3) il matrimonio forzato delle bambine e delle giovaniSi tratta di una violenza disumana, incivile e intollerabile al pari dello stupro, dell'infibulazione, della costrizione alla sottomissione e della schiavitù della donna, da condannare in maniera assoluta.
Saman Abbas e i sacrifici umani sull'altare della barbarie multiculturaleGiulio Meotti
8 giugno 2021
https://meotti.substack.com/p/saman-abb ... sullaltare Saman Abbas è diventata un altro numero. 1,2 miliardi di ragazze. E’ il numero di donne che saranno costrette in matrimoni forzati nel mondo entro il 2050. In Europa è una piaga ormai endemica e ci sono già le “vergini suicide”, le ragazze che si uccidono per sfuggire a un matrimonio forzato. Saman è stata uccisa per essere sfuggita al suo matrimonio forzato.
“Siano i sobborghi di Parigi, i distretti di Amburgo o città come Luton nel Regno Unito, le ‘comunità sospese’ sono rafforzate da decenni di ideologia multiculturale sbagliata che manca di un ingrediente fondamentale: il fine dell’acculturazione e dell’assorbimento della società” scrive Andrew Michta, storico di fama e preside del Marshall Center in Germania, sull’American Interest. “L’emergere di queste énclave, rafforzate dalle politiche dell’élite del multiculturalismo e dalla decostruzione del patrimonio occidentale, ha contribuito alla frattura delle nazioni dell’Europa occidentale”. Dobbiamo aggiungerci anche la provincia italiana, dove di Saman se ne contano ormai tante, troppe.
1.200 casi di matrimonio forzato avvengono in Inghilterra ogni anno. Delle 1.196 denunce gestite dall'Unità per i matrimoni forzati (FMU) del governo, più di un quarto riguarda ragazze di età inferiore ai 18 anni. Istituita nel 2005, la FMU è gestita congiuntamente dal Ministero degli Interni e dal Ministero degli Esteri. Dal 2012, la struttura ha fornito supporto a 1.200-1.400 casi ogni anno.
In Svezia, dove i matrimoni forzati sono 70.000, è talmente diffuso che si consiglia alle ragazze che temono di essere portate all'estero per matrimonio forzato di infilarsi un cucchiaio nelle mutande prima di passare i controlli di sicurezza dell'aeroporto. Al personale aeroportuale di Göteborg è stato detto come reagire in tali circostanze, ha affermato Katarina Idegard, incaricata di contrastare la violenza basata sull'onore nella seconda città più grande della Svezia. "Il cucchiaio attiverà i metal detector quando superi i controlli di sicurezza. Sarai presa da parte e potrai quindi parlare con il personale in privato. È un'ultima possibilità per dare l'allarme”.
250 matrimoni forzati con ragazze minorenni avvengono ogni anno in Olanda. In Belgio i numeri sono triplicati. In Italia riguarda 2.000 ragazze secondo un rapporto presentato alla Camera. In Francia il matrimonio forzato riguarda un totale di 200.000 donne. In un solo anno la Germania ha registrato 3,443 casi di matrimonio forzato.
Erano partiti tutti con le migliori intenzioni, ciascun paese europeo con la propria ricetta. Ma sono arrivati tutti allo stesso risultato. A un relativismo assoluto, in cui il multiculturalismo si è rivelato un cavallo di Troia per imporre nelle nostre società un sistema giuridico islamico parallelo.
La sharia è già qui!
Saman Abbas e le altre vittime del relativismo culturale Anna Bono
9 giugno 2021
https://www.atlanticoquotidiano.it/quot ... culturale/ Lord William Henry Cavendish-Bentinck, governatore inglese dell’India dal 1828 al 1835, appena arrivato a Calcutta decise di mettere fine al sati, istituzione indù che richiedeva alle vedove di suicidarsi bruciando vive sulla pira funebre dei mariti, e decretò la pena capitale per chi fosse coinvolto nella morte di una vedova per averla costretta o persuasa a suicidarsi. Si narra che una delegazione di notabili indiani gli chiese udienza: “non ci potete proibire il sati, è una nostra tradizione”, gli dissero. “Lo capisco – rispose il governatore – e noi condanniamo a morte chi brucia viva una donna: è una nostra tradizione”.
Erano altri tempi. Quando negli anni ’90 del secolo scorso si scoprì che in Italia centinaia di bambine somale e di altre nazionalità ogni anno venivano sottoposte a interventi di mutilazione dei genitali – una istituzione diffusa in molti paesi africani e mediorientali – l’allora ministro della solidarietà sociale Livia Turco ne parlò come di una “irrinunciabile identità culturale” e come di un “atto d’amore”, spiegando che il governo era attento al significato culturale dell’istituzione e di essere disposta a prendere in considerazione l’adozione di leggi specifiche contro le mutilazioni genitali femminili se però richiesto dalle comunità di stranieri residenti in Italia. C’erano antropologi, all’epoca, che nelle aule universitarie ammonivano studenti e colleghi dicendo: “che diritto abbiamo noi di giudicare culture diverse dalla nostra?”. Alla fine una legge specifica fu varata, ma solo nel 2006, durante il III Governo Berlusconi.
