Cuba uno dei paradisi infernali del socialismo comunista

Re: Cuba uno dei paradisi infernali del socialismo comunista

Messaggioda Berto » lun ott 11, 2021 7:42 am

Per i dissidenti neri di Cuba non ci si inginocchia
Giulio Meotti
19 luglio 2021

https://meotti.substack.com/p/per-i-dis ... i-cuba-non

“Prisoners Defenders” ha documentato 112 sparizioni forzate, un bilancio della repressione del regime cubano dopo lo scoppio di decine di proteste senza precedenti in tutto il paese. Lo ha confermato ad ABC il presidente della ong, Javier Larrondo. Cubalex ne conta 150, tra arrestati e desaparecidos, in un database che continua ad aggiornare, secondo Radio Martí. Altre organizzazioni, come Cuba Decide, parla anche di cinque morti. Vengono arrestate anche semplici persone che gridano “libertà”.

Tra gli scomparsi di questi giorni ci sono diversi artisti, come Luis Manuel Otero Alcántara, fondatore del Movimento San Isidro; diversi attivisti, come José Daniel Ferrer e suo figlio, di cui non si sa nulla. Né si sa dove si trovi un altro leader dissidente, Guillermo Fariñas, psicologo, giornalista e Premio Sakharov. Fariñas, che è facile ricordare per le fotografie in cui assomiglia a uno spettro con gli occhi fuori dalle orbite, costretto alla sedia a rotelle da una polinevrite, ha fatto 23 scioperi della fame per protestare contro il regime di Castro. Ed è uno dei “negri”, africani e caraibici, che svettano fra i principali dissidenti di Cuba (nelle t-shirt ci è finito Ernesto “Che” Guevara, un noto razzista).

Nero è il dottor Oscar Biscet, il “Gandhi del Caribe” che iniziò la sua resistenza al regime quando scoprì che a Cuba si praticavano l’infanticidio e l’aborto tardivo (ci ha anche scritto un libro, Rivanol. A method to destroy life). Rinomato pacifista e devoto cristiano, “il dottore”, come viene chiamato Biscet, comunicava attraverso samizdat dal carcere nell’isola paradisiaca. Un suo manifesto è stato un inno ai dissidenti, definiti “un barlume di speranza su un’isola di schiavi”. Parole durissime contro quello che il medico definisce “un sistema totalitario che si basa sulla discriminazione ideologica e razziale” e la cui predicazione è “antiamericana, antisemita e antinegra”. Il dottor Biscet è stato incarcerato 26 volte in celle senza finestre. Condannato anche per aver tenuto una conferenza con due bandiere cubane a testa in giù per protestare contro le violazioni dei diritti umani da parte del regime, che gli ha dato di “mercenario”.

Nero era il muratore e idraulico Orlando Zapata Tamayo, arrestato nella famosa “retata dei 75”, e che aveva smesso di ingerire alimenti solidi e, subito, gli hanno allora negato anche i liquidi. La testimonianza della madre lo ha descritto in ospedale “pelle e ossa, lo stomaco ridotto a un buco, il peso così ridotto che hanno dovuto mettergli le flebo sul collo, e la schiena piagata per le botte”. E’ morto così, Orlando Zapata.

Nero è il dissidente Darsi Ferrer, condannato per “acquisto illegale di cemento al mercato nero” e autore del manifesto per porre fine “all’apartheid cubana”.

Nero è il dissidente Jorge Luis Pérez “Antúnez”, che si è fatto diciassette anni di carcere. Scrisse una lettera di protesta al senatore democratico Bernie Sanders quando difese il regime cubano: “Siamo offesi dal fatto che un candidato alla presidenza del suo partito abbia osato lodare un tiranno che ha versato così tanto sangue di cubani innocenti, ha privato il popolo di Cuba di tutti i suoi diritti fondamentali, ha diviso la maggior parte delle famiglie, ha confiscato tutti i beni e le attività, costretto all’esilio più del 10 per cento della popolazione e impoverito il paese a livelli di sussistenza”.

