Il razzismo e la violenza predatoria degli zingari

Il razzismo e la violenza predatoria degli zingari

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 1:45 pm

Il razzismo e la violenza predatoria degli zingari
http://www.filarveneto.eu/forum/viewtop ... =150&t=459

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I singani xełi rasisti ?

A mi me par ke "ła pì parte o na bon aparte" de łori łi ło sipie, almanco stando ai so sesti e a łe so parołe !

Ente tanti secołi łi se ga fati malvoler e odiar da tuti, par łe so małegràsie e łe so cativerie .

Sicome łi xe omani come tuti staltri łi ga da respondar a łe łej come tuti staltri e łi ga da pagar come tuti staltri co łi xbaja e co łi fa del mal.
No łi ga gnaon dirito a tratamenti difarenti par el fato de esar "nomadi o mexi nomadi".

L'Ouropa da l'eneołetego no ła xe pì tera da nomadi (a parte łe tranxumanse de łi pastori),

tere par nomadi łe se cata ente l'Axia (stepe fina a ła Mongołia)
http://it.wikipedia.org/wiki/Mongoli

ente łi dexerti de l'Arabia (beduini),
http://it.wikipedia.org/wiki/Beduini
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del Sahara (Tuareg),
http://it.wikipedia.org/wiki/Tuareg
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de ła Namidia e del Sudafrega (San o Boshimani),
http://it.wikipedia.org/wiki/San_(popolo)
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E gnanca łi xe nomadi de ła tundra:
http://www.nationalgeographic.it/fotogr ... a-408408/1

E gnanca łi xe nomadi come łi aborexeni de l'Aostrałia:
http://it.wikipedia.org/wiki/Australiani_aborigeni
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » lun feb 10, 2014 4:42 pm

Co no se conta ben łe robe e se conta anca bàłe no se aia a ke tuto vaga pal mejo:

http://www.lastampa.it/2010/08/29/cultu ... agina.html

EDITORIALI - 29/08/2010

Zingari le radici dell'odio - BARBARA SPINELLI

E’ utile ricordare come fu possibile, appena sette-otto decenni fa, la distruzione degli zingari nei campi tedeschi. Non fu un piano di sterminio accanitamente premeditato, in origine non nacque nella mente di Hitler. Nel libro Mein Kampf si parla di ebrei, non di zingari. La distruzione (in lingua rom Poràjmos, il «grande divoramento») ha le sue radici nella volontà tenace, insistente, delle campagne e delle periferie urbane tedesche: un fiume di ripugnanza possente, antico, che la democrazia di Weimar non arginò ma assecondò. Chi ha visto il film di Michael Haneke Il nastro bianco sa come prendono forma i furori che accecano la mente, escludono il diverso, infine l’eliminano perché sia fatta igiene nella famiglia, nel villaggio, nella nazione. Anche l’antisemitismo ha radici simili, tutti i genocidi sono favoriti da silenziosi consensi.
Ma l’odio dei Rom e dei Sinti (zingari è dal secolo scorso nome spregiativo) riscuote consensi particolarmente vasti. È un odio che ancor oggi s’esprime liberamente, nessun vero tabù lo vieta: in parte perché è sepolto nelle cantine degli animi, dove vive indisturbato; in parte perché è un’avversione non del tutto razziale; in parte perché il loro genocidio non ha generato l’interdizione sacra tipica del tabù.

Parké a ghè sto odio ???
Dimandeveło sensa tirar fora asurdi rasixmi o l’etno-rasixmi ke no łi ghe entra par gnente.



A differenza di quello che accadde per gli ebrei, nel dopoguerra non si innalzò in Europa una diga fatta di vergogna di sé, di memoria che sta all’erta. Si cominciò a parlare tardi degli zingari, i libri che narrano la loro sorte sono sufficienti ma non molti. E’ strano come Sarkozy, figlio di un ungherese, non abbia ricordo, quando decide l’espulsione dei rom, di quel che essi patirono in Europa orientale. È strano che non ricordi quel che patiscono ancor oggi nei Paesi da cui fuggono, perché l’Est europeo è uscito dalle dittature denunciando il totalitarismo comunista ma non i nazionalismi etnici, non l’ideologia che mette il cittadino purosangue al di sopra della persona: in Romania, Bulgaria, Ungheria, i rom sono trattati, nonostante il genocidio, come sotto-persone. Rimpatriarli spesso è condannarli ancor più. È anche un’ipocrisia, perché come cittadini europei i rom possono tornare in Francia o Italia senza visti. Spesso vengono chiamati romeni. Sarebbe bene sapere che i Rom sono detestati dalla maggioranza dei Romeni. Ovunque, la crisi economica li trasforma in capri espiatori. Il più delle volte non è la razza a svegliare esecrazione. È il modo di vivere itinerante. L’Unione, allargandosi nel 2004 e 2007, ha accolto anche questa comunità speciale, per vocazione non sedentaria, originaria dell’India, insediatasi nel nostro continente cinque-sei secoli fa, ripetutamente perseguitata.

Una direttiva europea restringe la libera circolazione se l’ordine pubblico è turbato, ma la direttiva vale per i singoli e comunque decadrà nel dicembre 2013. Non è chiaro chi oggi abbia ricominciato questa storia di esclusioni, di muri che separando i nomadi dal cittadino «normale» impedisce loro di divenire sedentari se vogliono, di trovar lavori, di non cadere nelle mani di mafie. È probabile che Berlusconi e Bossi abbiano svolto un ruolo d’avanguardia: un ruolo di «modello per l’Europa», ha detto monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei (La Stampa, 22 agosto). Molti governi dell’Est si sono sentiti legittimati dall’Italia, Paese fondatore dell’Unione. Ora Sarkozy si fa megafono del fiume d’esecrazione. La parola che ha ripetuto più volte, parlando di immigrati, di rom e di delinquenza a Grenoble, era «guerra». Nello stesso discorso, il Presidente ha annunciato che il cittadino di origine straniera colpevole di delitti perderà la nazionalità francese (la parola décheance, revoca, rimanda a déchet, pattume). La democrazia non ci protegge da simili deviazioni, proprio perché la volontà del popolo è il suo cardine. Giuliano Amato lo spiega bene, in un articolo sul Sole-24 Ore del 22 agosto: ci sono momenti, e la crisi economica è uno di questi, in cui può crearsi un conflitto mortale fra i due imperativi democratici che sono l’esigenza del consenso e quella di preservare la propria civiltà.

Il leader democratico ansioso di raccogliere immediati consensi vince forse alle urne, ma non salva necessariamente la civiltà («Non a caso nell’assetto istituzionale delle democrazie si distingue fra istituzioni maggioritarie elettive, nelle quali prevalgono le ragioni del consenso, e istituzioni non maggioritarie di garanzia, in primo luogo le corti, nelle quali dovrebbero prevalere le ragioni della civiltà codificate proprio in quei diritti a cui le maggioranze sono meno sensibili»). Sono rari, nei moderni Stati-nazione, i leader che sappiano tener conto di ambedue gli imperativi, e nei momenti critici anteporre le esigenze della civiltà a quelle del consenso. Quando Obama si dichiara non contrario alla costruzione di una moschea nei pressi di Ground Zero difende la costituzione laica e la storia americana lunga, non la storia tra un sondaggio e l’altro. Il consenso sente di doverselo creare a partire da qui, sapendo che può anche perderlo. In genere, quando i governanti esaltano ogni minuto la sovranità e le emozioni del popolo non è il popolo a governare: sono le oligarchie, i poteri segreti, le mafie. Anche la nostra Costituzione ha lo sguardo lungo, e non a caso dà la preminenza alla persona, più ancora che al cittadino. Tutti gli articoli che concernono i diritti fondamentali (libertà, divieto della violenza, inviolabilità del domicilio, responsabilità penale, diritto alla salute) parlano non di cittadini ma di persone o individui, e precedono la Costituzione stessa.

Il nomadismo è una forma di vita che tende a scomparire, ma resta una forma della vita umana. Il non aver fissa dimora, il vivere in roulotte, il muoversi in carovane («in orde», era scritto nei decreti d’espulsione ai tempi di Weimar e di Hitler): tutto ciò è parte della cultura dei Rom e Sinti.

Nesun el la ga co i nomadi parké nomadi, en Ouropa! No ste contar bàle!

Lo è anche la scelta di adottare la religione dei Paesi in cui vivono: è l’integrazione che prediligono da secoli. Come tutti i cittadini anch’essi delinquono, specie se vessati. I più sono cittadini plurisecolari dei Paesi in cui girovagano o si sedentarizzano. Da noi, l’80 per cento dei Rom sono italiani. Non sono mancate le proteste contro la politica francese (700 rimpatri entro settembre): nell’Onu, nell’Unione europea. Hanno protestato anche importanti leader della destra: primo fra tutti Dominique de Villepin, secondo cui oggi esiste sulla bandiera una «macchia di vergogna». Resta tuttavia il fatto che i Rom non hanno un Elie Wiesel, che in loro nome trasformi il divieto di odio in tabù. Possono contare solo sulla Chiesa, memore della parabola del Samaritano e della storia d’Europa. L’Europa e le costituzioni postbelliche sono state escogitate per evitare simili ricadute, sempre possibili quando il nazionalismo etnico di tipo ottocentesco riprende il sopravvento. Le strutture imperiali erano più propizie alla diversità, e il compito di uscire dalle gabbie etniche e restaurare autorità superiori a quelle degli Stati sovrani spetta al potere superiore che in tanti ambiti giuridici oggi s’incarna nell’Unione.

È l’Europa che deve ripensare lo statuto dei Rom: permettendo loro di continuare a viaggiare, di trovar lavoro, di difendersi dalle mafie, di rispettare la legge e l’ordine. Nel quindicesimo secolo, quando migrarono in Europa, gli zingari avevano una protezione-salvacondotto universale, non nazionale o locale: la protezione del Papa e quella dell’Imperatore. Solo una protezione di natura universale può garantire «le legittime diversità umane» cui ha accennato Benedetto XVI nell’Angelus pronunciato in francese il 22 agosto. Oggi i Rom hanno la protezione del Papa. Quella dell’Imperatore (della politica) è crudelmente latitante.

No xe vero, no li gheva gnaona protesion-salvacondoto del Papa o de l'enperador Xerman.


Entel XVI secolo łi singani łi jera on tormento e na dexgràsia par ła pora xente veneta o de ła Venesia:

Parti o łej de ła Repiovega Serenisima de 1549-1558 e altre
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https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... 270001.jpg


Sto kive lè on docomento storego co cu confrontarse e far on comento degno ... e no le batue ke no le val gnente.

Saria enteresante verefegar se se trata de lej de ordene piovego o se ente ste parti de la Serenisima a ghè o fondo de etnorasixmo ?

Rivar a scrivar ke łi pol esar copà, se catai rento łe tere venete ... fa da pensarghe sora parecio!




Se łi singani łi vol esar tratà mejo e ben, łi ga da ver pì creansa e łi ga da xbandonar el rasixmo ke łi caraterixa e ke ghe parmete de maltratar, de robar, de sfrutar, de copar, de farghene de tute łe tinte a naltri omani ke no semo singani e ke łori łi ne considera cofà bestie da sfrutar.

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http://www.larecherche.it/testo.asp?Tab ... gio&Id=298
...
Chi (davvero) sono ‘i figli del vento’?
In generale le opinioni sugli Zingari spaziano dall’interesse allo stupore. Le descrizioni che ne vengono fatte sottolineano anzitutto la diversità dell’aspetto esteriore: il colore scuro della pelle, i capelli lunghi talvolta annodati e la barba incolta per gli uomini; i fazzoletti multicolori che avvolgono la testa delle donne, il loro indossare un numero eccessivo di costumi uno sull’altro, i lunghi scialli legati alle braccia nei quali portano i bambini, il vociare disordinato apparentemente sconnesso con il quale attirano l’attenzione, il portare molti monili d’oro malgrado il loro aspetto miserabile.
Le prime cronache che li riguardano risalgono agli inizi del Quattrocento, in cui vengono descritti come: “gentes non multum morigeratae, sed quasi bruta animalia et furentes”, ossia “gente tuttavia non troppo morigerata, simile a un’orda di animali selvatici e di ladri”. Allo stesso modo in un ‘cronicha’ più tarda, sono descritti “magri e negri che mangiavano come porci” in aggiunta a che “le donne truffavano la gente con la chiromanzia”. Il loro aspetto nel maggiore dei casi è considerato ripugnante, uomini e donne sono “gli esseri più poveri mai visti a memoria d’uomo”, come appunto riporta un’altra ‘cronicha’ del tardo Seicento.



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http://www.barbarafaccenda.it/pdl-alla-frutta

...
Lo Zingaro è fondamentalmente religioso,
anche se non aderisce con piena consapevolezza a nessuna religione positiva.
Tutto ciò che risponde alla volontà divina è principio di amore e di vita.
Lo Zingaro vede nell’amore la ragione della sua vita, infatti si ritiene del tutto giustificato agli occhi di Dio quando ha assolto il suo impegno verso il prossimo. Va evidenziato che il prossimo, per lo Zingaro, è l’uomo del suo stesso sangue, non lo straniero, il gagiò; questo non vuol dire che non provi sentimento di forte e sincera amicizia per i gagè, l’ospitalità è sempre sacra per gli Zingari.

Na olta (mexi pasà) a ghe jera anca ste parołe kì, ke deso łe xe stà scançełà da ła paxena:

Dalla contrapposizione dei due mondi (Zingaro e non-Zingaro) deriva una diversa valutazione:
mentre è male uccidere, derubare ed ingannare uno Zingaro, queste azioni non sono avvertite come colpe se rivolte verso i gagè, poiché lo Zingaro reputa il nostro mondo immorale, spinto dall'egoismo e da interessi materiali.

Le relazioni con la propria gente si caratterizzano invece per la spontanea generosità.
Non c'è differenza tra povero e ricco; chi ha, dà. E' la legge del mondo nomade fondata sulla comunione dei beni: non esiste proprietà personale, né eredità.

...

