Non si può fare del bene facendo del male; compiere reati che sono deliti maligni gravissimi, veri e propri crimini e non certo nobili violazioni di leggi ingiuste e disumane è un fare del male e non certo un fare del beneE ora la condanna di Lucano scatena la rissa tra le togheStefano Zurlo
3 ottobre 2021
https://www.ilgiornale.it/news/politica ... 1633236814 L iti fra le toghe. Di più, incomprensioni e frecciate fra magistrati che stanno dalla stessa parte e militano nella sinistra giudiziaria. Il caso Lucano - la condanna pesantissima dell'ex sindaco di Riace - scompone il partito dei giudici e mette in crisi antiche appartenenze.
Luigi D'Alessio, il procuratore di Locri, messo in croce da molte prime fila della politica italiana, si difende sulla Stampa: Mimmo Lucano gli ricorda «il bandito di Giù la testa proclamato capo dei rivoluzionari suo malgrado, idealista, ubriacato da un ruolo più grande di lui, inconsapevole della gravità dei suoi comportamenti».
Non proprio il ritratto di un gentiluomo. Il punto è che dopo il verdetto si è scatenato il lato sinistro del Palazzo, accusando i magistrati di Locri di aver deragliato, trasformando Lucano in un malvivente dal profilo quasi mafioso.
E che il verdetto divida come mai in precedenza lo si capisce anche da altri interventi, a dir poco inusuali. Ecco che il segretario di Magistratura democratica Stefano Musolino contesta la richiesta di intervento dell'Anm a tutela dei magistrati di Locri. Una prassi collaudata, quasi automatica quando ci sono attacchi e critiche scomposte. Ma questa volta Musolino se la prende con i colleghi, schierandosi sia pure indirettamente con chi punta il dito contro il tribunale di Locri: «La richiesta di interventi dell'Anm a tutela della sentenza accresce la percezione pubblica di una magistratura chiusa, autopercepita come casta sacerdotale che tutela i suoi riti e le sue pronunce, non si interroga sugli effetti sociali dei suoi provvedimenti e, perciò, non ne tollera le critiche sollevando l'alibi del tecnicismo».
Riflessioni che non si sentono quasi mai: di solito, e pure di più, la corporazione si tutela su tutta la linea quando il potere politico e l'opinione pubblica contestano un provvedimento e alzano la voce. Ma Lucano, un'icona dei progressisti e non solo, rompe gli schemi e D'Alessio non si sottrae, confessando «il personale tormento oltreché l'imbarazzo, di essermi trovato odiato dai miei storici referenti culturali e blandito da quelli che non lo sono mai stati. Ma questa - aggiunge - è la solitudine del magistrato». D'Alessio nel colloquio con la Stampa aggiunge un paio di domande scomode: «Lucano è al di sopra della legge? O chiunque può commettere qualsiasi reato purché a fin di bene?».
Può essere che in appello, e non sarebbe la prima volta, la condanna salti o venga ridimensionata, ma è la seconda volta in pochi giorni che un verdetto fa saltare le liturgie del Palazzo e addirittura quelle di una magistratura sempre più spaccata. Era successo a Palermo, dopo l'assoluzione dei generali imputati per la trattativa, si ripete a parti inverse, a Locri, con la pena a 13 anni che si abbatte su Lucano.
Md fiuta l'aria nel Paese e si adegua. Magistratura indipendente e Articolo 101 invece sono vicini a D'Alessio. E quindi contro Md che a sua volta «scarica» il Procuratore, nella bufera a un passo dalla pensione. «Rifiutiamo di prestare il fianco a qualunque critica preconcetta - affermano i giudici di Mi - che non sia basata sull'esame dei motivi delle decisioni, che ancora non sono stati resi noti e rifiutiamo ancora di più gli attacchi mirati alla persona dei singoli magistrati, invece che alle ragioni dei loro verdetti. Sono metodi di un certo modo di fare politica che non ci appartengono e dai quali prendiamo con forza le distanze». Infine, Articolo 101: «Esprimiamo piena solidarietà ai colleghi del tribunale di Locri, fatti oggetto di inusitati e ingiustificati attacchi soltanto per aver esercitato le loro funzioni: la semplice lettura del dispositivo della sentenza, da cui risulta che Lucano è stato ritenuto responsabile di oltre 20 gravi reati, dimostra facilmente che nel provvedimento non c'è nulla di abnorme». Di più: «Non ci possono essere santuari inattingibili dal controllo di legalità penale». E le toghe strattonano di qua e di là sentenza.
Mimmo Lucano non ha cacciato i calabresi, ma più semplicemente i calabresi se ne sono andati per mancanza di prospettive di lavoro e di vita.https://www.facebook.com/Pilpotis/posts ... 4001707:82 Questo demenziale personaggio voleva ripopolare parassitariamente il paese con i criminali clandestini mantenuti dalle nostre tasse e dal debito pubblico con inutili e demenziali programmi di aiuto e assistenza che producono esclusivamente parassiti di stato, razzisti e senza alcun rispetto per noi.