Nero è Manuel Cuestua Morúa, dissidente di ispirazione socialdemocratica.
Nero è il leader cattolico Julián Antonio Monés Borrero.
Nero è Normando Hernández González, giornalista liberale, che secondo i castristi avrebbe una “natura socialmente pericolosa”.
Nero è il giornalista Pedro Argüelles Morán, condannato a vent’anni di prigione per le proteste nella “primavera nera” del 2003.
Nero è l’avvocato Rolando Jiménez Pozada, attivista del Centro Democrático Pinero de Derechos Humanos.
Nero è Hernàndez Carrillo, finito in carcere per aver “dissacrato un’immagine di Castro” e per aver messo su una libreria indipendente.
Ma per i grandi custodi dell’antirazzismo da avanspettacolo in Occidente è come se non esistessero. Li chiamano così, negros olvidados. I neri dimenticati.


Staino: "Cuba era un sogno, ma è diventato un incubo. Troppi silenzi a sinistra"
Concetto Vecchio
17 luglio 2021

https://www.repubblica.it/politica/2021 ... 310681907/

Sergio Staino, quante volte è stato a Cuba?
"Quattro o cinque. Dopo la laurea in architettura nel 1968 mi offrirono un lavoro all'Avana e per un momento pensai di trasferirmi. All'epoca vedevo tutto con gli occhiali rosa".
Ricorda la presa del potere?
"Nel 1959 avevo diciannove anni. Castro girava in camicia militare, circondato dal Che, e sprigionava fantasia, sberleffo, libertà.


Il vero embargo a Cuba è quello della dittatura: l'ambiguità di Biden e la cattiva coscienza della sinistra europea
Atlantico Quotidiano
Enzo Reale Da Barcellona
19 luglio 2021

https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... a-europea/

Sono bastate due righe, un lancio d’agenzia come tanti, destinato all’oblio istantaneo, a smontare decenni di retorica terzomondista, Manifesti, Gianni Minà, barbudos, pueblos unidos que jamás serán vencidos, Sante Clare, rivoluzionari del sabato sera. Queste due righe: “Il governo cubano autorizzerà temporaneamente a partire da lunedì prossimo la libera importazione di alimenti, medicine e prodotti di igiene personale, senza pagamento di imposte doganali o limiti di quantità”. Ma come, non era l’embargo yankee, anzi il bloqueo (che vittimizza di più) a impedire l’arrivo a Cuba dei generi di prima necessità? No, era il regime che restringe(va) per puro calcolo politico l’importazione di prodotti essenziali per la popolazione, in perfetta coerenza con la logica pauperista con cui la Revolución infinita si mantiene al potere da sessantadue anni. Una strategia totalitaria volta alla sottomissione dell’individuo attraverso il ricatto del minimo vitale, una formula perversa in base alla quale il cittadino cubano (in realtà schiavo del comunismo tropicale e della famiglia Castro) scampa alla miseria assoluta ma viene mantenuto in uno stato di povertà permanente dal quale non può uscire.

Questo stato di necessità è in se stesso una forma di controllo sociale, in quanto impedisce ai cubani di convertirsi in soggetti politici, essendo legati a doppio filo al ricatto economico che il Partito-Stato esercita su di loro e sulle loro famiglie. Se occupi la tua giornata cercando di procurarti il cibo, tra code, beni scarsi e tessere di razionamento, non puoi fare politica né mettere in discussione il sistema dal quale dipendi come un animale in gabbia. Le proteste dell’11 luglio rappresentano prima di tutto la rivolta di parte della popolazione contro questo circolo vizioso che la dittatura ha usato per perpetuarsi. Rotto il meccanismo, la macchina autoritaria può continuare a funzionare ancora per qualche tempo ma prima o poi diventerà solo una carcassa da rottamare.

La misura economica che resterà in vigore fino al 31 dicembre, introdotta sotto la pressione della protesta popolare, potrebbe produrre conseguenze più profonde di quelle che le stesse autorità cubane sono disposte ad accettare. Innanzitutto, perché il Partito Comunista ammette in questo modo di non essere in grado di garantire l’offerta di alimenti e medicinali alla popolazione, fatto di per sé evidente ma mai riconosciuto ufficialmente. In secondo luogo perché – nonostante i comunicati governativi parlino di “uso non commerciale” – l’importazione di generi di prima necessità verosimilmente non si limiterà al consumo personale o famigliare ma darà vita a una forma di commercio privato al dettaglio che finora era affidato solo al mercato nero. A partire da lunedì chi rientrerà a Cuba dai Paesi vicini potrà portare con sé quantità illimitate di prodotti che, salvo nuove restrizioni, almeno in parte rivenderà, ricavandone un beneficio personale. Può darsi che la realtà freni ancora una volta le aspettative e che lo Stato trovi il modo di appropriarsi delle eccedenze ma, in teoria, questa decisione introduce un elemento trasformatore in un sistema economico sclerotizzato e, di conseguenza, un fattore di rischio per la tenuta del regime comunista. La traiettoria del socialismo reale insegna che anche le più piccole crepe nel muro possono portare al crollo dell’intero edificio. Staremo a vedere.