Adesso che una giovane pakistana residente in Italia, Saman Abbas, è vittima (e non è neanche la prima) di due tradizioni – il matrimonio combinato/forzato e l’omicidio d’onore – nessuno prende le parti dei famigliari che prima le hanno imposto le nozze e poi, al suo rifiuto, l’hanno uccisa. Però si registrano molti significativi silenzi e c’è chi accusa l’islam, ma quello radicale. Quasi nessuno sembra rendersi conto che il matrimonio combinato ed eventualmente imposto è una istituzione presente in quasi tutte le società arcaiche dove la tradizione assegna alle famiglie non solo il diritto, ma il compito di decidere quando e con chi i figli, soprattutto le femmine, si devono sposare. Un figlio disobbediente che si ribella alla decisione dei genitori su una questione così importante come il matrimonio merita di essere punito e deve esserlo, se necessario con la morte.
Noi lo chiamiamo omicidio oppure delitto d’onore, ma per chi lo commette è una punizione necessaria, un atto doveroso nei confronti della famiglia lesa, per restituirle dignità e rispetto agli occhi dei parenti e della comunità. L’onore di una famiglia si ritiene compromesso quando i suoi componenti non obbediscono al capofamiglia, dimostrando al mondo che manca dell’autorità e della determinazione necessarie a farsi rispettare. Per il decoro e la stima famigliare si ritiene che i capifamiglia abbiano il dovere di vegliare sul comportamento dei congiunti, in particolare di donne e bambini, di punirli a discrezione se lo ritengono giusto. Dove è l’islam a definire le regole di buon comportamento, le donne inoltre, siano esse mogli, figlie, sorelle, non devono suscitare dubbi sulla loro modestia e sulla loro integrità fisica e morale intrattenendo rapporti inappropriati con uomini estranei alla famiglia: a seconda dei contesti, si ritiene inappropriato, disonorevole, un semplice contatto fisico o anche solo un incontro, uno scambio di parole senza la presenza di terze persone.
Non sempre chi si trasferisce altrove, tra gente che vive sotto altre regole e valori, si lascia alle spalle le istituzioni della sua tradizione. Ai nostri occhi Saman è la vittima, chi l’ha uccisa il colpevole. Invece agli occhi dei suoi parenti, è lei che ha commesso un delitto, che si è macchiata di una grave colpa. Vittime innocenti sono i suoi genitori e gli altri suoi famigliari sui quali ingiustamente ricade l’onta del suo comportamento.
Si è sperato per settimane che fosse viva, che fosse riuscita a fuggire. Qualche volta succede. Ayan Hirsi Ali, somala, fondatrice della AHA Foundation, oggi uno dei più autorevoli esperti di islam, aveva 26 anni e viveva in Kenya quando suo padre l’ha informata del suo matrimonio per procura con un cugino residente in Canada. Il volo dal Kenya al Canada faceva scalo a Francoforte. Lei ne ha approfittato per scendere e chiedere asilo. Waris Dirie, somala anche lei, ex top model tra le più affermate, impegnata contro le mutilazioni genitali femminili che lei stessa ha subito, aveva 12 anni quanto il padre le ha presentato un uomo anziano dicendole che qualche giorno dopo sarebbe diventata sua moglie. È scappata di notte, percorrendo chilometri nella savana, riuscendo miracolosamente a raggiungere la capitale Mogadiscio dove una zia materna impietosita ha rifiutato di riconsegnarla al padre e al suo destino. Entrambe sono state disconosciute dal padre.
Lord Cavendish-Bentinck in India proibì anche l’infanticidio delle figlie e i sacrifici umani. Ma in India si continuano a uccidere le neonate e sono in aumento gli aborti selettivi. Secondo un nuovo studio pubblicato ad aprile sulla rivista scientifica Lancet, nel trentennio tra il 1987 e il 2016 all’appello mancano circa 22 milioni di bambine, con un aumento di aborti e infanticidi del 60 per cento nel decennio 2007-2016.
Se non in India, i sacrifici umani sono tuttora praticati in molti stati africani. Le vittime sono quasi sempre i bambini e gli albini di ogni età. Si ritiene infatti che con gli organi degli albini gli stregoni confezionino i talismani più potenti che garantiscono successo e fortuna. Un singolo organo, ad esempio una gamba, un occhio, le labbra, il cuore, viene pagato fino a 2.000 dollari e un corpo intero vale circa 65-70.000 dollari. I paesi in cui gli albini corrono più pericoli sono il Tanzania, il Mozambico, l’Uganda e il Malawi. Il rischio di essere rapiti o venduti dai famigliari e uccisi aumenta in certi periodi: ad esempio, all’approssimarsi di un appuntamento elettorale allorché i candidati cercano di aumentare la probabilità di essere eletti ricorrendo alla stregoneria. L’Uganda ha varato a maggio una legge contro i sacrifici umani, la Prevention and Prohibition of Human Sacrifices Bill 2020.
Saman Abbas, Renzi sceglie il vocabolario di Salvini. Si indigna per i diritti delle donne violati, ma in Arabia se ne dimentica sempre8 giugno 2021
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/0 ... e/6223787/ Sembra Salvini ma non è. È l’altro Matteo, così lontano, così vicino. Renzi sulla questione – delicatissima – di Saman Abbas, la 18enne sulla cui scomparsa è aperta un’inchiesta per omicidio premeditato che coinvolge i familiari, non solo smarrisce tutto il vocabolario del garantismo e della presunzione d’innocenza che riserva ad altre circostanze e ad altre inchieste, ma segue pedissequo tutte le impronte leghiste, soprattutto la mira un po’ sbilenca quando nella sua newsletter spiega che la ragazza è stata uccisa “perché voleva vivere all’Occidentale“, cioè la semplificazione estrema di una questione molto più complessa (vecchio trucchetto dei populisti, lui che dice di combatterli). Ora Renzi rivendica la libertà per le donne così come garantita dalla Costituzione, circostanza che si è sempre dimenticato di ricordare nei suoi incontri dietro compenso con i maggiorenti dell’Arabia Saudita, dove i diritti delle donne sono tutt’altro che garantiti.