Contro sta xente a ghe vol la leje Mancino
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » mar feb 11, 2014 11:03 pm

Parigi invasa dagli zingari, figuraccia per la sinistra
Bande di ragazzi rom si aggirano per il centro della capitale francese, terrorizzando i turisti

http://www.ilgiornaleditalia.org/news/e ... accia.html

l ministro dell’Interno, Manuel Valls, ha disposto misure straordinarie di sicurezza. Intanto, avanza l'estrema destra

Anche la Francia vive il problema degli zingari. E questo ci fa sentire un po’ meno soli in questa Unione Europea. D’altronde, come dice il detto popolare “mal comune, mezzo gaudio”, anche se, i diretti interessati delle malefatte della comunità rom non saranno molto d’accordo con questo proverbio. A quanto pare, la criminalità nel centro di Parigi è andata aumentando negli ultimi mesi. Addirittura, ad Aprile il Museo del Louvre aveva bloccato le entrate in segno di protesta contro le bande di borseggiatori disseminati per le zone più frequentate dai turisti. I bersagli più presi di mira erano i cittadini cinesi, perché soliti ad avere il portafoglio pieno di soldi. I delinquenti? Sono sempre loro: i rom. Così come fanno anche da noi, la mattina abbandonano camper e baracche, prendono il treno e si dirigono verso il centro città. Alcuni si piazzano agli angoli delle strade a chiedere l’elemosina, usando i bambini come leva per impietosire i passanti. Altri, ragazzini spesso, si riuniscono in vere e proprie bande e vanno a caccia di malcapitati. Sono decine i gruppi che stazionano qua e là per il centro. Il più delle volte, se la prendono con persone sole o con coppie di turisti. Li provocano, aspettano la reazione, dopodiché parte il saccheggio. Due ragazzi americani sono stati spogliati completamente dei loro averi: valigie, portafogli, occhiali da sole, cellulari e altri oggetti personali. Ovviamente, appena scoppiato il problema, si è tentato di nascondere tutto sotto il tappeto, facendo finta di niente. Troppo sconveniente ammettere che le politiche di integrazione sono fallimentari e, soprattutto, troppo pesante sarebbe un calo del turismo in un momento così drammatico per l’economia del paese. Ma tempo pochi mesi, la situazione non poteva più essere ignorata. La chiusura del Museo del Louvre è stato uno dei segnali più forti, che ha costretto il ministro dell’Interno, Manuel Valls, ad intervenire. L’operato del Titolare del dicastero, nel suo complesso, non è stato dei più lodevole. Lui è infatti l’artefice della dura repressione nei confronti dei manifestanti de La Manif Pour Tous, spesso arrestati in maniera arbitraria. Nonostante ciò, quando dei teppisti di fede islamica hanno messo a ferro e fuoco Trappes, la polizia ha reagito con inaspettata morbidezza. Ma lo stesso errore non poteva essere commesso anche per un fenomeno che invece sta trovando sempre più radicamento. Il ministro Valls ha, infatti, disposto delle unità di sicurezza straordinarie per fronteggiare il problema. Circa 200 poliziotti sono stati messi a pattugliare il centro di Parigi, in particolar modo per le zone turistiche. Inoltre, sono state applicate altre 26 misure di sicurezza, per sensibilizzare i visitatori al problema. In altre parole, si è preferito mettere in guardia il potenziale bersaglio degli zingari. Le ambasciate penseranno, infatti, a tenere aggiornati i visitatori sulla situazione della criminalità e sul rischio di incorrere in rapine. Si sconsiglia, infatti, di girare con oggetti troppo vistosi e di evitare di tenere troppi soldi nel portafogli.Anche il quotidiano inglese Daily Mail si interessa del problema Rom francese. Ma il giornale britannico si preoccupa di evidenziare soprattutto della resurrezione dell’estrema destra. Non si tratta solo del Front National, che da sempre denuncia questa situazione di degrado ed ora si aggira attorno al 21% dei consensi elettorali, ma anche di altre formazioni.Intanto, l’Ump si prende una rivincita. Poco meno di un mese fa, il sindaco di Nizza, Christian Estrosi, ha infatti chiamato alla “rivolta” (legale) dei sindaci contro gli zingari. Le sue parole sono state oggetto di una dura contestazione da parte del Partito Socialista, che le hanno definite “pericolose”. A quanto pare, la sinistra francese colleziona un’altra figuraccia e si appresta ad una brusca retromarcia. Anche la Francia vive il problema degli zingari. E questo ci fa sentire un po’ meno soli in questa Unione Europea. D’altronde, come dice il detto popolare “mal comune, mezzo gaudio”, anche se, i diretti interessati delle malefatte della comunità rom non saranno molto d’accordo con questo proverbio. A quanto pare, la criminalità nel centro di Parigi è andata aumentando negli ultimi mesi. Addirittura, ad Aprile il Museo del Louvre aveva bloccato le entrate in segno di protesta contro le bande di borseggiatori disseminati per le zone più frequentate dai turisti. I bersagli più presi di mira erano i cittadini cinesi, perché soliti ad avere il portafoglio pieno di soldi. I delinquenti? Sono sempre loro: i rom. Così come fanno anche da noi, la mattina abbandonano camper e baracche, prendono il treno e si dirigono verso il centro città. Alcuni si piazzano agli angoli delle strade a chiedere l’elemosina, usando i bambini come leva per impietosire i passanti. Altri, ragazzini spesso, si riuniscono in vere e proprie bande e vanno a caccia di malcapitati. Sono decine i gruppi che stazionano qua e là per il centro. Il più delle volte, se la prendono con persone sole o con coppie di turisti. Li provocano, aspettano la reazione, dopodiché parte il saccheggio. Due ragazzi americani sono stati spogliati completamente dei loro averi: valigie, portafogli, occhiali da sole, cellulari e altri oggetti personali. Ovviamente, appena scoppiato il problema, si è tentato di nascondere tutto sotto il tappeto, facendo finta di niente. Troppo sconveniente ammettere che le politiche di integrazione sono fallimentari e, soprattutto, troppo pesante sarebbe un calo del turismo in un momento così drammatico per l’economia del paese. Ma tempo pochi mesi, la situazione non poteva più essere ignorata. La chiusura del Museo del Louvre è stato uno dei segnali più forti, che ha costretto il ministro dell’Interno, Manuel Valls, ad intervenire. L’operato del Titolare del dicastero, nel suo complesso, non è stato dei più lodevole. Lui è infatti l’artefice della dura repressione nei confronti dei manifestanti de La Manif Pour Tous, spesso arrestati in maniera arbitraria. Nonostante ciò, quando dei teppisti di fede islamica hanno messo a ferro e fuoco Trappes, la polizia ha reagito con inaspettata morbidezza. Ma lo stesso errore non poteva essere commesso anche per un fenomeno che invece sta trovando sempre più radicamento. Il ministro Valls ha, infatti, disposto delle unità di sicurezza straordinarie per fronteggiare il problema. Circa 200 poliziotti sono stati messi a pattugliare il centro di Parigi, in particolar modo per le zone turistiche. Inoltre, sono state applicate altre 26 misure di sicurezza, per sensibilizzare i visitatori al problema. In altre parole, si è preferito mettere in guardia il potenziale bersaglio degli zingari. Le ambasciate penseranno, infatti, a tenere aggiornati i visitatori sulla situazione della criminalità e sul rischio di incorrere in rapine. Si sconsiglia, infatti, di girare con oggetti troppo vistosi e di evitare di tenere troppi soldi nel portafogli.Anche il quotidiano inglese Daily Mail si interessa del problema Rom francese. Ma il giornale britannico si preoccupa di evidenziare soprattutto la resurrezione dell’estrema destra. Non si tratta solo del Front National, che da sempre denuncia questa situazione di degrado ed ora si aggira attorno al 21% dei consensi elettorali, ma anche di altre formazioni extraparlamentari. Intanto, l’Ump si prende una rivincita. Poco meno di un mese fa, il sindaco di Nizza, Christian Estrosi, ha infatti chiamato alla “rivolta” (legale) dei sindaci contro gli zingari. Le sue parole sono state oggetto di una dura contestazione da parte del Partito Socialista, che le hanno definite “pericolose”. A quanto pare, la sinistra francese colleziona un’altra figuraccia e si appresta ad una brusca retromarcia.

Federico Campoli


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DALLA PADANIA
[Data pubblicazione: 24/12/2004]

I nomadi non vogliono i “neri” Perché Papalia non li processa?

MAURIZIO FUGATTI

Chi aveva detto che i leghisti con i nomadi e con i loro campi abusivi sono sempre razzisti e intolleranti, e che invece gli zingari vanno tutelati, aiutati, seguiti nel processo di integrazione nella nostra società, perchè sono brave persone che rispettano il prossimo?
Bella domanda, e anche imbarazzante, se si guarda a quanto accaduto in questi giorni a Bolzano, dove nella gestione di un campo nomadi, questi ultimi si sono rifiutati di avere personale extracomunitario di colore. «Non vogliamo custodi negri», hanno infatti affermato i nomadi, accampati nel campo Sinti di Bolzano.
Un fatto che qualche esponente di sinistra definirebbe senza tanti dubbi «di chiara discriminazione razziale», che potrebbe anche interessare qualche sostituto procuratore della Repubblica, magari di Verona. Quest'ultimo potrebbe infatti attivarsi nei confronti dei propri colleghi bolzanini e verificare se in quanto affermato dagli zingari si ravvisa la violazione della famosa legge Mancino, la stessa applicata contro i leghisti veronesi, “rei” di avere raccolto firme proprio contro un campo nomadi abusivo.
Ma, come ben sappiamo, difficilmente qualche magistrato sarebbe interessato a mettersi dalla parte opposta di coloro che, quando si parla di razzismo, dai benpensanti sono considerati sempre “dall'altra parte”, cioè da quella dei cosiddetti discriminati.

I fatti comunque dicono che in questo campo nomadi vivono circa quaranta famiglie, poco più di cento persone, e negli ultimi anni la gestione del campo, cioè l'organizzazione dei servizi, la custodia, la pulizia e la amministrazione, è sempre stata affidata alla fondazione Odar, emanazione della Caritas locale.

Tale gestione però scadrà al 31 dicembre prossimo, e nel frattempo a nessun ente è stato dato un nuovo incarico ufficiale.
Per il momento infatti l’azienda dei servizi sociali di Bolzano ha proceduto ad una trattativa privata con società nelle quali non è esclusa la presenza di personale extracomunitario di colore.

Ma la risposta dei rappresentanti del campo nomadi è stata lapidaria: «Non capisco ha spiegato un portavoce perchè nessuno ci ha chiesto niente. In ogni caso pretendiamo che i custodi del nostro campo siano italiani, chiediamo che restino i ragazzi dell'Odar.

I negri ha continuato noi non li vogliamo. Non ci fidiamo di loro, come potremmo affidare a loro i nostri bimbi?».
Appunto, come si possono affidare i figli degli zingari ai cosiddetti «negri», come li chiamano i rom bolzanini, ai quali il comune mette a disposizione anche un'area pubblica?

La questione è stata subito presa di mira dalla locale sezione della Lega Nord Südtirol.

«Eravamo abituati a considerare gli zingari afferma il segretario Kurt Pancheri dei semplici habituè della cronaca nera in quanto artefici di scippi, furti e borseggi, ma questo fatto ci lascia sbigottiti.
Dobbiamo infatti renderci conto che gli zingari sono anche razzisti, visto che non vogliono extracomunitari di colore a gestire il loro campo nomadi.
Di sicuro continua Pancheri se una simile affermazione fosse stata fatta da altre persone si sarebbe gridato allo scandalo, al razzismo, alla discriminazione e si sarebbe invocata la legge Mancino che tutela le minoranze razziali.
Questo fatto ci fa tornare alla memoria conclude Pancheri le parole illuminate dei protettori degli zingari che anni fa affermavano che trattandoli con amore e mantenendoli per impedire che rubassero si sarebbero potuti trasformare in perfetti cittadini. Evidentemente si sbagliavano
».


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SVIZZERA: L’ATTACCO AI ROM SCATENA UN PUTIFERIO

http://www.lindipendenza.com/svizzera-l ... -putiferio

L’immagine campeggia in prima pagina sul settimanale svizzero Weltwoche: un ragazzo di etnia rom punta una pistola contro il lettore. Titolo: “Arrivano i rom. Spedizione criminale in Svizzera”. La copertina, insieme all’articolo che l’accompagna e che contiene proposte discriminatorie e razziste, ha provocato un’ondata di critiche da parte della stampa internazionale. Il consiglio centrale tedesco dei rinti e dei rom ha sporto querela e ha chiesto il ritiro della rivista dalle edicole.

A Berlino il Tagesspiegel indaga sulla storia della foto e evidenzia la forzatura del senso dell’immagine, che Weltwoche, notoriamente vicino alla destra populista svizzera, ha estrapolato dal suo contesto originario. Secondo il quotidiano l’intenzione del fotografo italiano Livio Mancini era quella di mostrare la miseria delle famiglie rom in Europa: Mancini ha fotografato alcuni bambini rom nei ghetti di Gjakova [in Kosovo], dove le loro famiglie si sono rifugiate dopo la guerra. I loro accampamenti sono costruiti sul terreni inquinati di una vecchia discarica, e queste vivono vendendo ciò che trovano nelle montagne di spazzatura su cui vivono […]

Le foto dei bambini della discarica mostrano una realtà tragica. I sinti e i rom sono la più numerosa minoranza europea e vivono in condizioni terribili. Sono poveri e perennemente minacciati. […] Le immagini di Mancini illustrano questa situazione. Ma la rivista svizzera le ha utilizzate per provare il contrario, per trasformare le vittime in colpevoli.

In una lettera indirizzata al Tagesspiegel, Mancini denuncia “l’utilizzo abusivo della foto”. Weltwoche ha reagito alle critiche parlando di “fatti” conclamati. La rivista sostiene che la polemica sta oscurando la realtà del’”impiego di bambini a fini criminali“, e non fa riferimento ai risvolti etici della sua scelta editoriale. Livio Mancini è comunque soddisfatto che il tema dei rom sia arrivato all’attenzione dell’opinione pubblica europea.


Comenti ==========================================================================================================================

Roberto Porcù
3 Febbraio 2013 at 7:31 pm #
Condivido l’opinione di Alberto Pento. Noi ora vediamo i film Western con un perenne contrasto tra i bianchi ed i pellerossa. Oltre ogni retorica, essi erano insofferenti di ogni confine e di ogni proprietà, se si imbattevano in animali di allevamento se li prendevano e si prendevano qualunque cosa di loro interesse fosse capitata a tiro, in ciò comprendo anche le donne use a rimanere molto tempo sole in piccole fattorie. Si, in origine il territorio era loro, ma questa è la logica di ogni scontro-incontro di civiltà. Di accettare la civiltà della civiltà più forte non ne vollero sapere e finirono confinati.
Con gli zingari, della tribù sinti, rom o che altro, si presenta lo stesso problema con l’aggravante che la civiltà che avrebbe tutti i motivi per essere vincente, si sente invece perdente e porge loro le terga.
Del resto, i problemi costoro li arrecano alla gente comune e non certo alla famiglia di politici o magistrati.

luigi bandiera
14 Aprile 2012 at 9:23 pm #
Leggendo l’articolo io ho un altro spunto.
So che non serve a nulla ma e’ come la vedo io.
Da quando sono in vita ho sempre sentito parlar male del mondo nomade. Non sapevo nemmeno che erano sinti o rom. Sentivo solo che rubavano. Specie polli e o comunque animali da cortile.
Qualche volta entravano in casa per trovare oro o gioielli.
Poi se tutto questo e’ vero non lo so… so che un di mi chiamo una signora di passaggio e che mi conosce avvertendomi che nella casa del mio povero fratello c’era un certo movimento.
Andai e trovai mia nipote, ora avv. che studiava tranquillamente.
Le chiesi se era vero e lei mi disse: si. Sono appena andate via.
Erano due giovani donne che se le tocchi rischi un reato su minore e non solo.
Ma ne successe uno anche in casa mia… erano sempre due giovani donne pero’ non credo le stesse.
Ma se ci penso anche difronte a casa mia… mia moglie le vide saltare come un olimpio,nico il cancello… del condominio.
Ma questo non c’entra per stabilire se i nomadi (che magnano anche loro come tutti) siano degli onesti o disonesti per essere degni di rispetto perche’ uomini.
A voltel’altro homo detto sapiens si comporta peggio di una bestia. Si inventa guerre e BOMBE NUCLEARI ; armi che solo a pensarci ci fanno rabbrikmvidire e quindi..??
Diciamo che sti nomadi o quelli la’, hanno uno stile di vita che noi non amiamo. Anzi. Reagiamo molto male a saper che rubano e poi anche sono difesi sia dalla comunita’ e sia dai giudici.
Un politico itagliano direbbe subito: qua ci vuole una riforma, ed e’ a posto con la sua coscienza e carica istituzionale. Lo dicono sempre ma non la fanno mai.
Da un lato non invidio i nomadi e nemmeno pero’ mi sento di condannarli.
Il perche’ sta nel fatto che li vedo LIBERI..!
Pero’, in questo mondo stracolmo di FARISEI se ti scagli contro di loro sei subito etichettato razzista se non denunciato per razzismo o altro crimine. Legge Mancina…
Quindi giusto difendere i nomadi e le loro usanze di cui la loro cultura. Anche il loro lavoro… va difeso.
Giusto KAX. Super GIUSTO, ri KAX.
Lo so, il SONNO e’ tremendo e fa dei brutti scherzi.
E adesso domando (ma e’ una ripetizione): si e’ mai accorto nessuno che i popoli rinchiusi ad ALKATRAZ (leggi talibanìa) sono stati trattati peggio dei nomadi..?????? In particolare il POPOLO VENETHO..?
Si accorge nessuno di quelli che votarono la legge Mancina (mancino) che il POPOLO VENETHO e’ stato parzialmente DISTRUTTO con metodi per niente discutibili..??
Che ci fu e c’e’ un comportamento razzista nei suoi comnfronti..???????????
Basta il senso, non aggiungo altro. Chi vuol capire capisce…
BASTA ITALIA..!!!!!!!!!!!
ITALIA, BASTA RAZZISMO NEI CONFRONTI DEI POPOLI..!!!!!!
SVOBODA

alberto
21 Maggio 2012 at 8:30 pm #
Condivide pienamente! Questo é realismo, chi non usa vie di mezzo reali e vede solo bianco e nero non sa distinguere le vere sembianze del mondo che lo circonda.
WSM

Michelberg
14 Aprile 2012 at 5:34 pm #
se vogliono esser rispettati
comincino a rispettare le comunita’ che li ospitano.
semplice no ?

