No me sovien pì ki ke xe ła fonte:
Forse ła xe coesta ?
Da on libro scrito da Annamaria Masserini nata nel 1956 in provinsa de Berghem, laoreà in psicologia a Padoa e spesałixà in mediçina psicosomatega.
dal titolo “STORIA DEI NOMADI”
IL POPOLO SENZA TERRA
Gli zingari non hanno né nazione né Stato.
Nomadi, ma soprattutto gelosi della propria diversità.
Forse possono essere un modello per la società globale del futuro
Yul Brynner, il calvo tenebroso di Hollywood, era uno zingaro.
Così come era una zingara la madre di Rita Hayworth.
Sangue zingaro scorreva probabilmente nelle vene del dittatore romeno Ceaucescu, e c'è chi dice che fosse zingaro lo stesso leader socialista spagnolo Felipe Gonzales.
Ci sono zingari in ogni ceto sociale.
Questo popolo conta in Europa tra i 10 e i 12 milioni di individui; nel mondo oltre 20 milioni; forse 40.
Sui dati c'è incertezza. Incertezza che deriva sia da dubbi sulla correttezza e legittimità di includere una parte della popolazione del Punjab indiano, sia dall'essere, gli zingari, tra i popoli meno oggetto di studio e di attenzione accademica. Le tesi di laurea assegnate in materia nelle facoltà universitarie di Sociologia o Antropologia, Diritto o Storia, possono contarsi sulle dita di pochissime mani.
Eppure il popolo zingaro è più numeroso di quello ungherese o ceco, olandese o portoghese.
Zingari, Gitani, Boemi, Egizi...Zingari, Gitani, Boemi, Egizi. Denominazioni in quantità hanno designato un popolo atipico, da sempre diverso: il popolo degli zingari, che nella loro lingua, il romanes, si chiamano Rom. Le prime testimonianze della loro presenza in Europa risalgono al XVI e al XVII secolo. Tra loro sono presenti una infinità di culti: ci sono zingari cattolici, protestanti, musulmani, ortodossi e di altre religioni. Per necessità o per apertura, questo popolo ha spesso abbracciato i culti delle comunità all'interno delle quali si trovava ad essere minoranza, mantenendo comunque riti religiosi palesemente simili, anche se praticati da musulmani o da cattolici. Lo stesso vale per il linguaggio: questo popolo ha sempre assorbito molte delle lingue prevalenti nelle zone in cui transitava o si insediava. Sono stati contati almeno 600 dialetti romanes strutturati, anche se tutti questi idiomi conservano una radice comune per il fatto di essere dialetti romanes.
Razza inferiore, e magari pericolosa, quella degli zingari. Perseguitata dal Nazismo al costo di oltre mezzo milione di vittime, in un olocausto rimosso forse come nessun altro massacro della storia recente. Ladri, sporchi, pigri, inaffidabili, pericolosi. Peggio: tanto diversi da destare curiosità culturali e trasporti tanto solidali quanto caduchi. Individualisti e refrattari alle leggi delle etnie maggioritarie, o, per i più benigni, gente da comprendere, per l'impossibilità culturale di piegarsi a modelli organizzativi sociali incomprensibili. Una razzaccia. E per di più ignota, ignorata, indecifrabile. Un popolo caduto nella delinquenza dacché i cavalli hanno smesso di essere la principale forza motrice, lasciando disoccupati i mitici maniscalchi Rom; e dacché i bianchi hanno cominciato a sostituire le pentole di rame con quelle d'allumino, piuttosto che affidare quelle rotte al ramaio zingaro.
La loro diversità è realeSe nel mondo varie etnie sono scomparse, lasciando soltanto in qualche caso testimonianze, magari confinate in qualche museo specializzato, i Rom non stanno scomparendo affatto. Anzi, alla ridottissima prolificità dei bianchi, quella zingara è decisamente in controtendenza. La minaccia proviene da altrove. La minaccia mortale per gli Zingari e per la loro cultura proviene oggi, probabilmente, dalle malintese volontà assistenziali e caritative degli angeli della conservazione delle culture in via di estinzione.
Le culture e le tradizioni zingare sono state capaci di superare le minacce più tremende: tremende per la loro continuità, perché coniugate a un diffusissimo rifiuto che nei secoli è quasi diventato fisiologico, soprattutto nella società europea.
Addebitare questo alla maledizione che si vuole sia piombata sugli zingari per essere stati, alcuni di loro, i fabbri che forgiarono i chiodi che trafissero le mani e i piedi di Cristo, è argomento che non vale probabilmente già da qualche secolo.