Il tema è così imponente – a sentire tutti i partiti che oggi fanno dichiarazioni – che la politica ne parla solo ora, dopo l’ennesima vittima. Eppure era il 2018 quando un reportage di FqMillennium raccontava il servizio di protezione per aiutare le ragazze che vogliono sottrarsi ai matrimoni imposti dalla famiglia d’origine. Se su Saman Abbas Renzi parla come Salvini, dall’altra parte a ilfattoquotidiano.it Tiziana Dal Pra, fondatrice dell’associazione Trama di Terre che aiuta le ragazze dopo che scelgono di rifiutare l’imposizione del matrimonio, aveva spiegato che è riduttivo sostenere che queste giovani non si ribellano per “imitare l’Occidente“, ma “perché una donna ha diritto di dire no“. Sono “vittime di violenza di genere” e quindi non si può sbrigare tutto alla “arretratezza culturale”. E proprio per questo, diceva Dal Pra, la sinistra deve “battere un colpo” perché spesso è paralizzata dalla paura di poter essere additata come “razzista”. Ilfatto.it aveva raccolto peraltro un’esortazione analoga dalla consigliera comunale del Pd a Reggio Emilia Marwa Mahmoud: “Il partito prenda posizione – aveva detto – La destra strumentalizza? Temo di più il silenzio della sinistra”. Scrive oggi Erasmo Palazzotto, di Sinistra Italiana: “Saman andava protetta, dai suoi genitori che erano chiaramente un pericolo per la sua incolumità e da una pratica, quella dei matrimoni forzati, che in Italia è un reato punito con la reclusione. Perché si è interrotto l’affidamento ai servizi sociali senza alcuna tutela alternativa? E’ di questo che siamo responsabili, del non garantire tutela a chi vive condizioni di pericolo e della timidezza con cui evitiamo di combattere barbare pratiche patriarcali ovunque e da chiunque siano perpetrate”. Antonella Veltri, presidente di DiRe (Donne in rete contro la violenza), sottolinea: “I matrimoni forzati sono una delle forme della violenza contro le donne riconosciute dalle Nazioni Unite, oggetto di campagne di prevenzione da decenni, che conferma ancora una volta quanto la violenza di genere sia un fenomeno strutturale nelle società modellate dalla cultura patriarcale“.
Toni diversi sceglie, appunto, l’ex presidente del Consiglio Renzi: “Se le cose sono andate così (cioè se davvero lo zio ha ucciso Saman Abbas, ndr), quell’uomo – anzi, quell’animale – va preso ovunque sia in Europa e assicurato senza sconti di pena alle patrie galere. Va preso, subito, ovunque sia. Lo Stato è più forte delle bestie e deve dimostrarlo”. Animale, bestie, senza sconti di pena. Tutto rimanda al codice comunicativo di Salvini quando – anche lui solo in certi casi – parla di “marcire in galera“, “buttare via la chiave” e le altre espressioni simboliche del cosiddetto “populismo penale” contro il quale Renzi è solito battersi, almeno davanti ai microfoni.
D’altra parte il ragionamento di Renzi non è smentibile quando dice che “non esiste integrazione senza il rispetto della Costituzione” e che l’Italia deve offrire “a tutte le ragazze che vogliono vivere qui la possibilità di farlo in libertà”. E visto che parla il capo, tutti dietro, di testa. Interviene oggi per esempio il sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto che dice che “è un fenomeno che preoccupa molti Paesi occidentali” e che “integrarsi non significa solo avere un lavoro e pagare le tasse ma anche rispettare i valori che sono propri della nostra comunità, la parità tra uomini e donne, la laicità dello Stato”. Anche qui i principi dell’ex premier e dei suoi compagni del mini-partito valgono a corrente alternata. Di certo non in Arabia Saudita, dove Renzi è solito fare lo sparring partner a pagamento nelle interviste al principe ereditario Mohammed bin Salman, ritenuto responsabile (da un dossier della Cia) dell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, che come noto fu ucciso nel consolato saudita a Istanbul: il suo corpo poi fu fatto a pezzi. In quel caso, in quell’intervista a Bin Salman, nessun epiteto, nessun riferimento alle bestie.
Luca Ricolfi sul caso di Saman Abbas: "Se ne parla poco? La sinistra ha sempre un occhio di riguardo per l'islamLorenzo Mottola
2 giugno 2021
https://www.liberoquotidiano.it/news/pe ... islam.html Non sembra sollecitare troppo interesse la triste storia di Saman Abbas, la ragazza sparita a Novellara, a una ventina di chilometri da Reggio Emilia. Il silenzio della sinistra e delle associazioni che si occupano dei diritti delle donne si fa sempre più assordante, ma qual è il motivo di questo silenzio? C'è "una ragione buona e una cattiva" suppone il sociologo Luca Ricolfi, intervistato da Il Giorno. "La ragione buona è che, al momento, non si sa come siano andate effettivamente le cose, e neppure se la ragazza pachistana sia viva o morta. La ragione cattiva è che la sinistra ha un occhio di riguardo per l'Islam, e teme che i lati più imbarazzanti di quella cultura, e in particolare il suo modo di trattare la donna, compromettano il progetto politico di diventare i rappresentanti elettorali di quel mondo, grazie all'allargamento del diritto di voto agli immigrati".