Gli italiani se ne vanno per mancanza di risorse e questo demente voleva ripopolare con stranieri mantenuti a vita con le risorse che lo stato ci avrebbe estorto e ci estorce per loro conto.
https://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... iace-1.jpghttps://www.filarveneto.eu/wp-content/u ... 00x132.jpg Calabria, nuove emigrazioni al tempo del Covid Corriere della Calabria
07/11/2020
https://www.corrieredellacalabria.it/20 ... del-covid/ di Roberto De Santo
COSENZA Non sappiamo ancora quanto inciderà l’emergenza Coronavirus sull’esodo di calabresi verso altre mete. Ma i primi segnali parlano di un rallentamento avvenuto nei mesi del primo lockdown che ha portato molti giovani fuori sede a rientrare sul territorio calabrese. Inoltre ci sono i dati sulle immatricolazioni nelle università calabresi che indicano un incremento del numero di matricole. Così come di lavoratori che potevano lavorare in smart working che hanno scelto di riprendere l’attività stando nella regione. Segnali, timidi e decisamente provvisori, che però non tengono conto di questa nuova ondata di contagi che ha travolto anche la Calabria e soprattutto dell’istituzione della zona rossa in regione. Certo a guardare i dati riferiti allo scorso anno, comunque, il fenomeno dell’emigrazione di calabresi non si è mai arrestato. Anzi. Il flusso di quanti hanno lasciato la regione negli ultimi tre anni per espatrio segna una percentuale a doppia cifra: + 22,3%. Tanto da porre la Calabria al terzo posto nella classifica nazionale di italiani che hanno abbandonato il Paese per andare a vivere all’estero. Prendendo in considerazione solo il 2019 oltre seimila calabresi – per l’esattezza 6.383 – hanno scelto di emigrare verso altri Paesi. Per lo più del Vecchio Continente. Anche se sono stati tanti quelli che hanno varcato l’oceano per raggiungere Stati Uniti, Argentina, Brasile o Canada. Ma anche l’Australia. A fotografare la situazione pre-covid sono stati gli analisti della Fondazione Migrantes che, nella XV edizione del “Rapporto italiani nel mondo 2020”, hanno riportato numeri da brividi per quanto attiene l’esodo di calabresi dall’Italia: se nel 2018 erano 5.621 i cittadini che erano andati oltre i confini nazionali a cercare “fortuna” nell’anno successivo sono saliti a 6.383. Un dato che porta a far registrare un incremento di oltre 13 punti percentuali (13,6% per l’esattezza) in un anno. Con un risultato che pone la Calabria al terzo posto in classifica per crescita del numero di persone che sono andate via varcando anche i confini nazionali.
Ad abbandonare la Calabria per emigrare all’estero tra il primo gennaio del 2019 e dicembre dello scorso anno sono stati maggiormente giovani di sesso maschile: ben 3.606 uomini contro le 2.777 donne. Secondo i dati elaborati dalla Fondazione Migrantes, che ha preso a campione il numero degli iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) il 40,9% degli espatriati nell’ultimo anno aveva una fascia di età compresa tra i 18 e il 34 anni mentre il 23,9% tra i 35 e i 49 anni. Dunque tutte persone in piena età lavorativa o di formazione e con le migliori energie psico-mentali. In altre parole la Calabria perde – come anche altre regioni per la verità – le sue forze «più giovani e vitali – per utilizzare le parole degli analisti della Fondazione – capacità e competenze che vengono messe a disposizione di paesi altri che non solo li valorizzano appena li intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori, quando cioè creatività e voglia di emergere sono ai livelli più alti per freschezza, genuinità e spirito di competizione».
E se ai dati sugli espatri si sommano quanti lasciano la Calabria per andare in altre regioni – sempre per lo più giovanissimi – il quadro della desertificazione demografica a cui vanno incontro i nostri territori non lascia ben sperare neanche per il futuro. Dal 2009 al 2018, secondo i dati Istat, hanno lasciato il Sud per trasferirsi al Nord 283mila giovani di cui 107mila in possesso di almeno la laurea. Al contrario le regioni del Centro-nord hanno guadagnato migliaia di nuovi cittadini con profili professionali alti provenienti appunto dal Mezzogiorno. In testa Lombardia ed Emilia-Romagna che hanno attratto nel decennio preso in considerazione 92mila giovani con in tasca un titolo di studio alto.
Scendendo nel dettaglio regionale emerge che la Calabria detiene il record nazionale in termini percentuali per cancellazioni rispetto ai nuovi residenti: un numero pari al triplo. Con il Crotonese in fondo alla classifica nazionale per attrattività: il numero di cittadini che si sono cancellati dalla residenza in questa provincia è oltre quattro volte superiore a quella dei nuovi iscritti. Un’escalation che sembra dunque inarrestabile e che spinge i calabresi – come altri cittadini del Sud Italia – a subire una doppia pressione verso l’esterno: una in direzione estero l’altra rivolta alle regioni più ricche. Senza contare il tasso di denatalità che si sta registrando tra le famiglie che risiedono in Calabria e che la condanna ad un perenne «inverno demografico» come l’ha definito Manuela Stranges, ricercatrice di Demografia all’Università della Calabria. La docente si occupa anche di migrazioni, rifugiati, benessere soggettivo e trasmissione intergenerazionale per conto del dipartimento di Economia Statistica e Finanza “Giovanni Anania” dell’Unical.