La diversità degli zingari è. Reale, perché è in qualche modo congenita. Il popolo Rom è ovunque nel mondo, e gli stessi Rom non sanno da dove vengono. Sembra ormai certo che si mossero dal Punjab verso occidente per ragioni sulle quali esistono soltanto ipotesi. Ma questa è nozione nemmeno del tutto certa e soprattutto elaborata da altri, non dai Rom.
Non appartiene alla consapevolezza degli zingari, che l'hanno appresa da altri.
Il mistero delle originiLa tradizione e la cultura zingara sono rigorosamente orali, e si trasmettono attraverso le generazioni, spesso con sorprendente fedelà. Ma non appartiene alla consapevolezza dei Rom la certezza delle origini; e questa incertezza, per alcuni, è già diversità, per altri mistero. Come è in gran parte misteriosa, per ottiche diverse da quelle zingare, come possa essersi mantenuta in vita una identità marcata e inequivocabilmente nazionale di popolo, pur in presenza di due fattori fondamentali che avrebbero dovuto produrre tutt'altro che una conservata e consapevole identità nazionale: una tendenza spiccatissima alla aggregazione in piccoli gruppi, spesso familiari, e una disseminazione estesissima, che ha provocato una proliferazione di dialetti, molti dei quali quasi del tutto inadeguati a consentire la comunicazione. Uno zingaro che vive in Andalusia non comprende e non sa farsi comprendere da uno zingaro slavo. E anche i tentativi, che alcuni leader Rom stanno conducendo da anni, di ricostruire o costruire una koiné romanes rimangono per ora affare di minoranze acculturate.
Nomadismo e inurbazionePer evitare cadute in luoghi comuni va però detta una cosa cruciale. Tra i milioni di Rom, coloro che mantengono quello che è il connotato più palese del costume zingaro - il nomadismo - sono ormai una minoranza. Quanto è avvenuto negli ultimi decenni nei paesi retti fino alla fine del decennio scorso dai regimi comunisti - che hanno forzosamente inurbato e sedentarizzato i Rom - nonè un fatto isolato, e questo ha fatto sì che la pratica del nomadismo sia di fatto scomparsa per una fetta maggioritaria degli Zingari anche nel resto del mondo.
Anche in aree geografiche in cui la cultura Rom ha donato ai popoli ospitanti niente di meno che l'espressione culturale più caratteristica (basti pensare al flamenco, che è assolutamente e totalmente zingaro), danza e musica non sono le uniche occupazioni delle popolazioni Rom. E' certamente vero - almeno secondo il parere di chi scrive - che non vi sia socialità più divertente e profonda, comunicazione più piena e leggera e viva di quelle che si possono incontrare in una festa zingara; ma i Rom non sono soltanto violini, o circhi - anche se le grandi famiglie circensi sono in buona parte zingare.
Un popolo così non ha confini, né potrebbe averne sviluppato il senso. Non è questione di nomadismo, però. Molti Rom guardano ormai con diffidenza alla sensibilità - puntualmente ed esclusivamente "gagé" (gagé è la parola Rom che indica i" non zingari") - nei confronti della scomparsa, progressiva e inesorabile, dello zingaro nomade. A ben guardare, se si vede la cosa da un punto di vista non etnico, molte professioni spingono persone di svariate etnie e nazionalità a esistenze assai più nomadi di quella dello zingaro nomade medio. E la conservazione forzosa del nomadismo, magari aiutata da protettivi e magnanimi gagè, non contribuisce che alla staticità di quello che è invece un problema serio, che riguarda persone, più che esseri da studiare o da vezzeggiare per lenire fondati sensi di colpa.
Nel corso dei secoli non sono mancate le popolazioni Rom che hanno conquistato e ottenuto, grazie alla eccellenza di alcuni individui della tribù in alcune arti, di godere di privilegi da parte di qualche governante o signore locale, presso il quale si sono fermati per anni o per sempre.
Ma oggi in causa è ben altro che la conquista di tolleranza o di benefici caduchi.
Oltre i confini degli altriLa nazione Rom è il popolo dei confini, oltre i confini degli altri.
Non è vero che i Rom siano refrattari ai confini; molto più semplicemente non vivono, se non per subirli, i confini degli altri.
Ma la società zingara è piena di barriere interne, tra famiglie e tribù, come ogni altro consesso umano.
Forse un po' di più, se è vero che l'associazionismo zingaro conta un numero di presidenti di associazione o gruppo organizzato decisamente sproporzionato.