Luporobico
14 Aprile 2012 at 4:09 pm #
Gli zingari sono un popolo che crea soltanto problemi ovunque vadano…………..questo è un dato di fatto.
La loro libertà troppo spesso intacca la nostra.
Il mondo intero dovrebbe comprare una area disabitata dove mandarli tutti insieme.

Rodolfo Piva
14 Aprile 2012 at 11:18 am #
In una Lombardia indipendente credo che sia diritto dei cittadini spedire gli zingari a praticare il nomadismo fuori dai confini della regione con le buone o le cattive.
Cordiali saluti

Gino
14 Aprile 2012 at 1:19 pm #
Hai ragione, gli zingari che se ne tornino in India da dove sono venuti.
Loro e tutti gli invasori allogeni della nostra povera Europa.

Andrea Milano
14 Aprile 2012 at 3:56 pm #
in una Lombardia indipendente non ci saranno espulsioni di massa o pulizie etniche di sorta, queste continue aggressioni verbali contro i “forestieri” non rendono un buon servizio alla causa indipendentista.
L’immigrazione è un tema delicato e il futuro stato lombardo deciderà democraticamente la propria politica in materia.
basta con la demagogia.

Rodolfo Piva
14 Aprile 2012 at 4:08 pm #
In una Lombardia indipendente non pensa che saranno i cittadini lombardi a poter decidere se continuare ad ospitare gli zingari sul proprio territorio o a spedirli in altri luoghi indipendentemente dalle opinioni personali sue e mie ?
La Lombardia, da questo tipo di immigrati, non ha nulla da guadagnare anzi, sono i cittadini lombardi più deboli a rimetterci.
Cordiali saluti

Andrea Milano
14 Aprile 2012 at 4:51 pm #
Saranno i cittadini a decidere, senza dubbio. Adesso però lanciare invettive contro i Rom o chiunque altro non serve a niente. Ricordiamoci comunque che le espulsioni di massa sono pericolose ed inguste; generalizzare è sempre un errore.
Chi delinque o si comporta da parassita è sicuramente indesiderabile ma attenzione a non promuovere campagne xenofobe,adesso occupiamoci di raggiungere l’obiettivo principale che è la piena indipendenza della Lombardia.

Alberto Pento
14 Aprile 2012 at 10:22 am #
Se nell’America del Nord i bianchi europei invasori hanno certe colpe e responsabilità verso gli indigeni – pellirossa;
se in Australia i bianchi europei invasori hanno certe colpe e responsabilità verso gli autoctoni-aborigeni;
se in Africa e nell’America del Sud i bianchi europei invasori hanno certe colpe e responsabilità verso gli indigeni africani e indio, …
non si può dire altrettanto, in Europa, per quanto riguarda gli zingari poiché questi non sono indigeni e autoctoni invasi dagli europei ma sono loro che caso mai hanno “invaso l’Europa” migrandovi nei secoli scorsi e mai adattandosi alla vita stanziale delle comunità indigene verso le quali hanno sempre mantenuto comportamenti discriminatori, di disprezzo e razzisti compiendo contro le etnie europee indigene e stanziali una lunga serie secolare di crimini per lo più impuniti.
Nascondere le responsabilità e le colpe storiche degli zingari non aiuta loro e nemmeno noi gagè a risolvere per il meglio questo secolare disagio sociale.
Anche gli zingari sono uomini e debbono rispettare il prossimo come tutti gli altri, assumendosi colpe e responsabilità come tutti gli altri.

dariuciu
15 Aprile 2012 at 1:11 pm #
Concordo…

Alberto Pento
14 Aprile 2012 at 9:44 am #
Per quanto mi riguarda non ho nulla contro i Rom o i Sinti, o gli zingari e i nomadi in generale, però non è possibile nascondere che una parte ( …? quanta parte) de i nomadi zingari Rom e Sinti e altri non abbiano compiuto in quantità rilevante e sistematica atti di furto, truffa, rapina, estorsione e omicidio nei confronti dei popoli e delle genti stanziali e indigene europee che li hanno ospitati da tempi immemorabili e che per questo si sono fatti abbondantemente odiare.
Che le Mafie e la Casta siano più dannose è un’altro affare, però gli zingari o meglio una certa parte di questi nomadi ha dimostrato nel corso dei secoli, dei decenni e degli anni di non avere alcun amore e rispetto per il prossimo che non è zingaro.
E quindi è più che comprensibile, logico e legittimo che si dicano le cose come stanno.
Per me questa parte “criminale” degli zingari si è fatta conoscere per le sue manifestazione di estremo razzismo nei confronti della gente autoctona che loro chiamano Gagé.
Non è più accettabile che le reazioni, di legittima difesa delle vittime e delle loro comunità, al feroce etno razzismo di una certa parte degli zingari siano fatta passare come razzismo contro di loro.
Se uno zingaro uccide un gagé, poveretto era esasperato dal razzismo nei suoi confronti;
se un gagé dice che una certa parte degli zingari è ladra e criminale è un razzista.
Le statistiche europee ci dicono che il rapporto tra i gagé uccisi dagli zingari è almeno 10 volte quello degli zingari uccisi dai gagé.
E a giustificazione non si può tirare in ballo la persecuzione nazista come se questa potesse giustificare ogni crimine che questa parte (?) degli zingari quotidianamente compie in tutta europa.
Poi va ricordata la Mafia dei Gitani francesi.
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 2:28 pm

Occupazione abusiva di suolo pubblico, furto d’acqua e di energia elettrica.

http://patrick.blog.tiscali.it/2013/06/ ... ng_wp_cron


Era questa l’accusa rivolta verso quarantun sinti che sono stati tutti assolti dal Tribunale di Verona.
Una decisione destinata a far discutere quella riportata dal sito ‘Verona Sera’. A denunciarli erano stati, nel 2008, i vigili urbani di Verona, intervenuti con carabinieri e poliziotti nel campo zingari di via Sogare. Secondo l’accusa del pm Giusy Bisceglie, tutte le famiglie accampate nel piazzale Atleti Azzurri d’Italia avrebbero usato abusivamente l’acqua pubblica, tramite allacciamenti illeciti alla rete idrica di Acque Veronesi. In più tre di loro dovevano anche rispondere di furto di elettricità ai danni di Agsm. Come riportano i quotidiani locali, questi reati avrebbero portato a chiedere 3 anni. I difensori, tuttavia sono riusciti nell’intento di far comprendere che “era tutto regolare”. Sarà… ma allora come mai era stato il Comune a denunciarli? Fatto sta che il primo reato a cadere “perché non sussiste” era stata l’occupazione abusiva, durante l’udienza preliminare. Ora sono stati smantellati anche gli altri due, quelli più gravi, di furto. Il giudice Giorgio Piziali ha assolto tutti e 41 i sinti perché il “fatto non costituisce reato” (se rubano gli zingari non è reato quindi). Non solo: oltre all’assoluzione i sinti, dall’alto della loro filosofia, hanno anche gettato fango sull’amministrazione. Gli avvocati di parte civile hanno infatti condannato la scelta del Comune di perseguire alcune persone, “tutte veronesi e in possesso di cittadinanza italiana” (no comment), con l’accusa di aver rubato un bene primario come l’acqua. Quindi se gli zingari rubano “un bene primario” sono giustificati mentre se un padre disoccupato ruba per dare da mangiare al figlio (anche in questo caso beni primari) deve finire in galera? È questa la giustizia italiana? Fatto sta che non contenti gli zingari hanno anche messo il punto su un fatto: ovvero che alcuni di loro mandati a processo avevano denunciato il sindaco di Verona, Flavio Tosi, per propaganda d’idee razziste.
Ma certo, se un primo cittadino riprende gli stranieri in quanto non rispettano le regole è razzista. Questa è l’Italia.

http://www.ilgiornaleditalia.org/news/c ... li-zingari–.html
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 2:29 pm

Grido di dolore dei rom: "Non potete farci lavorare"

http://www.liberoquotidiano.it/news/ita ... rare-.html

Il sindaco Variati (Pd) paga le bollette ma in cambio chiede di svolgere qualche attività. Loro dicono no, incoraggiati dai centri sociali

«Il sindaco Variati non può obbligare nessuno a lavorare, tantomeno un nomade».
Davide Casadio, presidente dell’associazione Sinti Italiani in viaggio per il diritto e la cultura, non accetta che il primo cittadino di Vicenza (Pd), dopo la decisione del Comune di pagare 59 mila euro per saldare le bollette arretrate di luce e gas di due campi rom, abbia chiesto in cambio ai loro abitanti di svolgere qualche attività socialmente utile, come la pulizia delle strade o lo sfalcio dell’erba.

Casadio sostiene, e in questo caso è d’accordo con Variati, che i sinti devono essere trattati come le altre famiglie della provincia veneta che non hanno reddito. Il rappresentante dei rom però sottolinea che il Comune è obbligato ad aiutare chi si trova in difficoltà - quindi a saldare eventuali insoluti - e che in cambio, dunque, non deve chiedere un bel niente.
«Credo che sia un concetto fondamentale» precisa Casadio, «pensiamo all’articolo 3 della Costituzione». Insomma, i rom come al solito hanno soltanto diritti e nessun dovere. Vivono negli accampamenti per una scelta di vita, devono essere serviti e riveriti dalle amministrazioni locali e, si capisce, devono anche essere equiparati a quelle migliaia di famiglie che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese e che per riuscire a pagare le bollette di casa - quando ci riescono - fanno i salti mortali.

Domani, a Vicenza, ci saranno due manifestazioni opposte. I gruppi di centrodestra si ritroveranno alle 16 davanti al municipio per il “No bolletta day”. Porteranno le loro bollette di luce e gas e chiederanno all’amministrazione di farsene carico. I centri sociali invece manifesteranno un’ora prima in piazza Castello contro chi ritiene sacrosanto che i nomadi si sdebitino con qualche lavoretto utile alla cittadinanza. Forse 59 mila euro (nel solo 2013), per gli amici dei centri sociali non sono abbastanza. Nei due accampamenti, in viale Cricoli e via Diaz, vivono complessivamente più di 120 persone. Alcune famiglie, poco prima di Natale, erano rimaste senza gas ed elettricità perché non avevano pagato gli arretrati. L’amministrazione comunale, quindi, si era fatta carico della questione versando la somma all’azienda municipalizzata che eroga il servizio. E non si è trattato certo della prima volta se è vero, com’è vero, che negli ultimi tre anni il Comune di Vicenza ha sborsato la bellezza di 110 mila euro per pagare i conti di luce e gas dei due accampamenti.
La spesa, sommata ai contributi per i buoni pasto, le medicine, e il sostegno scolastico, ha raggiunto i 125 mila euro.
Variati fa presente che d’ora in poi chi non accetterà di svolgere lavori socialmente utili non riceverà più un centesimo e che i finti poveri verranno segnalati alla Guardia di Finanza: «Dobbiamo ridare dignità a chi vive là, tra topi e sporcizia.
Non facciamo buonismo.
Molti dicono “ecco loro li aiutate e noi no”.
Ma basta avere l’Isee basso - precisa il sindaco - e tutti hanno diritto.
Sui nomadi poveri o finti si indagherà.
Basta logica assistenzialista.
Se rifiutano il lavoro - prosegue - e pensano di usare i bambini per evitarlo, porteremo le madri e i figli fuori dal campo, nell’albergo cittadino».
Vedremo se sarà così.

Il caso, a Vicenza, ha scosso sia la maggioranza di centrosinistra, al cui interno non mancano gli esponenti che criticano la decisione della giunta, sia l’opposizione. La Lega ha immediatamente chiesto le dimissioni dell’assessore ai Servizi Sociali, Isabella Sala. Sergio Berlato, europarlamentare vicentino di Forza Italia, sostiene che è «una forzatura fuori luogo» paragonare i residenti vicentini agli zingari. Si chiede se il Comune abbia verificato «se i bambini frequentino regolarmente la scuola e se il contesto familiare gli garantisca un percorso educativo sufficiente». Berlato rispedisce al mittente l’invito a vergognarsi rivoltogli da Variati e ribadisce che prima dei rom vanno aiutate le famiglie vicentine in difficoltà. Ma questo, secondo i centri sociali che manifesteranno domani, è puro razzismo.

di ALESSANDRO GONZATO

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Vicenza, bollette pagate ai nomadi - Variati: "I minori hanno dei diritti" - Stefani: "Non è un ente benefico"

http://www.ilgiornaledivicenza.it/stori ... e_benefico

21/01/2014 E-MAILPRINT
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Continua la polemica sul caso nomadi
VICENZA. ORE 18. Chi non riesce a pagare le bollette deve fare volontariato e se rifiuta non vedrà più un euro, aiuto al reddito a chi ha problemi in base alla dichiarazione Isee, segnalazione alla guardia di finanza dei casi sospetti di finti poveri. Ma comunque "sui diritti fondamentali delle persone non si discute, anche quelli antipatici. Soprattutto se ci sono bambini che hanno bisogno".
Ha risposto così oggi il sindaco Variati alle polemiche sulle bollette della luce pagate dal Comune
ai nomadi di viale Diaz e viale Cricoli e che ha inserito la questione rom e sinti tra gli argomenti
della riunione di giunta. Per dire che "quei principi valgono per tutti i cittadini che hanno bisogno
e non hanno i soldi per pagare". E che le opposizioni fanno tanto rumore "ma prima della mia amministrazione il campo di via Cricoli era attaccato a un solo contatore e pagavano 60 euro al mese". Tra una decina di giorni poi Variati farà sapere dove trasferirà i nomadi in attesa della sistemazione del campo di via Cricoli: "Sto valutando alcune idee nuove".
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 2:48 pm

Immagine

http://www.barbarafaccenda.it/pdl-alla-frutta

Questo manifesto comparso a Pescara è veramente sintomo di uno stato del PdL pari ad un piatto di frutta dopo un pranzo, che ricordiamolo arriva proprio alla fine, dopo il dolce.

Diciamolo subito, la responsabilità di questo è del grafico che ha capito male, non è di nessun responsabile del partito, anzi di più: questo manifesto vuole denunciare una condizione di illegalità radicata a Pescara.

Piuttosto affermo con forza che questo manifesto è VERGOGNOSO. Inaccettabile, inadeguato e direi anche parecchio triste e patetico. Prima di tutto pagare fior di quattrini questi cartelloni, mi sembra già di per sè uno schiaffo al momento di crisi economica, che evidentemente loro non avvertono…sprecare dei soldi per scrivere che i delinquenti devono andare via, mi pare davvero un atto disonorevole.

Pregherei innanzitutto il sindaco di Pescara, il Sig. Mascia, di focalizzare la sua attenzione su i miliardi di problemi che ha la città…non so vuole che ricordi qualcosa?
275mila euro di bollette della luce non pagate dal Comune, per dire eh…poi vediamo…le parole: pericolo esondazione e dragaggio Le dicono qualcosa?