Professoressa a guardare i dati prosegue l’emorragia demografica: la Calabria resta dunque terra di emigrazione?
«Sì, la Calabria non ha mai smesso di essere terra di emigrazione. Negli ultimi anni, in realtà, questi flussi in uscita si sono intensificati, facendo registrare un aumento del +13,6% nel corso dell’ultimo anno. Questo dato preoccupa molto se letto anche in combinazione con la dinamica naturale (nascite meno decessi) negativa della nostra regione. Ecco perché più volte ho parlato di “inverno demografico” per la nostra regione: perché l’azione congiunta di denatalità, flussi migratori in uscita e scarsa attrattività per i flussi in entrata sta determinando un progressivo spopolamento della nostra regione. Al dato sulla diminuzione quantitativa della popolazione, si aggiunge anche quello del progressivo invecchiamento demografico della Calabria, dovuto alla già citata denatalità e all’allungamento dell’aspettativa di vita, ma anche al fatto che la struttura demografica è “erosa” nelle età centrali dai flussi migratori».
Italiani iscritti all’Aire (Fonte: Rapporto Migrantes”)
C’è un luogo comune: ad andare via dalla Calabria sono per lo più giovani con profili alti di formazione. I dati indicano che è in atto anche una migrazione di persone con in tasca solo un diploma che sono in cerca di occupazione. Cosa ne pensa?
«La quota più consistente di emigranti si ha nella fascia d’età tra i 18 e i 34 anni. Va da sé che si tratta in parte di giovani che decidono di emigrare prima di conseguire un titolo di studio terziario, e in parte da giovani che si spostano dopo il conseguimento della laurea. Questo si spiega anche in riferimento ai diversi canali occupazionali: le persone senza laurea trovano tipicamente occupazioni meno qualificate, mentre quelle con titolo di studio più elevati trovano impieghi più qualificati. In ogni caso, perdiamo la parte migliore del nostro capitale umano. Soprattutto perché quasi sempre questi giovani decidono di mettere su famiglia e radicarsi nelle aree di destinazione».
Si sta assistendo ad uno spostamento di calabresi non più e non tanto solo verso le regioni del Nord del Paese, ma in direzione dei Paesi europei?
«La dinamica interregionale della Calabria è negativa da diversi anni. Gli ultimi dati disponibili segnalano circa 12 iscrizioni e 18 cancellazioni per 1.000 residenti. Sono stati oltre 2.000 i calabresi che hanno lasciato la nostra regione verso altre regioni italiane nell’ultimo anno. A questa dinamica interregionale sfavorevole, si unisce il dato dei flussi verso l’estero che hanno da sempre costituito una quota rilevante dei flussi emigratori complessivi, riprendendo vigore negli ultimi anni. Basti pensare che nel 2020, complessivamente i calabresi iscritti all’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero) per espatrio sono risultati quasi 6.400, con un incremento del 12% rispetto all’anno precedente».
E inoltre c’è in atto da anni un fenomeno migratorio accentuato delle aree interne. Il vero divario non è dunque tra Nord e sud, ma tra aree interne e città?
«In realtà sono presenti entrambi i divari. A livello complessivo abbiamo un’Italia a due velocità dal punto di vista demografico, con un Nord che cresce (non solo per i flussi migratori in ingresso ma anche per una dinamica naturale più positiva) e un Mezzogiorno in recessione per via dell’azione congiunta di una dinamica naturale e migratoria entrambe negative. Nello specifico, i flussi emigratori in uscita non sono compensati da flussi migratori in entrata, neanche di stranieri (la nostra regione è spesso terra di transito ma non di residenza definitiva). Dall’altra abbiamo le dinamiche specifiche dei territori che vedono le aree più interne e marginali (le aree montane, ad esempio) perdere popolazione a favore delle aree urbane e dei comuni della cintura urbana. Questo fenomeno è legato prevalentemente al fatto che le aree interne, montane e periferiche sono spesso caratterizzate da una scarsità di servizi che spinge le persone a spostarsi verso aree con maggiore dotazione».
Come sta incidendo l’emergenza sanitaria sui flussi migratori dei calabresi? Il timore dell’elevata contagiosità di alcune aree del Paese e del mondo potrà spingere alcuni calabresi a rientrare?