In anni molto recenti, in uno dei paesi usciti dal comunismo e con una presenza ragguardevole di individui Rom (che trovarono nel breve periodo di entusiasmo democratico succeduto alla caduta del Muro una certa agibilità sociale) alcuni esponenti politici Rom di prestigio e di notevole e vasta cultura proposero un emendamento alla legge sulla violenza sessuale che stava discutendosi in Parlamento. Il disegno di legge introduceva nella legislazione del paese il concetto di violenza presunta per i ragazzi inferiori ai 14 anni - principio da tempo considerato baluardo di civiltà e di progresso. Per le ragazze zingare non andava posto quel limite a 14 anni ma a 12, stante la asserita precocità sessuale delle giovani Rom. E' soltanto un esempio. Ma vale una riflessione. Consentire il rispetto e la pratica della cultura propria di un popolo, di un'etnia (si parli di precocità sessuale o delle pratiche di infibulazione, il discorso non cambia) ha un limite?
E chi pone quel limite?
L'etnia dominante, la cultura dominante e vincente?
I diritti umani, la loro affermazione e difesa impongono di attenersi a canoni e principi assoluti, si dirà, e tra questi vi sono il divieto nettissimo di mettere le mani su una bambina.
Eppure nel novero dei diritti umani primissimo ruolo rivestono quelli alla autodeterminazione dei popoli, che, vivaddio, includono eccome quello a determinare da sé le regole di convivenza interne al popolo.
E allora? Probabilmente il problema del mondo di oggi è in primo luogo in un difetto di rappresentanza delle persone, degli individui, piuttosto che di quello o quell'altro popolo, o nazione.
La logica per cui tradizioni e costumi vanno conservati ad ogni costo, è logica propria e tipica dei popoli dominanti (come, all'interno degli stati, è logica tipica dei ceti dominanti). I tuoi modi di essere e la tua etica è così interessante, esotica, affascinante... finché non supera certi limiti, anche questi imposti e posti dai dominanti.
Non può più essere il popolo, la nazione, l'etnia il portatore e il soggetto dei diritti alla cultura e all'identità. L'identità e il diritto al rispetto di quella è connotato dell'individuo, portatore di lingua e caratteri etnici, di cultura e tradizioni.
Occorre spezzare la logica delle appartenenze etniche come connesse alle regole, che appartengono al consesso umano a prescindere dalla etnia e dalla cultura, ma di queste sono sintesi, perché sintesi delle volontà degli individui secondo criteri da tutti accolti e voluti.
Il mondo globalizzato dei RomDagli Zingari viene una chance per gli altri abitanti del pianeta. Un popolo, una nazione, senza terra, e che terra non rivendica. Non ha nulla a che fare con i confini stabiliti da altri, ma tiene con cura e forza alla propria diversità e unicità. Il mondo globalizzato è il mondo degli zingari, potrà dirsi con felice ancorché facile banalità. In verità la stessa vicenda anche attuale dei Rom impone e pone in discussione un concetto che l'intera umanità si trova oggi a dovere superare, quello della identità tra stato e nazione.
Concetto sul cui altare milioni di vite sono state sacrificate.
In fondo, il razzismo è più evidente e odioso quando si esprime attraverso la volontà di far coincidere uno stato con una popolazione etnicamente omogenea.
E gli zingari rompono proprio questo: la certezza più sedimentata e dannosa della cultura tuttora prevalente e dominante. ???
Ai Rom non serve altro che la consapevolezza di rappresentare l'alternativa oggi necessaria alla forma dello stato attuale.
E poi consentiranno a tutti un passo in avanti forse senza precedenti.
Rom e SintiGli zingari chiamano se stessi Rom 'uomo', che significa anche 'marito' (plurale Roma). 'Donna' è romnì (plurale romnià). Tutti i non zingari sono gagé (sing. m. gagiò, f. gagi) o gagi (sing. m. gagio, f. gagi). La divisione in gruppi o sottogruppi è intricatissima. Si individua una prima principale divisione tra Sinti e Rom. E sono soprattutto i Sinti quelli presenti in Italia e qui stabilitisi da ormai più di cinquecento anni.
Rom e Sinti in Italia.
Chi sono, quanti sono
In Italia ci sono, al momento circa 100.000 zingari. Circa 70.000 di cittadinanza italiana, e circa 30.000 di provenienza Jugoslava. Di questi ultimi un buon numero arrivò in Italia a seguito della Seconda Guerra Mondiale, dalla Croazia di lingua italiana; la maggior parte tra fine anni '60 e inizio '70, buona parte in seguito al terribile terremoto che devastò la Macedonia (Skoplije) dove numerosi zingari erano ormai sedentarizzati. gli ultimi sono arrivati a partire dal 1987, e soprattutto a seguito della guerra nella ex Jugoslavia dalla Bosnia e dal Kossovo.