In secondo luogo ci tengo a ricordare alle menti eccelse del PdL locale, chi è il popolo ROM, così prima di scrivere slogan dal sapore razzista, ci pensano su due volte. Perdonatemi se la spiegazione è un po’ lunga, ma credo che valga la pena fugare ogni istinto razzista e discriminatorio a proposito di questo popolo.

Iniziamo con un necessario chiarimento terminologico, a costo di apparire banale.
Si fa spesso confusione tra Rom e rumeni, sarà bene chiarire che con la parola «rumeno» (o «romeno») si indica comunemente il cittadino della Romania, mentre il termine «Rom» identifica una minoranza «etnico-linguistica», cioè un insieme di gruppi che parlano – o che parlavano in passato – una medesima lingua detta romanés, a sua volta articolata in numerosi dialetti.

Rom in Europa, Lom in Armenia, Dom in Medio Oriente.
E’ il nome con cui i popoli Zingari designano se stessi.
L’origine della parola è indiana: il significato è quello di “uomo”, in particolare “uomo libero”.I vari gruppi si sono poi distinti per il luogo di immigrazione (antichissimi Rom abruzzesi), per il mestiere che li caratterizza (Rom Kalderasa [calderai], Lovara [allevatori di cavalli],…) o per altre definizioni.

I rom non piacciono a nessuno: anche gli strenui difensori della political correctness con tutto quel che segue si trovano in imbarazzo nel sostenere la causa di questa strana minoranza. Ma loro non sono stranieri come gli altri. A dirla tutta, non sono nemmeno stranieri: sono presenti stabilmente in Italia da più di 600 anni. La loro presenza nel nostro Paese è infatti accertata fin dal XIV secolo.

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Lo Zingaro è fondamentalmente religioso,
anche se non aderisce con piena consapevolezza a nessuna religione positiva. T
utto ciò che risponde alla volontà divina è principio di amore e di vita.
Lo Zingaro vede nell’amore la ragione della sua vita, infatti si ritiene del tutto giustificato agli occhi di Dio quando ha assolto il suo impegno verso il prossimo. Va evidenziato che il prossimo, per lo Zingaro, è l’uomo del suo stesso sangue, non lo straniero, il gagiò; questo non vuol dire che non provi sentimento di forte e sincera amicizia per i gagè, l’ospitalità è sempre sacra per gli Zingari.

Na olta (mexi pasà) a ghe jera anca ste parołe kì, ke deso łe xe stà scançełà da ła paxena:

Dalla contrapposizione dei due mondi (Zingaro e non-Zingaro) deriva una diversa valutazione:
mentre è male uccidere, derubare ed ingannare uno Zingaro, queste azioni non sono avvertite come colpe se rivolte verso i gagè, poiché lo Zingaro reputa il nostro mondo immorale, spinto dall'egoismo e da interessi materiali.

Le relazioni con la propria gente si caratterizzano invece per la spontanea generosità.
Non c'è differenza tra povero e ricco; chi ha, dà. E' la legge del mondo nomade fondata sulla comunione dei beni: non esiste proprietà personale, né eredità.


---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Il Comitato ONU per l’eliminazione delle discriminazioni razziali ha invitato l’Italia ad assicurarsi che la propria legislazione e le proprie politiche non siano discriminatorie, negli scopi o nelle conseguenze, rispetto alla razza, al colore della pelle, alla discendenza o alle origine nazionali o etniche. In particolare si è dichiarato preoccupato per l’estendersi di un linguaggio razzista, della stigmatizzazione e degli stereotipi nei confronti dei Rom, Sinti e Caminanti così come dei non cittadini, dichiarando che la libertà di espressione non può prescindere dal rispetto dei principi di eguaglianza e non discriminazione e non giustifica l’incitamento all’odio razziale né la diffusione di idee legate alla superiorità della razza.

Mi pare ovvio che il delinquente, che sia pescarese, americano, cinese, africano, asiatico,zingaro è da punire nelle opportune sedi.
Farne uno slogan equiparando la parola ROM a quella di delinquente mortifica tutti i pescaresi, tutti gli italiani.
Cari vertici del PDL, lo sanno tutti anche i bambini che alcuni rom delinquono, ma i cittadini pescaresi, abruzzesi, italiani, si vergognano sicuramente di vedere un cartellone del genere nella loro città. Non credo che gli ultras del Pescara apprezzino, perchè non sono razzisti, ma solo desiderosi della giustizia, come tutti.

Non so come vi sia venuto in mente di scrivere questo, ma una cosa la so…:siete davvero alla frutta!
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 2:58 pm

DARE DELLO ZINGARO A UNO ZINGARO E’ REATO. ALLORA STROLIGHI

http://www.lindipendenza.com/dare-dello ... -strolighi

La prima sezione del Tribunale civile di Milano ha sentenziato che dare dello zingaro a uno zingaro è reato, perché il termine zingaro è discriminatorio, razzista e offensivo. Insomma gli zingari non si possono più chiamare zingari. Se uno entra in casa di notte o cerca di fregarsi il portafoglio, bisogna rivolgersi a lui educatamente e chiedergli se è un sinti, un rom, un kalé, un manouche, un khorakhané o un khalderasha, così che lo si possa apostrofare correttamente e riferirsi a lui secondo i sacri crismi della legge, della scienza antropologica e della correttezza politica. E guai a sbagliare la pronuncia del nome: sono ospiti permalosissimi, potrebbero incazzarsi ma anche subire dei terribili traumi di identità. Il tribunale non si è ancora pronunciato sul termine strolighi, perché in quelle aule le lingue padane sono poco praticate ma c’è da giurare che colmerà presto la lacuna giuridica. Alla fine non si sa più come chiamarli, forse si deve ricorrere a una di quelle complicazioni lessicali che il buonismo si è inventato, come “diversamente civili”. Oppure chiamarli “proudhoniani spinti”: se “la proprietà è un furto”, tanto vale esorcizzarla con un furto, perché il furto di un furto non può essere classificato come un furto. Che anche i tecnici del governo Monti siano “nomadi”?
Così non si sa più come chiamare gli strolighi ma è piuttosto chiaro che nome dare ai giudici che hanno emesso questa radiosa sentenza.
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 3:09 pm

Da on libro scrito da Annamaria Masserini nata nel 1956 in provinsa de Berghem, laoreà in psicologia a Padoa e spesałixà in mediçina psicosomatega.

dal titolo “STORIA DEI NOMADI”

ULTIMO CAPITOLO

IL CONSIGLIO D’EUROPA

Canzone di uno zingaro.
«La nube non si ferma che per piovere e uno zingaro non si ferma che per piangere» .

Le condizioni dei nomadi in Italia sino al 1988.

«Allora la gente era sempre buona.» Queste parole di Rave Hudorovich, che ho riportato a conclusione del capitolo precedente, contengono implicitamente due grandi verità, almeno per quanto riguarda l'Italia:
il riconoscimento dell'azione umanitaria svolta dalla nostra gente negli anni della guerra verso tutti i perseguitati e quindi anche verso gli zingari;
la nuova realtà che, a parte qualche eccezione, è quella del rifiuto e del disprezzo dei rom, stimatizzati con gli appellativi di asociali, di parassiti, rapitori di bambini, personaggi demoniaci e misteriosi e quindi come tali decisamente rifiutati.
Si sono dovuti aspettare anni perché tra le voci che ricordavano la guerra passata, la tragedia di molte nazioni e di milioni di uomini, se ne levasse qualcuna a favore degli zingari. Ciò non meraviglia, in quanto rispecchia l'atteggiamento generale di molti italiani nei loro confronti. «Abbiamo presente la tragedia umana dei polacchi,degli ebrei, dei francesi, dei russi, ma quando si tratta di zingari, anche se hanno sofferto come gli altri, non ci ricordiamo di nulla. Essi sono semplicemente zingari.» (Lech Mroz, «Il martirologio degli zingari», Lacio Drom, giugno 1984).

Precedentemente ho menzionato il comportamento del governo della Germania Federale nei riguardi dei nomadi vittime delle persecuzioni naziste.
La Germania Federale dovette sottoscrivere la «Convenzione di Bonn» per riparare almeno in parte alle atrocità commesse dal governo hitleriano, in modo da compensare parzialmente le persone perseguitate per motivi di nazionalità, di razza o religione che avessero sofferto per perdita di libertà, di proprietà e per danni fisici.
Un articolo della Convenzione includeva ebrei che avevano ottenuto la cittadinanza tedesca prima del regime nazista e che perciò legalmente erano cittadini tedeschi. Tuttavia gli zingari in situazioni similari furono deliberatamente esclusi e le loro cause sistematicamente insolute dalla magistratura.
Al giovane ma risoluto Stato di Israele, dove il ricordo dell'olocausto di milioni di ebrei è ancora vivo e bruciante, è stato possibile ottenere congrue riparazioni, invece gli zingari attendono ancora giustizia.

«Il genocidio nazista osserva uno studioso tedesco Wolfgang Feuerheim non sembra aver posto alcun interrogativo ai governi dei diversi Länder»

Sino alla fine degli anni '70 in Germania sono rimaste in vigore leggi regionali come quella bavarese per «la lotta contro gli zingari, i viaggianti e i renitenti al lavoro»; quella della Saar per «la lotta contro la piaga zingara»; dello Höss per «la lotta contro la ziganità»; del Wiittemberg per la proibizione agli zingari di «viaggiare in orde» o del Baden che pure proibisce il nomadisrno a «zingari, meticci zingari e altre persone viaggianti alla maniera degli zingari».

Vi è ancora nella società tedesca una ostilità diffusa verso gli zingari.
Si afferma che gli zingari non furono perseguitati sotto il regime nazista per motivi razziali, ma per i loro precedenti asociali e delinquenziali, quindi per motivi di sicurezza.


Così, quando la Corte del Nord Reno, in Westphalia, ebbe il coraggio di sentenziare che una zingara, deportata nel -1940 dalla Polonia in Germania, aveva sofferto persecuzione a causa della sua razza e che quindi aveva diritto a un compenso, gli avvocati di Stato si appellarono alla Corte Suprema Federale che provvide ad annullare la sentenza.

Qualche spiraglio si aprì nel 1962, allorché le richieste di riparazione furono assunte da un'organizzazione rom, creata apposta, ora conosciuta come «Comité International Rom» (C.I.R.), la quale si occupò per fare ottenere i risarcimenti alle vittime. Ma per la mancanza di validi appoggi e per la difficoltà di presentare le prove richieste da parte dei diretti interessati, moltissimi dei quali analfabeti, poco poté ottenere.
Grattan Puxon, che segue con passione la causa dei nomadi, riporta in un suo saggio il caso di Paprika Galut, una zingara che «ricevette la ridicola somma di 5 sterline per la perdita del proprio neonato perito ad Auschwitz».

Anche la costituzione di una autorità centrale, scaturita dal I Congresso Mondiale Rom, tenutosi a Londra nel 1971, con la partecipazione di delegati di 14 nazioni, provenienti sia dall'Europa dell'Est che dell'Ovest, non ha avuto gli esiti sperati. Il Congresso, a causa della morte di molti protagonisti e per l'insuperabile ostacolo di dover fornire prove di eventi accaduti trent'anni prima, decise alla fine di chiedere, purtroppo invano, ai due Stati tedeschi e all'Austria una soluzione globale pari a circa 30 milioni di sterline da spendere, garante l'Unesco, per promuovere e migliorare l'istruzione della presente generazione nomade e soprattutto dei bambini.

La scelta di privilegiare l'opera educativa, motivata dall'analfabetismo, fattore che maggiormente condiziona l'emarginazione degli zingari, è condivisa dai più e fatta propria anche dall'«Opera Assistenza Nomadi», sorta in Italia nel 1965 e di cui è presidente Bruno Nicolini, convinto che «gli zingari attraverso la scuola possono acquisire, accanto al sapere tradizionale strumenti e dimensioni nuove, per poter superare, come soggetti del proprio destino, le situazioni di grave crisi e saper realizzare un cambiamento innovatore verso i necessari adattamenti alla società attuale, pur salvaguardando la propria identità culturale e i propri valori tradizionali».

Durante il trentacinquesimo seminario per insegnanti del Consiglio d'Europa, tenutosi nella Repubblica Federale Tedesca nel maggio 1987, si sono ricordate le attività condotte dal Consiglio d'Europa in materia di scolarizzazione dei bambini zingari, sottolineando l'interesse che l'Organizzazione pone per questa questione e situando queste attività nel quadro dell'educazione scolastica dei bambini appartenenti a comunità minoritarie e della formazione dei loro insegnanti.
Infatti, dai dati emersi dallo studio sullo stato attuale della scolarizzazione dei bambini zingari e viaggianti della Comunità Europea, studio svolto negli anni 1984/1985, è emerso che negli Stati Membri della Comunità circa il 30/40% dei bambini zingari frequenta la scuola con una certa regolarità; la metà non è mai stata scolarizzata; una percentuale minima raggiunge e supera la soglia dell'istruzione secondaria.

Nei gruppi rom fra i quali è ancora vivo l'attaccamento alla tradizione vi è riluttanza a mandare i propri bambini alla scuola di Stato, scuola che appare loro come elemento di disgregazione oltre che fonte di incomprensioni e umiliazioni (lo zingarello, per vari motivi, non è in classe un compagno bene accetto).
I gruppi più strutturati sarebbero disponibili ad una scuola presso di loro, cioè sotto il proprio diretto controllo».

Il perché è già stato detto: essi hanno paura di perdere la propria identità culturale e i propri valori tradizionali; temono cioè di essere integrati in una cultura che essi rifiutano.

«La cultura zingara può e deve avere una riscossa grazie alle nuove generazioni, che dispongono di una grande arma: l'istruzione, che permetterà loro di prendere coscienza della propria originalissima identità. Inserimento e integrazione non devono significare la perdita della propria identità e l'acquisizione di un'altra, ma il mezzo per raggiungere la capacità di difendere meglio la propria cultura al fine di uno scambio e di un miglioramento delle condizioni di vita».
Così scrive Santino Spinali, giovane zingaro che ha avuto la possibilità di frequentare l'Università di Bologna, che vede nell'istruzione dei giovani rom un modo per continuare a mantenere viva la propria cultura e la propria identità.

Significative sono a tal proposito anche le parole pronunciate poco prima della morte da Derek Tipler:
«Noi non vogliamo imparare a fare la guerra, a uccidere, a drogarci, a rapire i bambini, a sedurre e ad essere sedotti, a corrompere, ad essere avidi, comportamenti che oggi si riscontrano nei gagi (???). Se integrazione, invece, significa mutuo rispetto, reciproco amore, scambio di idee, collaborazione per un mondo migliore, credo che la maggioranza dei rom l'accetterebbe».

Non è giusto quindi porre agli zingari il dilemma: integrarsi o scomparire, mentre è valido l'ammonimento di Paul Valéry: «Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze».
Sono infatti i rom depositari di ricchi valori umani, di cui la nostra società soffre la mancanza: il profondo sentimento familiare, il rispetto per gli anziani, la capacità di sacrificio, la noncuranza della ricchezza.
Comune a tutti gli zingari sono l'orgoglio e la coscienza della comune appartenenza ad una identità culturale tradizionale, che gelosamente desiderano conservare.
Essi chiedono rispetto ed accoglienza, mentre noi guardiamo loro con diffidenza e disprezzo.
Per questo, oggi come nel passato, essi continuano a costituire una sfida per la collettività e la civiltà occidentale, opponendo ad una cultura moderna che privilegia la società una cultura di comunità.