"Temo che anche se vi fosse la certezza che Saman è stata uccisa dai familiari, un velo pietoso verrebbe steso sulla vicenda, meno interessante di quella di qualche aspirante attrice molestata da registi o produttori". Il sociologo spiega poi il ruolo del "politicamente corretto" all'interno della questione: "È paradossale, ma il politicamente corretto - nato per combattere le discriminazioni - sta diventando, oggi, uno dei meccanismi attraverso cui passano nuove e meno visibili forme di discriminazione". "Concedendo una protezione speciale a una serie di presunte minoranze (l'Islam è solo una di esse)" spiega l'accademico "si finisce per attenuare le garanzie e indebolire le tutele nei confronti di quanti hanno la sola colpa di non far parte di alcuna categoria protetta".
"Non solo" sottolinea Ricolfi "ma si viene a instaurare una sorta di presunzione di innocenza, o di responsabilità attenuata, per chiunque commetta reati ma abbia il vantaggio di far parte di una categoria protetta. Con tanti saluti al principio per cui dovremmo essere giudicati per quel che facciamo, non per quello che siamo". L'integrazione dovrebbe contemplare l'obbligo di rispettare i diritti umani. "Altrimenti non è integrazione, ma mera concessione (agli stranieri) di spazi di impunità cui nessuna comunità nazionale può aspirare (salvo forse alcune sette religiose semi-clandestine). Bisogna ammettere però, che da oltre mezzo secolo (più o meno dall'era delle decolonizzazioni), questo è un nodo irrisolto della cultura occidentale, e di quella europea in particolare" sostiene Ricolfi.
"Se da bravo antropologo, aperto e non eurocentrico, dici che ogni cultura va giudicata con i suoi metri e non con quelli di un'altra, se continui a proclamare che 'loro' non sono primitivi ma solo diversi da noi, e che ogni usanza, rito o costume ha la sua dignità e la sua ragion d'essere, esercizio in cui la civiltà occidentale si è prodigata per decenni e decenni, se fai tutto questo, beh, allora è un po' difficilino pretendere che loro rispettino i diritti umani, che in fondo non sono verità rivelate, ma un costrutto contingente e 'storicamente determinato' (così avrebbe detto Marx) della nostra civiltà occidentale" spiega il sociologo.
E per quanto riguarda alcune tradizioni islamiche, come l'infibulazione delle ragazze e l'obbligo di sposare giovani scelti dalle famiglie? "Il problema è che noi non abbiamo il coraggio di dirgli la verità, ovvero quel che davvero la maggior parte di noi pensa: e cioè che, per noi, certi loro costumi sono barbari. E che se vogliono vivere con noi possono mangiare quel che vogliono, pregare il Dio che gli pare, vestirsi come gli aggrada, ma non può esserci alcun comportamento che sia proibito a un italiano e permesso a loro" conclude Luca Ricolfi.
I genitori pakistani, lo zio con la pala: la famiglia sotto accusaRosa Scognamiglio
7 giugno 2021
https://www.ilgiornale.it/news/cronache ... 52692.htmlSono cinque le persone iscritte nel registro degli indagati per omicidio premeditato e occultamento di cadavere della 18enne Saman Abbas, la giovane di origini pachistane, residente a Novellara, di cui si sono perse le tracce dallo scorso 30 aprile. Si tratta di Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, rispettivamente il padre e la mamma della ragazza; lo zio Danish Hasnain e due cugini, uno dei quali risponderebbe al nome di Ikram Ljaz. Dell'altro, invece, non sono ancora state diffuse le generalità.
Shabbar Abbas, 47 anni
Shabbar Abbas e Nazia Shaheen
Shabar Abbas, 47 anni, e Nazia Shaheen, 46 anni, sono indagati per "concorso morale e materiale" nel presunto omicidio della giovane Saman. A gettare ombra sulla coppia è un video risalente alla sera del 30 aprile, l'ultimo giorno in cui - verosimilmente - la 18enne sarebbe stata ancora in vita. Il filmato, recuperato dalle telecamere di sorveglianza dell'azienda agricola di Novellara presso cui erano impiegati gli Abbas, si vede Saman uscire di casa - con uno zaino di colore chiaro in spalla - insieme ai genitori per dirigersi nei campi dietro casa. Qui, secondo gli investigatori, sarebbe stata consegnata allo zio, Danish Hasnain, ritenuto l'esecutore materiale dell'omicidio. Dopo dieci minuti, infatti, i coniugi Abbas rientrano in casa comparendo davanti alle telecamere senza Saman. Poco dopo, Shabbar esce ancora di casa, si dirige per una seconda volta nei campi e poi, ritorna nuovamente nell'abitazione. Ma stavolta con lo zainetto che indossava la figlia poco prima. In quel lasso di tempo, ipotizzano i carabinieri, la giovane sarebbe stata ammazzata.