E mentre la cupola al potere risponde alle manifestazioni spontanee obbligando studenti e funzionari a partecipare a un “atto di riaffermazione rivoluzionaria” nel centro della capitale, in sede internazionale continua il penoso balletto intorno al cadavere dell’isola. L’Onu, nella persona della socialista Michelle Bachelet, ci ha messo cinque giorni per chiedere conto al regime di “numerosi” desaparecidos, detenuti di cui si sono perse le tracce dal giorno delle manifestazioni. Le cifre che circolano oscillano tra i 180 e i 500, spesso caricati in piena notte sui furgoni delle famigerate Brigate di risposta rapida. Tra di loro giornalisti, artisti e attivisti, come José Daniel Ferrer, leader dell’Unione Patriottica di Cuba, un cartello di sigle dissidenti organizzatesi al margine della politica ufficiale e soggette alla costante persecuzione del regime. Ferrer, già in carcere dal 2003 al 2011, e poi ripetutamente riarrestato, è stato prelevato l’11 luglio mentre si recava insieme al figlio a una manifestazione a Santiago de Cuba. Altro nome illustre quello di Luís Manuel Otero Alcántara, uno degli esponenti principali del Movimiento San Isidro. In totale le detenzioni sarebbero state oltre 5 mila, secondo fonti indipendenti che lavorano in clandestinità schivando le costanti interruzioni della rete informatica.

Proprio sul ripristino di Internet si è pronunciato il presidente Biden in conferenza stampa giovedì scorso: dopo aver definito Cuba “uno Stato fallito”, ha fatto sapere che gli Stati Uniti stanno lavorando per il ristabilimento delle comunicazioni nell’isola, senza peraltro specificare tempi e modalità. I Repubblicani, tra cui spicca l’attività del senatore della Florida Marco Rubio, stanno spingendo per l’approvazione rapida di misure che permettano l’uso di tecnologia americana per sbloccare le applicazioni che il regime mantiene oscurate e per garantire dall’esterno una sorta di ombrello wi-fi agli utenti cubani. Uno scenario comunque piuttosto complicato da attuare, che probabilmente la Casa Bianca sta utilizzando soprattutto come strumento di pressione nei confronti de L’Avana.

In generale l’atteggiamento dell’amministrazione Biden è stato piuttosto prudente in questi giorni, a tratti ambiguo. Hanno suscitato una certa sorpresa le dichiarazioni di Alejandro Mayorkas, responsabile del dipartimento di Homeland Security (sicurezza nazionale), che ha invitato esplicitamente cubani e haitiani a “non cercare di entrare negli Stati Uniti via mare”. Dichiarazioni che in epoca trumpiana la Cnn avrebbe probabilmente mandato in onda in loop durante giornate intere, di cui si possono dare letture diverse ma certo difficilmente catalogabili sotto l’etichetta della solidarietà al popolo cubano. La politica migratoria è da decenni uno dei punti di frizione più caldi nelle relazioni bilaterali, ed è stata usata spesso dallo stesso governo de L’Avana come arma di politica interna, fin dall’esodo massivo del Mariel (1980), quando insieme a dissidenti, oppositori, omosessuali, elementi “contro-rivoluzionari”, arrivarono in territorio nordamericano anche migliaia di criminali comuni di cui i comunisti decisero di disfarsi.