«Quello di cui oggi sento la mancanza ha detto in un amaro sfogo Santino Spinelli è la comprensione dei gagé, perché sono sordi a, certe evidenze e non vedono lo zingaro come un essere umano che può esprimere sensibilità, cultura, che ha una propria etica che bisogna rispettare.»
«Vedono lo zingaro come una persona estranea, un "diverso" che, per essere accettato, deve cambiare secondo i canoni della cosiddetta società opulenta. Non vedono invece una persona che può contribuire, anche nel suo piccolo, a migliorare la società tutta.»
«Le fonti informative hanno contribuito ad alimentare l'immagine demoniaca dello zingaro delinquente, la persona che si è macchiata di un reato, ma non si è mai visto il popolo zingaro con la sua sensibilità, con la sua cultura e soprattutto con la sua etica.»

«E' verissimo che lo zingaro con i suoi errati comportamenti si autoemargina, ma è altrettanto vero che tra le sue manifestazioni si prende atto solo di quelle che hanno un risvolto negativo, senza capire minimamente le cause e le motivazioni che sono alla base.»

Non per niente il Consiglio d'Europa è stato il primo organismo europeo a prendere in considerazione la situazione degli zingari al fine di richiamare l'attenzione 'degli Stati membri sulla necessità di darvi eque soluzioni, votando diverse Raccomandazioni.
La Raccomandazione 563 del 1969, constatata la crisi degli zingari viaggianti a causa delle trasformazioni delle società moderne, la discriminazione nei loro confronti incompatibile con la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e l'appartenenza a un gruppo etnico particolare, chiedeva al Comitato dei Ministri d'Europa di esortare i governi degli Stati membri a porre fine ad ogni distinzione, a creare campi sosta attrezzati e a facilitare l'ingresso dei bambini nelle scuole pubbliche.

I risultati di questa Raccomandazione sono stati tutt'altro che soddisfacenti, come attesta la Risoluzione 13 del Comitato dei Ministri votata nel maggio 1975, documento che segna un regresso rispetto al precedente, essendo ispirato ad una politica di assimilazione piuttosto che di promozione.
Significativo è fatto che scompaia la denominazione «zingari», sostituita con «nomadi» o «persone di origine nomade».

Tuttavia si ignora che l'identità zingara non sta nell'essere nomade, ma nell'appartenere ad un gruppo etnico ben determinato.

Tale Risoluzione richiedeva, oltre ad interventi sulla salute e il benessere sociale, all'istruzione scolastica, alla lotta contro i pregiudizi, la creazione di aree di sosta attrezzate, essendo il problema della sosta uno dei più acuti per gli zingari.
La Risoluzione 125, votata nell'ottobre 1981, richiamava vari organismi internazionali, nazionali e locali alle loro responsabilità per un miglioramento della situazione degli zingari, sollecitando i governi degli Stati membri a creare all'interno del Consiglio d'Europa ùn centro d'informazione dei viaggianti «a titolo di contributo europeo alla lotta contro i pregiudizi e la discriminazione e di compensazione per le ingiustizie subite nel passato».
L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa adottò nel 1982 l'Avviso n. 108, deplorando che nei paesi membri, malgrado alcuni sforzi isolati fatti dai pubblici poteri «la situazione delle popolazioni nomadi, e soprattutto degli zingari, non sia migliorata dopo l'adozione della Raccomandazione 563 del 1969».
A ben vedere, tutto è rimasto come prima: la loro situazione nella Comunità costituisce tuttora una questione preoccupante, sia sotto il profilo socioeconomico, sia sotto quello giuridico, come vittime di discriminazioni e di limitazioni.

Quello che è successo e succede in Italia, dove il problema è particolarmente grave per la massiccia presenza di circa 40/50 mila zingari italiani e di oltre 60 mila zingari stranieri privi della cittadinanza e della residenza italiana, lo si può dedurre dai numerosi episodi di intolleranza verificatisi negli ultimi tempi un po' ovunque, ma particolarmente all'estrema periferia di Roma, tradizionalmente carica di tensioni sociali, dove l'arrivo dei nomadi funziona spesso da miccia esplosiva.

Si è parlato di una guerra fra poveri: poveri e dimenticati quelli delle borgate; ancor più poveri e derelitti gli altri; una guerra provocata, si è anche detto, dagli abitanti della periferia della capitale, perché sia loro riconosciuto il diritto a vivere dignitosamente.
Dall'ottobre al dicembre 1987 gli zingari sono stati spesso sulle prime pagine dei giornali nazionali.
Al centro delle notizie era la loro non gradita presenza nella capitale e i tentativi di alloggiarli in fatiscenti campisosta della periferia.
La protesta dei «borgatari» dilaga a vista d'occhio. Si gioca sull'emotività della gente, trovando facile esca nelle vecchie paure nei confronti degli zingari e di un declassamento del quartiere che li ospita di fronte al giudizio pubblico.
«Gli zingari portateli allo ZOO». «No agli zingari».
«Le borgate contro i nomadi». «Maledetti zingari». Sono solo alcuni titoli riportati dalla stampa quotidiana, indicatori di una situazione di intolleranza e di rifiuto contro i figli del vento.
«Ma Roma è razzista? Si, no, può darsi».

«Oggi è la rivolta contro gli zingari. Domani potrebbe essere quella contro i rifugiati politici, i clandestini stranieri o uno dei tanti "buchi neri" di una capitale che non riesce ad attrezzarsi per essere all'altezza delle sue responsabilità e dei suòi compiti».
Intanto Genova applaude alla morte della piccola zingarella di soli due mesi, morta di freddo in un accampamento su palafitte nel greto del fiume Bisagno. «Il senso di quell'applauso suona come un'offesa quasi più grave della morte della bambina», denuncia l'Osservatore Romano.
E non si può tacere di quello che è successo alla fine del 1987 a Correggio, un paese a pochi chilometri da Reggio Emilia, in una regione in passato tradizionalmente ospitale e aperta, che però da alcuni anni risente anch'essa della caduta dei valori di solidarietà che vengono sempre più a mancare nella civiltà del consumismo.
Qui l'assessore all'assistenza di Correggio, una donna, facendosi forte della protesta di un intero quartiere, nelle cui vicinanze si erano accampati una quarantina di nomadi, ha proposto alla Giunta Comunale l'istituzione di una speciale carta di riconoscimento, che, oltre ai dati anagrafici e alla fotografia, dovrà portare impressa, come marchio inconfondibile, la scritta «nomade», e inoltre il divieto agli zingari di accedere ai negozi del quartiere dove sostano, al fine di offrire ai cittadini e ai commercianti precise garanzie.

Giustamente c'è chi ha detto che l'apartheid non è più esclusiva del Sud Africa, ma è approdata anche in Emilia.
Cosa importa se la Costituzione Italiana si è preoccupata di garantire le esigenze supreme della persona umana, dettando a loro tutela norme inderogabili? Nemmeno la condizione di nomade può essere invocata per ridurre, a qualsiasi titolo, i diritti da essa sanciti.
Nell'art. 2 la Repubblica riconosce e garantisce «i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove opera la sua personalità; nell'art. 3 sancisce «la pari dignità di tutti i cittadini»; nell'art. 6 prevede «la tutela delle minoranze linguistiche»; nell'art. 16 «il diritto di libera circolazione». Sono proprio questi gli articoli che più frequentemente vengono violati.
Infatti, gran parte degli atti di discriminazione compiuti nei confronti degli zingari e dei viaggianti derivano proprio dalla violazione dei diritti inderogabili e dal mancato riconoscimento del valore della persona.
Quello che è successo in questi anni è chiarito da una circolare del Ministro degli Interni dell'U ottobre 1973, che ricordava ai Prefetti di far rispettare i diritti riconosciuti agli zingari dalla nostra Carta Costituzionale, a cominciare dal diritto di sosta.

Ebbene (e il pensiero rivola all'efficacia delle famose grida manzoniane) il monito prefettizio ha avuto un effetto così determinante che nove anni dopo, e precisamente il 9 giugno 1982, tre deputati hanno presentato in Parlamento un'interrogazione al Ministro degli Interni per sapere quale esito aveva avuto la circolare. Siccome l'interrogazione partiva da un presupposto molto chiaro, gli interpellanti volevano conoscere quali iniziative il Governo intendeva prendere «per tutelare la minoranza etnicolinguistica rom, secondo lo spirito e la lettera dell'art. 6 della Costituzione». L'interrogazione non ha avuto risposta.
L'interpellanza ha smosso le acque, anche se potremo dire «all'italiana»: il Governo ha trasferito il problema alle amministrazioni regionali e queste, spesso e volentieri, a quelle provinciali e comunali. Si è giocato insomma a scaricabarile.
Così una legge della Regione Lazio del 1985 ha sì stanziato per il 1986 un miliardo per la realizzazione di idonei campisosta, ma il miliardo, nel 1990, attende ancora di essere speso, perché, guarda caso, non si è riusciti sino ad oggi a trovare aree libere per la loro costruzione.
Anche la Regione Veneto il 18 agosto dell'84 ha approvato una legge per «interventi a favore della cultura dei rom», e stanziato fondi per la costruzione di campisosta, ma poiché la loro realizzazione è stata lasciata alla buona volontà delle singole amministrazioni comunali, poco o nulla è stato fatto.
Considerato che il problema dei campisosta per i nomadi è di grande importanza, la legge finanziaria per il 1988, all'art. 29, prevede l'erogazione ai comuni di agevolazioni per la realizzazione di aree attrezzate di sosta nomadi.

E un primo impegno dello Stato, al quale non corrisponde un preciso impegno dei comuni, dove le pressioni contrarie a queste realizzazioni a favore dei rom e dei sinti sono molto forti nelle popolazioni residenti.

E quanto accaduto in Toscana, dove, come risposta alla Legge Regionale del marzo 1988 relativa ad «Interventi per la tutela dei rom, per la salvaguardia del loro patrimonio culturale e d'identità, per impedimenti al diritto al nomadismo e alla sosta nel territorio regionale», l'inizio dei lavori per un'area di sosta attrezzata, ha suscitato violente reazioni nei fiorentini; hanno manifestato con un blocco stradale mentre in un'assemblea arrabbiata si gridava «al fuoco» come unica soluzione al problema dei nomadi.

Recentemente molte Regioni hanno promulgato leggi Regionali a tutela dell'etnia rom, quale la Legge Regionale del 2 febbraio 1988 della Sardegna a «Tutela dell'Etnia e della cultura dei nomadi», che promuove interventi diretti per evitare impedimenti ai nomadismo e alla sosta nel territorio della Sardegna, a garantire l'utilizzazione di strutture in difesa della salute e del benessere sociale.

Anche la regione EmiliaRomagna, con la legge 23 novembre 1988, ha stabilito, con lo stanziamento di 2 miliardi per l'esercizio 1988, di tutelare le tradizioni culturali, le forme espressive, le produzioni artistiche ed artigianali dei nomadi e di provvedere alla realizzazione nei comuni, singoli o associati, di aree di sosta e di transito dotate di opere di urbanizzazione primaria, di servizi igienici, lavanderia, contenitori per rifiuti solidi e addirittura di verde pubblico attrezzato ad aree giochi per i bambini.

Le buone intenzioni ci sono, ma la mentalità della gente non è cambiata; questa si manifesta in atteggiamenti del tutto negativi che vanno dalla paura al disprezzo, dal rigetto del «benpensante» alla persecuzione razzista. ???

Nel FriuliVenezia Giulia, la regione che, durante l'ultima guerra, ha di più assistito al dramma della popolazione nomade, il 23 settembre 1987 il Consiglio Regionale ha approvato una legge composta da ben 32 articoli «Per la tutela dei valori culturali specifici dei rom». A tal proposito, la Regione, «nel prendere atto del nomadismo e della stanzialità, cercherà di assicurare ai rom l'uso di tutti i servizi atti a garantire l'effettivo esercizio nell'ambito di una più consapevole convivenza».
È chiaro che la realizzazione di questo programma comporta spese. Per questo, l'ultimo articolo della legge prevedeva per il 1987 lo stanziamento di un miliardo e duecento milioni. La sua gestione però, come ha osservato il consigliere regionale Luciano Floramo, relatore della legge, non sarà facile, perché solleciterà radicati pregiudizi, avendo la nostra società una sostanziale dimensione razzista. Il Floramo non si sbagliava e ben presto gli oppositori della legge si sono fatti vivi, nominandolo zingaro «ad honorem».
Naturalmente, quanti hanno a cuore la causa dei popoli nomadi sperano che l'iniziativa del FriuliVenezia Giulia, che ha avuto un seguito a Udine (la prospettata nomina a consigliere, per il principio della rotazione, del gitano Mansueto Levakovich, primo dei non eletti nella Lista dei Verdi nelle elezioni amministrative del 1985), possa avere successo: però gli zingari, abituati da sempre a «sopportare la persecuzione come il cattivo tempo», non si fanno troppe illusioni.
Nonostante si siano costituiti in varie città movimenti e associazioni a favore dei nomadi, l'opinione pubblica, che ha in genere idee superficiali e sbagliate sulle loro tradizioni e sull'attaccamento alla loro etnia, e poco o nulla sa del genocidio cui essi furono sottoposti durante l'ultima guerra è sostanzialmente avversa a questi eterni pellegrini e dimostra il rifiuto del «diverso» e di chi non appartiene alla nostra cultura.

Ne è ulteriore prova il caso clamoroso che, nel dicembre del 1987, ha portato in tribunale lo scrittore Umberto Eco, querelato da cinque dirigenti del Msi di Bologna, per la sua veemente denuncia antirazzista pubblicata sul settimanale L'espresso del 12 aprile 1987 dal titolo Ammazza l'ebreo!, a seguito di un ignobile manifesto affisso sui muri attorno all'Università di Bologna da tre studenti iscritti al Fronte della gioventù di Cesena e che invocava: «Cannibali, beduini, rabbini, fuori dall'Italia!».

Il manifesto raffigurava i tre raggruppamenti etnici nelle forme più vergognosamente razzistiche: l'africano con l'anello al naso e il cartellino dell'aids appeso al collo, l'arabo armato di bomba e coltello, l'ebreo con i dollari in tasca e uno scarpone nazista che lo schiaccia, a dimostrazione che sul tradizionale ceppo antisemita sono stati innestati nuovi bersagli di intolleranza per chi è diverso da noi, sia esso il povero immigrato dal Terzo mondo, sia esso lo zingaro.
Il missionarismo cattolico in favore dei nomadi ha trovato un impulso particolare nell'incontro tra Paolo VI e i pellegrini nomadi convenuti a Pomezia nel settembre 1965. In quell'occasione Paolo VI li chiamò «pellegrini perpetui, esuli volontari, profughi sempre in cammino, viandanti senza riposo, da secoli in marcia e ancora senza una meta dove arrivare e dove rimanere».

Nel 1967 lo stesso papa ha istituito 1'Opus Apostolatum Nomadum, organismo facente capo alla Sacra Congregazione per i vescovi.
Anche la realtà degli zingari si presenta per ogni cristiano e per la Chiesa come «un appello alla coscienza e un'esigenza di operare per porre rimedio alla situazione».

E vero, sentimenti di pietà e di costernazione sorgono spontanei nell'opinione pubblica quando si verificano casi clamorosi come quelli della zingarella morta di freddo e di inedia nel febbraio dell'88 alla periferia di Cagliari, in uno dei soliti campi privi di tutto, il cui corpicino fu straziato da topi famelici.
Oppure ci si commuove per i due bambini, Elvis Halilovic di dieci mesi e Mohamed Cizmic di quattro anni, bruciati vivi nel tragico rogo delle misere «roulotte» nel mese di marzo '88, a distanza di pochi giorni; o per il caso della 0iccola Amela di 36 giorni, morta per le esalazioni di una stufa a carbone nella roulotte; o ancora, della piccola Isabella morta di freddo la vigilia di Natale: «per un bimbo che nasce in una stalla, uno è morto in una roulotte!».