I gruppi principali di questi Rom non italiani sono:
- Khorakhané (amanti del corano) Shiftarija (albanesi). Sono mussulmani, provenienti soprattutto dal Kossovo, la regione della ex Jugoslavia a maggioranza etnica albanese, ma anche dalla Macedonia e dal Montenegro.
- Khorakhané Crna Gora (Montenegro) sono i principali conservatori della tradizione della lavorazione del rame.
- Khorakhané Cergarija ("quelli delle tende") provengono dalla Bosnia (Sarajevo, Mostar, Vlassenica, nomi oggi tristemente noti).
- Kanjarja cristiano-ortodossi. Provengono perlopiù da Serbia e Macedonia.
- Rudari (intagliatori), cristiani ortodossi. Parlano il rumeno. Apprendono il romanés per frequentazione di altri gruppi Rom. Provengono perlopiù dalla Serbia.
- Lovara (gli allevatori di cavalli) e Kaloperi ("piedi neri") sono piccoli gruppi, questi ultimi mussulmani e provenienti dalla Bosnia.
- Gagikane, cristiani ortodossi. Provengono perlopiù dalla Serbia.
Tra i gruppi zingari stabilmente in Italia, di cittadinanza italiana:
i Sinti rappresentano il gruppo di gran lunga maggioritario. Sono i giostrai, quelli dello spettacolo ambulante, dei piccoli e dei grandi circhi, acrobati, giocolieri e musicanti; ma tra loro c'erano anche gli allevatori di cavalli. Articolata è anche la suddivisione all'interno dei Sinti in numerosi gruppi.
Ma esistono anche vari gruppi Rom individuati in base alla provenienza o al luogo di stanziamento:
Rom Abruzzesi, Calabresi, Ungheresi, Lovara e ancora gruppi minori.
Provenienza e lingua
La loro provenienza dall'India è un dato ormai da tempo incontestabile. Da qui si mossero attorno al Mille d. ch. probabilmente premuti dall'espansione islamica, o forse per una grave carestia. Si sostiene che da sempre i loro mestieri tradizionali fossero quelli di giocolieri, musicisti da piazza, calderai, mercanti di cavalli, indoratori, attività che, attualmente, solo in parte conservano. In Italia, in particolare, il circo e le giostre sono ancora chiaramente caratterizzate dalla presenza degli zingari (famiglia Orfei, Togni, ecc). Ma ormai, allo spettacolo itinerante, ai luna park, sono interessati anche grandi gruppi economici che con i loro potenti mezzi sempre più escludono ed emarginano le modeste giostre dei Sinti.
La loro lunga migrazione attraverso l'Asia e l'Europa si svolse con una lunga sosta in Persia (forse due secoli) e nell'Impero bizantino come testimoniano i numerosi tratti che dalle lingue di questi paesi acquisì la loro lingua: il Romanés. Ancora oggi, comunque, il Romanés è riconoscibile come l'evoluzione di una delle tante lingue parlate in India e che ha come pariente più illustre il Sanscrito. Una lingua - il Romanés - che ha dell'incredibile quanto ad evoluzione e conservativismo allo stesso tempo. Non c'è territorio di stanziamento da cui non abbia accolto elementi e allo stesso tempo - qui sta l'incredibile - si è mantenuta una buona intercomprensione tra i diversi gruppi stanziatisi in territori lontanissimi. Un Rom cergario della Bosnia non avrà seri problemi di comunicazione con un Rom abruzzese.
Zingari, Gitani, Gypsies, Gitanos, ZigeunerA quanto pare fu nei paesi di lingua greca che venne loro attribuito il nome di atsingani da cui derivano l'italiano 'zingari', il francese 'tsiganes' e il tedesco 'Zigeuner', mentre a una supposta provenienza dall'Egitto accreditata in altri tempi dagli zingari stessi, si rifanno le designazioni di 'gitanos' in spagnolo e 'gypsies' in inglese
La parola Zingaro viene dal greco Athìnganoi(che indicava gli esponenti di una setta eretica perseguitata). ???
In Italia gli stessi zingari si chiamano con due nomi: ROM (centro e sud) e SINTI (nord), il cui significato è "uomini", contrapposto a GAGGIO' (i "non-uomini", cioè gli stranieri, ma significa anche sempliciotti, paurosi). I Rom considerano i Sinti "gagè" perché il sistema di vita di ques'ultimi è basato sul viaggiare e sullo spostarsi continuamente, mentre i Rom sono più sedentari.