Se una cosa Biden sembra aver imparato dalle esperienze passate è che il disgelo perseguito da Obama non è servito a migliorare la situazione politica dell’isola, anzi ha esacerbato la stretta del regime. Si deve certamente all’ex presidente lo sbarco della tecnologia e delle infrastrutture informatiche che hanno permesso lo sviluppo della rete 3G con cui i cubani oggi possono almeno far passare messaggi e video, ma l’abolizione del permesso di residenza per i balseros e la visita ufficiale del 2016 con tanto di foto sotto l’immagine del Che e partita di baseball con Raúl Castro sono ancora oggi punti estremamente controversi dell’eredità politica obamiana. Tanto è vero che Biden ha ribadito che non vi sarà nessuna revisione delle restrizioni in essere finché Washington non abbia la sicurezza che gli aiuti economici dei cubani americani arrivino effettivamente alle famiglie senza finire nelle casse del regime.

L’Europa, come sempre, non pervenuta. Il capo della diplomazia di Bruxelles, l’ineffabile Borrell le cui simpatie filo-castriste sono note, non ha trovato di meglio che incolpare Trump del deterioramento delle condizioni di vita dei cubani. Come sempre nel suo caso, un bel tacer non fu mai scritto. Sulla Spagna, il Paese europeo che per ragioni storiche e sentimentali potrebbe esercitare un’influenza decisiva sul processo di democratizzazione, meglio stendere un velo pietoso. Nella coalizione di governo social-populista non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo nemmeno sulla definizione della tirannia castrista: il D-word è vietato da Podemos e i socialisti di Sánchez, così affezionati alle etichette quando si tratta di applicarle all’opposizione parlamentare, dimostrano con la loro ostentata ambiguità di essere democratici per convenienza e non per convinzione.

Il grottesco teatro spagnolo è un microcosmo delle contraddizioni e dell’ipocrisia della sinistra europea e latinoamericana. Da una parte i comunisti superstiti o riciclati, sodali e complici nelle dichiarazioni o nei fatti del regime cubano, dall’altra (ma in sostanza sulla stessa linea) la cosiddetta sinistra democratica, che si riempie la bocca di diritti civili ma per i cubani che rivendicano diritti essenziali fa fatica a mobilitarsi e, a trent’anni dall’89, pronuncia ancora a denti stretti (quando lo fa) la parola dittatura per riferirsi al comunismo castrista. Insomma, la solita lunga lista di utili idioti che da sempre accompagna la triste vicenda storica dei regimi del socialismo reale.

I cubani sono coscienti, basta dare un’occhiata alle timeline di Twitter, di non poter fare nessun affidamento su una comunità internazionale che, per azione od omissione, ha sempre chiuso un occhio sui crimini della dittatura habanera, sulla corruzione e lo sfruttamento delle risorse materiali e umane dell’isola da parte del clan Castro, rendendosi oggettivamente corresponsabile della sua sopravvivenza. Tra i rifugiati del Mariel – nel 1980 – c’era il poeta e scrittore Reinaldo Arenas, una delle anime più limpide della società cubana, costretto al campo di concentramento, all’umiliazione e all’esilio per la sua doppia condizione di dissidente e di omosessuale. Juan Abreu, anch’egli scrittore, oggi residente a Barcellona, lo accompagnava in quel viaggio della speranza verso le coste degli Stati Uniti. Abreu, in una lettera aperta ai giovani cubani, li avverte che per conquistare la libertà devono essere disposti a tutto, anche a morire o ad uccidere: “Pacificamente, non si potrà sconfiggere la dittatura. Non voglio ingannarvi in un momento come questo: siete soli”. Secondo lui a Cuba, dove l’utopia rivoluzionaria avrebbe dovuto costruire la società senza classi, è in corso una paradossale lotta di classe tra un gruppo di potere formato da sfruttatori, ricchi, bianchi e razzisti e “i poveri, gli affamati, i negri, gli scamiciati, gli umiliati e offesi”, con la sinistra marxista e post-marxista schierata dalla parte degli oppressori.

