa con “deliberata vaghezza”, come nota persino Fubini), i 500 miliardi verrebbero versati: 102 dalla Germania, 60 dall’Italia, probabilmente scaglionati lungo l’intera durata dell’obbligazione. Con buona pace della viceministro Castelli che parla di fondi “senza necessità di rimborso”.

I beneficiari. A fronte dei 60 miliardi da versare, la Castelli immagina di ricevere 100 miliardi mentre Conte, più modestamente, parla di 80. Naturalmente, gli altri Paesi dovrebbero versare la differenza; il che appare estremamente improbabile, tanto se in forma di maggiori contributi netti percentuali, quanto se in forma di nuove tasse “federali” (tassa Ue sulla plastica, sul digitale, sulle emissioni, addizionale Iva Ue…).

Alternativamente, si era pensato ad una riallocazione dei fondi nel Bilancio Ue già presenti a titolo “politica di coesione”, dunque sostanzialmente a carico dei Paesi dell’est Europa, che stanno provvedendo ad impedirlo.

Ne segue che, delle due l’una: o una quota assai rilevante degli esborsi avverrà a titolo di prestito; ovvero beneficiari del Fondo saranno tutti i Paesi membri. Questa seconda è la proposta franco-tedesca la quale, infatti, parla di un Fondo “mirato ai settori e alle aree geografiche dell’Europa maggiormente colpiti” e che “sosterrà gli investimenti in particolare nella transizione digitale e verde”. “È importante guardare settore per settore, il turismo è molto colpito”, ci informa Charles Michel: pure il turismo dell’Isole di Helgoland, aggiungiamo noi. Senza dimenticare l’industria automobilistica francese e tedesca, un settore certamente molto colpito dal coronavirus ed apparentemente impegnato in una “transizione verde”. Ricaricano i Paesi dell’est: “Siamo stati risparmiati dalla pandemia, ma colpiti dalle sue conseguenze economiche”. Chiosa il Lussemburgo: “il coronavirus ha colpito pure noi”.

Non si può escludere una componente di ridistribuzione, forse. Ma minore ed a favore dei Paesi membri già beneficiari netti. Fra i quali non è l’Italia, né lo sarebbe se pure la crisi del coronavirus ne riducesse il contributo netto sino ad azzerarlo: alla meglio, riceveremmo dal Fondo esattamente quanto vi verseremmo.

Il vantaggio per l’Italia. Se prevalesse l’ipotesi franco-tedesca, tutto ciò che l’Italia porterebbe a casa sarebbe evitare di contabilizzare un prestito diretto nel debito pubblico (come sarebbe, invece, col MES). Sostituendolo con un canone annuo, a deficit ma non a debito pubblico. Alla maniera di come fanno le imprese che rifinanziano un mutuo (a bilancio) con un debito leasing (fuori bilancio). Non di “federalismo” si tratterebbe, quindi, ma di ottimizzazione contabile.

Tale vantaggio verrebbe interamente meno se prevalesse l’ipotesi di Austria Olanda Svezia Danimarca, dunque se gli esborsi a titolo avvenissero interamente a titolo di prestito.

Il danno per l’Italia. V’è costante cenno ad un “chiaro impegno dello Stato membro a politiche economiche sane ed un ambizioso programma di riforme”, che però sarà tanto più blando, quanto più di esborsi del fondo saranno distribuiti fra tutti i Paesi.

Per converso, pure nella più favorevole ipotesi Macron-Merkel, i fondi dall’Italia versati, sarebbero dalla Ue all’Italia ritornati già pre-assegnati a particolari capitoli di spesa, pre-determinati da Bruxelles e non necessariamente aderenti alle priorità di spese italiane. Nel caso peggiore, tali fondi verrebbero fatti transitare dal neonato capitolo di spesa detto BICC (Budgetary Instrument for Convergence and Competitiveness) ovvero da un ancora misterioso capitolo “Ripresa e resilienza”, dai quali i versamenti uscirebbero subordinati a “contratti di riforma” da determinarsi: una nuova riforma delle pensioni, il taglio lineare degli stipendi pubblici, chi può dire?

Qualora l’Italia non volesse sottomettersi, ovvero non potesse a causa della probabile presenza di un obbligo di cofinanziamento, allora i fondi verrebbero semplicemente dirottati su altri Stati membri. Ed al danno si aggiungerebbe la beffa.

Infine, il Fondo verrà negoziato insieme al resto del Bilancio Ue 2021-2027. La cui composizione non è neutrale: si può immaginare che Austria Olanda Svezia Danimarca proporranno di scambiare una quota minore di prestiti nella parte Fondo, in cambio di una politica di spesa (agricola, industriale…) più favorevole alle proprie produzioni nel resto del Bilancio. Chi chiede ha sempre torto.