Breve storiaLe prime ondate migratorie partirono dall'India nord-occidentale . La diaspora totale fu determinata dall'espansione dell'Islam, che giunse fino al Punjab, zona d'origine dell'emigrazione. I Sinti sono originari del Rajastan (India del nord), i Rom invece sono del centro dell'India. In Europa i gitani sono sicuramente presenti dalla fine del 1300.
In Italia un primo gruppo è segnalato nel 1422. Il loro nomadismo è sempre stato sopportato malvolentieri in Europa occidentale. Non è mai stato fatto un conto di quanti zingari sono stati impiccati, bruciati e torturati con l'accusa di stregoneria in Europa. Le persecuzioni raggiungono il culmine con il nazismo: mezzo milione di zingari sono morti nei lager.
A Norimberga non vengono ascoltati come testimoni: si rifiuta loro il pagamento dei danni di guerra. Oggi in Italia ci sono da 60.000 a 90.000 zingari. Il nucleo maggiore è costituito dai SINTI. Di questi circa 25.000 vivono nei campi-nomadi; gli altri sono sedentari in case fisse. (Molti sono italiani nati ad Istria).
L'altro gruppo importante è quello dei ROM jugoslavi, ultimi arrivati: non sono più di 10-12.000 persone, tutti insediati nei campi.
Gli zingari slavi si dividono in due gruppi: Daxikané e Karakhané (quest'ultimi di religione musulmana). I Daxikhané (Montenegro) sono mal visti sia dai SINTI che dai Karakhané (Bosnia). Nella società contadina avevano un loro ruolo: allevavano e vendevano cavalli, aggiustavano le pentole, lavoravano i metalli, suonavano alle fiere, facevano i burattinai. I ROM, 30 anni fa, non finivano mai in carcere. Ora le esigenze della società sono aumentate e le loro possibilità sono diminuite. I SINTI vendono articoli di merceria porta a porta; i ROM karakhanè sono artigiani del rame e leggono la mano.
Tradizioni e linguaTra i ROM le vedove non si risposano. Le donne non si prostituiscono, pena l'allontanamento definitivo dal clan. Le donne che portano un fazzoletto al capo sono musulmane. Il nome ai neonati viene dato dagli anziani. L'anziano è molto rispettato, perché è soprattutto lui che conserva la memoria delle tradizioni. Non ci sono zingari negli ospizi, non abbandonano mai i loro figli. la fisarmonica è uno degli strumenti più usati e diffusi.Il fuoco è il punto di ritrovo per giovani e anziani.
La loro lingua è antichissima, molto vicina al sanscrito. Molti linguisti sostengono che vi siano delle affinità con le parlate della Persia e dell'Indostan. Ecco alcune loro parole: Gentili (italiani); Gentilini (bambini italiani). Signòm ni rom : Sono un uomo. Diavolo (beng), Dio (del, murdivéle), Casa (khar), Fame (bokh), Donna (zuvlì, giuvéle), Figlia (sej, ciaj), Figlio (sav, ciavò), Madre (dej), Moglie (romnì), Padre (dad, tatà), Notte (rjat), Fidanzato (piramnò, burò), Predire la sorte (drabar), Vino (mol), Canto (gilì), Acqua (paj, panì).
Nelle canzoni e nelle poesie, che vengono anche ballate, si parla quasi sempre della loro terra, dove i fiumi sono puliti, i boschi verdi e dove si è sempre allegri,altro leit motiv è il concetto di libertà.
ProblemiIstruzione: il 97% dei bambini zingari non frequenta la scuola dell'obbligo e gli zingari adulti sono per lo più analfabeti. Eppure il 75% di essi sono cittadini italiani, o per nascita, o perché alla fine della II Guerra Mondiale vivevano ai confini e scelsero l'Italia come patria. Per i bambini zingari, l'italiano è la terza lingua, dopo quella materna (il romanes o il sinto) e il dialetto locale. A scuola facilmente vengono considerati come disadattati sociali e anche mentali.
Servizi igienico-sanitari all'interno dei campi: la loro sporcizia dipende anche dalla cronica mancanza di acqua nei campi, che dovrebbero disporre di docce e gabinetti. A causa delle molte malattie, dovute anche al feddo, la vita media non supera i 50 anni. Illuminazione (l'energia elettrica permetterebbe di utilizzare sistemi di riscaldamento meno rischiosi: piccoli braceri o stufette a gas, che a volte causano l'incendio della roulotte), cassonetti per rifiuti, vasche per il bucato.
Lavoro: non riescono più a fare lavori dignitosi o comunque remunerativi.
Non possono praticare il commercio ambulante, perché vengono considerati come stranieri.
Molti bambini vendono fiori, fazzoletti ai semafori o puliscono i vetri delle macchine.