Come i noti antirazzisti di Black Lives Matter, la cui avversione per le forze dell’ordine svanisce come per incanto di fronte alle retate degli sbirri del castrismo e la cui instancabile lotta contro l’eteropatriarcato si ferma davanti all’oligarchia bianca e maschilista al potere sull’isola da sessant’anni. Non è un caso che la polizia politica negli ultimi anni abbia concentrato la sua azione soprattutto sui quartieri più poveri, periferici, abitati in prevalenza da neri, quasi a sottolineare lo scollamento fra la retorica ufficiale e una realtà di discriminazione non solo politica ma anche sociale, che ha finito per accentuare le differenze tra un’élite di privilegiati e una massa di diseredati, e per restringere l’accesso a beni e servizi ai danni di coloro che vivono ai margini dell’economia sommersa e avulsi da uno Stato che certifica il suo fallimento nel collasso del sistema sanitario, nella crisi economica inarrestabile, nella costante perdita di valore dei salari. Da questa Cuba è partita la protesta che, al grido di “libertà”, sta facendo tremare le fondamenta del regime comunista.



Guardate attentamente :Questa foto ha vinto il Pulitzer.
Marika Reale
19 luglio 2021

https://www.facebook.com/raphael.pallav ... 7618218570

Un prete che dà gli ultimi sacramenti ad un contadino cubano proprietario della sua terra, che si è rifiutato di lavorare per il regime Castrista..
È stato fucilato senza diritto di difendersi per ordine del CheGuevara.
Ma questa foto non la vedrete mai stampata su una maglietta.



Manifestanti cubani avvertono quelli che amano Che Guevara: “Era un fottuto terrorista”
19 luglio 2021

https://osservatorerepubblicano.com/202 ... errorista/

I manifestanti riuniti fuori dalla Casa Bianca giovedì sera per sollecitare Joe Biden ad agire a sostegno delle proteste in corso a Cuba questa settimana hanno detto a Breitbart News che la diffusione del personaggio mainstream dell’omicidio di massa e del regime di Castro, Ernesto “Che” Guevara, mina la sofferenza di coloro che ha ucciso.

Ernesto “Che” Guevara, un ricco comunista irlandese-argentino che partecipò alla conquista della nazione insulare con Fidel Castro nel 1959, presiedette all’organizzazione di plotoni d’esecuzione per eliminare le persone che non erano d’accordo con Castro e fu il pioniere dell’uso dei campi di concentramento a Cuba. Ha scritto apertamente che “amava davvero uccidere” e si divertiva particolarmente ad uccidere i religiosi e i cubani sospetti di essere LGBT, ma la sua eredità negli Stati Uniti (e in Europa, n.d.r.) si è in qualche modo trasformata in quella di un “rivoluzionario” che rappresenta gli oppressi. Un famoso ritratto dell’assassino è diventato una maglietta popolare in America e nell’Occidente in generale.

Un uomo che si è identificato come Gianni, un manifestante cubano alla Casa Bianca, ha sventolato una bandiera cubana con un’immagine di rifiuto a Guevara. Ha detto a Breitbart News che coloro che ammirano Che Guevara hanno “informazioni sbagliate” e li ha esortati a conoscere meglio la sua vera eredità.

“La gente pensa che fosse un grande e un rivoluzionario. Quello che nessuno vi dice è che uccideva i gay a Cuba. La sua grande idea erano i campi di concentramento per i gay”, ha spiegato Gianni. “Uccideva i cristiani. Uccideva le persone che non erano d’accordo con lui solo perché volevano la libertà e non volevano essere comunisti”.

Guevara fu responsabile di aver aiutato Fidel Castro ad implementare le cosiddette “Unità Militari di Aiuto alla Produzione” (UMAP), campi di concentramento nominalmente utilizzati per il lavoro agricolo per arricchire il paese – già il più ricco dell’America Latina nel periodo immediatamente precedente al 1959 – ma in realtà utilizzati per uccidere e reprimere i cubani “indesiderati“. Chiunque fosse sospettato di omosessualità, fosse noto per appartenere a gruppi cristiani come gli Avventisti del Settimo Giorno o i Testimoni di Geova, scrittori dissidenti, giornalisti e altri che esano visti come una minaccia al comunismo, si trovarono a lavorare nell’UMAP. I rapporti indicano che il superlavoro e le situazioni intenzionalmente pericolose create nei campi UMAP avevano lo scopo di uccidere i loro detenuti.

“Fa***lo Che Guevara, era un fottuto terrorista“, ha detto a Breitbart News un altro uomo presente alla protesta di giovedì che non si è identificato. “Quell’uomo ha ucciso un sacco di gente, sapete cosa sto dicendo? Ha ucciso un sacco di gente, c***o. La gente nel mondo ha un’impressione sbagliata di Che Guevara… Era incaricato di uccidere la gente a Cuba”.