Purtroppo le morti di piccoli zingari per infezioni, freddo, malnutrimento o malattie che colpiscono un organismo, debilitato, sono molto frequenti.
Spenta l'eco di drammi, che hanno dell'inverosimile in una società opulenta e sprecona come la nostra, dopo qualche giorno la pietà lascia il posto al solito atteggiamento di rifiuto, di emarginazione e perfino di razzismo.
«Siamo come l'erba che si piega al vento per rizzarsi quando la tempesta è passata», dice un proverbio zingaro, che sottolinea la capacità di resistenza e di adattamento del popolo nomade.

Essere zingaro non è un delitto, ma un diritto che ognuno è tenuto a rispettare.
Non servono ulteriori parole a ricordare il diritto all'esistenza del popolo nomade; dovrebbe essere sufficiente l'appello alla comprensione rivolto a noi «gagi» dal già menzionato Levakovich, che echeggia il lamento secolare della sua gente:
«Noi viviamo in ghetti dove non abbiamo né spazio, né luce, né acqua; dove non c'è disinfestazione; dove i bambini vengono morsicati dai topi; dove c'è l'epatite virale.
Voi che seguite il nostro cammino predicando amore e pace, ma non sapete cosa sono, noi rom siamo umiliati e perseguitati, bastonati, scacciati, stanchi e affamati.
Vi supplichiamo: fermatevi».
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 3:36 pm

No me sovien pì ki ke xe ła fonte:
Forse ła xe coesta ?
Da on libro scrito da Annamaria Masserini nata nel 1956 in provinsa de Berghem, laoreà in psicologia a Padoa e spesałixà in mediçina psicosomatega.
dal titolo “STORIA DEI NOMADI”


IL POPOLO SENZA TERRA

Gli zingari non hanno né nazione né Stato.
Nomadi, ma soprattutto gelosi della propria diversità.
Forse possono essere un modello per la società globale del futuro

Yul Brynner, il calvo tenebroso di Hollywood, era uno zingaro.
Così come era una zingara la madre di Rita Hayworth.
Sangue zingaro scorreva probabilmente nelle vene del dittatore romeno Ceaucescu, e c'è chi dice che fosse zingaro lo stesso leader socialista spagnolo Felipe Gonzales.
Ci sono zingari in ogni ceto sociale.
Questo popolo conta in Europa tra i 10 e i 12 milioni di individui; nel mondo oltre 20 milioni; forse 40.
Sui dati c'è incertezza. Incertezza che deriva sia da dubbi sulla correttezza e legittimità di includere una parte della popolazione del Punjab indiano, sia dall'essere, gli zingari, tra i popoli meno oggetto di studio e di attenzione accademica. Le tesi di laurea assegnate in materia nelle facoltà universitarie di Sociologia o Antropologia, Diritto o Storia, possono contarsi sulle dita di pochissime mani.
Eppure il popolo zingaro è più numeroso di quello ungherese o ceco, olandese o portoghese.

Zingari, Gitani, Boemi, Egizi...

Zingari, Gitani, Boemi, Egizi. Denominazioni in quantità hanno designato un popolo atipico, da sempre diverso: il popolo degli zingari, che nella loro lingua, il romanes, si chiamano Rom. Le prime testimonianze della loro presenza in Europa risalgono al XVI e al XVII secolo. Tra loro sono presenti una infinità di culti: ci sono zingari cattolici, protestanti, musulmani, ortodossi e di altre religioni. Per necessità o per apertura, questo popolo ha spesso abbracciato i culti delle comunità all'interno delle quali si trovava ad essere minoranza, mantenendo comunque riti religiosi palesemente simili, anche se praticati da musulmani o da cattolici. Lo stesso vale per il linguaggio: questo popolo ha sempre assorbito molte delle lingue prevalenti nelle zone in cui transitava o si insediava. Sono stati contati almeno 600 dialetti romanes strutturati, anche se tutti questi idiomi conservano una radice comune per il fatto di essere dialetti romanes.
Razza inferiore, e magari pericolosa, quella degli zingari. Perseguitata dal Nazismo al costo di oltre mezzo milione di vittime, in un olocausto rimosso forse come nessun altro massacro della storia recente. Ladri, sporchi, pigri, inaffidabili, pericolosi. Peggio: tanto diversi da destare curiosità culturali e trasporti tanto solidali quanto caduchi. Individualisti e refrattari alle leggi delle etnie maggioritarie, o, per i più benigni, gente da comprendere, per l'impossibilità culturale di piegarsi a modelli organizzativi sociali incomprensibili. Una razzaccia. E per di più ignota, ignorata, indecifrabile. Un popolo caduto nella delinquenza dacché i cavalli hanno smesso di essere la principale forza motrice, lasciando disoccupati i mitici maniscalchi Rom; e dacché i bianchi hanno cominciato a sostituire le pentole di rame con quelle d'allumino, piuttosto che affidare quelle rotte al ramaio zingaro.

La loro diversità è reale

Se nel mondo varie etnie sono scomparse, lasciando soltanto in qualche caso testimonianze, magari confinate in qualche museo specializzato, i Rom non stanno scomparendo affatto. Anzi, alla ridottissima prolificità dei bianchi, quella zingara è decisamente in controtendenza. La minaccia proviene da altrove. La minaccia mortale per gli Zingari e per la loro cultura proviene oggi, probabilmente, dalle malintese volontà assistenziali e caritative degli angeli della conservazione delle culture in via di estinzione.
Le culture e le tradizioni zingare sono state capaci di superare le minacce più tremende: tremende per la loro continuità, perché coniugate a un diffusissimo rifiuto che nei secoli è quasi diventato fisiologico, soprattutto nella società europea.
Addebitare questo alla maledizione che si vuole sia piombata sugli zingari per essere stati, alcuni di loro, i fabbri che forgiarono i chiodi che trafissero le mani e i piedi di Cristo, è argomento che non vale probabilmente già da qualche secolo.
La diversità degli zingari è. Reale, perché è in qualche modo congenita. Il popolo Rom è ovunque nel mondo, e gli stessi Rom non sanno da dove vengono. Sembra ormai certo che si mossero dal Punjab verso occidente per ragioni sulle quali esistono soltanto ipotesi. Ma questa è nozione nemmeno del tutto certa e soprattutto elaborata da altri, non dai Rom.
Non appartiene alla consapevolezza degli zingari, che l'hanno appresa da altri.

Il mistero delle origini

La tradizione e la cultura zingara sono rigorosamente orali, e si trasmettono attraverso le generazioni, spesso con sorprendente fedelà. Ma non appartiene alla consapevolezza dei Rom la certezza delle origini; e questa incertezza, per alcuni, è già diversità, per altri mistero. Come è in gran parte misteriosa, per ottiche diverse da quelle zingare, come possa essersi mantenuta in vita una identità marcata e inequivocabilmente nazionale di popolo, pur in presenza di due fattori fondamentali che avrebbero dovuto produrre tutt'altro che una conservata e consapevole identità nazionale: una tendenza spiccatissima alla aggregazione in piccoli gruppi, spesso familiari, e una disseminazione estesissima, che ha provocato una proliferazione di dialetti, molti dei quali quasi del tutto inadeguati a consentire la comunicazione. Uno zingaro che vive in Andalusia non comprende e non sa farsi comprendere da uno zingaro slavo. E anche i tentativi, che alcuni leader Rom stanno conducendo da anni, di ricostruire o costruire una koiné romanes rimangono per ora affare di minoranze acculturate.

Nomadismo e inurbazione

Per evitare cadute in luoghi comuni va però detta una cosa cruciale. Tra i milioni di Rom, coloro che mantengono quello che è il connotato più palese del costume zingaro - il nomadismo - sono ormai una minoranza. Quanto è avvenuto negli ultimi decenni nei paesi retti fino alla fine del decennio scorso dai regimi comunisti - che hanno forzosamente inurbato e sedentarizzato i Rom - nonè un fatto isolato, e questo ha fatto sì che la pratica del nomadismo sia di fatto scomparsa per una fetta maggioritaria degli Zingari anche nel resto del mondo.

Anche in aree geografiche in cui la cultura Rom ha donato ai popoli ospitanti niente di meno che l'espressione culturale più caratteristica (basti pensare al flamenco, che è assolutamente e totalmente zingaro), danza e musica non sono le uniche occupazioni delle popolazioni Rom. E' certamente vero - almeno secondo il parere di chi scrive - che non vi sia socialità più divertente e profonda, comunicazione più piena e leggera e viva di quelle che si possono incontrare in una festa zingara; ma i Rom non sono soltanto violini, o circhi - anche se le grandi famiglie circensi sono in buona parte zingare.

Un popolo così non ha confini, né potrebbe averne sviluppato il senso. Non è questione di nomadismo, però. Molti Rom guardano ormai con diffidenza alla sensibilità - puntualmente ed esclusivamente "gagé" (gagé è la parola Rom che indica i" non zingari") - nei confronti della scomparsa, progressiva e inesorabile, dello zingaro nomade. A ben guardare, se si vede la cosa da un punto di vista non etnico, molte professioni spingono persone di svariate etnie e nazionalità a esistenze assai più nomadi di quella dello zingaro nomade medio. E la conservazione forzosa del nomadismo, magari aiutata da protettivi e magnanimi gagè, non contribuisce che alla staticità di quello che è invece un problema serio, che riguarda persone, più che esseri da studiare o da vezzeggiare per lenire fondati sensi di colpa.
Nel corso dei secoli non sono mancate le popolazioni Rom che hanno conquistato e ottenuto, grazie alla eccellenza di alcuni individui della tribù in alcune arti, di godere di privilegi da parte di qualche governante o signore locale, presso il quale si sono fermati per anni o per sempre.
Ma oggi in causa è ben altro che la conquista di tolleranza o di benefici caduchi.

Oltre i confini degli altri

La nazione Rom è il popolo dei confini, oltre i confini degli altri.
Non è vero che i Rom siano refrattari ai confini; molto più semplicemente non vivono, se non per subirli, i confini degli altri.
Ma la società zingara è piena di barriere interne, tra famiglie e tribù, come ogni altro consesso umano.
Forse un po' di più, se è vero che l'associazionismo zingaro conta un numero di presidenti di associazione o gruppo organizzato decisamente sproporzionato.
In anni molto recenti, in uno dei paesi usciti dal comunismo e con una presenza ragguardevole di individui Rom (che trovarono nel breve periodo di entusiasmo democratico succeduto alla caduta del Muro una certa agibilità sociale) alcuni esponenti politici Rom di prestigio e di notevole e vasta cultura proposero un emendamento alla legge sulla violenza sessuale che stava discutendosi in Parlamento. Il disegno di legge introduceva nella legislazione del paese il concetto di violenza presunta per i ragazzi inferiori ai 14 anni - principio da tempo considerato baluardo di civiltà e di progresso. Per le ragazze zingare non andava posto quel limite a 14 anni ma a 12, stante la asserita precocità sessuale delle giovani Rom. E' soltanto un esempio. Ma vale una riflessione. Consentire il rispetto e la pratica della cultura propria di un popolo, di un'etnia (si parli di precocità sessuale o delle pratiche di infibulazione, il discorso non cambia) ha un limite?
E chi pone quel limite?
L'etnia dominante, la cultura dominante e vincente?
I diritti umani, la loro affermazione e difesa impongono di attenersi a canoni e principi assoluti, si dirà, e tra questi vi sono il divieto nettissimo di mettere le mani su una bambina.
Eppure nel novero dei diritti umani primissimo ruolo rivestono quelli alla autodeterminazione dei popoli, che, vivaddio, includono eccome quello a determinare da sé le regole di convivenza interne al popolo.
E allora? Probabilmente il problema del mondo di oggi è in primo luogo in un difetto di rappresentanza delle persone, degli individui, piuttosto che di quello o quell'altro popolo, o nazione.
La logica per cui tradizioni e costumi vanno conservati ad ogni costo, è logica propria e tipica dei popoli dominanti (come, all'interno degli stati, è logica tipica dei ceti dominanti). I tuoi modi di essere e la tua etica è così interessante, esotica, affascinante... finché non supera certi limiti, anche questi imposti e posti dai dominanti.
Non può più essere il popolo, la nazione, l'etnia il portatore e il soggetto dei diritti alla cultura e all'identità. L'identità e il diritto al rispetto di quella è connotato dell'individuo, portatore di lingua e caratteri etnici, di cultura e tradizioni.
Occorre spezzare la logica delle appartenenze etniche come connesse alle regole, che appartengono al consesso umano a prescindere dalla etnia e dalla cultura, ma di queste sono sintesi, perché sintesi delle volontà degli individui secondo criteri da tutti accolti e voluti.

Il mondo globalizzato dei Rom

Dagli Zingari viene una chance per gli altri abitanti del pianeta. Un popolo, una nazione, senza terra, e che terra non rivendica. Non ha nulla a che fare con i confini stabiliti da altri, ma tiene con cura e forza alla propria diversità e unicità. Il mondo globalizzato è il mondo degli zingari, potrà dirsi con felice ancorché facile banalità. In verità la stessa vicenda anche attuale dei Rom impone e pone in discussione un concetto che l'intera umanità si trova oggi a dovere superare, quello della identità tra stato e nazione.
Concetto sul cui altare milioni di vite sono state sacrificate.
In fondo, il razzismo è più evidente e odioso quando si esprime attraverso la volontà di far coincidere uno stato con una popolazione etnicamente omogenea.
E gli zingari rompono proprio questo: la certezza più sedimentata e dannosa della cultura tuttora prevalente e dominante. ???
Ai Rom non serve altro che la consapevolezza di rappresentare l'alternativa oggi necessaria alla forma dello stato attuale.
E poi consentiranno a tutti un passo in avanti forse senza precedenti.

Rom e Sinti

Gli zingari chiamano se stessi Rom 'uomo', che significa anche 'marito' (plurale Roma). 'Donna' è romnì (plurale romnià). Tutti i non zingari sono gagé (sing. m. gagiò, f. gagi) o gagi (sing. m. gagio, f. gagi). La divisione in gruppi o sottogruppi è intricatissima. Si individua una prima principale divisione tra Sinti e Rom. E sono soprattutto i Sinti quelli presenti in Italia e qui stabilitisi da ormai più di cinquecento anni.
Rom e Sinti in Italia.

Chi sono, quanti sono
In Italia ci sono, al momento circa 100.000 zingari. Circa 70.000 di cittadinanza italiana, e circa 30.000 di provenienza Jugoslava. Di questi ultimi un buon numero arrivò in Italia a seguito della Seconda Guerra Mondiale, dalla Croazia di lingua italiana; la maggior parte tra fine anni '60 e inizio '70, buona parte in seguito al terribile terremoto che devastò la Macedonia (Skoplije) dove numerosi zingari erano ormai sedentarizzati. gli ultimi sono arrivati a partire dal 1987, e soprattutto a seguito della guerra nella ex Jugoslavia dalla Bosnia e dal Kossovo.

I gruppi principali di questi Rom non italiani sono:

- Khorakhané (amanti del corano) Shiftarija (albanesi). Sono mussulmani, provenienti soprattutto dal Kossovo, la regione della ex Jugoslavia a maggioranza etnica albanese, ma anche dalla Macedonia e dal Montenegro.
- Khorakhané Crna Gora (Montenegro) sono i principali conservatori della tradizione della lavorazione del rame.
- Khorakhané Cergarija ("quelli delle tende") provengono dalla Bosnia (Sarajevo, Mostar, Vlassenica, nomi oggi tristemente noti).
- Kanjarja cristiano-ortodossi. Provengono perlopiù da Serbia e Macedonia.
- Rudari (intagliatori), cristiani ortodossi. Parlano il rumeno. Apprendono il romanés per frequentazione di altri gruppi Rom. Provengono perlopiù dalla Serbia.
- Lovara (gli allevatori di cavalli) e Kaloperi ("piedi neri") sono piccoli gruppi, questi ultimi mussulmani e provenienti dalla Bosnia.
- Gagikane, cristiani ortodossi. Provengono perlopiù dalla Serbia.
Tra i gruppi zingari stabilmente in Italia, di cittadinanza italiana:
i Sinti rappresentano il gruppo di gran lunga maggioritario. Sono i giostrai, quelli dello spettacolo ambulante, dei piccoli e dei grandi circhi, acrobati, giocolieri e musicanti; ma tra loro c'erano anche gli allevatori di cavalli. Articolata è anche la suddivisione all'interno dei Sinti in numerosi gruppi.
Ma esistono anche vari gruppi Rom individuati in base alla provenienza o al luogo di stanziamento:
Rom Abruzzesi, Calabresi, Ungheresi, Lovara e ancora gruppi minori.