Chiedere la carità è diventato il lavoro delle donne. Il lavoro col ferrovecchio non rende più e gli oggetti di rame non li compra più nessuno, se non qualche turista d'estate.
Visti d'ingresso, passaporti
Spesso ci si dimentica che questi gruppi sono apolidi e che quindi non ha senso rimpatriarli nella ex-Jugoslavia.
Aree di sosta sono poche:
una cinquantina in tutta Italia. Si tratta per lo più di fangose baraccopoli, frequentate da topi, col pericolo di epidemie. Gli stessi campi-sosta sono troppo grandi: ammassano 300-500 persone (sembrano dei ghetti).
Emarginazione: per gli agricoltori sono nomadi senza terra; per i cittadini, dei marginali di periferia; per gli operai, degli oziosi e per tutti, degli uomini senza fede e senza legge.
Il solo zingaro accettato è quello bello, artista, simbolo della libertà e del folclore, cioè quello che non esiste.
Rifiutano l'accusa di vagabondaggio, perché il loro è un nomadismo, che è un diritto riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'ONU ed è previsto dalla nostra Costituzione.
Lo stesso Consiglio d'Europa dice che deve essere facilitato l'insediamento in abitazioni appropriate per i nomadi che lo desiderano.
A Roma esistono 50 comunità zingare: rom abruzzesi e napoletani, camminanti siciliani, sinti giostrai, rom kalderasha, rom slavi. Vivono in case popolari o roulotte.
Prima degli anni '70 commerciavano cavalli, facevano i maniscalchi, le donne leggevano il futuro o vendevano chincaglieria.
Alcuni fabbricavano pentole di rame, altri erano indoratori o giostrai.
Con l'espansione edilizia degli anni '70 i campi-nomadi sono stati requisiti.
A Roma i nomadi sono 3000, sono sempre stati 3000, ma ora si parla di "problema nomadi".
Generalmente nei campi dove vivono non ci sono servizi.
Alcune ragazze frequentano corsi di taglio e cucito.
Dal vecio sito de Toni el singano mediator o sensal coultural (Roma)https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... 2/tony.gif Zingaro, chi sei?Un popolo in diaspora, perseguitato e violentato, che ha forti tradizioni letterarie e artistiche
Oggi molti sono sedentari, studiano o lavorano.
Ma i più poveri sono costretti ai campi.
E' certamente un popolo strano quello che non ha un verbo per tradurre il termine «avere», che designa il ieri e il domani con la stessa parola, un popolo senza patria e senza guerre.
E' un popolo, quello degli zingari, che suscita, dovunque si presenti, fortissime reazioni: di benigna curiosità o di categorico rifiuto.
Zingaro barone - o zingaro di strada?
Non c'è al mondo un altro popolo attorno al quale opinioni e giudizi si dividano come attorno agli zingari. Mitizzati e invidiati dagli uni, vengono disprezzati e perseguitati dagli altri, per cui è sempre difficile distinguere la verità dall'invenzione, la realtà dalla romanticizzazione o dallo spregio.
Per tanta divergenza di opinioni c'è, probabilmente, una spiegazione: il non conoscere gli zingari, il non sapere niente della loro origine, della loro storia, della loro vita.
Chi sei? da dove vieni? sono domande che gli zingari stessi si sono poste raramente. Esistono.
Esistono oggi. Il passato e il futuro sono la stessa cosa: sono taissa, sono «ieri» e «domani» espressi con la stessa parola. Interessa solo il giorno presente. Vivono oggi, mangiano oggi, si divertono oggi, piangono oggi. Lo ieri è ormai passato e dimenticato, il domani si vedrà.
E' una mentalità fatalista dovuta sicuramente alle origini orientali degli zingari. Le similitudini linguistiche con il sanscrito. Per secoli erano state formulate le teorie più fantasiose sull'origine degli zingari, quando nell'Ottocento alcuni linguisti cominciarono ad osservare notevoli similitudini tra la lingua zingara e il sanscrito. Basti citare qualche esempio: la parola zingara kalo «nero» deriva dal sanscrito kala, rat «sangue» da rakta, rup «argento» da rupya, bal «capelli» da vala. E si potrebbero trovare molte altre similitudini, anche con dialetti dell'odierna India nord-occidentale e del Pakistan. Partendo dalla linguistica, si è potuto concludere che la terra d'origine degli zingari sia l'India.