Un terzo manifestante che si è identificato come Amilkal ha detto a Breitbart News di Guevara: “Ha detto ‘uccideremo la gente e continueremo ad uccidere la gente se ne avremo bisogno. Le persone contro la rivoluzione, le uccideremo”.

Amilkal sembra riferirsi a un famoso discorso che Guevara tenne davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1964.

I manifestanti hanno anche espresso il panico riguardo ai rapporti sulla polizia cubana che si impegna in raid porta a porta, sparando e anche uccidendo i manifestanti disarmati nelle loro case, di fronte alle loro famiglie. Almeno un video diffuso fuori dal paese questa settimana mostra la polizia che apre il fuoco su un manifestante nel suo salotto, di fronte ai suoi bambini piccoli e a sua moglie. Le condizioni di salute dell’uomo rimangono sconosciute.



È il momento di cambiare regime nella Cuba comunista
Con Coughlin
19 agosto 2021

https://it.gatestoneinstitute.org/17665 ... egime-cuba

Per il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, i recenti disordini a Cuba dovrebbero convincere la sua amministrazione a non ripetere gli errori dell'era Obama ea tentare una qualche forma di riavvicinamento con L'Avana. Gli Stati Uniti, come sembrerebbe siano in grado di fare, dovrebbero anche ripristinare immediatamente la capacità del popolo cubano di utilizzare Internet. Nella foto: la polizia cubana in tenuta antisommossa viene schierata per sedare le proteste anti-regime all'Avana, il 12 luglio 2021. (Foto di Yamil Lage/AFP via Getty Images)

Niente illustra meglio il totale fallimento dell'ideologia comunista dell'economia allo sfascio di Cuba e che ha portato il Paese a subire la più grande ondata di proteste da almeno tre decenni.

Ad oggi, almeno un manifestante è stato ucciso e altre centinaia sono stati arrestati poiché il regime comunista fondato dal dittatore cubano Fidel Castro ha risposto con la tipica brutalità allo sfogo del dissenso nazionale.

La causa principale delle proteste è lo stato disastroso in cui versa l'economia cubana, con i cittadini cubani che hanno protestato per la mancanza di generi di prima necessità e medicinali di base. Ad aumentare ulteriormente la loro miseria, la cattiva gestione della pandemia di Covid da parte delle autorità del Paese e ciò ha fatto sì che ora tra gli 11 milioni di abitanti di Cuba si registra più casi pro capite di coronavirus rispetto a qualsiasi altra grande nazione latinoamericana.

Il regime autocratico del presidente cubano Miguel Diaz-Canel può essere totalmente incapace di soddisfare perfino i bisogni primari dei suoi cittadini ma, come ha dimostrato la spietata repressione contro i manifestanti, sa ancora come intimidire la sua popolazione irrequieta.

Non appena migliaia di cubani sono scesi in piazza per manifestare in maniera spontanea in tutto il Paese, le forze di sicurezza del regime sono entrate in azione per riaffermare la propria autorità.

Forze speciali e di polizia hanno invaso le strade e le connessioni Internet sono state interrotte in tutta l'isola per impedire ai dissidenti di tentare di coordinare le proteste, con il risultato che, in poche ore, quasi tutti i manifestanti si sono dispersi.

Dalle prime proteste dell'11 luglio nella città occidentale di San Antonio de los Banos e successivamente diffusesi in più di 40 paesi e città – compresa la capitale L'Avana – le forze di sicurezza, aiutate da brigate di reazione rapida e da militanti del Partito Comunista armati di pesanti bastoni, sono stati impegnati a rastrellare più di un centinaio di dissidenti.

Tuttavia, se le autorità cubane possono congratularsi con se stesse per aver soppresso i disordini, ci sono sempre più prove che, questa volta, il desiderio di un'opposizione cubana sempre più forte per un cambiamento radicale nel modo in cui il loro Paese viene gestito, alla fine potrebbe rivelarsi inarrestabile.