«Al momento non abbiamo dati a sufficienza per comprendere come sta evolvendo la situazione delle migrazioni interne a causa del Covid. Credo che difficilmente chi ha un progetto di vita stabile e radicato in un’altra regione (e quindi un lavoro, una famiglia propria) prenda in considerazione l’idea di rientrare. Abbiamo assistito a dei rientri nei mesi scorsi, ma si trattava per lo più di giovani che non avevano ancora un progetto di vita stabile nel luogo in cui si trovavano e per i quali, dunque, il rientro non implicava l’abbandono di qualcosa. Inoltre, sono rientrati quelli che svolgevano un lavoro che poteva essere svolto anche a distanza, con il cosiddetto smart working. Queste condizioni, però, non si applicano a tutti i lavori. Inoltre, bisogna anche considerare che negli ultimi mesi la situazione dell’emergenza covid nella nostra regione è radicalmente cambiata. Siamo passati da una situazione di quasi assenza di contagi ad un deciso aumento che, pur essendo al di sotto dei valori per abitante e per tampone registrati in altre regioni, ha comunque fatto finire la Calabria in zona rossa, principalmente a causa delle note carenze della nostra sanità che non consentono la gestione di grossi numeri. Quindi molto verosimilmente, non assisteremo alle “fughe” dal Nord che abbiamo registrato nel corso della prima ondata».
Si parla di South working crede che sia un fenomeno che prenderà piede anche in Calabria? Come favorirlo?
«È sicuramente un fenomeno che abbiamo registrato con la prima fase del covid ma, per tutte le ragioni elencate in precedenza, non sono certa che possa diventare un “modello” applicabile in maniera estensiva anche una volta finita l’emergenza. Oltre al fatto che non tutti i lavori possono essere svolti a distanza, c’è un ulteriore elemento che bisogna tener presente. Spesso chi lascia la propria regione non lo fa solo ed esclusivamente per mancanza di lavoro e ragioni economiche. Ad esempio, ci sono settori che hanno possibilità occupazionali anche qui nella nostra regione (uno fra tutti quello dell’Information Technology) ma spesso i nostri laureati scelgono volontariamente di andare a lavorare fuori regione. Questo perché le regioni del nord offrono più servizi e maggiori opportunità in tanti ambiti (pensiamo all’offerta culturale). Ci sono studi sulle ragioni dell’emigrazione nei quali si mostra come spesso pesi anche il fatto di poter vivere in un contesto socio-culturale molto diverso da quello calabrese, sganciati dalle ben note logiche che caratterizzano il nostro tessuto sociale. Di contro, occorre considerare che il costo della vita più basso e la possibilità di avere vicino la famiglia di origine potrebbero essere elementi a favore di questa scelta. Ma credo che, per favorire lo smart working, sarebbe comunque necessario un miglioramento delle condizioni socio-economiche complessive della nostra regione. Il lavoro in sé e per sé e i costi ridotti potrebbero, dunque, non essere un incentivo sufficiente a rimanere in Calabria».
Il fenomeno dell’emigrazione dalla Calabria è ineluttabile o diversamente potrebbe essere invertito il trend o quantomeno rallentato? E quali politiche utili per contrastare l’esodo?
«Purtroppo l’emigrazione è il risultato dello scarso sviluppo socio-economico che caratterizza la Calabria, al pari di altre regioni meridionali. La crisi ingeneratasi dal 2008 non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Prima del Covid le aree meridionali, compresa la Calabria, non avevano manifestato grossi segni di ripresa. Credo, addirittura, che questa condizione della pandemia peggiorerà la situazione in futuro. Al momento gli spostamenti sono molto difficoltosi ma è probabile che molti calabresi che oggi stanno sperimentando le ristrettezze dovute a questa situazione decideranno di lasciare la nostra terra non appena possibile. Per rallentare l’emigrazione (invertire la tendenza mi sembra irrealistico allo stato) sarebbe necessario lavorare per risollevare la nostra regione dal punto di vista socio-economico, creando posti di lavoro per i giovani, magari puntando sui settori strategici che purtroppo ancora sono sottoutilizzati rispetto al potenziale (penso, ad esempio, al turismo) o su quelli in via di espansione (come, appunto, l’IT). Considerando il basso tasso di occupazione femminile nella nostra regione, sarebbe utile anche avere una maggiore attenzione verso i servizi e gli strumenti di conciliazione, che potrebbero avere il duplice vantaggio di aumentare la partecipazione al lavoro delle donne e aumentare la natalità». (
r.desanto@corrierecal.it)
Calabria con la valigia in mano: prima al Sud per tasso di emigrazioneLuana Costa
4 novembre 2019
https://www.lacnews24.it/economia-e-lav ... ne_102675/Continua ad essere la Calabria a guidare la classifica delle migrazioni interne, dalle regioni meridionali verso quelle settentrionali. A certificarlo è il rapporto Svimez 2019, presentato questa mattina a Roma, e che scatta una fotografia dell'economia con particolare attenzione alla realtà del Mezzogiorno. Nel 2018 la Calabria, oltre a tagliare il record della peggiore performance economica che gli vale una flessione del Pil (-0,3%), sale anche sul podio della regione che conta la maggiore percentuale di giovani che attraversano i confini. «Le partenze più consistenti - si legge nella relazione -avvengono dalle regioni più grandi come la Campania con 31,4 mila unità, la Sicilia con 26,4 mila e la Puglia con 19,6 mila unità; a esse si unisce la Calabria (13,9 mila) che presenta il più elevato tasso migratorio, 4,0 per mille, seguita dalla Basilicata (3,8 per mille) e dal Molise (3,0 per mille). La Lombardia è la meta preferita da coloro che lasciano una regione del Mezzogiorno, quasi un terzo del totale; meno attraenti risultano, invece, le regioni del Nord-Est, a vantaggio di quelle del Centro, tra le quali, il Lazio si conferma stabilmente, con quasi un quinto del totale, la seconda regione di destinazione degli emigrati dalle regioni del Mezzogiorno».