Danish Hasnain, 33 anni
Danish Hasnain
Danish Hasnain, 33 anni, è ritenuto "l'esecutore materiale" del delitto. Si tratta di una delle tre persone, munite di pale secchi, che compaiono nel video del 29 aprile, il giorno precedente al presunto omicidio. Stando a quanto riferisce la Gazzetta di Reggio, la sera dell'esecuzione, Hasnain si sarebbe mosso con freddezza. "Ora andate a casa, ora ci penso io", avrebbe detto ai genitori della diciottenne, Shabbar e Nazia Shaheen. A rivelarlo sarebbe stato il fratello minore di Saman, ascoltato dal gip Laura Galli. Secondo il racconto del 16enne, il papà si sarebbe "sentito male" dopo aver lasciato andare la ragazza. Tuttavia, avrebbe avuto timore di ritrarsi ritenendo Danish capace di sterminare la famiglia. Del resto, proprio a lui si erano affidati per risolvere "il problema della figlia" che aveva trasgredito i dettami pachistani. Quando Danish rientra in casa, non ha nulla in mano e da questo il sedicenne deduce che la sorella sia stata uccisa con lo strangolamento.
Ikram Ijaz, 28 anni
I due cugini
Sono quelli che, insieme allo zio di Saman, avrebbero "scavato la fossa" in cui seppellire la cugina il giorno dopo. Uno dei due si chiama Ikram Ijaz; dell'altro, invece, non sono ancora state fornite le generalità. Ikram Ijaz è stato intercettato a Nimes, dalla polizia francese, il 21 maggio scorso, dopo che su di lui era spiccato un mandato di arresto europeo. Il 28enne era stato fermato mentre tentava la fuga verso la Spagna a bordo di un autobus Flexibus partito da Parigi e diretto a Barcellona. Il 29 maggio, il fermo si era poi tramutato in arresto mentre si trovava in un centro di identificazione per cittadini stranieri. Lo scorso 3 giugno, la Procura di Reggio Emilia ha ottenuto l'okay per l'estradizione. Ijaz è ritenuto responsabile, in concorso, dell’omicidio e dell’occultamento di cadavere della giovane Saman.
Quante ragazze devono finire sottoterra affinché noi possiamo continuare a fare gli struzzi?Giulio Meotti
7 giugno 2021
Un fotogramma del film “Submission”, sceneggiato da Ayaan Hirsi Ali e costato la vita al regista Theo van Gogh
https://meotti.substack.com/p/quante-ra ... sottoterraIl primo video aveva mostrato il padre, la madre e Saman Abbas dirigersi verso i campi dietro casa. Adesso il racconto del fratello della ragazza (“lo zio l’ha strangolata”) che si era opposta a un matrimonio combinato. Danish Hasnain, accusato dalla Procura di avere ucciso Saman, è nei fotogrammi diffusi oggi dagli inquirenti, che mostrano tre persone - con due pale e un secchio, con un sacchetto azzurro e un piede di porco - dirette ai campi sul retro della casa di Novellara, per rientrare dopo due ore e mezza.
Il mese scorso è uscito un libro straordinario purtroppo ignorato da tutti i media italiani, Prey, scritto da Ayaan Hirsi Ali, somala, ex parlamentare olandese, saggista, condannata a morte dagli islamisti e oggi riparata negli Stati Uniti. Ne traduco alcuni brani sui “delitti d’onore”, come quello che si teme sia stato consumato contro Saman Abbas, e che sono il volto oscuro dell’“industria dell’integrazione”, come la chiama Ayaan Hirsi Ali. Il paragone che la sceneggiatrice di Submission stabilisce fra le donne oggi in Europa e quelle del mondo musulmano prima che gli islamisti salissero al potere è agghiacciante e dovrebbe essere imparato a memoria dai nostri multiculturalisti.
La pratica è difficile da misurare, ma ci sono alcune statistiche. Nel Regno Unito sono stati registrati 18 delitti d'onore. In Germania, i ricercatori del Max Planck Institute hanno identificato 20 delitti d'onore. In Canada, un rapporto del Dipartimento di Giustizia ha rilevato che ci sono stati almeno una dozzina di omicidi che sembrano essere stati commessi in nome dell'“onore”. Uno studio della mia organizzazione, la Fondazione AHA, e il John Jay College ha stimato che ogni anno negli Stati Uniti si verificano tra i 23 e i 27 delitti d'onore.
A ragione, la violenza d'onore è stata descritta come crimine organizzato. Famiglie e comunità cospirano per intrappolare le ragazze che si ritiene abbiano violato il codice morale e punirle. Pensa alla tua stazione di polizia che riceve una chiamata di emergenza. È stato commesso un omicidio. La polizia si precipita sul posto, pronta per uno scontro pericoloso. Invece, una famiglia saluta la polizia, con uno dei loro morti sul pavimento in una pozza di sangue; l'assassino è un adolescente, a causa della clemenza mostrata nei confronti della condanna dei minori negli ordinamenti giuridici europei. È una scena del crimine, eppure non c'è quasi nulla su cui indagare. Lì, di fronte a te, ci sono la vittima, l'arma del delitto, l'assassino pronto a confessare e tutti i testimoni che dovrai chiamare. Caso chiuso.
Se hai servito tali comunità abbastanza a lungo, sai che i testimoni sono in realtà complici del delitto d'onore. Nei Paesi Bassi, ad esempio, sono stati segnalati circa cinquecento casi di violenza d'onore, 17 di questi casi sono culminati in un omicidio. Le altre centinaia di casi hanno riguardato varie forme di minacce, coercizione, abusi fisici come percosse e persino stupro.