Provenienza e lingua

La loro provenienza dall'India è un dato ormai da tempo incontestabile. Da qui si mossero attorno al Mille d. ch. probabilmente premuti dall'espansione islamica, o forse per una grave carestia. Si sostiene che da sempre i loro mestieri tradizionali fossero quelli di giocolieri, musicisti da piazza, calderai, mercanti di cavalli, indoratori, attività che, attualmente, solo in parte conservano. In Italia, in particolare, il circo e le giostre sono ancora chiaramente caratterizzate dalla presenza degli zingari (famiglia Orfei, Togni, ecc). Ma ormai, allo spettacolo itinerante, ai luna park, sono interessati anche grandi gruppi economici che con i loro potenti mezzi sempre più escludono ed emarginano le modeste giostre dei Sinti.
La loro lunga migrazione attraverso l'Asia e l'Europa si svolse con una lunga sosta in Persia (forse due secoli) e nell'Impero bizantino come testimoniano i numerosi tratti che dalle lingue di questi paesi acquisì la loro lingua: il Romanés. Ancora oggi, comunque, il Romanés è riconoscibile come l'evoluzione di una delle tante lingue parlate in India e che ha come pariente più illustre il Sanscrito. Una lingua - il Romanés - che ha dell'incredibile quanto ad evoluzione e conservativismo allo stesso tempo. Non c'è territorio di stanziamento da cui non abbia accolto elementi e allo stesso tempo - qui sta l'incredibile - si è mantenuta una buona intercomprensione tra i diversi gruppi stanziatisi in territori lontanissimi. Un Rom cergario della Bosnia non avrà seri problemi di comunicazione con un Rom abruzzese.

Zingari, Gitani, Gypsies, Gitanos, Zigeuner
A quanto pare fu nei paesi di lingua greca che venne loro attribuito il nome di atsingani da cui derivano l'italiano 'zingari', il francese 'tsiganes' e il tedesco 'Zigeuner', mentre a una supposta provenienza dall'Egitto accreditata in altri tempi dagli zingari stessi, si rifanno le designazioni di 'gitanos' in spagnolo e 'gypsies' in inglese

La parola Zingaro viene dal greco Athìnganoi
(che indicava gli esponenti di una setta eretica perseguitata). ???

In Italia gli stessi zingari si chiamano con due nomi: ROM (centro e sud) e SINTI (nord), il cui significato è "uomini", contrapposto a GAGGIO' (i "non-uomini", cioè gli stranieri, ma significa anche sempliciotti, paurosi). I Rom considerano i Sinti "gagè" perché il sistema di vita di ques'ultimi è basato sul viaggiare e sullo spostarsi continuamente, mentre i Rom sono più sedentari.

Breve storia

Le prime ondate migratorie partirono dall'India nord-occidentale . La diaspora totale fu determinata dall'espansione dell'Islam, che giunse fino al Punjab, zona d'origine dell'emigrazione. I Sinti sono originari del Rajastan (India del nord), i Rom invece sono del centro dell'India. In Europa i gitani sono sicuramente presenti dalla fine del 1300.
In Italia un primo gruppo è segnalato nel 1422. Il loro nomadismo è sempre stato sopportato malvolentieri in Europa occidentale. Non è mai stato fatto un conto di quanti zingari sono stati impiccati, bruciati e torturati con l'accusa di stregoneria in Europa. Le persecuzioni raggiungono il culmine con il nazismo: mezzo milione di zingari sono morti nei lager.
A Norimberga non vengono ascoltati come testimoni: si rifiuta loro il pagamento dei danni di guerra. Oggi in Italia ci sono da 60.000 a 90.000 zingari. Il nucleo maggiore è costituito dai SINTI. Di questi circa 25.000 vivono nei campi-nomadi; gli altri sono sedentari in case fisse. (Molti sono italiani nati ad Istria).
L'altro gruppo importante è quello dei ROM jugoslavi, ultimi arrivati: non sono più di 10-12.000 persone, tutti insediati nei campi.
Gli zingari slavi si dividono in due gruppi: Daxikané e Karakhané (quest'ultimi di religione musulmana). I Daxikhané (Montenegro) sono mal visti sia dai SINTI che dai Karakhané (Bosnia). Nella società contadina avevano un loro ruolo: allevavano e vendevano cavalli, aggiustavano le pentole, lavoravano i metalli, suonavano alle fiere, facevano i burattinai. I ROM, 30 anni fa, non finivano mai in carcere. Ora le esigenze della società sono aumentate e le loro possibilità sono diminuite. I SINTI vendono articoli di merceria porta a porta; i ROM karakhanè sono artigiani del rame e leggono la mano.

Tradizioni e lingua

Tra i ROM le vedove non si risposano. Le donne non si prostituiscono, pena l'allontanamento definitivo dal clan. Le donne che portano un fazzoletto al capo sono musulmane. Il nome ai neonati viene dato dagli anziani. L'anziano è molto rispettato, perché è soprattutto lui che conserva la memoria delle tradizioni. Non ci sono zingari negli ospizi, non abbandonano mai i loro figli. la fisarmonica è uno degli strumenti più usati e diffusi.Il fuoco è il punto di ritrovo per giovani e anziani.
La loro lingua è antichissima, molto vicina al sanscrito. Molti linguisti sostengono che vi siano delle affinità con le parlate della Persia e dell'Indostan. Ecco alcune loro parole: Gentili (italiani); Gentilini (bambini italiani). Signòm ni rom : Sono un uomo. Diavolo (beng), Dio (del, murdivéle), Casa (khar), Fame (bokh), Donna (zuvlì, giuvéle), Figlia (sej, ciaj), Figlio (sav, ciavò), Madre (dej), Moglie (romnì), Padre (dad, tatà), Notte (rjat), Fidanzato (piramnò, burò), Predire la sorte (drabar), Vino (mol), Canto (gilì), Acqua (paj, panì).
Nelle canzoni e nelle poesie, che vengono anche ballate, si parla quasi sempre della loro terra, dove i fiumi sono puliti, i boschi verdi e dove si è sempre allegri,altro leit motiv è il concetto di libertà.

Problemi

Istruzione: il 97% dei bambini zingari non frequenta la scuola dell'obbligo e gli zingari adulti sono per lo più analfabeti. Eppure il 75% di essi sono cittadini italiani, o per nascita, o perché alla fine della II Guerra Mondiale vivevano ai confini e scelsero l'Italia come patria. Per i bambini zingari, l'italiano è la terza lingua, dopo quella materna (il romanes o il sinto) e il dialetto locale. A scuola facilmente vengono considerati come disadattati sociali e anche mentali.
Servizi igienico-sanitari all'interno dei campi: la loro sporcizia dipende anche dalla cronica mancanza di acqua nei campi, che dovrebbero disporre di docce e gabinetti. A causa delle molte malattie, dovute anche al feddo, la vita media non supera i 50 anni. Illuminazione (l'energia elettrica permetterebbe di utilizzare sistemi di riscaldamento meno rischiosi: piccoli braceri o stufette a gas, che a volte causano l'incendio della roulotte), cassonetti per rifiuti, vasche per il bucato.
Lavoro: non riescono più a fare lavori dignitosi o comunque remunerativi.
Non possono praticare il commercio ambulante, perché vengono considerati come stranieri.
Molti bambini vendono fiori, fazzoletti ai semafori o puliscono i vetri delle macchine.
Chiedere la carità è diventato il lavoro delle donne. Il lavoro col ferrovecchio non rende più e gli oggetti di rame non li compra più nessuno, se non qualche turista d'estate.

Visti d'ingresso, passaporti
Spesso ci si dimentica che questi gruppi sono apolidi e che quindi non ha senso rimpatriarli nella ex-Jugoslavia.

Aree di sosta sono poche:
una cinquantina in tutta Italia. Si tratta per lo più di fangose baraccopoli, frequentate da topi, col pericolo di epidemie. Gli stessi campi-sosta sono troppo grandi: ammassano 300-500 persone (sembrano dei ghetti).
Emarginazione: per gli agricoltori sono nomadi senza terra; per i cittadini, dei marginali di periferia; per gli operai, degli oziosi e per tutti, degli uomini senza fede e senza legge.
Il solo zingaro accettato è quello bello, artista, simbolo della libertà e del folclore, cioè quello che non esiste.
Rifiutano l'accusa di vagabondaggio, perché il loro è un nomadismo, che è un diritto riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'ONU ed è previsto dalla nostra Costituzione.
Lo stesso Consiglio d'Europa dice che deve essere facilitato l'insediamento in abitazioni appropriate per i nomadi che lo desiderano.
A Roma esistono 50 comunità zingare: rom abruzzesi e napoletani, camminanti siciliani, sinti giostrai, rom kalderasha, rom slavi. Vivono in case popolari o roulotte.
Prima degli anni '70 commerciavano cavalli, facevano i maniscalchi, le donne leggevano il futuro o vendevano chincaglieria.
Alcuni fabbricavano pentole di rame, altri erano indoratori o giostrai.
Con l'espansione edilizia degli anni '70 i campi-nomadi sono stati requisiti.
A Roma i nomadi sono 3000, sono sempre stati 3000, ma ora si parla di "problema nomadi".
Generalmente nei campi dove vivono non ci sono servizi.
Alcune ragazze frequentano corsi di taglio e cucito.


Dal vecio sito de Toni el singano mediator o sensal coultural (Roma)

Immagine
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... 2/tony.gif

Zingaro, chi sei?

Un popolo in diaspora, perseguitato e violentato, che ha forti tradizioni letterarie e artistiche
Oggi molti sono sedentari, studiano o lavorano.
Ma i più poveri sono costretti ai campi.

E' certamente un popolo strano quello che non ha un verbo per tradurre il termine «avere», che designa il ieri e il domani con la stessa parola, un popolo senza patria e senza guerre.
E' un popolo, quello degli zingari, che suscita, dovunque si presenti, fortissime reazioni: di benigna curiosità o di categorico rifiuto.
Zingaro barone - o zingaro di strada?
Non c'è al mondo un altro popolo attorno al quale opinioni e giudizi si dividano come attorno agli zingari. Mitizzati e invidiati dagli uni, vengono disprezzati e perseguitati dagli altri, per cui è sempre difficile distinguere la verità dall'invenzione, la realtà dalla romanticizzazione o dallo spregio.
Per tanta divergenza di opinioni c'è, probabilmente, una spiegazione: il non conoscere gli zingari, il non sapere niente della loro origine, della loro storia, della loro vita.
Chi sei? da dove vieni? sono domande che gli zingari stessi si sono poste raramente. Esistono.
Esistono oggi. Il passato e il futuro sono la stessa cosa: sono taissa, sono «ieri» e «domani» espressi con la stessa parola. Interessa solo il giorno presente. Vivono oggi, mangiano oggi, si divertono oggi, piangono oggi. Lo ieri è ormai passato e dimenticato, il domani si vedrà.
E' una mentalità fatalista dovuta sicuramente alle origini orientali degli zingari. Le similitudini linguistiche con il sanscrito. Per secoli erano state formulate le teorie più fantasiose sull'origine degli zingari, quando nell'Ottocento alcuni linguisti cominciarono ad osservare notevoli similitudini tra la lingua zingara e il sanscrito. Basti citare qualche esempio: la parola zingara kalo «nero» deriva dal sanscrito kala, rat «sangue» da rakta, rup «argento» da rupya, bal «capelli» da vala. E si potrebbero trovare molte altre similitudini, anche con dialetti dell'odierna India nord-occidentale e del Pakistan. Partendo dalla linguistica, si è potuto concludere che la terra d'origine degli zingari sia l'India.
Si presume che attorno all'anno 1000, ma forse anche prima, abbiano cominciato il loro lungo viaggio verso occidente, per motivi finora mai chiariti. Prestiti linguistici, raccolti «per strada» e tuttora presente nel romanes, cioè nella lingua degli zingari, ci permettono di seguire la loro rotta di viaggio: attraverso l'Afghanistan, l'Iran, l'Armenia, la Turchia e la Grecia giunsero ai Balcani, per apparire in Italia ai primi anni del Quattrocento. Non passarono inosservati: la pelle scura, i vestiti sgargianti di foggia orientale li rendevano «diversi» fin dalla prima comparsa in Europa. Per essere accolti si dichiaravano pellegrini, per guadagnarsi da vivere facevano gli indovini, lavoravano il rame e l'argento, addestravano orsi per farli ballare in strada, si esibivano come musicisti ambulanti. E viaggiavano, viaggiavano sempre: per scelta e «vocazione» - oppure perché non fu mai permesso loro di fermarsi, perché furono sempre cacciati?

Una storia di persecuzioni

La storia degli zingari, infatti, è una storia di scontri continui con la società non-zingara, maggioritaria, che ha opposto e oppone a loro, gli eterni «altri», divieti, proibizioni e rifiuti.
A cominciare dal XVI secolo gli zingari furono, assieme agli ebrei, espulsi e perseguitati dai grandi stati nazionali che si stavano formando, perché considerati, nella loro «diversità», elementi di disturbo nella unificazione e nel senso di unità dei popoli. In certe epoche gli zingari potevano essere uccisi impunemente, in Romania furono schiavizzati per 400 anni (fino ad oltre la metà del secolo scorso).
Ma nessuna persecuzione fu così sistematica come quella nazista quando nei campi di concentramento tedeschi morirono mezzo milione e forse più di zingari: a Dachau e a Ravensbrück, dove donne e bambine zingare furono sterilizzate, a Auschwitz-Birkenau, dove fu tenuto un libro che riporta, annotati con incredibile acribia, i nomi di 20.946 zingari, a Natzweiler-Struthof, nell'Alsazia francese, dove furono sottoposti a vari e mortali esperimenti medici, a Buchenwald da dove furono ceduti alle grandi società farmaceutiche per 170 marchi per «capo»: un olocausto troppo spesso dimenticato.
Secondo le stime, in Europa vivono oggi dai nove ai dieci milioni di zingari (sono sette-otto milioni nei paesi dell'Europa orientale), in Italia 110.000-120.000, di cui la maggioranza è di cittadinanza italiana.
Quelli presenti da secoli nel nostro paese si dividono in due gruppi principali: i Sinti e i Rom, distinti tra di loro per dialetto, usanze, caratteristiche somatiche, occupazione.

I rom artigiani-commercianti,i sinti artisti di strada ???