Il Mezzogiorno che invecchia
Dall’inizio del nuovo secolo hanno lasciato il Mezzogiorno due milioni e 15 mila residenti: la metà sono giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati. Il 16% circa si sono trasferiti all’estero e oltre 850 mila di loro non tornano più nel Mezzogiorno. Nel 2017, in presenza di un tendenziale rallentamento della ripresa economica, si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 132 mila residenti, un quarto dei quali ha scelto un Paese estero come residenza, una quota decisamente più elevata che in passato, come più elevata risulta la quota dei laureati, un terzo del totale. La Svimez ha rilevato come la «nuova migrazione» sia figlia dei profondi cambiamenti intervenuti nella società meridionale, un’area che sta invecchiando e che non si dimostra in grado di trattenere la sua componente più giovane – appartenente alle fasce di età 25-29 anni e 30-34 anni – sia quella con un elevato grado di istruzione e formazione, sia coloro che hanno orientato la formazione verso le arti e i mestieri. Nel 2017 gli appartenenti a queste due classi di età che lasciano definitivamente una regione del Sud ammontano rispettivamente, a 16 mila e a 12 mila unità. Oltre il 68% dei cittadini italiani che nel 2017 ha lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva almeno un titolo di studio di secondo livello: diploma superiore il 37,1% e laurea il 30,1% (nel 2010 le quote risultavano rispettivamente pari al 38,7 e a 25,1%).
Ritengo questo articolo il piu' importante resoconto attendibile su quello che è successo a Riace.Dispiace solo che ci vogliano i tedeschi, per chiarire le cose.
Silvio Puzzolu
https://www.facebook.com/paolo.verni/po ... 0202828541Per la gestione dei migranti, per questo suo famoso sistema di accoglienza diffusa, un sistema ammirato in tutto il mondo, e su cui è venuto a girare un cortometraggio persino Wim Wenders, qui sono arrivati fino a 3 milioni di euro l'anno. E però, colpisce. Provi a capire come era Riace, ora che è tutto finito, cosa era, cosa non ha funzionato: e non trovi un numero. Quanti abitanti effettivi ha, per esempio, a prescindere dal dato formale dei residenti? Cioè, quale era realmente la proporzione tra italiani e stranieri? E gli italiani, che età hanno, in media? E che reddito? Quanti migranti sono stati qui? Più di 6mila, dicono. Ma che significa? Per quanto tempo? E ora, dove sono? Riace gli è stata utile? Hanno imparato, tipo, un po' di italiano? E queste associazioni a cui era affidato tutto, che bilancio avevano? E quanti dipendenti? Selezionati come? Quante spese organizzative rispetto alle spese sostanziali?
In tutti questi anni, è stato rendicontato poco o niente.
E spesso, in modo solo generico.
L'unico numero certo qui è quello che il 26 maggio, quando è stato eletto il nuovo sindaco, è stato battuto dalle agenzie di stampa di mezzo mondo. 24. I voti per Mimmo Lucano.
Ed è un numero sbagliato.
24 sono i voti che ha avuto la lista di Fratoianni alle Europee.
Eppure, Riace non ha che 2.313 abitanti. La stazione è un binario e basta, senza biglietteria né niente. Poi c'è una farmacia, e di fronte, un bar e un tabaccaio. Fine di Riace Marina. Che è una delle due parti di cui si compone Riace, ed è sostanzialmente una fila di villette strette tra il mare e la statale. 300 metri più su, a sette chilometri, c'è Riace Superiore. Con la piazza del municipio, la chiesa, un bar, una salumeria e un piccolo alimentari, altri due bar e il tabaccaio. Sono collegate da due corriere al giorno.
E cioè, dall'autostop.
Il primo che si ferma ha un fuoristrada da oltre 40mila euro. E quando gli dico che sono una giornalista, mi dice subito: L'ho comprato a rate. Fa il muratore.
Sono quasi tutti operai, qui. E, curioso: molti hanno un SUV. Moltissimi.
E hanno tutti lavorato nell'accoglienza.
Tra progetti ordinari e progetti di emergenza, tra SPRAR e CAS, Riace aveva circa 300 posti. Ma a tratti, in base agli sbarchi, in base a guerre e carestie, i migranti erano più del doppio. Gestiti da Città Futura, l'associazione fondata nel 1999 da Mimmo Lucano, e altre sei associazioni minori. Ma capire come, è complicato. Google non ha molte informazioni. E quindi, l'unica è telefonare alle associazioni. Una a una. Inizio dal Girasole. Da Maria Taverniti, la sua presidente. Mi hanno detto che è a casa, vorrei chiederle se posso passare un momento. Ma mi dice: Non sono a Riace. Dico che sto qui tutta la settimana, mi dice: Non so quando torno. Chiedo allora se posso passare in sede. Mi dice che è chiusa. Se posso parlare con uno degli operatori. Mi dice che non c'è più nessuno. Chiedo se c'è un sito web da cui avere un'idea delle attività. Non c'è.