I leader comunisti cubani sono da tempo orgogliosi della loro capacità di resistere a qualsiasi sfida alla sopravvivenza della loro rivoluzione marxista. Mentre i regimi comunisti di tutto il mondo, in particolare l'Unione Sovietica, sono stati relegati ai libri di storia, e altri regimi comunisti in luoghi come la Cina hanno abbracciato in silenzio i benefici del capitalismo, Cuba è rimasta bloccata nella mentalità anacronistica che ha dominato il Paese dalla rivoluzione del 1959 di Fidel Castro.

La grande differenza ora, però, è che, senza la leadership carismatica di Castro, l'attuale generazione di leader del regime è totalmente incapace di ottenere il sostegno del popolo cubano.

Questa è la prima volta che il governo comunista dell'Avana deve fronteggiare una sfida importante alla sua autorità senza avere al comando un membro del clan Castro. L'ultima volta che il Paese ha dovuto far fronte a proteste interne su larga scala nel 1994, Castro ha affrontato personalmente i manifestanti sul lungomare Malecon della capitale ed è riuscito a conquistarli.

Dopo la morte di Castro nel 2016, il vecchio leader è stato sostituito da suo fratello Raul. Quando Raul, ora novantenne, la lasciato la politica attiva, tuttavia, il suo sostituto, Diaz-Canel, ha dimostrato di essere un burocrate di partito ottuso a cui manca qualsiasi traccia di un pedigree rivoluzionario. Così, quando il presidente ha invitato i lealisti del partito a difendere il regime contro i manifestanti, la maggior parte dei cubani è sembrata decisamente delusa.

Se si aggiunge a questo lo stato terribile dell'economia cubana è facile capire perché gli esuli cubani che vivono in Florida sono entusiasti della prospettiva del cambio di regime che presto avrà luogo all'Avana. Nell'ultimo anno l'economia cubana ha subito una contrazione di oltre l'11 per cento, con il risultato che i cubani sono costretti a fare la fila per ore solo per acquistare beni di prima necessità come pollo e pane.

L'isola caraibica è regolarmente soggetta a lunghe interruzioni dell'elettricità, mentre la gestione della pandemia da parte del governo ha comportato un massiccio aumento di vittime, passando da soli 146 decessi nel 2020 al livello attuale di quasi 2.000.

Ora, grazie alla penosa gestione sia dell'economia sia del Covid da parte del regime, i cubani comuni stanno finalmente facendo conoscere i loro veri sentimenti riguardo al fallimento dei governanti comunisti di Cuba.

Ciò ha spinto gli oppositori a modificare il vecchio slogan di Castro "Patria o Muerte", patria o morte, e trasformarlo in "Patria y Vida", patria e vita.

Ciò che è fuor di dubbio è che, se i cubani vogliono davvero una vita migliore per se stessi, allora devono prima fare a meno del loro regime comunista oppressivo e incompetente.

Per il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, i recenti disordini a Cuba dovrebbero convincere la sua amministrazione a non ripetere gli errori dell'era Obama e a tentare una qualche forma di riavvicinamento con L'Avana.

Gli Stati Uniti, come sembrerebbe siano in grado di fare, dovrebbero anche ripristinare immediatamente la capacità del popolo cubano di utilizzare Internet.

L'impatto che le pesanti sanzioni imposte a Cuba dalla precedente amministrazione americana stanno avendo sull'economia cubana, è uno dei motivi che inducono il regime comunista cubano a lottare per sopravvivere.

Qualsiasi tentativo da parte dell'amministrazione Biden di revocare le sanzioni non farebbe altro che ricompensare il regime per la sua brutale repressione del popolo cubano.

Mantenere le sanzioni in vigore aumenterebbe ulteriormente la pressione sul regime cubano, pressione che alla fine potrebbe sfociare nel suo crollo e nella liberazione del popolo cubano dai suoi oppressori comunisti.

Con Coughlin è redattore del Daily Telegraph dove si occupa di difesa e affari esteri, ed è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.
Prima l'uomo poi caso mai anche gli idoli e solo quelli che favoriscono la vita e non la morte; Dio invece è un'altra cosa sia dall'uomo che dai suoi idoli.
Avatar utente
Berto
Site Admin
 
Messaggi: 38318
Iscritto il: ven nov 15, 2013 10:02 pm

Precedente

Torna a Diritti e doveri umani naturali e universali

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 3 ospiti

cron