Molte donne minacciate di violenza d'onore cercano riparo nei rifugi per le donne. Quando ho lavorato come traduttrice nei rifugi olandesi, ho osservato la sovrarappresentazione delle donne musulmane in cerca di sicurezza. Ricercatori olandesi hanno scoperto che il 59 per cento delle donne nei rifugi per donne era di origine non olandese; molte di queste donne sono musulmane. L'incidenza della violenza d'onore ha raggiunto un livello tale in Olanda che le autorità hanno preso in considerazione l'idea di estendere il programma di protezione dei testimoni a quelle donne. In Danimarca, il 50 per cento delle donne nei centri di accoglienza per violenza domestica sono immigrate.
Non dimenticherò mai quando fui chiamata a tradurre una donna al Leiden University Medical Center nei Paesi Bassi. Il marito l’aveva ripetutamente presa a calci nel ventre. Era incinta di trentasette settimane del primo figlio. All’ospedale, il gonfiore sul viso era tutto ciò che si poteva vedere. Non c'era niente da tradurre. Gli unici suoni che poteva emettere erano gemiti di dolore. Nella sala d'attesa, il padre mi disse che se una donna disobbedisce al marito accadono cose brutte…
(…)
Margaret Atwood ha pubblicato ‘The Handmaid's Tale’ nel 1985 per avvertire che i cristiani evangelici americani potrebbero un giorno riuscire a stabilire un regime patriarcale negli Stati Uniti - o almeno in una parte di esso, dato che ‘Gilead’ dovrebbe essere il New England. La maggior parte dei suoi lettori sembra non aver notato che qualcosa di molto simile era già accaduto nel mondo musulmano quando gli ideologi religiosi presero il potere negli anni '70 e '80 in Afghanistan, Iran, Arabia Saudita e Somalia. Le distopie islamiche hanno cambiato completamente le condizioni delle donne in questi paesi e che avevano goduto almeno di alcune delle libertà delle donne occidentali.
Vale la pena guardare le fotografie delle donne a Kabul negli anni '60. Queste immagini sono ora reliquie di prima che le libertà delle donne fossero cancellate dall'oppressione religiosa dei talebani. Mostrano giovani donne con maglioni aderenti; donne in abiti a righe con le braccia scoperte, le gambe visibili dal ginocchio in giù; donne che camminano per le strade senza accompagnatori, con acconciature anni '60 e pettinature alla Jackie O; ragazze sedute accanto ai ragazzi nelle aule di scuole e università. Con l'imposizione dell'autocrazia islamica negli anni '90, le donne e le ragazze furono costrette a lasciare le scuole, molestate in strada, avvolte nei burka e confinate nelle loro case per allevare la prossima generazione di jihadisti. I talebani hanno riportato indietro il tempo per le donne afgane.
Qualcosa di simile era già successo in Iran, dove la rivoluzione islamica del 1979 aveva spazzato via i diritti delle donne. Sotto il regime dello scià - che era autocratico e repressivo in altri modi - le donne persiane avevano ballato sulla musica pop psichedelica in pantaloni a campana e hot pants. Si muovevano liberamente senza veli per le strade di Teheran. Oggi le loro figlie e nipoti sono perseguitate dai Basij (polizia religiosa) e imprigionate per essersi tolte l'hijab o aver ballato in pubblico.
Le donne saudite più anziane ricordano ancora di quando potevano camminare da sole in pubblico, con i capelli scoperti, e socializzare con gli uomini nei ristoranti. Allo stesso modo, i diritti delle donne in Egitto hanno fatto un passo avanti e due indietro. Nel 1953, il presidente Gamal Abdel Nasser suscitò risate esilaranti quando disse a un pubblico egiziano che i Fratelli Musulmani volevano obbligare tutte le donne a indossare l'hijab in pubblico. Più a sud, in Somalia, la stessa storia.
Negli anni '70, ricordo che gli uomini si mescolavano comodamente con le donne vestite all'italiana o con abiti trasparenti con la pancia scoperta. Negli anni 90, dopo aver preso il controllo del sistema delle madrasse e delle scuole coraniche, i Fratelli musulmani sono passati dalle frange al mainstream. Oggi le donne somale si muovono con timore, coperte dalla testa ai piedi.
Tutte queste società erano ancora molto indietro rispetto all'Occidente negli anni '70. Non sto predicendo che le donne europee incontreranno esattamente lo stesso destino. È improbabile che la storia torni così indietro in Svezia o in Germania come ha fatto in Iran e in Somalia. Eppure la recente ondata di violenza sessuale in Europa sta sottilmente ma innegabilmente cambiando in peggio la natura della vita delle donne in Europa. L'incapacità di resistere a una cultura sciovinista che sta invadendo spinge le donne fuori dalle strade di alcune parti di Stoccolma, Berlino e Parigi. Vogliamo un'Europa in cui le fotografie della vita femminile scattate prima del 2015 diventano oggetti di fascino? Se vogliamo evitarlo, dobbiamo immaginare la Vecchia Europa come ‘Gilead’.