Un documento, un volantino, un vecchio articolo di cronaca locale: niente.
Non trovi un pezzo di carta, qui.
In compenso, trovi le intercettazioni della Guardia di Finanza. Che ha indagato su Riace per 18 mesi. Il 2 settembre 2017 Mimmo Lucano è con Cosimina Ierinò, la sua segretaria.
Ed è inferocito. Sono arrivati i fondi da Roma, e ha girato al Girasole 95mila euro: ma i fornitori continuano a chiamarlo, perché non sono stati pagati. E anche gli operatori. 95mila euro. E non bastano? "Sono dei ladri matricolati!", dice.
Dal Girasole si difendono, dicono che hanno pagato quello che hanno potuto. Che quella è solo parte dei fondi. Che quando da Roma arriverà il resto, pagheranno il resto.
Ma Cosimina Ierinò è lapidaria. "Si sono fregati tutto", dice.
E la Guardia di Finanza ha decine di intercettazioni così.
Secondo la Procura di Locri, guidata tra l'altro da una toga rossa, Luigi D'Alessio, che ha ripetuto più volte alla stampa che su Riace spera davvero di essersi sbagliato, nei tre anni esaminati quasi il 30 percento dei fondi è stato usato per tutto tranne che per i migranti. Per intestarsi case. Per ristrutturare e arredare immobili estranei ai progetti di accoglienza, per concerti e festival vari. E dai conti correnti delle sette associazioni mancano all'appello 2 milioni di euro: prelevati senza giustificazione contabile. Di certo, parte sarà stata spesa per i migranti. E sarà dimostrato in aula. Ma altrettanto di certo, molte delle fatture in archivio sono, diciamo, discutibili. Per una delle case risultano comprati 87 materassi e 131 cuscini, un cartolaio ha venduto mobili. E una Fiat Doblò ha avuto rimborsi benzina per 695 km al giorno.
Il 30 agosto 2016 una 32enne del Ghana ha incassato un assegno di 10.591 euro per due mesi di lavoro. Fa treccine ai capelli.
Il 22 agosto 2017 Tonino Capone, presidente di Città Futura, parla con un amico, e spiega che preferisce spendere i fondi che avanzano, piuttosto che restituirli a Roma a fine anno. "Se si deve trovare qualcosa andiamo, e troviamo un po' di fatture [...] Che so, ci sono 3mila euro, ci sono 10mila euro che devono ritornare indietro. Andate, e vi scegliete una camera per i ragazzi [...] Ma mica gli torno i soldi indietro".
Si sente Mimmo Lucano dire: "Quello che ho scoperto è devastante".
Con altri 26 imputati, è accusato ora di associazione a delinquere per reati contro la pubblica amministrazione. Il processo è iniziato l'11 giugno.
Bahram Acar aveva 32 anni, quando è sbarcato sulla spiaggia di Riace. E ricorda ancora quella notte. In cui al buio, cercava la strada per Roma. Era il 1998. All'epoca, non esistevano SPRAR e CAS, CIE e CARA, e quindi, semplicemente, si è trovato un lavoro. "Negli ultimi tempi", ammette, "Riace non era che un parcheggio. I migranti avevano tutto pagato. Anche le sigarette. E quindi, ciondolavano tutto il giorno", dice. "Ma anche le associazioni. Assumevano amici e parenti, invece di operatori qualificati. Erano in 10 per 10 migranti. Non aveva più senso", dice. Dicendo quello che ti dicono tutti, qui.
Ma proprio tutti. Delineando una parabola che inizia nel 1998. Inizia con quel primo peschereccio alla deriva. E per dieci anni, tutto viene gestito in modo artigianale.
Ma inappuntabile. Di quei 2.313 residenti, 470 sono stranieri che si sono fermati qui.
Di 38 diverse nazionalità. "Poi, però, i numeri sono cambiati", dice Adelina Raschellà, l'edicolante. "Ed è saltato tutto", dice. E per numeri, non intende i numeri dei migranti: intende i fondi. I fondi pubblici. Perché sono aumentati i migranti, sì. Ma il denaro: è quello che ha sfasciato tutto. Qui che così tanto denaro non si era mai visto. Era il 2011. Era la Primavera Araba. "Si era sparsa la voce che a Riace aprivano la porta a tutti, e telefonavano da tutta Italia, magari alle due di notte, chiedendo: possiamo inviarvene altri duecento, domani?", dice. E qui nessuno si tirava indietro. "Perché qui siamo tutti migranti noi per primi", dice.
"Ma è stato un disastro".
Anche perché i fondi, qui come altrove, arrivavano con mesi di ritardo. E quindi Mimmo Lucano ha rimediato con i cosiddetti bonus: i migranti ricevevano delle banconote con Marx e Mandela che i commercianti poi convertivano in euro quando Roma, infine, pagava. "Ma era insostenibile", dice Maria Chillino, della macelleria. "Un conto è se sei la Conad, coperto da una sede centrale. Ma noi intanto dovevamo saldare la merce.