Mentre i Rom (che di prevalenza si trovano al centro e al sud dell'Italia) sono abilissimi artigiani del rame e commercianti, una volta di cavalli, ora di macchine, i Sinti erano da sempre dediti allo spettacolo di strada, ai circhi (sono di origine sinta le grandi famiglie di circensi come gli Orfei e i Togni), alla musica. Le tracce del cammino millenario si trovano anche nella musica zingara che ha una forte, evidente matrice orientale - ma che «zingara» non è. I musicanti zingari hanno da sempre dimostrato grande abilità nella reinterpretazione della musica dei luoghi in cui si trovavano, assorbendone gli elementi più tipici. Il risultato è una musica dall'identità inconfondibile, attraverso la quale gli zingari riescono ad esprimere meglio di altri tutta la scala dei sentimenti, dalla profonda tristezza alla più sfrenata allegria. La musica ha fatto sì che gli zingari, nel corso dei secoli, si siano trovati in situazioni paradosse: mentre i musicisti, virtuosi nati e bravissimi interpreti (basti pensare all'immagine, stereotipizzata, del focoso violinista tzigano!), erano richiesti alle corti europee, il popolo zingaro veniva maltrattato e bandito dai paesi. I musicisti zingari invece dovevano divertire, distrarre: nelle feste popolari come ai matrimoni, nei balli di corte, nei reclutamenti di piazza come nelle marce verso i forni crematori dei campi di annientamento nazisti.
La tradizione letteraria
E' facile trovare nella letteratura colta figure di zingari: la «Gitanilla» di Cervantes e la «Carmen» di Prosper Mérimée sono solo due degli esempi più famosi del passato. Nel nostro secolo è Federico Garcia Lorca che, con il «Romancero gitano» e il «Poema del cante jondo», dà voce e corpo agli zingari. Fino a poco tempo fa era invece raro, se non impossibile, incontrare tra i Sinti e i Rom autori di testi letterari. Da quando però gli zingari - o meglio: una ristrettissima élite tra di loro - hanno cominciato a confrontarsi con il mondo dei gage (come sono chiamati da loro i non-zingari), hanno imparato ad usare anche le loro forme di espressione artistica e poetica. Scrivono romanzi e poesie: delle volte in romanes, più spesso però nella lingua del paese che li ospita. Nonostante i tanti tentativi di repressione nei loro confronti, gli zingari sono rimasti fedeli al romanes, che è parlato, seppure con molte varianti dialettali, da quasi tutti gli oltre dodici milioni di zingari nel mondo - come sono rimasti fedeli anche a certe tradizioni e valori culturali di derivazione orientale. Solo qualche esempio: quando una famiglia zingara si sposta, porta con sé per piccola o grande che sia la roulotte - varie bacinelle per usi ben distinti: per lavare il corpo, per lavare i piatti, per lavare la biancheria. Nel passato, i vestiti degli adulti venivano lavati separatamente da quelli dei bambini (e questi preferibilmenti nell'acqua limpida di una sorgente) per evitare contaminazioni: sono precetti di purezza che gli etnologi riconducono all'origine indiana. E quando muore uno zingaro, presso molti gruppi si usa ancora oggi (come vuole anche la tradizione indù) bruciare tutti i suoi beni personali, dai vestiti alla roulotte. Come non esiste un verbo per tradurre il termine «avere» (bisogna comporlo con un «a me è, a te è...), così non esiste eredità. Ogni zingaro deve costruirsi il suo patrimonio da solo, come gli zingari hanno sempre dovuto cominciare daccapo, ogni giorno, dovunque arrivassero dopo viaggi lunghi e faticosi.
Un popolo in diaspora.
Gli zingari sono, come gli ebrei, un popolo in diaspora, senza precisa dislocazione geografica: un popolo senza patria, l'unico popolo del mondo senza patria - e quindi anche l'unico popolo al mondo che non abbia mai combattuto una guerra. Ma come avrebbe potuto svilupparsi il concetto di patria in un popolo continuamente espulso e cacciato? Nemmeno a Saintes-Maries-de-la-Mer, che gli zingari hanno fatto conoscere al mondo con il loro colorato, intenso pellegrinaggio annuale in onore della «loro» Santa Sara, i gitans erano sempre i benvenuti. Fino verso la metà degli anni Trenta (del nostro secolo, non del medioevo!) erano banditi dalla chiesa: potevano assistere alla messa solo dalla piccola cripta, rigorosamente divisi, con cancelli chiusi a chiave, dalla comunità degli «altri» fedeli. E anche oggi, finita la festa del 24 e 25 maggio, devono andarsene al più presto possibile.
In Europa molti diventano sedentari e hanno una casa.
Parecchie cose sono cambiate negli ultimi tempi. Tra gli zingari europei vi sono oggi stimati professionisti, valenti artisti, scrittori e musicisti - e ultimamente anche un santo: il gitano Zeffirino Giménez Malla, detto El Pelé, fucilato nel 1936 in Spagna, è stato beatificato nel 1997 da Papa Giovanni Paolo II. Anche in Italia vi sono molti che, senza negare il loro essere zingari, si sono sedentarizzati, studiano e lavorano. Vivono in modo totalmente diverso da quello, tanto enfatizzato da certa televisione e stampa, dei grandi campi zingari, degradati, disumani e umilianti, alle periferie delle città - campi dove si sono insediati soprattutto gli «ultimi arrivati» e quindi i più poveri: quelli scappati, nel corso degli ultimi decenni, da paesi dell'Europa orientale.
Ma lo zingaro resta un outsider.
Anche oggi, comunque, lo zingaro è ancora un outsider. E' accettato e diverte quando si presenta, con la sua ammiccante furbizia e la sua secolare saggezza, nei film, come nel «Tempo dei gitani» e nel «Gatto bianco, gatto nero» di Emir Kusturica, oppure quando si esibisce, come i Gipsy Kings o i Tekameli, sui grandi palcoscenici.
Ma nella realtà quotidiana rimane tuttora, e solo raramente per propria scelta, fuori dalla società che lo circonda: rimane «alle porte della città»,
come dice Olimpio Cari, zingaro, in una sua poesia.

Alle porte della città /
aspetto un sorriso. /
Tu hai ballato nel bagliore del fuoco, /
con la musica del mio violino, /
ma non hai visto la mia tristezza. /

Alle porte della città /
aspetto una mano. /
Sei venuto nella mia tenda, /
ti sei riscaldato al fuoco, /
ma non hai calmato la mia fame. /

Alle porte della città /
aspetto una parola. /
Hai scritto lunghi libri, /
hai posto mille domande, /
ma non hai aperto la mia anima. /

Alle porte della città /
aspettano con me / molti zingari.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
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Re: El rasixmo dei singani

Messaggioda Berto » sab mar 08, 2014 3:55 pm

No me sovien pì ki ke xe ła fonte:
Forse ła xe coesta ?

Da on libro scrito da Annamaria Masserini nata nel 1956 in provinsa de Berghem, laoreà in psicologia a Padoa e spesałixà in mediçina psicosomatega.

dal titolo “STORIA DEI NOMADI”

IL SIGNIFICATO DI HABITAT PER GLI ZINGARI

SINGANI E DEŁINCOENSA

All'interno di questo quadro di crisi il minore zingaro rappresenta sicuramente l'anello debole: in molte città del nord e del centro Italia infatti i casi di minori zingari coinvolti in attività illecite quali il furto in appartamenti, il borseggio o il furto in grandi magazzini, sono stati in costante aumento per diversi anni; si sono poi stabilizzati su livelli di criminalità generalmente alti, sia per il numero assoluto delle denunce e dei fermi, sia per la percentuale che rappresentano sul totale dei reati riferibili a minori che vengono registrati annualmente dalla singole Procure o Tribunali.
Questo fenomeno costituisce l'espressione di un più vasto stato di disagio, diffuso anche se non generalizzato, nella realtà delle attuali condizioni di vita del popolo Rom.
Il problema del lavoro e della crisi delle attività tradizionali non può non riversare le sue conseguenze anche sui minori: soggetto che aveva sempre ricoperto un ruolo importante nell'economia della famiglia (come del resto accadeva nella nostra società contadina dove i figli lavoravano nei campi con i genitori), il ragazzo diventa oggi in alcuni casi l'unica fonte di reddito del proprio nucleo: insieme alle donne viene mandato a "chiedere" o a "fare gli appartamenti".
A questo bisogna aggiungere i frequenti fenomeni di disgregazione della famiglia zingara, dovuti alle assenze periodiche, alle detenzioni, malattie o decessi delle figure parentali, che nei momenti di crisi consentono più facilmente casi di sfruttamento dei minori.
Parallelamente a tale situazione vediamo che la condizione del minore si aggrava ulteriormente: egli è un soggetto che vive all'interno di una struttura sociale indebolita, nella quale non trova più l'unico elemento di riferimento per costruire la propria identità sociale; si rivolge quindi al mondo esterno, con il quale ha molti contatti (scuola, vita di quartiere, discoteche, mass-media) e ne assimila ed accetta alcuni modelli. Si produce quindi la classica situazione che accompagna ogni fenomeno di immigrazione, quando si perdono i punti di riferimento e le regole del luogo di provenienza senza avere ancora acquisito le regole del nuovo gruppo: si verifica una forte discrepanza tra norme e scopi culturali da una parte e le possibilità strutturate socialmente di agire in conformità a quelli.
Ecco allora che in casi limite il minore rischia di divenire un autoemarginato nella propria società, continuando per altro a rimanere un emarginato dalla società esterna, poichè non ancora in grado di inserirsi in essa: si creano fenomeni di "anomia sociale", che diventano terreno fertile per l'emergere di un nuovo tipo di delinquenza minorile.
Se in questo caso a ragione quindi si può parlare di devianza, come volontario allontanamento dal proprio codice normativo, la stessa definizione non si può utilizzare quando si etichetta come deviante il minore che, rubando o "chiedendo" per le strade, semplicemente si comporta secondo i propri codici; in questi casi il ragazzo non si dissocia dal sistema perchè non ha mai fatto parte di esso.
Nella sua globalità quindi il fenomeno va analizzato secondo diverse modalità di manifestazione: di devianza in senso proprio si può parlare solo quando il minore viola contemporaneamente i registri normativi di entrambe le culture.
Vi sono altre attività, come il furto in appartamenti, il borseggio, il manghel (cioè l'andare a chiedere l'elemosina), la vendita delle rose per le strade e il lavaggio dei vetri ai semafori, che, seppur illegali per l'ordinamento del nostro stato, in molti casi non possono essere definite devianti, perchè rispondono allo stato di necessità in cui molti nuclei si trovano a causa della grave crisi che attraversa il mondo zingaro (slavi non in regola con il permesso di soggiorno, ecc.), e che il minore vive come necessarie per il sostentamento della propria famiglia.
Diversi sono i casi in cui il minore viene effettivamente sfruttato da organizzazioni criminali che lo rendono schiavo (argato) e lo costringono a rubare.
In presenza di queste condizioni non si può attribuire la definizione di devianti o delinquenti ai minori coinvolti, poichè si tratta chiaramente di criminalità degli adulti di cui i minori sono vittime: di conseguenza le risposte giudiziarie non dovrebbero incentrarsi sul minore.
Per ultime rimangono le condizioni di miseria e di pericolo in cui i minori sono spesso costretti a vivere: in tali casi un attivazione dell'autorità giudiziaria minorile e non, non si è mai avuta, e la mancanza di condizioni di vita minime (causate dalla negligenza e dalla trascuratezza delle amministrazioni comunali) e i rischi sanitari ad esse connesse, pare non abbiano stimolato in alcun modo provvedimenti civili nella prevenzione di queste situazioni al di sotto del minimo tollerabile.
Quali sono le risposte in cui il nostro sistema si produce a fronte di questo complesso problema?
Il nuovo processo penale minorile (DPR 448/'88) ha sostanzialmente fallito i propri obiettivi: nato come sistema con importanti finalità rieducative e di recupero adeguate alla personalità e alle esigenze del minore, e caratterizzanto da un'elevata attitudine responsabilizzante e valenza educativa, si è rivelato invece nella pratica applicativa per difetti intrinseci, scarsa permeabilità culturale, impreparazione degli operatori e inadeguatezza delle strutture discriminatorio nei confronti dei più deboli: nomadi, immigrati ed italiani delle fasce deprivilegiate.
Peggiori sono le condizioni del minore, più il processo tende ad irrigidirsi in risposte contenitive e sanzionatorie, secondo logiche di controllo poliziesco, a scapito di un intervento propositivo e di sostegno del minore: è un processo che seleziona i ragazzi a seconda delle opportunità che essi già hanno. Il minore zingaro, a parità di arresti, viene maggiormente convalidato rispetto a quello italiano: in questo modo si conferma e si aggrava la percentuale di accesso al penale dei minori zingari rispetto a quella degli altri minori, la quale a sua volta risulta già ordinariamente più alta rispetto a quella degli adulti. A fronte dei complessi problemi di identificazione, i minori vengono più volte sottoposti a dannosi esami radiologici per determinarne l'età (sistema che pone gravi problemi di legittimità in relazione all'abuso di trattamenti medici su minori), e conseguentemente schedati, subendo un controllo a vista cui nessun altro minore è sottoposto in modo così sistematico e penetrante.
Accade inoltre che, una volta arrestato, sia trattenuto a lungo in Questura o in Polizia, e il fatto stesso che possa trascorrervi la notte senza che venga seguita la prassi dell'immediata comunicazione dell'arresto al Pubblico Ministero e ai Servizi Sociali Minorili, non preoccupa nessuno e non fa sorgere dubbi di legittimità. Le stesse indagini che dovrebbero essere svolte sulla personalità dei minori, si riducono per gli zingari alle risultanze dei precedenti dattiloscopici (fotografia, precedenti ed impronte digitali), che risultano così essere le uniche fonti per la valutazione delle esigenze del minore e per la predisposizione dei conseguenti percorsi giudiziari. La custodia cautelare, in assenza di alternative o della volontà di utilizzarle, viene applicata quasi come una regola, e tutte le misure alternative (quali l'affidamento alla famiglia, le prescrizioni o la comunità) non vengono genericamente utilizzate.
Di più, la modifica legislativa apportata dal D. lvo 12/'91 ha reso più amplia la possibilità di restrizione della libertà personale proprio per quei reati tipici commessi dai minori zingari, e ha eliminato il criterio di facoltatività ad essa collegato. Si è così violato il principio per cui ogni restrizione di libertà per un minorenne dovrebbe essere un fatto assolutamente residuale. La differenza di trattamento si fa più forte per alcuni aspetti specifici: istituti come la messa alla prova sono di difficile applicazione (a cosa dovrebbe essere risocializzato un minore Rom?); sotto il profilo delle garanzie difensive è più raro che un minore zingaro possa fruire dell'assistenza effettiva del genitori; tutti gli strumenti di decarcerazione appaiono di difficoltosa e limitatissima applicazione per questi minori, i quali all'esterno non hanno nè casa nè lavoro; il carcere in particolare, per i Rom ha una funzione di mera retribuzione, e non di cambiamento, poichè, essendo un'istituzione appartenente al gruppo esterno, allontana dalla propria comunità, e risulta quindi priva di contenuti e di attributi: la detenzione viene allora vissuta come un inutile ed improduttivo tempo di latenza. Risposta penale insensata e fine a se stessa, realtà applicativa deformante, provvedimenti legislativi contraddittori, trattamento giudiziario nei fatti discriminante; sostanzialmente le risposte la macchina della giustizia che dà vanno in due differenti direzioni, opposte, ma rispondenti alla medesima politica giudiziaria: si ha infatti da un lato un sostanziale disinteresse per il fenomeno, che porta le singole procure a limitarsi a ricevere le notizie di reato dalla polizia e a "schedare" i minori, per poi ignorarne il destino, nel timore che una piena analisi e presa in carico del fenomeno porterebbe alla paralisi degli uffici e delle strutture giudiziarie; dall'altra invece, si registra un'univocità di risposte penali quando i minori vengono perseguiti e condannati, con modalità e provvedimenti essenzialmente punitivi, utilizzati strumentalmente per dissuadere gli adulti responsabili dall'utilizzo di minori in attività criminali. Se a ciò si aggiunge il sostanziale disinteresse delle pubbliche amministrazioni competenti, un problema vasto e complesso quale quello del fenomeno della criminalità minorile zingara rischia di diventare la cartina al tornasole dell'incapacità del nostro sistema, sociale e giudiziario, di affrontare senza pregiudizi o preclusioni realtà altre e problematiche come questa che sempre più spesso costituiranno il campo di prova della validità del nostro sistema.
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