Si presume che attorno all'anno 1000, ma forse anche prima, abbiano cominciato il loro lungo viaggio verso occidente, per motivi finora mai chiariti. Prestiti linguistici, raccolti «per strada» e tuttora presente nel romanes, cioè nella lingua degli zingari, ci permettono di seguire la loro rotta di viaggio: attraverso l'Afghanistan, l'Iran, l'Armenia, la Turchia e la Grecia giunsero ai Balcani, per apparire in Italia ai primi anni del Quattrocento. Non passarono inosservati: la pelle scura, i vestiti sgargianti di foggia orientale li rendevano «diversi» fin dalla prima comparsa in Europa. Per essere accolti si dichiaravano pellegrini, per guadagnarsi da vivere facevano gli indovini, lavoravano il rame e l'argento, addestravano orsi per farli ballare in strada, si esibivano come musicisti ambulanti. E viaggiavano, viaggiavano sempre: per scelta e «vocazione» - oppure perché non fu mai permesso loro di fermarsi, perché furono sempre cacciati?
Una storia di persecuzioniLa storia degli zingari, infatti, è una storia di scontri continui con la società non-zingara, maggioritaria, che ha opposto e oppone a loro, gli eterni «altri», divieti, proibizioni e rifiuti.
A cominciare dal XVI secolo gli zingari furono, assieme agli ebrei, espulsi e perseguitati dai grandi stati nazionali che si stavano formando, perché considerati, nella loro «diversità», elementi di disturbo nella unificazione e nel senso di unità dei popoli. In certe epoche gli zingari potevano essere uccisi impunemente, in Romania furono schiavizzati per 400 anni (fino ad oltre la metà del secolo scorso).
Ma nessuna persecuzione fu così sistematica come quella nazista quando nei campi di concentramento tedeschi morirono mezzo milione e forse più di zingari: a Dachau e a Ravensbrück, dove donne e bambine zingare furono sterilizzate, a Auschwitz-Birkenau, dove fu tenuto un libro che riporta, annotati con incredibile acribia, i nomi di 20.946 zingari, a Natzweiler-Struthof, nell'Alsazia francese, dove furono sottoposti a vari e mortali esperimenti medici, a Buchenwald da dove furono ceduti alle grandi società farmaceutiche per 170 marchi per «capo»: un olocausto troppo spesso dimenticato.
Secondo le stime, in Europa vivono oggi dai nove ai dieci milioni di zingari (sono sette-otto milioni nei paesi dell'Europa orientale), in Italia 110.000-120.000, di cui la maggioranza è di cittadinanza italiana.
Quelli presenti da secoli nel nostro paese si dividono in due gruppi principali: i Sinti e i Rom, distinti tra di loro per dialetto, usanze, caratteristiche somatiche, occupazione.
I rom artigiani-commercianti,i sinti artisti di strada ???
Mentre i Rom (che di prevalenza si trovano al centro e al sud dell'Italia) sono abilissimi artigiani del rame e commercianti, una volta di cavalli, ora di macchine, i Sinti erano da sempre dediti allo spettacolo di strada, ai circhi (sono di origine sinta le grandi famiglie di circensi come gli Orfei e i Togni), alla musica. Le tracce del cammino millenario si trovano anche nella musica zingara che ha una forte, evidente matrice orientale - ma che «zingara» non è. I musicanti zingari hanno da sempre dimostrato grande abilità nella reinterpretazione della musica dei luoghi in cui si trovavano, assorbendone gli elementi più tipici. Il risultato è una musica dall'identità inconfondibile, attraverso la quale gli zingari riescono ad esprimere meglio di altri tutta la scala dei sentimenti, dalla profonda tristezza alla più sfrenata allegria. La musica ha fatto sì che gli zingari, nel corso dei secoli, si siano trovati in situazioni paradosse: mentre i musicisti, virtuosi nati e bravissimi interpreti (basti pensare all'immagine, stereotipizzata, del focoso violinista tzigano!), erano richiesti alle corti europee, il popolo zingaro veniva maltrattato e bandito dai paesi. I musicisti zingari invece dovevano divertire, distrarre: nelle feste popolari come ai matrimoni, nei balli di corte, nei reclutamenti di piazza come nelle marce verso i forni crematori dei campi di annientamento nazisti.