Logica tedesca. Il Bilancio Ue riguarda tutti e 27 i Paesi, non la sola area dell’Euro. Il Recovery Fund, in altre parole, si configura come moltiplicatore del drenaggio di fondi, dai Paesi contribuenti netti membri dell’Euro ad occidente, verso i Paesi beneficiari netti membri del solo Mercato Comune ad oriente. Il destino del detto Fondo non sarà in alcun modo legato all’incerto destino dell’Euro, né sarebbe possibile fosse altrimenti, dopo la sentenza di Karlsruhe. Chi presenta la proposta franco-tedesca come “l’inverso” di Karlsruhe (Libération), come il modo di “stabilizzare l’area euro” (Fubini) è evidentemente accecato dai propri desideri. La Germania investe sì, un pochino, ma nel Mercato Comune.


I falchi Ue tagliano il Recovery fund
Antonio Signorini - Lun, 13/07/2020

https://www.ilgiornale.it/news/economia ... 1594677799


Berlino e i frugali per un plafond di 500 miliardi. L'Italia cerca la soluzione ponte

All'Italia serve una soluzione ponte. Prestiti erogati prima del 2021, quando arriveranno le risorse del Recovery fund, che consentano di evitare il ricorso alla nuova linea di credito del Mes.

Sarà questo uno dei temi che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte affronterà oggi durante la bilaterale con la cancelliera tedesca Angela Merkel, in vista del Consiglio europeo sul «Next generation Ue» e sul bilancio pluriennale dell'Unione che si terrà venerdì e sabato.

A rendere necessaria un finanziamento su tempi brevi, oltre a quelli già in agenda della Bei e dello Sure, lo stato dei conti pubblici e la necessità di limitare il ricorso ai mercati finanziari, anche alla luce dei risultati dell'ultima emissione dei Btp Futura, che non sono stati brillanti.

Altro grande tema, è l'entità del Recovery fund. L'Italia ufficialmente ha scelto come linea del Piave la proposta della Commissione Europea, un piano da 750 miliardi tra prestiti e aiuti. Ma è noto che la Germania intende sfruttare il semestre di guida dell'Ue da un lato per accelerare e trovare un accordo entro luglio, dall'altro per riportare il piano alle cifre contenute nella proposta franco tedesca: 500 miliardi di finanziamenti a fondo perduto. Niente 250 miliardi di prestiti anticipati dall'esecutivo Ue e girati agli Stati bisognosi. Proposta che può creare qualche problema al governo italiano, perché renderebbe ancora più necessario il ricorso alla nuova linea di credito del Meccanismo europeo di stabilità, legata alle spese sanitarie dirette e indirette.

Sul fronte opposto della trattativa ci sono ancora i cosiddetti Paesi «frugali», capeggiati da Olanda e Austria. Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz anche ieri si è espresso per una soluzione che non porti in nessun modo a una mutualizzazione del debito. Ma anche per una riduzione dell'entità del piano, in linea su questo con Berlino. «Non dobbiamo tirare fuori cifre sempre più alte, ma accertarci che gli aiuti vengano investiti nel modo giusto», ha detto al Frankfurter Allgemeine Zeitung.

Secondo Kurz, il problema «non è tanto il denaro» visto che «anche i Paesi particolarmente colpiti» dalla crisi del coronavirus «possono finanziarsi ai mercati a buone condizioni. L'Italia non paga per i suoi titoli di Stato neanche l'1,1% di interessi, la metà dell'Austria ai tempi della crisi finanziaria».

È importante il controllo su come verranno spesi gli aiuti. Kurz si dice favorevole a investire in «ecologia, digitalizzazione e nel sostegno alle riforme». Il controllo deve essere fatto da una struttura «snella, efficiente e non burocratica».

Il premier di Vienna non ha risparmiato frecciate all'Italia. Ha auspicato che il governo di Roma adotti scelte precise: «Bisogna andare nella direzione del programma di riforme dell'Italia: abbattimento della burocrazia, lotta contro l'evasione fiscale, sistemi economici competitivi». In altri Paesi, «in Spagna, Portogallo o Irlanda abbiamo vissuto riforme intense sotto la pressione dei programmi d'aiuto». In Grecia «non dovremmo neanche parlare a lungo di condizioni: il nuovo premier Kyriakos Mitsotakis le riforme le fa da solo».

Per quanto riguarda l'Italia, «i vicini si conoscono bene» e «in passato i programmi di stimolo promossi dall'Europa non hanno prodotto i risultati sperati. Il Paese adesso ha l'esigenza primaria di contrastare l'economia illegale e lamenta sistemi non competitivi, dalle pensioni al lavoro».
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