Le bollette". Tira fuori scatole e scatole di banconote colorate. Ha ancora 16mila euro di crediti. "E mentre, sostanzialmente, era tutto a nostro carico, per il resto era come non avere un sindaco. I migranti assorbivano ogni energia. Spesso, per esempio, qui manca l'acqua: ma nessuno veniva neppure a domandarci se avevamo bisogno di aiuto.
Si limitavano ad affittare case, e stiparci dentro magari dieci ventenni che non avevano mai vissuto prima da soli. E lì, o sei africano, o sei italiano, è uguale: è ovvio che avrai problemi", dice. "Chiamavamo le associazioni, e non rispondevano mai". Giuro, dice. Domanda ai carabinieri. Domanda agli avvocati. Qui protestavano tutti.
I carabinieri, in effetti, hanno ricevuto decine di segnalazioni.
E il Comune, decine di richieste di risarcimento. Entra un cliente. Si chiama Cosimo Romano. Gli pagavano 300 euro al mese per un appartamento di 140 metri quadri.
La ristrutturazione gli è costata 15mila euro. I danni superano i 10mila.
"Non abbiamo votato contro i migranti", dice Maria Chillino. "Ma contro chi gestiva i migranti". "Contro chi fingeva di gestirli".
E colpisce. Perché quello che racconta, e che racconta come fosse normale, è drammatico. Tre, quattro volte al giorno entravano in macelleria. E chiedevano un po' di carne, o degli spiccioli per un biglietto di treno. Il significato di un certo documento.
Di tutto. "E tu aiutavi il primo, aiutavi il secondo, il terzo. Il quarto. Ma poi, eri costretto a dire no", dice. "E magari era poco più di un bambino. E ti restava lì, fuori dalla porta. Senza sapere dove andare e... e..." - le si spezza la voce. "Giuro. Giuro", dice.
"Abbiamo dato più del possibile".
La sconfitta della sinistra è stata tutto, qui, tranne che una vittoria della destra. E non solo perché Claudio Falchi, il segretario della Lega eletto in consiglio comunale, migrante anche lui per 24 anni in Venezuela, è stato eletto con 25 voti: i numeri sono questi, a Riace - più che il partito con cui ti candidi, conta quanti amici hai. Ma soprattutto, perché tutti vogliono indietro i migranti. Ed è anche per questo che hanno scelto la Lega.
Perché è al governo: è dalla Lega che ora dipendono i fondi da Roma. Perché per il resto, nessuno ha dubbi, qui: i migranti sono una ricchezza. E l'unica di Riace. Persino il nuovo sindaco, Antonio Trifoli, 49 anni, vigile urbano, uno che tra l'altro, è stato tra i fondatori di Città Futura, non ha che parole belle per Mimmo Lucano. Nessuno, qui, contesta il suo valore. Ha rianimato Riace. Solo che oltre alle parole belle, nel suo nuovo ufficio Antonio Trifoli ha anche faldoni e faldoni di debiti. 3 milioni di euro. "Per anni, il Comune non ha pagato l'acqua, la luce. Ma anche cose minime. Tipo l'impianto di aria condizionata. Nessuno si occupava più dei cittadini", dice. E per cittadini, intende tutti: italiani e stranieri. "Perché alla fine, eravamo tutti senz'acqua", dice.
Riace è stata capofila della battaglia per l'acqua bene pubblico. E gratuito. Per questo l'acquedotto, alla fine, ha ridotto la pressione. Perché il Comune ha 850mila euro di arretrati.
Qui anche la sinistra, dice, ha le sue responsabilità. E lo dice dopo una vita a sinistra. "Non avendo più leader, ha trasformato Mimmo Lucano in un simbolo. E ha finito per chiedere a Riace troppo rispetto a quello che Riace, realisticamente, era".
Perché in questi anni sono venuti tutti, qui. Registi, musicisti, scrittori. Artisti.
Ma anche semplici attivisti: che ora, nelle intercettazioni, compaiono qui e lì, mentre chiedono se per caso una delle case per i migranti è libera per un weekend. Erano tutti incantati dai laboratori di artigianato. Dal vetro, le ceramiche. Le stoffe. Senza pensare, come hanno contestato più volte gli ispettori, che se sei un ingegnere iracheno, imparare a usare un telaio ti è completamente inutile. Non ha senso definirla, e soprattutto, finanziarla, come attività di "formazione professionale". Mimmo Lucano ha sempre ribattuto che la Calabria è questa. Che non c'è lavoro, qui. Non c'è niente.
Ma allora, evidentemente, bisognava ricalibrare il sistema, gli hanno risposto.
E per esempio, inviare qui i migranti appena sbarcati, per poi smistarli altrove.