Ritanna Armeni: "Non abbiamo detto nulla su Saman per un razzismo sottile"Nicola Mirenzi
6 giugno 2021
https://www.huffingtonpost.it/entry/rit ... 0b577db74aLa prima donna che Ritanna Armeni ha interrogato sul silenzio che ha circondato la storia di Saman Abbas è se stessa: “Sento ancora il rimorso per non aver detto nulla sulla scomparsa di questa ragazza di origine pakistana, che gli inquirenti ormai ritengono quasi certo sia stata uccisa dalla propria famiglia, in provincia di Reggio Emilia, dopo essersi rifiutata di accettare un matrimonio combinato. È stata un’omissione, un peccato che considero grave. Mi sono chiesta perché, appresa la notizia, non è scattato dentro di me nulla. Come se non mi riguardasse. Come se fosse altro dalla mia vita. Come se avesse a che fare solo e soltanto con il modo di vivere di questa famiglia di immigrati. Roba loro. La risposta che ho trovato non è stata gradevole. Ed è questa. Credo abbia agito dentro di me, come dentro molte altre donne, una forma sottile di razzismo, certamente inconsapevole, ma – seppur sottile – razzismo”.
Sul suo profilo Facebook, Ritanna Armeni – giornalista e scrittrice che racconta nei suoi libri la dimensione femminile della storia, da ultimo con il romanzo “Per strada è la felicità” (Ponte alle Grazie) – ha scritto che niente giustifica “noi femministe” per la mancanza di attenzione alla vita di questa diciottenne, arrivata in Italia nel 2015 e andata via di casa dopo aver opposto il suo rifiuto al matrimonio con un cugino che vive in Pakistan, e poi tornata – questa è l’ipotesi al momento più accreditata – per riprendere la propria carta d’identità e andarsene via definitivamente, probabilmente all’estero, insieme a un ragazzo, anche lui pakistano, di cui si era innamorata.
Perché parli di “razzismo sottile”?
Perché già nel linguaggio è evidente la disparità di trattamento. Qui non si è nemmeno usato il termine che sempre usiamo in questi casi – femminicidio –, come se per una donna di origine pakistana il concetto non valesse, quasi fosse una categoria che si può usare solo se ci va di mezzo la vita di una donna bianca e occidentale. Basta questo – il modo in cui abbiamo usato la lingua – per rendersi conto che c’è dietro un senso di estraneità ingiustificabile e ingiusto.
Hai chiamato in causa anche le altre donne, quelle che denunciano le molestie e le prevaricazioni sul lavoro.
L’ho fatto perché l’uccisione di Saman e le proteste per le limitazioni della libertà delle donne, ovunque esse avvengano, non dovrebbero essere due faccende separate. Le donne dovrebbero avere la capacità di legarle, nelle loro battaglie. D’altronde il legame – che è la condizione della donna, al di là della sua origine, del suo credo, della sua condizione economica e sociale – è così evidente che sono incredula nel pensare che sia stato così clamorosamente ignorato.
Ma non c’è anche una gerarchia? Un conto è molestare una donna, un altro conto è ucciderla.
Credo che una graduatoria andrebbe fatta. Ci sono delle violenze che sono più gravi delle altre. È un’affermazione così evidente che è inutile ora, qui, fare una casistica. Il problema è che se tu protesti con forza per le molestie che ti fanno per strada, però non dici una parola sull’uccisione di una donna di origine pakistana, in circostanze peraltro così atroci, togli forza anche alle battaglie che fai sulle molestie. Si depotenzia tutto, se non trovi un filo che leghi questi fatti.
Saman, da quel che si capisce, ambiva alla libertà delle donne occidentali.
E questo è l’altro elemento tremendo di questa storia. Ho visto le foto che mostrano com’è cambiato il suo modo di vestire: la si vede con indosso il velo, e poi con i lunghi capelli ricci, sciolti, il viso truccato, il piercing al naso: era chiaro che desiderava godere delle libertà che le battaglie delle donne hanno conquistato nel nostro mondo. E questo fa ancora più male. Perché lei voleva far parte della società che abbiamo costruito. E noi, invece, le abbiamo sbattuto la porta in faccia.
Marwa Mahmoud, consigliera italo-egiziana del Pd, ha detto che la sinistra ha paura di parlare di queste vicende perché teme di essere accusata di razzismo. Tu sei anche una donna di sinistra. Pensi sia vero?
Ci ho pensato, a questa cosa. E sono arrivata a questa conclusione: che non me ne frega niente dell’accusa di razzismo. Anche a noi donne, negli anni Settanta, dicevano di stare attente, perché creavamo divisioni nel nostro campo e così aiutavamo la destra: sono sempre le solite balle. Io penso che sia stato uno scandalo il silenzio sulla storia di Saman. Penso che fosse necessario intervenire. E penso che se qualcuno avesse usato il nostro intervento in maniera strumentale, per colpire gli immigrati in quanto tali, non si doveva far altro che intervenire di nuovo e denunciare la strumentalizzazione.
Voi donne degli anni Settanta, però, i problemi dell’immigrazione non li avevate: non è difficile conciliare la libertà delle donne e il riconoscimento delle culture diverse da quella occidentale?
Sarebbe ingenuo rispondere che è semplice. Non lo è affatto. Ma credo che ci siano anche dei principi che ci possono orientare quando ci addentriamo dentro questi problemi. Per esempio, non mi stupirebbe se si scoprisse che il padre di Saman lavorava nei campi per la metà del salario che danno a un italiano. Questo – non c’è dubbio – farebbe di lui un lavoratore sfruttato. Ma l’essere tale non lo autorizza certo a uccidere sua figlia. La battaglia per i suoi diritti e per quelli di Saman non sono in contraddizione. Non c’è ragione perché una cosa escluda l’altra.