La tradizione letteraria
E' facile trovare nella letteratura colta figure di zingari: la «Gitanilla» di Cervantes e la «Carmen» di Prosper Mérimée sono solo due degli esempi più famosi del passato. Nel nostro secolo è Federico Garcia Lorca che, con il «Romancero gitano» e il «Poema del cante jondo», dà voce e corpo agli zingari. Fino a poco tempo fa era invece raro, se non impossibile, incontrare tra i Sinti e i Rom autori di testi letterari. Da quando però gli zingari - o meglio: una ristrettissima élite tra di loro - hanno cominciato a confrontarsi con il mondo dei gage (come sono chiamati da loro i non-zingari), hanno imparato ad usare anche le loro forme di espressione artistica e poetica. Scrivono romanzi e poesie: delle volte in romanes, più spesso però nella lingua del paese che li ospita. Nonostante i tanti tentativi di repressione nei loro confronti, gli zingari sono rimasti fedeli al romanes, che è parlato, seppure con molte varianti dialettali, da quasi tutti gli oltre dodici milioni di zingari nel mondo - come sono rimasti fedeli anche a certe tradizioni e valori culturali di derivazione orientale. Solo qualche esempio: quando una famiglia zingara si sposta, porta con sé per piccola o grande che sia la roulotte - varie bacinelle per usi ben distinti: per lavare il corpo, per lavare i piatti, per lavare la biancheria. Nel passato, i vestiti degli adulti venivano lavati separatamente da quelli dei bambini (e questi preferibilmenti nell'acqua limpida di una sorgente) per evitare contaminazioni: sono precetti di purezza che gli etnologi riconducono all'origine indiana. E quando muore uno zingaro, presso molti gruppi si usa ancora oggi (come vuole anche la tradizione indù) bruciare tutti i suoi beni personali, dai vestiti alla roulotte. Come non esiste un verbo per tradurre il termine «avere» (bisogna comporlo con un «a me è, a te è...), così non esiste eredità. Ogni zingaro deve costruirsi il suo patrimonio da solo, come gli zingari hanno sempre dovuto cominciare daccapo, ogni giorno, dovunque arrivassero dopo viaggi lunghi e faticosi.
Un popolo in diaspora.
Gli zingari sono, come gli ebrei, un popolo in diaspora, senza precisa dislocazione geografica: un popolo senza patria, l'unico popolo del mondo senza patria - e quindi anche l'unico popolo al mondo che non abbia mai combattuto una guerra. Ma come avrebbe potuto svilupparsi il concetto di patria in un popolo continuamente espulso e cacciato? Nemmeno a Saintes-Maries-de-la-Mer, che gli zingari hanno fatto conoscere al mondo con il loro colorato, intenso pellegrinaggio annuale in onore della «loro» Santa Sara, i gitans erano sempre i benvenuti. Fino verso la metà degli anni Trenta (del nostro secolo, non del medioevo!) erano banditi dalla chiesa: potevano assistere alla messa solo dalla piccola cripta, rigorosamente divisi, con cancelli chiusi a chiave, dalla comunità degli «altri» fedeli. E anche oggi, finita la festa del 24 e 25 maggio, devono andarsene al più presto possibile.
In Europa molti diventano sedentari e hanno una casa.
Parecchie cose sono cambiate negli ultimi tempi. Tra gli zingari europei vi sono oggi stimati professionisti, valenti artisti, scrittori e musicisti - e ultimamente anche un santo: il gitano Zeffirino Giménez Malla, detto El Pelé, fucilato nel 1936 in Spagna, è stato beatificato nel 1997 da Papa Giovanni Paolo II. Anche in Italia vi sono molti che, senza negare il loro essere zingari, si sono sedentarizzati, studiano e lavorano. Vivono in modo totalmente diverso da quello, tanto enfatizzato da certa televisione e stampa, dei grandi campi zingari, degradati, disumani e umilianti, alle periferie delle città - campi dove si sono insediati soprattutto gli «ultimi arrivati» e quindi i più poveri: quelli scappati, nel corso degli ultimi decenni, da paesi dell'Europa orientale.
Ma lo zingaro resta un outsider.
Anche oggi, comunque, lo zingaro è ancora un outsider. E' accettato e diverte quando si presenta, con la sua ammiccante furbizia e la sua secolare saggezza, nei film, come nel «Tempo dei gitani» e nel «Gatto bianco, gatto nero» di Emir Kusturica, oppure quando si esibisce, come i Gipsy Kings o i Tekameli, sui grandi palcoscenici.
Ma nella realtà quotidiana rimane tuttora, e solo raramente per propria scelta, fuori dalla società che lo circonda: rimane «alle porte della città»,
come dice Olimpio Cari, zingaro, in una sua poesia.
Alle porte della città /
aspetto un sorriso. /
Tu hai ballato nel bagliore del fuoco, /
con la musica del mio violino, /
ma non hai visto la mia tristezza. /
Alle porte della città /
aspetto una mano. /
Sei venuto nella mia tenda, /
ti sei riscaldato al fuoco, /
ma non hai calmato la mia fame. /
Alle porte della città /
aspetto una parola. /
Hai scritto lunghi libri, /
hai posto mille domande, /
ma non hai aperto la mia anima. /
Alle porte della città /
aspettano con me / molti zingari.