Il dibattito, è ovvio, è aperto. Anche perché in Italia, l'alternativa a Riace sono spesso i campi di pomodori in cui si è pagati 3 euro l'ora per 12 ore al giorno. "Ma alla sinistra non è mai interessato niente di tutto questo", dice Antonio Trifoli. "Ancora oggi, è vietato criticare. Anche se nessuno neppure sa dove siano ora i migranti che sono stati qui. Nessuno gli ha mai chiesto se Riace gli sia stata utile o meno".
E ora, dopo averci usato, ci hanno dimenticato, dice.
Ora stanno tutti sulla Sea Watch. Ora si sono trovati un'altra icona.
Nel momento difficile, sono spariti tutti.
Perché poi, per dieci anni qui ha funzionato tutto. Fino a quando prima lo stato, e poi la destra e la sinistra, non hanno deciso che i migranti erano un problema.
Il problema.
E hanno sfasciato tutto.
E se Riace parla, ora, se racconta infine quello che tutti sapevano, ma tutti, per interesse, tacevano, incluso, appunto, lo stato, che poteva inviare qui tutti i migranti che non aveva idea di dove altro inviare, è proprio per difendere Mimmo Lucano. Che non si è intascato un euro, giurano. Mai. Di altri, noti un tenore di vita incompatibile con il reddito. Fuoristrada. Viaggi. Case nuove. Ma Mimmo Lucano no, giurano. Quello che aveva, ha. E cioè, niente. Quando il tribunale, a ottobre, gli ha vietato di stare a Riace, i primi giorni ha dormito in auto. Profugo tra i profughi. Sotto una pioggia a dirotto. Solo.
E non è giusto, dicono. Non è giusto che paghi per tutti. E quando spiego che sì, mi ripetono tutti le stesse cose, la stessa storia, e però poi vogliono restare anonimi, e così sono non sono che voci di paese, dico, quando dico che ho bisogno di nomi e cognomi, si avvicina un uomo. "Scrivi", dice. "Mi chiamo Cosimo Nisticò. Lavoravo per la cooperativa L'Aquilone. Busta paga di 1200 euro, effettivi 300". Ora basta, dice.
"Non è giusto". "Non è giusto che paghi per tutti".
Perché la tesi di Mimmo Lucano, è nota. Con il costo della vita di Riace, i famosi 35 euro al giorno a migrante ricevuti dallo stato erano più che sufficienti: e quindi, era possibile investire anche in altro. Senza togliere niente a nessuno. Anzi. Perché aprire, per esempio, botteghe di artigianato, significava rilanciare l'economia. Per tutti. Anche per gli italiani. Il problema è che il laboratorio del cioccolato alla fine non solo non è stato aperto che per l'arrivo di una delegazione dell'ONU: la cui grigliata di carne, in più, è stata pagata con i fondi per i minori non accompagnati - per anni, il sistema ha funzionato, sì: ma poi, complice uno stato che fino a poco tempo fa non imponeva molti obblighi di rendicontazione, né molti vincoli di spesa, questo "altro" coperto dai 35 euro, questo extra, è diventato anche, per dire, tre appartamenti e un frantoio che ora risultano intestati a Città Futura. Comprati con scritture private non registrate.
E 360mila euro di fondi pubblici. Come anche Palazzo Pinnarò. La sede di Città Futura. Il 10 luglio 2017, Mimmo Lucano parla con il suo presidente. Ha mezza Riace che gli domanda in che senso un frantoio benefici i migranti, a cosa serva, e ammette: "Non serve a niente".
Ma è tardi, ormai. Il sistema è fuori di ogni controllo.
Perché poi, anche se i presidenti delle associazioni non parlano, è sufficiente parlare con i pochi migranti che sono ancora qui. O meglio: provare a parlarci. Tento prima con un'eritrea, poi con tre nigeriane, altri due nigeriani. Due siriani. E sono qui da mesi, a volte da anni: ma non parlano una parola di italiano.
Che poi è la vera ragione per cui alla fine è saltato tutto. Quando a Riace si è capito che i primi a essere danneggiati, erano i migranti stessi. Perché qui, in realtà, a nessuno importa quello di cui discute la stampa. Le carte di identità rilasciate anche ai clandestini. I profughi ospitati anche a termini scaduti. Sono illeciti che avrebbero compiuto tutti.
E per cui sono orgogliosi di Mimmo Lucano. Non sono visti come illeciti: ma come forme di disobbedienza civile. Se gli hanno votato contro, è per tutto il resto. O più esattamente: per tutti gli altri. Domenico Arcadi, il ragioniere del Comune, mi riporta giù a Riace Marina con la sua auto da 540mila chilometri. Sa meglio di chiunque altro come è andata, ma a inchiesta in corso, non può dirmi niente. Mi dice solo, amaro: Però intanto altri, altrove, trattavano con la Libia. "Qui risponderanno di abuso d'ufficio, magari. Di truffa. Ma altrove, di crimini contro l'umanità".
"Che follia", dice. "Sprecare tutto per un SUV. E ora che le indennità di disoccupazione finiranno, come camperanno? I migranti erano il solo modo per non diventare anche noi migranti".
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[Foto di Pierluigi Giorgi per Tageszeitung]
[Riace, Italia, 21 giugno 2019]