Hai scritto che il silenzio che c’è stato su questa storia ti ha messo in crisi.
Sì. Non mi sono piaciuta. E non mi è piaciuto questa assenza di parole.
Ma la parola, l’intervento, non potrebbe essere anche, e solo, un modo per lavarsi la coscienza?
Non credo. Qualcosa si è mosso, invece. Molte donne mi hanno chiamata dopo aver letto quello che ho scritto su Facebook. Non si tratta di sentirsi bene con se stessi e poi tornare serenamente a farsi gli affari propri. Questa è una battaglia politica. E le battaglie politiche, spesso, iniziano dicendo: “Così non va. Ora basta”.
Sinistra collusa con i nazi maomettaniLe esternazioni della giornalista Ritanna Armeni sul caso della giovane pakistana Saman Abbas, assassinata dalla sua famiglia, offrono un bello spunto per approfondire la psiche, le incertezze, le contorsioni mentali delle femministe di oggi che stentano ad afferrare la realtà effettuale, rimaste come sono alle battaglie ideologiche veterocomuniste.
https://www.facebook.com/groups/3168285 ... 0395061752La Armeni sostiene di provare “rimorso per non aver detto nulla” sulla scomparsa della ragazza. La sua prima reazione è stata infatti una non reazione: “non è scattato dentro di me nulla”, afferma. E aggiunge che ha subito considerato il fatto “come qualcosa che avesse a che fare solo e soltanto con il modo di vivere di questa famiglia di immigrati”. Considera questo suo atteggiamento “una forma sottile di razzismo”.
Da ciò si deduce come il giudizio su atti criminali appaia all’occhio della sinistra di gravità diversa a seconda di chi lo ha compiuto. Siamo abituati ormai a questo atteggiamento: un delitto non è considerato di per sé, nella sua efferatezza oggettiva, ma sempre inserito in un ambiente che, vuoi per il disagio sociale, vuoi per la “cultura” di base di chi lo ha commesso, ne attenua la gravità, e quindi non è considerato mai dello stesso peso. Le attenuanti poi si sprecano naturalmente per i “beniamini” della sinistra, vale a dire africani, soprattutto se islamici, migranti e altri noti.
Il ragionamento che la giornalista fa è questo: noi femministe consideriamo “femminicidi” solo i casi che riguardano donne bianche e occidentali e ciò è ingiusto. E qui non possiamo che essere d’accordo su questa sfasatura che appare ben evidente.
Invece, sostiene la Armeni, “l’uccisione di Saman e le proteste per le limitazioni della libertà delle donne, ovunque esse avvengano, non dovrebbero essere due faccende separate”.
Qui viene toccato il punto nevralgico del femminismo odierno: l’incapacità di considerare sullo stesso piano delle donne occidentali quelle del resto del mondo. E perché mai un movimento che è nato dalla sinistra internazionalista, non è più capace di riconoscere l’importanza della parità delle donne ovunque siano e a qualsiasi paese appartengano?
Se si cerca di dare una risposta a questa grande contraddizione, la si può cercare solo nel cozzo di quell’internazionalismo con una stortura ideologica che ci trasciniamo da decenni, ovvero l’errata certezza che ogni “cultura” si debba giustificare in quanto tale e sull’altra assurda convinzione che tutte le culture contengano valori di pari dignità.
E’ talmente evidente che non sia così, ma chi ha i famosi occhiali dell’ideologia, non è in grado di fare il salto per riconoscerlo. E come mai? Un fantasma si aggira in Occidente: la paura di essere accusati di razzismo. Per una mente distorta, condannare un crimine, i cui moventi sono radicati in una società diversa dall’occidentale, per un perverso assurdo senso di colpa (derivato da memorie coloniali, da bislacche rivalutazioni di “elementi culturali” di civiltà che niente hanno a che fare con la nostra) è praticamente impossibile.
L’ingresso nella nostra società di corpi estranei culturalmente, di cui i nostri governanti si ostinano a chiedere l’integrazione (ma implorandola, mai pretendendola), anche quando questa risulta assolutamente impraticabile, fa sì che assistiamo da tempo a episodi che mai decenni fa avremmo pensato potessero accadere. Ma non intendo solo il delitto di per sé (come quello del caso in questione di genitori o parenti che uccidono un figlio o un nipote), quanto la valutazione che di esso danno gli autori: atto dovuto, giustificato perché aderente ai propri costumi, secondo certi stranieri; mentre quell’atto è considerato all’opposto abominevole dalla società che li ospita.
Una donna come Saman, che voleva integrarsi nel nostro paese, gustando la libertà che offre, è stata tarpata nelle sue aspirazioni e così è avvenuto per tante altre donne sempre appartenenti a quella “cultura”. E purtroppo è prevedibile che il fenomeno si ripeta ancora.
Finché questi “ospiti” saranno fatti entrare nel nostro paese incondizionatamente, sarà sempre peggio: sempre più Saman verranno ostacolate. I nostri governi, per un falso senso di rispetto, sono stati incapaci di pretendere l’adeguamento degli immigrati alle nostre leggi. Finché esponenti di una religione che si sottrae alla nostra autorità politica, saranno lasciati liberi nel nostro territorio di muoversi e agire seguendo ancestrali tribali consuetudini, finché noi continuiamo a permetterlo, considerando deviazioni dalla vera fede le loro aberrazioni, che al contrario sono invece espressione proprio di essa, finiremo sottomessi. Questo è assodato.